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Alessandro Dal Lago

Ma quando mai?
Alcune considerazioni sulla sociologia embedded in Italia
1. Poco pi di ventanni fa, il presidente del consiglio Bettino Craxi and in pellegrinaggio da Rudolph Giuliani, allora Procuratore distrettuale a New York e massimo sostenitore della strategia della tolleranza zero, e torn con unidea originale: punire i consumatori di droga allo stesso modo degli spacciatori 1. La proposta era doppiamente inaccettabile ai miei occhi di ricercatore. Sia perch veniva da un uomo politico che si proclamava di sinistra, sia perch era in contraddizione con tutto quello che avevo imparato negli anni della mia formazione. Ero cresciuto con lidea che la sociologia avesse anche la funzione di rivelare la logica non lineare dei fenomeni sociali, di contrastare le terribili semplificazioni dei poteri e delle ideologie dominanti, in fondo di mettersi al servizio di una concezione problematica e non repressiva della societ. La mia idea di scienza sociale si ispirava a quanto Erving Goffman aveva detto poco prima di morire, in qualit di presidente dellAmerican Sociological Association:
Se si deve per forza avere una giustificazione del nostro studio motivata da bisogni sociali, facciamo s che essa consista nellanalisi non sponsorizzata della situazione sociale di cui godono coloro che hanno autorit istituzionale sacerdoti, psichiatri, insegnanti, poliziotti, generali, capi di governo, genitori, maschi, bianchi, cittadini, operatori dei media e tutte le altre persone con una posizione che permette loro di dare un imprimatur ufficiale a versioni della realt (Goffman, 1998, pp. 96-97).

Convinto che un ricercatore dovesse seguire queste indicazioni, al tempo stesso epistemologiche e morali, interpellai alcuni colleghi pi anziani e proposi un documento collettivo contro la trovata craxiana di risolvere il problema delle droghe (anche leggere) con la mera repressione. Nessuno accett, con le motivazioni pi varie e che ho dimenticato. Ci rimasi ovviamente male, ma la verit che ero stato ingenuo. Ritenevo che il mio punto di vista fosse quello dei sociologi italiani progressisti, ampiamente condizionati dalle lotte studentesche e sociali degli anni Sessanta e Settanta. Dopotutto, da studente e apprendista ricercatore avevo letto i loro libri, in cui mi si spiegava lobsolescenza della categoria di mercato, si stu-

1 Si tratta di una proposta ricorrente anche se inefficace. Recentemente lONU ha riconosciuto il fallimento di qualsiasi politica repressiva del consumo di droga. Cfr. G. Cadalanu, Droghe, la svolta dellONU. La repressione ha fallito, in la Repubblica, 26 giugno 2009.

ETNOGRAFIA E RICERCA QUALITATIVA - 1/2010

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diavano i cicli delle lotte operaie, si chiosavano con entusiasmo i documenti dei movimenti studenteschi americani, si analizzava il ruolo delleducazione nel trasmettere le ideologie dominanti e cos via 2. Ma in realt, nel giro di pochi anni era successo qualcosa di cui non mi ero reso conto. Quasi tutti erano tornati nei ranghi di una sociologia conciliata con il mercato, lo Stato, i poteri ecc., se mai ne erano usciti. Infatti, anche in precedenza non erano esattamente marginali o alternativi: anzi, il loro marxismo pi o meno di maniera corrispondeva allidea, evidentemente illusoria, che il resto del mondo la pensasse come loro. Quando apparve chiaro, tra la fine degli anni Settanta e linizio degli Ottanta, che cos non era, ecco che molti sociologi gi radicali si immersero, senza apparenti ripensamenti o mal di pancia, nella Realpolitik scientifica e accademica: chi riscopr i valori assoluti e imperituri della scienza, chi la superiore oggettivit dei metodi quantitativi, chi si mise al servizio del principe, chi divenne organizzatore di ricerche, chi un power broker concorsuale 3. Niente di male, per lamor di Dio. Ma, di fronte ai cambiamenti radicali di prospettiva politica o ideologica (di cui in Italia abbiamo innumerevoli esempi), mi sempre venuta spontanea una domanda: se uno si sbagliava prima, quando pensava che la rivoluzione o il socialismo fossero alle porte, che cosa garantiva che avesse ragione poi? Cerco di spiegarmi: quando la sociologia italiana, che in gran parte era stata sessantottina e apparentemente antagonista, divenne realista, positivista ecc., opt per una prospettiva migliore? Erano possibili alternative? Io ho limpressione che, in molti casi (non voglio generalizzare), una certa angustia concettuale di base, persa per strada la verniciatura marxista e operaista (libertaria no, perch questa stata rarissima), si rivelasse semplicemente per quello che era. Ritengo che la sociologia italiana sia stata per lo pi conservatrice, da un punto di vista epistemologico e culturale, durante e dopo gli anni Sessanta e Settanta: impermeabile a ci che stato chiamato interpretive turn, ai rapporti con le correnti epistemologiche pi innovative (dal secondo Wittgenstein alla fenomenologia, e non solo con il neopositivismo), con lantropologia, letnografia e la storia, del tutto indifferente, se non ostile, ai contributi teorici ed empirici dellinterazionismo simbolico, delletnometodologia, di personaggi come Becker, Goffman, Foucault e tanti altri 4. In sostanza, una scienza sociale che non si mai

2 Ricordo alcune opere che rappresentano tale stagione: gli autori sono ancora oggi nomi notissimi della sociologia italiana: Cavalli, Martinelli (1969; 1971); Regini, Reyneri (1971); Barbagli (1972); Pizzorno et al. (1978). 3 Unanalisi delle carriere di molti di questi sociologi mostrerebbe il passaggio da posizioni antagoniste, critiche se non rivoluzionarie, negli anni Sessanta, allo scientismo degli anni Ottanta sino alla collaborazione con i governi amici degli anni Novanta. In materie come la legge Turco-Napolitano o la riforma delluniversit il contributo dei sociologi stato rilevante. 4 Basterebbe ricordare il manuale di sociologia pi diffuso in Italia: Bagnasco et al. (1997). In bibliografia non compaiono Howard Becker e Garfinkel, non citato Frame Analysis, lopera notoriamente pi importante di Goffman, n La misre du monde di Bourdieu, ecc.

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posta in un ruolo veramente critico e indipendente nei confronti delle tradizioni culturali dominanti 5. 2. Tutto ci mi venuto in mente leggendo la presentazione di Marzio Barbagli al recente saggio su immigrazione e sicurezza in Italia (Barbagli, 2008) che in sostanza la riedizione accresciuta di un volume apparso dieci anni fa (Barbagli, 1998) e gi ripubblicato (Barbagli, 2002) , una sua intervista apparsa nel febbraio del 2009 sul Corriere della sera, nonch i successivi interventi di opinionisti e giornalisti 6. Per farla breve, Barbagli confessa il proprio tormento interiore di fronte a dati che dimostrerebbero il ruolo crescente, anzi impressionante, degli stranieri nellandamento dei reati in Italia:
Ma la mia formazione politica mi impediva di chiedermi se i processi migratori avessero qualche influenza su tale andamento. [...] Questi dati erano cos in contrasto con le mie opinioni politiche che feci ogni sforzo per non prenderli sul serio. [...] Ancora per un po di tempo, i freni che avevo dentro di me mi resero dubbioso e incerto e mi spinsero a pormi altri ostacoli. Riuscii tuttavia alla fine a decidere di approfondire le mie ricerche su questo tema ed a pubblicarne i risultati (Barbagli, 2008, p. 7).

abbastanza raro che uno studioso metta a nudo il suo cuore in unopera che si pretende scientifica, e quindi la questione seria. Infatti, nellintervista al Corriere della sera, Barbagli parla di una sorta di autoinganno, superato faticosamente, e persino dellisolamento sociale in cui si venuto a trovare quando ha pubblicato le proprie ricerche. Ma alla fine, ha vinto la sua battaglia ed diventato quello che avrebbe voluto essere sempre, cio un ricercatore. E nientaltro.
Sono finalmente riuscito a tenere distinti i due piani: il ricercatore dalluomo di sinistra. E ho scritto quello che la realt mi suggeriva. E alcuni suoi colleghi le hanno tolto il saluto. S, alcuni. Poi ce nerano altri che, pur sapendo che avevo ragione, mi dicevano che quelle cose non andavano comunque scritte. Lei ha avuto lonest e il coraggio di ammettere lerrore: pensa che a sinistra questi condizionamenti ideologici siano molto diffusi? Di sicuro lo sono stati. E non solo in Italia. Un gap culturale che ha costretto la sinistra ad una faticosa rincorsa, che in parte per sta avvenendo. La stessa Livia Turco, promotrice assieme a Giorgio Napolitano di una legge importante sullimmigrazione, ha ammesso che inizialmente, quando si trov ad affrontare la questione, non fu semplice superare certi schematismi, una certa immaturit. Cosa le ha insegnato questa espe-

5 Mi fa piacere segnalare leccezione di Alessandro Pizzorno che, forse per il suo indiscusso ruolo di padre nobile della sociologia italiana, si permesso il lusso di interessarsi di tradizioni di ricerca (Montaldi, Foucault e pi recentemente Goffman) a cui gran parte dei sociologi del nostro paese ha prestato scarsa attenzione. 6

Ma si veda anche, per aver sollevato il problema della posizione di Barbagli, Barnao

(2009).

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rienza? stato un processo faticoso, ma di grande crescita. Ora sono un ricercatore. E nientaltro 7.

Queste rivelazioni hanno dato la stura agli inevitabili commenti di opinionisti, per lo pi conservatori o neo-conservatori (Battista, Galli della Loggia ecc.), specializzati nellinsegnare alla sinistra italiana che il suo torto supremo, e la ragione principale delle sue sconfitte, nel non pensarla come la destra sulle questioni politiche decisive. Ma ci conta poco. Ben pi rilevante la confessione dello studioso. Se Barbagli dice che fino alla soluzione del suo conflitto quando luomo di scienza si separato dalluomo di sinistra era vittima di freni e ostacoli interiori, questo significa che prima dellilluminazione non era un vero ricercatore, ma una sorta di ideologo. Ci viene allora una curiosit: in quali opere avrebbe dato prova di tale atteggiamento? Quaesivi et non inveni. Se si escludono le veniali frequentazioni giovanili della rivista del Manifesto e il remoto interesse per la sociologia marxista delleducazione, non riesco proprio a trovare lavori in cui Barbagli sia stato condizionato da unideologia di sinistra. Studi ormai classici sul sistema scolastico e sulle relazioni famigliari a cui sono seguite, a partire dalla met degli anni Novanta, dopo un ballon dessai in materia criminale (Barbagli, 1995), ricerche ripetute sulla criminalit degli stranieri (per non parlare di testi di criminologia generale e dei recenti lavori su omosessualit e suicidio). Non solo, nel 1999 Barbagli ha pubblicato un discutibile libretto (assai difforme, allapparenza, dalle sue opere scientifiche) in cui, sulla scorta di una trentina di lettere inviate al sindaco di Bologna, si faceva interprete della cittadinanza esasperata dal degrado urbano e dallinsicurezza, cio dagli stranieri virtualmente o realmente criminali (Barbagli, 1999). Io non riesco proprio a vedere in lui un ricercatore che emerge dolorosamente dai pregiudizi della sinistra, una farfalla che si libera della crisalide ideologica. Al contrario, mi sembra un accademico di chiara fama e solida posizione che negli ultimi dieci anni intervenuto sulla stampa ripetutamente, direi ossessivamente, a proposito della criminalit degli stranieri, ammonendo volta per volta i governi di destra o di sinistra: non fate abbastanza, i vostri dati sono sbagliati, aumenta la percezione dellinsicurezza da parte dei cittadini ecc. Ho mostrato in un saggio di qualche tempo fa (Dal Lago, 1999) che le campagne pubbliche su tali argomenti erano iniziate nella seconda met degli anni Novanta, durante i governi di centrosinistra. Daltra parte, con i suoi interventi sui media (soprattutto interviste), Barbagli le ha sostenute, direttamente o indirettamente. Limmagine pubblica di Barbagli dunque esattamente contraria a quella che egli ha cercato di diffondere recentemente: non lo studioso tormentato dalle sue scoperte (una specie di Oppenheimer della sociologia), ma il luminare riconosciuto e autorevole (per una parte maggioritaria dellopinione pubblica) che si fa opinion maker (ai limiti dellimprenditoria morale) e svolge compiti pressoch istituzionali (Bar-

7 F. Alberti, Immigrati e reati. Io di sinistra non volevo vedere, in Il Corriere della sera, 18 febbraio 2009.

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bagli, per dirne una, autore di rapporti sulla criminalit commissionati dal ministro Giuliano Amato) 8. In questa prospettiva, le rivelazioni sul suo isolamento suonano un po eccessive, anche se hanno scatenato lindignazione dei giornalisti nei confronti dei sociologi faziosi che tolgono il saluto allimpavido collega animato dallesclusiva sete di conoscenza. La verit che nella sociologia italiana Barbagli ha sempre occupato un ruolo eminente, coautore di un manuale diffusissimo (cio adottato da decine di sociologi che lo considerano un maestro o la pensano come lui), legato a importanti istituzioni di ricerca ed evidentemente apprezzato da uomini politici che contano o contavano. E quindi si sar consolato facilmente per la villania di qualche collega. Ma, a parte questi dettagli, Barbagli solleva indirettamente una questione importante, e cio la profonda differenza di sensibilit (teorica, empirica, politica e morale) tra il suo stile di ricerca e un altro che, anche in Italia, si sta affermando da qualche tempo e che chiamer in generale etnografico e qualitativo, intendendo con tali termini linteresse per la descrizione e linterpretazione dei fatti sociali, ben lontano dalla pretesa di spiegarli sulla base di dati obiettivati e istituzionali. 3. Alcuni aspetti delle indagini di Barbagli, anche nella versione pi recente, sono controversi: luso dei dati relativi alle denunce e alle condanne come indicatori di un maggiore apporto degli stranieri alla criminalit 9; la scelta arbitraria di alcuni reati (quelli predatori) per definire la maggiore propensione a delinquere degli stranieri; lo scarso aggiornamento dei dati e la disomogeneit delle serie temporali usate 10. Ma a rivelare pienamente lo stile di ricerca di Barbagli sono alcune pagine in cui si affrontano gli effetti delle due ultime leggi in materia di immigrazione, la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini: cercher di vedere fino a che punto esse hanno trovato attuazione e se sono riuscite a ridurre limmigrazione irregolare e la criminalit (Barbagli, 2008, p. 113). Si tratta di un quesito apparentemente sobrio, tipico di uno studioso che va al nocciolo delle questioni ed estraneo a un dibattito sullimmigrazione sempre pi ideologizzato e concitato (ivi). Se c una strategia vecchia quanto il mondo nelle scienze sociali quella di svalutare i punti di vista diversi dai nostri dicendo che sono ideologici. Barbagli sarebbe invece anti-ideologico? In realt, il suo obiettivo citato sopra si basa su un buon numero di presup-

8 Che un sociologo divenga un opinion maker su una questione controversa come la criminalit degli stranieri cosa molto lontana dal perseguimento a tutti i costi dellobiettivit nella professione scientifica. un tipo di uso dellinfluenza e di condizionamento dellopinione pubblica che non nasce direttamente dalla ricerca ma dallassunzione di un ruolo politico. Si potr osservare ragionevolmente che ci vale anche per quei ricercatori che hanno opinioni del tutto opposte sullo stesso argomento e le manifestano pubblicamente (per esempio il sottoscritto). Ma questo significa semplicemente che la pretesa di obiettivit e di neutralit del sapere assai discutibile, in entrambi i casi. E allora che cos peggio? Riconoscere apertamente i propri punti di vista o valori o travestirli da posizioni scientificamente oggettive? 9 Si tratta, secondo alcuni, di dati che descrivono pi il funzionamento selettivo del sistema penale che la realt oggettiva della criminalit. Cfr. Palidda (2001). 10

Cfr. per esempio, oltre alle analisi di Palidda gi citate, Ferraris (2008).

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posti incontrollati e scientificamente arbitrari, primo fra tutti che un sociologo accetti come non problematica lesistenza di leggi che hanno come obiettivo la riduzione dellimmigrazione irregolare e della criminalit invece di occuparsi dellintegrazione sociale degli immigrati, della loro discriminazione nelle procedure giudiziarie, della lotta per sopravvivere, della xenofobia esplicita o implicita ecc. Tutto ci nelle ricerche di Barbagli ha un ruolo pressoch nullo. Il suo interesse esclusivamente pratico (le leggi funzionano o no?) e quindi non problematico e pertanto non sociologico. Le sue sono piuttosto considerazioni quantitative al servizio del policy making in tema di sicurezza in cui il sociologo ragiona, consapevolmente o no, come un dirigente del Ministero degli interni e non come uno scienziato sociale che spiega e interpreta i fenomeni. Mi sembra che la prospettiva di Barbagli sia perci simmetrica a quella di chi considera quelle leggi repressive o incapaci di risolvere in generale i problemi suscitati dalle migrazioni. Una prospettiva, quella di Barbagli, che con Sayad (2002) si potrebbe definire pensiero di Stato, intendendo con tale espressione ladesione implicita o esplicita al punto di vista dei poteri e dellopinione dominante (di ci che il Barbagli dantan avrebbe chiamato, con Althusser, apparato ideologico di stato), e quindi qualcosa di esattamente opposto a ci che Goffman indicava come ricerca non sponsorizzata. Insomma, quella di Barbagli mi sembra una posizione embedded. Qualcosa di molto diffuso nella sociologia italiana (e che spiega forse il declino intellettuale della disciplina), ma che non garantisce alcuna obiettivit, una prospettiva logicamente arbitraria (cio valida o non valida quanto qualsiasi altra), anche se travestita dallapparente neutralit dei dati. Questa inclinazione di Barbagli tanto pi fuorviante quanto pi presentata come scientifica, anti-ideologica, oggettiva ecc. si manifesta in modo clamoroso e rivelatore nella discussione dellefficacia dei Centri di permanenza temporanea. Dopo aver notato (Barbagli, 2008, pp. 116-117) che in altri paesi europei limmigrazione clandestina considerata un reato (come dire che la legislazione italiana stata in fondo lassista) e aver sostanzialmente attribuito il fallimento dei CPT alle proteste dei giovani no global e alle campagne lanciate da il Manifesto (ibidem, p. 118), ecco spiegate le ragioni tecniche dellinefficacia dei CPT:
La causa principale di questo basso rendimento stata da molti individuata in una delle norme della legge Turco-Napolitano, che non consente di trattenere una persona presso i centri per pi di trenta giorni. Sappiamo invece che per identificare uno straniero che dica di non avere documenti e per avere il lasciapassare da parte dello stato a cui appartiene spesso necessario un periodo di tempo che va da due a sei mesi. per questo che una percentuale cos elevata di immigrati mandati nei centri tornata in libert per scadenza dei termini, pur senza avere alcun permesso di soggiorno. [...] Eppure, nonostante queste difficolt, la legge Turco-Napolitano produsse un netto miglioramento del sistema di controlli interni (ibidem, p. 122).

Immagino che in una futura edizione del libro Barbagli potr notare che le lacune nellordinamento italiano sono state ampiamente colmate e che il

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rendimento dei centri presumibilmente aumentato. Anche da noi, grazie al pacchetto sicurezza approvato il 2 luglio 2009, limmigrazione clandestina divenuta un reato e la permanenza degli stranieri nei Centri di identificazione ed espulsione stata aumentata sino a sei mesi. Con ci, probabilmente, gli interventi di Barbagli sul lassismo del legislatore in materia di clandestinit cesseranno. Ma la mia domanda unaltra. La discussione di Barbagli ha a che fare con la sociologia? La risposta, per quanto mi riguarda, negativa. La sociologia, o almeno quella che ha come obiettivo linterpretazione dei fenomeni sociali, tuttaltra cosa dalla verifica del rendimento di un dispositivo di internamento. Se si esamina la faccenda da un punto di vista non embedded, le questioni che un sociologo libero e imparziale (Goffman, 1998, p. 96) dovrebbe porsi intorno allimmigrazione clandestina e al suo controllo sarebbero, tra molte altre, le seguenti: Possiamo pensare a una sociologia delle relazioni tra attori sociali vaganti e stati nazionali? Come pu tale sociologia liberarsi, in nome dellimparzialit, dei presupposti impliciti o espliciti che la legano alle prospettive politiche, culturali, ideologiche ecc. del paese dappartenenza? Quali fattori ideologici determinano le politiche degli stati in materia di asilo politico e inserimento dei migranti? Che ruolo hanno i media e i decisori politici nel costruire lemergenza clandestinit? Si possono ricostruire teoricamente ed empiricamente le carriere dei clandestini? In che modo tali carriere dipendono dalle reazioni istituzionali alle clandestinit? Un CPT o CIE pu essere studiato come istituzione totale? E se cos, come analizzare le pratiche disciplinari e la resistenza degli internati? Una ricerca sul controllo e la repressione della clandestinit dovrebbe inoltre prendere in considerazione il dibattito internazionale sulla violazione dei diritti umani nei centri, le dinamiche politiche che sottostanno alla produzione legislativa in questo campo, le relazioni tra irregolarit e sfruttamento nelle fasce basse o marginali del mercato del lavoro, le campagne ricorrenti sullinsicurezza, limprenditoria politica xenofoba e cos via 11. Questioni in cui un sociologo, lungi dallispirarsi ai dubbi morali o esistenziali di Livia Turco, sarebbe assistito da una tradizione intellettuale e di ricerca di primordine, che spazia da Marx, Simmel e Weber alla prima scuola di Chicago e alla Labelling theory, da Bruno Bettelheim e Hannah Arendt a Zygmunt Bauman (quello di Modernit e olocausto), da Edwin Lemert a E.C. Hughes, e ovviamente da Goffman a Foucault, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente.

11 Ovviamente ci avviene largamente, tanto che i riferimenti sarebbero interminabili. Ma i punto che tali ricerche sono pressoch inesistenti per la sociologia embedded in Italia.

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Ma se questa tradizione non ha alcun ruolo nella sua ricerca, non ovviamente perch Barbagli ignori la relativa bibliografia. perch la sua prospettiva logicamente interna a quello dello stato e dei decisori politici (e di conseguenza allopinione pubblica dominante a cui questi dichiarano di conformarsi). Ed ecco perch nelle sue considerazioni sistema politico e sistema mediale non sembrano avere un ruolo nella determinazione di problemi ed emergenze in materia migratoria. In poco pi di due pagine, Barbagli nota che in effetti la reazione ai delitti dei rumeni tra il 2007 e il 2008 stata un po esagerata, ma poi nega che siano state soddisfatte tutte le condizioni perch si possa parlare di panico morale (Barbagli, 2008, pp. 154-156). Sono propenso a dargli ragione. Perch non di un fenomeno volatile e irrazionale si trattato, ma di una campagna assordante in cui sindaci di destra e di sinistra, presidenti del consiglio, opinionisti e giornalisti hanno dato fiato alle trombe, appoggiandosi magari, quando parso loro necessario, ai dati di Barbagli. Io ritengo che tra una sociologia interna al pensiero di stato e una che cerca di non esserlo siano possibili polemiche, ma molto difficilmente un dialogo. Perch il dissenso non riguarda tanto i dati come se questi fossero oggetti naturali e indiscutibili , ma il modo in cui si scelgono e si assemblano, la preminenza di quelli raccolti nellosservazione rispetto a quelli forniti dalle istituzioni, laccettazione o il rifiuto della retorica delloggettivit e quindi, in fondo, diverse sensibilit culturali e (perch no?) umane, insomma quei grumi di orientamenti soggettivi che Max Weber riteneva (in polemica con lo scientismo del suo tempo) irriducibili alla mera analisi epistemologica. Alla fine, un ricercatore consapevole dovr optare, nel gioco del mondo, tra inseguitori ed inseguiti, tra il rendimento di un centro di internamento ed espulsione e le ragioni di quelli che cercano di non finirci o di fuggirne.

Riferimenti bibliografici
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