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C. Moreschini (Universit di Pisa)

LINTERPRETAZIONE DI ES 3. 14 NELLA TEOLOGIA DEL CRISTIANESIMO ANTICO


Il passo famoso di Esodo 3.14 attribuisce a Dio, nel testo dei Settanta, la definizione di +o @wn: questa traduzione dallebraico al greco considerata esatta dagli studiosi, i quali, attualmente, preferiscono renderla con: Io sono colui che sono. Ma nel cristianesimo antico era pi frequente questa: Io sono colui che , ed entrambe sono valide dal punto di vista della sintassi greca. La definizione di Dio come +o @wn, presente nellEsodo, fu ripresa dalla Sapienza di Salomone (13.1) e dall Apocalisse di Giovanni (1. 4, 8; 4. 8), la quale amplia la frase in colui che fu e che sar, e costitui un modello per la teologia cristiana successiva. Ma nel periodo antecedento a quello in cui si stava diffondendo il cristianesimo tale definizione fu rielaborata anche dalla cultura ebraica dellet ellenistica. Il pi famoso rappresentante di essa fu Filone di Alessandria, il quale nella prima met del I secolo interpret la Scrittura sulla base del platonismo: naturalmente, Filone non adoperava la dottrina di Platone, ma quella che era stata interpretata ai suoi tempi nella forma che gli studiosi del secolo XX attribuivano ad Antioco di Ascalona (I sec. a. C.). Filone presenta alcune volte quellinterpretazione di Es 3.14: ecco alcuni passi. Fra le virt, quella di Dio sussiste davvero dal punto di vista ontologico, poich anche Dio il solo che resti saldo nellessere. Io sono Colui che fa comprendere che le realt a lui inferiori non sono, dal punto di vista ontologico, veri e propri esseri, bens sono considerate sussistenti soltanto dallopinione corrente (Quod deterius potiori insidiari soleat 160). Non vedi che al profeta desideroso di sapere quale risposta debba dare a coloro che vogliono conoscere il Suo nome, Egli dice: Io sono Colui che ? Questo equivale a: la mia natura di essere, non di essere nominato (De mutatione nominum 11). Queste parole significano inserendosi nella filosofia ellenistica che il nome di Dio non pu essere pronunciato: Filone, quindi, trova una corrispondenza tra la filosofia platonica e quello che volevano gli Ebrei. Ma, sempre alla maniera della filosofia greca, Filone sia in quel passo sia altrove (De somniis I. 231) afferma che, poich luomo non in grado di conoscere nessuna qualit di Dio, almeno pu conoscerne lesistenza. Questo significa introdurre la distinzione, divenuta costante nei secoli successivi, tra esistenza ed essenza. Daltra parte queste considerazioni di Filone (la cui importanza nellambito della filosofia greca appare ai nostri giorni sempre pi grande) si inseriscono nella tradizione platonica. Infatti gi Platone, in un passo famoso del VI libro della Repubblica (509b), aveva collocato il bene al di sopra dellessere, mentre Aristotele aveva considerato possibile considerare dio come un intelletto. Alcuni filosofi del neopitagorismo (I secolo a. C. I d. C.) avevano sostenuto che il primo principio superiore sia allintelletto sia allessere. Successivamente e cio negli anni posteriori a Filone, ma contemporanei al primo diffondersi del cristianesimo per primo Plutarco aveva considerato il primo dio non come trascendente allessere, ma identificabile con lessere assoluto e lintelletto (de E 391F-392A; 393A-B; de Is. 371A); nel secondo secolo d. C. il platonico Celso, invece, aveva collocato il suo dio al di sopra dellintelletto e dellessere, stando a quanto si legge nel Contro Celso di Origene (VII. 45). Questa oscillazione, questa tensione tra la concezione che Dio sia lessere in senso assoluto, secondo linterpretazione di Es 3.14, o sia al di sopra dellessere, si incontra in tutti i platonici cristiani. 1. Clemente di Alessandria ricorda una frase del medioplatonico Numenio (II sec. d. C.), secondo il quale Platone sarebbe stato un Mos che parlava attico (cf. Stromata I. 22,150, 4). Numenio, probabilmente, aveva interpretato sia lAT sia il NT seguendo un metodo che era analo-

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go a quello di Clemente e di Origene, cio allegorico. Ora, questo interesse di Numenio per la cultura ebraica (ma non per quella cristiana) si manifesta anche nel fatto che in un passo (framm. 1617 des Places) egli definisce dio come +o @wn. E un passo di un ignoto scritto ermetico, citato da Lattanzio (Divinae institutiones I. 6. 4), si riferisce a dio con le parole +o @wn _an)wnumoq, cio colui che privo di nomi, perch i nomi definiscono, e quindi limitano, dio. Ai tempi di Clemente questa interpretazione di Es 3.14 era diventata, quindi, canonica; in Stromata V. 34. 4 lo scrittore presenta uninterpretazione del tetragramma sacro degli Ebrei, che sarebbe simboleggiato dalle quattro colonne che si trovano allentrata del Santo dei Santi. Il nome di Dio si pronuncia Iahv, che sinterpreta Colui che e colui che sar: la frase di Clemente riprende molto probabilmente laggiunta di Apocalisse 1. 4, 8, alla semplice espressione colui che , cui sopra abbiamo accennato. In Clemente incontriamo la maggiore propensione del cristianesimo verso la filosofia greca; Origene, che pure non fu meno interessato di lui alla filosofia, ebbe, per, varie incertezze ad impiegarla. Clemente si rivolge perci alla filosofia anche per discutere la problematica delluno e dellessere, che, presente nella filosofia greca, era per rimasta fino ad allora sconosciuta al pensiero teologico cristiano: in Stromata V. 81. 5-82. 1 si legge: Come potrebbe essere esprimibile Dio non sarebbe corretto chiamarlo il tutto: il tutto implica grandezza, mentre Dio il padre di tutti gli esseri. N si dovrebbe parlare delle sue parti: luno non soggetto a divisioni, e perci infinito. Deve essere concepito non come inspiegabile, ma come privo di dimensioni e illimitato; pertanto senza forma e senza nome. Come ha mostrato il Whittaker, il primo passo basato sulle conclusioni delle prime due ipotesi del Parmenides di Platone, che si contrappongono luna allaltra: mentre Dio, il Padre, identificato con luno della prima ipotesi, che non pu esser oggetto di conoscenza n di scienza (Parmenides 142A), il Figlio riceve gli attributi positivi delluno della seconda ipotesi, in quanto oggetto della conoscenza (Parmenides 155D) ed anche luno-tutto (Parmenides 145C, cf. 144B). Il passo applica a Dio (il Padre) alcune importanti connotazioni negative dell uno della prima ipotesi del Parmenides: Dio inesprimibile (Parmenides 142A), non intero e non ha parti (Parmenides 137C-D), infinito (Parmenides 137D), senza forma e senza nome (Parmenides 137D; 142A). Ma gi due secoli prima il neopitagorico Moderato aveva affermato che, mentre il primo uno al di sopra dellessere in questo modo egli interpreta il non essere della prima ipotesi del Parmenides (142A) il secondo uno lessere assoluto, intelligibile, ed anche la totalit delle idee. Di conseguenza, secondo Clemente, il Padre superiore al Figlio: il Figlio il pi alto fra gli esseri, la totalit degli esseri e lidea platonica dellessere, ma non trascendente e ineffabile. Clemente, con queste affermazioni, preannuncia la filosofia di Plotino, il quale sostiene che Platone, nel Parmenides, distingue il primo uno, o uno assoluto, dall uno-molti (Enneades V. 1. 8). Tuttavia non facile conciliare il Dio dellAT con luno del Parmenides: Filone si era gi trovato di fronte a questa difficolt, per cui era ricorso alla interpretazione allegorica (cf. De posteritate Caini 14; De mutatione nominum 7). Nella misura in cui cristiano e pensatore biblico, Clemente non pu far altro che affermare la Trinit e luguaglianza delle tre Persone, mentre, in quanto filosofo, non pu immaginare che luno puro e luno molteplice siano equivalenti. Ma la molteplicit rappresenta una discesa in tutte le sue tappe. Questa una tendenza interpretativa che porter allarianesimo, e che si manifesta nel modo pi chiaro nellosservazione di Fozio (Bibliotheca 109), secondo il quale Clemente ipotizzava lesistenza di due Logoi, quello paterno e quello immanente. Il Logos incarnato sarebbe, dunque, molto inferiore allaltro. Insomma, il Logos in quanto molteplice pu essere afferrato dallintelletto umano, mentre in quanto unit divino. Impostata da Clemente, la alternativa uno / essere non pu pi essere elusa. Secondo Origene, il Padre lessere stesso, o meglio, al di l dellessere. Origene cita lopinione di Celso in Contra Celsum VI. 64 e si sofferma su questa problematica, asserendo che partecipano allessere coloro la cui partecipazione conforme al Logos di Dio. Tuttavia, pi frequentemente troviamo in Origene che Dio no^uq o primo no^uq. Inoltre, il primo no^uq il principio di tutte le cose, e quindi principio, causa, fonte, demiurgo o padre. Origene interpreta Es 3.14 in un contesto filosofico, secondo il quale la natura immutabile di Dio espressa rettamente dal nome +o @wn (Commentarii in evangelium Joannis XIII. 21. 123). Origene (Contra Celsum VI. 18) cita il passo della seconda epistola pseudo-platonica che fa riferimento ai tre re e paragona il re universale al Dio di Isaia e Ezechiele, il cui viso e i cui piedi sono coperti dai Serafini e che si trova al di sopra dei Cherubini. Latteggiamento di Origene nei confronti del re universale quindi lo stesso di Clemente, e non si

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allontana sostanzialmente da quello di Plotino (sia per Origene che per Plotino il re universale corrisponde al sommo Dio). Qual il rapporto tra Dio, lessere e lintelletto? Dio superiore allintelligenza e allessere o deve essere identificato con queste due realt? La questione si pone anche in un passo del Contra Celsum VI. 64, e le due soluzioni vengono prospettate in un altro passo di questopera (VII. 38): diciamo che il Dio universale unintelligenza oppure al di sopra dellintelligenza e dellessere. Il Padre, come il dio di Celso, come Dio secondo Filone e Clemente, ma non come il dio degli apologeti greci, assolutamente sconosciuto alla ragione umana (Contra Celsum VI. 65). Se assolutamente trascendente e ineffabile nella sua unicit, al Figlio spetta, invece, la molteplicit, pur allinterno della natura divina, che egli possiede non diversamente dal Padre. Poich si incarnato, il Figlio non uno. La subordinazione del Figlio al Padre un concetto che ha gi una forte presenza in Clemente, e Origene la deduce dalla filosofia platonica contemporanea, che sosteneva lesistenza di un secondo dio, ma era comune anche a delle tendenze assai pronunciate nel cristianesimo dei primi secoli, fino a concludersi nella dottrina di Ario. Il Figlio ha la funzione di Logos intermediario tra il Padre e la creazione, e questa funzione concepita come una manifestazione di inferiorit. Origene riprende questa concezione in unampia sezione dei Commentarii in evangelium Joannis I. 20, 22, facendo ricorso alla Scrittura e osservando le numerose denominazioni con cui il testo sacro definisce il Figlio: sapienza, logos, immagine di Dio, splendore etc. Ognuno di questi titoli esprime, quindi, un diverso aspetto del manifestarsi del Figlio di Dio al mondo, cio della sua funzione di intermediario (I. 2. 1). Di conseguenza, pur restando uno nella sostanza (De principiis IV. 4. 1), Il Figlio sapienza, in quanto luogo delle idee secondo le quali venne creato il mondo (I. 2. 2) (questa una concezione che si trova gi in Filone, secondo il quale le idee si trovano nel Logos di Dio, e nei filosofi medioplatonici); logos, in quanto interpreta e rivela i disegni di Dio (I. 2. 3); verit e vita di tutto ci che vero e vive (I. 1. 4). Il Figlio, pur caratterizzato dalla trascendenza, percorre tutto il mondo e lo conserva in vita, come fa lanima cosmica secondo i platonici dellet imperiale (II. 1. 3; I. 2. 9). Ogni essere razionale partecipa di lui, in quanto il Figlio Logos e principio della razionalit (I. 3. 5-6). Tale partecipazione si manifesta anche come conseguenza della interpretazione di Dio come colui che (Commentarii in evangelium Joannis II. 96-98): Ora, per noi che ci vantiamo di appartenere alla Chiesa, colui che pronunzia queste parole (Es 3.14) il Dio buono, ed a lui che il Salvatore allude, rendendogli gloria, con queste parole: Nessuno buono, se non Dio, il Padre. Quindi il Buono si identifica con Colui che . Ora lopposto del buono il male o il malvagio; lopposto di Colui che il non-essere: ne consegue che ci che cattivo e ci che malvagio sono non-essere. Pertanto tutti coloro che partecipano a Colui che (e i santi vi partecipano) si possono a buon diritto chiamare esseri; coloro invece che hanno rifiutato la partecipazione a Colui che , essendo privi di essere, diventano non-esseri (cf. anche Commentarii in Romanos IV. 5). Origene considera il sommo bene come il primo dio e chiama il Figlio secondo Dio, per mostrare le differenza tra lui e il Padre (cf. Contra Celsum V. 39; VI. 61; VII. 57; Commentarii in evangelium Joannis II. 10. 70; VI. 29. 202; De principiis I. 3. 5). Il primo unico ed ununit e una singularitas, una terminologia, questa, che di origine pitagorica e quindi meraviglia non poco in un pensatore cristiano come Origene. Lunit assoluta di Dio sottolineata da Origene in De principiis I. 1. 6: Dio una natura semplice e intellegibile, una monade, e per cos dire, una enade, un intelletto e la fonte da cui prende inizio tutta la natura intellettuale e la mente (intellectualis natura simplex, mon)aq, et ut ita dicam, +en)aq, et mens ac fons, ex quo initium totius intellectualis naturae vel mentis est). Questi termini, come semplicit, unit e monade erano correnti anche in Filone e in Clemente di Alessandria. Dopo Origene, la interpretazione di Es 3.14 nel senso di io sono colui che ripresa e ampiamente spiegata nella Cohortatio ad Graecos dello Pseudo Giustino, che fu scritta nella seconda met del III secolo. Lautore precisa, nella maniera tipicamente cristiana, che Mos avrebbe detto che Dio +o @wn, mentre Platone aveva detto che t9o 2on (Cap. 22): nello stesso modo Atenagora (Legatio sive Supplicatio pro Christianis 7) aveva respinto laccusa di ateismo mossa contro i Cristiani, asserendo che essi non credono in un ye6ion impersonale, come i pagani, ma nel vero Dio.

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noto che la distinzione tra +o ye)oq e t9o yeon, anche se non ovunque osservata, manifesta la differenza tra mentalit greca e religione cristiana. Secondo lo Pseudo Giustino, Platone avrebbe tratto da Mos la sua concezione di dio come essere: egli lavrebbe appresa durante il suo viaggio in Egitto, il paese nel quale Mos era a lungo vissuto e in cui aveva insegnato. Ma, una volta tornato ad Atene, Platone non avrebbe manifestato pubblicamente quanto aveva appreso dalla religione ebraica, perch temeva di essere punito dallAreopago; avrebbe, comunque, esposto la sua nuova convinzione nel Timaeus, l dove distingue tra lessere che esiste sempre, e non possiede la nascita, e quello che nasce sempre e non propriamente mai: appunto, avrebbe chiamato t9o 2on quello che Mos aveva definito +o @wn. Il problema viene ripreso dopo lintervento di Plotino e la organizzazione della sua dottrina delle ipostasi originarie. In particolare, Gregorio Nazianzeno, il teologo, ad approfondire la questione: Gregorio di Nissa non mostra un particolare interesse per lesegesi di Es 3.14, ed in Basilio se ne trova una, non molto approfondita, ma tradizionale, in Adversus Eunomium II. 18. Gregorio, quindi, riprende la discussione, tenendo conto della speculazione di Plotino, che lo aveva preceduto. Dopo avere a lungo parlato della inconoscibilit della natura di Dio, il Teologo conclude dicendo che di Dio si pu affermare solamente che esiste (Oratio 30. 18): orbene, basandoci su quello a cui possiamo arrivare, colui che e Dio sono, in certo qual senso, i nomi soprattutto della sostanza divina, e, di questi, lo soprattutto colui che e noi cerchiamo la sua natura, grazie alla quale il suo essere in s e per s e non legato ad alcuna altra realt; lessere, invece, realmente specifico e tutto intero di Dio, non limitato n troncato da niente che lo preceda o lo segua, ch un tale essere non esiste. Altrettanto aveva detto Plotino, ma, come logico, a proposito del Nous, e non a proposito dellUno: dopo aver tolto ogni cosa e non dicendo su di lui niente e non asserendo, sbagliando, sul suo conto, niente, come se qualcosa fosse presso di lui, si lasciato solamente il termine (Enneades V. 5. 13). E chiaro, per (e Gregorio non manca di rilevarlo in Oratio 25. 17), che lessere di Dio non la stessa cosa dellessere nostro. Questa affermazione giustifica, quindi, in quanto la trasforma in un contesto cristiano, una dottrina di puro sapore neoplatonico che doveva esser ben nota negli ambienti colti del quarto secolo e che Gregorio fa sua in Oratio 6. 12: Dio lessere pi bello e pi sublime, a meno che uno non preferisca collocarlo anche al di sopra dellessere o porre in lui tutto quanto lessere, dal quale lessere derivato agli altri. Questa affermazione ricca di contenuto filosofico: Dio al di sopra dellessere, come avevano di gi detto Origene e, soprattutto, Plotino; ma noi crediamo che laffermazione vada intesa con un significato cristiano: lessere di Dio qualcosa che al di l dellessere che la nostra umanit ci abitua a concepire; inoltre, possiede in s tutto lessere e da Dio deriva lessere per tutte le altre cose. Questa affermazione, che Dio possiede in s tutto lessere, si spiega in quanto Gregorio ha attribuito a Dio le caratteristiche dellIntelletto di Plotino: anche per Plotino, infatti, lessere si trova nella seconda ipostasi, mentre lUno, appunto perch anteriore allIntelletto, viene a risultare al di l dellessere. Ma il passo dell Oratio 6 va collegato con altri di non minor significato teologico, che uniscono strettamente leternit allessere di Dio: non nel senso che Dio eterno (che sarebbe troppo banale), ma nel senso che leternit si pu concepire solo se riferita a una totale pienezza dellessere. Ora, questa interpretazione pi profonda della eternit e del tempo, totalmente nuova di fronte alle definizioni tradizionali che collegavano il tempo semplicemente al movimento degli astri, una rielaborazione plotiniana del concetto di eternit che Platone aveva formulato brevemente nel Timaeus 37D. Ed ecco i passi di Gregorio: Dio sempre era ed e sar; o meglio, sempre . Infatti l era e il sar sono porzioni del tempo che riguarda noi e della natura sottoposta allo scorrere; Dio, invece, sempre, e questo il nome che egli d a se stesso (Oratio 38. 7) egli abbraccia e possiede in se stesso tutto lessere, che non ha avuto inizio n cesser, come un mare di essere infinito e illimitato (Oratio 38. 8). Gregorio ribadisce, dunque, leterno essere ora di Dio: la frase Dio sempre era ed e sar, va colta in tutta la sua pregnanza; essa corregge lespressione pi usuale e banale per sottolineare che Dio sempre. Per questo motivo, Dio (il quale colui che , come pi volte si detto) si distingue dall essere ora parziale delle nature che nascono e periscono. L essere ora di Dio consiste nel fatto che Dio possiede in s tutto lessere, quasi il mare dellessere. escluso, quindi, in Dio il futuro, poich non si pu verificare il momento in cui Dio abbia qualcosa che non ha gi ora, men-

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tre il passato e il futuro si possono applicare solamente alle nature corruttibili. Linfinito essere ora di Dio leternit; l essere ora, limitato, della natura corruttibile il tempo, definito in maniera tradizionale da Gregorio come movimento del sole. E lespresisone il mare dellessere sar ripresa da Giovanni Damasceno nel De fide contra Nestorianos e da molti mistici medievali, anche in Occidente, dopo che lopera del Damasceno fu tradotta in latino. Sulla stessa linea aveva ragionato Plotino, il quale, dopo aver ribadito (III. 7. 1) lusuale attribuzione della eternit alla natura eterna e del tempo alla natura che nasce e perisce, aveva, per lappunto, assegnato la eternit al mondo intelligibile, in cui si trova la pienezza dellessere, con lesclusione assoluta del futuro (III. 7. 3-4), non potendosi concepire, per il mondo intellegibile, una esistenza alla quale venga ad aggiungersi successivamente qualcosa che prima non aveva. Particolarmente significative per il nostro assunto sono le parole di Plotino (III. 7. 3): pertanto quella realt che non era e non sar, ma solamente , quella realt che possiede immobile lessere in quanto non trapassa nel sar e non trapassata, ebbene, questa realt leternit. Pertanto la vita che intorno a quella realt che nellessere, la vita tutta insieme e intera e piena senza differenze, divine proprio quello su cui stiamo indagando, leternit. E non bisogna credere che questa eternit si sia aggiunta dallesterno a quella natura, ma che sia quella natura e che derivi da quella e sia con quella. Da tali parole si ricava che ci che sempre, con lesclusione del passato e del futuro, leternit; daltro canto, lessere eterno non significa altro che lessere realmente (III. 7. 6): infatti lessere realmente il non essere mai e il non essere in alcun altro modo; ma questo significa essere sempre allo stesso modo; ma questo significa lessere senza differenziazioni. Pertanto lessere non possiede questa e quella cosa; di conseguenza non possibile che una cosa sia lessere, unaltra lessere sempre e cos lessere possiede il sempre e ci che possiede il sempre, cosicch si pu dire: ci che sempre. Di conseguenza bisogna intendere il sempre nel senso che viene detto come ci che realmente , e bisogna raccogliere il sempre nella natura indifferenziata che non ha affatto bisogno di niente, oltre a quello che gi possiede; e daltra parte essa possiede il tutto. Al contrario, per Plotino (III. 7. 11 ss.), il tempo, quale immagine delleternit, era legato alla vita dellanima (e Agostino rielabora lassunto plotiniano); il tempo non il metro del movimento degli astri, ma lindicazione dei processi vitali dellanima cosmica. Verisimilmente Gregorio non poteva accettare la dottrina dellanima cosmica, mentre quella dellIntelletto poteva rientrare, con gli opportuni adattamenti, in una concezione cristiana. Ma non tutti erano in grado di seguire il ragionamento, cos astratto e, insieme, mistico, di un Plotino e un Gregorio Nazianzeno. Nel secolo successivo la idea che Dio debba essere il vero essere, e non al di sopra dellessere, si ripresenta. La Historia philosophiae di Porfirio serve a Cirillo, nella Contra Julianum imperatorem, per sostenere la sua tesi, che le dottrine di Platone concordano con le dottrine cristiane, per cui la sostanza dellessere divino giunge fino a tre ipostasi, e che il dio sommo il Bene; dopo di lui e come secondo, vi il demiurgo, terza lanima del mondo. Fino allanima, infatti, proceduta la natura divina. Di conseguenza, Cirillo vede in questa triade di Porfirio una corrispondenza con la Trinit cristiana: lo Spirito Santo lanima del mondo secondo Platone, perch lo Spirito d la vita e procede dal Padre, che vivo attraverso il Figlio, e in lui viviamo e ci muoviamo e siamo (cfr. At 17. 28); lo dice anche Cristo: lo Spirito, che d la vita (Gv 6. 63). 2. Nelloccidente la interpretazione del nome di Dio si trova a partire da Novaziano, il quale il primo a citare Es 3.14. Per incontrare una pi ampia discussione sul problema bisogner attendere lo sviluppo del platonismo cristiano, con Mario Vittorino, quindi Agostino, soprattutto, e poi Boezio. Per Plotino, la seconda ipostasi ununit della diversit, diversit che rimane distinta e comprensibile proprio perch non unit. Per Porfirio, invece, e quindi anche per Mario Vittorino, lUno movimento che identifica le opposizioni senza annullarle (cfr. Contra Arium I. 49. 17-40; la stessa concezione si trova nellanonimo autore del In Platonis Parmenidem commentaria II. 91V). Questo significa identificare, appunto, lUno con lessere, e pertanto Porfirio, con questa sua interpretazione, costituisce uneccezione nella tradizione neoplatonica: se Dio essere e insieme non essere, pensiero e insieme non pensiero, sono legittime sia la teologia positiva sia la teologia negativa, che infatti sono utilizzate entrambe da Agostino. Secondo Agostino, Io sono colui che indica il modo in cui Dio chiamato e il vero nome di Dio; il versetto inaugura la tradizione medievale dell essere stesso come contrassegno di Dio (In Ioannis epistulam tractatus XXXVIII. 8. 10; De civitate Dei VIII. 11).

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Lesegesi agostiniana, quindi, basata su un concetto tipicamente plotiniano, quello dellimmutabilit eterna e della libert dal divenire (cfr. Sermones 6. 3. 4; 7. 7; Enarrationes in Psalmos 38. 7). Allessere di Dio non manca niente, esso non paragonabile allessere delle cose create, che sono quasi nulla (De Trinitatem II. 5. 9; IV. 17. 23; Enarrationes in Psalmos 9. 7; 38. 7-8; 38. 22; 39. 9; 101. 2. 10; 121. 6). Lessere il nome di Dio (Enarrationes in Psalmos 101. 2. 10). Da una parte, questa totalit dellessere sembra pensata come pura e assoluta identit priva di determinazioni, dallaltra la tradizione neoplatonica impone alla sostanza divina di essere unit relazionale, esseremovimento, unit nella differenza e nonostante la differenza. Ora, Plotino ha applicato questa prerogativa alla seconda ipostasi, non allUno. Pertanto le rationes, cio le idee, sono presenti in Dio (Confessiones XI. 9. 11), ma non si annullano in lui, conservano la loro determinazione senza perdere la caratteristica dei loro contenuti differenti (Confessiones I. 6. 9). DallIntelletto di Plotino e dallUno di Porfirio (che, come si detto, si identifica con lessere) deriva, dunque, ad Agostino il concetto di Dio-Uno inteso come pienezza dellessere, non unit astratta, ma ricchezza di tutti i contenuti. Questo Dio contiene la ricchezza dellessere, la totalit delle forme platoniche, che sono nel Verbo (De Genesi ad litteram V. 16. 34). Cos, nella Epistola 147, egli dice che alcuni intelligibili sono omnia in uno sine angustia; in De Trinitatem si trova la locuzione unum omnia o unus omnia sia per indicare le tre Persone nella Unit (VI. 10. 12) sia per indicare gli intelligibili nel Verbo (VI. 10. 11; cfr. De civitate Dei IX. 10. 13). Nella Epistola 14 la stessa locuzione indica lunit degli intelligibili in Dio, presenti specificamente, ma insieme riuniti nellUno. Daltra parte, la stessa locuzione unum omnia proprio la traduzione letterale dellespressione plotiniana che indica la vita dellIntelligenza (Enneades II. 6. 1. 8-9; III. 3. 7. 9; V. 8. 9. 2-3). LUno-Dio di Agostino pu, dunque, essere conosciuto, a differenza dellUno di Plotino (e questo vale anche per i neoplatonici cristiani). Agostino ammette, infatti, la possibilit di conoscere Dio e quindi di parlare di Dio, per quanto sempre frenata da proposizioni che sono solo in parte positive, ma che non sono mai una semplice espressione di apofatismo, un invito alla mistica dellineffabile: cfr. De vera religione 30. 56; De Genesi ad litteram IV. 14. 23; De Trinitatem VI. 4. 6; Epistola 169. 2. 7; De civitate Dei XI. 10. 3; XII. 19. La natura di Dio deve essere conosciuta, anche se per via negativa: questo il significato della visione di Ostia. Cos, Agostino non attribu alla teologia negativa una funzione esclusiva: essa non lunica conclusione a cui deve ricorrere la conoscenza del divino, ma costituisce la preparazione e la premessa di questa conoscenza. Cos, noi sappiamo quello che Dio non , per poi giungere a conoscere quello che (De Trinitatem VIII. 2. 3; V. 1,1; Enarrationes in Psalmos LXXXV. 12; De doctrina christiana I. 6). Il Gilson ha affermato che, per Agostino, vi un Dio soltanto, e questo lessere; questa affermazione costituirebbe la pietra angolare di tutta la filosofia cristiana, e non sarebbe stato Platone, e nemmeno Aristotele che lavrebbe posta, ma Mos. Ma se i Cristiani hanno scoperto nellEsodo lidentificazione di Dio con lessere assoluto, proprio perch i Greci avevano fatto conoscere questa concezione dellessere assoluto, come osserva P. Hadot. Agostino probabilmente debitore a Porfirio a questo proposito. Lo si pu, dunque, considerare come uno dei fondatori di quella che Beierwaltes suole chiamare ontoteologia. Le conseguenze fondamentali della identificazione di Dio con lessere sono state ribadite da tutti, e lo stesso Agostino non ha niente di nuovo da dire a questo proposito. Loriginalit di Agostino nei confronti degli altri Padri latini stata quella di unire la ontologia alla soteriologia: Dio ha rivelato a Mos non solamente il suo nomen substantiae, ma anche il suo nomen misericordiae. Dio il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. A tal proposito il Beierwaltes sostiene che Agostino ha inaugurato una teologia dellEsodo, mentre la sua speculazione sul nomen substantiae rimane sotto linflusso della filosofia greca. Un agostiniano nutrito di pensiero pagano Boezio. Nel Contra Eut. et Nest. (3. 250-252) troviamo unaffermazione interessante. Innanzitutto, Dio il primum esse, cio lessere al massimo grado: la differenza tra la realt divina e la realt materiale (una ovvia distinzione per un platonico) si legge in Boezio anche nel De arithm. I. 31. Anche in Boezio, quindi, nel neoplatonismo cristiano il concetto platonico di essere unito a quello biblico di Es 3. 14, interpretato nel modo che oramai conosciamo. Che il primo principio possegga lessere al massimo grado , infatti, concezione, che risale a Porfirio (Sententiae ad intelligibilia ducentes 39) e che abbiamo gi visto sopra in Agostino: Al contrario, dellessere vero e immateriale, di per s esistente, i predicati sono: persevera sempre in se stesso, identicamente uguale, sostanzializzato nellidentit, immutabile

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nellessenza, semplice, indissolubile, non in un luogo n disperso in una massa, non nasce e non muore, e quanti altri predicati sono simili a questi. Successivamente linsegnamento di Porfirio passato in Mario Vittorino, Contra Arium II. 4; IV. 19 e 20. Vale a dire, poich questo essere primo senza legami, esso , per eccellenza, sostanza: Dio soprattutto essere e sostanza. Pertanto il passo di Boezio di stampo porfiriano, filtrato attraverso lelaborazione di Agostino. Ed un ulteriore risultato della dottrina dellessere lasserzione che lessere coincide con luno. Boezio lo afferma in Contra Eut. et Nest. (4. 296-301) e nella Consolazione (III. 11. 36-37), ove dice: Infatti lessere e luno sono interscambiabili. Anche le cose che sono formate da una molteplicit, come un mucchio e un coro, sono comunque un uno. A questo si collega il concetto che dallessere di Dio derivi lessere di tutte le cose: per esprimere questa dottrina nel Contra Eut. et Nest. Boezio impiega il termine proviene (proficiscitur), in Hebdom. il verbo discese (fluxit) (cf. 136. 142. 149), oppure portare avanti (producere) (140145), nella Consolazione (III. IX. 19) il verbo fare avanzare (provehere, che deriva probabilmente da Proclo, Commento al Timeo I. 27). Con essi Boezio vuole evitare di ricorrere al concetto, cosi poco neoplatonico, di creazione. Cos lo scrittore afferma che Dio fons rerum (Consolazione III. IX. 4-6; I. 6. 11; III. 12. 1 ss.; IV. VI. 43; V. 3. 27) e che il rerum principium (Hebdom. 114115). Ma anche questa affermazione si riscontra in Mario Vittorino: Che cosa quello da cui tutto deriva? Dio (Lettera di Candido 3). O, analogamente, poiche dal primo principio deriva lessere di tutte le cose, Dio la prima causa (Lettera di Candido 1); la omnium causa (Gen. div. verb. 3. P. 134. 1; 6. P. 138. 3; 12. 13; 18. P. 156. 9 e 10-11); la causa principalis (Contro Ario I. 3. P. 196. 23). Dunque, leredit che sulla base del passo dellEsodo, il cristianesimo antico aveva lasciato al Medioevo, greco e latino, proprio questa: Dio lassoluto esistente, la pienezza dellessere, o, l dove si manifesta pi forte la tendenza allapofatismo, anche al di sopra dellessere.
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Ch. Tommasi Moreschini (Universit di Pisa)

IL DIBATTITO SUL COSIDDETTO MONOTEISMO PAGANO TRA FONTI ANTICHE E INTERPRETAZIONI MODERNE
ben noto come, presso gli strati colti della societ nella prima et imperiale, la nozione di un dio supremo, trascendente rispetto alla moltitudine degli altri di, aveva gradualmente guadagnato terreno, sotto la spinta di movimenti di ispirazione platonico-pitagorica e stoica, ed anche, in parte, dal contatto con alcune forme di religiosit orientale, in particolare del culto di Iside o Mithra, ed anche del Giudaismo e del Cristianesimo: di qui linteresse mostrato dagli studiosi nei confronti della possibilit o meno di rintracciare nel mondo pagano forme pi o meno latenti o rudimentali di

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