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Fischi di carta

Maggio 2013 Numero 6

Poesia di cinque giovani fischianti

Editoriale
Il poeta Enrico Testa ha definito questa prima pagina uno spazio di auto-definizione, definizione (tanto per bisticciare un po') sulla quale vorrei soffermarmi. In questo spazio di poche righe noi fischianti abbiamo tentato fino ad ora di spiegare ai lettori cosa che spinge ognuno di noi a scrivere ed stato necessario farlo data l'eterogeneit di questo progetto che sono i Fischi di Carta. Il momento iniziale , come dire, la messa nero su bianco dell'ordinato riferimento, del punto della situazione compiuto nel momento di un'analisi che ci porta a farci domande. Nel momento storico in cui ci troviamo la ''definizione'' di se stessi una richiesta, un'esigenza da parte di ogni termine posto nella nostra vita: amici, societ, famiglia, scuola etc. L'uomo si definisce, ne ha l'assoluta necessit; chiaramente nei ruoli (figlio, amico, fidanzato e cos via) ma questa definizione di s travalica anche la funzione momentanea di ciascuno. Le definizioni, gli inquadramenti che riguardano il nostro essere o modo di comportarci o di pensare ci piovono addosso da ogni angolo e non abbiamo ombrelli con cui ripararci da essi: secchione, hipster, montato, metallaro, depresso, poeta, tamarro etc. Ecco, credo che oggi l'ansia di definizione abbia raggiunto dei massimi quasi detestabili diventando il correlativo di una chiusura di pensiero: oggi ricerchiamo la fissit, sorgono dei quadri di inserimento attorno a noi e in essi tentiamo di identificarci di trovare le definizioni, appunto, che facciano dire ''Io sono cos''. Questa una frase che ho sempre detestato, nessuno ''cos'', perch spesso dire questo significa dire ''non posso fare nulla per cambiarlo, cos'' e precludersi quindi al cambiamento il quale, per me, la condizione basica della vita. un po' la vecchia storia tra Eraclito e Parmenide, scorrere o stare fermi, muoversi o fissarsi, e qual meglio? Certamente non ho le pretese di enunciare verit dalle piccole righe di questa rivista, posso solo limitarmi a dire la mia ed invitare ogni lettore a riflettere su ci. Nel numero scorso ho scritto ''La vita in movimento'' ovvero un tour de force nel fiume della vita, un esserne immersi come lo si nell'acqua quando si nuota e muoversi con essa, che la trasposizione poetica di quanto sto dicendo ora. Il punto che io credo, su una scia Sveviana, che il meglio sia non fissarsi, essere tutto e il contrario di tutto perch tutto quello che veramente possiamo essere anche con una certa dose di incoerenza. Pu sembrare banale ma non lo : congelarsi significa togliersi opportunit e quello che voglio dire , anche e sopratutto in nome della letteratura, che il nostro compito primario in quanto giovani quello di non fermarci, di non abbandonare ''la vita in movimento'' ma aprirci sempre alle esperienze, non alla Dorian Gray in un tentativo di sperimentazione del tutto quasi fine a se stessa ma per raggiungere una pi piena consapevolezza con il costante esercizio della curiosit. Il pericolo che sento quello di iniziare a subire la realt passivamente, senza domande, senza ricerca e sto parlando proprio riguardo al livello pi basso, il concreto e contingente: chiedersi come funzionano le cose, perch sono fatte in un modo o in un altro, un'analisi totale, insomma, della realt e di noi stessi che ci svincoli dal dire ''io sono cos e non cambio'' aprendoci ad un'aderenza vissuta che di volta in volta pu verificarsi o meno a seconda di ci che riteniamo opportuno. Lo stesso Socrate dice che una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta e se, come dice Qoelet nell'omonimo libro del Vecchio Testamento, non possiamo contare le cose che non conosciamo allora dico: non abbandoniamo la nostra anima scientifica, l'interesse, la curiosit e la voglia di scoprire. Ho detto di affermare ci in nome della letteratura perch, come Calvino e Vittorini nelle idee del Menab, credo ch'essa abbia e debba avere un'anima scientifica oltre a quella estetica: fin dai tempi di Omero infatti si incaricata di ''raccontare verit'' e questo quello che desidero faccia di nuovo oggi. Si badi che non intendo con ci ridurre lo scrivere a mero spalmarsi sul reale, l'anima scientifica letteraria chiaramente diversa da quella che appartiene all'ambito propriamente scientifico: qui ci vuole creativit, fantasia, genialit! E queste vengono dalla sorpresa, dallo stupore. Perci stupiamoci ancora per quello che vediamo, per le scoperte che facciamo, immergiamoci nella vita in movimento e scopriamo con meraviglia quali oggetti e persone la popolano. Se vero, come abbiamo detto l'altra volta con Fortini che ''non sempre giovinezza verit'' io dico con Jos Saramago che ''La giovent non sa quel che pu ma la maturit non pu quel che sa'' e se cos , se non sappiamo quanto possiamo, allora cari lettori, lanciamoci. Alessandro Mantovani

Fischi di Carta

Fitte
Ho sentito per la strada l'odore che c'era in casa di tua nonna le prime notti sussurrate quando mi stringevi i polsi fremente. Ti ritrovo a volte epifania tra le pieghe annodate dei miei giorni, come un capello sceso nel boccone per guastarne il nutrimento. Altre volte sei invece riferimento per le suture della memoria, che tirano e bruciano, dopo la boria, nella solitudine fissa dell'ora notturna ricordandomi il dolore - quello per ancestrale Alessandro Mantovani

Estraneit
Da piccolo mi dicevano ch'era bello avere un ruolo. Ora vivo nel dubbio di chi sa che si pu essere ma non qualcuno. Alessandro Mantovani

Le Mani del mio Amore


Le mani del mio Amore sono fredde anche di giorno, n posson raccontare quanto di me hanno inchiodato nel tempo. Le mani del mio Amore mi vengono a cercare sotto la grigia coperta malinconica dei miei sogni, rubando il male che ho d'intorno, e sono io che non le so accettare; sfilacciano le corde del petto e, chirurghi instancabili dei sentimenti miei, mi curano di illusioni col veleno. Le mani del mio Amore mi san bucare il cuore ed il vento improvviso del cosmo scuote allora in tempesta la mia vita, stretta, salda ed imbrigliata in quelle mani che mi strappano la notte. Alessandro Mantovani

Fischi di Carta

Fermata di un coro qualunque


Il sole alto, laria fredda Tutti annuiscono, Nomi duri suonano Parole che lanciano, Perdono, depredano partenze. Parlano tra loro, parlano A se stessi. Vorrei andarmene Evocano campagne, Palazzi di vetro, trucioli di fuoco, Il lavoro vero sotto il cielo, I rami, la terra. La terra la fine del discorso. Tutti smettono di parlare. Il silenzio somiglia alla natura. Qui tra questi volti solcati Gi visti, nella verecondia Del tempo che passa, La mia bocca aperta non parla. Questi vecchi urlano spesso Cercando di parlare. Osservo e un poco Sorrido Perch il sole alto E laria veramente fredda. Silvio Magnolo

Blank
Occorre cedere alla chiarezza. Che sia piano sole O carta bianca Dove ancora Non ha imbrattato mistero E inchiostro e porpora, Il sangue dun fiore Che sorteggia le mie parole Fioche. Silvio Magnolo

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Promontorio1
I Dietro questa casa c' un piccolo colle; quando la mia anima sola vaga nella mente confusa cerco riposo fra il verde scuro e le code delle lucertole scomparse nel suolo. Non ho mai incontrato Dio. Ma sento l'essenza dell'esistere nella rondine che fischia quando incrocia lo sguardo col mio. II Per fuggire ho seguito la strada che conduce sui colli. L mi sono seduto su un muro di pietra, ascoltando soltanto una libellula muta. Nel tramonto la porta di questa piccola chiesa si chiude. Accanto pensavo al dolore e lo vedevo nell'erba irta, nel rumore che produce; poi passato un gatto, e secca, ha scricchiolato. Allora mi sono rimaste torme di fiori e stormi di uccelli lontani. Federico Ghillino (da Corrosione)

Minimo ordito di cruze sui colli di Sampierdarena, Genova.

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Darklands
Non riesco a chiudere gli occhi, non riesco a vedere nulla. Ascoltando un fruscio di corde -dimenticato, forse, tra le lacrimenel buio di cristallo morbido, offro l'eco lenta di passi notturni a questi brividi che gocciolano tra le note di un canto sottovoce. Cercando il suono di un dolore, troppo lontano per sanguinare, nel tempo scandito da un arpeggio guardo l'oscurit dipinta intorno sui muri da una vecchia lampadina, e in quei disegni intuisco storie e volti simili al mio, e diversi, che scorrono abbandonati come mostri in esilio -non c' tempo per i rifiuti della luce-: sorrido a quell'ombra, sottile spazzatura infinita della ragione che chiama per nome le parti di me. Emanuele Pon

Vetro
Ho rotto un altro specchio per avere meno da vedere, meno da scoprire di me. Con le mani che pulsavano ho pensato e atteso la sorte, senza credere che nel mio sangue; nell'angoscia lucida che raccoglievo a frammenti, vedendo pi di prima ho guardato oltre il mio riflesso: sono un altro specchio rotto, un vetro opaco o un'anima spigolosa rigata di pioggia. Emanuele Pon

Fischi di Carta

Amante
Ho vangato la vita Con il manico dellesperienza Inzuppando la camicia di sudore, Come il bucaniere ubriaco Ho riempito con perizia Il bicchiere del tuo colore. Scuro il sapore delle fossette Incavate e colme di desiderio Appena poso la zappa Del mio essere comune. Gusto dopo il dovere Il premio tosto Come per laffamato il pasto. Non ho pace, Di te berrei Ogni piccolo profilo E prima di scomparire Nelle pieghe della solitudine, Tengo a tergere ancora I miei occhi con il succo Che i tuoi connotati colora, Bagnare le ciglia di gioia Sentendoti a me vicina. Sono un illuso E domani mi rinnegherai Gettandomi nelloblio. So che dimenticherai Il vigore delle curve Degli occhi in letto. So che mi sputerai Rifiutando i minuti In cui abbiamo Teso la pelle rovente E lavato il dolore Dellessere soli. Ma non mi rassegno E pesto con furia Il vuoto della notte Cingendolo della tua compagnia. Il futuro non dimora Tra le lingue Della nostra partita, Giochiamo ora e basta. Voglio solo vederti Riflessa nelle onde Delloscurit Assaggiare il mare Del nostro orgasmo E di giorno voltare Il corpo rotto Dal volto che ci ha sedotto. Andrea Pesce

Praga
Zero come il cerchio Disegnato sulla Moldava Che ho costeggiato Con afa e brividi notturni. Ho divorato il gusto A me non usuale Di mescere la tenebra E lalba tenue Impressa sul Carlo, Mentre circoscrivevo La coscienza nella tela Di un variopinto ragno. Ero di vetro come Il vaso che ho acquistato Spalmato tra lentusiasmo Di sentirmi novit E il disagio di scorgere Le cupe cavit Di chi lamore Lo vende a carte. Tra fiumi di assenzio E musiche libere Ho ritrovato finalmente Il vero me in un parco. Seduto innanzi Ad un salice scorrevo Il tempo a plasmare La vita altrui con lo sguardo, Finch nella fretta Ho seguito lozio Duna giovane mamma Vegliare la bambina. Sono stato portato Dallamore materno Nella culla in famiglia, Finalmente Ho ristabilito alle cose Il loro vero valore Mosso dallebano Morbido e caldo Del suo tenero sguardo. Andrea Pesce

Fischi di Carta

Le poesie dei lettori


Come vi sarete accorti dai numeri precedenti, questa settima pagina uno spazio duttile ed eterogeneo. Malgrado ci, pur mantenendo questa sua flessibilit, ci piacerebbe da questo numero in poi creare una rubrica in cui accogliere poesie di altri autori che noi conosciamo direttamente o che si manifestano contattandoci. L'idea nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti, quindi, ringraziando tutti coloro che senza timore si sono mostrati, speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci! Questo mese vogliamo introdurvi Edoardo Garlaschi. Giovane poeta genovese, ci presenta una poesia tratta da La Voce della Notte, sua prima raccolta edita a fine 2012 per Habanero edizioni.

L'incubo di Orfeo
Il mio respiro sussurra il tuo nome. Euridice. Un nome che ferma il moto delle tenebre sotterranee. Un simbolo di dolore che mi trascina ancora sotto una Luna sporca di cenere. Mi spinge a urlare contro le pareti delluniverso. A cosa pensavo mentre le Baccanti straziavano il mio corpo? La mente vagava come uno squallido spettro verso di te pallido ricordo di una driade morta, fiore appassito tra le mani dellinverno. La tua testa invece? Separata dal cuore ha accettato di ascendere tra i timidi astri che si mostrano galleggiando nel buio. Incubo e Sogno sono la stessa divinit beffarda. Essa concede ora nettare ora sangue. Cercando come un rabdomante uno sfortunato da torturare per soffocare il tumultuoso mormorio che avanza feroce nella sua testa stanca delleternit. Edoardo Galrlaschi (da La Voce della Notte)

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Fischi di carta fondata ed animata da:


Federico Ghillino
autore di Rintocchi d'ombra (Habanero, 2011) e Corrosione (Habanero, 2013)

Silvio Magnolo Alessandro Mantovani


membro della Societ dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)

Andrea Pesce Emanuele Pon


membro della Societ dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)
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