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Dieci tappe nel Ponente Ligure.

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Premessa al viaggio, al paesaggio, al guardare e al divagare


La nostra esperienza di viaggiatori ci dice che riusciamo a vedere alcune cose, mentre altre, pur essendo davanti ai nostri occhi, passano inosservate. Il nostro sguardo ci gioca strani scherzi: a volte prende di mira dettagli indelebili, a volte, se interrogato, non saprebbe dire cosa ha visto. Alcuni attribuiscono il fenomeno alla natura delle cose, pi o meno capaci di farsi vedere, altri al puro caso, altri alla cultura che illumina ci che sa e che si aspetta. Nelle scuole non si insegna larte del vedere e ognuno si arrangia come pu. Una scuola dello sguardo sarebbe di grande utilit, sia per i bambini che si divertirebbero a stanare le cose che giocano a nascondino, sia per gli adulti, i quali, diventati geometri, architetti o amministratori, ci penserebbero un po di pi a manomettere le cose che hanno visto tante volte al loro posto giusto. A proposito di dettagli si possono organizzare burle divertenti, scommesse e quiz: un viaggiatore arriva e chiede ai residenti che sta cercando una casa dove, sotto le grondaie, ci sono due nidi di rondine. Vogliamo scommettere? Il gioco dei dettagli manda in crisi chiunque. Per non parlare di quando uno fissa per ore la moglie o la fidanzata e non vede che ha un paio di orecchini nuovi. In questi casi, se non si vuole peggiorare la situazione, meglio non dire che per vedere una cosa se ne tralascia unaltra. Il paesaggio, meno esigente di una fidanzata, non fa rimproveri, e tuttavia pone domande impegnative. Il fatto che siamo arrivati al paesaggio partendo dallo sguardo, lascia intendere che il paesaggio si svela volta per volta, come un libro da leggere, parola per parola, avanzando tra le righe, voltando le pagine. Le meraviglie del paesaggio e dello sguardo acquistano la loro particolare emozione dal fatto che noi siamo l invece che altrove, ci fanno sentire che quellistante e quelle cose sono uniche. Emozionante lo stesso fallimento dello sguardo, il quale sa che non solo sta vedendo una minima percentuale di cose, ma che le sta gi abbandonando per vedere altro. Questo sentimento dellabbandono e della nostalgia potrebbe essere un ottimo incentivo turistico, inquanto, a titolo di riparazione, chiede di tornare una seconda volta sul posto. Adesso possiamo fare un passo ulteriore: se il paesaggio esperienza, possiamo sperimentarlo soltanto con la scoperta dei suoi lontani nascondigli, cercando dopo ogni curva, oltre il crinale di ogni altura. In altre parole: il paesaggio ci fa viaggiare. Ecco che lo sguardo, il paesaggio e il viaggio diventano un modo del conoscere e, volendo, uno stile del turismo.

Come lo sguardo, anche il viaggio una grande avventura e una grande liberazione. Ci libera in direzione delle cose, ci offre la lontananza come una espansione di noi stessi, ci mette nel gioco della sterminata quantit. In questo senso il viaggio un atto di devozione, un pellegrinaggioin onore del mondo. Mentre ci porta verso la quantit, il viaggio ci gioca qualche scherzo istruttivo, come volesse metterci alla prova. Lo scherzo consiste in questo: ci avvia verso la libert e verso lignoto, ben sapendo che noi abbiamo bisogno di mappe, di percorsi certi, di un orizzonte preventivo. E qui che la stessa comunicazione turistica, la divulgazione dei luoghi e la loro pubblicit cadono nella trappola. Come si fa a comunicare la quantit? Quale catalogo possiamo allestire? Cosa mettere e cosa tralasciare? Qual la gerarchia tra le cose? Viene prima la geologia o viene prima la ristorazione? Sembra che il funzionamento dello sguardo, con la sua intermittenza e la sua costanza, possa venirci in aiuto. Laiuto consiste nel riconoscere sia la necessit dellastruttura del viaggio, sia la necessit della divagazione. La struttura del viaggio rappresentata dalle sue strade. La strada sempre una strada tematica, in quanto indica un ordine storico e, mentre ribadisce collegamenti secolari, non esita a mostrarci ci che lei stessa vede da sempre, la divagazione appunto, il mondo dei viottoli, luniverso dei sentieri, i segreti delle case sparse. La Liguria del Ponente, pur con molti progressi nella viabilit interna, ha ancora molte carte da scoprire. Tra i grandi giacimenti turistici da portare alla luce c il sistema dei percorsi trasversali. La via trasversale per eccellenza, lAurelia, imitata dallautostrada che, sembra poco, ma arriva in Portogallo, ha una specie di eco lontanissima nelle strade di altura che dalle Valli del Dianese portano, attraverso la Valle Arroscia, la Valle Argentina e la Val Nervia fino alla Francia, consentendo comode deviazioni verso il Piemonte. Sembra una strada contro natura, che taglia le valli invece di seguirne il corso, ma questa strada che consente di capire il territorio come una grande massa vivente, abitata da millenni, con segni indelebili di una cultura internazionale, franco-ligure-piemontese, una alleanza fondamentale per la futura animazione di un Mediterraneo montano, gi europeo da secoli. I brevi percorsi che proponiamo in questa piccola pubblicazione sono allinsegna del viaggio come struttura e come divagazione. Lesiguo catalogo che ne deriva risponde a una effettiva esperienza progettuale maturata nellambito della manifestazione Olioliva e collegata agli obiettivi del progetto Tourval.

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Prima Tappa
Pontedassio
Se uno vi dicesse che il paesaggio bisogna andarselo a cercare, come minimo rimarreste perplessi. Eppure guardatevi intorno: quasi tutto coperto da villette, da palazzi, da stabilimenti, da supermercati e da strade sostenute da alti muraglioni. Cosa successo? Il paesaggio dov? Niente paura. Se c una cosa che non bisogna provare di fronte al paesaggio maltrattato la paura, la quale, a sua volta, genera lindifferenza, una forma di cecit provvisoria per non vedere le cose brutte. Invece di non vedere le cose brutte la cosa da fare perdonarle. Il perdono il modo giusto per non rifiutare tanti angoli di mondo che noi abbiamo manomesso. Se siamo in grado di perdonare la bruttezza riceviamo un premio grandissimo: saremo in grado di trovare il bello che si nascosto qua e l, come inseguito, ma che resiste, bellissimo, nei posti pi strani. Mai vista una palma meravigliosa in una discarica di calcinacci delledilizia? Non vedete che il cielo splendente anche dietro un brutto palazzo? Non sono esercizi facili. Quelli di Pontedassio ci perdoneranno se abbiamo tirato in ballo queste idee mentre andiamo proprio a Pontedassio. Niente paura. Tra Oneglia e Pontedassio si trova la fascia critica dello sviluppo della Valle Impero. I concetti di bello e di brutto valgono poco in questi casi. Il bello in movimento e, ogni tanto, quando si imbatte male, prende una brutta cera. E in questi casi che noi dobbiamo imparare larte di guardare, di capire i tempi della storia e, alla fine, larte di perdonare. Questultima non unarte qualunque, che accetta tutto quello che capita. E unarte sopraffina, che va a cercare il bello dappertutto e, state sicuri, lo trover. Pontedassio al confine, dove il paesaggio antico si mescola con la modernit industriale. E proprio qui che noi possiamo fare i nostri esercizi di lettura, andando a trovare lantico alfabeto della bellezza. Solo cos riusciamo a vedere le pietre del vecchio ponte, un limone che sbuca dal muro, qualche alto cipresso, muri di case lavorati come una superficie scolpita. Vedete che vero? Il perdono stato premiato. Se avete fatto bene i primi esercizi, adesso tutto fila liscio. Troverete gli angoli giusti, che vi ripagano con generosit. Sentirete che lantico paesaggio ancora vivo sotto loppressione di troppi muri e di troppi tetti. Siccome siete voi che lavete scoperto, lui vi sorrider. A questo punto lavete meritato e lui vi prender letteralmente per mano e vi condurr dove quasi tutto intatto, dove i secoli sono vivi come fosse ieri. Meravigliosi relitti vi accoglieranno, uliveti che hanno visto passare tante vite umane, e tutto ci si fa sentire, perch avete trovato lanima. Questo il mestiere del turista.

Diano Arentino
In queste valli cos morbide che si chiamano Valli del Dianese, i paesi hanno nome e cognome. Sembrano persone che appartengono a una famiglia. Il cognome Diano e i parenti sono tanti: Diano Marina, Diano San Pietro, Diano Castello, Diano Arentino. Perfino le frazioni dei comuni hanno nome e cognome, come fossero nipotini: Diano Borello, Diano Borganzo, Diano Roncagli. Sembra che effettivamente si tratti di una famigliola, messa com in un ambiente rilassato e pacifico, una specie di grande culla, al riparo di un monte imperioso, affilato come un becco che infatti si chiamava, in antico, Scortegabecco. Alcuni sostengono che questo nome cos efficace abbia a che fare con una pianta presente in questi posti, il profumato lentisco, che in dialetto si chiama proprio cos. Il monte, ufficialmente, porta il nome di Pizzo DEvigno e ci fa capire qual il carattere di questa Liguria, dolcissima e mite, ma che si impenna, allimprovviso, mostrando antichi spettacoli, le bianche ossa geologiche, come dire che la bella Riviera ha una madre antica e montanara. La rapidit con cui si passa dai crinali ventosi, meravigliosamente poveri e tuttavia ricchissimi di rarit botaniche, alle conche grasse e coltivate al centimetro, dove c il basilico e i campi di rose, soltanto una delle suggestioni che questo territorio ci offre. Qui bello cercare le cose minute e le sorprese non mancheranno: si scopre come i contadini liguri siano straordinari nel ricavare campi artistici dove appena si pu stare in piedi, come si scoprono storie innumerevoli di arte umile e raffinata, chiese romaniche e barocche, pale daltare, belle statue di Madonne. In fondo, lontano, c il mare di Diano Marina, San Bartolomeo e Cervo. Chi laggi, lungo le belle spiagge, difficilmente non attirato da questi monti che promettono segreti esclusivi, cose uniche, visioni che solo la lontananza custodisce.

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Seconda Tappa
Cesio
Cosa centra Cesio con Ranzo? Cosa li accomuna? Il modo pi facile per capirlo prendere un compasso. Il perno del compasso lo mettiamo a Pieve di Teco e adesso apriamo le due gambette, non troppo: una corrisponde alla Valle Impero che termina a Imperia; laltra corrisponde alla Valle Arroscia che termina ad Albenga. Cesio sulla prima gambetta e Ranzo sulla seconda, quasi alla stessa altezza. In mezzo c un grande triangolo dove siamo gi stati: le Valli del Dianese. Ecco risolto il mistero. Le due gambette del compasso ci dicono che, nel ponente, le valli sono fatte a ventaglio, annodate in alto, verso i monti, e divaricate in basso, verso il mare. La via comoda segue le gambette del compasso, per esempio la famosa Statale 28; la via poetica invece va di traverso, sui crinali che separano una valle dallaltra, e trova i segreti migliori di questa terra alla luce del sole, ma capace di nascondersi in posti remoti. Di bello a Cesio c soltanto la bellezza. Strana faccenda. Innanzitutto da l si pu capire lolivicoltura ligure, come se icontadini del passato avessero percorso palmo a palmo tutta quella terra impervia, esplorando con le mani la temperatura, le ore di sole, le pendenze, le vene dellacqua. Dove listinto e lesperienza dicevano di s, l nasceva luliveto. E cos che vediamo gli uliveti dispersi come macchie dargento scuro tra la ruggine dei boschi invernali, querce e castagni. Cesio il posto adatto per grandi lezioni allaperto. Non c bisogno che abbia grandi monumenti. Messo com, al balcone della Valle Impero, ha davanti pi cielo che terra. Pi che guardare a se stesso, Cesio guarda tutto il resto, una virt rara, che merita un pellegrinaggio.

Ranzo
Lattraversata da Cesio a Ranzo possibile. In genere, per, vince il principio che ha insegnato larte ai geografi: il corso dei fiumi ci indica dove tracciare le strade pi comode. Anche questa volta sar cos. Dalla Valle Impero si scavalca a Colle San Bartolomeo e scendiamo per la Valle Arroscia fino a Ranzo. Dal puro guardare lontano, qui siamo invitati a guardarci intorno. Non siamo pi aggrappati allosso della montagna, siamo arrivati in una conca dove si depositata la pinguedine dei campi, terra coltivata come un giardino, vigne, orti. Si sente che laggi in fondo c Albenga, capitale dei vasetti di erbe aromatiche, risalite in tante coltivazioni lungo la valle. Ranzo un paese di strada, nel senso che la strada della Valle Arroscia ci passa in mezzo, spingendolo un po verso il fiume e un po verso la collina. Ranzo capoluogo sembra avere generato una famiglia numerosa di borgate bianche, sparpagliate sulla sponda al sole. Vuole dire che siamo in una terra che ha dato da mangiare a tanta gente, terra popolosa oltre che devota a guardare le chiese, gli oratori e i campanili che sbucano dopo ogni curva, l dove c un gruppo di case. Anche le chiese sono bianche. Intonaci e decori barocchi coprono a volte antiche murature di pietra come se, un bel giorno, fosse arrivato un colpo daria gentile, una devozione affettuosa, che ha rivestito di stucchi e accenni doro altari e facciate. Perfino San Pantaleo, massimo monumento, sa essere severo e civettuolo. A Ranzo nato il pittore Pietro Guido, il pi noto rappresentante ligure di una squadra di pittori, i quali, nel millecinquecento, hanno scaldato con i loro colori, dal Piemonte alle valli di Nizza, tante chiese e santuari di montagna.Piemonte alle valli di Nizza, tante chiese e santuari di montagna.

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Terza Tappa
Borgomaro
Non la prima volta che succede: la cultura a volte ci porta fuori strada. La questione, in questo caso, divertente e complicata, in quanto a portarci fuori strada proprio una strada, la notissima statale 28 del Col di Nava. E un bel caso. Uno pensa che la valle del torrente Impero segua questa strada, dritta verso nord. Invece il torrente, quasi allinsaputa, fa una bella curva dopo Chiusavecchia e risale per una valle che la cultura della viabilit ha reso laterale. Questo il potere delle strade diritte! Noi comunque svoltiamo e seguiamo il fiume e la sua antica strada tortuosa, la quale non ci porta a perdere nellintrico di valli e monti, in quanto, a lungo andare, ci porta in Valle Argentina, meta superba, o nellalta Valle Arroscia, che non da meno. I malintesi sui nomi non sono ancora finiti, perch invece che Valle Impero questa si chiama Valle del Maro. Chi ci vuole confondere le idee? Tutto si spiega quando veniamo a sapere che il termine Maro riguarda un ramo dei Conti di Ventimiglia che governavano da queste parti. Adesso possiamo andare tranquilli a Borgomaro, nella Valle del Maro, dove scorre il torrente Impero che nasce lass, dal Monte Grande, luogo famoso di lotte partigiane. Finalmente un po dordine! A Borgomaro vale la pena fermarsi. Si sente subito che questa la valle delle acque, come testimoniano perfino i numerosi lavatoi, veri monumenti, i quali, non si sa perch, e pi ancora delle fontane, esprimono una particolare devozione allacqua, della quale esaltano la purezza, la musica continua, il sentore di vita in movimento. Lacqua ha attirato frantoi e mulini e, anche adesso che le loro grandi ruote sono ferme, sembra che il loro gocciolare sia ancora nellaria, come lodore delle olive spremute. Siamo capitati giusti. Questa la Valle dellImpero. Come spesso in Liguria, i fondovalle ricavano il proprio fascino dallombra, dal suolo profondo, dove tutto il buono sembra essere disceso dai monti che infatti sono rimasti spogli, pieni di vento, spirituali. A guardare bene, in alto, questa una valle di grandi e famosi pascoli, con le caselle di pietra a secco, primordiali, che insegnano lorigine della volta e dellarco. In paese le volte e gli archi di pietra si presentano evoluti, esperti nelle soluzioni architettoniche, per cui lintera valle risulta un bel libro di lettura, dai principi elementari ai calcoli raffinati.

Aurigo
Ci vuole poco per entrare in un altro mondo. Basta andare ad Aurigo, a due passi, dove dalla poesia dellacqua si passa alla poesia dellaria. Aurigo ha il dono del sole, dallalba al tramonto. Pu sembrare strano, ma dove c lo splendore della luce, gli uomini hanno costruito i ripari per lombra, come dimostrano tutti i paesi della Liguria montana, con vicoli che sembrano grotte artificiali, forse in memoria di ripari antichissimi, modelli di difesa e di raccoglimento. Un esempio insigne di come la luce si sposa con lo scuro labbiamo nella chiesa di SantAndrea, accanto alla quale, candidamente intonacata, si erge un meraviglioso campanile di pietra colore del ferro, robusto e incerto, come i primi passi di un bambino che non cadr, ottimo manuale per muratori che non ci sono pi.

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Quarta Tappa
Chiusanico
A Chiusanico troverete ci che vi aspettate, ma anche il suo contrario. Vi attende una sorpresa, che il motivo di ogni viaggio. Per scoprire di che si tratta dovete prestare attenzione a tanti piccoli indizi, sparsi per il paese. Potete iniziare visitando la chiesa di Santo Stefano: sul sagrato a risseu (il mosaico a ciottoli bianchi e neri tipico di Genova) sono disegnate delle caravelle, con la fatidica data 1492. Ma che centra lAmerica con Chiusanico? Entrate in municipio e la spiegazione sar pi vicina: vi attende infatti un busto in terracotta di Cristoforo Colombo. Se ancora non avete risolto il rebus, meglio che usiate i piedi anzich la testa: andate direttamente in via Colombo, al n. 8. Una piccola targa vi fornir la risposta: quella la casa dove nacque lo scopritore delle Indie Occidentali. Come ogni storia che si rispetti, anche in questo caso ci vuole una buona dose di fiducia e immaginazione. Perch in giro per il mondo ci sono tante case native di Colombo: a Genova, a Cogoleto, a Cuccaro Monferrato, a Piacenza, a Terrarossa, a Bettola. Altri storici e linguisti lo fanno nativo della Spagna e forse anche marrano e forse anche sefardita. Vera o falsa che sia, la storia di Cristoforo Colombo da Chiusanico comunque divertente. Si pu immaginarlo bambino, mentre guarda il mare da lontano, uno spicchio blu allorizzonte con i monti innevati alle sue spalle. Possiamo vederlo salire di corsa lungo un sentiero fino a Torria e fermarsi a contemplare il fondovalle, fingendo di trovarsi sulla tolda di una nave. Il Colombo di Chiusanico non n scienziato, n navigatore, n mercante. Il Colombo di Chiusanico un esploratore sognante e il suo mare uno spazio di libert, fantasia e speranza, perch questo il mare per chi vive nelle valli. Ora voltate le spalle alla leggenda e dedicate la vostra attenzione a Chiusanico: ammirate le sue belle case di pietra, gli oliveti sparsi dappertutto, il santuario della Madonna della Visitazione e lo splendido dipinto su questo tema di Domenico Piola. Prima di partire, per, volgete gli occhi improvvisamente verso il mare: talvolta accade che lantico blu indichi la direzione dei sogni.

Chiusavecchia
Di Chiusavecchia corre lobbligo di parlare, non fosse altro per colmare un vuoto. La bellezza del paese, infatti, ingiustamente trascurata. Anche le bibbie rosse del viaggiatore, quelle guide imponenti che richiedono pi tempo per leggerle che per guardarsi intorno, non ne fanno praticamente menzione. Sar forse per questo che a Chiusavecchia hanno dedicato una via ad un misterioso poeta pellegrino. Approfittando del vantaggio di non sapere chi fosse, ci si pu divertire ad immaginarlo. Noi ce lo figuriamo con una mantella nera, un berretto rotondo di feltro e un robusto bastone di castagno, buono per camminare ma anche per offendere e difendere. Girava per i paesi della valle Impero e dellArroscia, accompagnato da un cane un po randagio e un po bastardo. Si guadagnava il pane, facendo poesia a seconda delloccasione: per matrimoni, feste laiche e sacre, compleanni, fidanzamenti e magari pure funerali. Ma cosa avr cantato di Chiusavecchia, il nostro aedo? Noi scommettiamo che avr raccontato dei mulini, quelli ad acqua, invece di quelli a vento. Avr messo in poesia gli ulivi che sono dappertutto da queste parti, come una ossessione, come una benedizione, al punto che c pure un santuario dedicato alla Madonna dellUliveto. C da credere che abbia cantato anche della pietra locale, che da queste parti fa belle le case, le terrazze, i ponti. Al suo posto noi avremmo cantato anche della bella chiesa parrocchiale di San Biagio e di San Francesco di Sales, in stile barocco e con il suo bel campanile a cipolla, ma chiss se avr fatto in tempo. Questa insomma, la nostra proposta. Ma adesso tocca a voi, trovare la vostra poesia di Chiusavecchia. Daltra parte risaputo che la bellezza negli occhi di chi la guarda.

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Quinta Tappa
Dolcedo
Dolcedo non si visita, Dolcedo si legge. Dovete sfogliarne le pagine, come se aveste sotto gli occhi un piccolo, intelligente e denso manuale di architettura. E un piccolo compendio dellarte di costruire dellentroterra, con le sue cose grandi e i piccoli trucchi del sapere artigiano. Troverete il topos dei caruggi, stradine strette tra le case e spesso coperte, che fanno somigliare i paesi dellentroterra a fortezze o alveari. Alzando gli occhi scoprirete lestetica della praticit nei loggiati (detti altane), aperture ad arco utilizzate come essiccatoi ma capaci di dare respiro alle abitazioni. A Dolcedo, che un paese di fiume, larchitettura dialoga con lacqua. Per capirlo basta dare unocchiata alla Palazzata, linsieme di case a schiera unite senza soluzione di continuit, che si affaccia sul Prino, quasi a contemplarlo. E prestate attenzione ai cinque ponti che collegano le diverse frazioni, tra cui il Ponte Grande, con la sua unica arcata a sesto acuto. Opera grande certamente la chiesa di S. Tommaso, la pi vasta e ricca dellintera valle, in stile barocco, progettata da uno dei tanti architetti della dinastia Marvaldi, che nel XVII secolo erano gli architetti di grido della zona in fatto di edilizia religiosa. Dato che larchitettura , anche, una sorta di testimonianza, pensate comera Dolcedo nel 1600: si contavano allora ben 4.000 abitanti. Contrappunto armonico di tanta arte aulica delledificare sono le piccole ingegnosit del costruire, per scopi agricoli o civili. Tra queste vi consigliamo di andare a cercare le pre garbe, le pietre bucate, che servivano da supporto per i pali. Le pre garbe, poste in posizioni aggettanti, costituivano una sorta di aggancio e venivano usate per molteplici scopi: per inserire i pali dei vitigni, per tirare una rete negli uliveti, per i pergolati delle case patrizie. Testimonianza del genius loci di Dolcedo sono anche i cas, costruzioni rettangolari in pietra caratterizzate da tre arcate centrali sulle quali poggiavano le piccole travi di quercia che sorreggevano il tetto di ardesia. I cas, che ospitavano le greggi brigasche, costituiscono un umile simbolo della capacit adattiva dellarchitettura allambiente, perch consentivano di realizzare alti tetti pur non avendo a disposizione il legname adatto allo scopo, che era sostituito dalla pietra, da queste parti molto abbondante.

Vasia
Di Vasia, pi che dire, abbiamo da domandare. Anche questa, se ci pensate, un modo per offrirvi un aiuto per il vostro viaggio. In questo caso, al posto delle risposte, trovate delle domande. Il che, se un po vi dar disturbo, vi costringer anche allattenzione e allarte di interrogare. Dato che non vogliamo tirare troppo la corda, meglio partire dalle questioni semplici. La prima domanda sorge spontanea ed molto evidente: perch quel campanile? S, proprio quello della chiesa di S.Antonio Abate che vi si para subito davanti agli occhi. Noi abbiamo, forse, scoperto che dellinizio dellOttocento e che il suo costruttore fu un capomastro svizzero di nome Monti. Ma sul perch labbiano fatto cos alto misura 49 metri, il pi alto della valle non abbiamo trovato nessuna risposta. Il consiglio allora di provare ad interrogare la gente del posto, perch di sicuro qualcuno avr una spiegazione, magari legata alla vanit del capomastro, o forse allo scioglimento di un voto, o forse ad una questione di campanilismo. Se avete trovato la vostra risposta e se la sfida vi appassiona, saliamo di livello. Le domande a dire il vero sono tante e dipendono tutte dal dipinto La sacra famiglia di Antoon Van Dyck. A noi risulta che nel 1624 il celebre pittore fiammingo dipinse questo famoso quadro su rozza tela, donandolo alla chiesa di SantAnna di Vasia. Se avete voglia provate a scoprire se vero (perch alcuni lo attribuiscono al suo collaboratore Jan Roos) e provate anche a chiedere dove si trova adesso (perch a noi risulta che sia stato trasferito nella chiesa di Moltedo). Soprattutto provate a chiedere che diavolo ci facesse da queste parti un pittore tanto affermato e frequentatore delle corti europee e perch abbia deciso di regalare ad una sperduta chiesa il suo dipinto. Lultima domanda quella pi infida, perch in apparenza pi facile ma in realt decisiva. Provate a chiedere perch lolio di queste parti cos buono. Ma non preoccupatevi se non trovate risposta: solo lassaggio vale da solo tutto il viaggio.

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Sesta Tappa
Pietrabruna
Sentieri di pietra. Cos potrebbe chiamarsi questa tappa di Olioliva continua. Che la pietra sia protagonista lo preannuncia anche il nome che avete sotto gli occhi: Pietrabruna, che pare debba il suo nome proprio al colore dei sassi con cui stata edificata. Daltronde la pietra con il passare degli anni e dei secoli si nobilitata. E diventata il simbolo di un sapere artigiano che ha saputo adattare il suo fare alle condizioni economiche e alle caratteristiche dellambiente. Questa notoriet si deve, in parte, al suo diventare inattuale. Solo quando si smesso di costruire le case e i ponti e le chiese con i sassi ci si resi conto della bellezza e dellintelligenza di questo edificare con semplicit. Si potrebbe anche dire che i sassi sono diventati belli con il cemento, che li ha sostituiti quasi per intero nelledilizia. Tutto ci darebbe un senso anche alla bruttezza di tante costruzioni degli anni 60 e 70, che proliferano anche in questa lembo di Liguria: sarebbero come lombra che mette in risalto la luce in certi violenti quadri caravaggeschi. Comunque non preoccupatevi, perch a Pietrabruna troverete pi che altro segni di bellezza. Di pietra la chiesa di S. Gregorio, edificata nel XII secolo. E in stile romantico che, se ci pensate, quello che meglio si adatta ad essere edificato con i sassi, che ne esaltano la semplicit e sobriet della trama. Pure di sassi sono molte case e palazzi, come gi tante altre nei dintorni. Pi specifici sono invece i portali in ardesia sormontati da bassorilievi ed epigrafi: andate a cercarli, perch non ne troverete molti altri esempi altrove (Taggia e Triora permettendo). Il percorso petroso non per sufficiente per conoscere Pietrabruna. Dovete cercare da voi il sentiero invisibile dei profumi e dei fiori. Potete scegliere litinerario nostalgico, evocato dalla lavanda, che qui fu, per lungo tempo, una delle coltivazioni principali. Oppure potete incamminarvi lungo sentieri pi attuali, cercando i colori degli anemoni e dei ranuncoli che in molti coltivano da queste parti

Taggia
Per Taggia non facile trovare un perch. Non per mancanza, ma per eccesso. Forse dobbligo partire dalle taggiasche, per spiegare il motivo del viaggio. Quindi va bene partire dalla chiesa romanica di Santa Maria del Canneto, eretta tra il X e il XII sec. Li accanto troverete un uliveto storico, simbolo dellintroduzione da parte dei benedettini della coltura dellulivo nel Ponente Ligure e testimonianza di una delle pi riuscite sintesi della regola dell ora et labora, su cui si fonda la vita monastica dellordine. Laltro motivo del viaggio , anche qui, la pietra. In particolare lardesia, che in antico era il materiale per eccellenza dei portali della Liguria. Fate un giro per il centro storico per apprezzare la qualit degli scalpellini che per secoli si sono alternati nel lavorare questa pietra nera, resistente e liscia al tatto come un velluto. Girando per Taggia potete comprendere a fondo lintima natura contrastata di questo entroterra, in cui luce e ombra sempre si alternano. Cos in natura, dove il chiarore che viene dal mare lotta con loscurit di oliveti e boschi, cos nelle citt, in cui i borghi si stringono, si ritorcono su se stessi e si vestono a nero per sfuggire agli eccessi di una luminosit che toglie profondit e rilievo. Sempre di pietra, ma non di ardesia, il ponte medievale a 16 arcate che attraversa il torrente Argentina: anche questo vale, quasi da solo, il vostro viaggio. Lultimo motivo quello pi importante. Anche questo legato ad un ordine, questa volta quello dei Domenicani, che qui hanno costruito nel XV secolo uno dei conventi pi belli e importanti di tutta la Liguria. Il linguaggio, ancora una volta, quello dellassenza e della presenza. Di ci che resta e di ci che stato e viene evocato. Leleganza della facciata della chiesa a conci bianchi e neri e la raffinatezza delle opere darte (del Canavesio e dei Brea) raccontano del passato glorioso di Taggia che, grazie allattivit di questo convento, fu per tre secoli il centro culturale e artistico della Riviera di Ponente. Daltra parte, per capire a fondo la bellezza di questalternarsi di pieni e di vuoti che la storia e la natura dellentroterra, sufficiente che passiate nel convento e che passeggiate allombra della luce sotto le colonne di pietra nera del chiostro del XV secolo.

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Settima Tappa
Badalucco
Questa tappa vorremmo dedicarla al narrare pi che al viaggiare. Allarte del raccontare, che tesse tra loro cose diverse e fatti distanti. Alla letteratura, che rende tangibile lincredibile e che rende inutile distinguere il vero dal falso. Di cose rare e di racconti strambi, infatti, ne incontrerete parecchi, visitando Badalucco e Castellaro. Pu capitarvi, per iniziare, di incontrare i saraceni, mentre gustate lo stoccafisso di Badalucco preparato con specifica e rinomata ricetta locale. Perch unantica leggenda narra che proprio le scorte di stoccafisso permisero agli abitanti del paese di resistere al lungo assedio dei saraceni e di passare al contrattacco. Lepica guerresca daltronde ben radicata da queste parti. Ne sentirete gli echi visitando i ruderi del castello di Campo Marzio, fortificazione bizantina sorta presumibilmente su antichi ruderi romani. Il mito locale, posto sul confine tra cronaca e favola, racconta che in questi boschi nel II secolo a.C si svolsero le battaglie decisive tra popolazioni liguri e i romani, al termine delle quali tutta la Liguria di Ponente pass sotto lorbita romana. Anche il centro storico di Badalucco sembra costruito apposta per farsi racconto. Tra le cose notevoli del paese ci sono, infatti, le cinque antiche porte del borgo fortificato e i due ponti sopra il torrente Argentina. Le cinque porte sono altrettanti punti di vista diversi per conoscere il paese, sono cinque incipit diversi per intraprendere un percorso di scoperta. E cos i due ponti che servono, anche, per collegare le storie diverse che il paese stesso vi invita ad inventare. Non preoccupatevi se, di solito, non siete capaci di invenzione. Qui a Badalucco facile trovare ispirazione. Potete prendere spunto dai tanti artisti che qui hanno disseminato, lungo la strada, opere darte ed intuizioni. Qui infatti troverete streghe arrampicate sui palazzi, come nel murales che vi invitiamo a cercare. Altrove saranno le ceramiche, appese nel museo e nelle vie del paese, a scatenare la vostra immaginazione. Fate per attenzione al racconto che inventate, perch narrando pu anche capitare di equivocare. Ne sanno qualcosa Umberto Eco e suo figlio Baudolino. In quel romanzo ricorreva infatti il nome badalucco, per indicare, in dialetto alessandrino, una persona sciocca. Da queste parti se ne sono accorti e anche un poco, giocosamente, risentiti. Cos hanno scritto al semiologo nazionale chiedendogli cortesemente di rettificare, il che prontamente avvenuto Affinch non sia mai pi detto spregiativamente che quel tizio un badalucco!

Castellaro
A Castellaro hanno eretto un santuario allarte di narrare. Il santuario, in realt, dedicato alla Madonna di Lampedusa. Vi chiederete il perch di Lampedusa e ricevendo risposta capirete anche il nesso con la letteratura. Secondo la leggenda inizi, infatti, a Lampedusa lincredibile avventura di Andrea Anfosso, capace di fuggire dalla prigionia saracena e di fare ritorno via mare a Castellaro. Se gi il felice compimento della vicenda profuma di letteratura, perch sarebbe stato catturato negli anni sessanta del millecinquecento e avrebbe fatto ritorno a casa ai primi del seicento, le modalit del viaggio entrano di diritto nella pura leggenda. Anfosso avrebbe attraversato millecinquecento miglia di mare con una imbarcazione ricavata intagliando un tronco e sarebbe scampato alle navi lanciate al suo inseguimento usando come vela un dipinto della Madonna, che il Signore gli avrebbe fatto apparire di fronte agli occhi a Lampedusa, per indicargli mezzi e modi della fuga. Fatto salvo il diritto (e forse il dovere) della fede di credere lincredibile, la vicenda di Anfosso ha molto da insegnare sulla forza del narrare. Intanto perch il santuario, nato sulla base di questa leggenda, esiste realmente, come reali furono gli sforzi degli abitanti di Castellaro per erigere questo monumento alla buona fede. Poi perch ricorda la capacit del racconto di assimilare verit e finzione, narrando del tormento per gli atti di pirateria dei saraceni, degli scontri tra genti e religioni. Infine perch questa leggenda il simbolo della forza dellinvenzione, che sulla base di pochi fatti sa ricostruire un mondo: la tela del santuario, in effetti, sembra proprio essere originaria di Lampedusa. Adesso che avete imparato la forza della narrazione, visitando Castellaro provate anche voi a ricostruirvi un vostro mondo e una vostra, personale, leggenda. Magari partendo da Don Antonio, romanzo patriottico di Giovanni Ruffini in parte ambientato presso il Santuario di Castellaro. Ma questa, si sa, ancora un'altra storia

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Baiardo
Baiardo un paese di fantasia. Almeno ci piace pensarlo cos, come una sorta di riscatto dello spirito dal terribile terremoto che nel 1887 fece tanti danni, in parte ancora visibili. La fantasia si esprime nella festa della barca, un rituale unico in tutto il Ponente e che dest lattenzione anche di Italo Calvino. La festa rimanda ad una leggenda amorosa dal finale tragico, che vede coinvolti tre giovani figlie del conte di Baiardo e altrettanti giovani pisani. Della storia non vogliamo raccontarvi troppo, per non togliervi il piacere di ascoltarla dalla gente del luogo. Ma vi consigliamo di andare a vederla, nel periodo pentecostale, per stupirvi del grande pino spoglio piantato nella piazza principale, per ammirare le ragazze in costume che a girotondo cantano i loro tre canti, damore, nostalgia e dolore. Di fantasia anche il personaggio pi noto di Baiardo, quellAntonio Rubino 1880-1964 diventato celebre disegnatore di fumetti. Rubino, con il suo stile liberty e floreale, collabor dapprima con i giornali di trincea che nella prima guerra mondiale dovevano offrire conforto e svago ai soldati al fronte. In seguito lavor per il Corriere dei Piccoli, inventando una trentina di personaggi, concepiti e disegnati come fantocci, tra i quali il pi celebre forse Quadratino. Fu anche autore di tre cartoni animati: il paese dei ranocchi, crescendo Rossiniano e i sette colori.

Ottava Tappa
Ceriana
Ceriana una paese invisibile, anche se osservandolo non ve ne accorgerete. Direte che, al contrario, fatto con solide mura, con un impianto a chiocciola di stampo medioevale, da cui affiora ancora la roccia arenaria su cui il paese edificato. E citerete a testimonianza il vostro viaggio tra viuzze e mulattiere, lungo il quale avete incontrato le sue chiese e i suoi oratori. Eppure la bellezza, a volte, invisibile agli occhi. E il caso di Ceriana, che il paese del canto. I protagonisti di questo canto sono i cori, la cui storia legata ai festeggiamenti della Madonna della Villa. Nel paese si contano sei cori, ognuno con uno stile di canto e una composizione particolare. Hanno un vasto repertorio, che spazia dai canti sacri e profani cerianesi e ponentini, alle laudi e agli antichi inni dellufficio latino, ai Miserere, ai pi tipici canti "D'osteria" sino ad arrivare alle filastrocche delle voci bianche. Ma la musica a Ceriana anche la Banda Musicale che fu fondata nel 1882 e che accompagna le ricorrenze civili e religiose del paese. Se tornerete in occasione di una delle feste liturgiche, scoprirete improvvisamente anche i colori nascosti di Ceriana: sono i neri, verdi, rossi e azzurri delle mantelline che identificano lappartenenza alle antichissime confraternite. Le confraternite presenziano alle feste con il loro stendardo, le torce e le croci, ma rappresentano anche un punto di riferimento essenziale per l'organizzazione di feste profane e sagre gastronomiche.

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Nona Tappa
Perinaldo
Perinaldo lo capisci con gli occhi rivolti verso il cielo. Se ti metti in ascolto scoprirai che tutto il paese parla da secoli con i pianeti e con le stelle. Tra i tanti, ha una speciale relazione con Saturno. Attorno al gigante gassoso ruota una sonda, lanciata dalla Nasa nel 1997, che ha percorso tre miliardi e mezzo di km per arrivare a destinazione. Cassini il nome della sonda e questo il segreto che la unisce al nostro piccolo paese. Gian Domenico Cassini, nato nel 1625 a Perinaldo, fu infatti un astronomo illustre. Svel misteri legati agli anelli di Saturno e alla Grande Macchia Rossa di Giove. In paese, nel castello di Maraldi, trovi ancora la camera dellastronomo dove trascorse la giovinezza, il museo cassiniano che ne racconta la vita e le scoperte e un piccolo ma attivissimo osservatorio astronomico a lui dedicato. Un giusto riconoscimento per una famiglia che per tre generazioni, a partire da Gian Domenico fino ad arrivare al pronipote, diresse losservatorio astronomico di Parigi. Guarda le stelle, ma non dimenticarti del sole. Lo devi guardare attraverso il foro gnomonico della Chiesa della Visitazione. Li c una meridiana a camera oscura, che consente rilevazioni sul movimento apparente del sole e sulleclittica. Lhanno costruita di recente i perinaldesi ed stata completata nel 2007. Anche questa dedicata ai Cassini, rifacendosi a quella realizzata da Gian Domenico a San Petronio a Bologna e quella costruita nel 1702 a Santa Maria degli Angeli a Roma da suo nipote Filippo Maraldi. Queste meridiane antiche servirono per provare il movimento della terra intorno al sole. La meridiana della Visitazione ti ricorda che un paese lo conosci solo con gli occhi della memoria. Perinaldo lo conosci con lo sguardo rivolto a terra. Ci trovi infatti dei carciofi insoliti, privi di spine e con una decisa sfumatura violetta. Sono i cugini del violet provenzale e la leggenda vuole che le piantine doltralpe siano state portate qui direttamente da Napoleone, di passaggio nel 1796. Unici per aspetto e area di coltivazione, sono stati eletti a presidio Slow Food e sono celebri per croccantezza, profumo e delicatezza

Castelvittorio.
A Castelvittorio puoi osservare larte della guerra. Sun Tzu per non centra nulla. Centra invece una trasformazione, per una volta gentile, imposta dal tempo. Castelvittorio nasce infatti nel medioevo come borgo fortificato, in posizione strategica sulle direttrici per la Francia e per il Piemonte. Smarrita lungo i secoli la valenza militare, la collocazione sulla collina e i vicoli stretti, alti e coperti sono diventati segni di notevole bellezza. Da difensivo il genius loci si fatto creativo, con ladozione di alcune soluzioni insolite e brillanti. Davvero originale , ad esempio, il riutilizzo come sedili dei capitelli di ardesia nera della vecchia chiesa. E altrettanto estrosa la costruzione, nettamente separata dalla chiesa, della torre campanaria, che termina in una cupola a cipolla con i colori di Arlecchino. Diventato amante dellarte dellinvenzione, Castelvittorio si regalato nel passato un crocefisso ligneo del Maragliano, collocato nella parrocchiale di Santo Stefano. Il pi scenografico degli scultori barocchi genovesi, famoso per sue opere lignee, trova nelle pieghe ritorte dei vicoli di questo paese una sua perfetta collocazione. E se ancora non conoscete lAnton Maria Maragliano, questa visita pu essere loccasione per iniziare una lunga frequentazione. In tutta la Liguria e il Basso Piemonte sono disseminate infatti sue sculture, presepi e soprattutto le imperdibili casse e crocefissi processionali.

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Apricale

Decima Tappa
Dolceacqua
Anche se la centoseiesima canzone del Petrarca (chiare e fresche e dolci acque) nulla ha a che fare con il toponimo, Dolceacqua poesia fatta paese. E, come accade per i versi, per essere compresa richiede il suo tempo. Per visitarla occorre quindi partire da fermi, seduti allaperto in uno dei bar del borgo antico adagiato ai piedi del castello. In mano, pi che la penna, vi consigliamo di tenere un bicchiere del famoso Rossese di Dolceacqua, primo Doc della Liguria. Questo vino rosso rubino, dal sapore corposo e dal profumo fragrante, infatti il migliore compagno per il vostro percorso di scoperta. Dalla vostra comoda postazione noterete subito che Dolceacqua, con la sua compiuta bellezza, si presta bene allindugiare dello sguardo. Laveva gi capito Monet, passato da queste parti nel 1833 in compagnia di Renoir. Del suo passaggio restano tre quadri che, in fondo, hanno lo stesso soggetto, anche se ritratto con inquadrature differenti: quel ponte a schiena dasino che ancora oggi potete osservare e che limpressionista francese defin, giustamente, come un gioiello di leggerezza. Ora che avete rilassato mente e cuore potete iniziare ad inoltravi per le vie strette di Terra (il nome dellantico borgo). Anche qui vi raccomandiamo un andamento lento, un po per godere i piccoli dettagli dei vicoli stretti (gli archetti pensili, i passaggi coperti, ecc ) un po per non stancarvi eccessivamente, dato che il paese si arrampica sulla collina tracciando cerchi concentrici e disegnando percorsi labirintici. Ma se vi perdete, non dovete preoccuparvi: anche smarrirsi, da queste parti un esercizio di poesia.

La tentazione della gerarchia un vizio irresistibile. Il discorso vale anche quando si parla della bellezza, della quale si dovrebbe apprezzare la variet, piuttosto che dedicarsi ad esercizi di tassonomia. E tuttavia non c turista che nel suo girovagare rinunci allinnocente piacere di stilare la sua personale classifica dei luoghi pi amati. Rinunciando in un sol colpo alla diplomazia e allipocrisia, abbiamo perci deciso di dichiarare cosa realmente pensiamo di Apricale: lui il modello, lui il pi bello. Sapendo che, come ogni questione inerente il gusto, conta pi la sensazione che la ragione, proviamo per a proporvi qualche motivazione a supporto della nostra preferenza. Anzitutto assegniamo un bel 9 allaspetto. Ci piace, in particolare, la conservazione pressoch perfetta delloriginario impianto medievale, con il castello sulla cima e le case che scendono a gironi concentrici lungo il crinale. Il 10 invece lo riserviamo per il portamento. Di Apricale, infatti, ci piace il modo di andare. Ci hanno sedotto le tante erte e le scalinate strette, le rampe a gradoni, i passaggi coperti, le piccole piazzette e i vicoli dall'andamento irregolare. Un voto speciale, almeno un 8, anche alla presenza e alla prontezza. Apricale infatti non si seduto sulla propria bellezza. Nel tempo ha saputo rinnovarsi ed inventare forme nuove di seduzione. Negli ultimi decenni ha stretto in affettuosi abbracci artisti nazionali e internazionali, allestendo mostre importanti e ospitando prestigiose rappresentazioni teatrali allaperto. Come ogni seduttore che si rispetti, Apricale ha ricevuto regali e omaggi: per questo che trovate i murales sulle facciate delle case e le pitture e le sculture ad impreziosire il castello e gli angoli del borgo.

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