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Lettera aperta a Mons.

Augustine Di Noia Vice Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei di Giovanni Servodio si veda il testo della lettera inviata da Mons. Di Noia a tutti i sacerdoti della Fraternit San Pio X

Eccellenza Reverendissima, dopo aver letto la lettera da Lei caritatevolmente inviata ai sacerdoti della Fraternit Sacerdotale San Pio X, mi sembrato doveroso indirizzarLe queste righe in nome di quellamore per lunit della Chiesa da Lei richiamato. Preciso subito che sono un semplice fedele, che dalla Fraternit ha appreso ad amare e a servire la Chiesa, nel pieno rispetto dei superiori, della Gerarchia e del Santo Padre, in conformit col proprio dovere di stato e nel rigoroso rispetto degli insegnamenti di Nostro Signore fedelmente trasmessi nel corso dei secoli dai successori degli Apostoli. In questa ottica, sento il dovere di precisare che, come Lei stesso accenna nella sua lettera, io rientro tra coloro che non sono competenti in teologia, ma non per questo non in grado di comprendere ci che assilla pesantemente la Chiesa a partire dal concilio Vaticano II, poich, come riporta San Luca (10, 21), il Padre ha nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli, cos che per comprendere il grave stato di crisi che affligge la Chiesa e le cause di essa, non serve un dottorato in teologia, n occorre aspettare a bocca aperta la predicazione supposta aspra e controproducente dei sacerdoti della Fraternit, che alimenterebbe la controversia pubblica, ma basta lassistenza di Dio stesso e la soverchiante evidenza dei fatti, delle prediche e delle pratiche attuate dai Pastori in questi ultimi cinquantanni. Non posso dubitare del fatto che Lei, proprio in forza della sua preparazione e del carisma che Le viene dalla sua ordinazione, comprender benissimo il mio stato danimo, la mia sincera volont di chiarezza e la mia buona disposizione a rispettare il genere proprio dei diversi tipi di istanza; come non posso dubitare che Lei accoglier caritatevolmente, in spirito di apertura e in tutta buona fede, qualche intemperanza che pu essere presente in queste righe e qualche mancanza di precisione teologica, nonch la stessa forma di lettera aperta con la quale ho inteso presentarLe queste mie riflessioni; forma dettata pi dallimportanza quasi universale della materia trattata e meno dalla pretesa di confrontarmi con Lei e parimenti meno di avanzare degli appunti alla sua persona e alla sua preparazione. La sua lettera incentrata sullistanza dellunit della Chiesa, e il suo richiamo allo spirito dellut unum sint, posto quasi alla fine di essa, di fatto la impernia tutta. quindi indispensabile chiarire il senso di questa espressione, che fa parte della grande preghiera di Nostro Signore Ges Cristo, riportata da San Giovanni al cap. 17, quasi ad introduzione del racconto della Sua Passione. A tal fine, non sembri eccessiva la citazione dellintero passo, versetti 20-23, che Lei sicuramente conosce a memoria: Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perch tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anchessi in noi una cosa sola, perch il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io lho data a loro, perch siano come noi una cosa sola (Ut sunt unum, sicut et nos unum sumus). Io in loro e tu in me, perch siano perfetti nellunit e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Questo passo, che va letto nel contesto dellintera preghiera di Nostro Signore, s un richiamo imperativo, per noi, allunit, ma non allunit per se stessa, come fosse un valore imprescindibile di per s, bens allunit nel Figlio e nel Padre, allunit nella Verit. Poich non pu darsi vera unit se non nella Verit. Senza questa precisazione e questo indispensabile presupposto, ogni unit della Chiesa rischia di trasformarsi in mera sommatoria. Daltronde, anche sulla base del semplice buon senso, non pu darsi unit dal basso, sommando i fattori pi diversi, ma si d unit solo dallalto, cos che ogni fattore ad un tempo emanazione dellunit e componente di questa stessa unit, che propriamente unica, sia per definizione sia per valenza intrinseca. Per dirla in altre parole, lunit di cui parla Nostro Signore, non ununit quantitativa, ma ununit qualitativa, tale che senza il fondamento della Verit non possibile costituire un unum, una cosa sola, ma si realizzer solamente un totum, un insieme di cose, dove gli elementi differenziati potranno produrre solo ulteriore differenziazione e, in ultima analisi, divisione e caos. Seguendo questo filo logico, inevitabile considerare che prima ancora di parlare di unit si dovrebbe parlare di verifica della valenza qualitativa delle diverse posizioni che si vogliono condurre a questa unit. Cos che il problema principale torna ad essere quello del disaccordo in ordine al Concilio Vaticano II, i cui termini, come dice Lei stesso, restano, di fatto, immutati, anche perch i tre anni di colloqui dottrinali appena conclusi, non hanno cambiato sostanzialmente la situazione. Ora, se dopo quarantanni di approfondimenti, di rapporti diretti e indiretti, di tentativi di conciliazione dei disaccordi, la situazione sostanzialmente immutata, evidente che non con il richiamo allunit che si potranno risolvere i contrasti, ma con un lavoro di totale revisione di quanto il Magistero ha proposto a credere a partire dal Vaticano II, perch da l che scaturito loggetto del contendere. Se oggi, in queste circostanze nei nostri scambi devessere introdotto un elemento nuovo, questo elemento proprio la revisione delle cose nuove insegnate dal Vaticano II e dal successivo Magistero. Revisione che non pu ridursi alla semplice interpretazione dei testi del Concilio, pi o meno suscettibile di essere condotta alla luce della Tradizione e del Magistero, ma deve attuarsi con il vaglio dei documenti conciliari e magisteriali successivi, perch siano epurati di tutto ci che non corrisponde allinsegnamento irreformabile dei Papi e della Tradizione. Non v dubbio che, a questo punto, ci si possa trovare al cospetto della possibile messa in causa dellautorit magisteriale della Santa Sede, ma allora, se si tiene ferma tale autorit, con tutto quello che in questi quarantanni riconducibile ad essa, ne scaturisce che dalla parte della Fraternit che starebbe lerrore, cos che si continua a non comprendere il reale fondamento della sua lettera. In essa, infatti, Lei non mette a fuoco tale errore, ma si limita ad esortare allunit, mentre invece dovere della Gerarchia indicare lerrore e condannarlo, invitare a correggerlo e, in caso di pertinacia, sanzionare lerrante. Tenuto conto della determinazione di Papa Giovanni XXIII, secondo il quale la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore (Discorso di apertura del Concilio, dell11 ottobre 1962), quantomeno la Gerarchia dovrebbe lasciare a se stessa la Fraternit, insieme a tutti coloro che, come me, ne condividono il carisma fondatore e le istanze dottrinali. Se questo non si fa e si continua a richiamare la necessit e il dovere dellunit, mio modesto parere che la Gerarchia non renda un buon servizio n alla Fraternit, n alla Chiesa. Daltronde, quando Lei dice che: Papa Benedetto XVI estremamente desideroso di superare le tensioni che sono esistite fra la Chiesa e la vostra Fraternit e ipotizza che, seppure con una certa difficolt, Una riconciliazione ecclesiale immediata e totale metter fine ai sospetti e alla diffidenza sorte da una parte e dallaltra, chiaro che esprime un anelito suo e del Papa ad una unit, non di tipo qualitativo, ma di tipo quantitativo. Esprime unistanza fondata su una logica che si differenzia parecchio dal ricondurre allunit, limitandosi al semplice assemblaggio. Una logica che, indubbiamente, in linea con tutto landamento conciliare e post-conciliare, ma che si rivela essere una logica umana, in forte contrasto con lo spirito dellut unum sint, che scaturisce invece da una

logica divina, se cos si pu dire. Una logica, questa sua e del Papa, che sar pure elaborata avendo in mente, come Lei dice: la riconciliazione e la guarigione per mezzo della grazia di Dio, sotto la guida amorevole dello Spirito Santo, ma che ricerca questa grazia e questa guida con presupposti meramente umani e con valenze semplicemente quantitative. A riprova di ci, se non bastassero la predicazione e la pratica ecumeniche moderne, si pensi alla formale istituzione dei gi realizzati ordinariati anglicani e dei realizzandi ordinariati luterani, con i quali si diventa cattolici per decreto, pur conservando, di fatto e di diritto, la propria specifica acattolicit. In questo modo non si rende giustizia allut unum sint, ma alla concezione meramente umana dellassembramento sentimentale, dove tutti si sentono tanto pi esteriormente uniti per quanto pi sono interiormente divisi. Lei comprende bene, Eccellenza, che la Fraternit potrebbe pure arrivare a condividere questa logica, ma certo non in forza dellunit nella verit, ma solo in risposta ad un bisogno sentimentale di sentirsi insieme; cosa che a tuttoggi la Fraternit non sembra disposta a fare, perch i suoi sacerdoti e i suoi fedeli hanno imparato dalla Santa Madre Chiesa che ci che conta innanzi tutto Dio e le sue leggi, anche a costo di contrariare gli uomini di Chiesa che oggi sono convinti che ci che pi conta lessere uniti nonostante tutto. per questo, Eccellenza, che i sacerdoti della Fraternit non possono e non devono impedirsi di fare di queste questioni teologiche il centro della [loro] predicazione e della [loro] formazione, perch se non lo facessero verrebbero meno al loro dovere di pastori, sia nei confronti di loro stessi, sia nei confronti dei fedeli che si pongono domande e che chiedono risposte veritiere. Ed anche per questo, Eccellenza, che i sacerdoti e i fedeli della Fraternit non possono limitarsi a proporre e a cercare dinfluire, n possono rispettare il genere proprio dei diversi tipi di istanza, poich, come dice Lei stesso, la fede che bisogna predicare dai pulpiti e praticare nelle case, e la fede si predica e si pratica solo rispettando lunica istanza della fede stessa e rigettando necessariamente i diversi tipi di istanza che contrastino con essa; la quale comprende di per s: lamore per il prossimo, listruzione degli ignoranti e lammonimento dei peccatori, condotte tutte secondo il comando di Nostro Signore Sia invece il vostro parlare s, s; no, no; il di pi viene dal maligno (Matteo, 5, 37). Daltronde, indubbio che in questi ultimi quarantanni la Fraternit non ha fatto altro che proporre e cercare di influire, con le parole e con le opere, ma questo non servito a niente, al punto che la situazione non sostanzialmente cambiata. E Lei mi insegna, Eccellenza, che: Se il tuo fratello commette una colpa, v e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolter, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolter, prendi con te una o due persone, perch ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolter neppure costoro, dillo allassemblea; e se non ascolter neanche lassemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano (Matteo, 18, 15-17). Cosa che capovolge totalmente il suo ammonimento a non mancare di rispetto nei confronti delle legittime autorit locali o agire contro di esse, poich, fatta lammonizione, constatata la sordit, invocati a pi riprese i testimoni, reso tutto noto allassemblea, constatato il perdurare nellerrore, non resta altro che considerare e trattare questi fratelli come dei pagani. Vero che il buon cattolico deve praticare le virt di umilt, di dolcezza, di pazienza e di carit al fine di modellare i propri pensieri e le proprie azioni, ma appare improbabile che possa farlo correttamente esaminando le questioni disputate in uno spirito di apertura e in tutta buona fede, poich del buon padre di famiglia sforzarsi per trasmettere la giusta educazione, evitando di aprirsi alle istanze disordinate dei figli, sforzarsi cio di trasmettere la verit, evitando di aprirsi allerrore. Ancora una volta non lincontro, intellettualistico e modernista, tra verit ed errore, tra ordine e disordine, tra sana dottrina e cose nuove, che porta allunit, ma al contrario, il tenere sempre ferma listanza dellunit nella verit, che permette ai figli di correggersi, allerrore di arretrare, agli equivoci di essere risolti e al Vaticano II di essere depurato dalle nuove concezioni

che hanno inquinato e perfino stravolto la sana dottrina. Parimenti, il tono che divide e le considerazioni imprudenti, che offenderebbero la pace e la reciproca comprensione, non possono trasformarsi in tono che unisce e in considerazioni prudenti solo sulla base della preoccupazione dellunit fine a se stessa, poich questo significherebbe subordinare il parlare s s, no, no al mero sentimento dellinterlocutore, che, per amore dellunit sarebbe meglio non turbare, neanche per ricordargli che errare humanum est, perseverare autem diabolicum, et tertia non datur . Allo stesso modo, non si pu esercitare la virt della pazienza, accettando, se necessario, la sofferenza dellattesa; se prima non si fatta chiarezza e non si trovata la concordia sul senso del bene prezioso che perseguiamo, lunit, non si potr parlare di sofferenza dellattesa, ma di presunzione di una vana attesa. Ugualmente, il bisogno di correggere i nostri fratelli, che non deve mai essere un bisogno personale, ma un dovere di misericordia cristiana, pu esercitarsi solo in nome della verit e quindi, come dice San Paolo (2 Timoteo, 4, 1-5), in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimit e dottrina. Verr giorno, infatti, in cui non si sopporter pi la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verit per volgersi alle favole. E Lei, Eccellenza, mi deve dare atto che lattuale crisi nella Chiesa rivela, con molteplici segni, che questi tempi di cui parla lApostolo sono proprio i nostri, cos che non sarebbe saggio che la correzione dei fratelli avvenisse solo nel momento e nel luogo opportuni, come da Lei suggerito. Io, Eccellenza, convengo con Lei e con SantAgostino che tutto questo va perseguito con lamore: amando anche i vostri nemici, non perch sono vostri fratelli, ma perch possano diventarlo, in modo da poter essere sempre infuocati dallamore fraterno, sia per colui che divenuto vostro fratello, che per il vostro nemico, in modo che amandolo, egli possa divenire vostro fratello. Ma Lei converr con me che lamore umano, a imitazione dellamore divino, comporta sempre e la misericordia e il rigore, cos che si ama veramente se si segue lesortazione di San Paolo a Timoteo e si esercita la necessaria correzione fraterna insegnata da Nostro Signore stesso in Matteo 18, 15-17. E la stessa cosa dice San Tommaso, ribadendo la sacrosanta necessit di combattere lerrore. Allinizio della Summa contra Gentiles, partendo da Proverbi, 8, 7 (Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium - la mia bocca mediter la verit, e le mie labbra detesteranno lempio), San Tommaso spiega il compito del saggio e conclude dicendo: Inoltre, appartiene allo stesso soggetto lattenersi ad uno degli opposti e il confutare laltro: la medicina, che larte di ristabilire la salute, anche larte di combattere la malattia. Parimenti, quindi, il compito del saggio, che di meditare la verit, a partire soprattutto dal principio primo, e di disquisire degli altri, comprende anche il combattere lerrore contrario. Questo duplice compito del saggio perfettamente esposto dalla Saggezza nelle parole che abbiamo citato prima: dire la verit divina, che la verit per antonomasia, e dirla dopo averla meditata, che il senso del versetto: la mia bocca mediter la verit; e combattere lerrore che si oppone alla verit, che il senso dellaltro versetto: e le mie labbra detesteranno lempio. Questo secondo versetto indica lerrore che si oppone alla verit divina, che contrario alla religione, la quale riceve anche il nome di piet, cos che si spiega che lerrore contrario riceva quello di empiet. Per ultimo, Eccellenza, mi sembra doveroso precisare che la Fraternit San Pio X potrebbe benissimo scegliere di limitare la sua attivit alla formazione dei sacerdoti e di astenersi dal giudicare e correggere la teologia o la disciplina altrui nella Chiesa, come da Lei suggerito, ma nel far questo essa non tornerebbe al carisma un tempo affidato a Monsignor Lefebvre, n si atterrebbe al suo carisma autentico, poich pi che risaputo, e Lei dovrebbe saperlo meglio di altri, vista la sua et, che il carisma di Mons. Lefebvre era costituito dalla preservazione della sana dottrina e della pratica della vera fede, da cui discende, come discese, inevitabilmente, la

formazione di veri sacerdoti cattolici. Tale carisma lo si colse in tutto il suo vigore fin dal tempo dello svolgimento del concilio Vaticano II, e quindi ben prima che egli sentisse la necessit di istituire un seminario e di fondare la Fraternit San Pio X. Il carisma autentico della Fraternit, quindi, consiste sia nel preservare la sana dottrina con tutti i mezzi possibili, in primis con la formazione di veri sacerdoti cattolici, sia nel combattere lerrore; e come dice San Tommaso: nel meditare e dire la verit, nel praticare la piet, e insieme nel combattere lerrore, nel maledire lempiet. Se la Fraternit seguisse il suo suggerimento, non aderirebbe al suo carisma autentico, ma lo tradirebbe, come tradirebbe il carisma di Mons. Lefebvre, che prefer subire lonta di una ingiusta scomunica, piuttosto che venir meno al suo dovere di rendere testimonianza alla Verit. Col presentare la questione come fa, Lei confessa tre suoi convincimenti nientaffatto cattolici. Il primo, che consiste nel considerare la Fraternit come una sorta di grande seminario, prescindendo dal suo dovere pastorale nei confronti di un numero enorme di fedeli cattolici, tale che essa potrebbe ottenere la regolarizzazione canonica, che era gi sua e di cui stata privata illegittimamente, solo a questa condizione. La seconda, che consiste nel considerare i sacerdoti della Fraternit dei meri dispensatori di sacramenti, impediti dallesercitare il munus docendi che discende dalla loro ordinazione, tale che essi, insieme ai loro vescovi, dovrebbero astenersi dallaprire bocca sulle cause che hanno prodotto la crisi tremenda che da cinquantanni affligge la Chiesa, nonch su questa stessa crisi, come se essa non esistesse. La terza, che consiste nel considerare i fedeli cattolici che beneficiano dellopera pastorale dei vescovi e dei sacerdoti della Fraternit, come persone incapaci di intendere e quindi suscettibili di essere plagiati dallaspro polemizzare dei sacerdoti della Fraternit. Uomini e donne limitati che farebbero bene ad abbandonare la Fraternit e a rifugiarsi nelle rispettive parrocchie, dove, al contrario di come si fa nelle cappelle della Fraternit, non si insegnano cose difficili e complicate come il fatto che Ges Cristo il Re delluniverso e che ogni cosa, celeste e terrena, deve sottostare al suo imperio e alle sue leggi; e che nel nome di Ges ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Ges Cristo il Signore, a gloria di Dio Padre (Filippesi 2, 10-11). Eccellenza, se Lei fosse un vescovo della Fraternit, sarebbe felice di accettare questa impostazione in nome dellunit, e sarebbe riconoscente per la munificenza del Papa e della Gerarchia che Le permetterebbero di essere vescovo solo per finta? Ci pensi, Eccellenza, e non risponda a me, che sono nessuno, ma a Lei stesso e alla sua coscienza di cattolico. Con i sensi della mia deferenza, in Cristo e Maria. Giovanni Servodio

febbraio 2013

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