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Emiliano Bazzanella
Logica e tempo
abiblio
Forum per Utopie e Skepsis
In$i&'
PREFAZIONE, 11
INTRODUZIONE
1. I nodi della questione, 15
2. Il senso del tempo, 20
3. La logica del tempo, 23
PARTE PRIMA: TEMPO E SPAZIO-TEMPO
1)1 I+ t'mpo $'+ mon$o ' i+ t'mpo $'++0anima
1.1.1 Aristotele versus Agostino, 29
1.1.2 Il tempo fenomenologico, 35
1.1.3 Fenomenologia e criticismo, 40
1.1.4 Il diallele della conoscenza indiretta e le sintesi passive, 45
1.1.5 Ontologia e temporalit, 51
1)2 2a Kehre 3'i$'gg'5iana ' +a 6&ontin7it89 $'++a :7';tion'
;pa<io=t'mpo5a+'
1.2.1 La spazialit dellEsserci, 60
1.2.2 Il paragrafo 70, 67
1.2.3 La Temporalitt, 71
1.2.4 Lorizzontalit, 76
1.2.5 Costruire, abitare, pensare, 80
1.2.6 Tempo ed essere, 87
PARTE SECONDA: SENSO E SPAZIO-TEMPO
2)1 >&3o+ogia $'+ ;'n;o
2.1.1 Senso e non senso, 97
2.1.2 LEreignis, 100
2.1.3 Logica del senso, 102
2.1.4 Il reale, 106
2.1.5 Il ritornello e la padronanza, 109
2.1.6 La sferologia, 114
P5'Ca<ion'
Questa prefazione, come quasi sempre accade, viene scritta in ultima
istanza. Il pre- risulta del tutto finzionale e sembra riferirsi a una sorta
di teatralit in cui ci simmagina un potenziale lettore e un suo modo
specifico di lettura. Essa viene per ultima, per, anche per ragioni
immanenti a questo studio e, per taluni aspetti, ha a che fare con il
metodo filosofico tout court, con il tempo ed il senso nella loro teatralizzazione simbolica.
Tuttavia mi sembrata un passaggio impellente, come se proprio la
tematica del tempo e quella annessa della logica avessero sospinto
lechologia verso un punto necessariamente critico e ci fosse alluopo
bisogno di una parola in pi. Con una sorta di epoch, cio di sospensione e presa di distanza, dobbiamo riguardare questa stessa riflessione filosofica e interrogarci sui suoi contesti e sui suoi orizzonti. Ci
avviene soprattutto in seguito a una certa amara disillusione: perch
oggi il non-senso diviene cos tematicamente centrale in quasi ogni
speculazione che cerchi di penetrare il mondo contemporaneo? Perch
non riusciamo a staccarci dalla testa questa sensazione di insensatezza, di finzione radicale, estesa ovunque, anche a quegli ambiti di
certezza che sino a qualche tempo fa ancora ci confortavano?
Lidea di uno scenario nichilistico ancora predominante nellepoca
tardocapitalistica e derivante in prima istanza dalla dissoluzione di
tutti i valori portata a termine da Nietzsche non convince del tutto.
Soprattutto perch il non-senso non coincide proprio con il nulla, il
niente: come osserva Lacan, anzi, il non-senso esiste e fa pure male...
allo stomaco.
Ecco, allora, il punto: oggi abbiamo la percezione dellesistenza del
non-senso e, soprattutto, cominciamo a renderci conto che esso funziona anche allinterno del senso stesso. Iniziamo a prendere coscienza di una certa diffusa finzionalit e ci indubbiamente ci ferisce, poich incrementa la nostra insicurezza, ci rende ancora pi debili innan-
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LOGICA E TEMPO
zi alle minacce del Fuori e dellAltro. Nel mondo contemporaneo presentiamo un certo inganno e le molteplici disillusioni ci conducono ad
un relativismo che ha perduto la propria carica antimetafisica ed
divenuto la cifra di una superficialit smagata e vuota di senso. Il
parossismo dei consumi, insomma, non basta pi.
Possiamo chiamare questo non-senso che intride ogni istante della
nostra esistenza in tanti modi: Altro, Reale, Fuori, Inconscio. Gran
parte della riflessione filosofica del Novecento sembra indirizzarsi
proprio ad essi, in una sorta di fenomenologia smascherante e decostruttiva tesa a destabilizzare sistematicamente i perni dogmatici sui
quali la nostra cultura si era secolarmente adagiata. Ma ci che ci sgomenta, oggi, che il non-senso abita in noi, ed pure essenziale alla
nostra supposta razionalit.
Il tempo, pi di qualsiasi altra cosa, evidenzia questemergenza e ci
spiazza dacchito, ma non perch ci ricorda in qualche maniera la labilit dellessere umano. Ci scuote perch esso costituisce una sorta di
marca o di traccia in cui il lgos si scopre nel suo ineludibile carattere
di finzione e di illusorio addomesticamento del Fuori: il tempo non
esiste in s, ma costituisce gi una simbolizzazione che soltanto in
seconda istanza si finge reale, ed , per di pi, una finzione che finge
di non essere tale.
Ma la malinconia o il malheur tipico della nostra epoca (che dipende
da una passione per il reale per dirla con Slavoj Zizek o, meglio, da
unossessione per il non-senso, anche perpetrata attraverso una
comica e assurda radicalizzazione del senso stesso) deriva anche dalla
consapevolezza che la nostra apparente autonomia nel giudicare e nel
pensare soltanto provvisoria. Noi crediamo di riflettere (in questo
libro, di riflettere il tempo), ma siamo alla fine ri-flessi, ossia siamo
oggetto di riflessione, e parimenti effetto di un gioco di luci e di ridondanze finzionali. Logica e tempo sono gi effetti, e pure la stessa
echologia dipende da un certo rapporto del senso con il non-senso, a
sua volta teatralizzato e finzionalizzato.
forse la riproposizione millenaria del paradosso di Epimenide? La
riproposizione dellaporia dellauto-riflessione e dellimpossibilit di
uninterpretazione che non sia gi pre-giudicata, gettata in una
determinata situazione che ne condiziona sin dallinizio gli esiti? Non
avevamo forse agilmente aggirato questo paradosso riconoscendo lessenziale finzionalit dei metalinguaggi e delle cornici?
Oppure c qualcosa di pi; qualcosa del tipo: nellepoca convenzionalmente definita tardocapitalistica limpianto razionale dellOccidente
inizia a mostrare le corde e, proprio in ci che pareva costituire lapice
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della sua capacit di controllare il non-senso, baluginata allimprovviso una crepa che si sta vieppi allargando. In altre parole, forse siamo
giunti alla necessit di una nuova logica, una sorta di "()(* che tragga appunto dal non-senso il proprio alimento, che viri e si declini attraverso i paradossi che serpeggiano attorno a qualsiasi statuizione simbolica e a qualsiasi tentativo di de-finire o de-limitare un linguaggio logico coerente.
Nellepoca attuale ci siamo avvicinati troppo al reale, proprio quando credevamo daver escogitato quellapparecchio che lo teneva bene a
distanza, estremizzando i processi di razionalizzazione e simbolizzazione, sistematizzando ogni aspetto dellesistenza umana. Ora il reale
s fatto allimprovviso vicino; presso di noi; con noi. Iniziamo cos
ad aver orrore di noi stessi; tutto ci che ci circonda la realt sociale, la tecnica, la natura addomesticata dallagrimensura, la medicina,
etc. una finzione che doveva proteggerci dallincontro traumatico
con il non-senso: adesso abbiamo scoperto che man mano sospingiamo il reale allesterno, ne introiettiamo pezzi sempre pi ampi.
Lultima sfida si compie proprio con lesclusione o lateralizzazione
della dimensione spazio-temporale: immerso in uno spazio e in un
tempo infiniti, luomo tenta di eternizzarsi e di estendersi indeterminatamente, ma ci facendo sottrae carne al proprio senso, diviene
ancora pi insensato abbandonandosi in questo caso s, nichilisticamente allinesistenza ansioso-depressiva.
Questo libro, dunque, si pone il compito improbo di parlare o, perlomeno, di convivere con questi quattro fatti: 1) noi, in quanto uomini
razionali, siamo immersi in una serie indefinita di orizzonti finzionali,
viviamo continuamente cio in una sorta di fiction televisiva; 2) la finzione in se stessa finge di essere il reale che cerchiamo di controllare
e dal quale continuamente ci proteggiamo; 3) il simbolico non il solo
elemento a fingere, ma il reale stesso nella sua totalit, paradossalmente, finge, ovvero anche lidea di un livello assoluto al di l di
ogni simbolizzazione umana costituisce un coup de thtre del reale
stesso, nella misura in cui il senso e non-senso alla fine tendono a identificarsi; 4) tutto ci (in particolare la finzionalit del simbolico e lisomorfia tra simbolico e reale) ancora il ri-flesso di una finzione, ovverosia lidea echologica che il senso sia commisto con il non-senso e lidea che il tempo costituisca la marca traumatica di questa giunzione
impossibile non pu non essere che unulteriore teatralizzazione del
senso stesso.
Draga, 31 gennaio 2008
E.B.
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Int5o$7<ion'
1. I nodi della questione
Quando pensiamo al tempo o vi riflettiamo con unapparente maggior
attenzione e profondit, affiora quasi consequenzialmente una serie
indefinita di dualismi, difficilmente componibili: innanzitutto il dualismo tempo-spazio; poi i dualismi durata-istante, eternit-divenire,
tempo oggettivo-tempo soggettivo, evento-epoca, qualit-quantit,
apriori-aposteriori, e via dicendo. Cos si esprime ad esempio H.
Bergson: se cerco di analizzare la durata, vale a dire di risolverla in
concetti gi fatti, sono obbligato dalla natura stessa del concetto e dellanalisi a ritagliare sulla durata in generale due vedute opposte, con
cui pretender, in un secondo tempo, di ricomporla. Tale combinazione tuttavia non offrir n una diversit di gradi, n una variet di
forme: essa o o non . Dir, ad esempio, che c una parte di molteplicit di stati di coscienza successivi, e dallaltra una unit che li lega.
La durata sar la sintesi di tale unit e di tale molteplicit, operazione misteriosa di cui non si vede, ripeto, come possa comportare gradi
o sfumature (Bergson, 1938, p. 173). La durata pura costituisce daltra
parte una molteplicit del tutto differente dalla molteplicit spaziale:
da un lato abbiamo successione, fusione, discriminazioni qualitative;
dallaltro, giustapposizioni esteriori, ordini, simultaneit, stati, differenze misurabili di quantit e di grado. Ma il nostro intelletto, il cui
ruolo esattamente quello di stabilire delle distinzioni logiche e di conseguenza delle opposizioni nette, si slancia di volta in volta in una delle
due vie, e in ciascuna di esse va fino in fondo. Erige cos, in una delle
due estremit, unestensione indefinitamente divisibile, e nellaltra
delle sensazioni assolutamente inestese; crea cos quellopposizione
che poi contempla (Bergson, 1896, p. 331). Bergson traccia in questa
maniera il profilo della prima grande opposizione: il tempo non pu
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LOGICA E TEMPO
del tutto emanciparsi dallo spazio, a meno che non pensiamo metafisicamente a una temporalit del divenire istantaneo, della semelfattivit, come fa ad esempio V. Janklvitch, filosofo esistenzialista bergsoniano, per il quale il tempo linafferrabilit e aerea impalpabilit
dello charme, della grazia che sopravviene come +!',($-, occasione.
Dovendo il nostro intelletto schiacciare ogni percetto o ogni Erlebnis
sul piano tridimensionale dello spazio, ecco che il tempo stesso, per
divenire qualcosa di oggettivo e di sociale, si trasforma nel proprio
apparente contrario, cio nellestensione dello spazio. Eppure per
Bergson questo processo sinquadra allinterno di una contaminazione indebita, come se fosse una degenerazione che non tiene conto delleffettiva natura delle cose. Il dualismo spazio-temporale si trasforma
in questo modo nellopposizione quantit-qualit, come se loggettivo
fosse soltanto misurabile e calcolabile in termini spazio-quantitivi, e
come se il senso interno o il flusso di Erlebnisse, per usare unespressione husserliana, avesse unessenza per cos dire tempo-qualitativa, afferrabile da una disposizione cognitiva di tipo particolare come
lintuizione o, pi significativamente con Janklvitch, da una sorta di
intra-visione o intravvedimento. La durata infatti articola un
ritmo, unalternanza infinita di aperture e chiusure, di battiti irriflessi che, se sottoposti a loro volta a riflessione, sfumano e degenerano nel
proprio opposto spazializzato: gli stati di coscienza profondi non
hanno alcun rapporto con la quantit; sono pura qualit; e si mescolano in modo tale che non si pu dire se si tratta di uno solo o di molti, e
nemmeno analizzarli da questo punto di vista senza immediatamente
snaturarli. () Ma via via che le condizioni della vita sociale si realizzano con maggior compiutezza, si accentua anche sempre di pi la corrente che trascina i nostri stati di coscienza dallinterno allesterno: a
poco a poco questi stati si trasformano in oggetti o in cose; non si staccano solo gli uni dagli altri, ma anche da noi (Bergson, 1889, pp. 8889). Ma come possibile allora il ricordo? Se ogni fissazione dellistante, degenera poi in una spazializzazione, possibile e lecito pensare a un ricordo completamente sganciato dal fluire del tempo? Bergson
tenta di risolvere questo nodo in Materia e memoria del 1896: attraverso la nota formalizzazione del cono egli cerca di ricostruire il processo che connette tra di loro il passato puro, quasi desoggettivato, con
listante puntuale, attraverso un movimento graduale di contrazionedistensione (Bergson, 1896, p. 260) che riproduce quasi perfettamente la teoria della distensio animi di Agostino. Il vertice del cono, che
rappresenta il presente istantaneo, porta con s, in maniera implicita o
virtuale, tutto il passato, in tutti i suoi gradi: il passato non solo coe-
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(similmente a Husserl, peraltro, e a Heidegger), manifestano unulteriore impasse nel questionare la temporalit. Ci significa che non possiamo procedere troppo nel riflettere sul tempo, senza giungere al
paradosso di un circolo vizioso, cio a un tempo che agisce su se stesso, oppure a un tempo che non- ma temporalizza come ci dice
Heidegger.
Abbiamo cos abbozzato alcuni dei nodi riguardanti una filosofia del
tempo che ci seguiranno lungo tutto il nostro percorso: per certi versi,
essi condensano in s il carattere aporetico di alcune tra le pi fondamentali questioni che da sempre hanno assillato i filosofi; per altri,
invece, fanno emergere delle istanze nuove, non meno problematiche
e non meno universali nella loro rilevanza teoretica. Proviamo a riassumerle preliminarmente:
1) il questionamento della temporalit, ci pone di fronte a una delle
grandi tematiche della filosofia moderna, cio il rapporto tra soggetto
e oggetto. Nel nostro caso non si tratta di tematizzare il cogito ergo
sum di Cartesio, n tantomeno di attraversare i vari empirismi che da
Locke in poi hanno costellato la storia del pensiero occidentale. Invero,
il problema del tempo sembra quasi retrocedere questo rapporto,
riportandolo ai tempi di Aristotele e di Agostino: lopposizione in tal
caso non pi quella tra un polo soggettivo e una sfera oggettiva, bens
tra due dimensionamenti della stessa temporalit: un tempo per cos
dire cosmico, cio legato al movimento fisico degli enti o al moto
degli astri o, ancora, ai ritmi circadiani del sorgere del sole e del tramonto, del sonno e della veglia; un tempo dellanima cos come
emerge nelle Confessioni di Agostino e che evidenzia il primo baluginare di un movimento di introspezione soggettiva che sarebbe culminato nellidealismo hegeliano. Ora, una delle pi grandi difficolt che
sembra profilarsi in questo senso, la quasi impossibile conciliabilit
di queste due dimensioni temporali: in altri termini, o rimaniamo aristotelici e quindi legati alla genericit dellora, oppure propendiamo
per la via agostiniana e quel medesimo ora non pi listante indifferente della scienza, ma si carica per cos dire di senso esistenziale e
assume in tal modo un deciso orientamento, il prima del ricordo e
della memoria, il poi dellattesa e del progetto.
2) Di conseguenza sembrano profilarsi due livelli temporali: il primo
pi originario, legato allistante semelfattivo e connotato esistenzialmente; il secondo deiettivo, cio degenerato in una quantit senza
qualit, misurabile spazialmente dallorologio e dai calendari. Mentre
per il tempo esistenziale non pare facilmente tematizzabile e conoscibile, il tempo pubblico invece diviene oggetto di calcolo e fa da sfondo
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to stilistico e linguistico e lintrapresa di una Sprachphilosophie affatto peculiare, emerga invece un cambio di passo o gioco di passaggio
non indifferente. Heidegger cio sembra spostare sempre di pi lattenzione da unontologia o un senso dellessere caratterizzati temporalmente, a una topologia che diviene tantopi evidente e palese,
quantopi si esprime con il richiamo a temi e suggestioni ctonie: la
casa, la terra, il cielo, labitare, il coltivare, la contrada, la radura, e cos
via. Se in effetti dovessimo interpretare semplicisticamente questa
declinazione, in parziale consonanza con i teorici della Kehre, potremmo dire che laccentuazione del carattere esistenziale dellEsserci
dipende da unimpostazione ancora soggettivistica, ossia centrata sulla
priorit ontologica delluomo e su una struttura esistenziale che vede
nelloltrepassamento e nel progetto le sue cifre fondanti; mentre lemergere dellimpostazione topologica indica lo sforzo heideggeriano di
emanciparsi da tale impasse, per insediarsi problematicamente in un
luogo ove si d preliminarmente lessere in quanto tale. Tempo come
cifra del soggetto, dunque, nella sua essenziale labilit; spazio come
espressione della stabile e oggettiva permanenza del mondo esterno.
Ma gi nel 1936-38 Heidegger osserva che il tempo tanto poco
conforme allio quanto poco lo spazio conforme alla cosa; e a maggior
ragione lo spazio non oggettivo n il tempo soggettivo (Heidegger,
1989, p. 368). Nel 1962, daltra parte, Heidegger riprende in mano la
questione del tempo, con intenti ancora pi perentori, e lo fa in una
conferenza Tempo e essere il cui titolo riecheggia la sezione mai
conclusa di Essere e tempo nel 1927 nella quale il filosofo di Messkirch
si proponeva di tematizzare il senso dellessere in generale. Per certi
versi assistiamo a una distanziazione abbastanza accentuata rispetto
alle posizioni giovanili, ma per altri emergono tonalit e riflessioni che
paiono recuperare approfondendole le tematiche giovanili: la
maggiore distanza la riscontriamo nella sconfessione di Heidegger del
70 di Essere e tempo, nel quale si ipotizzava una derivazione della
spazialit dal tempo. Non c affatto un capovolgimento, bens viene
profilata una sorta di coesistenza essenziale, uno spazio di tempo in
cui non ravvisabile alcuna priorit o precedenza. Ci di cui possiamo
parlare soltanto uno Zeit-Raum che a differenza dellomonima
struttura relativistica che prevede una curvatura dello spazio-tempo
da parte della materia costituisce lorizzonte in cui si articola genericamente la Cosa, das Ding. a questo livello, dunque, che rintracciamo degli elementi di continuit e di progressione, dacch sin dagli
anni Venti Heidegger concepisce il tempo nella sua valenza orizzontale, ossia come quel verso-cui o ci-rispetto-a-cui lEsserci .
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spazio-temporale (cos chiameremo questo curioso diallele auto-leggitimantesi) in un un contesto normotipico pi ampio. Il sistema ST
(spazio-tempo) cos come lo chiameremo si rapporta necessariamente
ad altre normotipie, ossia ad altre formazioni simboliche che direzionano e sorreggono il senso. Tra di esse, tale sistema assurse in passato
anche a un ruolo di egemonia, costituendo il riferimento ultimo di ogni
pensiero o azione umana, quantomeno in una determinata regione
della terra e per un certo periodo: tutta la sferologia di P. Sloterdijk,
ad esempio, sembra spiegare un siffatto privilegio in certune epoche
storiche, cosicch lintero processo delle scoperte geografiche e delle
esplorazioni delle Americhe e dellemisfero australe, i colonialismi in
ciascuna delle loro forme, e cos via, non sarebbero stati causati da
unindomita ansia dellanimale uomo di espandere i propri territori
sempre pi in l, n tantomeno da una innata curiosit e brama di
avventura insita nella sua natura, bens da un impianto normotipico
egemone che si basava allora sulla dimensione dello spazio. Cos,
coeteribus paribus, nelle popolazioni pi antiche era il tempo che
regolava i ritmi delle popolazioni: dal tempo cosmico, a quello metereologico per arrivare al tempo della vita (il menarca, il mestruo, la
senescenza, ladolescenza, etc.). Per dirla in parole pi semplici e
tecnicamente pi inesatte potremmo dire che nei vari processi di
civilizzazione luomo ha dapprima utilizzato quelle simbolizzazioni
normotipiche pi prossime possibile al reale: le prime evidenze traumatiche dellesistenza lo spazio della terra da coltivare e da proteggere dallesterno climatico e dallintruso (lhospes hostis, lospite
necessariamente nemico); il tempo del dolore ossessivo, dellamore
indomito, della morte individua, ma anche dellintemperie e delle siccit fu per primo addomesticato da una simbolizzazione che successivamente si sarebbe sempre pi evoluta, sovrapponendo filtri simbolici su filtri simbolici, e relegando vieppi a maggior distanza la permanenza inquietante e impossibile di un reale che pur non accennava
e non accenna a cedere. Da unaltra prospettiva, se il godimento per
Lacan il reale stesso, lo spazio e il tempo manifestano quel luogo di
emergenza in cui il godimento-reale viene da una parte fantasmatizzato in quanto collidente con la dimensione simbolica, dallaltra forcluso, ovvero rimosso e relegato nei meandri dellinconscio.
Ci cui stiamo assistendo oggi, tuttavia, un fenomeno nuovo. Ancora
Heidegger negli anni Trenta accenna a una presa di potere dello spazio-tempo come essenziale presentarsi della verit (ivi, p. 377), mentre
invece agli occhi di un uomo contemporaneo il sistema ST non pare pi
egemone, essendo stato sussunto (in una implicita co-fungenza) allin-
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INTRODUZIONE
terno di una normotipia molto pi raffinata. Il tardocapitalismo, infatti, ha superato il meccanismo del diallele, moltiplicandolo a dismisura
in un meccanismo di infinita indifferenza. In altri termini, il tardocapitalismo ha senso grazie allapporto di infinite normotipie che possono
via via e solo in apparenza divenire egemoni e che si rimpallano
continuamente, in un movimento senza sosta e sempre pi accelerato.
Per raggiungere questo risultato il tardocapitalismo dissimula continuamente la propria egemonia, e anzi si pone in disparte confondendosi subdolamente con le altre normotipie e cedendo spazio ma soltanto in apparenza ad altre normotipie per cos dire epifenomeniche
come la scienza e la tecnica che pur si arrogano un certo primato nel
conferire senso alla nostra epoca post-moderna. In questo ritrarsi, daltronde, il tardocapitalismo raggiunge appieno il proprio scopo, dacch i
piani di referenza si moltiplicano e il reale diviene talmente distante che
luomo contemporaneo si ritrova a vivere allinterno in una sorta di
sogno altrui oppure, pi significativamente, entro una psicosi collettiva di secondo grado (ovvero non riferita ad un senso individuo, ma ad
un senso sistemico e generalizzato).
In tale processo il sistema ST quello pi sacrificato: a causa della
sua eccessiva prossimit al reale esso viene eluso proprio dallo stesso
meccanismo della normotipia tardocapitalistica. Ci cui essa mira,
invero, unesclusione dello spazio-tempo attraverso un processo di
infinitizzazione e di velocizzazione parossistica che implica
diciamo noi una certa incapacit di esporsi al non-senso: lo spazio
territoriale diviene lo spazio infinito della globalizzazione e del cosmo
in continua espansione che luomo percorre o percorrer in lungo e in
largo, nonch linfinito moltiplicarsi di spazi ndimensionali, immaginari, simbolici e virtuali; il tempo limitato della vita individua, diviene
leternit delluniverso e della specie umana, con le sue capacit scientifiche di controllare lorganico come linorganico; oppure la massima
concentrazione di attivit e di esperienze in un istante infinitamente
dilatato. Ma come si ritrova il soggetto in questa indifferenza infinita,
senza un territorio da controllare e un tempo limitato da vivere? Che
cosa significa esistere allinfinito o, potremmo dire, nellimpossibilit?
Come vedremo, leccesso di controllo nei confronti del non-senso
(reale), porta paradossalmente al non-senso stesso: la forma di estrema e infinita padronanza effettuata da parte della normotipia tardocapitalistica, finisce per dimostrarsi complessivamente insensata, da cui
anche lesistenza dei singoli soggetti sembra oggi perdere sempre di
pi le proprie capacit di controllo e donde le sempre pi diffuse sindromi ansioso-depressive, che non sono altro che patologie del senso
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in generale e, pi precisamente, psicopatologie legate alla lateralizzazione del sistema spazio-temporale. In termini di godimento, la neutralizzazione dellimpianto spazio-temporale implica unulteriore
rimozione di esso, con la conseguenza paradossale che chi gode proprio la stessa normotipia tardocapitalistica nel suo ruolo di Soggetto
astratto. Se tutta la mitopoiesi spazio-temporale evidenziava ancora
una vicinanza al reale nella sua insensatezza, ora questultima appare
veramente impossibile nonostante il sistema medesimo ingiunga continuamente alluomo di godere. Tutto ha senso, forse troppo senso: e
se si trattasse di unenorme finzione? O, ancora meglio, di una finzione di finzione, dove ci che sensato invero non si dimostra nullaltro
che un reale che finge esso stesso? Sospingendo sempre pi in l il
rischio di incontrare il reale, ecco che la civilt umana finalmente riuscita a costruire quella macchina trascendente astratta che gode al
posto nostro, che incontra il reale facendosene carico con tutti i vantaggi e gli svantaggi della faccenda. Ma a noi, singoli individui trafitti
da un raggio di sole, non resta che un conato inesausto verso un godimento precluso, verso una realt che non conosceremo mai appieno,
conato che si manifesta nella continua ricerca di un reale impossibile,
di attestazioni desistenza la Ricoeur, donde il consumismo contemporaneo, il trash, le ossessioni maniacali, le sindromi border-line,
larte estrema, gli acting-out insensati, i fondamentalismi religiosi, et
coetera.
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PARTE PRIMA
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219a, 3-7). Aristotele, con una sottigliezza analitica che Agostino non
sempre coglie pur accettando il senso di tale tesi (Confessiones XI, 23,
29), non vuole semplicisticamente identificare il tempo con il movimento (Physica, 219a, 2), ma vuole sottolineare come nel movimento ci
sia in gioco qualcosa come il tempo. Ma quale rapporto intercorre allora tra il tempo e il plesso movimento-cambiamento? Se il tempo non
il movimento propriamente detto, ma qualcosa del movimento, come
possiamo articolare questa inerenza senza incorrere nella banalit del
tempo in quanto qualcosa che si muove esso stesso? Aristotele compie in questo senso due passaggi preliminari: innanzitutto il tempo, in
quanto relazionato al movimento, si articola nellorizzonte di una successione tra il prima e il poi. Tale relazione dordine inoltre e qui
scorgiamo un punto decisivo non appartiene propriamente allanima,
ma concerne esattamente una relazione costitutiva del mondo. Il
prima ed il poi, insomma, sono fattori fisici e reali, costituiscono una
relazione oggettiva: lanimo trova la successione nelle cose prima di
riprenderla in se stesso, comincia col subirla e anzi col soffrirla, prima
di costruirla (Ricoeur, 1985, p. 23).
Il tempo dunque si articola nel movimento e in un rapporto di successione oggettiva tra il prima e il poi: ci tuttavia non appare sufficiente per una definizione abbastanza esaustiva, poich manca ancora un legame tra i due fattori. Affermare infatti semplicisticamente che
il tempo costituisce il movimento tra il prima e il poi sembra introdurre un elemento tautologico, cio sarebbe come sostenere ingenuamente che il tempo non altro che il moto del tempo. Aristotele,
dunque, affronta il terzo passaggio quello a nostro avviso pi decisivo poich incanala la sua teoria verso il ct pi propriamente fisicalistico della questione. La definizione che ne deriva tanto brachilogica, quanto intensa: questo, in realt, il tempo: il numero del
movimento secondo il prima e il poi (Physica, 219b, 2).
Si aprono invero due versanti di discussione: da un lato, lingredienza del numero e della misura rischia di fare del tempo qualcosa di
matematico, cio unesistenza puramente ideale e legata a un certo
tipo di simbolizzazione; dallaltro, emerge quasi automatica linterrogazione sulla necessit di unanima e, quindi, di un fattore soggettivo
che determini il movimento stesso e, di conseguenza, la sua numerabilit. Sul primo punto Ricoeur rimane abbastanza generico, mentre
molto pi attento e scrupoloso appare Heidegger che, nel corso marburghese del semestre estivo del 1927 I problemi fondamentali della
fenomenologia, evidenzia come Aristotele non parli proprie dictu di
numero, bens di numerato, arithmomenon: il tempo un
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Ritroviamo a questo punto uno dei primi nodi aporetici che concerne la schisi tra tempo cosmico e tempo psicologico-fenomenologico:
Heidegger lo evidenzia bene e propende decisamente per il secondo
versante, focalizzando tuttavia in modo per noi significativo quale sia
il nucelo problematico dellintera questione. Di fatto la separazione tra
le due dimensioni temporali si condensa sulla distinzione tra listante
(puntuale, indifferente) e lora esistenzialmente vissuto (listante
situato, il presente). Heidegger parte cos dallanalisi dellente intratemporale, ma per interpretare in modo completamente differente
Aristotele stesso: con linterpretazione dellessere nel tempo noi
vediamo che questultimo, inteso come ci che circoscrive, come ci in
cui avvengono i processi naturali, per cos dire pi oggettivo di ogni
oggetto. Daltro canto vediamo che esso solamente se c lanima.
Esso pi oggettivo di ogni oggetto e parimenti soggettivo, cio solamente se vi sono dei soggetti. (...) Il tempo ovunque e in nessun luogo
e solamente nellanima (Heidegger, 1975, pp. 242-243). Cercare di
dipanare questo plesso in apparenza contraddittorio costituir la posta
in gioco di tutta lultima parte della prima sezione di Essere e tempo,
quella dedicata alla storicit, alla misura del tempo, allintratemporalit, ovvero allaccezione deietta ed inautentica della temporalit.
Orbene, anche Heidegger tematizza la dimensione dellora nella sua
indeterminabilit dell allora, in quanto ora-non-pi, e del poi, in
quanto ora-non-ancora (ivi, p. 248), ma perviene ad esiti completamente differenti da quelli supposti nellinterpretazione ricoeuriana.
Lora, nella sua funzione di passaggio, condensa in s un ritenere
aspettante e presentificante, dove le tre connotazioni fenomenologiche sono sempre legate tra di loro e costituiscono nellinsieme un fenomeno unitario.
In questambivalenza ritroviamo lopposizione tra Aristotele e
Agostino, opposizione che si riassume nellopposizione fondamentale
tra istante e presente. Per Agostino ogni istante singolare e presente,
cio distinto nellanima di chi percepisce: il presente (diversamente
da Heidegger) la dimensione temporale fondante, in quanto affezione
e ritenzione. Le impressioni che le cose producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, quanto io misuro presente, e non gi le cose che passano per produrla (Confessiones, XI,
27, 36). In tale posizione, tuttavia, emerge il problema della misurazione, ossia il reperimento di quelle unit fisse che ci consentono di
ordinare le distensioni dellanimo e di compararle tra di loro. Per
Agostino lattesa si abbrevia quando le cose attese si avvicinano e (...)
il ricordo si allunga quando le cose riportate alla memoria si allonta-
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freccia del tempo, cio la sua irreversibilit. Il tempo psicologico agostiniano, invece, sembra riempire adeguatamente questa lacuna,
immettendo nel discorso un gioco di tensionalit di tipo fenomenologico: ci che sfugge per in questo modo proprio il punto di forza
della concezione aristotelica, ossia la possibilit di un unico tempo
cosmico, misurabile e condivisibile da tutti gli uomini. Emerge per la
prima volta detta un po grossolanamente quella distinzione tra
oggettivit e soggettivit che avrebbe impegnato il pensiero filosofico
sino ai nostri giorni: che questopposizione millenaria sia sorta implicitamente proprio nellambito di una riflessione filosofica sulla temporalit sembra daltronde dar ragione allHeidegger di Essere e tempo e
alla sua rilettura della storia della metafisica, sebbene non dovremmo
limitarci alle argomentazioni precedenti la cosiddetta Kehre, ma
dovremmo pi azzardatamente inoltrarci nelle analisi successive del
filosofo di Messkirch, pi propense a uninterpretazione topologica che
prettamente cronologica dellontologia.
Ora, proseguendo il suo studio, Ricoeur dopo aver posto i paletti del
problema vuole ulteriormente determinare gli spazi di aporeticit che via
via si sono aperti, analizzando tematicamente la radicalizzazione husserliana del tempo fenomenologico e, successivamente, il tentativo conciliatorio di Heidegger il quale, con la nozione di Cura tenta davvero una
giunzione essenziale tra il livello cosmico-aristotelico e quello psicologico-agostiniano. Che anche tale tentativo, a detta di Ricoeur, si riveli
insufficiente, costituir proprio il punto di partenza della nostra analisi.
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punto dorigine, come iniziativa di una continuit ritenzionale, e dallaltro come punto-limite, astratto mediante divisione infinita del continuum temporale (ivi, p. 51). In altre parole, la ritenzione sembra
dominare a tal punto che il presente impressionale o in carne ed ossa
sembra divenire impossibile: la ritenzione per e si deve tenerlo
bene a mente costituisce un fattore strutturale, a suo modo inconscio, che caratterizza ogni datit offerente. Ogni impressione tende
a durare, magari pochi istanti, e questa durata anche minimale si articola in un complesso meccanismo di modificazioni ritenzionali e di
intenzionalit longitudinali.
a questo livello che Husserl inserisce una differenziazione tra
ritenzione, in quanto momento strutturale-intenzionale della durata
di unimpressione, e la rimemorazione in quanto processo di ridestamento affettivo-intenzionale di un percetto passato. Una melodia
dopo il suo articolarsi temporale, diviene passata; ma il suo essere
appena-passata non una mera intenzione, ma un dato di fatto, dato
in se stesso, quindi percepito. Per contro, nella rimemorazione il presente temporale ricordato, presenza presentificata; e cos pure il
passato ricordato, presentificato, ma non realmente presente, non
un passato percepito, dato primariamente, intuito (Husserl, 1966, p.
70). Questa differenza tra passato ritenuto e passato rimemorato si
caratterizza per la valenza per cos dire finzionale di questultimo: il
suono ricordato e ridestato come se fosse presente, ma differisce
essenzialmente dallora presente, cos come dal presente appena ritenuto. Ricoeur nota tuttavia come Husserl trovi una certa difficolt nel
mantenere la dialettica tra la continuit temporale e la differenza tra i
due livelli del ricordo e, in particolare, osserva come emerga una certa
impasse nel determinare la struttura della rimemorazione. Come si
articoler questultima? Sar forse una mimesi del processo ritentivo, cio si articoler grazie ad un vettore intenzionale ritentivo-protensionale? Ricordo e ritenzione, insomma, saranno isomorfi e, cos
necessariamente quasi indistinguibili?
La soluzione husserliana consiste in una sorta di duplicazione dellintenzionalit: non basta dire che il flusso di rappresentazioni
costituito esattamente come il flusso di ritenzioni, con il medesimo
gioco di modificazioni, ritenzioni e protensioni. Bisogna formare lidea
di una seconda intenzionalit, che ne fa una rappresentazione di...,
seconda nel senso che equivale ad una replica (Gegenbild) dellintenzionalit longitudinale costitutiva della ritenzione e generatrice del
tempo-oggetto (Ricoeur, 1985, p. 59). Il ricordo rimemorante si dirige nel presente verso il passato con una certa tendenza protensionale:
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esso cio at-tende qualcosa, intenziona il passato in vista di un ridestamento che muta in continuazione loggetto (Husserl, 1966, p.
1984). Daltronde ogni ridestamento muta lo stesso passato presentificato, cio cambia quella che Gadamer mutatis mutandis definisce
Wirkungsgeschichte, storia degli effetti. In altre parole Husserl
sovrappone uno sullaltro pi livelli, dove alla ritenzione per cos dire
strutturale, cio facente parte delloggetto-che-dura, interseca il vettore rimemorante che interagisce essenzialmente con quel medesimo
oggetto, cangiandolo continuamente con un moto retroattivo. Per fare
un esempio, il suono che perdura nel tempo viene successivamente
rimemorato, ma questa rimemorazione muta alla fine la costituzione
oggettiva delloggetto stesso, creando quel misto stratificato e indistricabile che costituisce il fenomeno della temporalit immanente. La
retroazione che qui emerge dunque necessaria a priori. Il nuovo
rimanda a sua volta a qualcosa di nuovo, che, comparendo, si determina e modifica la riproduzione del vecchio, e cos via (ivi, p. 85).
In questo modo Husserl sembra adombrare un campo di continuo
mutamento, un fluire con esponente, dove il fluente e il cirispetto-a-cui esso fluisce fluiscono a loro volta senza che possiamo
determinarne un ordine o una qualche successione. Riemerge, in
sostanza, lesigenza di riportare il tempo coscienziale a unidea di
tempo oggettivo con i suoi posti e, per quanto paradossali, con le sue
stabilit. Il tempo fluisce, ma rispetto a che cosa? E come possibile
parlare aristotelicamente di un prima e di un poi, oppure agostinianamente , di un passato e di un futuro, se ogni istante
impastato con vettori intenzionali ulteriori e retroattivi, tantoch il
passato non pi lo stesso passato e il futuro sar soltanto ci che
emerger dai complessi meccanismi della rimemorazione?
Il momento di passaggio costituito dalla situazione temporale, che
Husserl tenta inizialmente di definire come distanza dal punto-dorigine: man mano che ritenzioni e rimemorazioni ci allontanano
dallora dellimpressione in carne ed ossa, il percetto trova via via la
sua posizione nel passato e subisce cos un processo di storicizzazione.
Sembra che Husserl abbia atteso dalla nozione di situazione temporale, strettamente legata al problema di ritenzione e di rimemorazione, la
possibilit per una costituzione del tempo obiettivo che non presupponga ogni volta il risultato delloperazione costituente (Ricoeur, 1985,
p. 63). Ma la situazione temporale, in quanto qualcosa di paradossalmente fissa e senza-tempo, costringe Husserl ad una delle sue ipotesi
teoretiche pi audaci, ancorch pi interessanti: il flusso assoluto
(Husserl, 1966, p. 106). Alla fine il tempo oggettivo e per cos dire
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critico, infatti, debbono alla fine fare i conti con il debito insolvibile nei
confronti del tempo cosmico-aristotelico, cio nei confronti di una
dimensione che lo diciamo prendendo a prestito una definizione di
Lacan ha a che fare con il reale.
C per unopposizione radicale che Ricoeur non omette di rilevare:
in Husserl emerge il tentativo di fenomenizzare in qualche modo il
tempo; in Kant invece il tempo unintuizione pura, ovvero un presupposto formale sia della conoscenza interna che di quella esterna
caratterizzata dallo spazio (ivi, p. 72). Ricoeur non prende in alcuna
considerazione lorizzonte dellepoch quale Grund paradossale di
tutta la disamina husserliana: non si tratta di un elemento relegabile
nellambito delle questioni meramente filologiche, poich lesclusionesospensione operata da questo gesto filosofico apre invero uno spazio
tutto nuovo che si pone a monte dellapriori kantiano stesso. Rileggendo
Kant con occhi husserliani, infatti, dovremmo preliminarmente osservare come lo spazio-tempo newtoniano implicito presupposto di tutta
la Critica della ragion pura ed estremo tentativo di integrare il sapere
scientifico nella filosofia non costituisce soltanto un formalismo accidentale senza il quale non riusciremmo a percepire effettivamente il
mondo esterno e interno cos come esso appare, ma diviene il prodotto di una particolare tessitura intenzionale e associativa che si articola
inconsciamente secondo vari tropismi e che, alla fine, si fonda sulla
dimensione abgrndig di un flusso assoluto. Potremmo dire ancora di
pi: la stessa Lebenswelt che sintrude nellapriorismo kantiano,
dimodoch noi vedremmo e percepiremmo il mondo esterno soltanto
grazie a questorizzonte che tanto apriori, quanto paradossalmente
aposteriori. In tale prospettiva, anche la pregidiziale newtoniana troppo
spesso attribuita a Kant perde un po del proprio valore, ed apre il criticismo anche a una dimensione relativistica che sembrerebbe inficiarlo
sin dal principio: che lorizzonte cui lapriori fa riferimento sia euclideo
o riemanniano assolutamente non determinante per quanto attiene la
costruzione dellapriori in se stesso e la determinazione mista dello
spazio-tempo che ne consegue (Gdel, 1995, p. 206).
Tralasciamo tuttavia per il momento le critiche allanalisi ricoeuriana e seguiamo invece il filosofo francese nel suo interessante raffronto
tra criticismo e fenomenologia: egli infatti sottolinea limportante
nozione di orizzonte quale giunzione tra una dimensione platonizzante del tempo inteso come presupposto apriorico di qualsiasi considerazione sul tempo e una dimensione aristotelica che concepisce invece
un tempo vuoto e autonomo, percepibile soltanto grazie al riempimento di avvenimenti (ivi, p. 75), cio in seguito allapparizione di
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e, quindi, una categorizzazione e una temporalizzazione. La permanenza cos una condizione necessaria per la costituzione temporale:
negli oggetti della percezione, cio nei fenomeni, deve esserci il
sostrato che rappresenti il tempo in generale (KrV, p. 200). Ma Kant
incede nella sua analisi e finisce per identificare nella dimensione temporale della permanenza lo schema trascendentale della sostanza: in
altri termini, laddove abbiamo un permanere apriori nel tempo, ivi
applicabile la categoria trascendentale della sostanzialit. Ci che permane, insomma, sostanziale: lo schema della sostanza la permanenza del reale nel tempo, cio la rappresentazione del reale come
sostrato della determinazione empirica del tempo in generale; sostrato che perci rimane, mentre tutto il resto muta (KrV, pp. 171-172). In
questunico gesto vengono determinate delle ipostasi teoretiche non
indifferenti almeno dalla nostra prospettiva echologica per il pensiero occidentale: il reale come sostrato permane, la permanenza una
determinazione essenziale e originaria del tempo, la sostanza si determina come permanenza. Il nostro sospetto che qui laristotelismo di
Kant insista proprio sulla valenza usiologica della sua argomentazione,
cio sullunico vero apriori della sua Critica che appunto lidentit e
la fissit intemporale della categoria sostanziale.
Posta la permanenza della sostanza come base (usiologico-aristotelica) per ogni determinazione temporale, Kant prosegue il suo ragionamento attraverso le analogie dellesperienza della simultaneit e della
successione. Queste si rifanno alla determinazione della categoria
dinamica di relazione che si articola appunto nella sostanza, nella
causa, nella comunione (azione reciproca o Gemeinschaft) e che
riguarda pertanto gi degli essenti. Le determinazioni si basano
ancora analogicamente sulle relazioni tra i fenomeni: le cose sono
simultanee, in quanto esistono in un unico e medesimo tempo (KrV,
p. 223), ma tale relazione dordine possibile e concepibile newtonianamente soltanto se tali cose agiscono reciprocamente (KrV, p. 224).
ancora Newton, in effetti, che traspare nella concezione kantiana
della successione, datoch vi emerge unidea di relazione causa-effettuale che risente della riforma humiana del principio di causalit:
tutto ci che accade presuppone qualche cosa, a cui segue secondo
una regola (KrV, p. 206). Insomma, la sostanzialit in quanto permanenza o, con Heidegger, semplice-presenza fonda la possibile relazionalit in generale e, in quanto tale, consente le relazioni di simultaneit e di successione. Ma ci che interessa Ricoeur non tanto questa
priorit, quanto il diallele che si viene a creare: si pu ben dire che,
mediante le sue determinazioni trascendentali, il tempo determina il
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sistema della natura. Ma, a sua volta, il tempo determinato grazie alla
costruzione dellassiomatica della natura. (...) Tale reciprocit tra il
processo di costituzione dellobbiettivit delloggetto e lemergenza di
nuove determinazioni del tempo, spiega che la descrizione fenomenologica che potrebbe essere suscitata da queste determinazioni sia sistematicamente repressa mediante largomentazione critica (Ricoeur,
1985, pp. 81-82).
La situazione abbastanza complessa e non cessa di dimostrare delle
istanze aporetiche: in breve, lanfibolia riguarda da un lato lapriorit
dellorizzonte temporale (e di quello spaziale) quale condizione per la
costituzione di qualsiasi fenomeno, sia esso interno che esterno; dallaltro lindeterminabilit del tempo stesso, se non attraverso un ricorso in seconda battuta alla costituzione oggettiva, cio al mondo della
natura. Il tempo costitutivo in quanto primaria forma di ordine delle
categorie dellintelletto, ma esso stesso riceve le condizioni di questordine proprio dalle categorie che avrebbe dovuto fondare o, ancora pi
radicalmente, dalle determinazioni empiriche della temporalit cosmico-naturale: il loro principio generale : tutti i fenomeni sottostanno,
per la loro esistenza, a regole apriori della determinazione del loro
vicendevole rapporto di un tempo (KrV, p. 195), ma queste regole
sono quelle della simultaneit, successione e permanenza che caratterizzano il mondo naturale nella sua aposteriorit.
Il carattere circolare dellanalisi kantiana si esplicita ulteriormente
nel carattere indiretto della percezione del tempo, carattere che sembra
ridondare in un altro diallele che non cesser di assillarci: quella tra
spazio e tempo. Allorquando Kant affronta la problematica del senso
interno e dellimpossibilit di una sua percezione diretta (KrV, p. 207)
nellambito della seconda deduzione trascendentale, egli ipotizza che
riusciamo a conoscerci in quanto oggetti soltanto grazie alle modificazioni apportate in noi stessi dai nostri medesimi atti. In altri termini
necessaria una sorta di esteriorizzazione attraverso la quale riusciamo ad apparire a noi stessi in modo mediato quali oggetti empirici.
Tuttavia, se il tempo la forma apriori del senso interno, ovvio che
questo processo di auto-modificazione coinvolger tale aspetto e la sua
consequenziale determinazione: attraverso questa modificazione rivolta a me stesso, io mi determino, produco delle configurazioni mentali
suscettibili dessere descritte e nominate. Ma in che modo posso produrre questa modificazione mediante la mia attivit, se non producendo nello spazio delle configurazioni determinate? (ivi, p. 84).
Una di tali configurazioni latto di tracciare una linea, cio unazione nello spazio che per Kant rappresenta in qualche modo il tempo:
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LOGICA E TEMPO
le uno deve per forza cedere laltro, per arrivare alla fine alla centralit
di unassiomatica della natura che cede a sua volta molto sul versante
newtoniano. Le similitudini con Aristotele appaiono quindi rilevanti,
soltanto che lo Stagirita appare pi radicale nel sottolineare il primato
fisico del tempo, mentre Kant cerca di dissimularlo con lidea di una
percezione traslata o indiretta. come se lapriori costituisse unipostasi indimostrabile, della quale possiamo avere solo una conoscenza
indiretta, cio mediante quei meccanismi fenomenologici gi irrimediabilmente presupposti: laporia della temporalit manifesta in tutta
la sua urgenza il carattere problematico del criticismo e rischiara
meglio lopera di Husserl nel suo tentativo di integrare in qualche
maniera Kant. Cos per Ricoeur, il prezzo della scoperta husserliana
della ritenzione e del ricordo secondario, loblio della natura, il cui
carattere di successione resta presupposto dalla descrizione stessa
della coscienza interna del tempo. Ma il prezzo della critica non forse
quello di una cecit reciproca rispetto a quella di Husserl? Legando la
sorte del tempo ad una ontologia determinata della natura, Kant non
si forse precluso la possibilit di esplorare altre propriet della temporalit rispetto a quelle che esige la sua assiomatica newtoniana: successione, simultaneit (e permanenza)? (ivi, p. 91).
Non anticipiamo qui alcune conclusioni cui arriveremo in seguito, ma
forse utile sottolineare come la permanenza nellarchitettura kantiana
della concezione fisica di Newton non rappresenti soltanto un fenomeno
di suggestione culturologica, ma inerisca essenzialmente alla natura
della stessa temporalit. Cos come la concezione aristotelica sembrerebbe dipendere da un predominio quasi mitico della temporalit cosmica e
del movimento regolare e imperturbabile degli astri (ivi, p. 17).
Ma veniamo ad alcune contro-istanze husserliane che Ricoeur sembra glissare, poich esse ci torneranno utili in seguito: la contrapposizione ricoeuriana insomma ci pare un po sommaria e tende pi ad un
effetto di tipo stilistico-argomentativo, che al consolidamento effettuale di ci che la fenomenologia ha detto e pu dire sulla questione
della temporalit. In altre parole lanalisi di Ricoeur, per quanto
attenta e quasi acribica nel seguire le Lezioni sulla coscienza interna
del tempo, tralascia invece completamente tutta la riflessione husserliana sulle cosiddette sintesi passive. Da un lato Ricoeur sostiene che
Husserl mirerebbe soprattutto ad una hyletica della coscienza (ivi,
p. 39), ma dallaltro egli stesso omette un consequenziale approfondimento di questo processo, in cui la temporalit per cos dire fondante, ma in un modo emblematicamente paradossale e, comunque,
abbinata ad altri fattori rimasti perlopi sottaciuti.
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Per certi aspetti, infatti, Husserl appare kantiano: una configurazione delle cose materiali in quanto aistheta, cos come stanno intuitivamente dinanzi a me, dipende dalla mia configurazione, (...) in riferimento con il mio corpo proprio e con la mia sensorialit normale
(Husserl, 1952, pp. 452-453). C da un lato una sorta di apriorismo
che pone le condizioni per lapparizione di un fenomeno; dallaltro si
profila un vettore che introduce delle nozioni che ritorneranno pi
volte nel nostro studio e che riguardano un po paradossalmente le idee
di norma e di normalizzazione. Husserl parla esplicitamente di ortoestesia (ivi, p. 463), ma ci implica un vettore direzionato necessariamente sulla dimensione pubblica e comunicativa, su una legislazione
che non soltanto linsieme delle regole apriori che guidano lattivit
dellintelletto, ma anche linsieme di quelle leggi aposteriori e storicoculturalmente determinate che definiscono ci che normale da ci
che anormale.
Inoltre, laggancio dellorizzonte apriorico della percezione al Leib
introduce una ulteriore complicazione rispetto allidea di un semplice
orizzonte potenziale della percezione che imporrebbe una minima
legalit allio nella sua esperienza del mondo. Dopo aver neutralizzato
il mondo naturale, dunque, Husserl compie un contromovimento che
sconvolge completamente quella che linterpretazione ricoeuriana. Il
corpo proprio pone la questione della passivit dellhyle, cio inizia
a far penetrare nellarchitettura del pensiero husserliano lidea della
sussistenza di alcune strutture soggettive di sapere e di senso che non
dipendono direttamente dal polo egologico. Emergerebbe in questo
modo una doxa passiva (Husserl, 1966b, p. 92), unorganizzazione
dellesperienza che non propriamente unattivit dellio e che sfuma
quasi in una dimensione oggettiva.
Tale attivit paradossale ha a che fare per Husserl con una particolare dinamica associativa, molto pi distante dalla teoria humiana di
quanto non sia prossima al meccanismo intenzionale. Essa infatti si
caratterizza per tensionalit, aggregazioni, cio si manifesta come un
fungere, un fungere regolato (Husserl, 1959, p. 156). I dati hyletici
vengono raggruppati, organizzati, differenziati, ma attraverso processualit che non concernono un atto intenzionante dellio; semmai
costituiscono la base da cui deriva lintenzionalit vera e propria, il
gioco di tensioni e slittamenti che dispiegher in seguito il campo
oggettuale e la costituzione del soggetto-io.
Le modalit in cui il campo hyletico si auto-struttura sono eloquentemente due:
a. per omogeneit, che significa identificazione, assimilazione
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cita sullio (ivi, p. 205). Ci troviamo insomma di fronte a unambiguit e a una contraddizione, poich la zona della passivit hyletica non
pu prescindere dallo stabilimento di ununit coscienziale di riferimento, nonch di una teleologia volta alla costituzione di una datit
caratterizzata dalla presenza vivente, un concreto presente universale nel quale si ordinano tutte le differenti singolarit (ivi, p. 45).
Come osserva Derrida nel La voce e il fenomeno, assistiamo a un continuo rimando da un livello di hyle allaltro, da quello sensoriale a quello energetico-affettivo, per finire nel flusso temporale che Husserl definisce significativamente Urhyle in alcuni manoscritti dellagosto del
1930 (Derrida, 1990a, p. 248). Sembrerebbe dacchito quindi che le
sintesi passive ripropongano per certi versi la matrice criticata da
Ricoeur: alla fine il raggiungimento di ulteriori livelli di passivit e di
deflazione soggettiva non riesce ad eludere il ricorso al piano delloggettivit naturale messa fuori circuito dallepoch in quanto agente
primario dellaffettivit. La temporalit rimane nella sua valenza di
flusso assoluto la griglia indispensabile per ogni fenomeno associativo
della pre-datit, sebbene essa funzioni soltanto in presenza di un dato
impressionale con la sua specifica forza affettiva.
Lidea di trovare un aggancio tra una dimensione fenomenologica del
tempo e una dimensione cosmico-oggettiva sinfrange per solo parzialmente, poich il livello di passivit fa s che una determinata associazione temporale, con tutti i suoi vettori intenzionali, non possa ritenersi propriamente soggettiva, ma aleggi semmai in quella zona di
neutralit, definita come grado-zero della coscienza. In altri termini,
la dinamica ritenzionale-protensionale, nonch i processi di rimemorazione, si pongono in un continuum che parte da un livello di assoluta passivit ed oggettivit per vieppi articolarsi nella sua fenomenologica dimensione soggettiva. Ma come pu avvenire questo passaggio? Come pu essere agganciato in Husserl il tempo pubblico e calcolabile al livello del flusso assoluto del soggetto?
Dal nostro punto di vista in questo passaggio gioca un ruolo decisivo
la struttura della Lebenswelt, che riesce a far combaciare assieme la
dinamica dellintersoggettivit della quinta lezione delle Meditazioni
cartesiane con un milieu assimilabile allo spirito oggettivo diltheyano.
Husserl ha sempre dinanzi agli occhi una dimensione universale che
implica una sorta di orizzonte e una conseguente in-erenza
(lIneinander). Di qualsiasi dato hyletico-sensoriale, cos come di una
categoria gi costituita noi possiamo dire con rigore soltanto che nesono, cio che sono elementi inclusi in un campo pi ampio e comprensivo. Lesistenza di un reale non ha perci mai e poi mai altro
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senso che quello della in-existentia, essere nelluniverso, nellorizzonte aperto della spazio-temporalit, orizzonte dei reali gi conosciuti e
non solo quelli attualmente consaputi, ma anche ora sconosciuti, che
hanno la possibilit di accedere allesperienza e alla futura condizione
di conosciutezza (Husserl, 1948, p. 31). In particolare, lambiente
costituito da un insieme infinito di pre-datit che non hanno ancora
una valenza soggettiva, ma sono costituite dai meccanismi impersonali delle sintesi passive (ivi, p. 27). E se questultime si articolano grazie
alla funzione regolatrice del tempo assoluto che conferisce loro un
valore universale, ci significa che sussiste una giunzione tra tempo
soggettivo e tempo cosmico, e soprattutto che queste due determinazioni costituiscono delle astrazioni abbastanza irrealistiche. In effetti
Husserl sembra propendere per un misto, ossia per una dimensione
temporale che sia quella ritentivo-protensionale, sia quella universale della pura successione: cos che listante husserliano altrettanto indifferente, quanto legato allirreversibilit del tempo soggettivo.
Ogni istante d per cos dire il ritmo ai processi associativi che costituiscono le pre-datit ed quindi indifferente al prima-poi se non per
la sua mera funzione di scansione ordinatrice; ma allorquando la predatit si organizza per omogeneit, contrasto e ordinamento, dando
cos luogo allhyle sonora ad esempio, ecco che il tempo prende in
qualche maniera corpo, si fenomenizza nella percezione intratemporale che in qualche maniera dura, cio si articola lungo il non-pi e il
non-ancora.
In questo processo ambivalente e misto, difficile da cogliere poich
Husserl stesso ci confonde ipotizzando diversi livelli di temporalit
(quelli evidenziati da Ricoeur: il tempo messo tra parentesi, il tempo
ritenzionale-protensionale, il tempo assoluto), la Lebenswelt svolge il
ruolo paradossale di Urhorizont, nel quale per infiniti orizzonti coesistono senza stabilire tra di loro alcuna gerarchia: oltre alle operazioni logiche, vi appartengono anche le esperienze pratiche e sentimentali, lesperienza del volere, del valutare e dellagire nella vita pratica;
ciascuna di queste esperienze determina peraltro il proprio orizzonte
di famigliarit dellattivit pratica, valutativa, etc.. Si devono inoltre
includere tutte quelle operazioni dellesperienza mediante le quali si
giunge in generale alla costituzione del tempo e dello spazio del
mondo, delle cose spaziali degli altri soggetti, etc. (ivi, p. 45). La
Lebenswelt diviene cos quellambiente complesso e pervasivo che,
attraverso vari livelli di soggettivit ed intersoggettivit, trasla continuamente dallhyle inconscia, irrelata e assolutamente oggettiva, a
dimensioni via via dotate di maggior coscienza soggettiva. La materia
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to differenti, soprattutto se continuiamo a seguire il fil rouge ricoeuriano di una contrapposizione ipostatizzata tra tempo fenomenologico
e tempo cosmico, quale viatico aporetico verso una teoria narratologica della temporalit: se infatti la fenomenologia costituisce il mthodos di Essere e tempo e il circolo ermeneutico ne la sua messa in
opera (Heidegger, 1927, p. 24), probabilmente ci ritroveremo di fronte
alla medesima circolarit husserliana, causata alla fin fine dal medesimo meccanismo originario dellepoch. La posta in gioco diviene allora, dal nostro punto di vista, non tanto la radicalizzazione la Ricoeur
dellaporia, quanto la dimostrazione della non-viziosit intrinseca di
questi circoli (ivi, p. 23), il loro esser-essenziali ed euristici per la questione della temporalit: questo il Grund dal quale ci muoveremo
prossimamente nella nostra riflessione echologica.
Torniamo adunque a Ricoeur. Heidegger sembra in prima istanza
cambiare tavolo da gioco e rendere quasi superflue, ad esempio, le
riflessioni aristotelico-agostiniane: di fatto non c pi unanima cui far
riferimento, n tantomeno la realt fisica del movimento, bens un problematico Dasein che certamente lente che noi siamo ma anche quellente di cui ne va dellessere stesso (Ricoeur, 1985, p. 95). In unanalitica dellEsserci, in che modo rimarrebbe la minima traccia di antinomia tra la coscienza interna del tempo e il tempo oggettivo? La struttura dellessere-nel-mondo non distrugge forse tanto la problematica
del soggetto e delloggetto quanto quella dellanima e della natura?
(ivi, p. 96). Nel da del Dasein si concentra tutta unanalisi della spazialit esistenziale che concorre alla costituzione originaria dellesserenel-mondo: il mondo non costituisce un orizzonte che si sovrappone ad un Esserci gi di per s esistente, ma entra originariamente nella
costituzione ontologica dellEsserci stesso: la mondit un concetto
ontologico e denota la struttura di un momento costitutivo dellesserenel-mondo. Ma questo ci apparso come una determinazione esistenziale dellEsserci. La mondit quindi essa stessa un esistenziale
(Heidegger, 1927, p. 89). Se il mondo costitutivo dellEsserci, ci
significa che il tempo cosmico-mondano in qualche maniera afferisce
anche originariamente al soggetto: tempo dellanima e tempo fisico si
fondono essenzialmente in ununica struttura ontologica, superando
cos le impasses sinora evidenziate.
Con questa prospettazione innovativa, Heidegger riesce ad ottenere
dei risultati teoretici non indifferenti: egli 1) aggancia la questione
della temporalit alla Cura, cio a un livello ontologico che incrocia sia
il livello ontologico dellEsserci, sia quello pi problematico dellessere
in generale e, quindi, dellessere del mondo; 2) evidenzia il carattere
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estatico del tempo nelle sue dimensioni originarie di essere-stato, presenza e ad-venire, e tenta di correlarlo con lindifferenza dellora tipica del tempo cosmico; 3) opera una derivazione degli altri livelli di
temporalizzazione (tempo pubblico, storicit, intratemporalit) a partire dalla temporalit originaria della Cura (Ricoeur, 1985, p. 98).
La Cura, dunque, rappresenta il momento centrale della riflessione
heideggeriana, sussumendo tutte le strutture esistenziali emerse nellanalitica di Essere e tempo. La Cura infatti 1) conserva la cicatrice
del suo rapporto con la questione dellessere, 2) possiede degli aspetti
cognitivi, volitivi ed emozionali senza ridursi ad alcuno di essi, e senza
collocarsi al livello in cui la distinzione tra questi tre aspetti pertinente, 3) ricapitola gli esistenziali principali, quali il progettare, lesser-gettato nel mondo, la deiezione, 4) offre a questi esistenziali ununit strutturale che pone immediatamente lesigenza di essere-untutto, o di essere-integrale (Ganzsein), che introduce direttamente
alla questione della temporalit (ivi, 99). Per Ricoeur tuttavia proprio
nella Cura ritroviamo simultaneamente i punti di forza e i punti di
debolezza per quanto riguarda la tematizzazione della temporalit. La
sua unit strutturale ruota significativamente attorno alla dimensione
temporale dellad-venire e, dunque, attorno a unidea del soggetto intesa come essente che pro-getta e si progetta: il progettarsi-in-avanti
sullin-vista-di-se-stesso, progettarsi che si fonda sullavvenire, un
fenomeno essenziale dellesistenzialit. Il senso primario dellesistenzialit lavvenire (Heidegger, 1927, p. 393). Laspetto peculiare di
questa costituzione che collide con una tradizione metafisica centrata
invece sul privilegio del presente e della presenza, non insiste tanto
nel disegnare una nuova antropologia, quanto nel suo esser fondata su
una mancanza e una limitazione essenziale: ci che sostiene il carattere progettante dellEsserci, il suo continuo sopravanzamento non uno
slargo o un Aperto infinito verso il quale proiettarsi, quanto paradossalmente un radicale venir meno che la fine (Ende) dellEsserci stesso, ossia lessere-per-la-morte. LEsserci in quanto aver-da-essere si
trova sempre indaffarato con una serie indefinita di enti utilizzabili,
ossia di mezz che servono alla sua attivit: in tal modo egli -presso gli
enti e, in tale essere-presso si ritrova gettato e gi-immerso in un
mondo comune ad altri uomini, con i quali condivide significati e
mezzi. La Cura dunque riannoda questi tropismi dei quali Heidegger
non smette di sottolineare laspetto unitario, ma lo fa attraverso il privilegiamento dellavvenire e dellessere-per-la-morte dellEsserci.
Detto in altri termini, il vettore che collegherebbe il tempo dellanima
con il tempo pubblico mondano passa attraverso una mancanza o
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LOGICA E TEMPO
to e untilizzabile come qualsiasi altro. Oggi stiamo vivendo una condizione apparentemente analoga nella misura in cui nei rapporti lavorativi tra imprenditore e dipendente, ad esempio, ci che viene mercificato non tanto il lavoro in se stesso, ma proprio il tempo in quanto
merce pura e semplice.
Orbene, Ricoeur intravvede proprio in questa derivazione che vorrebbe integrarsi comunque nel tempo autentico, la lacuna teoretica di
tutta lanalisi heideggeriana. Di fatto assistiamo a un salto che ci
riporta allintratemporalit, come se tra lessere-per-la-morte e loggetto temporale misurabile e calcolabile dallorologio non ci potesse
essere alcun raccordo autentico, ma al contrario un continuo ricorso
al tempo pubblico-mondano per supportare la derivazione stessa.
Come pu infatti estendersi autenticamente il tempo? Come pu
integrare organicamente la dimensione futurocentrica del tempo
dellEsserci, con la presenzialit del tempo utilizzabile e a portata di
mano e con la passatit della storia, passato nello stesso momento
individuale e soggettivo, e passato intersoggettivo e condiviso da una
comunit?
In effetti, affrontando la questione della storicit, emerge immediatamente come Heidegger non voglia concedere nulla allidea di un passato pubblico, completamente sganciato dallad-venire e dal rendere-presente. Il suo riferimento polemico la nozione di Geistwissenschaften di
Dilthey (Heidegger, 1927, pp. 475-482), dove la passatit non riesce in
alcun modo ad essere radicata nellEsserci (Ricoeur, 1985, p. 119) nonostante gli sforzi fenomenologici di ricondurre lo Spirito oggettivo alla
dimensione dellErlebnis, del vissuto individuo e idiosincratico. Come
sarebbe possibile in questo caso la storicit vera e propria, cio listoriazione per cui da una decisione dellEsserci si giunge ad un evento di pregnanza storica? Il passato invero pare fotografare una realt gi storicizzata, senza per questo spiegare in alcun modo il progesso genetico
della storicizzazione stessa. Per Heidegger, invece, lessere-nel-mondo
dellEsserci intrinsecamente e ontologicamente storico: lo storicizzarsi della storia lo storicizzarsi dellessere-nel-mondo (Heidegger, 1927,
p. 465), cosicch lutilizzabile e la semplice-presenza in quanto dimensioni inautentiche ma sempre coessenziali al -ci dellEsserci sono gi da
sempre coinvolti nella storia del mondo (ibidem). Il modo in cui si
estrinseca la storicit dellEsserci ancora quello della ripetizione: ripetendo le possibilit esistenziali tramandate, lEsserci pu decidere per il
proprio avvenire e cos, attraverso il con-Esserci, partecipare al proprio
destino (Geschick); la tra-dizione tra-smissione che ripete, cio che si
assume lessere-stato e lo proietta nel futuro attraverso la decisione. La
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ripetizione una modalit particolare in cui lEsserci stato. La decisione si temporalizza come il ripetente rivenire-su-di-s a partire da una
possibilit afferrata in direzione della quale lEsserci, pervenendo-a-s,
anticipato (Heidegger, 1975, p. 275).
Il processo di esteriorizzazione-estensione del tempo originario si
compie per nellambito dellanalisi dellintratemporalit: scindendo
infatti la storia dal passato e focalizzando il proprio interesse sulla storicizzazione in se stessa intesa come istanza esistenziale dellEsserci,
Heidegger ha guadagnato altro spazio per la Zeitlichkeit, glissando le
questioni che riguardano la nozione di traccia, nonch levidente
enormit della storia cos come la conosciamo, a fronte della sua concezione di destino basata semplicemente sulla struttura del con-essere.
Questultima, anzi, una nozione rimasta perlopi sottaciuta in tutta
lAnalitica esistenziale, nonostante la sua portata teoretica sia tuttaltro che irrilevante coinvolgendo questioni fondamentali per la filosofia
del Novecento, come lalterit e lintersoggettivit. Lintratemporalit
tuttavia conduce effettivamente Heidegger ad una messa in questione
della sua teoria: non tanto come vedremo lincapacit di raggiungere un livello di temporalit ancora pi originario quale senso dellessere in generale, quanto il ritorno surrettizio di elementi inautentici
nellambito dellanalisi della temporalit originaria. E in effetti lintratemporale pone i problemi pi seri: che cosa significa infatti che un
evento si situi nel tempo? Come si pu parlare di simultaneit o successione? Si tratta insomma del ct aristotelico-cosmico del tempo: il
tempo degli astri, il tempo onniglobante che immutabile ovunque, il
tempo dei fisici. Aristotele individu i termini della questione, sottolineando, come abbiamo visto, il carattere fondativo dellistante nella
costituzione temporale; ora, per Heidegger, listante o lora costituiscono delle forme deiette ed inautentiche della temporalit, nellambito della dispersione del Si pubblico, e il cardine di questo processo di
livellamento si ha nellespressione Rechnen mit, il fare i conti con il
tempo. LEsserci fa i conti con il tempo, cio attua un modo dessere
che da un lato rientra nelle sue possibilit esistenziali, ma dallaltro
annuncia quella propensione al calcolo (Rechnung) che invece caratterizza la degenerazione della temporalit originaria (Ricoeur, 1985, pp.
125-126). In essa infatti prevale la preoccupazione (Besorgen), cio la
Cura (Sorge) si sofferma sugli enti semplicemente-presenti, articolandosi attraverso lestasi temporale del presente. Questo soffermarsi si
esplica nellutilizzo di un utilizzabile specifico, lorologio, il quale
diviene in tal modo un vero proprio esistenziale, per quanto connesso alla deiezione della semplice-presenza: con la temporalit
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prio dalla riflessione delluomo che il tempo stesso acquisisce una certa
significanza. Il tempo senza-presente rimane inassimilabile al tempo
con-presente caratterizzato dallindifferenza dellistante: nonostante i
continui tentativi di conciliazione, questopposizione non si risolve in
Essere e tempo ma mantiene una continua tensione polare, con prestiti reciproci, contaminazioni, contrariet e interferenze (Ricoeur,
1985, pp. 143-149). Di fatto lintratemporalit costantemente presupposta dalla storicit; senza le nozioni di databilit, lasso di tempo, manifestazione pubblica, non si potrebbe dire che la storicit si dispiega tra
un inizio e una fine, si estende tra questi due termini e diviene il constorico di un destino comune. E, se si risale dalla storicit alla temporalit originaria, come non dire che il carattere pubblico dello storicizzarsi procede a suo modo dalla temporalit pi profonda, nella misura in
cui la sua interpretazione dipende essa stessa dal linguaggio che ha da
sempre preceduto le forme ritenute intrasferibili dellessere-per-lamorte? (ivi, p. 146). Nella prospettiva ricoeuriana, il nodo in cui si districa questa tensione aporetica la storia, che non a caso in Essere e
tempo assume una posizione mediana tra la temporalit originaria e
lintratemporalit: questultima viene contaminata da essa nella
misura in cui la databilit e la misurazione del tempo attuata dallorologio non possono prescindere da un orizzonte storico; la temporalit originaria invece sembra costituirsi per contrariet, essendo lessere-perla-morte una struttura quasi antitetica nei confronti di un tempo onniavvolgente ed ubiquo. Da questa zona di frattura (ivi, p. 148) si articola lipotesi di Ricoeur, che alla fine sfocia nella sua concezione della
temporalit intesa come una rifigurazione (finzionale) del racconto
storico: se lintratemporalit il punto di contatto tra la nostra passivit e lordine delle cose, la storicit non diventa il ponte gettato, allinterno stesso del campo fenomenologico, tra essere-per-la-morte e
tempo del mondo? (ivi, pp. 148-149). In altre parole, la temporalit
dellessere-per-la-morte e il tempo pubblico-mondano databile e misurabile si possono congiungere soltanto mediante un processo narrativo
il quale, nella misura in cui costituisce un atto soggettivo che mette kantianamente in gioco il tempo, rappresenta parimenti una esteriorizzazione pubblica e condivisa da una comunit di persone.
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questo caso quasi completamente obliata da Ricoeur. Egli infatti sorvola con noncuranza la questione, anche se a proposito di Kant afferma che il legame tra spazio e tempo al tempo stesso legato nella pi
estrema profondit dellesperienza: a livello della coscienza dellesistenza (Ricoeur, 1985, p. 88). come se affiorasse un nodo fondamentale, ma questo venisse tosto eluso in quanto indice di un abisso
difficilmente aggirabile. Ma possibile affrontare il tempo senza prendere in considerazione lo spazio? E se Heidegger in Essere e tempo,
derivando nel 70 lo spazio dal tempo, sembra attestare la scelta
ermeneutica ricoeuriana, come non tener conto della topologia
dellHeidegger delle conferenze La Cosa o Costruire, abitare, pensare?
P. Sloterdijk segnala giustamente una miopia interpretativa che certamente non solo di Ricoeur, ma che comunque comporta un fraintendimento di quello che il nucleo teoretico di tutta la filosofia heideggeriana: termini quali casa, patria, vicinanza, prossimit, abitare,
soggiorno ci mostrano che le-sistere umano viene pensato pi nel
segno della spazialit che in quello della temporalit (Sloterdijk,
2001, p. 235). Il titolo Essere e tempo, ma anche lultima parte del
corso del semestre estivo del 1927 a Marburgo (I problemi fondamentali della fenomenologia) sembrerebbero marcare una certa egemonia
della temporalit soprattutto in vista di una fondazione ontologica,
ma, come vedremo, molti elementi fanno venire alla luce una sorta di
contromovimento interno, una resistenza che non cessa di manifestarsi per culminare nella lapidaria affermazione retrospettiva di
Heidegger nella conferenza Tempo e essere: il tentativo di ricondurre
la spazialit dellEsserci alla temporalit compiuto nel 70 di Essere e
tempo non pi sostenibile (Heidegger, 1969a, p. 30).
dunque necessaria unindagine preliminare della concezione heideggeriana dello spazio cos come si dipana lungo tutto Essere e
tempo; infatti chiaro che osserva Heidegger la spazialit da noi
attribuita allEsserci, il suo essere nello spazio, devessere intesa a
partire dal modo di essere di questo ente. La spazialit dellEsserci (che
assolutamente diversa dalla semplice-presenza) non pu significare
n la sua presenza in un luogo dello spazio cosmico n il suo essere
utilizzabile in qualche posto (Heidegger, 1927, p. 137). Sembra riproporsi con uno strano parallelismo la medesima distinzione che incrinava dallinterno il problema della temporalit: lo spazio cosmico e il
suo carattere onniglobante devono contemperarsi con una spazialit
originaria dellEsserci che possiede una valenza ontologica e dalla
quale lo stesso spazio cosmico in qualche maniera deriva. In questo
caso, per, Heidegger non ricorre ad alcuna Wiederholung, come se
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paradossalmente la spazialit dellEsserci costituisse un dato primario, da riprendere tematicamente solo dopo un chiarimento della temporalit originaria quale senso ontologico della Cura. In effetti, lanalisi esistenziale parte necessariamente dallEsserci in quanto quellente
che comprendendosi nel suo essere si rapporta a questo essere (ivi,
p. 76), ma questo suo essere si rivela innanzitutto come un essere-nelmondo: Heidegger evidenzia come questa struttura ontologica debba
essere intesa unitariamente e come mondo ed essere-in siano
dimensioni co-originarie. Si dispiega in altre parole lanalisi dellinessere come modo dessere costitutivo dellEsserci e della mondit in
generale.
Lin dellin-essere non significa daltronde una semplice inclusione
spaziale, ovvero non ci troviamo dinanzi a due semplici-presenze, a
due ob-jecta in-clusi luno nellaltro (ivi, p. 169). Heidegger sembra
voler marcare sin dallinizio di Essere e tempo un livello pi originario
di spazialit, segnalando come la preposizione in- condensi in s lantica espressione innan, abitare (in latino: habitare) o soggiornare, con
annessi i significati dellessere-famigliare-con (ivi, p. 78) o dellavera-che-fare, maneggiare. A questo punto tuttavia, Heidegger sembra
voler inserire la marcia indietro, che peraltro manterr innestata lungo
tutta larticolazione dellopera: lin-essere, come struttura esistenziale,
risulta troppo contaminata da una dimensione spaziale di tipo ontico
per fungere da esistenziale originario. Usualmente noi esperiamo linessere nella sua effettivit, cio come prossimit di enti intramondani,
e lessere-nel-mondo di un ente intramondano tale da poter comprendersi come legato, nel suo destino, allessere dellente che incontra allinterno del proprio mondo (ivi, p. 80). Heidegger, sulla scorta
del suo progetto iniziale di coniugare la temporalit e lessere, palesa
una cautela quasi sospetta, come se incedesse entro un terreno minato. Dopo pochi passaggi, dunque, egli chiarisce come lo spazio per certi
versi costituisca qualcosa di derivato o che ha a che fare con la dimensione delleffettivit, senza con ci voler dire che esso si articola nellambito degli enti intramondani semplicemente-presenti: solo la
comprensione dellessere-nel-mondo come struttura essenziale
dellEsserci rende possibile la comprensione della spazialit esistenziale dellEsserci (ibidem). Lo spazio si apre in quanto essere-nelmondo, in quanto struttura ontologica fondamentale: esso immanente allEsserci, quel da che sorregge il Dasein e che istituisce lapertura comprendente nella quale si articola il mondo stesso. Ma questultimo non devessere inteso come il mondo-ambiente che ci circonda, cio come quellorizzonte ecologico che rende disponibili ad un
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mento direttivo, le cui connotazioni semantiche non debbono gi essere intese in senso spaziale, ma semmai in senso prespaziale.
Quando parliamo di disallontanamento, in effetti, la lontananza che
vi risuona non implica affatto una distanza, n una metrica che misuri
un intervallo o frammezzo fisico: si tratta invece di una distanza ontologica compresa nel relazionarsi del soggetto con lutilizzabile. In
quanto prendentesi-cura e commerciando con lente intramondano,
lEsserci lo avvicina, o, meglio, diminuisce la sua essenziale lontananza. Per rappresentare meglio questa dimensione esistenziale,
Heidegger prende in esame, quale esempio, gli occhiali: essi sono un
utilizzabile che si situa molto vicino, sul nostro naso, eppure risultano
pi distanti di un quadro appeso al muro. Sono talmente distanti da
non essere percepibili, risolti completamente nel loro neutro essereper (ivi, p. 140). Dunque: vicino a s significa: nellambito di ci che
innanzitutto utilizzabile a partire dalla visione ambientale preveggente (ibidem).
Analogamente, lorientamento direttivo che implica lassunzione di
una determinata direzione nellambito del sistema dei rimandi, non
possiede alcun connotato spaziale. Esso radicato nellessere-nelmondo, cio caratterizza il prendersi-cura dellEsserci nei confronti dei
mezzi che lo circondano; in questo senso, sinistra e destra non sono
qualcosa di soggettivo, di fondato su un senso particolare del soggetto, ma sono direzioni dellorientamento-direttivo dentro un mondo gi
in uso (ivi, p. 142). Heidegger tuttavia si affretta a dissipare un dubbio, e cio che la spazialit dellessere-nel-mondo possa risultare da un
certo qual dominio dellEsserci nei confronti dellutilizzabile. indubbiamente vero che luomo manipola, afferra, produce i mezzi e, cos
facendo, addomestica il proprio in-dove, ma ci non significa affatto che la spazialit in se stessa come prossimit possa essere intesa
come una sua produzione. La totalit della significativit dei rimandi
struttura la mondit in cui gi siamo e, in qualche modo, ci viene
incontro: lin-dove delineato in generale attraverso una totalit di
rimandi formata nellin-vista-di-cui proprio del prendersi cura, totalit entro la quale ha luogo il rinvio alla remissione che lascia appagare (ivi, pp. 144-145). C dunque una remissione, una passivit che
porta ad un arretramento: il lasciar-venir-incontro lente intramondano diviene paradossalmente un far posto che alla fine coincide con
un ordine e un disporre.
In questo caso intuiamo una tonalit che Heidegger manterr inalterata nel corso di tutta la sua evoluzione filosofica: infatti in una presentazione di una mostra dello scultore Heilinger nel 1964 e ripresa in
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1.2.2 Il paragrafo 70
Il Dasein concentra a nostro avviso in se stesso un enigma che lanalisi heideggeriana sin qui brevemente ripresa non riesce a dipanare. Il
da o il Ci costituisce quel prefisso che concentra in s tutta la carica
innovativa di Essere e tempo: il soggetto tale in quanto il Ci o il da,
il (proprio) qui. In effetti Heidegger sembra lasciar trapelare un certo
indugio, come se la struttura dellin-essere non risultasse abbastanza
chiara in seguito allanalisi della spazialit originaria dellEsserci: la
necessit di tante e tante minuziose precisazioni dipende dal fatto che
un dato ontico evidente stato ontologicamente contraffatto fino a
renderlo irriconoscibile (ivi, p. 170). Lin-essere descrive la struttura
formale dellessere-nel-mondo e lente la cui essenza costituita dallessere-nel-mondo il suo Ci (ibidem). Lin-essere si caratterizza
come un essere-il-da ma Heidegger sembra obliare la valenza spaziale
del da, per soffermarsi su una nozione di -ci o apertura anchessa
svuotata da connotazioni spazializzanti. LEsserci la sua apertura
ma non nel senso di una semplice identit o di un predicato nominale
del tipo lEsserci aperto: esso invece ha-da-essere la propria apertura, espressione che non cela del tutto una sfumatura etica presente daltronde in tutto Essere e tempo nelle strutture dellangoscia, della
chiamata della coscienza, della colpevolezza e della polarit autenticoinautentico, e alla fine fondata su unimpostazione futurocentrica
dellessere. Lin-essere, per risultare eticamente autentico, diviene in
tal maniera un aver-da-essere, ma sia lin che il da delineano per
Heidegger i contorni di un abitare ontologico, di una famigliarit con
la terra e il mondo che ritroveremo anni dopo, nel Saggio sullorigine
dellopera darte, ad esempio (Heidegger, 1950, pp. 28-30)
Lapertura in quanto modalit in cui luomo abita autenticamente
non costituisce alcunch di spaziale ma essenzialmente caratterizzata dagli esistenziali della situazione emotiva e della comprensione:
lEsserci ha da essere il proprio Ci in quanto gettato in una determinata situazione che gli preesiste e che non pu controllare, e, in quanto
comprensione, destinato costitutivamente a progettarsi e ad andare
oltre se stesso, in un costante movimento di auto-trascendimento di
cui ne va del suo essere stesso. Situazione emotiva e comprensione
caratterizzano, come esistenziali, lapertura originaria dellessere-nelmondo. in uno stato emotivo che lEsserci vede le possibilit in base
alle quali esso . Lapertura progettante di queste possibilit gi sempre tonalizzata emotivamente (Heidegger, 1927, p. 188). Potremmo
dire che lin-essere come tale venga cos riassorbito in quelle strutture
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ambiguit: lEsserci spaziale in quanto essere-nel-mondo che si prende cura degli enti semplicemente-presenti, ma anche in quanto non
egli stesso un ente che occupa uno spazio. Semmai lEsserci, come
abbiamo visto, ordina gli enti nello spazio, facendo spazio e sgombrando: nella molteplicit di rapporti che si instaurano, si profila
quella prossimit intrinseca alla dimensione originaria dellabitare
che costituisce il registro essenziale dellin-essere.
A questo punto tuttavia rimane oscura una possibile relazione tra
tempo e spazio: o ricorriamo al circolo vizioso appena evidenziato,
oppure si addiviene a una sorta di dualismo irriducibile, nel quale lo
spazio-tempo costituisce un plesso unitario, reciprocamente fondato.
A questo punto Heidegger introduce una nozione decisiva lorizzontalit che manterr anche nei decenni successivi e che gli serve per
definire fenomenologicamente il ruolo della temporalit originaria:
innanzitutto il carattere orizzontale del mondo rende possibile lorizzonte specifico dellin-dove dellin-appartenenza della prossimit
(ivi, p. 442). La prossimit e, quindi, la spazialit esistenziale dellabitare garantita da un orizzonte e da un altro ancora: aiutandoci con la
nozione di sfera di Sloterdijk, potremmo dire che assistiamo a uninclusione di sfere concentriche o di intorni da intendere come spazi di
addomesticamento (Sloterdijk, 2001a, p. 161) o, con Deleuze-Guattari,
come spazi di territorializzazione. Luomo addomestica lente utilizzabile grazie a una vicinanza che deriva dal sistema dei rimandi e dalla
sua capacit disallontanante dovuta alla visione ambientale preveggente: ma questa prossimit rassicurante nei confronti del mezzo a
sua volta situata allinterno di un orizzonte ulteriore il mondo che
la totalit dei rimandi e la significativit grazie alla quale quellente
stesso gli viene incontro come utilizzabile. Ora, solo perch, in quanto temporalit, aperto estaticamente-orizzontalmente nel suo essere,
lEsserci pu effettivamente e costantemente far proprio uno spazio
ordinato (Heidegger, 1927, p. 442): il qui in quanto dimestichezza
protettiva con gli utilizzabili possibile soltanto grazie a un orizzonte
ulteriore, cio, paradossalmente, in virt di un ulteriore in-dove.
Per lumeggiare meglio questa condizione, dovremmo riprendere la
nozione di Erschlossenheit, cio quellapertura costitutiva o, meglio, dischiudimento, laddove nellespressione tedesca scelta da Heidegger risuona dominante lo schliessen, la chiusura. LEsserci tende ad essere il suo
Ci, cio quella stratificazione estatico-orizzontale che egli contribuisce
paradossalmente ad aprire, ma che, in quanto chiusura, non completamente sotto la sua giurisdizione. Essere il proprio Ci significa comprendere il mondo e, quindi, aprire uno spazio che comunque fa gi parte
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1.2.3 La Temporalitt
Nel 5 di Essere e tempo Heidegger esplicita il piano dellopera, accostando un po enigmaticamente due livelli di temporalit: la temporalit (Zeitlichkeit) verr chiarita come il senso dellessere dellente che
chiamiamo Esserci (Heidegger, 1927, p. 35). Ma nello stesso tempo
deve essere chiarito un orizzonte ulteriore, in base al quale possibile
una comprensione dellessere in generale e, con questa, unesplicitazione radicale del problema ontologico. Il compito ontologico fondamentale infatti dellinterpretazione dellessere come tale, include
dunque lelaborazione della temporalit (Temporalitt) dellessere
(ivi, pp. 36-37). noto come Heidegger abbia abbandonato questiniziale progetto, limitandosi appena ad una parte delle sezioni previste
dal piano dellopera: ci sia per le ristrettezze temporali nelle quali fu
costretto a lavorare, dacch il lavoro gli era stato richiesto dal senato
accademico dellUniversit di Friburgo; sia per le evidenti difficolt
teoretiche nelle quali via via simbatteva. Nella Lettera sullumanismo
(1949) cos scrive a Beaufret: qui tutto si capovolge. La sezione in questione non fu pubblicata perch il pensiero non riusciva a dire in modo
adeguato questa svolta (Kehre) e non ne veniva a capo con laiuto del
linguaggio della metafisica. (...) Questa svolta non un cambiamento
del punto di vista di Sein und Zeit, ma in essa il pensiero, che l (nella
conferenza sullEssenza della verit del 1930: n.d.a.) veniva tentato,
raggiunge per la prima volta il luogo della dimensione a partire dalla
quale era stata fatta lesperienza di Sein und Zeit, come esperienza fondamentale delloblio dellessere (Heidegger, 1976b, p. 281).
Heidegger stesso, dunque, che parla di svolta. Ma, nella sua autointerpretazione tesa probabilmente a smussare i punti di discontinuit e a marcare una certa coerenza in tutto il suo pensiero egli ci
dice delle cose interessanti, che Vattimo (1971) interpreta come la coesistenza di indirizzi differenti, ma contigui e costanti: la questione
ontologico-esistenziale di Essere e tempo; la questione delloblio dellessere e della storia della metafisica; la questione del linguaggio (non
ne veniva a capo con laiuto del linguaggio della metafisica). Ora,
complicando ed estremizzando un po questa tesi lo anticipiamo per
rendere chiaro il nostro percorso non solo riteniamo che non si
possa mai parlare di svolta se non in uno specifico modo in cui si arti-
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tanto grazie ad un ulteriore schematismo orizzontale che apre lo spazio per la trascendenza comprendente: la Temporalitt, nella sua
unit estatico-orizzontale, la condizione fondamentale della possibilit dello epkeina, cio di quella trascendenza che costituisce lEsserci
stesso. La temporalit in s la condizione fondamentale della possibilit di ogni comprendere fondato sulla trascendenza, la struttura
essenziale del quale risiede nel progettare (ivi, pp. 294-295).
Heidegger sembra qui propendere per un pregiudizio teoreticista: il Ci
dellEsserci, ovvero la Cura come avanti-a-s (esser-gi-in-unmondo) come esser-presso lente intramondano (Heidegger, 1927, p.
271) perde i connotati della gettatezza e della deiezione per essere fondata dalla trascendenza della comprensione. Ma se la Temporalit originaria costituisce lorizzonte del nostro comprendere, come comprendere la Temporalit stessa? Non si rischia forse un regressus ad infinitum, che ci porterebbe da un livello pi originario allaltro e ad un
altro ancora?
Lescamotage heideggeriano rivela ancor di pi la matrice kantiana
di questa sezione dellanalisi heideggeriana; infatti, noi possiamo
affermare: la temporalit in s lautoprogetto originario, cos che,
dovunque e comunque vi sia comprensione prescindendo qui dagli
altri momenti dellEsserci essa possibile solamente nellautoprogetto della temporalit (Heidegger, 1975, p. 295). Mentre nellarticolazione della Zeitlichkeit, emergeva un dualismo che distingueva questa prospettiva dal tempo kantiano e dal flusso assoluto di Husserl,
nella Temporalitt Heidegger sembra cedere sul fondazionalismo cos
da addivenire ad una soluzione tipicamente metafisica. Il pro-gettare,
il fuori-verso rispetto-a-che sincastella in una sequenza di progetti che tuttavia deve chiudersi in unautoreferenzialit: la successione
sopra menzionata di progetti per cos dire predisposti luno allaltro
comprensione dellente, progetto rispetto allessere, comprensione dellessere, progetto rispetto al tempo ha la sua fine nellorizzonte dellunit estatica della temporalit (ibidem). Questa struttura si trova
alla base sia dellintenzionalit husserliana, sia della differenza ontologica, ossia delloriginario divergere di essere ed ente. I Problemi fondamentali della fenomenologia prendono infatti le mosse proprio da
una critica alla nozione di intenzionalit: essa risulta insufficiente,
senza un approfondimento di quella dimensione ontologica che invece
Husserl ha espunto con la Verklmmerung. Allintenzionalit della
percezione appartengono non soltanto lintentio e lintentum, ma
anche la comprensione del modo dessere di ci che intenzionato nellintentum. (...) La possibilit di scoprire, cio di percepire il sussisten-
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1.2.4 Lorizzontalit
Per Sloterdijk a Heidegger mancherebbe un dimensionamento del pensiero di tipo orizzontale (Sloterdijk, 2001a, p. 41): in altre parole, pur
mettendo in gioco una filosofia della motilit dellEsserci, egli si limiterebbe a un raccogliersi nella profondit. E in effetti la continua ricerca in Essere e tempo di livelli di senso sempre pi originari, situati nellascoso profondo del Ci dellEsserci, sembrerebbe dacchito dar ragione
a questipotesi ermeneutica. Gli indizi tuttavia che abbiamo sin qui
seguto nei Grundprobleme ci direzionano verso una prospettiva un po
pi complessa, che tiene semmai conto di unintrinseco processo di spazializzazione allinterno del pensiero di Heidegger sin dagli anni Venti.
Con questa tesi Sloterdijk pure concorderebbe come vedremo
anche se alla luce di unimpostazione sostanzialmente divergente.
Lanalisi del senso dellessere in generale in quanto Temporalitt ha
evidenziato come il 70 di Essere e tempo non possa essere in alcun
modo corroborato, ma anzi subisca continue erosioni linguistiche e
contaminazioni. Non possiamo parlare del tempo se non attraverso
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una spazializzazione metaforica: ci non significa soltanto unimpotenza del nostro linguaggio, ma la preliminarit se non proprio originariet di una dimensione del tempo di tipo deietto e intramondano. Se, dunque, ci sforziamo in qualche maniera di distinguere lo spazio dal tempo per addivenire successivamente ad una reciproca derivazione (la presupposizione dello spazio in Aristotele o quella temporale in Heidegger), ci troveremo sempre innanzi a un diallele insuperabile che decostruir ogni nostra posizione. Laporetica messa in
luce da Ricoeur trova in questo modo una nuova veste che forse la
rende pi evidente: la schisi tra tempo cosmico e tempo dellanima
deriva a sua volta dalla schisi ancora pi originaria e tutta da riflettere
tra spazio e tempo.
La svolta heideggeriana si situerebbe lungo questo crinale appena
delineato: linsufficienza linguistica nella trattazione della temporalit
dellessere non implica soltanto un mutamento radicale nel registro
linguistico, ma anche una ridefinizione complessiva della tematica
spazio-temporale. In questo senso, non abbiamo alcuna Kehre ma un
coerente decorso di pensiero che approfondirebbe le tematiche iniziali di Essere e tempo. Lindice di questo indirizzo del pensiero heideggeriano si ritrova dapprima nella funzione imprescindibile della nozione di orizzonte nellambito di unanalisi della temporalit, successivamente nello schiarirsi di questa medesima nozione nel senso di una
topologia dellessere. Zeitlichkeit e Temporalitt sono state definite
secondo le due polarit dellestaticit e dellorizzontalit: il tempo, in
quanto condizione di possibilit della comprensione dellessere e,
quindi, senso dellEsserci e dellessere in generale, si caratterizza
come movimento di trascendenza e oltrepassamento, e come dispiegarsi di una sorta di spatium trascendentale verso-dove tale movimento si direziona. Sia lintenzionalit husserliana che lapriori kantiano manifestano questa struttura temporale-orizzontale, sicch sembra
proprio la prospettiva trascendentale a traghettare lentamente
Heidegger dalle pastoie fondazionalistiche di Essere e tempo alle elaborazioni filosofiche successive.
In questottica uno dei passaggi pi significativi rappresentato da
un dialogo scritto a Messkirch nel 1945 inserito nel volume 77 della
Gesamtausgabe: 1)2'3!4'$#. Un colloquio a tre voci su un sentiero di
campagna fra uno scienziato, un erudito e un saggio. Per Heidegger
lorizzontale diviene lessenza del pensiero delluomo: la definizione
aristotelica dellhomo animal rationale significa che luomo comprende in riferimento allorizzonte: pensare, propriamente, altro non
che il pre-disporre e il dis-porre di quellorizzonte, di quel campo visi-
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una nozione accessoria e laterale di cui Heidegger si avvalso metaforicamente per descrivere la temporalit originaria, ma rappresenta
uno dei Kern della sua riflessione posteriore al 1927. Nella misura in
cui luomo, come animal rationale, lessere trascendental-orizzontale,
con la domanda sullessenza dellorizzonte noi stiamo discutendo lessenza delluomo, e il modo e la provenienza di una tale determinazione
essenziale (ivi, p. 90). La tonalit che fa divergere questo dialogo da
Essere e tempo risiede nel tentativo heideggeriano di scansare a qualsiasi costo la tentazione fondazionalistica e il ricorso a concetti autoreferenziali come lauto-progetto della temporalit originaria. Non si pu
procedere da un orizzonte allaltro, allinfinito, ma bisogna in qualche
modo permanere in una certa disposizione che riesca a coniugare in s
una certa passivit con lessenziale propensione delluomo alloltrepassamento. Lespressione che utilizza in questo contesto Heidegger
Gelassenheit (ivi, p. 93), che non propriamente unattivit, ma nemmeno unassoluta remissione. Lessenza del pensare in quanto restare
in attesa nellaperto di un orizzonte labbandono, grazie al quale lorizzontale e il trascendentale in se stessi sono possibili. Nella misura in
cui cerchiamo di rappresentare lorizzonte, tracciandone i confini, individuandone la natura per cos dire fisica, ci ritroviamo nellabisso dellinsensatezza di un limite che si sposta in continuazione, che sempre
un passo in l. Se allora lessenza delluomo trascendental-orizzontale
(in quanto finitezza oltrepassante), ci possibile soltanto in quanto
abbandono, in quanto lasciar-essere restando in attesa.
Ora, il passo successivo che compie Heidegger ci appare molto significativo, poich come vedremo costituisce una sorta di vettore
topologico che ritroveremo diffuso nei Saggi e discorsi e nella conferenza Tempo e essere: il termine orizzonte inizia ad evidenziare una
certa debolezza, non ultima una cifra metafisica che ha a che fare con
la spazializzazione bergsoniana. Esso troppo legato al registro visivo e
per certi aspetti alla fenomenologia husserliana; inoltre, appare povero, privo di quelle risonanze boschive che Heidegger sta ricercando
in quegli anni. Infatti se lanalitica dellEsserci stata soprattutto unanalisi dellin-essere e, quindi, dellabitare (innan), si profila la necessit
di un arricchimento terminologico (e fenomenologico) che renda conto
di un rapporto molto pi complesso con la terra. Labbandono diviene cos un relazionarsi delluomo con un orizzonte che originariamente Gegend, contrada: stando alla parola, la contrada sarebbe ci che ci
viene incontro; ma anche dellorizzonte abbiamo detto che laspetto
degli oggetti ci viene incontro a partire da quella visuale che lorizzonte
circoscrive. Se ora concepiamo lorizzonte movendo dalla contrada,
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tali, ma nellofferta della bevanda risuona sempre la sua origine sacrificale: ecco dunque che anche nella brocca, cos come nel ponte o in
altre cose di poco conto (gering) si articola nella sua complessit di
relazioni il Geviert (ivi, pp. 114-115), lavvicinarsi trattenendosi di
terra, cielo, mortali e divini, s che tale trattenere porta i Quattro nella
luce di ci che loro proprio (Eigenes) (ivi, p. 115). Il prefisso Ge- che
Heidegger utilizza in modo molto frequente in questa conferenza ci
pare oltremodo significativo: esso indica infatti gi per s un riunirsi,
uno stare-assieme. Grazie al Ge- i Quattro (vier) si raccolgono secondo
uno squadrare (Vierung) e il Ring diviene un qualcosa di gering, di
duttile e malleabile e, nello stesso tempo, di poco conto.
La distanza spaziale ha a che fare con il movimento di questo Ge-, del
riunente far permanere che fa avvenire (ibidem); essa non una
distanza tra cose semplicemente-presenti, ma coinvolge le dimensioni
del trattenere facendo-avvenire e del proprio. Le dimensioni velate
ed ascose del reale si rilanciano a vicenda, rischiarandosi in un gioco di
rispecchiamento e ritraendosi in un permanere e in un rinserrarsi in se
stesse. Ognuno dei Quattro rispecchia (spiegelt) a suo modo lessenza
degli altri. (...) Portando alla luce ognuno dei Quattro, il rispecchiare fa
avvenire in una reciproca appropriazione la loro propria essenza nella
semplicit del traspropriare. Rispecchiando nel modo di questo appropriante-illuminante far avvenire, ciascuno dei Quattro si d (sich
zuspielt) a ognuno degli altri (ivi, p. 119). Nellappropriazione c per
anche un esproprio, un debordamento danzante e circolare (Ring): da
un lato viene rimarcata limpossibilit di una vicinanza che non sia un
distanziamento (la traspropriazione come oscillazione nel proprio,
rilancio continuo da una prossimit alla frapposizione di una distanza), dallaltro emerge nuovamente la figura del circolo o, se vogliamo,
delleterno ritorno nietzschiano.
Lessere-nel-mondo che, in qualche maniera, possiamo affiancare
alla Lebenswelt husserliana, assume delle nuove coloriture, come se il
Ci dellEsserci nel quale si condensava in Essere e tempo fosse divenuto cos preminente da inglobare in s il soggetto stesso. Riprendendo il
nostro grafo, se Essere e tempo in fondo enfatizzava la prima esemplificazione logica del Dasein, cio lespressione S=S/~S: il soggetto
deriva dalla riunione logica del soggetto stesso e del non-soggetto, ora
emerge nella sua dirompenza il secondo fattore che ivi, pur compresente, era rimasto ai margini della riflessione heideggeriana: S0~S. Il
soggetto incluso nel non-soggetto, o, per dirla nel linguaggio di Das
Ding, i mortali sono parte del mondo inteso come movimento del
Geviert: il facente-avvenire-traspropriante gioco di specchi della sem-
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in questo caso lanalisi di Heidegger si muove in senso opposto rispetto al 1927: invece di partire dal carattere ad-veniente dellEsserci in
quanto pro-getto, egli parte dal carattere deiettivo dellora per raggiungere una determinazione originaria della presenza (quella che nei
Grundprobleme veniva determinata come schema orizzontale dellestasi) in quanto modo delloffrirsi dellessere. In breve se indaghiamo
profondamente lespressione Es gibt sein, dobbiamo per forza affrontare lAnwesenheit e, quindi, qualcosa come una presenza che non
corrisponde pi alla semplice-presenza di Essere e tempo.
Lora come adesso o presente e la sequenza degli ora non ci
offrono infatti alcuna caratterizzazione del tempo: il presente
(Gegenwart) non appena lo nominiamo da solo, gi pensiamo al passato e al futuro, vale a dire al prima e al dopo in relazione alladesso,
allora (Jetzt) (ivi, p. 14), ma esso presente solo grazie alla presenza
intesa come Anwesenheit che richiama un perdurare e un rimanere
nel donare. La presenza, in altre parole, permane nelloffrire e arricchire (reichen) luomo nellarticolazione del presente, passato e del futuro
(ivi, p. 18) e proprio questa articolazione quella che possiamo chiamare tempo. Loffrirsi arricchente concerne in questo modo anche le
estasi temporali, nella misura in cui anche esse si arricchiscono a vicenda, dando luogo allintenzionalit longitudinale che aveva enucleato
Husserl nella sua analisi fenomenologica delloggetto temporale.
Ciascuna di esse offre a suo modo il proprio anwesen, il proprio presente e questo offrire presentificantesi dispiega uno Zeit-Raum, uno
spazio-di-tempo. Lespressione spazio-di-tempo nomina adesso laperto che si dirada nel reciproco offrirsi di advento, esser-stato e presente
per arricchirsi a vicenda (ivi, p. 19). lo Zeit-Raum nella sua pre-spazialit originaria che determina lo spazio come lo conosciamo: lapertura, in quanto insieme di orizzonti o, meglio, di dimensioni intese come
un allungarsi da un capo allaltro (hindurchlangen), assume dunque
una doppia determinazione. Essa temporale in quanto le regioni che
offrono diradando e ritraendosi corrispondono alle estasi temporali del
presente, passato e futuro; ma in qualche maniera spaziale, poich ci
che si dirada un intorno, un Bereich.
La contaminazione spazio-temporale emerge poi con maggior enfasi
quando Heidegger si interroga sullunit di questo movimento altalenante che caratterizza le estasi temporali. Lunit in quanto tale infatti costituisce la quarta dimensione ed essa si caratterizza eloquentemente come vicinanza avvicinante, die nhernde Nhe (ivi, p. 21). Si
tratta ovviamente anche in questo caso di una vicinanza ambivalente,
che si gioca cio su un movimento di andirivieni, di andata e ritorno
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PARTE SECONDA
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del male. Paradossalmente il Fuori anche immanente al Ci, lo sorregge in ogni istante essendone lelemento essenziale e imprescindibile. Luomo comprender meglio se stesso quando riconoscer il nonsenso che lo abita originariamente, quel pezzo di reale che egli stesso
, al di l della capacit irretente e difensiva delle varie simbolizzazioni culturali e delle sovrastrutture delle scienze.
In questo modo, il Qui rassicurante, la vicinanza stessa non sono una
vicinanza da intendere secondo una topologia metrica e ordinaria, bens
secondo la complessa dimensione del proprio: il senso , per Heidegger,
larticolazione complessa delleigen, lidea in apparenza paradossale che
non c appropriazione, recinzione delimitante e difensiva, senza una
co-occorrente espropriazione, senza una perdita o un furto della propria
sicurezza e tranquillit. Il senso, dunque, non-, o con Deleuze, costituisce un extra-essere, un aliquid indefinibile: si pone in altri termini in
un milieu echologico, dove la categorizzazione ontologica non riesce pi
ad essere esplicativa. Se tutta la ricerca heideggeriana volta alla delineazione del senso dellessere, questo senso non pu essere in alcun
modo ontologico: laltro-essere, lessere a-metafisico o non-semplicemente-presente deve venir articolato diversamente. Il mondo mondeggia; la Cosa coseggia; lEvento avviene: e il mondeggiare coseggiante-eveniente si presenta come movimento della traspropriazione,
andirivieni ambivalente nel quale la domesticazione dellessere non
mai compiuta del tutto.
2.1.2 LEreignis
Gran parte delle aporie costitutive del senso affiorano dunque nelle
nozioni heideggeriane di Ereignis e Ding: Lacan ne aveva notato la
complessit cercando di articolarle nel suo settimo seminario, Letica
della psicanalisi. La Cosa ha a che fare con il reale, in una misura per
che si condensa parimenti nel Ci dellEsserci. Essa deriva da un processo di sublimazione che, per continuare la nostra terminologia,
crea una serra o uno spazio difensivo di senso allinterno del nonsenso (reale). Questo spazio per implica una sorta di extimit, ossia
unintimit che ha uno stretto legame con il Fuori: allinterno della
Cosa, troviamo un buco e, quindi, unassenza, un pezzo di reale. Das
Ding originariamente ci che chiameremo il fuori significato. in
funzione di questo fuori significato, e di un rapporto patetico con esso,
che il soggetto conserva la sua distanza e si costituisce in una modalit
di rapporto e di affetto primario, antecedente a qualunque rimozione
(Lacan, VII, p. 67) Il soggetto pu solo fare-il-giro, pu bordare o con-
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levento il senso stesso (Deleuze, 1969, p. 27). La bifaccialit anfibolica del senso coniuga assieme il suo carattere tychico e il suo carattere deffetto automatico, cio in breve, il senso sempre un effetto.
Non soltanto un effetto nel senso causale; ma un effetto nel senso di
effetto ottico, effetto sonoro, o meglio effetto di superficie, effetto di
posizione, effetto di linguaggio (ivi, p. 68). Deleuze evidenzia allora
come accanto alle due istanze antitetiche, ci sia pure in gioco lelemento affettivo-emozionale o, kantianamente, l!'4%#4's: il paradosso del
senso insiste proprio in questambiguit originaria ed abissale, peraltro gi evidenziata da Hegel nelle Lezioni di estetica. La parola Sinn in
tedesco significa senso in quanto sensibilit o sensazione, e senso
in quanto senso logico, per dirla la Frege. La fondazione heideggeriana della Zeitlichkeit sulla base della situazione emotiva e sullangoscia, evidenzia questa contaminazione o chiasmo; ma anche il tratto che nel saggio sul Lorigine dellopera darte separa il cielo dal
mondo e, con questo, delinea lopera darte, manifestando la sua bifaccialit essenziale e costitutiva. Il senso se stesso e il proprio altro,
non n nelluno n nellaltro assieme, ed entrambi contemporaneamente. Giocando con le parole Lacan esprime significativamente questimpasse dicendo che il senso , contro tutte le nostre aspettative, ind-sens (Lacan, XX, p. 79), un non-senso o, allinglese, un non-sense,
che daltronde si palesa come qualcosa di indecente ed osceno, cio che
appartiene a un tuttaltro registro (quello libidico-pulsionale o, pi
genericamente, quello affettivo-emotivo).
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famigliare, proveniente dalla "#%#. Siamo, in quanto uomini, co-involti nel gioco del Geviert, ma questo coinvolgimento non significa soltanto che abbiamo a che fare con il non-senso, ma anche che questo
non-senso in qualche maniera predominante. Esso infatti si ritrova
in noi e fuori di noi, il limite asintotico di ogni nostro tentativo di
addomesticarlo, e parimenti la nostra stessa carne, la gettatezza
che da-sempre-gi-siamo. Lespressione logica di tale condizione,
associata alla precedente, questa: S0~S, il senso incluso nel nonsenso. Ogni elemento di S appartiene a ~S, ma c qualche elemento di
~S che non appartiene a S. Dal nostro punto di vista, questa proposizione esprime nel modo pi radicale la concezione heideggeriana della
verit ed lelemento ispiratore di tutta la sua filosofia, ci che
Heidegger non ha mai cessato di articolare. Verit significa che noi
siamo gettati in una condizione spuria in cui il senso frammisto al
non-senso e nella quale talvolta difficile discernere luno dallaltro e
il non-senso costituisce laltra faccia chiasmatica del senso, oppure
leccesso di senso finisce per rivolgersi nel proprio opposto, come se
camminassimo sempre lungo una banda di Mbius. Se procediamo
troppo lungo il senso, procediamo cos tanto innanzi da ritrovarci nellesatto contrario, dallaltra parte della banda (Zizek, 1988, p. 112).
Il modo in cui luomo si rapporta al non-senso, costituisce laltro ct
del Denkweg heideggeriano: sin da Essere e tempo si evidenzia un
modo autentico di relazionarsi al mondo, e questa autenticit non
solo specifica del singolo soggetto, capace di decidere o non decidere
per essa, ma descrive il destino stesso dellessere e il suo epochizzarsi storico. Lessere-presente si mostrato come >*, luno che unicamente unifica, come "($)(-, il raccoglimento che custodisce il Tutto,
come ' ?&$!, (64'$!, &*&
$,)&'!, substantia, actualitas, perceptio, monade,
come oggettualit, come lessere-posto del por-si nel senso della volont di ragione, damore, di spirito, di potenza, come volont di volont
nelleterno ritorno delluguale (Heidegger, 1969a, p. 11). Tutti questi
modi in cui luomo ha storicamente nominato lessere, manifestano
tuttavia un aspetto dissennato, un eccesso: laddove infatti la nominazione risulta troppo pretenziosa, ossia sillude di circoscrivere ultimativamente il non-senso istituendo il nuovo regno del senso pieno o,
come preferiamo dire, dellonnisenso, ci si ritrova dimprovviso dallaltra parte del chiasmo. Lesempio tipico di Heidegger in questo senso
riguarda let della tecnica, vista come im-posizione (Gestell) da parte
dellessere di un certo modo del dis-velamento inteso come pro-vocazione delle forze della natura: se luomo non man-tiene il fondo oscuro che si ritrae alla provocazione e che ci che comunque rimane
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logica che per Heidegger sostanziale. Il non-senso lo stesso nonsenso in quanto das Selbe, non in quanto das Gleiche: nel Selbe risuona la differenza (Heidegger, 1994, p. 153), ossia il rapporto di appropriazione ed espropriazione che lega il soggetto allepoch dellessere.
Potremmo anche dire che in tale identit sottentri in modo pi o
meno velato la dimensione temporale, usualmente espunta da ogni
formalizzazione logica: il non-senso assoluto impossibile, cos come
lo il senso assoluto. Nella misura in cui esprimo la tautologia ~S=~S,
non posso non contaminarmi con il senso e, quindi, subire un esproprio o una perdita necessaria e confermare latatamente loriginariet
della struttura alethologica.
2.1.4 Il reale
Il reale una figura lacaniana che abbiamo gi utilizzato in precedenza e che bisogna innanzitutto distinguere da un semplicistico e
generico concetto di realt, cos come devessere radicalmente differenziata dalla nozione ontologica di essere. Lacan, per certi aspetti, si
dimostra uno strenuo heideggeriano, poich sembra ricercare un livello argomentativo che non sia contaminato dal pensiero metafisico.
Lessere, infatti, un significante-Maestro, ossia una sorta di fissazione simbolica che, in qualche maniera, condiziona un intero regime
di discorso: in particolare il simbolico tout court, che Lacan definisce
significativamente Altro, rappresenta una sorta di cortina difensiva
con la quale luomo si emancipa dalla dimensione immaginaria che
invece caratterizza i primi momenti dello sviluppo della soggettivit.
Noi viviamo immersi nella sfera simbolica e la realt che sembra circondarci nella sua aseit, in verit non definibile se non attraverso
unaddizione, ossia il reale pi il simbolico (e sebbene ci non trapeli sovente nei testi lacaniani anche il reale pi limmaginario,
assecondando cos unimplicita ascendenza peirceana). Potremmo
anche dire che la realt corrisponde alla definizione del senso in quanto unione logica di senso e non-senso: essa ha senso in quanto commistione di simbolico e reale, cio mixture di sensatezza famigliare e
addomesticata, e di "#$%# velata e nascosta. Ora, ci che Lacan sembra
aggiungere significativamente alle analisi heideggeriane, si condensa
nei due caratteri distintivi e fondanti del reale e cio la sua impossibilit e il suo tropismo tipicamente circolare.
Limpossibilit introduce una nozione fondamentale in echologia,
poich ci immette in un contesto che non assimilabile alla logica o
allontologia. Impossibile significa soprattutto non-padroneggiabile,
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evento soggettivo in cui lora trapassa tosto nel passato per aprirsi
allindeterminatezza del futuro, e dellimmersione dellEsserci in un
tempo cosmico e ubiquo, sempre identico a se stesso e indifferente al
suo destino.
La novit lacaniana per insiste invece su alcune tonalit tipiche del
reale, che in Heidegger vengono appena adombrate. La Cosa lacaniana, infatti, rispetto a das Ding, lobjet petit a, cio loggetto perduto diventato loggetto del desiderio: in esso ritroviamo il reale, epper
allinterno di una trama molto complessa. Vi si percepiscono e apprendono la distinzione dei registri e il paradossale legame che li lega tra di
loro: loggetto a (rielaborazione delloggetto perduto kleiniano)
sempre dotato di una cortina immaginaria che ne fa appunto loggetto impossibile del desiderio, ma assume pure un ruolo simbolico nelleconomia del linguaggio. Ci che invece emerge lesser scavato al
suo interno da un buco o unassenza che costituisce il reale stesso. In
questo modo, il reale l, non fatto per essere saputo, ma ci nondimeno esso funziona e agisce nel nostro universo simbolico e immaginario: il desiderio come metonimia del significante ci che ci porta
sempre nelle sue vicinanze, ma ci che alla fine ricerchiamo quello
che Lacan chiama godimento. Attraverso il significante, il desiderio
risulta sempre desiderio mancato poich loggetto a fantasmatico cui
si rivolge sempre una costruzione immaginaria che ricopre il buco del
reale. A godere, dunque, sempre lAltro, ossia il linguaggio, ma il
bello che non si sa dove.
Il godimento, in quanto approccio privilegiato al reale, introduce
unulteriore bivalenza: da un lato il reale possiede i caratteri orrorifici
del disastro, dellosceno o dellindecente, ossia di quellevento traumatico che scompiglia radicalmente tutti i nostri costrutti simbolici
(Lacan, XI, p. 163), facendoli rovinare allimprovviso nel mare dellinsensatezza; dallaltro lato per il reale dimostra un bizzarro coniugio
con il godimento, tant che Zizek nella sua esegesi lacaniana tenderebbe a sovrapporli: il reale il godimento; per aggiungere subito
dopo, in una specie di diallele, che con la medesima ambivalenza il
godimento pu essere lestremo piacere orgasmico oppure il dolore
acuto di una ferita che lacera le membra: si inizia con il solletico e si
finisce arsi vivi con la benzina. Si tratta pur sempre di godimento
(Lacan, XVII, p. 85). Per tali ragioni, il reale non pu essere incontrato: potremmo definire unitariamente il simbolico e limmaginario
come quelle formazioni (di senso) che preservano il soggetto nei confronti del reale (Lacan, XI, p. 41), come strutture difensive che mirano
allevitamento di un impatto necessariamente traumatico. Come acca-
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Non si apre il cerchio dal lato sul quale si accalcano le antiche forze del
caos, ma in unaltra regione, creata dal cerchio stesso. () Ci si lancia,
si rischia unimprovvisazione. Ma improvvisare raggiungere il
Mondo o confondersi con esso. Si esce di casa al suono di una canzonetta. Sulle linee motrici, gestuali, sonore che indicano il percorso abituale di un bambino, sinnestano o iniziano a germogliare delle linee
di erranza, con anelli, nodi, velocit, movimenti, gesti e sonorit differenti (ivi, p. 440). Il senso non consiste soltanto o non consiste affatto nel semplice salto nel centro o nella tracciatura di uno spazio, un
territorio che delimiti un interno da un esterno caotico. Anzi, lirrigidimento in tali condizioni segna al contrario unistanza dispotica e
sostanzialmente insensata, dal momento che il senso in se stesso un
flusso e un divenire. Ecco invece che il territorio concluso si apre, ci si
getta verso lesterno lungo linee di erranza che naturalmente deviano, declinano, allontanano e improvvisano, ma sempre seguendo una
determinata andatura. Non sono tre momenti successivi in unevoluzione. Sono tre aspetti di una sola, una stessa cosa, il Ritornello. Si
possono ritrovare nelle fiabe o nei racconti del terrore, e anche nei lieder. Il ritornello presenta i tre aspetti, li rende simultanei o li confonde: a volte, altre volte, altre volte ancora. A volte, il caos un immenso
buco nero, e si cerca di fissarvi un punto fragile come centro. Altre
volte si organizza attorno il punto unandatura (pi che una forma)
stabile e calma: il buco nero divenuto una dimora. Altre volte ancora,
su questandatura, sinnesca una fuga, fuori dal buco nero. () Si
spesso sottolineato il ruolo del ritornello: territoriale, un concatenamento territoriale. I canti degli uccelli: luccello che canta delimita
cos il suo territorioAnche i modi greci, i ritmi ind, sono territoriali,
provinciali, regionali. () E a volte si va dal caos a una soglia di concatenamento territoriale: componenti direzionali, infraconcatenamento.
A volte si organizza il concatenamento: componenti dimensionali,
intraconcatenamento. A volte si esce dal concatenamento territoriale,
verso altri concatenamenti o ancora altrove: interconcatenamento,
componenti di passaggio o anche di fuga. E le tre cose insieme (ivi, pp.
440-441).
Deleuze-Guattari utilizzano significativamente una metaforica musicale; diciamo significativamente poich essa rilancia allinterno di questa figura una dimensione temporale che altrove i due filosofi francesi
sembravano aver lateralizzato, pur dimostrando in vari segmenti del
loro pensiero tracce eminentemente bergsoniane. Il filosofo francolituano V. Janklvitch, infatti, evidenzia come la musica nella sua
struttura ontologica sia articolata temporalmente; e lo stesso Husserl,
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che istituisce uno spazio sgomberando comprensibile proprio in questottica territorializzante in cui il soggetto sottrae dei luoghi alla Terra,
per ivi dimorarvi nella rassicurazione di unesistenza di serra. Il simbolico in se stesso non sarebbe che un enorme meccanismo territorializzante, in grado di ampliare a dismisura le nostre abitazioni, facendo
del globo terrestre e dello spazio cosmico qualcosa di nominabile e pertanto qualcosa di marcato.
Ci tuttavia che Heidegger e, dopo di lui e con diverso linguaggio,
Deleuze-Guattari hanno cercato di articolare linstabilit necessaria di
questa territorializzazione: la motilit heideggeriana, il nomadismo
deleuze-guattariano ci indicano come ogni tracciatura del territorio sia
costitutivamente aperta al Fuori e istituisca essa stessa lorizzonte della
deterritorializzazione, lesser-rapito-verso delle estasi temporali. Per
tali ragioni lanimale territoriale uomo spinto verso sempre pi
ampie territorializzazioni (Sloterdijk, 2001b), sia in senso puramente
topologico e geografico, sia nel senso isomorfo del simbolico. Il ritornello diviene dunque questo movimento originario, il continuo percorso circolare dellanimale che traccia simbolicamente il proprio spazioserra pur trovandosi in unaltra dimensione, come se fosse sopraelevato, talch, proprio in siffatto gesto finzionale, luomo si apre al rischio
del debordamento e del naufragio. Esso territorializza, cio ha a che fare
con la terra e con lo spazio (o con la musica), nella misura in cui spazio,
tempo e musica sono in se stesse gi delle forme di territorializzazione
o tracciatura (destinate anchesse, e pi originariamente, allo scivolamento nel non-senso) e nello stesso tempo aperture verso labisso.
Ora, definiamo il conatus primigenio delluomo verso la territorializzazione padronanza; allopposto, chiamiamo listanza deterritorializzante che le co-originaria non-padronanza. Come abbiamo gi sottolineato precedentemente, non si tratta di inoculare la dimensione etologico-antropologica allinterno di unargomentazione filosofica per trarne delle conclusioni necessariamente inficiate da tale presupposto. Si
tratta semmai di guadagnare un ambito pi orginario in cui lo specifico
ontologico delluomo divengono il senso e gli spazi annessi e sempre pi
ampi di non-senso. La padronanza non che un altro modo per definire il senso e il suo funzionamento: la storia dellontologia come privilegiamento dellessere in quanto signifiant-Matre, la metafisica della
semplice-presenza dellente manipolabile e controllabile, la religione, la
tecnica e le scienze sono spiegabili attraverso questo processo di allargamento della padronanza merc la territorializzazione del senso.
Tuttavia, man mano queste antropotecniche si estendono e allargano i
confini insulari dellambiente umano, esse vengono erose al proprio
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2.1.6 La sferologia
Abbiamo gi sorvolato il pensiero del filosofo tedesco Sloterdijk, allievo di A. Gehlen e J. Habermas, soprattutto per quanto riguarda la sua
originale rilettura della filosofia di Heidegger (lettura che sembra procedere sulla via dellurbanizzazione della provincia heideggeriana,
peraltro gi perseguita a detta dello stesso Habermas da H.G.
Gadamer). Tralasciando limpianto generale della sua filosofia che a
nostro avviso lo abbiamo sopra evidenziato manifesta una debolezza strutturale non indifferente, ci preme ci nondimento sottolineare una certa consentaneit con le posizioni espresse da DeleuzeGuattari. C un lieve spostamento terminologico, ma lidea di fondo
quella antropologica di un uomo territoriale che si difende dal Fuori
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nato da ci che ha in mano. Lhumanitas dipende dallo stato della tecnica (Sloterdijk, 2001a, pp. 176-177). In altre parole, la padronanza
non risulta primaria ma in quanto plesso sapere-potere deriva dalla
necessit umana di proteggere la propria sfera uterina, estendendola
sempre pi in senso orizzontale: tale padronanza dunque compensata da una non-padronanza certamente infinita, ma collocabile sempre
come un l-fuori, cio secondo circostanze topologiche ben precise. Le
grandi scoperte scientifiche, cos come le espansioni coloniali o la
cosiddetta globalizzazione, sono tutte tecniche equiparabili al linguaggio, alla religione, a un pi generico abitare. Sloterdijk vuole arrivare
l donde Heidegger era partito, cio a una caratterizzazione genealogica e sferologica della Lichtung, ma in tale approccio opera a sua volta
una trasposizione di tipo metafisico: ovvero colloca la "#
$ %# come un
Gegenstand, come un og-getto non ancora conosciuto, ma addomesticabile con le tecniche simboliche e linguistiche. E questa mossa non
pu non avere altro contrappasso che lenfasi topologica e unevidente esclusione della questione della temporalit, secondo una lettura di
Heidegger che a nostro avviso sembra caratterizzarsi in modo molto
pi complesso.
Vediamo dunque nella nostra formalizzazione logica del senso cui
pi avanti ricondurremo il problema spazio-temporale fin dove
Sloterdijk si spinto e che cosa ha sacrificato:
S=S/~S
~(S/~S)
(S=~S)
~S=~S
S0~S
Potremmo considerare la S come una sfera: la concezione del senso
di Sloterdijk, infatti, appare sferologica, cio come un sistema di addomesticamento e difesa nei confronti di un Fuori o ~S insensato. Ora,
certo che si mantenga una certa ibridazione tra lo sferico e il Fuori:
questultimo preme continuamente e luomo da parte sua costretto a
preservarsi attraverso il progressivo incremento dei propri orizzonti
sferici. Lo sviluppo simbolico e antropotecnico stato reso possibile
soltanto grazie a questo processo espansivo di dis-allontanamento
(Entfernung) nel quale il lontano viene riconosciuto e mantenuto
nella sua coessenzialit. Ecco dunque che viene confermata anche la
seconda tesi: se luomo non avesse dovuto storicamente affrontare
livelli via via pi pericolosi di ~S, probabilmente non sarebbe stato
capace di erigere il suo sistema sferico e con una certa probabilit non
si sarebbe adattato alle condizioni ambientali continuamente cangianti. La terza proposizione pi problematica poich, al di l di una sem-
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plice tautologia, vorrebbe mettere in luce il paradosso del Selbe heideggeriano, cio di una stessit nonostante la differenza: per
Sloterdijk, invece, questa rimane una semplice espressione del principio di identit, cio ogni simbolo uguale a se stesso. La fuori-sfera, il
non-sferico temporale rimane identico e rimane comunque sempre un
fuori senza possibilit di intimit o extimit.
Questa deficienza emerge ancora pi chiaramente nella quarta proposizione che, assieme alla prima, fondamentale per il medesimo
pensiero heideggeriano cui Sloterdijk spesso si richiama: S0~S, la
sfera inclusa nella non-sfera, cio essa di fatto non pi o meno
propriamente una sfera. Il mondo prende forma come un insieme
di evidenza e mascheramento. Esso non la semplice somma di tutti i
corpi o contenuti (tutto quello che si d), bens lorizzonte degli orizzonti, nel quale ci che ora presente si separa da ci che ora nascosto (ivi, p. 161). Lorizzonte sferico e il non-senso o reale si d come
non-ancora-conosciuto, cio secondo unaccezione metafisica del concetto di verit. Sostenere invece la possibile non-sfericit della sfera
significherebbe da un lato evidenziarne il carattere finzionale, e dallaltro sottolineare il carattere di extimit del Fuori, cio il suo paradossale essere-dentro. Questo dimensionamento abissale, che emerge
soprattutto in un contesto psicanalitico, viene glissato da Sloterdijk a
favore di una sorta di messa in piano topologica della questione, ma
con ci stesso evitando abbastanza sintomaticamente la questione
della temporalit ridotta a fattore esistenziale.
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LOGICA E TEMPO
In tale prospettiva dovremmo parlare propriamente di un homo topologicus, prima ancora che dun homo faber, homo sapiens, etc., ma lo
spazio, soprattutto nel ritornello di Deleuze-Guattari, pare necessariamente infistolato da una dimensione temporale che ripresenta inequivocabilmente i caratteri del reale lacaniano: limpossibilit (non-padronanza) e la ripetizione infinita. In altri termini, lo spazio e il tempo costituiscono una sorta di banda di oscillazione tra territorializzazione e deterritorializzazione, cio lo spazio non cessa di temporalizzarsi nella misura
in cui ogni sfera necessariamente si apre allevento del Fuori, e il tempo
non cessa di spazializzarsi nella misura in cui labitudine rende indifferente lora e ripetibile levento stesso. Questo plesso o, meglio, questo
chiasmo emerso nellapprofondimento della riflessione heideggeriana,
viene invece sfumato in Sloterdijk in una semplice contrapposizione,
come se il tempo fosse il Fuori continuamente respinto dallespansione
spaziale delluomo. Nella sfera lEsserci controlla il proprio Ci, lo rende
domestico e famigliare: per Heidegger al contrario il Ci diviene preponderante e assorbe nel vero senso della parola il soggetto. Dire che
lEsserci ha-da-essere la propria apertura, significa dire che luomo
paradossalmente una parte di se stesso, ove questa parte diviene infinita
e abissalmente estranea: a differenza di Sloterdijk, che la respinge,
Heidegger assume quale volano della sua filosofia proprio lespressione
logica S0~S: il senso incluso nel non-senso, cio ogni senso per certi
aspetti parte del non-senso, insensato.
La nostra tesi dunque che la logica costituisce una sorta di territorializzazione difensiva, e che tale statuto a sua volta necessariamente
imbricato alla temporalit. In altre parole, attraverso il "($)(- che lo
spazio-tempo affiora dal suo limbo di implicitezza, presentandosi nella
sua valenza di indice di esternit e di precariet. Ma che correlazione
possiamo trovare tra logica e tempo, se la logica da sempre apparsa
come qualcosa di assolutamente intemporale, al di l delle cosiddette
logiche modali? Le leggi sintattico-formali della logica non sono forse
immutabili e imprescindibili, quell!&(* che deve soggiacere quale
implicito presupposto di ogni nostra argomentazione?
Se partiamo dal noto principio di contraddizione cos come emerge
dalla logica aristotelica notiamo tuttavia come la parola tempo faccia
la propria comparsa essenziale e imprescindibile:
1) impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non
appartenga ad una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto (Met., A
3, 1005 b 19-20);
2) impossibile essere e non essere ad un tempo (Met., B 2, 996 b
30);
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Gdel proprio partendo da un modello logico similare a quello tarskiano che non possibile un linguaggio completamente autonomo (cio
in grado di dimostrare la propria completezza), ma necessario sempre un metalinguaggio: la conclusione tarskiana che il predicato di
verit per un linguaggio L non deve essere esprimibile entro lo stesso
linguaggio L (...). Per questo occorrer un metalinguaggio L2 nel quale
possiamo parlare dei concetti semantici riguardanti L1, e definire la
verit in L1. A loro volta i concetti semantici per L2 saranno inesprimibili in L2, e occorrer un metametalinguaggio L3, ..., etc.. Una conseguenza di questa situazione e di questa gerarchia di metalinguaggi
che una caratterizzazione universale della verit impossibile (Berto,
2007, p. 172).
Il metalinguaggio, daltronde, serve a collegare una serie di simboli
logici a un generico fuori o, pi tecnicamente, a un contesto. Le funzioni di assegnazione di Tarski, in effetti, ci dicono che sussistono delle
circostanze di interpretazione che sono necessarie per qualsiasi valutazione di una proposizione: certe caratteristiche o situazioni del
mondo (come per esempio chi il parlante, qual il luogo o il tempo
in cui si parla, etc.) rappresentano il contesto demissione di un enunciato, che serve a fissare il contenuto espresso, certe altre caratteristiche o situazioni (...), rappresentano circostanze di valutazione, che
permettono di attribuire un valore di verit a quel contenuto
(Bonomi-Zucchi, 2001, p. 29). Con-testo significa che qualcosa si congiunge al testo, che c un altro testo; circum-stanza, significa che c
topologicamente un intorno proposizionale che rende vera o decidibile la proposizione stessa. Orbene, questo intorno individua dei
mondi possibili, cio una serie di possibilit delle quali soltanto una
pu essere vera in determinate circostanze.
Una logica della temporalit si inserisce a questo livello, cio pertiene necessariamente al livello contestuale e circostanziale della logica
semantica, e si connette a una logica modale: quando valutiamo una
formula la valutiamo innanzitutto in base alla sua denotazione (e quindi allapplicazione dei significati a un determinato dominio di oggetti)
e, secondariamente, al suo contenuto di verit (le relazioni, espresse da
una formula Pn in un linguaggio L, tra gli oggetti di un determinato
dominio D, a loro volta denotati secondo le funzioni di interpretazione
F, sono vere in L e in D?). Ma nellambito di queste valutazioni semantiche che si rifanno a contesti, universi di discorso e circostanze non
pu essere eluso il tempo t, n tantomeno il decorso possibile di even-
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stanze contestuali della logica semantica, per occultare il fatto inequivocabile che esso essenzialmente compresente gi nella stessa istituzione simbolica che sostiene lintero apparato logico.
Per dirla in termini echologici, allora, il tempo segna la zona di nonpadronanza cui la logica stessa, nonostante la sua apparente intemporalit, deve suo malgrado cedere spazio. E ci cui cede spazio non
altro che il non-senso o, meglio, il reale lacaniano: il senso logico non
pu non cedere nei confronti del non-senso e la sua sensatezza deriva
paradossalmente dal mantenere questo cedimento.
Le logiche di Gdel e Tarski e le logiche paraconsistenti sembrano
dimostrare proprio questo, e cio che la "performativit" della logica
stessa basata paradossalmente sull'incompletezza costitutiva dei linguaggi formali e quindi sulla possibilit sempre incombente dell'autocontradditoriet e dell'incoerenza. Per lo stesso Wittgenstein, che
peraltro criticava l'impostazione gdeliana, la contraddizione non
assume quel ruolo di noli tangere da eludere con particolari "meccaniche" logiche, bens un'evidenza certamente non drammatica con la
quale dobbiamo comunque aver a che fare quando ci occupiamo di
sistemi formali: in gioco, semmai, l'idea di assicurazione, cio di una
sicurezza dell'uomo nei confronti del "reale" (di cui, in fondo, la contraddizione espressione) che fa della logica una sorta di struttura sloterdikijana (Wittgenstein, 1956, p. 140).
Nel Seminario XX Lacan ha dunque espresso enigmaticamente lo
strano rapporto che intercorre in questo senso tra il mathema e il
reale: "soltanto la matematizzazione raggiunge un reale e in questo
compatibile con il nostro discorso, il discorso analitico un reale che
non ha niente a che fare con ci cui la conoscenza tradizionale ha dato
supporto, e che non ci che essa crede, realt, bens fantasma. Il
reale, dir io, il mistero del corpo parlante, il mistero dell'inconscio"
(Lacan, XX, p. 131). Abbiamo gi individuato le caratteristiche temporali del reale: l'impossibilit in quanto fallimento del linguaggio (e la
sua non-padroneggiabilit) e il movimento del ritorno circolare. Il
reale non dunque semplicemente un Fuori minaccioso, ma il nostro
corpo o, pi esattamente, quello che di esso non formalizzabile rimanendo perci inconscio.
Il mathema in apparenza riesce a formalizzare l'intero universo, ma
paradossalmente ci che gli pi prossimo e intimo diviene informalizzabile: "tutto il tormento della nostra esperienza dipende dal fatto
che il rapporto con l'Altro, in cui si situa ogni possibilit di simbolizzazione e di luogo di discorso, raggiunge un vizio di struttura. (...) Questo
punto, da cui emerge che vi del significante, qualcosa che, in un
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della sua efficacia e della sua performativit. Nella Cosa c un fattore di terribilit e angoscia che possiamo chiamare non-senso, ma che
pi precisamente si caratterizza come il reale primordiale, quello che
altrove Lacan definisce come impossibilit o fallimento del linguaggio.
Lespressione quel che del reale patisce del significante (ivi, p. 151)
riporta tutta lambiguit di questo meccanismo, a causa dello statuto
indefinito della preposizione composta (Lacan, Scritti, p. 817): chi
che patisce, ad esempio? il reale che viene intaccato dal significante,
o il significante che viene scavato e infiltrato dal reale? Oppure, pi
radicalmente ancora, siamo di fronte a un problematico chiasmo, cio
innanzi alle due facce della medesima medaglia, come se senso e nonsenso andassero sempre a braccetto e noi dormissimo nellillusione di
poterli discernere e discriminare, alla stregua di entit differenziate e
distinte? Siamo, in effetti, alla nostra quarta formula: S0~S, che, lacanianamente, potremmo descrivere come del significante incluso nel
reale.
2.2.3 L1"#$%&'!
Nellistituzione simbolica, dunque, che caratterizza la logica assistiamo
a una neutralizzazione delle circostanze temporali dellistituzione
stessa. In altre parole, la logica sorge grazie alla propria a-temporalit
originaria, ottenuta, per, grazie a una semplificazione e a una perdita
che non appartengono allordine logico. La differenziazione tra logiche
sintattico-formali, alla fine riconducibili ad una serie di tautologie e di
autoriferimenti, e logiche semantiche che valutano le proposizioni in
base allassegnazione di determinati valori a costanti e variabili enunciative, non sufficiente a nostro avviso per superare limpasse. Il
livello formale, in effetti, si esprime nella tautologia S=S, cio il senso
uguale a se stesso ed isolato dal non-senso. Questa circostanza,
come abbiamo visto altrove (Bazzanella, 2006; 2007), tipicamente
patologica, cio ci riporta paradossalmente alla seconda proposizione
del nostro grafo: ~(S=S/~S)
(S=~S). La logica semantica, invece,
ci riporta con Tarski e Gdel a unessenziale impasse intrinseca proprio in ogni linguaggio: ogni linguaggio ha bisogno di un ulteriore linguaggio definito metalinguaggio, cosicch non esiste una verit definita una volta per tutte, ma sempre una verit contestuale e circostanziale. Per definire infatti la verit di una proposizione nel linguaggio L,
devo definire preliminarmente il modello M (con il suo dominio e le
sue funzioni di assegnazione), il dominio temporale e la sua funzione
<, nonch delineare (attraverso la cosiddetta gdelizzazione) ogni
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costante, variabile, quantificatore esistenziale, funzione, etc. nellambito di un metalinguaggio (che, nel caso di Gdel, laritmetica). Ci
che si evince che se voglio dimostrare la coerenza o non autocontraddittoriet di un sistema formale, devo per forza utilizzare strumenti deduttivi non disponibili allinterno dei formalismi stessi di cui
provano la coerenza: questa accertata solo dallesterno, con metodi
che non fanno parte del sistema (Berto, 2007, p. 184). Dal punto di
vista echologico, ci significa che paradossalmente abbiamo a che fare
con il non-senso: la catena dei metalinguaggi in effetti infinita e la
stessa istituzione simbolica necessariamente autocontraddittoria.
Ora, il ricorso al reale di Lacan, ci servito per dimostrare come la
logica non costituisca un sapere astratto e formalizzato avulso dalla
realt o, pi genericamente, dal Fuori, ma ne sia necessariamente
intrisa. Il suo sviluppo continuo, infatti, testimonia lesistenza di quella zona paradossalmente prossima ma oscura che alimenta sempre
nuove formalizzazioni: la logica S possibile soltanto se S0~S, cio se
essa si situa di un !
$ "()(* che a sua volta non formalizzabile. Se
ampliamo poi questa tesi, seguendo il nostro percorso teoretico, ci troviamo ad evidenziare come la temporalit costituisca la cifra di unimpasse, ovvero per dirla in modo heideggeriano - il segno di un oblio.
Ci che tuttavia viene obliato forse un approfondimento dellontologia di Heidegger, poich essa si struttura, in tutto il tragitto del suo
pensiero, sempre con la medesima formula S0~S: il senso incluso nel
non-senso; il formale dipende dallinformalizzabile che non smette di
tentare di formalizzare. Dimenticando questa circostanza, la logica si
presume intemporale, ma trova sempre nella medesima temporalit il
suo necessario sostegno. Il tempo, escluso nella tautologia del principio di contraddizione, ritorna dalla finestra, per cos dire, sotto le vesti
della catena infinita dei metalinguaggi che garantirebbero quel medesimo principio.
Ora, nella nostra analisi della conferenza Tempo e essere, abbiamo
volutamente lasciato in sospeso proprio lultimo passaggio teoretico:
Heidegger, infatti, concludeva la sua analisi sullo Zeit-Raum tratteggiando i caratteri dellEreignis. Levento indefinibile, cio non si pu
affermare predicativamente che levento questo o quello. Lunica
espressione adeguata ancora una tautologia: lEreignis ereignet, levento fa avvenire (Heidegger, 1969a, p. 30). Non ci troviamo per nella
medesima situazione dei principi logici nei quali abbiamo sopra evidenziato i processi di esclusione soggiacenti e linsufficienza dei processi di auto-riferimento: anzi, sostenuto dal bisogno di dover chiarire
la sua tesi enigmatica, Heidegger aggiunge immediatamente dopo che
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eternit insostenibile che vuole occultare: in breve, un atto propriamente detto il paradosso del gesto eterno/senza tempo di sconfiggere leternit, aprendo la dimensione della temporalit/storicit
(Zizek, 2000, p. 98). Latto dellistituzione simbolica dellordine del
reale ed quindi temporale nella doppia valenza di traccia (etica) della
giunzione paradossale tra reale e simbolico, e dellorigine della narrazione temporale-simbolica che tenta invano di rendere ragione di se
stessa. Ci significa dal nostro punto dosservazione che anche al
tempo applicabile la nostra formalizzazione, con tutte le conseguenze che potremo trarne:
S=S /~S
~(S=S / ~S)
(S=~S)
~S=~S
S0~S
Iniziamo a tradurre questi enunciati con un linguaggio pi consueto:
1) il tempo un senso o una simbolizzazione che unita necessariamente al non-senso o al reale: esso quel tanto di sapere o gesto che
per destinato a debordare e che in qualche maniera ci sfugge; 2) laspetto simbolico non pu quindi esaurire del tutto il fenomeno della
temporalit, poich una sua razionalizzazione eccessiva conduce nuovamente al non-senso, cio ci apre senza pi alcuna difesa a quel reale
che avremmo voluto allontanare; 3) il reale esterno, ossia leterno
ritorno delluniverso, e il reale interno, ossia il nostro destino di mortali, i nostri medesimi atti, sono lo stesso reale, sono le due facce della
medesima medaglia; 4) per quanto il tempo simbolico cerchi di allargare i propri confini, esso rimane incluso nel reale insensato, un
pezzo di non-senso eterno e senza-tempo che talvolta non riusciamo a
riconoscere.
"Il tempo un senso", dunque, costituisce un'affermazione meno
pacificante di quanto possa apparire. Il grafo echologico del senso,
infatti, "impossibile" o, meglio, nel suo complesso incoerente nella
misura in cui da esso sono derivabili proposizioni contraddittorie. La
proposizione S0~S sempre falsa, qualunque sia il valore di verit che
attribuiamo alle variabili; la proposizione S=S /~S pu essere vera, se
invece attribuiamo al senso S un valore F, ossia se lo consideriamo
come pensiamo una finzione. Tuttavia, la componente temporale
rientra in una concezione tarskiana della verit, cio considerando i
fattori contestuali e metalinguistici che regolano l'assegnazione dei
valori F e V (vero e falso). La S0~S contraddittoria e incompatibile
con un sistema logico coerente, ma se valutata in base a specifiche circostanze temporali pu assumere un valore di verit: soltanto per fare
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(x;S2)]=G(x):[(x;S2)=(xHS1)]}=
(x;S1)] = G(x):[(x;S1)(xHS2)]},
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articola, se parliamo di inclusione o incorporazione ri-flessiva, sebbene finzionali o per essenza insensati? In effetti gi nelle precedenti
analisi avevamo evidenziato due polarit, che in Heidegger rimanevano problematicamente prossime e interagenti: un movimento colonialistico che cerca continuamente di guadagnare spazio, come se la territorializzazione deleuze-guattariana consistesse effettivamente in una
sottrazione di terra alla foresta; un movimento di esorcismo intimo che
implica un controllo delle forze insensate che abitano in noi e che ci
nondimento ci mettono drammaticamente in contatto con il Fuori e
lUnheimlich. Nel Ci dellEsser-ci si condensano sia lapertura della
radura e della Lichtung sia lorizzonte temporale aperto dallAngst per
la possibilit dellimpossibilit della morte: anticipando le nostre tesi,
potremmo infatti dire che lo spazio-tempo costituisce una forma di
chiusura (riprendendo cos lidea di limite immanente nellorizzonte heideggeriano) che concerne il reale tout court nella sua ambivalente duplicit e, medesimamente, costituisce limpasse del meccanismo riflessivo, ossia il suo debordare in una sequenza infinita di sensi
orizzontali .
Orbene, lespressione Cs=oDE s+1
integra quello che definiamo rimando estensionale: essa potrebbe
essere ascritta in maniera superficiale a una forma di territorializzazione spaziale, dove luomo cerca di guadagnare territori spostandosi
sul piano orizzontale. Laltra formula, quella della riflessione:
S1FS2 ~S,
allude invece a un rimando intensionale, cio allinclusione di un
senso da parte di un altro, allinfinito. Sia che ci muoviamo in senso
orizzontale, sia che ci muoviamo scavando nella profondit di un qualsiasi concetto, ci troviamo a manipolare degli infiniti che rendono inefficace e illusoria qualsiasi forma di chiusura. Questi due movimenti,
per, sono spesso dal punto di vista echologico indistinguibili. La
riflessione, ad esempio, conduce ad unaltra riflessione e ad unaltra
ancora, in una sorta di invaginazione, mentre daltra parte la stessa
catena Rn delle riflessioni si configura come una collezione di riflessioni complanari e adiacenti, giustapposte una al fianco dellaltra senza
alcuna differenziazione di livello. Conversamente, la sequenza di sensi
semplicemente giustapposti pu profilarsi come un rimando intensionale: la critica humiana al principio di causalit, infatti, vuole dimostrare questa circostanza ambivalente, ovvero come il passaggio da una
semplice giustapposizione degli eventi a una sussunzione causalistica
costituisca di fatto unillusione del nostro intelletto, una finzione che
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tosto unenunciazione insensata. come se dun tratto avessimo trovato il bandolo della matassa che gi lanalitica esistenziale di
Heidegger aveva scompigliato: non esiste un solo senso, ma una pluralit di sensi; e la concezione univoca del senso quale la conosciamo
pu essere mantenuta soltanto attraverso un irrigidimento metafisico
in se stesso, attraverso quello che definiamo un blocco del rimando che
ad un tempo insensato nella sua radicalit, e necessario per il conferimento di senso.
Questo blocco ha anche a che fare con una forma traslata di soggezione: nella differenziazione tra
Cs=oDE e S
c infatti di mezzo paradossalmente il soggetto. Ci che la logica ha
da sempre espunto sin dalla sua costituzione, ecco che sottentra in altri
modi, attraverso lespunzione parzialmente fallita della temporalit
dallambito dellistituzione simbolica e con un meccanismo affine,
come vedremo con il blocco del rimando simbolico e, quindi, la fissazione soggettiva. Questultima in fondo necessaria, ma devessere
mantenuta sempre allorizzonte dello sciame infinito delle serie di
sensi che da essa in qualche maniera si dipartono.
La quarta espressione sembra confermare questo approccio: S0~S,
ossia Cs=oDE0~S: una serie infinita di sensi, ancorch composta da
sensi sensati, nel suo insieme insensata. La serie in se stessa nellindiscernibilit di rimando che la caratterizza risulta di fatto impossibile ed cos insensata da approssimare il reale e riprodurne per certi
aspetti la struttura intrinseca (Bazzanella, 2006). Diviene allora necessaria una soggezione o, come afferma Lacan, un tratto unario che
funga da elemento di chiusura e di taglio, da discrimine che da un lato
eluda la deriva infinita del non-senso e dallaltro che ne mantenga la
co-fungenza, ossia il plesso paradossale espresso dalla S=S/~S: non
possibile alcuna logica senza questo fenomeno di blocco che paradossalmente ha a che fare con il tempo nella sua medianit tra senso e
reale; cos come non possibile alcuna logica senza che essa rimanga
ancorata a una deriva insensata, riportando presso di s, suo malgrado, le tracce dellincontro traumatico con il reale stesso.
Se riprendiamo allora unaltra formalizzazione che avevamo ampiamente utilizzato nel nostro Trattato di echologia (Bazzanella, 2004) ecco
che la serie Cs=oDE dovrebbe cos essere ulteriormente caratterizzata:
148
"
("
s-s-s-s-s-s-s-s-s-s-@-s-s-s-s-s-s-s-s-s-s
")
"
La serie implica un rimando intensionale ed estensionale infiniti, nel
senso che ogni senso rimanda estensivamente ad infiniti altri sensi e
incassa (o embeds) intensivamente altri sensi inclusi. Che un senso
s piccolo sia riferibile a un altro senso in modo estensionale o intensionale, rimane un fatto indecidibile, poich le parentesi (indice di
incassamento e intensione) sono essenzialmente permutabili e mai
definite una volta per tutte. La @ grande, invece, implica che quel
senso differente dagli altri, ovverosia implica una soggezione che di
fatto neutralizza la nebulosa della pluralit di sensi co-occorrenti. Si
tratta di una forzatura che, pur articolandosi nel reale, lo oblia artatamente, raggiungendo il piano formalizzato dellargomentazione logica.
In ogni articolazione di senso questa frangia viene per cos dire epochizzata e soltanto nel pensiero creativo affiora per dar luogo a nuove
soggezioni e nuovi sensi.
Lacan ha descritto questo processo del senso nel Seminario XVII,
ove evidenzia come nellarticolazione di vari tipi di discorsi tenda
comunque ad affermarsi il discorso del Padrone. Lepoca attuale si profila ad esempio con talune connotazioni patologiche proprio perch il
discorso del Padrone stato sostituito dal discorso dellUniversit,
cio da un sapere illimitato ma senza soggetto, con il rischio conseguente di scadere nel non-senso. Il senso--Padrone @ instaura la propria padronanza immettendosi in una catena di sensi-significanti
Cs=oDE che gli preesiste e che lui, solo retroattivamente, va a direzionare e subordinare, senza tuttavia saperne. Il padrone che compie
questa operazione di spostamento, di bonifico bancario, del sapere del
servo, ha forse voglia di sapere? Un vero padrone labbiamo visto in
generale fino a unepoca recente, anche se lo si vede sempre meno
un vero padrone non desidera sapere assolutamente nulla desidera
solo che la cosa funzioni. E perch mai dovrebbe aver voglia di sapere? (Lacan, XVII, pp. 19-20). Il non-saperne-nulla descrive la messatra-parentesi della Cs=oDE, ossia una rimozione che non affatto
riflessiva: qualsiasi ulteriore riflessione non farebbe infatti che reintrodurre un senso ulteriore, inficiando cos sin dallinizio la supposta
aseit del senso S. Orbene: il sapere dellUniversit tende invece a met-
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2.3.4 La normotipia
Nel precedente paragrafo abbiamo consolidato la necessit di una concezione pluralistica del senso. Non esiste un solo senso e, quindi, una
sorta di solipsismo (per quanto, dal nostro punto di vista, il senso non
debba necessariamente essere legato a una soggettivit umana o ad
un io): ogni senso rimanda a un senso ulteriore, sebbene non ci sia
alcun rapporto di tipo gerarchico, cio nessuna assialit di tipo aristotelico-porfiriano superiore-inferiore, alto-basso, migliore-peggiore, etc.. Questo passaggio teoretico fondamentale, poich tenta di
colmare unimpasse presente nelle analisi heideggeriane di Essere e
tempo: infatti la struttura esistenziale del con-Esserci come osserva
Ricoeur (Ricoeur, 1985, pp. 116-117) risulta troppo debole per giustificare la traslazione da una temporalit soggettiva e individuale al
concetto di storicit pubblica. Riprendiamo quindi la nostra notazione
della pluralit (o molteplicit per dirla con Deleuze): Cs=oDE s+1;
S1FS2
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nita astrazione. Ma la curiosit assale quando ci accorgiamo che questa riduzione possiede anche i caratteri dellarbitrariet se non della
vera e propria impostura. Osserva infatti Zizek evidenziando questaspetto decisivo: la tesi fondamentale di Lacan che il Master , per
definizione, un impostore: il Master qualcuno che, trovandosi al
posto della mancanza costitutiva della struttura, agisce come se tenesse le redini di quel surplus, del misterioso X che elude la comprensione della struttura (Zizek, 1992, p. 162). Il Padrone prende il posto del
buco del reale, della lacuna creata dallinserzione di un senso nel
mondo; ma nel far questo un ingannatore, poich di fatto non ne ha
alcun titolo e tenta di prendere pi spazio possibile allinterno di infiniti ulteriori sensi. Lacan, ad esempio, tratta nello stesso modo uno dei
grandi saperi della cultura occidentale: lontologia. Anchessa, nonostante la sua storia millenaria, costituisce una sorta di finzione imposturale, un blocco allinterno di una sequenza di senso Cs=oDE s+1
cui non corrisponde nessun riscontro reale, poich di fatto lontologia stessa che si trasformata in un piano di referenza. Lontologia
ci che ha messo in vigore nel linguaggio luso della copula, isolandola come significante. Fermarsi al verbo essere - un verbo che non ha
nemmeno un uso, nel campo completo della diversit delle lingue, che
possa essere qualificato come universale -, produrlo in quanto tale,
unaccentuazione piena di rischi. Per esorcizzarlo, basterebbe forse
affermare che, quando si dice di una qualsiasi cosa che quel che ,
niente obbliga in alcun modo a isolare il verbo essere. Si pronuncia
quel che , che potrebbe benissimo scriversi kuelke. In questuso
della copula non ci sarebbe niente da vedere. Non ci sarebbe niente da
vedere se un discorso, che il discorso del padrone, Matre, Mtre,
Messre, non mettesse laccento sul verbo essere (Lacan, XX, p. 31).
Lontologia si fonda sulla fissazione di un significante specifico che,
per, mantiene la sua essenziale arbitrariet. Lacan ci dice che si sarebbe potuto scegliere anche un altro significante, kuelke appunto, e
probabilmente non avremmo avuto decorsi differenti di senso. Ogni
dimensione dellessere si produce nella corrente del discorso del
padrone, colui che, proferendo il significante, se ne aspetta quello che
uno dei suoi effetti di legame non trascurabile, che dipende dal fatto
che il significante comanda. Il significante innanzitutto imperativo
(ibidem). Il senso imposturale non soltanto arbitrario, ma diviene
cogente nella misura in cui dispone anche le altre articolazioni di
senso, cio tende a direzionare, sussumendole, quante pi possibili
linee di divergenza.
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La necessit di unastrazione escludente quindi uno dei meccanismi essenziali nella produzione di senso, sebbene il non-senso gli
rimanga per cos dire appiccicato sotto la suola delle scarpe: il tempo
a nostro avviso uno degli indici o cerniera di questa com-presenza
silente, per quanto la sua struttura sia ancora pi complessa e non
possa essere semplicisticamente coniugata al non-senso. Le emergenze del reale insensato allinterno del senso, infatti, non sono mai
pure, bens in qualche maniera gi edulcorate da una certa sensatezza. In altre parole, i meccanismi di serra di Sloterdijk sono talmente raffinati che impediscono di fatto qualsiasi contatto veramente
diretto, aperta facie, con il non-senso. Dobbiamo infatti tener conto
che gi allinterno del senso stesso si formano delle serre o enclaves
che occultano per cos dire quelle cicatrici e tracce dellinserzione di un
senso nel reale. Il processo del rimando intensionale segnala questa
occorrenza e, anzi, la radicalizza sin quasi al paradosso: non solo ogni
serie di sensi costituisce di per s una serra, ma questa inclusa in
ulteriori sfere e serre difensive, e questultime in altre ancora, ad infinitum.
C tuttavia unulteriore differenziazione allinterno di queste serre
simboliche, differenziazione che ripete il meccanismo della fissazioneblocco di un senso allinterno delle linee di slittamento infinito che lo
caratterizzano, ma che si articola per cos dire su una diversa scala e
con delle funzioni accessorie affatto specifiche. Questo profilo peculiare di certi regimi di senso s gi peraltro configurato nel nostro esempio dellontologia: 1) si tratta di un senso complesso e collettivo che
include innumeri altri sensi; 2) un senso imperativo che introduce
una sorta di modello di conformit o, se vogliamo, di normalit; 3)
costituisce un piano di referenza, cio diviene ci-rispetto-a-cui unaltra costruzione di senso ha senso; 4) assolutamente arbitrario e
dipende da un particolare processo di astrazione che probabilmente
pu essere datato e soprattutto circostanziato.
Orbene, chiamiamo questi particolari regimi di senso normotipie.
Esse non sono soltanto il ci-rispetto-a-cui, ossia la referenza di qualsiasi senso, ma anche il da-cui ogni senso pro-viene, poich la stessa
la normotipia che produce quei punti di soggezione che poi garantiscono il senso stesso.
Per caratterizzare introduttivamente la struttura normotipica ci
sembrano abbastanza esemplificative le teorie delle rappresentazioni
sociali di S. Moscovici e, soprattutto, il concetto husserliano di
Lebenswelt. La rappresentazione sociale moscoviciana erede in
parte delle rappresentazioni collettive di E. Durkheim (Farr-
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mativi e prescrittivi della normotipia; la Lebenswelt husserliana, invece, dimostra da un lato il carattere reale della normotipia, ma dallaltro ne ha ovviamente evidenziato il carattere aporetico e insensato. Il
senso, come abbiamo osservato, costituisce una sorta di zonizzazione
climatica allinterno di un debordamento infinito che implicherebbe la
sua insensatezza: ma ci che induce questa esclusione astraente che
tenta di allontanare il reale insito nel senso stesso unaltra formazione di senso: la normotipia, appunto. Abbiamo cos evidenziato i
seguenti punti caratterizzanti la normotipia: 1) essa un senso finzionale, cio dipende da una sorta di masterizzazione che rende egemone un determinato senso, senza tuttavia alcuna motivazione intrinseca: in questo modo diciamo che la sua posizione imposturale, cio
viziata sin dallinizio dallarbitrariet; 2) nonostante tale imposturalit, per, la normotipia possiede un carattere normativo e normalizzante, cio diviene il canone di riferimento per qualsiasi altro senso,
cos come determina ci che normale e ci che anormale; 3) in questo modo essa diviene un piano di referenza, ossia il ci rispetto a cui
ogni senso di auto-determina. Questo significa che qualsiasi senso
ulteriore tende a masterizzarsi e, tendenzialmente, a conformarsi alla
masterizzazione normotipica; 4) tutto ci non riesce tuttavia a celare il
fatto che la normotipia sia un senso come un altro, cio integri i
momenti paradossali riassunti nelle nostre formule: S=S/~S; S0~S;
Cs=oDE s+1; S1FS2 ~S,. Detto diversamente, la normotipia nasconde in s dei pezzi di reale che non cessa di occultare, ma che la conducono suo malgrado verso uno scivolamento infinito.
A questo punto, tuttavia, dovremmo approfondire in maggiore dettaglio il meccanismo masterizzante in se stesso e la sua ridondanza
allinterno degli altri sensi, poich proprio in esso si condensano gli
aspetti contraddittori che abbiamo sinora visto caratterizzare la normotipia. Per giungere a questo approfondimento necessario introdurre unulteriore nozione che prende il nome dalla psicologia ecologica di J.J. Gibson: laffordanza. Noi ne traiamo soprattutto i significati di invarianza e di possibilit (da intendersi, per, come possibilit di invarianza). Ogni masterizzazione, cio ogni fissazione di un
senso mediante astrazione ed esclusione (del reale), ha a che fare con
unaffordanza. Gibson pensava a questultima come a quella circostanza ambientale invariante che induce delle modificazioni adattive nellanimale: nel nostro linguaggio, significa linserzione di un pezzo di
reale nellambito del simbolico, reale tuttavia che il senso non pu controllare se non occultandolo con una cortina di significanti. come se
laffordanza mantenesse dei buchi allinterno della normotipia, per
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Lebenswelt in cui gli esseri umani vivono e sopravvivono. Questa evenienza labbiamo analizzata abbastanza acribicamente nel caso del tardocapitalismo (Bazzanella, 2006), il quale, oltre alla propria valenza
normotipica (cio allessere il ci-rispetto-a-cui ogni senso si articola),
ha palesato la tendenza a voler imitare il reale nella sua medesima processualit (ossia coniugando impossibilit e permanenza del moto circolare). Se dunque affrontiamo la questione gettando un occhio alla
questione della temporalit e della spazialit, potremmo definirla
come una tendenza alleternizzazione immobilizzante: ogni normotipia
non altro che una finzione dell !
'9$* o del quod quid erat esse, una
teatralizzazione difensiva che simula il reale mettendolo continuamente in gioco attraverso una narrazione mitopoietica che introduce la storia e la narrativit. Di fatto, ci che la normotipia vuole celare proprio
laccidentalit della propria origine, lessere cio intaccata sin dal principio dal reale in quanto evento traumatico della sua istituzione. Per
iek il paradosso del tempo si situa proprio a questo livello: se il
trauma potesse essere temporalizzato/storicizzato con successo, la
dimensione stessa del tempo imploderebbe/collasserebbe in un
Adesso eterno senza tempo (Zizek, 2000, p. 100). In altri termini
proprio leternit delleterno ritorno del reale, immanente nellarbitrariet paradossale dellistituzione normotipica medesima, che si
pone alla base della storicit e del tempo come successione orientata
deventi, e non viceversa: leternit non lillusione mitizzata di una
temporalit originaria in cui lessente destinato a divenire e deperire.
LEternit non atemporale semplicemente nel senso di continuare al
di l del tempo; piuttosto, il nome dellEvento o Taglio che sostiene,
apre, la dimensione della temporalit come serie/successione d(e)i
tentativi falliti di afferarla (ibidem). In questa prospettiva, la normotipia cerca di eternizzarsi per rinsaldarsi al reale che lha originata; ma
per far ci condannata a uneterna finzione, ossia a mettere in gioco
il reale collateralmente, nei suoi effetti enigmatici e traumatici di
traccia o cicatrice.
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relativo e finzionale di infiniti contesti e metacontesti, possibile soltanto a partire da un luogo definitivo e non tematizzabile, del quale
peraltro non vi pu essere pi cornice ulteriore.
Questa cornice senza cornice costituisce un rituale assoluto, come se
non vi fosse alcuna marca differenziale che selezioni i momenti del rito
dalla vita normale. In questo rituale assoluto, seguendo lipotesi di De
Martino, assistiamo parimenti a una destorificazione altrettanto radicale, cio a un intervallo indefinito senza tempo. La normotipia in
quanto tale tende a un siffatto allargamento rituale, potendo solo in tal
maniera reificarsi e assurgere a quelleternit o impossibilit che
invece tipica del reale.
Dobbiamo comunque cautelarci rispetto alle aporie dellautoaffezione e dellautoreferenzialit che abbiamo visto caratterizzare - non a
caso - proprio il dilemma della temporalit: lapparente autosufficienza della normotipia invero il frutto di unulteriore finzione, cio essa
costituisce una sorta di messa in scena primaria, di schematismo
finzionale della struttura del senso. il modo in cui il soggetto
affronta il non-senso del reale, senza nemmeno approssimarlo troppo,
ma facendone una sorta di pantomima: la normotipia diviene il piano
di referenza per qualsiasi senso ulteriore in quanto mima il reale
stesso come un velo di Maja, perch IL REALE CHE RITORNA HA
LO STATUS DI UNULTERIORE APPARENZA: proprio perch
reale, e cio per il suo carattare traumatico ed eccessivo, noi non possiamo integrarlo nella (ci che percepiamo come) nostra realt, e
siamo quindi costretti a esperirlo come unapparizione da incubo
(Zizek, 2002a, p. 134). Reale e senso normotipico, allora, sono cos
mischiati tra di loro che non ne possiamo distinguere i tratti differenziali, n delimitarli in spazi autonomi e confrontabili. In effetti quella
che iek definisce lattuale passione per il reale (Zizek, 2002b, p. 16)
descrive una particolare condizione delluomo contemporaneo che non
riesce pi ad accontentarsi delle grandi narrazioni, rappresentanti
goffi orizzonti di senso o sfere protettive in grado di scongiurare leccessiva prossimit del non-senso; oggi, invece, si manifesta una tendenza che mira proprio allo strato normotipico, cio alla supposta realt o piano di referenza, ma lidea stessa che, sotto le apparenze fuorvianti, giaccia nascosta qualche ultima Cosa Reale troppo orribile per
poter essere guardata direttamente, in effetti lultima apparenza:
questa Cosa Reale uno spettro fantasmatico la cui presenza garantisce la consistenza del nostro edificio simbolico, consentendoci cos di
evitare di fare i conti proprio con la sua costitutiva inconsistenza (ivi,
p. 35).
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si profila cos: Gs: (s;S) tale che IKJ. Sostenere questa tesi, significa
di fatto affermare che il senso della finzione normotipica protratto al
limite non pu che essere insensato o inesistente: esso giunge cos al
limite nella sua aderenza al reale, da esserne inghiottito perdendo
necessariamente le proprie funzioni di padronanza e sensatezza. Si
tratta di un rischio-limite permanente nel caso della normotipia,
rischio particolarmente evidente oggi nel caso della normotipia tardocapitalistica che denuncia palesi indici patologici, cio una sorta di psicotizzazione del senso in cui seguendo Lacan raggiungiamo una
perfetta sovrapponibilit di simbolico e reale. Il sistema IJ, cio il
plesso ambivalente normotipia-reale, soffre di un equilibrio instabile
che rischia di debordare nel non-senso nelle sue differenti determinazioni: il non-senso come lUmgreifende jaspersiano in cui il senso suo
malgrado incluso: S0~S; e il non-senso in quanto paradosso dellonnisenso o della riflessione parossistica: S1FS2 ~S.
Ci troviamo indubbiamente innanzi a unaporia: la normotipia sorge
grazie a una finzione e continua a fingere ci che non nellillusione
delleternit. Potremmo esprimere la situazione un po brutalmente
dicendo che con essa il senso vuole temporalizzarsi, cio esser-tempo
nelle sue ambivalenti determinazioni del divenire assoluto e dell!'9*.
Strana '#4's davvero, ma che descrive molto bene limpasse che
siamo costretti a maneggiare. Tuttavia, la normotipia tende per sua
natura a sfuggire una psicotizzazione immanente nei suoi meccanismi
funzionali: da un lato essa possiede un conatus totalizzante, cio tende
a divenire il reale; dallaltro, per le leggi fondamentali dellechologia, si
situa in un contesto inflazionistico di normotipie, cio coesiste con infinite ulteriori normotipie. Nella nostra analisi del tardocapitalismo cui
abbiamo gi fatto cenno, in effetti evidenziammo come ogni normotipia si costituisca necessariamente allinterno di una collezione di ulteriori normotipie: per dirla brevemente, c sempre una normotipia in
pi, il che equivale a dire che abbiamo sempre un ulteriore piano di
referenza, e un altro, e un altro ancora. Dal punto di vista sferologico
questa circostanza individua una sorta di buccia di cipolla di tipo
batesoniano, nella quale struttura pi orizzonti simbolici si sovrappongo luno sopra allaltro in vista di una maggiore efficacia difensiva
nei confronti del Fuori. La formula di questa circostanza dunque la
seguente: Cn=0DEI+1.
Ovviamente la linea di rimando di una normotipia identica a quella di qualsiasi altro senso, per cui abbiamo una serie inclusiva con una
certa stratificazione gerarchica (la normotipia della base americana
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alcun piano ulteriore. Talora infatti diciamo che la legge non sufficientemente pronta a regolamentare dei fenomeni sociali nuovi; talora
invece invochiamo il diritto come lultimo livello per discernere ci
che giusto e regolare, da ci che ingiusto e immorale.
I logici antichi definivano questo mutuo rimando con il termine diallele, dove un termine viziosamente fonda laltro e viceversa: se per nellambito astratto della logica ci pu apparire aporetico, nellambito di
una logica normotipica il diallele un meccanismo funzionale molto
frequente e molto pi diffuso di quanto ci possiamo immaginare.
2.3.8 Il sistema ST
Nonostante una certa difficolt teoretica, abbiamo perlomeno conseguito una base dalla quale continuare la nostra indagine speculativa
sul problema della temporalit. E per certi versi ci dobbiamo ricollegare allipotesi heideggeriana del 1962 di una certa relazionalit reciproca tra spazio e tempo. Orbene, dal punto di vista echologico, lo spaziotempo (che dora innanzi chiameremo sistema ST) costituisce un sinecismo normotipico, cio un accoppiamento a mo di diallele di due normotipie che si rimandano reciprocamente secondo un senso per cos
dire sussultorio; oppure come dice Heidegger che aprono un
frammezzo che temporalizzando e spazializzando oscilla pendolarmente (Heidegger, 1989, p. 378). Questa tesi ci dice innanzitutto una
cosa un po sorprendente, soprattutto se valutata alla luce delle nostre
precedenti osservazioni: se infatti il tempo appariva come un fuorisenso o lemergenza del reale, ora appare come un senso particolarmente strutturato che fa da orizzonte a qualsiasi nostro sapere e che
deriva dal tentativo di re-integrare levento accidentale e traumatico
(eterno) dellistituzione del senso medesimo.
Il tempo, tuttavia, non riesce ad essere autonomo, ma deve, per svolgere la sua funzione di sfondo referenziale, accoppiarsi allo spazio. In
questo modo il sistema ST si sostiene dal punto di vista della sensatezza grazie a una relazione sinecistica tra lo spazio e tempo. Questa relazione pu essere letta dal punto di vista semantico, ovvero lo spazio
costituisce il dominio di assegnazione del tempo e, viceversa, il tempo
rappresenta il dominio di assegnazione dello spazio. Si tratta dunque
di una relazione simmetrica, nella misura in cui lo spazio d significato al tempo, e il tempo d significato allo spazio. Se, dunque, potremmo concordare con Elias che il tempo un sistema simbolico collettivo atto a direzionare lazione e la conoscenza delluomo, dobbiamo
daltronde estendere questa tesi alla spazialit: ci non significa sol-
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ticolare struttura echologica che rende funzionale ed efficiente il diallele: il sinecismo normotipico che implica il reciproco rapporto referenziale e fondativo dei due sensi normotipici. Se provo a spiegare che
cos lo spazio, non posso che abbandonarmi allatto diveniente della
misurazione; se invece affronto lessenza del tempo, finisco mio malgrado per fissare nello spazio gli istanti temporali che caratterizzano il
divenire. Il tempo non pu che spazializzarsi; lo spazio non pu che
temporalizzarsi: quando Heidegger allude allo Zeit-Spiel-Raum, probabilmente, ci vuole indicare un meccanismo siffatto, un lasco aperto
dallEreignis che dispiega un reciproco relazionarsi (e fondarsi) tra
spazio e tempo (sebbene poi lEreignis stesso sia inquadrabile nellambito del Geschick dellessere, cio di unulteriore normotipizzazione);
5) il sinecismo echologico incarna il miglior stratagemma del senso
per occultare la propria insensatezza attraverso i processi di regressus.
In altri termini il sistema ST costituisce quellinteialatura simbolica
che ha consentito loriginarsi e lo sviluppo del pensiero logico e nello
stesso tempo dimostra da un lato laporia di ogni processo riflessivo (il
dar-senso al da-cui e al rispetto-a-cui quel medesimo senso si articola) e dallaltro limpossibilit di uscire da un orizzonte normotipico che
non cessa di velare il reale etico-eterno-evenemenziale della sua fondazione;
6) il processo di oscillazione che tiene legato assieme il sistema ST ci
dimostra come i vari approcci al problema della temporalit non
abbiano fallito per una propria deficienza speculativa: il primato assegnato al tempo da Kant, Husserl, Heidegger e Bergson definisce soltanto un momento della nutazione, in cui la verit della spazializzazione ha a che fare con un divenire dellanima. Di contro, le topologie
del secondo Heidegger o la stessa topologia di Lacan e Sloterdijk enfatizzano laltro momento delloscillazione, ove la dinamica intensionale
del tempo non pu che esplicarsi nei rapporti estensionali dello spazio.
Tempo e spazio rimangono dimensioni differenziate, per legate alla
medesima radice (il non-senso dell !
"#$%&'!): questo originario la
radice comune di entrambi in quanto altro rispetto a essi, e tuttavia
tale da aver bisogno di loro come la radice ha bisogno di tronchi
per essere fondamento che ha radici (lessenza della verit)
(Heidegger, 1989, p. 369). Si evidenzia dunque lo strano rapporto dello
spazio e del tempo con il non-senso: labisso lunit originaria di
spazio e tempo, quellunit unificante che sola fa s che essi si divarichino separandosi (ivi, pp. 370-371).
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Potremmo dire allora brevemente che laddove si gode, si gode spazio-temporalmente e colui che gode sempre l'Altro: ci rafforza la
nostra tesi che in qualche maniera il sistema ST abbia a che fare privilegiatamente con il reale, ma in modo siffatto che permanga una
costante ed essenziale ambiguit di rapporto. Il godimento e il suo
dimensionamento spazio-temporale, infatti, ci segnalano che quando
pensiamo o agiamo nello spazio e nel tempo, pur trattadosi di entit
simboliche e linguistiche, affrontiamo per certi aspetti dei pezzi di
reale; ma colui che gode e che quindi affronta "realmente" il reale
l'Altro, cio, secondo la concezione lacaniana, il sistema delle leggi e
del linguaggio (e, quindi, mutatis mutandis il sistema normotipico). Le
tracce oscene e rimosse del reale sono sempre ricoperte dall'insieme
indefinito di significanti e formalizzazioni che costituiscono il simbolico, cosicch l'intero edificio della cultura umana risulterebbe spaziotemporale in quanto sistematica forclusione della jouissance del soggetto individuale e godimento di quell'Altro normotipico che si
assunto l'onere dell'incontro traumatico con il reale. D'altronde il reale
stesso s'insinua nelle maglie dello spazio e del tempo, nella misura in
cui il sistema ST in quanto normotipia si fonda necessariamente su una
soggezione affordanziale che nella sua invarianza integra la formula
del senso I=S/J.
Il godimento ci fornisce cos un ulteriore indizio riguardante la giunzione sussistente tra logica e dimensione spazio-temporale: se infatti la
logica sorge sulla base di una singolare tangenza con il reale (l'istituzione simbolica), questa ha a che fare con il godimento (il godimento
della scrittura joyceana, dell'annodamento lacaniano, del gesto "astrattivo" tout court) e, quindi, con un dimensionamento spazio-temporale
che concerne paradossalmente l'Altro normotipico. Osserva significativamente Lacan: "il pensiero godimento" (Lacan, XX, p. 70), ma ci
non vuol dire certamente che nell'atto del pensare in se stesso si goda
automaticamente, poich il godimento sempre il godimento di un
Altro e, pertanto, un godimento "perduto". La componente sublimatoria immanente in ogni atto creativo-astrattivo, contorna e addomestica il reale, ma ci facendo forclude un godimento che non cessa di
iscriversi in una tracciatura spazio-temporale e in una narrazione
mitopoietica che fantasmizza quest'evento e lo collettivizza in una
struttura normotipica alienata. La logica in se stessa cos un siffatto
tipo di fantasmizzazione, il racconto di un mondo algido e inumano
che cela la dimensione del godimento (reale) che vi soggiace: in breve,
la logica "gode" nella misura in cui si iscrive, si traccia materialmente,
manifestando tale scrittura e tale tracciatura il momento di sutura tra
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siva di padronanza nei confronti della terra insensata e deterritorializzante e, quindi, mantiene un raccordo segreto con il reale ctonio.
Questi due sistemi che evitano alluomo lincontro tychico con il reale,
sono gi delle formazioni di senso. Ma non solo: essi sono interrelati in
modo tale da fornirsi reciprocamente il fondamento referenziale. Il
sistema ST un sinecismo referenziale che mette in relazione due normotipie: (IJ) r (IJ). La relazione r simmetrica, cio tale che T S
e S T, il tempo rimanda allo spazio e lo spazio rimanda al tempo. Si
tratta, insomma, di un insieme chiuso, che preso nella sua integrit
diviene autoreferenziale. Per come strutturato il sistema IJ, tuttavia, esso si fonda a sua volta su una serie di affordanze imposturali,
cio implica un livello per cos dire primario in cui reale e simbolico
sincontrano. Tali finzioni primarie svolgono due funzioni differenziate, ovvero servono in primis da punto di capitone la Lacan, da
aggraffatura in cui il mantello del simbolico entra in contatto e si
aggancia al reale, facendo cos funzionare il simbolico medesimo;
secondariamente fungono da copertura di un buco, da cortina difensiva e compromissoria che occulta lingredienza inoppugnabile del reale
allinterno delle maglie del simbolico. Quindi lespressione IJ indica
che la normotipia nasconde da un lato il reale in se stesso, facendosene carico ma anche occultandolo, dallaltro lo mette in gioco nella
misura in cui la normotipia in se stessa slitta e scivola continuamente
verso altre normotipie.
Nellanalisi che abbiamo sin qui condotto, sono dunque emerse due
evidenze che dovremo cercare di mettere assieme, per non incorrere
nel dualismo aporetico fatto affiorare da Ricoeur:
1) il tempo, cos come lo spazio, costituisce la cicatrice o la sutura del
rapporto traumatico tra reale e simbolico, e si struttura di conseguenza come il godimento delAltro (poich sempre lAltro che affronta
il reale e, ci facendo, gode, nella doppia valenza della jouissance lacaniana, cio di estremo dolore e piacere orgasmico). Lanalisi del processo logico di istituzione simbolica, ci ha poi mostrato come lo spazio
e il tempo abbiano a che fare con la stessa soggezione che pone un
soggetto e, quindi, un significato: lo spazio-tempo, dunque, innanzitutto un punto di soggezione o marca di senso nella misura in cui
esso costituisce e sostiene la struttura del senso, dove il termine
punto o marca indica sia un luogo determinato nellambito del
senso, sia lo stesso punto di sutura che chiude la ferita inferta dal
reale al simbolico con il godimento che ne consegue. In altre parole il
senso spazio-temporale, nella misura in cui mette in gioco se stesso
e il non-senso, facendo godere sempre un Altro. Un siffatto rapporto
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;=;=;=;=;=;=;=;=;=;=@(J)=;=;=;=;=;=;=;=;=;=;
!)
!
J
Nel grafo soprastante riportiamo la struttura del sistema IJ: il reale
lorizzonte esterno in-sensato nei confronti del quale la normotipia
implica una chiusura sferica. Allinterno della normotipia stessa, tuttavia, il reale si ritrova parentetizzato accanto alla @ in grassetto, che
abbiamo visto costituire il punto di soggezione. Questa @, che tra laltro rappresenta il soggetto tout court, costituisce soprattutto unimpostura, poich camuffa linvarianza reale o affordanziale con una
sorta di cortina fumogena fatta di significanti. Altrove (Bazzanella,
2004) labbiamo semplicemente definita significato, indicando senzaltro, con Lacan, una sostituzione metaforica, nella misura in cui la
finzione si gioca attraverso un significante come un altro, ma manifestando parimenti una funzione di blocco e di referenza. In altri termini, il grafo mostra come il reale si articoli sia allesterno, nel Fuori
impossibile cui non si potr mai accedere, sia nella prossimit del soggetto-significato, dove appunto la soggezione gi una finzione necessaria al senso.
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J
"
("
n-n-n-n-n-n-n-n-n-n-E(J)-n-n-n-n-n-n-n-n-n-n
")
"
J
Nellambito del dfil infinito delle normotipie, c un processo di
soggezione che fissa e blocca una normotipia, facendone finzionalmente una metanormotipia. Questo blocco o masterizzazione opera
una chiusura, una zonizzazione sferologica che ha una funzione difensiva nei confronti del reale. Questultimo sta comunque dietro al processo di soggezione, nel suo ambiguo ruolo di invarianza finzionale: il
soggetto che ne esce E tende ad assoggettare le altre normotipie,
pur essendo da parte sua soggiogato e sog-getto al reale stesso. Si tratta di una sorta di fistola o infistolimento, in cui il reale esterno, il Fuori
tenuto sempre a distanza, si fa invece pi prossimo, sotto mentite spoglie. In altri termini la radicalizzazione di E, la sua istituzione ed erezione fittiziamente trascendente, occulta un pezzo di reale che si ficca
allinterno del simbolico e che spinger successivamente la normotipia
a re-ificarsi e a divenire-reale.
Ebbene, la normotipia egemone nellepoca contemporanea quella
tardocapitalistica: essa costituisce il da-cui e il rispetto-a-cui di ogni
altra normotipia, lorizzonte donde ogni senso, anche quello pi minuscolo e inifluente, trae la sua direzione essenziale. Ma come si articola
questa normotipia? Come riesce a reggere la sua egemonia, a fronte di
un pullulo di ulteriori normotipie, non ultima il sistema ST che, grazie
al suo sinecismo, pare ben attrezzato nei confronti del non-senso? Dal
nostro punto di vista, la strategia del tardocapitalismo si gioca in due
momenti fondamentali: 1) innanzitutto esso non radicalizza il movimento rimandativo dellintensione, cio dellinclusione-sussunzione
delle altre normotipie abbozzando una struttura gerarchica, ma, anzi,
si pone paradossalmente a latere o in modo estensionale, mescolandosi allinterno delle altre normotipie; 2) secondariamente, attraverso
il meccanismo del lasco echologico, il tardocapitalismo finge di
lasciare spazi di libert alle normotipie concorrenti e ci per aprirsi
infiniti spazi di decorso e, quindi, garantire la propria apparente sensatezza.
Uno dei rischi di ogni normotipia egemone in effetti leccesso di fis-
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coincide del tutto con la normotipia tardocapitalistica. Qui incontriamo la differenza lacaniana tra realt e Reale: realt la realt sociale
delle persone reali che interagiscono e sono coinvolte nel processo produttivo; mentre il Reale la logica spettrale astratta, inesorabile del
capitale che determina cosa succede nella societ reale (Zizek, 2000,
p. 22).
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co. Ora, il tardocapitalismo tenta di fatto di portare a compimento l'addomesticamento del non-senso attraverso una sorta di processo finzionale di imitatio del reale, ma ci comporta almeno due momenti decisivi: 1) un processo di desoggettivazione, in cui il Soggetto diviene il
tardocapitalismo tout court nella sua assoluta e paradossale indifferenza; 2) un processo di esclusione di quei momenti invarianti in cui il
non-senso fa breccia e si mantiene all'interno del tessuto del simbolico. Ci significa che di fatto, proprio a cagione della sua specificit, il
tardocapitalismo mira all'eslcusione del sistema ST.
Questo processo si articola inizialmente in una sorta di "indifferenziazione" che rende lo spazio-tempo una normotipia adiacente simile
ad infinite altre: nel tardocapitalismo la definizione di uno spazio delimitato e la determinazione del tempo non sono pi cos strategici come
nell'Ottocento, poich i processi globalizzanti e il relativismo fanno di
ogni luogo "un luogo come un altro" e di ogni istante "un isante come
un altro". Questo passaggio viene ulteriormente corroborato dal predominio del sapere scientifico e dallo sviluppo delle tecniche che notoriamente prescindono da un preciso hic et nunc: le produzioni industriali ormai sono delocalizzate e non pi decisivo il rapporto salario/tempo lavorato perch ormai le macchine lavorano indifferentemente al posto dell'uomo.
L'indifferenziazione, tuttavia, conduce nel caso del sistema ST ad
una vera e propria esclusione, nella misura in cui il tardocapitalismo
tenderebbe per un suo moto proprio all'onnisensualit, cio all'essere
l'unica fonte di senso normotipico nel suo moto rivoluzionario infinito.
Questa esclusione si compie paradossalmente attraverso un'estensione
parossistica degli spazi e dei tempi: lo spazio un onni-spazio, non
solo limitato ai confini del nostro pianeta, ma esteso all'intero universo e invaginato in infiniti mondi virtuali; il tempo, nella sua indifferenza, incarna l'eterno ritorno delle "cose" e, quindi, una sorta di eternit insensata che ricorda quella del reale.
La conseguenza dell'esclusione del sistema ST si condensa nella definitiva destituzione del soggetto o, piuttosto, in uno spostamento in cui
le marche affordanziali non sono pi interne al singolo individuo o alla
comunit, ma alla normotipia tardocapitalistica nella sua totalit. Il
Soggetto la normotipia stessa in quanto si fatta carico, al posto dell'uomo, del rapporto traumatico con il reale, ma se questo processo
porta a termine l'addomesticamento del Fuori messo in atto sin dai
primi manufatti del neolitico, esso implica d'altra parte una paradossale "perdita di mondo", che equivale ad una sorta di alloppiamento
onirico nel quale siamo immersi (come se fossimo inclusi nostro mal-
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grado nel sogno di un Altro, senza possibilit di risveglio). Come osserva Zizek, "forse qui che va individuato uno dei principali pericoli del
capitalismo: nonostante sia globale ed abbracci il mondo intero, esso
sostiene una costellazione ideologica che , stricto sensu, 'senza
mondo', privando cos la grande maggioranza delle persone di una
qualsiasi mappa cognitiva dotata di significato" (Z
izek, 2008, p. 83).
In altri termini, l'esclusione del sistema ST comporta da un lato il
rischio dell'insensatezza dell'intera normotipia, in quanto monoliticamente invariante e incapace di sostenere la struttura del senso
S=S/~S, dall'altro lato espone gli individui ad una indifferenza insopportabile in cui l'insensatezza della propria esistenza si fa davvero palpabile. Oggi noi siamo nel "senza-tempo" e nel "senza-spazio", cio
"senza-mondo", ma non siamo pi nemmeno in grado di "dire" questo
"noi", in quanto ormai senza-soggetto e "poich il paradosso del soggetto che esiste solo attraverso la propria radicale impossibilit,
attraverso un 'osso in gola' che sempre impedir di raggiungere la proizek, 2000, p. 36).
pria piena identit ontologica" (Z
Nel tardocapitalismo tutto divenuto rito, tutto destorificato ed
eternizzato senza alcuna differenza tra reale e simbolico, poich il
simbolico stesso ad "imitare" totalmente il reale: i tempi sono ormai
indifferenti, troppo accelerati da essere percepiti o fissati in una pseudo-eternit; gli spazi sono moltiplicati ed estesi all'infinito, tantoch
non ha pi significato parlare di "luoghi" o di contrade in senso heideggeriano. Il reale insomma ormai qui, il senso medesimo nella
sua configurazione tardocapitalistica in quanto Soggetto che ha preso
su di s l'onere dell'incontro traumatico con l'Altro.
Uno degli effetti pi evidenti dell'esclusione del sistema ST e della
conseguente desoggettivazione lo intravvediamo in un particolare
decorso delle psicopatologie contemporanee: a nostro avviso, al di l
delle sindromi primarie dipendenti da specifiche eziologie biologiche
o genetiche, gran parte degli altri disturbi mentali pare strettamente
correlata alle strutturazioni di senso che generalmente regolano una
comunit umana in un determinato periodo storico, ovvero, in breve,
pare connessa solidalmente (per "consentaneit" o "dissonanza") al
sistema normotipico egemone (Bazzanella, 2004, pp. 145-211). In altri
termini, c' un riflesso abbastanza immediato sul senso individuale del
depotenziamento soggettivo e dell'indifferenziazione delle dimensioni
spazio-temporali. Lo spazio e il tempo indicano indubbiamente una
padronanza "debole" nei confronti del reale, poich al di l del loro
carattere normotipico essi recano ancora e ineludibilmente le tracce
traumatiche e affordanziali-invarianti dell'Altro, sono "commiste" con
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