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Torneremo immediatamente più avanti su questo assunto, che può certo risultare controverso.
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Intendendo per “variabile” una caratteristica dell’oggetto di studio che varia, che non è cioè costante. Un
disegno descrittivo mira a rappresentare la variabilità della caratteristica (i diversi modi in cui un
fenomeno si presenta), mentre un disegno esplicativo è interessato a spiegarla, mettendola in relazione ad
altre variabili [Hyman 1955].
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Che comunque rimandano a processi sociali complessi di “costruzione” del corso di vita; di
“costruzione” delle identità di genere; di “costruzione” di una cultura imprenditoriale, ecc.
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Senza contare che per chi conosce solo persone bionde o brune, i capelli rossi possono apparire “unici”!
Non si tratta dunque di evidenziare l’unicità per differenza (l’avere capelli rossi invece che biondi o
bruni), ma anche di valutare correttamente la diffusione dei capelli rossi.
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Non dimentichiamo infatti che il tipo ideale doveva servire ad individuare tratti generali (universali) di
fenomeni storici – per ciò stesso unici e irripetibili.
validità dei risultati raggiunti, tanto dal punto di vista dell’inferenza (della logica
dell’indagine), quanto dal punto di vista del controllo delle fonti di errore. Uno dei
principali metodi utilizzati a questo scopo è il metodo statistico, che garantisce la
distribuzione casuale degli errori, e dunque il loro virtuale annullamento: così tanto nel
disegno sperimentale classico (la randomizzazione), quanto nel disegno statistico (il
campionamento casuale nelle survey). Il metodo comparato e lo studio di caso – così
come in generale tutti i disegni di indagine di tipo storico-istituzionale – non possono
avvalersi di questa tecnica di controllo dell’errore, e devono dunque attrezzarsi
diversamente, allargando come si è detto la base informativa, per avere elementi di
comparazione esterna, e differenziando le fonti di informazione, per incrociare i risultati
ed individuare incongruenze ed errori (triangolazione dei risultati; Campbell e Fiske
1959).
Quindi, in sintesi, la selezione dei casi da studiare richiede: (a) un’estensiva
analisi dei contesti (empirici e teorici) entro i quali i casi assumono il loro valore
intrinseco; (b) la definizione puntuale delle caratteristiche del contesto empirico
(provinciale? regionale? nazionale? internazionale?), nonché dei casi simili o dissimili,
presenti in tale contesto, e le cui caratteristiche sono note e considerate rilevanti ai fini
dell’analisi; (c) l’individuazione delle problematicità e degli elementi di complessità,
che se da una parte giustificano la decisione di svolgere l’indagine, dall’altra
costituiscono le principali fonti di errore da tenere sotto controllo. L’analisi di sfondo
richiederà dunque una ricognizione della letteratura teorica, delle altre ricerche
empiriche, delle esperienze concrete; ma anche il ricorso a fonti informative di tipo
statistico e documentale.
La validazione dei risultati di uno studio di caso, poi, è funzione della quantità e
della qualità delle informazioni raccolte, mentre la triangolazione dei risultati sarà tanto
più efficace, quanto più diversificate saranno le tecniche di raccolta ed analisi delle
informazioni, ed i livelli di analisi adottati (strutturale, individuale, culturale, ecc.). In
pratica, se fonti indipendenti convergono a definire una determinata situazione come
significativa, è molto probabile che la configurazione di fenomeni osservata abbia una
sua validità.
L’aumento del numero di casi osservati, ma studiati con il metodo dello studio di
caso, non garantisce invece sic et simpliciter l’indipendenza delle osservazioni, stante la
nota obiezione mossa da Galton all’antropologo Tylor: istituzioni simili possono
sorgere in seguito ad un processo storico di diffusione, e non in risposta a condizioni
strutturali o sociali simili (“tesi della convergenza”; cfr. su questo, recentemente
Goldthorpe 2000). Se vogliamo, la presente indagine non fa che confermare la rilevanza
dei processi di diffusione culturale, come in generale lo studio dei processi di sviluppo,
che evidenziano la debordante tendenza ad adottare modelli di sviluppo mutuati da
contesti diversi. I processi di globalizzazione e la diffusione capillare dell’informazione
rendono “il problema di Galton” di grande attualità, e solo l’analisi storico-istituzionale,
ferma restando la necessità di una lettura comparativa, consente di trovare, caso per
caso, una soluzione adatta dal punto di vista logico e empirico.
Ecco dunque che l’adozione dei mixed-methods [Tashakkori e Teddlie 1998;
Cresswell 1999] è assolutamente consigliabile negli studi di caso, e più in generale nella
comparazione. Poiché è elegante abitudine accademica fare riferimento ai classici, non
possiamo a questo proposito esimerci dal citare lo studio di Weber sull’etica protestante,
in cui analisi storico-istituzionale, documenti personali, statistiche ufficiali, testi
letterari, religiosi e filosofici, convergono a sostenere una chiave di lettura della nascita
del capitalismo; mentre, come si è detto, l’analisi tipico-ideale consente di sviluppare un
ragionamento teso a generalizzare i risultati raggiunti (e dunque lato sensu inferenziale).
Pur senza ambire allo stesso raffinato livello di lettura ed interpretazione di un
fenomeno culturale tanto complesso, quanto sin qui detto suggerisce senz’altro la
necessità di svolgere il ragionamento seguendo un percorso simile. Nel paragrafo
iniziale di questo capitolo viene rappresentato il ruolo svolto – nelle diverse fasi
dell’indagine – dalle diverse tecniche di indagine, in rapporto alle finalità specifiche di
ciascuna fase. Ma è importante aggiungere che il contributo di ciascuna tecnica potrà
essere apprezzato in fase di analisi e presentazione dei risultati, facendo convergere le
informazioni raccolte intorno ai foci analitici adottati, per rispondere ai quesiti iniziali,
ma anche per tentare di individuare possibili traiettorie di intervento e approfondimento
teorico-empirico.