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Università degli Studi di Trento

Facoltà di Sociologia

Corso di Organizzazione dei Sistemi Informativi


Aziendali (OSIA)
Dott. Campagnolo Gianmarco

Paper
“L’apprendimento all’uso del sistema informativo
Tra i dipendenti dell’Ateneo di Trento”

Gruppo 5 – Special MOSS:


Brunello Martina
Carollo Luca
Paolazzi Elisa
INTRODUZIONE

La scelta dell’argomento da approfondire nella nostra tesina è nata dalla consapevolezza che i
processi di apprendimento assumono un’importanza rilevante nell’introduzione e nell’uso dei
sistemi informativi. Intendiamo indagare le modalità di apprendimento e passaggio di informazioni
e conoscenze più consolidate all’interno del comparto amministrativo dell’Università di Trento, con
particolare riferimento all’utilizzo del sistema SAP, introdotto nel 2001 e affermatosi nel tempo
soprattutto nella gestione contabile del comparto amministrativo dell’Ateneo.
Lo sviluppo del sistema in questione si è caratterizzato fin dall’inizio da un lavoro di collaborazione
fra più professionisti, che si sono occupati di integrarlo in seguito con altri sistemi già in uso, per
personalizzarlo il più possibile e renderlo così maggiormente adeguato ed efficace nella risposta alle
esigenze proprie del contesto accademico.
I due interrogativi ai quali vogliamo rispondere ruotano attorno al tema del passaggio di
informazioni, introdotto e in parte approfondito in occasione delle lezioni del corso OSIA 1. Un
ulteriore spunto ci è stato fornito dalle parole del dott. Mongera (Responsabile – Direzione Sistemi
Informativi, Servizi e Tecniche Informative) durante l’intervista realizzata dal docente riguardo
l’adozione del sistema SAP da parte dell’Università di Trento:

“ […] I partner erano anche implementatori e facilitatori non solo perché conoscevano il prodotto ma
anche perché sapevano gestire il cambiamento che significa essere padroni di una metodologia, saper
gestire il progetto nelle sue varie attività e sotto attività, battere i tempi, gestire la capacità e i conflitti,
accompagnare il cambiamento delle persone […] ”

In questo estratto l’intervistato spiega l’importanza del ruolo dei partner che con la loro
conoscenza e la capacità di gestire il progetto trasmettono alle persone le competenze necessarie
per l’utilizzo del sistema informativo (“il cambiamento delle persone”).
L’obiettivo primario sarà quello di comprendere attraverso quali modalità l’utilizzo del sistema
SAP è stato insegnato dai fornitori del software agli utilizzatori e descrivere come questi ultimi
hanno appreso e interiorizzato le specifiche pratiche organizzative. Successivamente l’attenzione
si sposterà sul trasferimento di conoscenza avvenuto tra i “vecchi” utilizzatori (coloro che hanno
appreso l’uso del sistema direttamente dai fornitori del software, presumibilmente attraverso
momenti di formazione ad hoc) e i “nuovi” utilizzatori, ovvero coloro che accedono al sistema in un
secondo momento (che coincide tecnicamente con la fase di mantenimento).

1
In particolare l’articolo di G. Bjerknes, T. Bratteteig e T. Espeseth “Evolution of finished computer system – the
dilemma of enhancement”.
2
- Come gli utenti hanno appreso l’utilizzo del software SAP nella
Domande di ricerca: gestione economico-contabile?
- Come avviene il passaggio di informazioni e di competenze ai
“nuovi utilizzatori”?

L’ipotesi di fondo, che rafforza la nostra volontà di indagare questo aspetto, consiste nel fatto che il
trasferimento di conoscenze tra “vecchi” e “nuovi” utilizzatori sia spesso negativamente
contraddistinto dalla perdita di informazioni rilevanti. La parzialità di informazioni trasmesse
creerebbe dei “buchi” conoscitivi e non permetterebbe ai “nuovi” utilizzatori di interfacciarsi al
sistema con lo stesso bagaglio di strumenti e competenze di cui si sono serviti i “vecchi” utilizzatori
(in quest’ottica privilegiati nella dimensione formativa).
A tal proposito riteniamo importante trovare una risposta finalizzata a migliorare la pratica
professionale: individuare gli strumenti più idonei a documentare questo passaggio di informazioni
potrebbe essere una della vie percorribili per non incorrere nel rischio insito nel trasferimento delle
competenze, ovvero la perdita di “tasselli conoscitivi” rilevanti. Particolare attenzione va prestata ai
processi che coinvolgono la cosiddetta conoscenza tacita, la quale sappiamo caratterizzare gran
parte del sapere organizzativo. Le problematiche in questo caso emergono sia nel momento in cui
alcune informazioni vengono date per scontate e quindi non esplicitate in maniera chiara e
dettagliata, sia quando i detentori del sapere vengono a mancare (per l’effetto di pensionamenti,
licenziamenti, cambi di professione, burn-out …) generando così considerevoli difficoltà
nell’approccio concreto e nell’uso quotidiano del sistema informativo.

APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO E SISTEMI INFORMATIVI: UNO SGUARDO ALLA LETTERATURA

Una volta determinato l’argomento di interesse da approfondire, abbiamo cercato degli spunti dalla
letteratura esistente per focalizzare i concetti teorici alla base del trasferimento di conoscenze in
un’organizzazione.
Siamo partiti dalla nozione di apprendimento organizzativo e dalla difficoltà di individuare in
modo univoco il fenomeno empirico: sono le organizzazioni ad apprendere o sono gli individui che
ne fanno parte che apprendono?
Il filone a cui ci siamo avvicinati non è quello del learning organization che vede l’apprendimento
organizzativo come apprendimento dell’organizzazione, ma quello che considera l’apprendimento
organizzativo come quello operato dagli individui nelle organizzazioni. Tale apprendimento può
essere trasferito nelle organizzazioni tramite l’istituzionalizzazione. L’apprendimento di cui si parla
non è solo l’attività cognitiva che produce immagini, rappresentazioni, attribuzioni causali,
attivazioni: non è sensibile solo alle passioni umane ma anche al condizionamento sociale e
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organizzativo del pensiero e al condizionamento oggettivato nelle norme, nelle procedure, nelle
routine e negli standard. Le organizzazioni imparano codificando l’esperienza in routine, regole,
procedure, convenzioni, strategie e tecnologie che guidano il comportamento. Le lezioni accumulate
in questo modo sono rese disponibili all’organizzazione e ai suoi membri e sono trasmesse tramite
processi di socializzazione, educazione e imitazione. Le procedure operative standard forniscono
una via istituzionalizzata di conservazione della memoria mentre processi sociali e culturali più
informali servono a far circolare tradizioni e simboli nelle organizzazioni. Tuttavia non tutte le
informazioni disponibili vengono utilizzate nel processo di trasmissione collettiva: solo alcuni
comportamenti e credenze si sedimentano e vanno a costituire la memoria organizzativa, andando
poi a influenzare le strategie future.
L’apprendimento organizzativo può essere definito come «an organizational process, both
intentional and unintentional, enabling the acquisition of, access to, and revision of organizational
memory, thereby providing direction to organizational action»2.
L’apprendimento organizzativo secondo Gherardi (2004) può essere visto come una metafora che
consente di rappresentare l’organizzazione come un sistema che apprende, cioè crea, conoscenza, la
tratta, la trasforma e la istituzionalizza. Huber (1991) individua quattro costrutti correlati
all’apprendimento:
• Acquisizione di conoscenza
• Distribuzione dell’informazione
• Interpretazione dell’informazione
• Memoria organizzativa
Lo studio dell’organizational learning mantiene un’attenzione prevalente sull’osservazione e la
comprensione dei fenomeni che hanno a che fare con la conoscenza e il suo trattamento. Il risultato
dell’apprendimento organizzativo è, infatti, la produzione di conoscenza. Ciò che caratterizza
l’innovazione tecnologica attuale, secondo Castells (2000) non è la centralità della conoscenza e
dell’informazione, bensì l’applicazione di conoscenza e informazione alla produzione di tecnologie
in grado di svilupparla. Le nuove tecnologie, come per esempio i software informatici, non sono
semplici strumenti che vengono immessi in un ciclo produttivo, ma sono processi che debbono
essere sviluppati.
La conoscenza è, dunque, il prodotto principale per la maggior parte delle aziende, e in maniera
particolare per le società di software. Lo sviluppo di software è un’attività human-centered dove la
capacità, l’esperienza e gli approcci di problem solving individuali sono decisivi per determinare il
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Robey D., Boudreau M. C., M. Rose G. (2000), “Information technology and organizational learning: a review and assessment of
research”, in Accounting management and information technology, p.125-155

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livello di qualità del prodotto e la produttività dell’intero processo. Da qui nasce la necessità di
studiare in modo approfondito come le organizzazioni creano, utilizzano, mantengono e
condividono le conoscenze e i processi conoscitivi.
L’articolo “Information technology and organizational learning: a review and assessment of
reserarch”3 presenta i due principali filoni di ricerca relativi all’apprendimento organizzativo. Il
primo considera l’apprendimento organizzativo come un mezzo strumentale per esplorare e
risolvere i problemi di implementazione e per utilizzare nuove tecnologie informative nelle
organizzazioni. Il secondo sviluppa applicazioni di tecnologie informative per supportare i processi
dell’apprendimento organizzativo e della conoscenza manageriale. I due filoni di ricerca sono
strettamente collegati: prima che un’organizzazione possa usare abilmente le tecnologie informative
per supportare l’apprendimento organizzativo, devono essere implementate ed utilizzate appropriate
tecnologie. D’altra parte l’implementazione di successo delle tecnologie che permettono
l’apprendimento organizzativo dipende dalla capacità di imparare di un’organizzazione.
Il filone che ci interessa analizzare, e che possiamo collegare al nostro argomento di interesse, è il
primo: “Organizational learning about information technology”. Come detto poco sopra, questa
corrente emergente di lavori empirici utilizza l’apprendimento organizzativo per comprendere
l’implementazione e l’uso delle tecnologie informative nelle organizzazioni ed tenta di spiegare
perché esistano conseguenze divergenti nell’utilizzo delle stesse tecnologie da parte di
organizzazioni diverse.
Il punto di partenza è quello di chiedersi come le organizzazioni imparano ad utilizzare le
tecnologie informative efficacemente. L’apprendimento è collegato all’esperienza: l’esperienza
trasmessa con le tecnologie informative può migliorare la futura implementazione: essa procura una
base di conoscenze per guidare le azioni. Tuttavia alcune conoscenze pregresse potrebbero essere
irrilevanti per i problemi contemporanei e potrebbero creare barriere all’acquisizione di conoscenza
più rilevante basata sull’esperienza più recente. Le organizzazioni devono superare queste barriere
all’acquisizione di nuove conoscenze e lo possono fare attraverso diverse direzioni.
La prima modalità è quella del formal training. Salaway sviluppa un programma per migliorare
l’apprendimento organizzativo attraverso il miglioramento della comunicazione tra utilizzatori e
analisti del sistema. Questo approccio facilita lo scambio di informazioni più autentiche e di alta
qualità e produce azioni organizzative più efficaci. Il metodo assomiglia più ad un apprendimento
individuale in quanto non è detto che la comunicazione autentica sia trasferita al contesto
organizzativo dove gli individui lavorano.

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Robey D., Boudreau M. C., M. Rose G. (2000), “Information technologyand organizational learning: a review and assessment of
research”, in Accounting management and information technology, p.125-155

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Una seconda via è quella dell’action research che, secondo Argyris e Schön, è uno dei primi
strumenti per incrementare l’apprendimento organizzativo. I ricercatori tentano di migliorare le
pratiche fornendo feedback sistematici all’organizzazione. Come l’addestramento formale, l’action
research offre uno sguardo strutturato all’esperienza e dirige gli attori verso possibili scelte per
migliorare le possibilità che le tecnologie avanzate vengano implementate con successo. Gli autori
avvertono però che azioni formali intraprese per promuovere l’apprendimento organizzativo, come
il formal training e l’action research, possono inibire un apprendimento più profondo e spontaneo
realizzando così una sorta di paradosso.
In molte organizzazioni il paradosso dell’apprendimento è meno palese perché il miglioramento è
raggiunto attraverso l’apprendimento non connesso a sforzi formali. Le barriere conoscitive sono
superate attraverso un apprendimento che emerge informalmente dal contesto sociale del lavoro
(social context of learning) in cui ci sono attività situate che potrebbero rivelarsi forse più efficaci.
L’ultimo modo descritto per superare le barriere conoscitive è quello del learning from others. In
questo caso ci si focalizza, in primo luogo, sulle fonti esterne di conoscenza e sull’opportunità di
apprendimento tramite l’imitazione di altre organizzazioni che hanno già imparato ad utilizzare la
tecnologia informativa in maniera efficace. È la logica del benchmarking che significa apprendere
le best practices utilizzate da altre compagnie. In secondo luogo, una modalità di imparare dagli
altri è quella di assumere degli intermediari nel processo di apprendimento, quali consulenti e
fornitori di servizi. Attewell afferma che le istituzioni intermediarie creano e accumulano
conoscenza tecnica riguardante le tecnologie informatiche: i fornitori di servizi informatici
soddisfano le esigenze informatiche per molte aziende che sono incapaci di soddisfare le richieste
conoscitive associate all’informatica aziendale. Molte aziende dipendono, ad esempio, dai fornitori
di telecomunicazioni per superare le barriere conoscitive aziendali all’uso di Internet. La consulenza
è anche l’opzione principale per le organizzazioni per imparare senza sviluppare capacità
conoscitive interne. Le compagnie intermediarie ottengono conoscenza preziosa dall’interazione
con molte organizzazioni “clienti”. Esse accumulano così conoscenza locale/situata aiutando
diverse organizzazioni a superare le barriere conoscitive e ne ricavano una conoscenza generica che
potrebbe essere utile per altri evntuali clienti.
Dopo un periodo in cui le istituzioni mediatrici forniscono know-how tecnico circa le tecnologie
date, molte aziende sviluppano le tecnologie informative e le adattano meglio alle contingenze
locali. In questo modo le capacità di conoscenza aziendale evolvono in modo dinamico come
risultato dell’utilizzo di intermediari primariamente nella storia dell’azienda. Una volta che le
barriere conoscitive sono superate sufficientemente per muovere le capacità informatiche in

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azienda, le dinamiche dell’apprendimento organizzativo continuano: le organizzazioni modificano il
loro utilizzo delle tecnologie informative e si rendono meno dipendenti dagli intermediari.
Le ultime due direzioni sono quelle che prenderemo in considerazione per comprendere come gli
utenti dell’Università di Trento hanno appreso l’utilizzo del software SAP. Ci interessa, infatti,
analizzare come i primi utilizzatori di SAP sono stati formati dai consulenti esterni e fornitori del
servizio (learning from others) e successivamente come queste conoscenze sono state trasferite ai
lavoratori che sono entrati a far parte dell’organizzazione in un secondo momento. Il trasferimento
di conoscenze avviene in uno specifico contesto lavorativo (social context of learning) e le
tecnologie informative sono soggette a complessi processi sociali dal momento in cui sono
implementate ed utilizzate nelle organizzazioni. Esse non possono essere inserite e interpretate
senza il coinvolgimento di numerosi attori durante significativi periodi di tempo. Per questo la
metodologia che andremo ad adottare durante la nostra ricerca sarà di tipo qualitativo e cercherà di
dare voce agli attori organizzativi coinvolti, in modo da far emergere eventuali punti di forza e
limiti della trasmissione delle conoscenze utili per l’utilizzo del software SAP.

TEORIE SOCIALI DI RIFERIMENTO


Non ci interessa tanto sapere se il sistema informativo SAP è efficiente in quanto tale, quindi
prestando attenzione agli aspetti formali come dati quantitativi report o aspetti tecnologici
strettamente collegati, ma guardare ad esso considerando a pieno l’organizzazione nel quale viene
utilizzato.
Assumono in questo modo particolare importanza le competenze che costituiscono il bagaglio
informativo del lavoratore e il ruolo svolto da quest’ultimo nel processo di trasferimento delle
conoscenze. Focalizzeremo quindi la nostra attenzione alle organizzazioni da un punto di vista
sistemico, in una logica multidimensionale nel quale tentativo di considerare più aspetti, più
componenti che si intersecano..
Le teorie sociali che supportano questo metodo di indagine qualitativo trovano espressione, in
misura diversa, nei paradigmi della complessità, delle competenze, dell’apprendimento
organizzativo e nella pratica dei piani formativi aziendali.
I sistemi organizzativi sono dei sistemi complessi caratterizzati dalla molteplicità delle parti che li
costituiscono e dai continui processi di trasformazione, differenziazione, moltiplicazione delle
stesse. Le organizzazioni attraverso le loro componenti sistemiche mettono in atto quelle soluzioni e
quelle azioni capaci di garantirne la sopravvivenza e lo sviluppo, secondo una logica autopoietica
(capacità del sistema di governare i processi di adattamento e riproduzione) finalizzata a difendere
la propria identità e stabilità.

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Il problema che investe ogni organizzazione è quello di garantire a sé stessa una certa continuità;
essa perseguita attraverso la ricerca di affidabilità e di sicurezza. Una possibile modalità strategico-
operativa è quella della standardizzazione, razionalizzazione, programmazione ed elaborazione di
norme, anche se, soprattutto in un contesto a complessità crescente, non tutto può essere previsto.
Ogni processo lavorativo, ruolo, competenza, evolve trasformando le proprie componenti
caratterizzanti, in primis: tecnologia e relazioni. Le attività umane si combinano infatti attorno a
questi due elementi: da una parte la tecnologia si presta fortemente alla standardizzazione,
(nonostante sia sempre maggiore lo sviluppo di tecnologie flessibili), dall’altra le relazioni si
distinguono per la loro mutevolezza e imprevedibilità. Contemporaneamente alla differenziazione
ed allo sviluppo della tecnologia le organizzazioni hanno aumentato la rete di relazioni sia interne
che esterne, rendendo ancora più complessi i processi, le performance, le competenze e i sistemi di
integrazione delle parti.
Il paradigma delle complessità ci porta a considerare le organizzazioni come luoghi di
apprendimento (di ascolto, integrazione, adattamento), consentendo loro la crescita e lo sviluppo.
Anche il modello delle competenze, all’interno delle organizzazioni complesse, necessita di un
approccio sistemico, multidirezionale, adatto a prendere in considerazione i fattori interni ed esterni
che influenzano il ciclo di vita e di trasformazione dell’organizzazione stessa.
Per quel che concerne questo paradigma è importante prendere in esame la forte contrapposizione
teorica tra l’approccio comportamentista e quello cognitivista che si sono profondamente distinti
nell’elaborazione del significato del concetto di competenza. Il primo definisce quest’ultima come
un programma d’azione derivante da una ripetuta esposizione allo stimolo, indotta attraverso il
condizionamento operante e l’adattamento passivo dell’individuo. L’approccio cognitivista la
concepisce, invece, come un programma d’azione, esito ed espressione di strutture mentali
dell’attore stesso, delle sue capacità di elaborazione e di attivazione in autonomia.
Entrambi gli approcci concentrano la loro attenzione sulle fonti di produzione e riproduzione delle
competenze, elementi che consentono al soggetto di elaborare, sperimentare, sviluppare programmi
d’azione e di risolvere problemi complessi. Assume così il significato di un repertorio d’azione che
permette al soggetto di relazionarsi efficacemente al contesto in cui agisce. Si collegano, in
sostanza, in una dimensione sistemica più variabili:
• Le rappresentazioni cognitive del soggetto con i programmi di azione attivati di volta in
volta dal singolo in relazione al contesto in cui opera;
• I repertori tecnici e sociali dell’individuo;
• Il patrimonio interno di competenze con le prestazioni del soggetto;
• Le fonti di produzione con i luoghi di produzione delle competenze;
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• Le qualità interne con il contesto operativo.
Proprio a partire dalle suddette motivazioni non è possibile analizzare il sistema di competenze di
un individuo slegate dalle sue attività e del contesto in cui si colloca. Non basta il “sapere” perché
esista la competenza: per essere efficace esso deve essere contestualizzato.
Bisogna ricordare che ogni contesto organizzativo ha sviluppato nel tempo un proprio repertorio di
abilità operative e requisiti richiesti al professionista tese alla riuscita della performance. La
centralità che questo repertorio assume all’interno dei contesti produttivi si affianca al ruolo della
formazione, che stimola la creazione di un patrimonio adeguato di pratiche.
Il paradigma dell’apprendimento organizzativo legge le organizzazioni come sistemi che
apprendono, sistemi cognitivi in grado di produrre, riprodurre, strutturare, diffondere conoscenze tra
i propri membri: «le routine organizzative, i sistemi informativi, le competenze individuali di tutti i
membri, le tecnologie utilizzate, le comunità di pratiche sono tutti elementi che costituiscono il
capitale conoscitivo dell’organizzazione»4.
L’apprendimento si basa su pratiche di socializzazione, di produzione di senso e significati, di modi
in cui vengono distribuite le informazioni e scambiate le conoscenze tacite ed esplicite nate dalla
pratica quotidiana.
Uno degli autori che si è occupato di quest’ultimo aspetto è Nonaka; egli sostiene che, mentre le
conoscenze esplicite vengono trasmesse attraverso un linguaggio codificato, quelle implicite
derivano dalle dimensioni e dalle interazioni più soggettive, intangibili, ed è proprio per questi
motivi che il processo risulta molto più complesso. Questi scambi si articolano su più livelli:
individuale, del gruppo, dell’organizzazione e infine interorganizzativa (esterna).
Nella prospettiva di nuove forme di organizzazione del lavoro, l’apprendimento dei soggetti diventa
il nodo strategico dello sviluppo organizzativo; le forme di partecipazione e di lavoro in team
supportano tale processo, attraverso circuiti di informazione e di socializzazione più veloci e non
gerarchicamente strutturati.
I recenti orientamenti normativi e sociali hanno portato infine le aziende a strutturare i cd-piani
formativi, come strumenti di supporto alle loro scelte strategiche, che si articolano in percorsi per i
lavoratori tesi all’apprendimento di competenze. L’obiettivo è quello di colmare il gap conoscitivo
creato dall’incontro delle richieste formulate da parte dell’organizzazione e di quelle avanzate dalle
persone. L’elaborazione del piano formativo si rivela così uno strumento adatto a coniugare i
fabbisogni aziendali e quelli formativi individuali.
In questo percorso teorico abbiamo potuto notare come l’analisi della conoscenza e degli aspetti ad
essa strettamente collegati oscilli tra dimensioni oggettive, quali il contesto, i processi, i compiti, le

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Callini D. (2001), Leggere le organizzazioni, Franco Angeli, Milano, pag. 122.
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tecnologie, le informazioni, e dimensioni soggettive come le risorse personali, le motivazioni, le
potenzialità cognitive e relazionali, le conoscenze e le abilità. E’ proprio questa necessità di
integrazione che motiva e giustifica la scelta di metodi di ricerca di tipo qualitativo nel nostro
lavoro di approfondimento sul tema del trasferimento di conoscenze.

DISEGNO DELLA RICERCA

Per realizzare il nostro studio procederemo innanzitutto a individuare e circoscrivere il campo:


cercheremo informazioni sulla composizione degli uffici dell’Ateneo che si occupano della gestione
economico-contabile tramite il software SAP. Per ottenere queste informazioni pensiamo di
contattare (via e-mail) il responsabile della Direzione Sistemi Informativi (dott. Mongera) o di
ricercare autonomamente informazioni attraverso internet (in particolare attraverso il portale
dell’Università). Richiederemo ulteriori indicazioni durante gli incontri che si terranno a fine aprile
nell’ambito del corso OSIA.
Una volta stabilito chi siano gli utilizzatori del software all’interno dell’Ateneo, ovvero dopo aver
individuato quali siano gli e di quante persone sono composti, procederemo al contatto e alla
negoziazione dell’accesso al campo. Dato che ci troviamo in una fase prematura di sviluppo della
ricerca possiamo solamente abbozzare quello che sarà il nostro piano di azione e le tecniche di
raccolta dei dati che impiegheremo; si tratta in ogni caso di un disegno di ricerca flessibile, com’è
tipico degli studi di carattere microsociologico e qualitativo, che potrà in ogni momento subire delle
modifiche a seconda degli eventi e delle contingenze che si verificano sul campo.
Per indagare concretamente la modalità attraverso la quale gli utenti hanno appreso l’utilizzo del
software intendiamo condurre delle interviste semi-strutturate con alcuni degli utilizzatori; le
domande costituiranno una griglia, un canovaccio per guidare l’intervistatore sui temi d’interesse,
ma potranno essere modificate o riformulate nel corso dell’intervista stessa a seconda delle risposte
e degli stimoli forniti dall’intervistato. Abbiamo ipotizzato quelle che potrebbero essere una serie di
domande da formulare durante la prima intervista:

- Di quali competenze eri in possesso prima di iniziare questo lavoro?


- E’ stato fatto un corso di formazione? Un incontro iniziale di formazione?
- Quando entra a far parte dell’amministrazione un nuovo membro cosa succede?
- Come gli vengono trasmesse le conoscenze utili per l’utilizzo del software?
- Per quanto tempo viene seguito nella fase iniziale?
- Esiste una documentazione a disposizione dei possibili nuovi membri come guida per l’utilizzo di
SAP?
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- Cosa succede quando si riscontrano problemi/ostacoli nell’utilizzo del software?
- Esiste l’occasione di confrontarsi e di essere supportati nell’utilizzo del SAP nella quotidianità?
- In che modo è stato insegnato l’utilizzo del software SAP ai primi utenti?

L’intervista potrà essere ripetuta con più di un utilizzatore, magari approfondendo un determinato
aspetto nel tentativo di raccogliere più dettagli possibili sul tema dell’apprendimento all’uso del
software. Sarebbe a questo scopo interessante individuare un dipendente “new comers”, ovvero un
utente che sia stato da poco assunto nell’organizzatore, al fine di realizzare un confronto con le
risposte all’intervista di un utente “di lungo corso”. Prevediamo una durata dei colloqui di circa
venti minuti/mezz’ora; una volta realizzate, le interviste verranno interamente trascritte e
costituiranno la base della documentazione empirica su cui poi svolgere il lavoro di analisi.
Per aumentare la densità e la significatività dei dati a nostra disposizione abbiamo pensato di
realizzare una particolare tecnica di intervista in cui ci fingeremo un dipendente di fresca
acquisizione da parte dell’organizzazione e ci faremo spiegare da un utente esperto alcune
operazioni di base da compiere attraverso il sistema SAP. Si tratta di una sorta di intervista al sosia,
anche se la tecnica vera e propria consisterebbe nel chiedere all’intervistato di avere un sosia e di
dover mandarlo in ufficio al posto proprio e istruirlo quindi rispetto a cosa fare/non fare. 5 Abbiamo
cercato di plasmare questa tecnica secondo le nostre esigenze al fine di comprendere quali siano le
nozioni di base che vengono trasmesse ai nuovi utilizzatori, quali le operazioni primarie considerate
fondamentali e quali le principali difficoltà che si riscontrano nell’approccio al software.
Durante le interviste ci proponiamo inoltre di richiedere agli utenti di svolgere alcune delle
operazioni possibili tramite il sistema SAP, in modo da renderci conto del funzionamento del
software, della sua complessità e di eventuali nodi critici.
L’analisi della documentazione empirica verrà poi svolta secondo un criterio tematico sottolineando
gli aspetti più significativi e inattesi emersi durante il lavoro sul campo. Infine, oltre a fornire una
descrizione dei processi di trasmissione della conoscenza interni all’organizzazione, il nostro
obiettivo sarà quello di sviluppare possibili soluzioni alternative che migliorino la socializzazione
all’uso del software.

5
Bruni A. (2003), Lo studio etnografico delle organizzazioni, Carocci, Roma.
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Bibliografia:
o Bruni A. (2003), Lo studio etnografico delle organizzazioni, Carocci, Roma
o Callini D. (2001), Leggere le organizzazioni, Franco Angeli, Milano
o Castells M. (2000), La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano
o Gherardi S. Nicolini D. (2004), Apprendimento e conoscenza nelle organizzazioni, Carocci, Roma
o Huber G. P. (1991), “Organizational learning: The Contributing Processes and the Literatures”, in
Organization Science, 2, 1, pp.88-114
o Robey D., Boudreau M. C., M. Rose G. (2000), “Information technology and organizational
learning: a review and assessment of research”, in Accounting management and information
technology, p.125-155

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