Sei sulla pagina 1di 13

INTERPRETAZIONI DEL '900 18 maggio 2012 - Lezioni sul Novecento Periodizzare perch?

Che senso ha dividere il percorso storico in periodi? Non si tratta forse di unoperazione arbitraria, una specie di esercizio (o esorcismo) cabalistico? Il dubbio c, tanto pi se consideriamo che abbiamo da poco vissuto , con il 2000, il passaggio del millennio, con il suo corredo di oroscopi, oscure profezie e avventi miracolosi, bachi apocalittici e promesse mirabolanti. La proliferazione dellespressione La (scienza, politica, religione, cucina, calcio, etc) nel terzo millennio, tuttora piuttosto diffusa, basta a spingerci ad usare il calendario ebraico o islamico, o a guardare con indulgenza alla profezia maya. Battute a parte, lesistenza di diversi modi di contare gli anni ragione sufficiente per sottolineare la natura puramente convenzionale delle periodizzazioni. E altrettanto ovvio che le convenzioni sono il pane quotidiano della vita e del metodo scientifico, storia ovviamente inclusa: dunque le scansioni cronologiche (le et, i periodi, i secoli) sono utili accademicamente e didatticamente. Ma c di pi. Certe partizioni sono la forma specifica con cui si pu evitare un racconto storico puramente cronologico ed evenemenziale. Come sottolinea Krysztof Pomian (Pomian 1980), le periodizzazioni servono a rendere pensabili i fatti . Per dividere la storia in periodi si tratta di individuare le cesure, i mutamenti che rendono i caratteri di unepoca omogenei tra loro e distinti da altri. In altri termini, periodizzare significa interpretare. Ovviamente gli eventi o i processi periodizzanti possono essere di gittata pi o meno larga: se indico il 1945 come inizio dellet atomica, posso rilevare come la fissione nucleare produca un mutamento (un prima e dopo) nellambito della scienza, della politica internazionale, dellorganizzazione militare, della cultura filosofica e della mentalit diffusa. E altrettanto importante notare come ognuno degli ambiti riportati faccia riferimento a strutture sociali che hanno tempi evolutivi diversi: lassunto della compresenza di differenti durate una conquista imprescindibile della scuola delle Annales e di Ferdinand Braudel (Braudel 1949 e 1958). Dunque periodizzare porre delle cesure convenzionali al fluire del tempo storico e implica lassunzione di schemi interpretativi. A sua volta interpretare significa dare senso, o fare un bilancio. Questo tanto pi vero quanto pi ci si avvicina allet in cui viviamo, e diventa imprescindibile per il 900 come vedremo in conclusione laddove ad un'esponenziale aumento delle fonti disponibili si accompagna il peso enorme della memoria.

Periodizzare come? Oltre che una necessit pratica per una visione non puramente cronachistica del processo storico, la scansione in periodi dotati di senso ha anche un riscontro culturale effettivo. La distinzione mondo antico- mondo moderno ("Siamo nani sulle spalle dei giganti", afferma Bernardo di Chartres) si affianca alla divisione della "storia universale" in sei et (che partono da creazione, diluvio, Abramo, Davide, cattivit babilonese, nascita di Cristo) e quattro imperi (assiro-babilonese, persiano, macedone, romano), secondo un piano provvidenziale che prevede un inizio e una fine (il ritorno di Cristo), che ovviamente indicativa di una cultura (ma il modello ritorna nelle moderne filosofie della storia, cfr. ad esempio Hegel 1820, pp. 562-568). E' un tratto altrettanto caratterizzante e noto della cultura del rinascimento, codificato definitivamente nel '700, l'introduzione di un' et di mezzo tra antichi e moderni, che acquistano cos entrambi un'identit molto pi accentuata e distinta che in precedenza (il Virgilio di Dante non lo stesso di Petrarca). Una significativa aggiunta a questo tripartizione si verifica nel tardo '600, quando dall'unione dei significato di saeculum (et) e centuria (gruppo di cento oggetti) si fa strada la catalogazione "per secoli", che appare pi arbitraria di quella per "evi", tanto che lo stesso Hobsbawm afferma recisamente che "i secoli non esistono" (Et degli estremi 1998, p. 118). Eppure, con l'ovvia avvertenza che il secolo non va inteso in senso stretto (e gi Voltaire parla del "secolo di Luigi XIV"), anche questa partizione esprime sia il senso di attesa che si vive all'avvicinarsi alla fatidica cifra tonda, sia al tempo corrispondente pi o meno, al passaggio sulla terra di tre generazioni compresenti (su tutto ci cfr. Guarracino 1997). La partizione per secoli, non intesi in senso strettamente numerico (19012000), ha avuto una grande diffusione nella storiografia. Se si esce poi dal campo della storia universale e delle grandi sintesi, i punti di riferimento temporali si moltiplicano e si sovrappongono, e si tratta semmai di valutare la possibilit di convergenza attorno a specifiche date periodizzanti di forme temporali diverse (eventi, processi, ecc.) proprie di strutture diverse; non solo, come scontato, la storia politica e la storia economica hanno indicatori di tempo diversi ( convenzionale ma corretto far iniziare la rivoluzione francese nel 1789, del tutto improprio far iniziare la rivoluzione industriale con un anno preciso, magari quello della flying shuttle o della macchina a vapore); la differenza vale per i punti di vista differenti con cui la storia stata vista, specialmente da quando (giustappunto nel 900) la rivoluzione delle fonti ha aperto scenari di indagine sterminati. La storia della scienza databile attraverso le singole invenzioni come se fossero le battaglie della storia militare o le legislature? Non parliamo poi della storia delle idee, delle culture e delle mentalit, ambiti nei quali si verifica spesso e volentieri quella contrazione o dilatazione temporale di solito esclusa dalla storiografia, e

anchessa cos affine al paesaggio novecentesco (Bergson, Freud, Joyce). Dunque, si intendono e si usano periodizzazioni a geometria variabile, suscettibili in ogni momento di integrazioni, senza ipostatizzazioni. Dall'et contemporanea al '900 La tripartizione classica antico-medievale-moderna, che gode nell'800 di una consacrazione accademica, risulta sempre meno fungibile man mano che ci si inoltra nel XX secolo, specialmente dopo la seconda guerra mondiale. Dalla storia moderna si comincia a separare la storia contemporanea, che, pur immediatamente caratterizzata da diverse ipotesi di data di avvio, ha come tratto caratterizzante lidea di una accelerazione del ritmo di cambiamento. Nella prima edizione della sua Guida alla storia contemporanea (Barraclough 1964), Barraclough definisce la storia contemporanea come let in cui prendono forma visibile i problemi che sono attuali nel mondo di oggi: su questa base fa iniziare let contemporanea con il bipolarismo, la possibilit della guerra termonucleare, la decolonizzazione, in sostanza dal 1945. La maggior parte delle designazioni, per, tende a inserire nella storia contemporanea parte o tutto del secolo XIX, oltre che il XX (Flores, Gallerano 1995, divisa nelle macrosezioni dellOttocento e del Novecento). Tra queste ipotesi c chi privilegia la forma nazione e la stabilit della politica internazionale, facendo iniziare let contemporanea nel 1815 e chi preferisce il binomio rivoluzioni politiche-rivoluzione industriale. E il caso della trilogia di Hobsbawm (Hobsbawm 1963, 1972, 1987), che designa un lungo Ottocento (1789-1914), premessa del secolo breve. Altre ipotesi di impostazione economico-sociale individuano non nelle origini ma nella diffusione generalizzata dellindustrializzazione lavvio del mondo contemporaneo, datandone di conseguenza linizio alla seconda rivoluzione industriale, verso lultimo quarto dell'800. Lavvicinamento al 900 che qui si nota compiuto sulla base di una mondializzazione dei fenomeni storici che sempre pi viene considerato un tratto distintivo dellultimo secolo. In questo senso, altre cronologie spostano al 1917 o al 1929 (o al 1945, come appunto Barraclough) linizio dellet contemporanea. Se la pratica accademica tendono a comprendere nell'et contemporanea gli ultimi due secoli, la differenza fra gli stessi sempre pi marcata, fino a produrre un'ulteriore specializzazione tra ottocentisti e novecentisti. Del resto, gi tra le due guerre, molto prima della scansione adottata da Hobsbawm, la cesura rappresentata dal conflitto era evidente. Ne danno testimonianza tre grandi interventi di diversa impostazione usciti in quegli anni. Il classico della storiografia liberale (Croce 1932) di Benedetto Croce esce nel 1932: all'Ottocento visto unitariamente come avanzata della "religione della libert" si contrappone la crisi morale di fine secolo, sfociata nella grande guerra e in regimi che proprio perch non in grado di sostituire la religione della libert, sono destinati ad ruolo parentetico. Nelle Conseguenze economiche della

pace (Keynes 1919), John M. Keynes, reduce dall'esperienza della conferenza di Versailles, classifica il XIX secolo sotto la categoria "psicoeconomica" del risparmio, dell'astinenza dal consumo, una condizione irripetibile. Per Karl Polany (Polany 1944) la crisi del '29 e la seconda guerra mondiale svelano il carattere eccezionale e innaturale della sottomissione della societ al mercato dell'800. Pur nella loro diversit, queste letture hanno in comune l'idea di progresso e l'affermazione della nazione, condivise dalla maggior parte dei contemporanei. Molto pi divaricate sono le immagini e le interpretazioni del '900. Le percezioni del '900 Venendo finalmente all'oggetto specifico di questa trattazione e al contesto degli argomenti trattati in questo pomeriggio, veramente difficile rispondere alla domanda "cosa stato il Novecento", per cui non esiste una definizione univoca tipo "il secolo dei Lumi". Scipione Guarracino (Guarracino 1997) ha mostrato come nel corso del suo sviluppo il '900 ha mutato pi volte la propria autorappresentazione. La grande guerra, che sembra rappresentare all'inizio il compimento del secolo delle nazionalit, sprigiona poi il suo potenziale di rottura, fino a divenire un vero e proprio compendio di un secolo di guerre ideologiche e ideologie armate: non a caso le viene attribuito il carattere di matrice del secolo dalla maggior parte delle correnti interpretative. Negli anni trenta sembra diventare centrale la sfida che fascismo e comunismo lanciano alla coppia democrazia-capitalismo (soprattutto dopo la grande depressione). La sfida a tre, che vede pi o meno durature alleanze asimmetriche, muta radicalmente con la seconda guerra mondiale, eliminando in maniera definitiva il fascismo, e sprigionando due altri terribili tratti del secolo: il genocidio e la bomba atomica. Ne emerge la successiva autopercezione del secolo, l'et del bipolarismo e della guerra fredda sul filo dell'equilibrio del terrore. Il 1945 assume un valore di svolta anche per altri motivi, come l'inabissamento del nazionalismo, cos importante nei cento anni precedenti. Tuttavia, negli anni '60, mentre la "coesistenza pacifica" sembra normalizzare il conflitto bipolare, emerge un'altra centralit, la decolonizzazione e la rivoluzione del "terzo mondo". E' un'immagine forte ma di breve durata, che si sbriciola ancor prima che il crollo dell'URSS chiuda inaspettatamente il sipario sul mondo post 1945, mostrando da un lato una specie di movimento ciclico, col ritorno ai nazionalismi di inizio secolo, dall'altro nuovi e ambigui segni, quali la globalizzazione che promette di universalizzare la "vittoria del mercato", ma si infrange presto sugli scogli dei fondamentalismi etnici e religiosi e della crisi internazionale (ma un altro secolo, anzi un altro millennio). E' interessante anche, in tema di percezioni, confrontare le previsioni del futuro che caratterizzano i due ultimi passaggi di secolo (per quanto segue cfr. Salvati 2001, e Adrian Lyttelton, "Il secolo che nasce": profezie e

previsioni del Novecento, in Novecento 2008, pp. 59-70). Alla speranza del meglio si sostituisce il timore del peggio; all'eccesso di volont, che vuole imporre l'utopia come salto "a dispetto degli uomini", e massifica ideologia e violenza, si sostituisce il pessimismo e la sfiducia nella storia. Al centro di questo discorso c' la cruciale, terribile identificazione del secolo con Auschwitz, esito dell'ideologia della volont, modernit realizzata. Un discorso da riprendere nelle conclusioni. Le interpretazioni del '900: secolo corto o secolo lungo? Hobsbawm e gli altri Alle divaricazioni delle immagini percepite del novecento fa da riscontro un grande numero di ipotesi interpretative e di date periodizzanti. E' possibile per raggruppare le ipotesi generali attorno al criterio della durata, breve o lunga, del secolo, ovvero, meglio ripeterlo ancora una volta, dei periodi a cui alcuni processi principali forniscono tratti relativamente omogenei. Non c' alcun dubbio che l'interpretazione del '900 proposta da Eric J. Hobsbawm nel libro Il secolo breve (Hobsbawm 1994), uscito sei anni prima dell'effettiva fine del secolo, possieda una forza attrattiva enorme, rispetto alla quale si sono orientate le altre. Per questo comodo (ma anche corretto) prendere il via da questa prospettiva. L'"et degli estremi" (titolo originale dell'opera) designa un secolo breve che si apre con il vulcano della prima guerra mondiale e si conclude col crollo del muro di Berlino e lo scioglimento dell'URSS: dunque 1914-1989/91, logica continuazione del "lungo Ottocento" ipotizzato da Hobsbawm nella trilogia citata (1789-1914). In questo arco temporale si articolano le tre et: della catastrofe (la "guerra dei trentun anni") 1914-1945, dell'oro 1945-1973; della frana 1973-1991. Hobsabwm la definisce una struttura "a sandwich", anche se le due fette di pane non hanno la stessa sostanza e sapore. Lo schema semplice, apparentemente rigido, stereotipato; in realt Hobsbawm lo riempie con un racconto ricco di chiaroscuri (G. Procacci, Introduzione, in L'et degli estremi 1998, pp. 1324), capace di tenere in equilibrio gli aspetti ideologico-politici e quelli economico-sociali, l'importanza cruciale di scienza e tecnica, il ruolo dell'evoluzione artistico-culturale. Al centro della scena c' la vicenda del socialismo: figlio del terremoto iniziale, porta con s nel suo crollo il secolo su cui ha inciso a fondo. E' un "secolo sovietico" quello di Hobsbawm, ma ci non implica un protagonismo continuo dell'URSS; piuttosto misura l'influenza della "patria del socialismo" sull'evoluzione globale del pianeta, effetti visibili anche quando il blocco socialista si chiude in se stesso. E' facile capire cosa ci significhi nell'et della catastrofe: Hobsbawm resta fedele all'idea del ruolo imprescindibile dell'Urss e dell'antifascismo (forse il contributo meno dubitabile che il comunismo ha dato alla storia mondiale) nella sconfitta del fascismo. Ma l'esistenza del blocco socialista, la sua realt e soprattutto il suo mito (cfr. M. Lewin, L'Unione sovietica e il mondo: l'influenza internazionale della Russia fra mito e realt, in L'et degli estremi 2008, pp. 59-71), hanno un'influenza apprezzabile anche nell'et dell'oro, quei "gloriosi

trent'anni" in cui ad uno sviluppo economico senza precedenti si accompagna una ancor pi inedita crescita del benessere e dei diritti sociali. Il welfare dunque anche frutto della vicinanza sovietica e della paura della rivoluzione socialista, anche quando lo sviluppo economico sovietico, che comunque abbastanza marcato in buona parte del trentennio in questione, mostra la corda, e la differenza in termini di consumi e libert si fa abissale. L'et dell'oro anche quella in cui al confronto fra il primo e il secondo mondo si affianca l'emergere del terzo, al cui "risveglio" non affatto estraneo il messaggio della rivoluzione sovietica. L'et della frana, che data dalla crisi petrolifera del 1973, ha anch'essa andamenti paralleli fra i tre mondi,a dimostrazione delle dimensioni planetarie raggiunte dalla storia. Mentre la "frana" in occidente ha il volto della crisi e della ristrutturazione degli assetti politici e sociali, nel mondo socialista il blocco del modello di sviluppo estensivo e l'incapacit di riforme politiche vere precipita la stagnazione verso il crollo. La fine del socialismo reale la fine del secolo perch i suoi effetti hanno evidenti riflessi sia sul primo che sul terzo mondo. Che il 1914 sia una data chiave opinione diffusa. Per Arno Mayer (Mayer 1982), con essa si apre la "guerra dei trent'anni del Novecento". Non si tratta per dell'avvio di un'epoca nuova, ma della violenta conclusione del potere dell'ancien regime nelle societ europee, tutt'altro che esaurito nell'ottocento: coerente con la sua contestazione del "trionfo della borghesia", lo storico americano vede tra le cause della grande guerra la resistenza allo spodestamento da parte delle vecchie classi dirigenti, che sono liquidate solo in Russia, e patrocinano attivamente i fascismi e quindi le premesse della seconda guerra mondiale. Il quadro tracciato da Hobsbawm sembra a prima vista far parte di quella interpretazione dell'et contemporanea che annette il peso maggiore ai caratteri ideologici. La prima guerra mondiale l'esordio di un connubio guerra-ideologia che, incarnata dalla coppia fascismo-comunismo segna il secolo della violenza e dei totalitarismi. Le interpretazioni che sposano questa visione, quelle cosiddette revisioniste, hanno come capostipite Ernst Nolte (Nolte 1988). La sua cronologia del secolo 1917-1989: il lieve spostamento in avanti della data iniziale focalizza il confronto chiave della "guerra civile europea" nella lotta tra bolscevismo e nazismo, dando al primo e all'URSS il ruolo di "causa prima", al secondo quello di "reazione", fino a spingere lo storico tedesco ad una sorta di giustificazionismo che annovera anche il razzismo e l'antisemitismo tra gli effetti della paura del bolscevismo, e fa del nazismo una specie di "baluardo" dell'occidente rispetto alla "barbarie asiatica". Pi articolata, ma nella stessa matrice, la descrizione di Franois Furet (Furet 1995). Il secolo quello del confronto tra totalitarismi e democrazie liberali. L'antifascismo comunista maschera questo confronto fino al 1945. Una volta sconfitto il fascismo, per, l'assimilazione tra i totalitarismi assume una evidenza incontrovertibile.

Queste impostazioni, che allargano la categoria di totalitarismo oltre l'originaria definizione di Hannah Arendt (Arendt 1951), compiono una forzatura monocasuale che sfocia in preconfezionate filosofie della storia. Uno schematismo ideologico, con cui poco l'articolazione e la complessit della proposta di Hobsbawm ha ben poco a che fare. La proposta del secolo breve messa in discussione soprattutto dal punto di vista della storia economica e sociale, che si impernia su cicli pi lunghi. Charles S. Maier (Secolo corto o epoca lunga? L'unit storica dell'et industriale e le trasformazioni della territorialit, in Novecento 2008, pp. 2958) giudica l'attribuzione al '900 di "et della violenza" come un'ipostatizzazione di natura antropologica, che annulla la possibilit dello storico di compiere distinzioni. Il punto di rottura, l'elemento periodizzante della storia contemporanea l'organizzazione spaziale, cio il rapporto tra l'umanit e il territorio, mediato dalle tecnologie, dalle forme di governo, dalle relazioni sociali. In questo senso il periodo da prendere in considerazione inizia nel 1850-60 e si conclude nel 1960-80, e si pu definire "ascesa e caduta della territorialit". Esso si caratterizza per un'organizzazione spaziale dai confini netti imperniata sullo stato-nazione, per un'amministrazione centralizzata (resa possibile dall'industrializzazione, che rende controllabili spazi pi ampi), per l'integrazione della classi medie nella gestione del potere politico ed amministrativo. I conflitti tra stati, imperi ed ideologie, comprese le guerre mondiali, non sono che scosse di assestamento degli assetti sopra descritti. L'avvio del processo a met Ottocento coincide sostanzialmente con l'industrializzazione del continente europeo e degli Stati uniti. L'esaurimento di questo modello, a partire dagli anni '70, in qualche modo assimilabile alla cosiddetta terza rivoluzione industriale. L'organizzazione territoriale muta in tutte le sue componenti: multinazionali e mercati finanziari globali separano gli spazi delle decisioni dagli spazi dell'identit, le tecnologie informatiche rendono prioritaria la merce "informazione", l'organizzazione sociale muta dal criterio gerarchico piramidale a quello centro-periferia. Si passa dallo spazio delimitato dai confini a quello solcato dalle reti. Il modello, suggestivo ma un po' astratto, reimmette il Novecento nella pi lunga et contemporanea. L'ipotesi del "secolo lungo" anche nell'opera di Giovanni Arrighi (Arrighi 1996), praticamente coeva a quella di Hobasbawm. Il criterio orientativo la definizione braudeliana di capitalismo (sintesi di mercato-finanza e potere statale), che descrive la storia moderna e contemporanea come una successione di cicli di accumulazione dell'economia-mondo capitalistica, i "secoli lunghi" appunto, ciascuno caratterizzato da un'entit politica guida (in progressivo aumento di dimensioni), e diviso in tre fasi: prevalenza del capitale finanziario, sviluppo produttivo-commerciale, nuovo predominio finanziario. In tal modo ciascun "terzo periodo" coincide col primo del "secolo" successivo. Ne risultano quattro epoche: il Cinquecento dell'egemonia delle citt stato italiane e in particolare dei banchieri genovesi (1450-1640); il

Seicento olandese (1660-1780); il Settecento inglese (1740-1930) dell'imperialismo del libero scambio. Il Novecento, che si apre con la crisi 1873-1896, caratterizzato dall'egemonia degli USA, fondata sul ridimensionamento tanto degli stati nazionali quanto del libero scambio, e sulla comparsa, accanto agli "spazi di luoghi" (le economie nazionali), di "spazi di flussi" (le imprese multinazionali). Il secolo americano entrato nella "terza fase" con la crisi degli anni 1970-80, fase ancora in divenire, ma dalla quale possibile ipotizzare o la precipitazione in un caos sistemico o, secondo le ipotesi pi recenti dello stesso autore (cfr. Arrighi 2008), un'egemonia cinese con caratteristiche nuove, meno centrata sul dominio militare. Rifacendosi alla citata definizione di Barraclough, Leonardo Paggi (Un secolo spezzato. La politica e le guerre, in Novecento 2008, pp. 84-116) contesta ad Hobsbawm la forzata comprensione unitaria del novecento. La sua proposta propende per l'unit del periodo 1870-1945, con l'ultima data considerata lo spartiacque decisivo, la svolta con cui si apre un'era non ancora tramontata. Con le due guerre del novecento viene a conclusione il sistema di relazioni internazionali nato nell'800, e l'egemonia statunitense prende il posto di quella britannica. I mutamenti che segnano il sorgere del "secolo americano" investono in primo luogo la concezione e la funzione della guerra: nella contesa bipolare, con la guerra fredda, al potere dissuasorio delle armi si accompagna lo strumento del modello di sviluppo; in secondo luogo l'eccezionale sviluppo postbellico mette in connessione lo sviluppo dell'industrializzazione con quello del commercio internazionale, ricreando l'occidente come economia multilaterale aperta, che per non riesce a divenire globale, concedendo spazio e prestigio all'URSS nel terzo mondo. Solo dopo la fine dell'Urss il progetto del 1945 acquista una dimensione globale. Il terzo elemento di trasformazione nel rapporto tra i poteri pubblici e la vita: la "governamentalizzazione della vita" (Foucalt), che nel trentennio delle guerre ha portato l'ingegneria biopolitica all'estremo dello sterminio pianificato, si riorienta verso la generalizzazione dello stato sociale (nel 1942 ci sono sia la conferenza del Wansee che approva la "soluzione finale", sia il lancio del Piano Beveridge in Gran Bretagna), per poi produrre il consumismo, ovvero la legittimazione della politica misurata sullo standard of leaving. Infine, il passaggio dall'identit di classe a quella di consumatori si collega alla trasformazione dei sistemi di identit politica, con la scomparsa delle guerra civile ideologica che ha caratterizzato la prima met del secolo e la morte della "politica di massa". La fine dell'URSS non pu essere indicata come termine di un'epoca, perche il blocco della sua "spinta propulsiva" gi in atto da almeno venti anni. D'altronde illuminante la caduta non cruenta dell'impero sovietico, che ci dice sia della differenza dell'URSS rispetto ai totalitarismi "classici", sia di quella, radicale, tra la guerra fredda e le guerre precedenti. Entrambi questi esiti confermano lo spartiacque rappresentato dal 1945, che designa un secolo spezzato e ancora aperto.

Il secolo di ... strutture e temi Alle sintesi generali, politico-economiche e socio-economiche, si aggiungono le periodizzazioni per argomenti pi o meno specifici, pi o meno riassuntivi. Se ne possono elencare decine, ciascuna con una propria logica e importanza. Ne ricordo due, cruciali, dei molti di cui non parleremo: il novecento del lavoro e il novecento delle donne. Tra i temi che da tempi pi recenti sono stati inseriti nell'ambito della ricerca storica, occorre citare senz'altro, per il suo carattere di stringente attualit, la "storia dell'ambiente". Ha notato Piero Bevilacqua (Il secolo planetario. Tempi e scansioni per una storia dell'ambiente, in Novecento 2008, pp. 117-152) che i tre livelli principali di interazione uomo-ambiente, l'inquinamento di acqua terra e aria, l'uso delle risorse, la presa di coscienza dei problemi, si muovono secondo strutture temporali differenziate, che non sono assimilabili compiutamente al secolo XX, periodo in cui per le questioni si condensano assumendo un rilevanza decisiva. Tanto l'inquinamento ambientale che l'uso di risorse non rinnovabili sono rilevanti gi nell'industrializzazione ottocentesca; nello stesso secolo si conia il termine Oekologie. Ma solo nel '900 i problemi ambientali e la consapevolezza di massa della loro gravit raggiungono scala planetaria, fino a promettere, al volgere del secolo, una gigantesca rivoluzione culturale, che chiude con l'equazione tra progresso e crescita quantitativa. Il '900 qualificabile anche come secolo della scienza e, anche in questo ambito occorre tenere conto di scansioni e processi di ricerca che mal si adattano a cronologie rigide, e che vanno valutate non solo rispetto ai risultati ma anche all'evoluzione degli strumenti e dei metodi, nonch della relazione con la societ Su questa base Roberto Maiocchi (I tempi della ricerca scientifica, in Novecento 2008, pp. 203-217) individua una serie di momenti chiave: il 1900-14 in cui la crisi del positivismo alimenta il dibattito sulle nuove concezioni della fisica; il 1914-18, con il connubio strettissimo ricerca-statoguerra, accentuato tra le due guerre dal nesso scienza-ideologia; il 1927, che vede l'enunciazione compiuta della meccanica quantistica, con la rottura definitiva del legame tra scienza e senso comune; il 1942, con l'avvio del Progetto Manhattan e dell'era atomica; la rivoluzione della biologia molecolare con la scoperta nel 1953 della struttura ad elica del DNA; il processo a Oppenheimer dell'anno successivo; il lancio dello Sputnik nel 1957, simbolo dell'equilibrio del terrore e allo stesso tempo della "coesistenza pacifica"; le recenti svolte del personal computer e dell'ingegneria genetica. Visto dal punto di vista delle strutture statali, il Novecento mostra una vistosa crescita tanto del ruolo decisionale dei governi rispetto ai parlamenti e della macchina amministrativa rispetto alle istituzioni politiche, quanto l'espansione delle funzioni di regolazione della societ civile attribuite allo stato (cfr. Saverio Carpinelli, Guido Melis, Lo stato e le istituzioni, in Novecento 2008, pp. 181-202). Al primo fenomeno contribuiscono l'estensione del suffragio, l'enorme crescita della funzione legislativa, la tendenza alla centralizzazione

delle decisioni (accentuate dalle guerre), l'avvento dei partiti di massa e la loro "costituzionalizzazione"; al secondo lo sviluppo del ruolo economico dello stato, in particolare nella costituzione dello stato sociale universalistico, con l'espansione della spesa pubblica che ci comporta. Cronologie del '900 italiano Qualche schematica considerazione, prima di concludere, sul Novecento italiano. L'ipotesi del secolo breve sembra adattarsi quasi letteralmente all'Italia, sia nei suoi termini che nelle sue scansioni interne. L'et della catastrofe corrisponde al 1915-1945, l'et dell'oro il 1945-1973 (con possibili varianti sulla conclusione), l'et della frana (per l'Italia forse potrebbe dirsi del declino) pu farsi terminare col 1992 (per gli "anni cruciali" del secolo cfr. Novecento italiano 2008). Se l'entrata in guerra del 1915 coincide con l'inizio bellico del secolo, merita una spiegazione poco pi approfondita la coincidenza tra il 1991 della fine dell'URSS e il 1992 dell'estinzione del sistema dei partiti formatosi alla fine della seconda guerra mondiale in Italia: chiaro infatti che tanto lo scioglimento del PCI quanto il terremoto causato dall'inchiesta di mani pulite che travolge la DC, il PSI e gli altri partiti di governo, sono legati alla fine del socialismo reale. Direttamente e per scelta soggettiva nel primo caso; indirettamente nel secondo, per il venir meno sul piano internazionale e nazionale della tolleranza verso la corruzione dovuta alle necessit dell'anticomunismo, cogente quanto il famoso "fattore K". L'adattabilit del '900 italiano allo schema del secolo breve indicativa della "sovranit limitata" di cui ha goduto l'Italia nel mondo bipolare e, pi in generale (visto che lo schema sembra funzionare prima e addirittura dopo la contrapposizione tra i blocchi, a Vicenza ne dovremmo sapere qualcosa) la relativa debolezza del ruolo internazionale dell'Italia. Restando nell'ambito della storia istituzionale, possibile anche una scansione del '900 secondo i regimi politici. L'avvio pu collocarsi nel 1896, nel 1898, nel 1900 o nel 1901 (la fine della depressione economica, i moti di Milano, l'assassinio di Umberto I, l'inizio del ciclo governativo giolittiano), comunque il volgere del secolo rappresenta una cesura dell'et liberale, perch esclude le velleit reazionarie e avvia il decollo industriale. La seconda fase coincide con il regime fascista (1922-1943/45). La terza fase quella repubblicana, che si inaugura con il referendum del 1946 (o con la promulgazione della costituzione nel 1948), e pu considerarsi ancora aperta dal punto di vista istituzionale, o, su un piano politico pi ampio, farsi terminare nel 1978 (il delitto Moro come "morte della Repubblica", cfr. Crainz 2009) o nel 1992. Dal punto di economico si possono individuare due schemi. Il primo, in due fasi (Graziani 1998), ha come punto di partenza gli anni '70 dell'800 e come svolta periodizzante la ricostruzione (1945-51), a muovere dalla quale l'Italia adotta un modello di sviluppo export-lead, collocandosi stabilmente in una nuova divisione internazionale del lavoro garantita dall'adesione a

organizzazioni internazionali. Ci impedisce la riproposizione del modello di sviluppo tradizionale, basate su protezionismo e bassi salari, e genera il "doppio salto mortale" dall'assetto agricolo-industriale alla societ dei consumi. Una visione pi articolata delle continuit-rotture che costituiscono la modernizzazione economica italiana, consente di distinguere quattro fasi (cfr. Ciocca 2007): il decollo (1900-1913), il consolidamento (1922-1938), la ricostruzione e il boom (1945-1968), il declino (1963-2005). Proviamo infine a suggerire tre scansioni legate a issues specifici. Il Novecento delle donne ha una struttura "a sandwich rovesciato"; alla prima emancipazione forzata dalla guerra, segue la lunga notte del fascismo. Con la partecipazione alla Resistenza, che anche solo per questo sarebbe da apprezzare, si apre una lunga marcia di emancipazione e liberazione che attraversa tutta la storia repubblicana. Il rapporto citt-campagna pu illuminare alcuni fenomeni sociali ma anche politici del '900: vi si possono comprendere le due fasi di "guerra civile" (1919-1922 e 1943-45). Cruciale il crollo repentino del mondo rurale negli anni '50 e '60 incide sui caratteri contraddittori della nostra modernizzazione (particolarmente significativo a proposito Crainz 2005). Infine, il '900 italiano si pu misurare sui flussi migratori (cfr. a titolo riassuntivo Storia emigrazione 2001-2002). Il punto di partenza ovviamente l'emigrazione transoceanica italiana tra '800 e '900, seguito tra le due guerre da un sostanziale blocco. La terza fase, 1948-1975, quella di una nuova ondata di emigrazione, con la doppia meta del nord Europa e del nord Italia, e un ruolo decisivo nel mutamento di volto del paese. La quarta fase, iniziata negli anni '80 e tuttora in corso, mostra lo strabiliante rovesciamento con cui un paese di emigranti diventa un paese di immigrati, con implicazioni talmente ampie da non doversi nemmeno menzionare. Conclusioni: un secolo dannato? Periodizzare interpretare; interpretare dare un senso, e anche trarre un bilancio. Che bilancio si pu tracciare del secolo scorso, breve o lungo che sia? Un motivo di complicazione che la storia del '900 molto vicina, presente vitale degli storici che l'hanno narrata. Questo assunto dichiarato in tutta la sua problematicit, ma anche con il pragmatismo che lo contraddistingue, dallo stesso Hobsbawm (Hobsbawm 2002, p. 11). In una conversazione con Claudio Pavone (Una testimonianza, Conversazione tra Vittorio Foa e Claudio Pavone, in Novecento 2008, pp. 221-237), Vittorio Foa affermava la sua stanchezza per la lunghezza del secolo. Il nodo del rapporto storia-memoria va ben al di l di una delicata questione metodologica, toccando il punto dolente profondo, l'indicibile del '900, secolo in cui le utopie astratte prodotte dalle avanguardie si incontrano con l'eruzione della societ di massa, producendo violenze e genocidi, che si riassumono nella "modernit realizzata" di Auschwitz "fatto sociale totale" (Cfr. Salvati 2001).

Posta la questione in questi termini, non resterebbe che "fuggire" senza rimpianti dal "secolo delle ideologie", da tenere solo come monito a non ripetere mai pi l'errore di forzare le utopie in schemi astratti, indipendenti dai fatti e dagli uomini. Ma altrettanto necessario ricordare, (cfr. C. Pavone, Prefazione a Novecento 2008, p. XVII), che se il Novecento stato il periodo in cui milioni di uomini hanno partecipato alla macchina della violenza ideologica, altrettanti uomini l'hanno combattuta e talvolta vinta. Solo cos si possono comprendere le contraddizioni tragiche ma anche vitali del secolo di Hitler e Ghandi, di Stalin e di Gramsci, del fascismo e della resistenza, del razzismo e della decolonizzazione, della povert globale e del welfare universalistico. Il senso del limite non pu significare la rinuncia all'azione collettiva, la nostalgia del mondo delle lite, l'anomia. N si pu accettare che la "morte delle ideologie" sia vissuta con un semplice moto di sollievo, senza vedere che quell'espressione, lo diceva Franco Fortini, nasconde la vittoria di una di esse (pensiamo a cosa abbia significato il "pensiero unico" nella gravit della crisi attuale). Inoltre, il crollo dei progetti "alternativi" in qualche modo razionali e universalistici, non lascia un felice vuoto, ma riempito da sfide meno universali, meno razionali e inclusive, ma non meno "feroci". Andiamoci piano col congedo dal '900.

REFERENZE BIBLIOGRAFICHE Arendt 1951: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2004 [1951]. Arrighi 1996: Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, Milano, Il Saggiatore, 1996. Arrighi 2008: Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del XXI secolo, Feltrinelli, Milano 2008. Barraclough 1964: Geoffrey Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Laterza, Bari 1977 [1964] Braudel 1949: Fernand Braudel, Civilt e imperi del mediterraneo nell'et di Filippo II, Einaudi, Torino 1986 [1949] Braudel 1958: Fernand Braudel, Storia e scienze sociali. La "lunga durata" [orig.: Histoire e science sociales. La longue dure, in "Annales E.S.C.", 1958, n. 4, pp. 725-53], in Scritti sulla storia, Mondadori, Milano 1976. Ciocca 2007: Pierluigi Ciocca. Ricchi per sempre? Una storia economica dItalia (1796-2005), Bollati Boringhieri, Torino 2007. Crainz 2005: Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli, Roma 2005. Crainz 2009: Guido Crainz, Autobiografia di una Repubblica. Le radici dellItalia attuale, Donzelli, Roma 2009. Croce 1932: Benedetto Croce, Storia d'Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1965 [1932] Et degli estremi 1998: L'et degli estremi. Discutendo con Hobsbawm del secolo breve, a cura di Silvio Pons, Carocci, Roma 1998. Flores, Gallerano 1995: Marcello Flores, Nicola Gallerano, Introduzione alla storia contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995. Furet 1995: Francois Furet, Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo, Mondadori, Milano 1995. Graziani 1998: Augusto Graziani, Lo sviluppo dell'economia italiana: dalla ricostruzione alla moneta europea, Bollati Boringhieri, Torino 1998. Guarracino 1997: Scipione Guarracino, Il Novecento e le sue storie, Bruno Mondadori, Milano 1997. Hegel 1820: Georg W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Rusconi, Milano 1996 [1820] Hobsbawm 1963: Eric J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi 1789-1848, Il Saggiatore, Milano 1963. Hobsbawm 1972: Eric J. Hobsbawm, Il trionfo della borghesia 1848-1875, Einaudi, Torino 1972. Hobsbawm 1987: Eric J. Hobsbawm, L'et degli Imperi 1875-1914, Laterza, Roma-Bari 1987. Hobsbawm 1994: Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1995 [The age of extremes. The short Twentieth Century, 1994]. Hobsbawm 2002: Eric J. Hobsbawm, Anni interessanti, Rizzoli, Milano 2002. Keynes 1919: John M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Rosenberg & Sellier, Torino 1983 [1919] Mayer 1982: Arno Mayer, Il potere dell'Ancien Rgime fino alla prima guerra mondiale, Laterza, Roma-Bari 1982. Nolte 1988: Ernst Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea, 1917-1945, Sansoni, Firenze 1989 [1988]. Novecento 2008: Novecento. I tempi della storia, a cura di Claudio Pavone, Donzelli, Roma 2008 [1997]. Novecento italiano 2008: E. Gentile, M. Isnenghi, G. Sabbatucci,. C. Pavone, V. Castronovo, M. Revelli, V. Vidotto, S. Lupo, I. Diamanti, Novecento italiano. Gli anni cruciali che hanno dato il volto allItalia di oggi, Laterza, Roma-Bari 2008. Polany 1944: Karl Polany, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974 [1944] Pomian 1980: Krysztof Pomian, Periodizzazione, in Enciclopedia, vol. 10, Einaudi, Torino 1980, pp. 603-650. Salvati 2001: Mariuccia Salvati, Il Novecento. Interpretazioni e bilanci, Laterza, Roma-Bari 2001. Storia emigrazione 2001-2002: Storia dell'emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, II volumi, Donzelli Roma, 2001-2002.

Potrebbero piacerti anche