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Francesco Sorce Vermeer misterioso. Come le didascalie, in Orwell, inserto di Pubblico Giornale, sabato 24 novembre 2012, p.

. VI Gli apparati didattici di una mostra sono (o dovrebbero essere) un elemento portante del suo funzionamento e un parametro per la valutazione della sua riuscita. Costituiscono, infatti, un terreno privilegiato di incontro tra la storia dellarte come disciplina scientifica e il pubblico anche e soprattutto dei non addetti ai lavori. Essi svolgono almeno tre funzioni interrelate. 1) In base alla qualit delle informazioni selezionate, tendono ad orientare il tipo di esperienza che si vuole proporre al visitatore. Sono dunque, tra laltro, un indice della posizione dei curatori in campo ontologico (cos unopera darte?) e museologico (cosa deve fare un museo?). 2) Sono gli strumenti attraverso i quali il mondo della ricerca rende noti alcuni risultati dei suoi studi e li trasmette al di fuori dellambito disciplinare. Rappresentano, quindi, veicoli cardinali per la condivisione del capitale culturale prodotto dalla storia dellarte. 3) Costituiscono, insomma, dei dispositivi primari per la formazione di quella conoscenza dei beni culturali considerata unanimemente il requisito essenziale per diffondere la coscienza della loro tutela. Lasciando trasparire o dichiarando apertamente cosa si desidera che il visitatore colga, apprezzi e apprenda dai percorsi allestiti, gli apparati didattici permettono di verificare, tra laltro, se lesposizione sia coerente con gli intenti dei curatori e, soprattutto, se e quanto renda accessibile una qualche forma di sapere. E ci, si noti, indipendentemente dal tenore scientifico o divulgativo dellesposizione stessa, o dalla qualit dei pezzi esposti, propriet questultima non necessaria n sufficiente per giudicare la buona riuscita delloperazione. La comunicazione museale della grande mostra dedicata a Vermeer e a una certa corrente della pittura olandese del Seicento (Roma, Scuderie del Quirinale, 27 settembre 2012 20 gennaio 2013) presenta diversi aspetti esemplarmente problematici e costituisce un interessante caso di discussione qui solo accennabile sulle pratiche espositive. Su uno dei pannelli introduttivi si legge che Vermeer universalmente riconosciuto come uno tra i pi grandi pittori del secolo doro. Una sentenza del genere, rivolta di certo al pubblico dei non addetti ai lavori, tende inevitabilmente ad orientare lorizzonte di attese e la percezione del pubblico. Tuttavia, la mostra non chiarisce mai le ragioni di questo giudizio universale. Lo spettatore, pertanto, deve compiere qualcosa di simile ad un atto di fede nei confronti del dogma. Sullo stesso pannello, daltra parte, si afferma che lartista giustamente famoso per il suo personalissimo sguardo e soprattutto per luso particolare degli effetti di luce. Frasi del genere, evidentemente, dicono forse qualcosa agli storici dellarte, ma forniscono agli altri visitatori parametri insufficienti per cogliere il valore dei lavori di Vermeer. Tanto pi che, percorrendo le sale, proprio non si capisce cosa abbia di meno personale lo sguardo di pittori prodigiosi come Gabriel Metsu o di Gerrit Dou. I criteri di valutazione, per tacere del resto, rimangono piuttosto torbidi anche nella guida cartacea concepita per accompagnare la visita, la cui autorevolezza minata da una serie nutrita quanto imperdonabile di errori di battitura, di descrizione e persino di grammatica. Gli elementi critici presenti nellopuscolo che dovrebbero aiutare a comprendere il senso di certe sofisticate soluzioni spaziali e ad afferrare le sottigliezze metapittoriche tipiche degli Olandesi sono tutti estratti dal tipico formulario buono per ogni occasione e della cui capacit di promuovere una fruizione cognitivamente ricca da parte del visitatore lecito dubitare. La qualit dei dipinti di Vermeer, ad esempio, descritta rilevando soltanto, e senza ulteriori precisazioni, la manipolazione del colore e [il] controllo sugli effetti di luce a proposito della Ragazza con il cappello rosso, e le semplificazioni ardite [!?] nella resa delle luci e delle forme e la chiarezza e perfetta armonia della composizione per quanto riguarda la Giovane donna in piedi al virginale. A leggere queste righe si direbbe quasi che lintento sia preservare il mistero di Vermeer, concetto che, non a caso, ricorre ancora con grande frequenza nei discorsi sul suo talento, ritenuto in fin dei conti ineffabile. 1

La mostra, insomma, ricorre generosamente e con disinvoltura al repertorio di espressioni formulari che, al di fuori del recinto specialistico (e, per fortuna, qualche volta anche al suo interno), appaiono spesso, e giustamente, piuttosto vaghe e talora prossime alle imposture intellettuali stigmatizzate da Alan Sokal e Jean Bricmont. Se, dunque, lattrezzatura analitica e valutativa dispensata al visitatore del genere descritto, qual il modello di fruizione implicitamente suggerito dai curatori? E che tipo di sapere si pensato di trasmettere? In linea di massima, il progetto sembra sposare la tesi abbastanza diffusa che i musei debbano evitare, come si dice, di accudire didatticamente il pubblico, al fine di disinnescare il rischio di esperienze delegate degli oggetti. Tesi che, sia detto per inciso, si coniuga con la credenza, altrettanto diffusa, in un certo potere direttamente comunicativo dellarte e con lidea dellesistenza di una qualche forma particolare di sensibilit nei confronti dellarte stessa, che renderebbe tutto sommato superflui i filtri didattici. Allo spettatore si chiede in sostanza di fare (il pi possibile) da s, contemplando le opere, senza troppe mediazioni, e confidando nelleventualit che esse gli rivelino da sole il segreto del loro ingegno e che le gerarchie qualitative si impongano naturalmente. Limpalcatura teorica tratteggiata discutibile per molti versi ma pur sempre unopzione. Resta, per, che le istruzioni per luso, alle quali la mostra vermeeriana non rinuncia, sia pure in forma abbreviata, appaiono nella migliore delle ipotesi opache e di difficile applicabilit. Il problema generale, quindi, non riguarda tanto la salvaguardia delle libert del visitatore, ma la qualit delle informazioni e degli strumenti di conoscenza che si intende rendere disponibili. Ed un problema che riguarda il metodo e la prassi della storia dellarte, ben prima della sfera della comunicazione museale.

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