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Possiamo veramente uscirne? (o non entrarci affatto?

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Abbiamo ancora tutti negli occhi le tremende immagini del maremoto che ha colpito le coste orientali del Giappone, la devastazione, la morte, la realt di una piccola e sovrappopolata isola dove un costante ed altissimo rischio sismico minaccia quotidianamente una nazione sovrasviluppata e prigioniera di un sistema economico-industriale iper tecnologizzato sino al parossismo, dove la energia spirituale profonda ed ancestrale di un popolo nobile, fiero e spartano stata deviata dopo la disastrosa sconfitta bellica del 1945 - nella direzione del produttivismo capitalistico pi estremista. Proprio perch adusi da sempre alla convivenza forzata con un elevatissimo rischio sismico i giapponesi, anche grazie - come gi detto - ad una padronanza perfetta delle tecnologie pi avveniristiche e a un innato spirito comunitario e di disciplina, hanno da tempo sviluppato sistemi avanzati nella previsione dei terremoti, pur con gli ovvi margini di incertezza e di errore, nelle costruzioni antisismiche e soprattutto una efficiente rete di protezione civile sia per la gestione dellemergenza nellimmediatezza dei fatti, sia per la gestione della logistica dei soccorsi post evento. Per questo, nonostante leccezionale potenza del sisma, non azzardato affermare che le vittime e i danni non hanno fatto registrare quei numeri che si sarebbero invece raggiunti, a parit di forza devastatrice, in altre aree geografiche anche molto meno urbanizzate.

Purtroppo la furia degli elementi ha portato in primo piano un ulteriore motivo di apprensione e di danno; un territorio come quello giapponese, che rimane nonostante la crisi degli ultimi anni la seconda potenza industriale ed economica del pianeta, costellato infatti da decine di centrali atomiche per la produzione dellenergia elettrica indispensabile alle attivit produttive.

Non ci vuole una particolare fantasia catastrofistica per immaginare quali possano essere i danni che un simile disastro possa arrecare agli impianti nucleari; e soprattutto quali possano essere i danni che scusate il gioco di parole questi stessi impianti danneggiati a loro volta arrecheranno al territorio nel quale si trovano. Cos purtroppo stato; e non poteva essere altrimenti. E stato sufficiente che una sola fra le decine di centrali coinvolte sia stata danneggiata per scatenare una emergenza nellemergenza, ed una emergenza sicuramente pi grave. La radioattivit contamina e avvelena irrimediabilmente la terra, lacqua, latmosfera, i corpi umani e animali; la contaminazione praticamente irreversibile ed anche invisibile, almeno inizialmente. Cos oggi le sventurate popolazioni del nordest giapponese si trovano ad affrontare non solo la distruzione delle case, delle strade, degli edifici pubblici, delle fabbriche, degli acquedotti e delle linee elettriche e telefoniche; ma anche lincubo di una minaccia subdola e silenziosa, che si paleser appieno tra qualche anno o decennio con malattie tumorali e malformazioni fetali e tutto lallegro corollario che queste diavolerie ( il caso di usare proprio questa espressione) si portano appresso. Ma Ma?

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Ho gi scritto qualche riga, ormai alcuni anni orsono, sulle problematiche legate allenergia nucleare. Erano pi che altro delle riflessioni da profano poco o nulla addentro alla materia dal punto di vista tecnico-scientifico (ci mancherebbefaccio fatica a far di conto!). Sostanzialmente rilevavo lintima perversit di sistemi e procedure che non soltanto appaiono potenzialmente pericolosi per la salute e lincolumit degli esseri umani e dellambiente naturale (tutte le innovazioni tecnologiche comportano dei rischi, sia pure minimi) ma che per la loro intrinseca essenza tendano ad estremizzare questi rischi e, nel caso in cui il danno dovesse verificarsi, a perpetuare nel tempo il danno stesso, estendendolo alle generazioni future. Cos che, scrivevo, ad un terremoto, una inondazione o un incendio viene posto prima o dopo rimedio con la bonifica e la ricostruzione ed anche, non sembri una lugubre ironia, con il seppellimento dei morti. Ad un disastro nucleare non si pone rimedio, perch londa lunga del disastro continua la sua azione devastatrice praticamente senza fine, o comunque senza una fine valutabile con le unit di misura umane. Tutto questo deve essere considerato e ponderato; ma non ci si pu nascondere che la gestione di una societ industrializzata non pu ormai prescindere dallo studio e dalla ricerca sulle fonti di energia, quella energia indispensabile per il funzionamento di un apparato anche minimo di chiamiamola cos meccanizzazione. Ora, sappiamo tutti benissimo (i lettori di Avanguardia, almeno), che il sistema capitalistico plutocratico come quello che oggi domina la quasi totalit del pianeta presuppone la creazione e la conseguente dissipazione di quantit sempre pi spaventosamente grandi di risorse naturali e di energia di ogni tipo. La distruzione quindi, che possiamo anche definire con la parola spreco, una caratterizzazione intrinseca del capitalismo, perch la produzione, la mercificazione e lo scambio di merci contro denaro costituisce lessenza di questo sistema. Il capitalismo non ha come interesse specifico e primario la soddisfazione dei bisogni umani, anche se certamente tali bisogni (intesi sempre ovviamente riferiti alla sfera materiale) sono effettivamente soddisfatti; il capitalismo ha come interesse supremo il profitto per il profitto, un po come alcune correnti artistiche del passato e del presente teorizzano larte per larte. E dunque giustamente dal suo punto di vista leconomista austriaco (le virgolette non sono poste a caso chi avesse voglia di approfondire la di lui biografia capir) Ludwig von Mises, campione del liberismo pi estremo, scriveva che non ha alcuna rilevanza il fatto che una merce possa essere considerata utile o meno. Lunica rilevanza quella di produrre ricchezza (ovvero profitti) funzione assolta sia costruendo incubatrici per neonati che scherzi di carnevale

Quanto esposto per non toglie che anche lo Stato popolare nazionale e socialista (vera bestia nera di tutti gli economisti e i politologi alla Von Mises) non viva di aria e di amore ed abbia perci necessit, anchesso, di produrre cose Perch sono le cose che permettono agli uomini di vivere, curarsi, vestirsi, abitare e per produrre queste cose qualcosa bisogna inventarsi! Non vorrei scandalizzare nessuno dicendo che i fascismi storici incorporassero nella loro essenza pi intima (nel loro DNA, si direbbe oggi) una vocazione di apertura quasi incondizionata alle scienze ed alla tecnica. Altri tempi, certamente. Gli uomini sono sempre figli del loro tempo e quei pochi che non lo sono o non lo vogliono essere si ritrovano inevitabilmente nei clubs degli outsiders e degli impolitici; condizione rispettabilissima ed anche

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encomiabile, ma gli impolitici per definizione non si occupano di politica che significa, se ci fosse bisogno di ricordarlo, amministrazione della vita collettiva.

Lamministrazione della vita sociale delle comunit impone che si facciano delle scelte; e tali scelte debbono essere fatte avendo come riferimento irrinunciabile il bene comune e non gli interessi di una o pi parti, seppure consistenti, del corpo sociale. Ed ancora, il bene comune deve essere visto in prospettiva e non soltanto nellimmediato; per questo il politico di razza deve saper prevedere dinamicamente gli sviluppi ed i percorsi degli avvenimenti futuri partendo da ci che ha, ossia il presente. Ineguagliabile esempio negativo a contrariis di totale incapacit o, meglio, disinteresse per la politica del fare lungimirante stato offerto, in Italia, dalla razza (questa s inferiore) dei politicanti democristiani tutti protesi a cogliere lattimo fuggente dellarrosto da spartire in famiglia avvolti dal fumo delle parole vuote e della inazione; tradizione rinverdita orgogliosamente almeno nel lombardo-veneto dalla nuova democrazia cristiana in camicia verde.

Dunque la politica di razza superiore, ovvero semplicemente la politica vera, ha il dovere di decidere, tra le altre cose, se la nazione che amministra debba continuare a essere (o diventarlo) indipendente e sovrana da ogni potere e condizionamento esterno. Se la risposta sar affermativa ci significher che aldil dei normali scambi commerciali tra nazioni si dovr mirare alla autosufficienza agricola ed industriale; e tale autosufficienza pu darsi soltanto con lautosufficienza energetica. Nel sistema basato sugli idrocarburi (petrolio e gas) appare piuttosto chiaro che tale autosufficienza per lItalia non c. Dunque leconomia italiana dipende da paesi stranieri (o meglio, da multinazionali per loro natura apolidi, ma questo un altro discorso) per lapprovvigionamento di petrolio sia greggio che raffinato e di gas naturale; tutte le dipendenze nei cosiddetti settori strategici, ovvero assolutamente essenziali alla sicurezza nazionale, possono col tempo trasformarsi in un cavallo di Troia che potenze straniere o consorterie finanziarie ed affaristiche mondializzate non esiterebbero ad utilizzare proprio per attentare alla sicurezza nazionale di una data nazione sovrana. E dunque, lo dico senza spirito di polemica ma soltanto per stimolare un confronto su questi temi, una posizione di netto rifiuto di un eventuale uso dellenergia atomica mi sembra un po da salotto radical-chic romano-milanese, con le starlette del cinema e della canzone seriosamente impegnate a spiegarci che le centrali nucleari sono pericolose Grazie al cazzo, questo lo sappiamo tutti, ed ho anche appena detto che la loro pericolosit non pu essere equiparata a quella di una corriera senza freni su di una strada di montagna E sappiamo anche tutti che ai buffoni (tanti, peraltro) che amministrano la cosa pubblica in questo sciagurato paese non andrebbe lasciata in mano nemmeno la raccolta delle foglie nei parchi pubblici (ne lascerebbero met in terra, con il senso del dovere che si ritrovano). Quindi, riassumendo, ribadisco il mio no alle centrali atomiche qui ed ora, ma soltanto perch non ci si pu assolutamente fidare di questa gente!

Ma in linea teorica dico anche che il vero Stato non potr esimersi dal prendere in

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considerazione anche questa ipotesi, confortato dalla certezza che gli uomini deputati a tali realizzazioni avranno come unico obiettivo il bene del popolo e della patria, intesa anche come ambiente naturale e spazio geografico, e che lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnologica possono e devono se indirizzati nella giusta direzione conciliarsi con la rigenerazione totale dellambiente naturale (e non soltanto con la sua generica difesa); a meno di non scegliere la strada della decrescita e dello sviluppo zero, ipotesi anchessa rispettabilissima ma a patto di rivedere drasticamente il nostro rapporto con computers, cellulari, aria condizionata e riscaldamento.

Ma questo pu diventare oggetto di un prossimo articolo

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