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Perch il PD sta con Monti?

Che motivo ha un partito che si professa di centro-sinistra per votare un governo tecnico come quello di Monti, che finora si caratterizzato principalmente per la proposizione di politiche di ultra-destra capaci solamente di amplificare gli effetti della crisi, piuttosto che combatterli? A questa domanda apparentemente banale (ma che banale non ), negli scorsi mesi, sono state date molte risposte, alcune banali, altre molto acute. Si trattato per lo pi di risposte di carattere sociologico e politico. Nessuna di esse per tiene conto di un fattore determinante: gli assetti capitalistici del nostro paese In questo articolo noi tenteremo di fare proprio questo: spiegare perch, dati gli equilibri capitalistici in atto, il PD non pu non dare il suo appoggio a Monti e che significa questo concretamente per il momento politico che siamo vivendo. Prima di tutto, per facciamo un passo indietro e proviamo ad analizzare la politica dell'attuale governo. Per definizione dello stesso Monti, essa si compone di due fasi. La fase uno, SalvaItalia, che avrebbe dovuto gestire l'emergenza dettata dagli attacchi speculativi contro l'Italia, attraverso l'imposizione di considerevoli sacrifici a larghe fette della popolazione in modo da garantire il "pareggio di bilancio" entro il 2013. La fase due, CresciItalia, che invece avrebbe dovuto far leva sulla riforma del mercato del lavoro, sullo snellimento burocratico e sulle "liberalizzazioni" per rilanciare la competitivit del nostro tessuto produttivo. In poche parole i tanto decantati Rigore e Crescita, due concetti sul quale il governo ha messo il cappello fin dal suo insediamento. In realt n il rigore, n tanto meno la crescita sono delle novit per le tasche degli italiani, dato che sono almeno vent'anni che i lavoratori subiscono sulla propria pelle sia il rigore che la crescita. Cos'era l'accanimento contro l'indebitamento pubblico che per tutto il corso del suo mandato la componente maggioritaria del governo Prodi ha imposto a tutta la sua coalizione, se non una versione modificata del pacchetto SalvaItalia? Anche l, gli italiani dovevano fare sacrifici per avere i conti in ordine, per garantire il pareggio di bilancio, non importa quanto questo contasse in termini elettorali, tant' vero che l'ossessione per i "conti pubblici in ordine" costata parecchio cara, in termini di consenso a tutte le forze presenti nella coalizione del centro-sinistra. Lo stesso vale per la crescita. Sono quindici anni almeno che governi di centrodestra (riforma Biagi) e centrosinistra (pacchetto Treu) non fanno altro che riformare il mercato del lavoro agendo al ribasso sul costo del lavoro. Certo, anche vero che gli attacchi maggiori al salario sono arrivati principalmente dagli schieramenti di centrodestra, questo bisogna ammetterlo. D'altra parte innegabile che la sinistra istituzionale non ha mai reagito alzando le barricate contro gli attacchi dei governi Berlusconi, e che anzi al contrario spesso ha sperimentato un rapporto di assenso, se non di aperta complicit con quelle politiche e con quelle scelte. In questo senso, non un azzardo pensare che l'Italia sperimenta il pacchetto CresciItalia da almeno vent'anni, da quando cio la flessibilit, le delocalizzazioni, le privatizzazione e i ricatti hanno fatto crollare il costo del lavoro nel belpaese. I risultati di tale accanimento contro il potere d'acquisto dei salari sono sotto gli occhi di tutti: i salari che ristagnano da decenni, abbiamo un numero di morti bianche tra i pi alti d'Europa, siamo in piena recessione, la maggior parte delle famiglie non arriva a fine mese, il peso fiscale completamente sbilanciato verso i redditi da lavoro dipendente, Equitalia pignora senza sosta, il

paese pieno di disoccupati e di giovani che non lo cercano neanche pi un lavoro e la mobilit sociale quando esiste, esiste solo verso il basso. Nell'ultimo periodo tali processi hanno subito persino un'accelerazione, scandita dalle azioni di governo. Con gli accordi di luglio e l'accordo di Mirafiori (fase finale del governo Berlusconi), abbiamo distrutto la contrattazione collettiva nazionale. Attraverso l'attacco all'art. 18 (governo Monti( miriamo a indebolire ulteriormente i sindacati e rendere precari anche i lavori a tempo determinato. Con l'attacco alle pensioni (sempre governo Monti), nel frattempo, abbiamo indebolito ulteriormente la domanda, mettendo in ginocchio tutte quelle famiglie (e tutti quei giovani) che tirano avanti grazie anche alla pensione dei nonni. Peggio di cos, non si poteva fare, malgrado quello che venga raccontato dai nostri media che continuano a ripetere come un mantra che flessibilit e minori tutele creano occupazione, quando invece stato dimostrato analiticamente: 1. non solo che la flessibilit lungi dal creare occupazione, aumenta anzi la disoccupazione, 2. ma anche e soprattutto che esiste una precisa correlazione tra l'aumento delle forme di contrattazioni flessibile e la diminuzione dei salari reali. In parole povere, la precariet aiuta a tenere i salari bassi, molto bassi. Questo fa crescere l'Italia? No, evidente. Questo salva l'Italia dagli attacchi speculativi? No, purtroppo. Basta guardare l'altalena dello spread. I dati indicano chiaramente che siamo in piena recessione e che in borsa sempre pi colossi finanziari scommettono sull'uscita dell'euro del nostro paese. Il debito non ha mai smesso crescere, perch l'insieme di meno tutele, salari pi bassi e delocalizzazioni selvagge si sono tradotti in meno esportazioni e meno domanda interna (e quindi meno importazioni). Questo ha portato a una contrazione del PIL, a un ulteriore frammentazione dei capitali, a una spiccata riduzione della competitivit delle aziende rimaste, a un impoverimento ancora maggiore delle famiglie e quindi a una riduzione della domanda, e in generale a pi debiti. Ma che senso ha, allora, ostinarsi ancora ad abbassare i salari e imporre, tra l'altro, vincoli sul pareggio di bilancio? Cos non rischiamo di andare in default? Non ha senso se si pensa che in Italia sia presente un unico blocco di potere. In realt i blocchi di potere, in Italia, sono tanti e variegati e tra l'altro spesso sono in conflitto tra loro. Tra questi possibile distinguere due macro-gruppi principali: i detentori dei capitali pi piccoli e frammentati (oltre che isolati a livello internazionale), e i detentori dei capitali pi grandi, centralizzati e integrati negli assetti internazionali. Per semplificare: piccole e medie imprese da un lato e grandi aziende dall'altro. I due macro-gruppi hanno interessi profondamente divergenti, spesso confliggenti: i primi, pi deboli e oberati dai debiti, puntano a una maggiore deflazione salariale (ovvero a un abbassamento del costo del lavoro) in modo da sopravvivere fino alla fine della crisi; mentre i secondi considerano la compressione salariale palesemente insufficiente per generare alti profitti. La ragione semplice: i grossi gruppi industriale finanziari sanno benissimo che sopravviveranno alla crisi(hanno liquidit e posizioni forti sul mercato), quindi mirano ad altro: progettano un processo complesso di ristrutturazione, acquisizioni e centralizzazioni dei capitali. In pratica mirano ad acquisire i capitali

pi deboli, aspettando che questi falliscano (la cara vecchia legge del: pesce pi grande mangia pesce pi piccolo) e, se necessario, facendo di tutto per staccare loro la spina. Dunque le prime sono interessante principalmente alle riforme del mercato del lavoro e alla creazione oltre che lo sblocco dei fondi per le imprese, in modo da riuscire a strappare dei margini di profitto che diano loro un po' di respiro. Le seconde, al contrario, puntano di pi sull'abbattimento del deficit e del debito pubblico. Le restrizioni di bilancio infatti da un lato preludono a ulteriori privatizzazioni (e quindi occasioni di acquisizione), e dall'altro accelerano l'uscita dal mercato da parte delle imprese pi fragili, prosciugando il loro credito e la loro liquidit. Molte piccole imprese, infatti, spesso riescono a sopravvivere grazie soltanto a pesanti finanziamenti statali, e spesa in deficit. Senza questi investimenti, muoiono, diventando facili prede dei capitali pi grandi. Stando cos le cose, non difficile risalire ai posizionamenti delle varie forze politiche in merito a questi due macrogruppi di riferimento. Mentre i governi di centro-destra hanno puntato principalmente a un costante attacco al costo del lavoro, posizionandosi come la sponda politica del variegato mondo dei piccoli e medi capitali; al contrario, i governi di centro-sinistra hanno dimostrato di essere pi sensibili all'abbattimento del deficit e del debito pubblico, posizionandosi quindi come referente politico dei grandi capitali. Naturalmente, nel corso degli anni i due schieramenti hanno oscillato spesso attorno alle due posizioni, specie in periodo elettorale, anche se i diversi orientamenti sono rimasti comunque marcati. Da una parte i capitali frammentati delle piccole e medie imprese, dall'altra i detentori di capitali che si sentono forti sul mercato e che ritengono di disporre di un ragionevole margine di contrattazione con i grandi capitali transazionali. In questo scenario, il governo Monti rappresenta una sorta intesa programmatica tra questi due macro-gruppi, intesa mediata dalle principali forze politiche che le danno un paravento democratico. Dunque, esso si pone come interprete delle istanze di entrambi i macro-gruppi: abbattimento contemporaneo sia dei salari che della spesa pubblica in disavanzo (ovvero attacco alle pensioni, attacco all'art 18, attacco al contratto collettivo nazionale, privatizzazioni, tasse e repressione). Questa strategia, innestata all'interno di una situazione stagnante o peggio recessiva sta ottenendo i risultati sperati solo per i pesci grossi. Le piccole imprese muoiono, i salari diminuiscono, i soldi pubblici non si dirigono pi verso l'economia reale ma verso le banche (credit crunch), la disoccupazione continua a crescere (sempre pi persone sono disposte a lavorare a salari da fame), e nel frattempo aumentano le occasioni di fare shopping a buon mercato: di aziende pubbliche, di piccole e medie imprese, di lavoratori. Ci spiega anche la crescente insofferenza del PDL nei confronti del governo Monti, iniziano a manifestarsi crescenti malumori da parte di tutte quelle piccole e medie imprese che hanno fatto la fortuna di quel progetto politico. Il PD al contrario non fa che ribadire il suo assoluto appoggio all'attuale governo, nonostante l'evidente emorragia di consensi, perch evidentemente pi legato ai grossi gruppi di potere alle sue spalle che alla sua base. In tutto questo ragionamento, per, ci sono dei sconfitti in senso "assoluto", comunque vadano le cose: le famiglie, i precari, i pensionati, i lavoratori e pi in generale tutte quelle persone che stanno gi pagando pesantemente i costi della crisi e che sembrano destinati a dover pagare ancora di pi in futuro. Quest'enorme massa di gente d luogo a miriade di microconflitti su tutto il territorio nazionale che per non riescono a essere incisivi proprio perch non riescono a confluire in un unico grande

movimento o organizzazione capace di proporre un'alternativa concreta alla crisi in corso. Nel peggiore dei casi, optano verso una risoluzione individuale della crisi che prende le forme cruente dei suicidi o di gesti altamente simbolici, oltre che disperati. Nella fase attuale, quindi, piuttosto che seguire false scadenze (elezioni amministrative, eurogruppi, elezioni nazionali) e i falsi eventi ad esse connesse (grillismo, altalena dello spread, il dopo-Monti), quanto mai urgente porsi il problema di creare dei soggetti politici che riescano a interpretare correttamente gli interessi di tutti gli sconfitti "assoluti" e orientare la loro rabbia e la loro disperazioni verso obbiettivi concreti, che siano capaci di strappare una vittoria dopo l'altra alla controparte. Da questa crisi si pu uscire soltanto se riusciamo a unire tutte le lotte. Non c' molto tempo, ma non possiamo correre il rischio di perdere.

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