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La Via gener l'Uno, E da Uno furon Due, E da Due, Tre, E da Tre ecco i Diecimilla esseri.

LAOZI, Daodejing

Quando due o tre persone si riuniscono non si pu dire che siano insieme. Sono come marionette appese a fili tenuti da mani diverse. Solo quando un'unica mano li regge, su tutti scende un sentire condiviso che li muove all'inchino o alla lotta. E anche le forze dell'uomo stanno in quel punto dove le estremit dei fili convergono nella salda stretta di una mano che domina sovrana. Rainer Maria Rilke, Appunti sulla melodia delle cose.

PARTE PRIMA Capitolo Uno Non volevano cambiare il mondo, sapevano che chi prima di loro aveva tentato aveva fallito. Volevano cambiare se stessi. - Se ci abituano a dover comunicare con pi persone pi cose contemporaneamente, come possibile che poi ci dissuadano dall'amare pi persone nello stesso tempo? - si chiesero una sera, diverse ore dopo la mezzanotte, mentre aspettavano un'alba alla finestra. La societ era abituata alla monogamia come alla clandestinit, ed essere monogami o clandestini non ammeteva critiche. Non poteva certo dirsi la stessa cosa se invece ad amarsi erano tre individui. -Anche voi siete amanti?- chiedevano i pi curiosi a Gunther e George. Loro si limitavano a sorridere sotto gli occhi divertiti di Larissa che rispondeva: -Ci amiamo tutti-. Era un modo di ammetterlo mantenendo aperte le possibilit. Se era pur vero che ognuno di loro, fino a quel momento, aveva avuto una vita dedicata al piacere, era altrettanto vero che quella forma di amore, cos estesa, non era mai entrata nelle loro esistenze. Tutti e tre avevano in precedenza avuto occasione di condividere il propio compagno o la propria compagna con qualcun altro o di essere, sovente, essi stessi l'altro. Larissa, la pi giovane, aveva nell'ordine fatto l'amore con cinque uomini, stessa sera, stessa stanza. Era poi stata avvicinata da una coppia con la quale si era limitata a tenere le cosce ben larghe per permettere alla lingua di lei di esplirare femminili segreti. L'ultima volta che aveva condiviso il suo corpo con pi d'una persona risaliva a molti anni prima, quando era finita sul divano di un appartamento sconosciuto con due uomini, qualche mese prima di imbarcarsi in una relazione monogama poi in un matrimonio. Fu durante quel matrimonio che conobbe Gunther, il pi vecchio dei tre. Era quel tipo

d'uomo per cui il tempo fatica a passare, ricordando, fra le linee del volto, una fanciullezza mai scomparsa. Cacciato da tutti gli istituti e i licei di Roma per azioni sovversive e movimenti disturbisti che gli piaceva chiamare "rivoluzione estetiche", a diciotto anni aveva avviato il commercio dei pappagalli. Li allevava sul balcone di casa e ogni tanto li liberava per la citt. Spesso accadeva che i pappagalli ritornassero in gabbia spontaneamente, ma quei pochi che preferivano la libert creavano piccoli casi sulla cronaca locale. Lui e Larissa si erano conosciuti a casa di un poeta loro amico molti anni prima, prima che lei incontrasse quello che sarebbe poi diventato suo marito. Quella notte Larissa non aveva voglia di star fuori, era salita su giusto il tempo di due sigarette ed era andata via, senza ricordare volti e nomi. Aveva dimenticato Gunther gi prima di essere arrivata alla fine delle scale, aver chiamato un taxi ed essere ritornata sopra il divano a guardare il soffitto, nel buio e nel silenzio della sua casa. Gunther era rimasto a osservarla mentre si presentava agli altri ospiti e sorrideva con evidente poca voglia di farlo. Lui l'aveva ricordata per un tempo un po' pi lungo, giusto un paio d'ore, ma la mattina dopo se n'era gi dimenticato. Quello che aveva attirato l'attenzione di Gunther, era stata la strana luce di cui i contorni del corpo di lei parevano circondarsi. Come una farina magica, intangibile, che scendeva dalla testa sulle spalle, si allineava ai seni piccolini e rotondi e si adagiava sui fianchi. Era, quella, una luce che sapeva di mistero, un riverbero arcaico che veniva da lontano, e quanto pi antica era quella luce tanto pi stupiva poich Larissa, a quel tempo, non aveva nemmeno raggiunto la maggiore et. Era la poetessa pi giovane della citt e il suo nome circolava da qualche tempo negli ambienti letterari. Gunther ne aveva gi sentito parlare e adesso che la studiava nel salotto del loro amico, circondata da poeti e letterati, gli pareva inconsapevole del potere che cos precocemente teneva fra le dita. Gunther sniff il suo odore da vicino. " una furba" pens, ma non pot non fare caso alla sensazione di purezza che gli arrivava dai suoi capelli sciolti sulle spalle, gli occhi nocciola che si abbassavano quando era sicura che nessuno la stesse guardando. Si rincontrarono quattro anni dopo. Larissa aveva scritto altre opere, era ancora molto pi giovane di tanti altri poeti, e si era sposata con un marxista suo coetaneo, ecologista, primitivista e pessimista. Era stata invitata a una lettura di poesie con suo marito Leo, una sera, in un locale di San Lorenzo dove versavano gratuitamente vino poco pregiato nei bicchieri di plastica e tutti in silenzio ascoltavano versi di poetesse anziane con cappellini impagliati su capelli stopposi. Larissa, davanti al pubblico, ascoltava i suoi pensieri seguendo con gli occhi le macchie sul muro bianco. Leo, a qualche fila di distanza, teneva le braccia incrociate sospirando e tossendo per la noia. Fra lui e Gunther una rivista di sinistra occupava una sedia. Gunther chiese se poteva leggerla. Leo non ebbe niente in contrario. Era arrivato alla fine di un articolo sulla nuova variet di psicofarmaci quando Larissa attacc la sua lettura. Gunther alz la testa al suono di quella voce profonda e si stup che appertenesse a una ragazza cos minuta, le spalle cos strette, i polsi sottili come bachette. Passarono pochi secondi prima che si rendesse conto che si trattava della stessa persona incontrata anni prima. Ascolt cinque o sei versi, poi fin l'articolo. Chiuse la rivista

sbattendone forte le pagine. I poeti polverosi non se ne accorsero, Larissa sollev svogliatamente gli occhi verso di lui. Gli sorrise, non certo per averlo riconosciuto, ma perch quel disturbo parve alleggerire l'atmosfera marmorea che lei detestava. Gunther invit Leo a prendere del vino. Larissa sollev di nuovo gli occhi e vide le due figure allontanarsi. - Sono anche io un poeta! - disse Gunther a un timido Leo, -ma allevo pappagalli, -e fin el vino in un solo sorso. Chiese a Leo se anche lui era un poeta. - No, mia moglie lo , - e fece il nome di Larissa. Poi parlarono di economia e di politica, dimenticando la poesia. Andarono a cena insieme quella sera, e tutte le successive. Larissa osservava Gunther mentre divorava costolette di maiale e si affogava nel vino, puliva accuratamente le posate con i tovaglioni, strizzava l'occhio a cameriere e clienti del ristorante. Quella prima sera si ripromise che una volta a casa avrebbe protestato contro Leo per l'abitudine di raccogliere tutti i matti della citt senza chiederle nulla. Quelli ti attaccavano alle poltrone di casa loro e rimanevano ospiti per un tempo indeterminato. Gunther per quel che la riguardava era un alcolista, un vagabondo. Aveva necessit di stare per strade e locali il pi possibile, erano sempre gli ultimo ad andare. Rideva tanto e troppo forte, si tirava su dalla sedia nel bel mezzo di un discorso, gesticolava, era un istrionico senza alcun senzo del pudore. Larissa non si stup che Gunther e suo marito fossero diventati intimi amici. Le era chiaro il motivo per cui Leo ammirava tanto Gunther. Vi era, in quest'ultimo, una pasionalit del tutto assente in Leo. Ammirato e sconvolto, Leo seguiva Gunther per le strade notturne, gli parlava di conflitti mediorientali mentre quello tagliava strisce di cocaina sopra gli specchietti delle auto ferme; discutevano della supremazia nordamericana, indignati, offesi, rivoluzionari. Larissa li seguiva come una bestia silenziosa, aspettava di vedere il cambiamento in Leo, sperava che l'influenza di Gunther risolvesse le mancanze d cui il loro matrimonio era portatore sano. Attendeva il momento in cui la materia incandescente di Gunther avrebbe sciolto i nodi di Leo. Eppure sembrava che la vita sregolata di Gunther, per quanto affascinasse Leo, lo rendesse ancora pi chiuso e impenetrabile. Dopo qualche mese dall'inizio di quell'amicizia si lament con Larissa. - Beve e si droga troppo, - disse. - Non giudicarlo, - suger lei, - e diverso da te, avete esigenze diverse. Impara piuttosto a farti influenziare dal meglio di Gunther. - Secondo te cos'ha Gunther che io non ho? - Era una domanda pi curiosa che minacciosa e l'unica parola che a Larissa venne in mente fu consapevolezza. - Lui pi consapevole. Leo chiese ulteriori spiegazioni. Non seppe dargliele. Ci furono due occasioni in particolare in cui Larissa ebbe la sensazione che Gunther fosse attratto da lei. La prima volta accade un pomeriggio, dopo pranzo. Lei e suo marito si erano sdraiati sul divano e avevano tentato un amore che, ormai da diversi mesi, non consumavano pi. Gunther suon alla porta qualche istante dopo che Larissa aveva deciso

compassionevolmente di concedersi a Leo. Lei mise in fretta i capelli in ordine e cerc una posizione naturale sul divano, coprendo le game nude con una coperta. Gunther fece il suo ingresso con due bottiglie di vino sotto ciascun braccio. Leo era un visibile imbarazzo, ci che rimaneva dell'erezione sgonfiata da quella sorpresa premeva contro i pantaloni. Senza pensarci troppo Gunther esclam: -Oh! Stavate facendo l'amore? Scusate... Leo rispose di no mentre Larissa finiva di dire s. Gunther le sorride e, mentre Leo si allontanava per chiudere la porta che il suo amico lasciava sempre aperta, quello sfacciato tir fuori la lingua, la guad dentro gli occhi. Un'altra volta accadde qualche mese dopo, era estate. Larissa indossava un top aperto sulla schiena. Camminava in mezzo ai due, si stavano dirigendo verso il centro, dove Gunther aveva dato appuntamento ad altri amici. Sent la mano di lui prima sulla nuca. Non era raro cogliere Gunther nell'atto di accarezzare spalle e capelli di amici con cui condivideva il suo tempo. La mano scese sulla schiena. Non sembrava affetto, ma desiderio. Quando cominci a scivolare verso le natiche Larissa si spost con discrezione, e fece come se quel contatto fosse nato da un gesto involontario. Era quello il desiderio che lei reclamava per il suo corpo, quella venerazione aggressiva, solo carne, solo pelle e umidit. Quello il desiderio che Leo non era in grado di offrirle poich gli anni passati insieme avevano disidratato ogni fremito. La sera stessa Larissa lo raccont a suo marito. Lui non le credette. - Non mi consideri capace di procurare desiderio negli altro, - lo provoc lei. Lui non rispose. - Neanche in te, - continu lei. Lui scelse ancora il silenzio. La risposta era affermativa e lei non si sentiva pi donna da diverso tempo. Non possedeva pi ricordo delle sue adolescenti avventure, qualdo le bastava uno sguardo per invitare all'amore. Oppure ondeggiare sui tacchi per intravedere erezioni prepotenti. Aveva perso coscienza della sua femminilit e ne dava tutte le responsabilit a quel matrimonio. Adagiandosi nella tranquilit delle cose aveva perso il contatto con la sua natura animale. Il carattere pacato e cos convenzionale del marito non poteva far altro che assecondare quel processo di morte dei sensi e del desiderio, che ormai non poteva pi essere contrastato se non con una separazione. Maggio fu il mese delle separazioni. Gunther e Leo litigarono per questioni di politica internazionale. Mentre Leo sosteneva la legittimit di Hamas a bombardare i territori d'Israele, Gunther asseriva l'inconsistenza di quella faccenda. Discussero tutta la sera davanti a una bottiglia di assenzio. Da quel giorno i due amici non si telefonarono n si videro pi, e Larissa perse i contatti con Gunther. Alla fine di quello stesso mese, Larissa e Leo decisero di divorziare. Fu una separazione civile e pacifica, nessuno dei due aveva in odio l'altro e nessuno recriminava colpe che, dopotutto, non esistevano. Si erano sposati quando entrambi avevano appena compiuto diciotto anni e adesso che ne avevano quasi venticinque vedevano le loro strade

distanziarsi pi di quanto si fossero mai aspettati. Per quanto credessero nella verit e nella purezza del loro amore, erano inevitabilmente scivolati dentro una ferita lenta e invincibile. La sera stessa della separazione, Larissa incontr un turista americano. Un mese insieme e molte incomprensioni; diedero la colpa alla differenza della lingua ma era solo disinteresse dell'una verso l'altro. Una sera che lei e l'americano erano andati a Trastevere, aveva incontrato Gunther. Lei lo inform che aveva divorziato. Gunther le disee che la trovava in forma, la prese per mano e la fece girare su se stessa. Era ubriaco. Larissa arross sul collo, mormor un grazie e torn a sedersi con il suo amante americano. Pens ancora una volta che Gunther fosse attratto da lei, ma non provava alcun piacere ad assecondare quell'attrazione. Erano stati amici, lui era stato il miglior amico di Leo. Larissa non aveva mai tradito il marito e l'idea di compiacere un suo ex amico le sembrava un'occasione, seppur tardiva, di tradirlo. Un sorriso sbagliato avrebbe lasciato a Gunther chiss quale libert di pensieri, e lei non lo avrebbe permesso. Non sentiva proprio alcina attrazione per Gunther. Dopo l'americano arrivarono altri sedici uomini. Larissa si sent aderire finalente a se stessa riconquistando quella passione che credeva di aver perso durante il matrimonio. Si concedeva con gioia e generosit, e amava, amava davvero, fosse solo pero una notte o due o al massimo qualche settimana. Trovava in quella libert del corpo la giusta ricompensa ad anni di privazioni, anni in cui era stata lei stessa a mortificare il suo desiderio. Se da un lato quella promiscuit completava gli aspetti della sua intima natura, dall'altra il bisogno di appartenenza bussava sempre pi insieme. Voleva un rapporto pi autentico, un amore pronto a condividere con lei qualcosa che andasse oltre la pelle.Cominci a chiedere di pi aglu uomini che frequentava e li faceva partecipi del tormento che l'assillava, incapace di decidere se fosse meglio seguire la sua natura libertina o la sua indole borghese. I ripetitu rifiuti che riceveva la fecero deperire velocemente. Non riusciva pi a scrivere e mangiava molto poco. Cominci a bere qualche bicchiere di vino in solitudine, in poche settimane divennero intere bottiglie scolate nella notte, quando con carta e penna cercava di finire poesie iniziate e mai pi terminate. Viveva nella frustrazione artistica, nel tormento e nell'incapacit di roconoscersi in ci che era diventata. Cerc conforto negli oppiacei e nella cocaina, ma non vi trovava alcuno specchio capace di rifletterla. Le poesie interrotte rivelavano pi d'ogni altra cosa il suo disagio. A met novembre si sdrai sul letto una domenica pomeriggio e si tir su solo il marted mattina. Aveva perso ogni interesse nella vita, eppure non aveva desiderto la morte neanche per un secondo. Ci che gli altri indicavano come nichilismo, nella sua esperienza era solo bisogno di ritrovarsi e qualsiasi mezzo e qualsiasi circostanza le parevano opportuni. Incontr di nuovo Gunther nelle prime giornate di dicembre. Da qualche settimana Larissa aveva preso l'abitudine di pranzare nel parco, guardava i gatti che popolavano la colonia reclamava dall'aria e dagli alberi stimoli e ispirazioni, mentre i felini si

rincorrevano e serravano fra le mascelle piccioni moribondi. Larissa nascondeva il naso sotto una cappa bianca. In testa continuavano a lampeggiare immagini prodotte dalle droghe assunte la sera prima. Il vino le riscaldava le vene, ma era come se il suo corpo giacesse in uno stagno. Da un po' di tempo aveva addirittura perso la voglia di fare l'amore. La vide prima Gunther, trotterell verso di lei con il suo cane al guinzaglio. Lei non fu in grafo di spiegarsi quel formicolio che avert alle mani quando lo vide. Si sent improvvisamente felice. Anche Gunther pareva esprimere la stessa contentezza e fumando i resti della sigaretta si avvicin e si inginocchi accanto a lei, sdraiata sull'erba. Quel gesto, cos intimo, la fece sentirse al sicuro. Gunther riconobbe nella sua amica una tristezza che non aveva mai visto in lei. La sapeva capace di gettarsi verso precipizi di malinconia che le velavano gli occhi, ogni tanto, e sapeva che uno dei mostri pi atroci della sua et era l'insoddisfazione. Gunther ci era passato e forse per lui quella fase non era mai terminata. Larissa gli raccont tutto. Gli uomini che la negavano, l'alcol, le droghe, l'aridit artistica. Gli confess che l'infelicit che la opprimeva era diversa da quella che provava con Leo. - una partita con me stessa, capisci? Prima eravamo in due a dover dividere insoddisfazione e frustrazione. Adesso sono sola, la responsabilit solo mia. Era la prima volta che formulava ad alta voce quei pensieri. In qualche modo riusciva a fidarsi di Gunther e sapeva che lui non l'avrebbe giudicata. Larissa aveva da subito visto che Gunther come un individuo autodistruttivo, e anche gli amici comuni lo descrivevano cos, una persona inaffidabile e incostante. Ma lei sentiva che, sotto la sua scorza rumorosa, esisteva un cuore caldo. Nessuno meglio di lui poteva capirla in quel particolare momento della sua vita. Larissa aveva sempre riconosciuta in s una forza innata, capare di fornirle energia vitale pura. Quella nuova debolezza, quell'incapacit di trovare dentro di s un tutto la irritava e la faceva sentire inadeguata. Gunther annu. Era la prima volta che lei gli parlava cos a lungo. Lui non la interruppe. Accese quattro sigarette durante tutto il suo racconto sorridendo con partecipazione. Erano un uomo adulto e una ragazzina. Lui ascoltava con pazienzia i peccati e i tormenti di lei. Il cane guardaba impettito y gatti che, dietro le grate, scivolavano furtivi e molesti lundo il prato. Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Gunther spense sull'erba soffice l'ennesima sigaretta e imbarazzato abbracci inaspettatamente Larissa. Fu un abbrazio avvolgente, che non aveva nulla di erotico. Erano vicini e lei sentiva di comprenderlo meglio di quanto avesse mai fatto, quando era condizionata dal giudizio di Leo. - Io ho smesso del tutto con le mie dipendenze, - esclam con soddisfazione lui. Lei lo fiss con stupore. Gunther scoppi in una di quelle risate che parevano fuochi d'artificio, lampi di colore bluatro fiammeggiavano tutt'intorno e riempivano l'aria, che a Larissa sembrava gi meno grigia. Gunther la invit alla festa del suo compleanno per il giorno successivo. - Domani anche il mio compleanno! - disse lei e, senza rendersene conto, cominci a ridere forte.

La risata tuonante di lui si un a quella cavallina di lei, persino il cane non pot fare a meno di festeggiare, ululando un tenero apprezzamento. Il pomeriggio del giorno dopo, prima che facesse buio, Gunther si present a casa di Larissa. Reggeva tre grandi buste di plastica dalle quali spuntavano bottiglie di superalcolici. - La festa! - disse semplicemente lui. Fu inutile spiegargli che non era previsto festeggiassero l. Ma lui aveva deciso e guardandolo organizzare le bottiglie sopra il tavolo Larissa non si sent di contrastarlo. Gli invitati erano quasi tutti sconosciuti per lei, ma Gunther aveva avvertito i suoi amici che quel giorno anche Larissa compliva gli anni e quindi ognuno si cur di baciarla sulle guance prima di sparire a festeggiare con Gunther gi ubriaco. A fine serata rimasero in quattro. Lei e Gunther e due amiche di lui. Era evidente che entrambe fossero candidate a passare ci che rimaneva della notte con lui. O una o l'altra o chiss, forse entrambe nello stesso letto. Gunther baci prima l'una, poi l'altra. Erano tutti ubriachi e il pudore non contemplato. Gunther rideva, divertito da quelle due giovani donne in attessa di una mossa che solo lui, in quanto uomo, poteva fare. Larissa osservava la scena. Considerava mortificante che agli uomini toccasse il ruolo di corteggiatori attivi, mentre le donne dovevano fingere di non essere interessate: dovevano schermirsi, schernire il maschio. Pi le donne rifiutano, pensava Larissa, pi attirano desiderio. Lei non ne era capace: il rifiuto, offerto e incassato, la demoralizzava. Aveva spesso accettato proposte non gradite al suo cuore e alla sua carne solo perch i no la intimorivano, come minaccia di una malattia mortale. Si perse nelle sue private riflessioni e si addorment sul pavimento nudo. Si svegli qualche ora dopo, all'alba, disturbata da fitte alla schiena. Gunther dormiva al suo fianco. Era composto e pacifico. Gli occhi chiusi parevano pronti as aprirsi da un momento all'altro. Sembrava molto pi bambino, ma non chiedeva protezione la sual pelle rilassata e inerme, era piuttosto un figlio dell'universo consapevole, assorto nella contemplazionde della sua natura pura e incontaminata. Delle regazze, nessuna traccia. Larissa si mosse piano temendo di svegliarlo. Quando si alz, la mano di lui la afferr per un polso. Lei si volt. Lui continu a tenere gli occhi chiusi ma sorrideva. Impietrita da quel gesto, Larissa non ebbe il tempo di pensare. Gunther l'afferr per i capelli e la baci come se avesse avuto voglia fi penetrare tutto il corpo di lei entrando dalla sua bocca. Era un bacio divorante e Larissa si lasci divorare, si lasci divorare toccare afferrare e si lasci fare l'amore. Un amore disperato, che grondava sudore e sangue, sangue ovunque, il sangue mestruale di lei non li ferm in quella corsa devastante e furiosa. " furioso", pens Larissa mentre Gunther si spingeva dentro di lei. Liberando voce e artigli, impastati in un sonno alcolico, Gunther e Larissa vivificarono i loro sessi, li imbottirono di energia, non l'energia distruttiva che Larissa adoperava con glia alri suoi amanti, n l'energia ansiosa di cui il sesso di Gunther si permeava con le altre donne. A ogni colpo, a ogni gemito, per ogni morso, qualcosa cresceva; come se un ago stesse intrecciando i fili di un vestito malridotto, ogni volta che la punta del sesso di Gunther sfiorava le ovaie di Larissa, sembravache l'abito acquistasse una forma pi definita, finalmente indossabile. Sebbene entrambri potessero giurare di aver goduto del

sesso, nessuno di loro poteva ignorare che, su quella coperta, il significato di godere rischiava di essere chiaro, una verit finalmente rivelata. Ci che rimase il giorno dopo di quella furia fu una coperta insanguinata e due baci sulle rispettive guance. Gunther torn a casa sua, port il cane al parco, ritorn su e si occup dei pappagalli. A met pomeriggio, dopo che ebbe rassettato la stanza, messo i panni in lavatrice, piantato un chiodo al muro da cui era caduta una cornice che ritraeva la pi famosa posa di Karl Marx, si sedette al tavolo in cucina. Si vers del vino e cominci a scorseggiarlo. Si port un dito alla bocca, rosicchi una pellicina alla base dell'unhia. E l la trov, potente come alcol puro che scende nella golla e brucia. L la trov, incastrata fra unghia e dito. L'odore di lei, il suo sangue, il suo umore, le sue feci, rimasti attaccati alla pelle dalla notte prima. Gli piacque. Continu a rigirarse la pellicina infetta fra i denti. Si concesse l'idea di amarla ancora una volta, e ne fantastic per tutta la sera. Larissa, dall'altra parte della citt, osservava la coperta insanguinata e aveva paura che toccarla e metterla a lavare avrebbe reso reale quell'incontro, che non avrebbe mai voluto accadesse. Lavare via lo sporco significava accettare la realt del fatto; lasci quindi la coperta esattamente dove si trovava e si invent una fantasia cos inverosimile da sembrarle credibile. Qualcuno aveva perso sangue dal naso, inzuppando la coperta. Era questo che era successo. Non avrebbe mai pi fatto l'amore con Gunther, pens. E quel pensiero archivi l'argomento. In quello stesso momento, in un'altra citt d'Europa, George si stava imbarcando dal gate numero 5 sul volo per Roma. Al bar dell'aeroporto si era fatto versare due whiskey e aveva sciolto sulla lingua tre pillole di valium. Arriv all'ingresso dell'aereo con un senso di stordimento che gli invadeva le gambe e risaliva su, fino allo stomaco, riscaldandolo. Questa volta non avrebbe avuto paura, lo sentiva. Si sedette accanto a una donna con i capelli cos biondi da sembrare bianchi. Osserv i suoi lunghi orecchini dorati che dondolavano mentre l'aereo rullava sulla pista. Si alz in volo, il respiro si blocc. George cerc di ricordars quanto fosse ubriaco prima che il velivolo decollasse. Quando finalmene la testa ricominci a riempirsi di calore, George chiuse gli occhi e si scopr a sorridere. Pensava al suo amico Gunther, agli anni che li avevano tenuti separati. La fretta di raggiungerlo era assai pi prepotente della paura di starsene sospeso per aria. Poi chiuse gli occhi, gli arriv il forte profumo di gelsomino della sua vicina. A occhi chiusi pens a un giardino e alla pelle bianca di una donna sconosciuta. Si addorment.

Capitolo Due Era l'1:35 del mattino quando George prese la decisione. Seguto in un caff di Montmartre, aspettava che il cameriere raggiungesse il suo tavolo per raccogliere i bicchieri vuoti. Si stupiva che il vino finisse cos in fretta. Guard la fila dei calici di vetro cha aveva allineato davanti a s, tenendo un dito dentro un libro di poesie di Boris Vian. Quella notte Parigi era assediata dal vento e dalla follia. Sembrava che la fine dell'estate avesse lasciato in eredit una solitudine collettiva pi

dolorosa, di quanto non fosse mai stata. Chi si era rassegnato a quella solitudine se ne restaba fiero e sconsolato seduto al bancone di un bar o in metropolitana. Un ombrello, un giornale, un libro in mano o grandi cuffie alle orecchie a riparare dalla nostalgia. Chi invece viveva con rabbia e furore quella solitudine era impazzito e aggrediva gli individui del mondo sano nei modi pi diversi. Urlando deliri al ciglio delle strade, oppure cacando davanti ai centri commerciali o esibendo una tristezza inaudita sul tavolo di un caff, circondato da bottiglie di vino vuote e da cicche spente con rabbia nel posacenere. Bevendo il suo quinto bicchiere di vino, George si chiese a quale categoria appartenesse. Ai rassegnati o ai disperati? Non credeva di aver mai avuto le idee chiare, eppure era quella mancanza di chiarezza a tenergli aperte la possibilit. Due mesi prima aveva guardato la lunga coda bionda di Aurore uscire dalla porta di casa. Fu l'ultima volta che la vide. Gli stivali di gomma rossi di lei stavano ancora all'ingresso dove li aveva lasciati, dopo che erano rientrati a casa da una notte di pioggia e lacrime. George non aveva mai amato Aurore, e credeva fosse per questa ragione che lei l'aveva amato pi di quanto le era consentito. Non faceva alcuna fatica ad ammettere che stare con lei era un modo come un altro di adoperare il tempo e di accorciare le distanze fra s e gli altri. Non era sempre stato cos. C'erano stati anni in cui aveva amato sinceramente. Non era sempre stato concentrato sulle proprie paure, George, mai cos attento alle voragini che ogni tanto si aprivano dentro come un ventaglio, a spazzar via i grammi di gioia che cercava di raccogliere ogni giorno. Quella notte a Montmartre, a pochi passi dalla casa in cui viveva da poco pi di due anni, sentiva che il suo corpo aveva ricominciato a ribellarsi e a prepararsi a una nuova fuga. I segni erano chiari: muscoli tesi scattavano come molle sotto la pelle, che sudava pi di quanto la temperatura concedesse; il cuore palpitava sotto al petto oscurato da una nuvola d'ansia immotivata eppure invincibile. Fuggiva sempre quando prendeva coscienza dei suoi occhi che non riuscivano pi a guardare oltre la punta del naso. Era tornato a Parigi dopo un anno a Roma e prima d'allora sei mesi a Berlino e ancor prima due anni a Londra. - tempo di tornare, - gli aveva detto una cartomante di piazza Vittorio, dopo che con lunghe dita ossute brillanti di anello aveva voltato quattordici carte. Anche George sentiva che era tempo di andare, gi prima che La Morte, Il Carro e Il Matto gli rivelassero il suo destino. Non pensava certo di tornare a casa, a Parigi. L'unica cosa che lo legava a quella citt era sua madre, e lei l'unica ragione per cui non voleva tornare. Erano passati sei anni dall'incidente della madre: autostrada Marsiglia-Bordeaux, gettata fuoristrada da un camion che trasportava polli. L'autista e diverse decine di polli avevano perso la vita, lei l'uso della parola e delle gambe. Da allora passava le giornate davanti alla finestra del suo appartamento negli Champs-lyses a leggere classici, ordinare e guardare foto dall'album di famiglia insieme alla figlia maggiore, Sylvie. La sorella di George viveva la sofferente e lenta, malinconica morte della loro madre in simbiosi con lei. Aveva rinunciato alla vita nell'attimo stesso in cui la morte, o la sua possibilit, si era affacciata cos drammaticamente nella sua esistenza. I suoi diciannove anni sembravano troppo pochi a George per lasciarsi trascinare in

quell'amara accettazione della malattia. Le abbandon, le abbandon l con il loro dolore e i loro ricordi di un passato felice. Sei mesi dopo aver lasciato Parigi Sylvie, superato il rancore, prese a chiamare il fratello tutti i giorni. Ogni volta gli chiedeva quando sarebbe tornato, e non era chiaro se intendesse per sempre o solo per qualche giorni, ma la risposta di George era sempre la stessa: - Presto, - e quel presto in sei anni non era mai arrivato. La voce bassa di Sylvie, che suonava come un lamento, era molto pi violenta di qualsiasi accusa. Inveiva contro le paure di George molto pi disperatamente di uno scontro diretto. In quegli anni lontano da casa George aveva imparato a ignorare i sensi di colpa e tutto il dolore che si era lasciato alle spalle ricorrendo a varie tecniche di dispersione della concentrazione. Ufficialmente era un fotografo freelance. Scattava foto alle manifestazioni, ai lavoratori extracomunitari nelle fabbriche, agli intellettuali alle conferenze, e le spediva alle redazioni francesi. Non era mai stato un problema venderle. Prima che sua madre rimanesse muta e costretta su una sedie a rotelle, era stata la giornalista di sinistra pi stimate di tutta Parigi. Direttori di giornali e cronisti conoscevano George da quanto era bambino e forse per compassione o reale interesse nessuno fino ad allora aveva rifiutato i suoi reportage. Aveva cominciato a spiare la gente nel periodo in cui viveva a Roma. Per le strade strette di Monti e Trastevere rivolgeva gli occhi verso l'altro, all'indirizzo di finestre illuminate, nascoste poco dalle tende. Osservava donne sui balconi sussurrare al telefono; o uomini soli davanti ai fornelli occupati da diverse pentole, la televisione accesa; studenti che bevevano su divani di pelle consumati; cani in attesa deo padroni. Impieg una tecnica di sviluppo della pellicola che rendeva i volti irricinoscibili. Sembrava allora che quelle figure solitarie fossero solo dei dipinti sui balconi romani. Spettri di una citt eterna e perduta, gloriosa e sola nel suo splendore. Anche George si sentiva un fantasma. Scivolava sui sanpietrini della citt lasciandosi guidare dalle foglie dei rampicanti aggrappati ai muri dei palazzi. Dal principio del busto alla fine delle foglie dove si incontravano con altre foglie e si mischiavano e cominiciava un'altra pianta. Spiava. Incontr Gunther di notte, a Trastevere. George stava aspettando l'autobus a una fermata adiacente a un banchetto di fiori; Gunther stava comprando dei tulipani gialli. Aveva i capelli scomposti, come attraversati da scariche elettriche sprigionate direttamente sagli occhi celesti. Chiese al venditore di incartargli i fiori con carta bianca. -Che sia bianca, - ripet ancora, poi si avvicin alla donna che insieme a George stava aspettando l'autobus e recit: Pentirsi non mi appartiene e mi innamoro di un viso al metro. Non oltre lo sguardo l il corpo, quel che resta, tutto, un cuore caldo tra sorriso e sterno. Fece poi scrivolare i fiori tra le mani della donna con gli occhi grigi e spesse sopracciglia nere; quando lei le distese, assecondando un sorriso, il suo volto parve trasformarsi in un giardino di primavera.

Gunther le disse che era bellissima. Lei sorrise di nuovo, le braccia tenevano incerte il mazzo di tulipani. - Siete insieme? - Gunther si rivolse a George. - No, - rispose l'altro lasciandosi sfuggire un sorriso. Gunther sembr contento della risposta e invit la donna a bere un bicchiere. Lei rispose di no. - proprio qui di fronte! - cerc di persuaderla. Lei ci pens per un momento, un'espressione lusingata correva sul suo volto che anche George, adesso che Gunther gliegl'aveva fatto notare, vedeva bellissimo. Arriv l'autobus che la sconosciuta non aveva intenzione di perdere. Entrambi la guardarono salire, camminare lungo il corridoio, i petali dei tulipani sfioravano i volti degli altri passeggeri. Quando si fu seduta mand a Gunther un bacio con la mano. Lui si continu a sorridere finch l'autobus non ebbe svoltato la strada. Gunther si volt verso George. - E a te va? Di andare a bere qualcosa. Ti va? A George non fu nemmeno possibile pensare di rifiutare. Cominciarono a frequentarsi tutti i giorni. Per un periodo lungo quattro mesi divisero perfino una casa, finch i vicini non si lamentarono per i pappagalli e Gunther fu costretto a spostarsi. In verit dividevano molte cose: notti insonni, fino all'aurora seduti sui marmi del Gianicolo a parlare di cinema e poesia, di loro, del passato senza fare mai riferimento al futuro; e le amanti, anche quelle dividevano, godendone spesso insieme, dimenticandosi di loro qualche notte dopo. Gunther seguiva George nelle sue passeggiate sotto i balconi romani, e bastarono pochi giorni perch abbracciasse il progetto dell'amico francese. Trascorrevano le giornate fra marciapiedi e parchi, le notti in locali affollati dove Gunther conosceva tutti e non faceva alcuna fatica a conoscere altri. Finivano sempre a casa di qualcuno a bere, a farsi di acidi o fare l'amore. Un pomeriggio, era auntunno, George si rec alla stazione Termini e affitt una macchina. Venti minuti dopo si trovava sotto casa di Gunther, suon al citofono e: Partiamo, - fu l'unica cosa che disse. Gunther venne gi con un borsone gonfio di vestiti arrotolati, una tenda da campeggio e dicine di cd. Ignoravano entrambi il motivo per cui avevano deciso di intrapendere quel viaggio improvvisato ma sapevano che era necessario farlo insieme, perch qualsiasi fosse stata la ragione avrebbero dovuto affrontarla, magari annientarla, insieme. La prima notte si fermarono a Saturnia, fra Toscana e Lazio. L, fra lo scrosciare delle cascate e i canti degli animali notturni, George apprese l'intima relazione fra Gunther e la natura. Ammise a se stesso che non era mai stato capace di vivere il mondo cos come lo stava vivendo con Gunther. Era il sacerdote degli alberi, eccelso conoscitore e amico degli uccelli, seguiva le impronte di istrici, donnole e gatti selvatici con un talento che solo antichi cacciatori di epoche perdute potevano possedere. George segu Gunther pr i boschi che abbracciavano la conca termale di pietra, dopo aver passato tutta la notte nell'acqua bollente concedendosi qualche minuto di sonno. Fu in uno di quei momento narcotici che Gunther apr gli occhi come fulmini tra le nuvole, quando un verso di bestia lo scosse dal sonno e lui scosse George: - L'hai sentito? L'hai sentito? Uscirono dall'acqua con la pelle raggrinzita testimone dell'estrema pace che gli scorreva dentro, una magia indecente e assoluta. In fretta indossarono i vestiti al contrario. Gunther segu il verso di quell'animale fra gli alberi e i cespugli. - Corri! - urlava a voce

bassa. - Corri! Corri! - George faceva fatica a tenere il suo passo, Gunther sembrava un primate che scalava dune di terra e si teneva aggrappato ai tronchi, ai rami, i rovi le foglie il fango, non c'era ostacolo. Diversi minuti dopo George not che l'amico era scalzo. Nel buio fitto i suoi piedi erano appena illuminati da una stretta striscia lunare. Le ferite, il sangue, brillavano sulla pelle bianca. George pens agli unicorni e fu cos che vide Gunther: un animale mitologico e reale insieme, terreno e celeste, vulnerabile e da qualche parte immortale. George non pens prima di agire. Trascinato follemente in quella natura, riconciliato finalmente con il senso delle cose, il suo corpo si lanci contro quello di Gunther e l lo baci, la schiena liscia sulla corteccia ruvida e bagnata. Aperti agli alberi e lla vita che luccicava intorno, selvatica come gli animali che ascoltavano e spiavano distratti quei due uomini, quel due amici, si amarono come se la fusione dei loro corpi bianchi fosse stata consigliata dalle stelle. Mentre George riempiva di calore le viscere di Gunther, l'impressione era che tutta la natura stesse plaudendo a quell'evento. Si schiantarono contro le foglie el il fango e risero quasi senza voce. Non ne parlarono pi, ma non c'era alcun sentimento di vergogna, nessun rimorso. Continuarono a baciarsi per tutto il mese successivo, ogni volta che lo volevano. Si spinsero verso l'Italia settentrionale, attraversarono le Alpi, costeggiarono le spiagge della Francia meridionale, poi decisero di andare ancora pi a sud, verso la Spagna. Travilti dall'afa spagnola che perdurava fino ad autunno inoltrato, si dedicarono alle drighe dimenticandosi di se stessi e del tempo, eppure perdutamente persi dentro se stessi e nel tempo. Sotto il Lucifero nero a Madrid fumarono eroina recuperata da una casa di studenti baschi incontrati un pomeriggio. Conobbero una tossica con le treccine rosse che si spogli davanti a loro chiedendo di essere scopata a turno. A Barcellona, sotto un capannine nel quale si celebrava un festival di musica elettronica, ingoiarono varie pasticche d'acido. George vide sua madre. Come davanti a un fuoco sacro tutti le danzavano intorno mentre lei se ne stava rigida e malinconica sulla sedia a rotelle. C'era chi tirava fuori la lingua e l'avvicinava al suo orecchio, che si spogliava e la schiaffeggiava con i seni, la toccavano, la molestavano, ridevano di lei. Imprigionato dallo stordimento, George era impedito a muoversi, a salvarla da quella violenza. Un ragazzo magro con un cappello con la scritta "SEX" la penetr sotto i suoi occhi. A George parve di sentire la pelle della madre contro le proprie mani, eppure non la toccavano. L'odore di lei lo circondava, sembrava una mano enorme e pesante che lo spingeva verso il basso. Sprofondava sempre di pi, sempre pi velocemente. Perso dentro il pavimento nero non vide pi sua madre, non vide pi Gunther, non riusciva a scorgersi le mani, impossibile persino trovare la sua testa, i suoi capelli. era aria, era vento, colmo di una giooia straziante e feroce. Si svegli dopo un tempo indefinito, accanto a lui Gunther russava coperto dal sudore. Si svegli dopo un tempo indefinito, accanto a lui Gunther russava coperto dal sudore. La camicia di George era macchiata da quelle che sembravano chiazze di vomito. Annuss, era vomito. Sgusci fuori dalla tenda, davanti a lui l'insegna rossa do un autogrill. Le macchine si rincorrevano sulla strada rovente. Rivide il volto di sua madre, ma questa volta non fu un'allicinazione.

And a scegliere fra i ricordi il suo volto pi bello, quello che lui venerava quando da bambino lei se ne stava seduta a meditare davanti alla macchina da scrivere con la fronte aggrottata, pescava una sigaretta dal pacchetto e fumava facendo tintinnare le decine di bracciali al polso. Poi si accorgeva di lui e gli rivolgeva un sorriso infinito che George non aveva mai riconosciuto in nessun altro. Si sitir le gambe, entr nel bar accanto al distributore di benzina e mentre sorseggiava un caff bollente scrisse un biglietto: "Non ti scorder mai!" Lo infil sotto il petto di Gunther, poi and in strada e cammin. Cammin per un'ora. Chiese un passaggio a un camionista che si chiamava Amarillo e raggiunse il pi vicino aeroporto. Sette ore dopo era a Parigi. E due anni dopo era ancora l, a Montmartre, a rifletere sulla telefonata ricevuta da Gunther. Non si erano pi sentiti da quel giorno nell'autogrill di Barcellona, ma George lo sapeva: Gunther era capace di innamoramenti fulminei che riusciva a dimenticare nel giro di poche settimane se non addirittura giorni. Nessuno dei due aveva fatto qualcosa perch l'altro lo ritrovasse. Quel pomeriggio Gunther aveva telefonato a George e i due amici avevano parlato come se quegli anni non fossero mai passati. George decise che lasciare Parigi per un paio di settimane non gli avrebbe fatto male. Non sapeva che fosse una nuova fuga.

Capitolo Tre I. Sperma che si ferma preme contro il muro sperma che non crepa padre impotente madre moglie vergine insanguina chirurgici ripiani "sua figlia era illibata." Basta uno speculum freddo a rompere infanzie protratte.

II. Nasco a dicembre di notte naso guance rosse. III. Le visioni prima delle parole. Bambina muta mi dicono bambina pietra marmorea nei miei vestiti lilla e bianchi fuggo dai bambini e sto con i grandi. Gli spiriti sono pi grandi dei grandi preferisco loro ai grandi. IV. Dio e io non andiamo d'accordo. Il prete alla finestra. 5:36. L'unica fonte luminosa proveniva dalla cappa sopra il fornello della cucina. Della luna nessuna traccia. Larissa gett la bottiglia vuota di vino, prepar un caff e and in cerca delle sigarette. Poggi tazza e posacenere sul tavolo accanto al suo quaderno, un ordine maniacale che mani smaniose ricercavano, apr il quaderno e lesse i pochi versi scritti. Il prete alla finestra e poi? Poi, domani. Chiuse il quaderno, ingoi una buona quantit di caff che le bruci la lingua. Accese una sigaretta. Riapr il quaderno. A parte una sbronza e rari attimi di entusiasmo per un'idea giunta a caso e all'improvviso, da quel lavoro non era venuto fuori niente di buono. Quella sera si era applicata sopra il tavolo della cucina a scrivere qualsiasi cosa le fosse venuta in mente, purch scrivesse. Un proposito che man mano che procedeva le sembrava sempre pi insano e inutile. Non trovava il senso nelle sue parole e, anche se ci fosse stato, che senso avevano tutte le parole? Di cosa stava godendo? Che privilegi ne avrebbe ottenuto? Nell'impossibilit di procedere, mentre beveba l'ultimo sorso di caff, decise che avrebbe dovuto fare proprio quello: raccontare del suo limite, di quella menomazione, che la teneva sospesa senza apparente possibilit di risoluzione. Lo avrebbe fatto. Domani. Si spost in salotto, il lenzuolo bianco sopra il divano le rinfresc la pelle accaldata. Che cosa era cambiato? Era come se in passato il bisogno di essere nelle parole fosse cos forte e imprescindibile da non lasciare spazio ai dubbi. Adesso non avvertiva pi urgenze e anche quando erano pi pressanti non riusciva a tirarle fuori dalla penna. La poesia non era pi disposta a guarirla. Avrebbe scritto del suo fallimento. Domani per. Anche la casa, vuota e silenziosa, minacciava la sua integrit. Quel senso di niente aveva scavato buchi tutt'intorno a lei, larghe voragini che l'avrebbero fatta sprofondare chiss

dove se solo vi avesse messo piede. Si trascin verso il bagno e si trov di fronte agli occhi piccoli cerchiati di viola, la pelle arrossata e butterata, le labbra contratte che odoravano di amarezza. Si lav i denti. Dopo Leo, avevano trovato asilo nel suo letto diversi uomini. Finiti l per caso, disperazione, solitudine o curiosit, non erano mai rimasti per oltre sette giorni. Ognuno di loro si comportava come quei gatti che per ringraziarti del tuo amore donano piccole bestie cacciate e uccise per gioco; quasi tutti lasciavano tracce di s, biancheria, vestiti, spazzolini e rasoi, a testimoniare quelle forme di illusione di cui ormai Larissa si nutriva. Non esistevano bisogni n richieste. Bruciavano la passione in pochi giorni e si separavano senza parole n lacrime, guiati da un percorso tanto naturale quanto indolore. Gett l'occhio all'ennesimo spazzolino che se ne stava verticale e desolato in mezzo agli altri orfani, le setole consumate. Sapeva, Larissa, a chi era appartenuto. Gli altri non avevano pi nome. Nella distanza di tempo che aveva separato l'arrivo di Gaetano dal suo abbandono, Larissa si era dedicata a una nuova pratica che forse nascondeva il timore, poi confermato, di non poter mai possedere davvero quell'uomo oggetto di un piacere sconosciuta. La sua urina nella bocca di lui, sul suo petto, come di un felino che conquista pezzi di terra. Lo aveva amato e la sua mancanza reclam un amore di cui Larissa aveva creduto di non avere pi bisogno. Spalm calce di bassa qualit nelle crepe aperte dalla sua partenza, dal suo abbandono. Sapeva che era il modo migliore per perdersi, ma anche l'unico per sopravvivere. Riemp il suo corpo di disperazione. Le game, tenute ferme dal bisogno di resistere. Resistere piegate, resistere distese. I fianchi disforici ammetevano una totale appartenenza alla vita poi alla morte, si sollevavano per lottare, si cullavano avanti e indietro quando la fine era vicina. I suoi occhi, incastrati nel muro bianco del voto, li chiudeva per negare la propria presenza, quando li riapriva la disperazione era stata vomitata tutta fuori. Le sue mani afferravano, stringevano, colpivano, incatenavano altre mani. Sentiva una forza suprema partire dai polsi fino alle unghie, che graffiavano e premevano su pelli sconosciuta. Poi la disperazione si chiudeva, esplodeva e si chiudeva, in un godimento che nella sua fica si piegava e moriva, appassendo nel suo stesso stelo in pochi secondi. E la disperazione era ancora l. Un corpo disteso accanto al suo, disperato, disperati gli odori sopra il letto. " furioso," aveva pensato mentre faceva l'amore con Gunther. Insieme a lui non aveva avvertito alcun elemento di separazione. Per la prima volta, fra tanti amanti, aveva trovato uno specchio. Una corrispondenza, una fusione di altruismo ed egoismo, assenza e presenza. Larissa non aveva pensato nemmeno per un momento al sesso n all'amore, fluttuava in un altrove che non aveva nulla di estatico n di spirituale. Era da sola, come sempre si sentiva, eppure c'era lui, la cui forza riusciva a percepire vena contro vena. Si erano affacciati tutti a guardare: Leo, Gaetano, l'americano, tutti l, tutti andati, tutti abbandonati. Sarebbe stato lo stesso con Gunther, aveva pensato mentre lui soffiava dentro di lei sperma caldo che le aveva gelato il sangue, e quel pensiero le si conficc fra le costole e

los sterno, dove segretamente sperava si non perdere Gunther. Quando la mattina dopo se ne era andato l'aveva lasciata alle prese con una gastrite nervosa. Le succedeva ogni volta che faceva l'amore senza averne davvero voglia, ognia volta che lo usava come arma contro se stessa, scudo a riparo dagli altri. La pancia si gonfiava, riempita da pensieri viziati che si raccoglievano fra l'esofago e lo stomaco e intasavano i condotti, nuvole nere si condensavano l, liberando temporanemente la mente, proteggendo il cuore. La tocc: era durissima pietra. La coperta insanguinata giaceva sul pavimento testimone di quell'errore. Non la sfior, temendo di sbagliare ancora. Il primo pensiero fu per Leo. Non voleva ferire il suo ex marito, non aveva mai desiderato una qualche forma di vendetta o rivalsa su di lui. Avevano parlato di Gunther qualche notte prima di separarsi. Con romanzi stranieri sotto gli occhi, coperti dalle loro lenzuola, lei aveva appena letto la parola "kamikaze" e si era ricordata della lite fra i due. - Non ti manca Gunther? - gli aveva chiesto. Lui aveva sospirato. - No. - Davvero te la senti di perdere un amico per questioni di politica internazionale? Davvero, Leo? Larissa aveva approfittato del silenzio che lui aveva scelto come risposta per lanciargli addosso le sue frustrazioni. - Fai sempre cos tu. Metti sempre gli altri, gli sconosciuta, gli ideali, metti sempre tutto prima di chi ti ama. Lui aveva posato il suo libro, Z l'orgia del potere era il titolo in copertina. Aveva sospirato ancora. - Non mi va di parlarne adesso, - aveva detto con un tono che suonava come una conclusione. - Lo so. Z l'orgia del potere prima di Gunther, prima di me, prima di noi. S, lo so, ovvio, tutto chiaro. Larissa aveva ripreso il romanzo e finto di leggere. Due minuti dopo Leo aveva visto il romanzo di sua moglie volare oltre il letto e ricadere per terra con un tonfo sordo, definitivo. - Pazza, - le aveva detto senza disrogliere gli occhi dalle sue righe piene di impegno politico. Lei aveva sentito la propria voce ghiacciata chiedere, per l'ultima volta, quello che a suo marito proponeva gi da diversi anni. - Voglio un figlio pi di ogni altra cosa. La risposta di lui era stata la stessa di sempre: uno sbuffo e una negazione. Larissa rincorreva affativata i suoi desideri. Le sembrava che pi li rincorreva pi loro diventavano grandi, crescevano con gli anni e con l'impossibilit di realizzarli. La motivazione di suo marito era chiara, ma completamente illogica. - Siamo tanti al mondo, - sosteneva lui, - mettere al mondo un essere umano destinare alla morte definitiva questo pianeta. Lei reputava oltremodo offensiva quell'incoscienza nell'accostare la vita alla morte. La nascita di uno comprometeva la vita di mille altri? Era davvero cos? Per placare le sue

mani smanie materne e il rancore verso Leo, presto Larissa aveva cominciato a pensare di s. Capiva le ragioni di Leo, le ingoiava come caramelle. Quando si rese conto che rinunciare ai suoi bisogni era diventato un lavoro molto pi faticoso che mettersi in gioco per quella storia, aveva spiegato a Leo che il loro tempo insieme era terminato. Lui era stato d'accordo. Gunther era il suo passato. Apparteneva a un periodo della vita di Larissa che lei non rinnegava, al quale era persino affezionata, ma di cui voleva sbarazzarsi nel modo pi veloce possibile, senza dolore. Si trasfer nel letto. Impose agli occhi di chiudersi, le palpebre serrate con forza, immagin linee verticale agli angoli degli occhi. Non poteva lasciare che il suo corpo facesse ci che lei si rifiutava di fare. Era il suo corpo, dopotutto, avrebbe risposto alle sue esigenze. Eppure sembrava distribuirsi nel mondo a suo piacimento, ignorando i richiami di lei. Larissa voleva dormire, ma non il suo corpo. Lo assecond ancora una volta. Torn in cucina, riapr il quaderno. Quei versi inutili ancora davanti a lei. Dalle porta della sala da pranzo scorgeva un lembo della coperta. Si sentiva assediata, aggredita dalle mura, dai fiori sopra il tavolo, dal suono dei bongos africani che entrava dalla finestra e copriva l'aria come lana. Preferiva perderlo, Gunther, piuttosto che continuare a straziarsi. Chiam Gaetano, si sent piccola, piccola, disperatamente piccola quando gli disse: - Ho voglia di scopare, - incassando il s di lui assai pi brutale del no che si sarebbe aspettata. Dorm quindici ore senza mai sveglarsi.

Capitolo Quattro - E... il senso del tempo. Se il tempo avesse un senso per tutti, tutti acquisterebbero senso. Perci. Cosa siete venuti a fare qui? Giudicatemi e ammazzatemi. La vostra non colpevolezza non mi appartiene. - Gunther, - lo chiam qualcuno. - Gunther! Era quel suo amico tedesco, quello che indossava capelli ridicoli. Sapeva dirlo bene il suo nome, l'accento non aveva sbavature. - Gunther... - continu a dire. - Eh! - risposte Gunther, - dimmi. - Cosa fai tu davanti a specchio, Gunther? - Io mi specchio.

- E perch tu parli davanti a specchio, Gunther? - Io mi parlo. Il suo amico dalla Germania non capiva molte cose. - Johannes, - gli disse Gunther, - perch non mi offri un vodka lemon? Di, offrimi un vodka lemon, Johannes. Pag il suo vodka lemon. Sul suo terrazzo Gunther aveva una voliera. Dentro c'erano cinquanta pappagalli. In camera sua, in cucina e nella sala da pranzo venti pulcini abitavano piccole scatole di legno. - Jogannes, - gli disse, - vuoi uno dei miei pappagalli? Erano seduti a un tavolo al centro della sala. Johannes gli rubava la visuale, una bionda col volto scavato era seduta insieme ad altre tre bionde che nessuno dei due riusciva a vedere. - E che cosa faccio io con pappagallo? - Johannes... che ci fa tu con pappagallo... te lo metti sulla spalla, ci giochi, gli di da mangiare, lo fai volare per casa lasciandolo cacare in giro. Questo fai, fratello. Il vodka lemon dentro il bicchiere di Gunther termin. Avrebbe dovuto chiederne un altro al suo amico. O un altro drink per otto euro o un pappagallo per duecentocinquanta. Doveva decidere quali fossero le priorit. - Johannes... oooh... Johannes. Oh, embe'? Che stai a guarda'? - tese il collo, Johannes stava sorridendo alla bionda. - Fratello, me lo fai un altro vodka lemon? - Sei fenuto senza soldi? - Eh non sai che m' successo! Ero in taxi prima, no? Mi sono messo a parlare col tassista, gli ho dato il mio biglietto da visita che stava dentro il portafoglio e l'ho lasciato sul sedile. Il portafoglio. - E come fai senza portafogli? Vai da polizai per perdita! - Polizai. S, certo, polizai. Cristo Johannes, vivi da sei anni a Roma, come fai ancora a non conoscere l'italiano? - Io conosco l'italiano, Gunther. - Porcaputtana, nel portafoglio c'era mezzo grammo di cocco, Johannes, non posso fare la denuncia. - Ma non era finita la cocaina? - Ma che dici di Johannes? - Tu con la cocaina non avevi finito? - S certo, infatti quel mezzo grammo era l da parecchi mesi. Un souvenir, Johannes, un souvenir. - Allora no denuncia? - Eh no Johannes, non si pu denunciare. Gunther fiss il cappello del suo amico. Una bombetta nera con un nastro rosso fermato da un fiore bianco. Si mise a ridere forte, Johannes sembr ferito. Gunther and in bagno. Passando accanto al bancone salit cinque persone che conosceva, ne conobbe una sesta che si era mischiata agli altri. Una donna robusta e riccia, grandi occhi allungati. Non male, pens Gunther, ma appena varcata la soglia della toilette se ne era gi dimenticato. Mentre tirava gi la cerniera pens che sarebbe stato divertente fare una scommessa: se avesse centrato il buco avrebbe rifatto l'amore con Larissa, se avesse bagnato i bordi non l'avrebbe pi rivista.

Chiuse gli occhi. Sent la sua urina affondare nell'acqua del water. Sorrise. Riapr gli occhi e not con soddisfazione che la tavoletta era rimasta pulita. Si guard allo specchio, stese le sopracciglia, allarg e chiuse gli occhi. Come sto? Sto bene! Mi piaccio. Dalla giacca tir fuori gli occhiali da sole. Li indoss. Oh mi piaccio! - Gunther, tua vodka sul tavolo, da pi di mezza ora. Gunther sbuff: - Johannes, ma 'na serie di cazzi tuoi no eh? Ogni volta che sto al cesso frate'... Johannes tir su le spalle. - Vuoi sentire una mia poesia, Johannes? Lui ripet lo stesso gesto di prima. - Ah che palle Johannes, che palle che sei. Gunther pens a George. Con lui era diverso. Con lui era facile rimanere se stessi e non avere nessuna paura. George aveva la dote di assecondarlo senza imitarlo, di seguirlo continuando a tenere separate le loro strade, incontrandosi solo laddove entrambi sentivano l'esigenza di stare l'uno accanto all'altro. - George! Occazzogeorge! George!... Johannes, c' un grosso problema. Le sue mani erano frenetiche, toccavano a ripetizione i rubinetti del lavandino senza decidere se aprirli oppure no. - Tutto bene? - chiese Johannes appoggiato allo stipite della porta, non abituato alle manifestazioni d'ansia. Gunther si scopr divertito a vedere sconvolto l'amico tedesco. Esasper la sua frenesia. - Cristo Johannes, non sai... oddio... che cosa terribile, gravissima. - Se per portafogli ormai c' nulla da fare. Forse se la succhia il taxista la cocaina. - Ciao Johannes, ci vediamo in giro. Non era un uomo col quale era possibile confrontarsi, Johannes. Osserv Gunther uscire fuori dal locale seguito da decine di occhi incuriositi. Gunther ferm un taxi piazzandosi al centro di viale Trastevere. Raggiunsero l'aeroporto di Fiumicino in meno di mezz'ota, lanciati sulle strade notturne del Grande Raccordo Anulare. Apr il portafoglio. Come al solito, Johannes c'era cascato. L'ultima banconota rimasta era gialla, conquecento euro. Il tassista gli chiese se avesse pezzi pi piccoli. - Eh no fratello... Oh! Puoi aspettarmi qua fuori? Io entro, vado a prendere una persona e torno, ci riporti a Roma. Cos ti pago tutt'insieme. L'autista fu d'accordo. Gunther schizz fuori dall'automobile, galoppando verso i voli internazionali. L'orlo dell'impermeabile si chiuse fra i vetri della porta scorrevole. Porcodioporco! Di chi sono quei capelli? Ma son miei! Poi un piede davanti all'altro e poi il bar. - Uno shot, solo uno, - disse. L'alcol scivol sulla lingua, bruci la gola.

Una goccia cadde dal vetro sul dito. Il sangue di Larissa, dalla notte prima, ancora l. Gunhter succhi via tutto quello che era rimasto fra le pieghe sottili del suo polpastrello. Davanti all'uscita degli arrivi prese a muovere le mani, scandendo il ritmo dei versi che gli vorticavano in testa. ........ ........... ... ..... .................. ..... ? ! ;) ;D S Quando George vide il suo amico divette trattenersi dall'istinto di voltarsi, risalire sopra l'aereo e tornare a casa. Si sentiva impolverato, velocemente invecchiato. - Cosa fai Gunther? - chiese la voce di George alle sue spalle. - Amico mio, compongo una poesia, - disse Gunther senza girarsi. George circumnavig il suo corpo, si ritrovarono naso contro naso. - George e io... - disse Gunther. George e io, pens Gunther, era una bella frase da dire, una bella cosa da sentirsi addosso. George e lui, Gunther, l, all'aeroporto Leonardo Da Vindi con quattrocentonovanta euro in tasca, i capelli di Gunther come uno stormo di rondini, un amico atterrato da Parigi che odorava di whiskey e paura, che diceva "Gunther" con la erre moscia, i capelli ricci, biondi e lunghi, gli occhi verdi, il corpo flessuoso, lungo, piatto e bianco come un Cristo. Gunther se ne sent ancora una volta attratto come quella sera a Trastevere quando l'aveva visto attendere l'autobus. - Avevo dimenticato il tuo modo di fare poesie, - disse George sorridendo. Gunther lo accompagn al taxi e lo present al tassista: - Vedi che so' tornato? Lui George. Il tassita ripose di chiamarsi: - Leonisio, per si scrive Leoncio. Gunther e George risero forte mentre abbassavano i finestrini, prede di un caldo che non aveva niente a che vedere con la stagione. Il taxi li fece scendere dove Gunther aveva lasciato Johannes. Vide il suo cappello prima di attravesare la strada, dondolava, impegnato in una conversazione. Johannes non si accorse di loro mentre scivolavano in fretta verso il bagno. Gunther chiuse la porta a chiave, infil una mano nella tasca del pantaloni e tir fuori un foglio bianco piegato in quattro. Lo apr e la cocaina era l. Ordin du strisce sopra la scritta CESAME del lavandino. - tua, - disse a George, che si chin e aspir tutta la polvere. - Tu niente? - chiese poi a Gunther con un prurito che gli anestetizz il nasso. Gunther mosse le mani un un gesto secco e definitivo. - Ho dato l'estremo saluto da un po'. Davanti al bancone salut gli stessi amici di poche ore prima, present George a tutti.

C'era una ragazza nuova, dicevano fosse svedese, parlava inglese. Gunther chiese al suo amico francese di tradurre per lui, ma George si fece velocemente trascinare nella conversazione e rimedi un invito a cena da solo. Per Gunther andava bene lo stesso. George aveva gli occhi infossati e le guance spioventi, Gunther gli accarezz i capelli. - Ti faccio conoscere un matto, - gli disse e lo fece sedere accanto a Johannes. I due non avevano nulla da dirsi, a volte per si sorridevano complici mentre Gunther cercava di piacere alla biondina col volto scavato. Tornarono a casa alle sette del mattino. Alle otto Gunther era nudo sul balcone intento a riempire con i cereali i mangiatori dei pappagalli. And in cucina, sfogli le prime pagina di un'edizione de "l'Unit" dell anno prima, si sedette al tavolo da pranzo su cui non pranzava da anni, fece un caff, lo bevve, apr la credenza sperando di trovarvi delle uova, trov del vino, lo apr, ne bevve mezzo bicchiere, and a pisciare e si riaddorment con il cellulare in mano, sul display le prime parole di un messaggio che no nera riuscito a terminare: "Sai quanto ti dico che." Si svegli di colpo meno di un'ora dopo, scosso da un sogno in cui George e Larissa cavalcavano nudi un cammello nel deserto. L'immagina di una bionda sconosciuta approfitt della veglia per suggerire a Gunther una voglia. Si masturb. Si riaddorment. In un letto grande e vuoto Larissa pensava che dopo Leo nessun altro avrebbe potuto adempiere ai doverti di innamorato e che nessun altro avrebbe assolto al ruolo d'amante cos come aveva fatto l'uomo che aveva abbandonato lo spazzolino nel suo bagno, Gaetano. La castit non le si addiceva e la promiscuit sembrava l'unica via percorribile. Si era incastrata in una catena di infinite e costanti negazioni: chi le dava l'amore le negava il desiderio, chi nel desiderio la lasciava sguazzare le negava l'amore. Con Gunther, pens, non era stato amore n desiderio; si rese conto che era stata la noia a trascinarlo fra le sue gambe, il copione ripetuto di una sceneggiatura ridicola. Lisci le lenzuola scure, cerc riparo nel sonno. Ci avrebbe pensato domani. George si era appena addormentato quando i pappagalli diedero prova di essere svegli; un autobus si ferm appena sotto la finestra, si aprirono le porte, scesero dei passeggeri. Gli sembr che ogni passo venisse pestato direttamente nella sua testa. Si calci il cuscino sopra la chioma folta e riccia. Da un po' di tempo provava insofferenza verso tutto; lo squillo del telefono, la notifica dell'e-mail in arrivo, le frasi spezzate che origliava per strada, la musica dale autoradio, i volti sconosciuti e quelli conosciuti. Era accaduto lo stesso con Gunther. Nell'austerit sfiancante delle sue giornate parigine aveva atteso quell'incontro per un'intera settimana. Aveva desiderato perdersi nelle cieche parole di Gunther, nelle notti di follia, annegare in un mare di carne umana stupida e insensata, imbottita di sostanza chimiche, colante alcol. Dopo due anni di solitudine confortata da innocui semi d'affetto che non avevano addolorato n stravolto, neanche commosso, George avvertiva una inaspettata e inalienabile insofferenza persino verso Gunther. Non era pronto, forse, all'esplodere delle sue parole e delle sue risate, al suo incedere da centauro quasi le sue game volessero divorare la strada. Non era pronto alla vita, George. Decise che la sua permanenza non sarebbe durate pi di un paio di giorni. Voleva silenzio.

Si addorment.

Capitolo Cinque Da quando Larissa aveva smesso di vivere con Leo, la madre le telefonava tutti i giorni per informarsi del suo stato di salute. Le diceva che non la vedeva in forma. - Non mi stai vedendo, mamma, - le rispondeva Larissa. Lei sosteneva che era sua madre e che non aveva bisogno di vederla per sapere che stava male. - Non sto male. - Ti stai deperendo. Sei diventata brutta, - sentenziava. Al termine di ogni telefonata scoppiava una lite e Larissa si rifiutava ormai da sette mesi di incontrarla. Le avrebbe messo le mani fra i capelli, pensava Larissa quando immaginava un incontro con lei, le avrebbe detto che erano sfibrati. "E questi brufoli? Non li curi come dovresti." Questo avrebbe detto. Erano le otto e mezzo del mattino, Larissa era riuscita ad addormentarsi solo poche ore

prima. Allung la mano verso il telefono sul comodino, squillava da diverso tempo. - Che c' mamma? - Perch non mi apri? Sono venti minuti che tu suono dove sei? Poi la vide nel suo appartamento inondato di luce. Le stanza erano ancora occupate dai resti della festa di compleanno organizzata da Gunther. Anche la coperta insanguinata stava l. Larissa sent i tacchi della madre aggredire il corridoio. La colse di schiena, quella schiena materna che odiava, cos tesa e dritta, provava il desiderio di spezzargliela. Esibiva una sicurezza che Larissa sapeva non appartenerle affatto, quella schiena era solo l'idea che sua madre si era fatta di se stessa. Erano due identit distinte, sua madre e quell schiena, vertebre che sorreggavano un i'mpalcatura molle e fragile. - Che vuoi? - le chiese. L'altra si volt di scatto. - Un saluto, - disse, poi prosegu verso il salone. Si ferm alla porta e gett un urlo. Larissa intercett la linea del suo sguardo, si era posato sulla coperta insanguinata. - Uno che si rotto il naso, - spieg. Sua madre le credette. Volle sapere come se l'era rotto. Larissa invent una storia inverosimile, ma l'altra non la stava pi ascoltando. Vide la madre infilarsi in cucina, la osserv in silenzio controllare i barattoli di vetro sistemati sulle mensole. Afferr quello con il caff e riemp una moca. Si accese una sigaretta e avanz verso il tavolo, apr il quaderno di Larissa. Cominci a leggere i primi versi e alla parola madre i suoi occhi si addolcirono, piegati all'ingi, e si riempirono. - E che hai adesso? - chiese Larissa. La madre la guard con dolcezza e furono chiari i pensieri che stavano attraversando i suoi occhi. - Senti, non mi piace quello che pensi, - disse Larissa. - Perch, cosa penso? Larissa si sent disturbata. Non us grazia n tenerezza. - Non scrivo di te perch ti amo e non riesco a fare a meno di te. Cazzo mamma... vaffanculo. Rimasero entrambe in silenzio. Larissa si sent in diritto di proseguire. - Sei nelle mie poesie per una sola ragione. Io, davvero, non ti sopporto pi. Non ti ho mai sopportata. Sei pesante e invadente egoista, avida d'affetto e... chiami, arrivi qui... senti, basta. Vide sua madre sedersi. Voleva continuare, spingere il coltello fino in fondo. Oppure poteva afferrare una sedia, scaraventarla contro il muro. Metterle paura, farla scapare. - Vedi? Lo sapevo che non stai bene. Perch non vai a parlare con la mia psicologa? Lei brava. E poi adesso che non stai pi con Leo perch non lasci questa casa e vieni a stare da me? O preferisci che venga io qui? La casa grande, ci staremmo bene in due, - disse fissandola con la stessa falsa sicurezza che metteva nel modo di camminare. Larissa si diede un'occhiata alle mani, poi mosse gli occhi verso l'oggetto pi vicino: un vaso di cristallo pieno d'acqua fino a met. Dentro, fiori di campo. Lo afferr e lo gett per terra. Il vetro era spesso, non si frantum, ma il rumre fu forte e il vaso si scheggi in pi parti.

Sua madre fece un salto sulla sedia, url il nome della figlia. Larissa corse verso i fornelli, il caff stava schizzando ovunque. Si ritrov la madre addosso, contro le spalle. L'abbracciava con violenza ripetendo: Solo io posso aiutarti, solo io posso amarti, io sola ti amo, gli altri non ti ameranno mai. Larissa visse alcuni istanti di quei pomeriggi in cui poggiava la testa della madre sulle sue cosce bambine e le imponeva di succhiare il latte dalla pinta di una biro. Lei succhiava con le labbra sporche d'inchiostro. "Adesso dormi," diceva poi Larissa e cantava qualche canzone facendo ondeggiare leggermente i ginocchi. Quando la madre si addormentava, lei correva sul balcone, guardava la gente e si chiedeva, per ogni passante, quale fosse il suo nome, dove si stesse dirigendo, quale lavoro lo tenesse occupato. Con le braccia secche e bianche oltre la ringhiera guardava, e immaginava il propio corpo disteso sulla strada sotto di lei, sangue dalla testa, muscoli morti. La madre non avrebbe saputo subito della sua morte perch dormiva. Sarebbe passata la zia, che tutti i pomeriggi alle quattro si fermava sotto il balcone per salutarla, e l'avrebbe vista, avrebbe chiamato la sorella, l'ambulanza poi la salvezza. E se sua zia avesse saltato l'appuntamento quel giorno? Si fidava abbastanza dei passanti? Si sarebbero accorti del suo corpo immobile sull'asfalto? Tutti avrebbero camminato oltre, calpestandola. Sicuri che fosse morta, non avevano alcun interesse a occuparsi di un cadavere. Dopo arrivava davvero la zia, si salutavano. "Mamma dorme," diceva, e tornava dentro, l'ora dei cartoni animati era gi cominciata. Non ricordava nient'altro della sua infanzia se non quei pomeriggi indolenti fra visioni, cartoni giapponesi e madri bambine. E anche quella frase ricordava: "Gli altri non ti ameranno mai." Era cresciuta con quella convinzione, per anni aveva sinceramente creduto che nessuno l'avrebbe amata e che il mondo intero fosse pronto a ferirla. Larissa si era allontanata sempre pi dalla madre, considerandola responsabile del suo mancato equilibrio affettivo, del suo disagio. - Vattene, - sibil. La madre non intendeva lasciare la casa. Larissa la spinse fuori. Si ferirono le braccia, stinchi contro il muro, la calci fuori dalla porta, sua madre urlava e si dimenava, la riempiva di insulti e spostava l'aria con le mani cercando di colpirla. Larissa riusc a trascinarla sul pianerottolo, fil in fretta dentro casa e chiuse sulla sua faccia furiosa. Rimase in ascolto dietro la porta, la madre continuava a sferrare calci e imprecare. Torn in cucina e strapp tutti i fogli del quaderno, le bruciava la gola, braccia e gambe soffrivano lo sforzo nervoso. Avrebbe potuto mettere ordine fra i pensieri, quel giorno, se non fosse stato per sua madre. Rimettere Gunther dove stava prima, nel magazzino dei ricordi insieme agli altri uomini che intendeva lasciarsi alle spalle, stiparli tutti l, in quella stanza della memoria, protetti da porte di ferro e muri di gomma. Avrebbre scritto qualcosa di sensazionale, non fosse stato per la madre. Forse avrebbe potuto decidere di smettere col vino e con la coca quel giorno stesso. Avrebbe fatto grandi cose, passi enormi, grandi rivoluzioni quel giorno. Il lavoro era fermo. In banca restava ci che sarebbe bastato per una settimana o poco di pi. I suoi gatti affamati reclamarono cibo.

Per loro non c'era niente. Cerc una scatoletta di tonno, un'ala di pollo, ma la dispensa era vuota e in frigo sopravvivevano solo birre, due lattine di chinotto e mezzo limone secco. I gatti continuarono a piangere per qualche minuto poi si tranquillizzarono, consapevoli che anche lei si trovava nella stessa condizione. Si guard intorno. Si chiese cosa le sarebbe costato pi fatica, se mettere ordine nelle stanze dopo la festa o lavarsi, vestirsi e scendere in strada, andare al mercato e comprare con i pochi soldi rimasti qualcosa per sfamare lei e i gatto. Non sapeva decidere. Tir fuori dall'armadio una scatola bianca di cartone, la sua scatola magica. Prese i marsigliesi, mescol le carte sette volte, le distesse con la mano sul tavolo e ne scelse sette. Quattro semi di spade e, accanto al Carro, Il Diavolo e La Giustizia. Invitavano a rimanere a casa, ma guardandosi le mani prese coscienza dell'enorme energia di cui erano sature, c'era ancora il calore della pelle di sua madre che certo non portava a nulla di buono. Incapace di governare i numeri, decise che i dadi sarebbero stati affidabili. Ne lanci cinque, ruzzolarono sul tavolo e rivelarono su ciascuna faccia il numero cinque. Un numero demoniaco, pens Larissa, satanico. Il cinque tentacolare, rovina la stabilit del quattro che lo precede; le dita sono cinque per ciascuna mano e ciascun piede, e aveva sempre riconosciuto nelle dita elementi alieni all'essere umano, eccessivamente imprevedibili e dotati di articolazioni complesse e inquietanti, verminose. Doveva rimanere in casa, fuori sarebbe potuto accadere qualcosa. Ebbe paura di quel pensiero e per scaricare ansia e noia cominci a pulire selvaggiamente tutti i ripiani di casa, lav i pavimenti, riemp tre enormi sacchi neri d'immondizia. Accese la radio, alz il volume al massimo. Si trasform in una macchina, una automa senza fame senza sonno senza rasione n desideri. Continuare all'infinito, strofinare, strofinare, strofinare, strofinare strofinare strofinare.

Capitolo Sei - Conosci la storia del cuculo? No? Te la racconto subito. Fammi versare un po' di rum, s lo so che non ancora mezzogiorno ma scusami ieri creo che io e te abbiamo strafatto, devo riequilibrare la chimica, bilanciare i sensi. Tu lo vuoi? No? Okay, ecco, ora te la racconto. Le femmine del cuculo depongono le loro uova dentro i nidi di altri uccelli gi abitati da altre uova, okay? Il pulcino del cuculo nasce mentre le uova degli altro uccelli devono anconra schiudersi e spinge le uova fuori dal nido, con tutto il corpo; poi quando i genitori dei morti tornano al nido pensano che il cuculo sia figlio loro e lo nutrono, col becco gli passano i vermi e gli insetti. Capito? Ora: tu, George. Tu sei come un cuculo, hai capito? Cio te l'ho appena detto, quelli fanni l'uovo nel nido di un altro eccetera eccetera... e... s, tu sei come un cuculo, non hai radici e non le avrai mai, capisci?, non hai nido. George io l'altra notte prima che tu arrivassi sono stato con una ragazza. - Non hai un'aspirina? - No non la conosci ma te la presenti... dicevo che sono stato con una ragazza, molto pi giovane... s, anche pi giovane di te e sicuramente pi giovane di me, nel senso che

quando io ho compiuto dodici anni lei nata, ma il giorno stesso proprio, n un giorno prima n uno dopo, dello stesso mese, capisci?... Cristo oggi gia il 5... comunque: io questa la conosco da sei anni, ero amico di suo marito. No non pi sposata, s' lasciata pi o meno nelle stesse settimane in cui io e Leo... chi ? suo marito, non ci siamo pi parlati eccetera eccetera. Se mi piaceva? Ti dir... qualche sega me la sono pure sparata, per non ha l'esclusiva delle mie seghe, sai cosa voglio dire... Poi mi sembrava di non interessarle, ma lei era cos con tutti, non guardava nessuno, era sempre attaccata a lui, Leo, suo marito. Che poi, dico, far godere la donna di un amico anche un atto di generosit, no? Un atto d'amore anche verso l'amico, dico. Comunque l'altra sera abbiamo fatto l'amore. Bello? Boh, ho avuto momenti migliori. Per sono successe due cose, ascolta. Hai presente come scopano i pappagalli? Nooo? Oddio, devi assolutamente vederli! Sono fichissimi, muovono il bacino in tondo, tipo danza del ventre. Di, incredibile che tu non li abbia mai visti! Ti mostro i miei non appena... va bene. Larissa faceva come i pappagalli. Io l'ho sistemata sopra e lei che faceva? Ondeggiava, tutt'intorno al cazzo, senza fretta George, pappagalla ahahahahahahahahahaha! L'altra cosa stata questa... cio: questa: Senti, senti il dito! Lo senti? Cazzo George, c' il suo odore attaccato alla base dell'unghia, come fai a non sentirlo? Cristo, non va pi via. Certo che le ho lavate le mani ma non va via! L'ho sentito anche stanotte, una zaffata fin dentro il cervello. Ora: mi sembra piena di sensi di colpa, aveva le lacrime agli occhi quando l'ho salutata. M'ha fatto tutto un discorso l'altro giorno, manco te lo sto a dire, si sente rifiutata da tutti... noo, io non la voglio rifiutare. Dopotutto la conosco da anni, le voglio bene, una gran cacacazzi ma le voglio bene. Dovevi vederla come trattava il suo ex marito, una matta, cattivissima, lo umiliava in pubblico mentre lui se ne stava zitto. Cio, capisci: a me fare l'amore con lei piaciuto e mi anderebbe di rifarlo, ma non vorrei che lei fosse cattiva con me, non lo vorrei proprio. Vabbe', George, che cosa vogliono fare oggi? George apr gli occhi lentamente. Gunther era nudo seduto accanto ai suoi piedi, aveva una gamba accavallate e fumava. Il dolore si diffondeva tutto intorno all testa, scendeva fino ail denti penetrando le gengive. Ascolt Gunther senza parlare, il dolore gli annebbiava gli occhi, vedeva le braccia dell'amico muoversi nervose, i suoi ciuffi di capelli biondi sparati in arie. George consider la possibilit che Gunther fosse del tutto pazzo. Si sforz di ridere e quando ci riusc sent come se i muscoli volessero staccarsi dalle ossa. Il dolore fu insoportabile. Picconi contro i denti, martelli sulle tempie, cemento nelle orecchie. Vomit sul divano di velluto viola. Gunther si allontan con una salto all'indietro, George vide il suo piede pestare una chiazza di vomito rigettata contro il marmo, ma non trov le forze per avvertirlo. Gunther corse nella stanza accanto e torn con uno straccio umido, lo strofin prima sul velluto, poi pul per terra. - Mapporcoddio! - imprec quando si accorse del vomito sotto la pianta del piede e si pul con lo stesso straccio, che alla fine gett dentro uno secchio. - Vuoi andare in ospedale? - chiese a George. - No. Gunther... Non so per quanto rimarr a Roma. Devo tornare a Parigi, prima che partissi mi hanno offerto dei lavori e... - non riusc a finire. Gunther lo fiss e sorrise. In quei momento i suoi occhi a fessura somigliavano a quelli dei pappagalli. Si accesse un'altra sigaretta e si accarezz i testicoli, erano gonfi e arrossati. - Non fare il cuculo, George.

L'altro non aveva risposte, osserv l'amico alzarsi dal divano e andare in un'altra stanza, la sua risata gli arriv dritta al cervello. Si copr la testa con il cuscino. Nove ore pi tardi stavano camminando dalle parti di Castel Sant'Angelo. I lampioni gialli sembravano piccoli sistemi solare attorno ai quali gravitavano insetti e polvere. - E senti, senti questa: "si discuteva dei problemi dello stto, si and a finire sull'hashish legalizzato che casa mia pareva quasi il parlamento, erano in quindici ma mi parevan cento. Io che dicevo: Be' ragazzi andiamo piano il vizio non stato mai un partito sano, e il pi ribelle mi rispose un po' stonato"... cazzo, ci sono cresciuto con questa roba, George! Sai chi la cantava? Stefano Rosso. Cio, un comunista che si chiama Rosso una cosa assurda, no? Nel sangue di entrambi scorreva Lsd assunta in pillole. Un giamaicano di nome Jamiro gliele aveva vendute per settanta euro in uno scantinato di Testaccio. George avanzava in silenzio, perso nell'incertezza assoluta, non riconosceva niente di familiare in s n in Gunther, n in nient'altro intorno. D'improvviso si rese conto che non aveva mai avuto nulla da poter considerare davvero familiare. Roma, Londra, Berlino o Parigi, a casa di sua madre, a casa propria o di Aurore o sul divano di Gunther: niente gli somigliava. Guard Gunther che avanzava sicuro sul ponte. Tutto il mondo sembrava soddisfarlo. Dov'era la pena, in lui? George avrebbe voluto stimolarlo alla confessione, estorcere i segreti della sua felicit, ma non in quel momento, quella sera, a ponte Sant'Angelo. Si fermarono davanti alle statue erette sopra il cornicione. Angeli muti e bianchi screziati di nero, offesi dal circolare delle automobili, dai fumi dei gas di scarico, apparivano celesti nella loro immutevolezza. Ai piedidi un angelo una targa recitava: "VULNERASTI COR MEUM." Pi avanti un'altra: "REGNAVIT A LIGNO DEUS." Gunther decise che era una buona idea cantare le frasi che leggevano sotto ogni statua, mentre George schiocava le dita per dargli ritmo. Pass dall'opera lirica al rap al neomelodico napoletano, ripetendo ossessivamente le frasi, il vento gli muoveva le mani. La testa, vista dal basso, era incastrata fra le stelle nel cielo scuro, il fiume scorreva verde sotto di loro. Gunther smise di cantare e si fece acappare un sospiro, George si spost i capelli dalle orecchie, quando furono libere chiese: - Lo senti? - S s lo sento! - Sono cori angelici, - dichiarono insieme. Si concentrarono sull'angelo, aspettando il momento in cui quello avrebbe aperto la bocca per cantare. - Canta figlio di puttana, canta... - mormor Gunther puntando gli occhi allucinati sulla statua. - Eccolo! L'hai sentito? L'ha fatto di nuovo! - esclam. George non poteva dargli torto, anche lui l'aveva sentito. - Per non sembra venire dalla statua, Gunter... L'altro lo guard offeso. - S s cazzo, era l'angelo ti dico! George si affacci dal ponte; vide camminare sul fiume, con gambe proprie, un albero con la faccia da cartone animato. Le radici dell'albero sguazzavano nell'acqua come arti

e si muovevano all rallentarore. Rise, ma decise che chiarire quella faccenda del coro angelico era assai pi importante di un albero con le gambe che camminava sulle acque. Si concentr quindi sul Tevere cercano di non lasciarsi distrarre dall'albero. Il fiume era muto e opprimente, ma pareva che le voci provenissero proprio da l. "Le rane..." pens. Si volt verso Gunther, stava contanto qualcosa ad alta voce. - Non mi distrarre! - Le rane, - disse George. - Cazzo! - Le rane, Gunther! - Cosa? Cazzo dici? - Le rane, - ripet ancora George, - sono le rane, sono le rane, non gli angeli. Anche Gunther allora si sporse dal ponte per accertarsi che George non stesse mentendo. Scoppi a ridere forte. - Le rane! Le rane! Le rane! - si mise a urlare fra i singhiozzi. Quando si fu calmato si ferm sotto l'angelo con atteggiamento di sfida, allargando le gambe. Alz gli occhi e George con lui. - Erano le rane, angelo di merda! - url con voce impastata di droga, vino e risate ingoiate. Le possenti braccia dell'angelo si abbassarono con l'intenzione di schiantare sulle loro teste la croce che reggevano. L'angelo lanci la sua punizione al loro affronto con un movimento potente e fluido, aveva preso vita senza mostrare il bench minimo dubbio d'essere fatto di sostanza dal marmo. George e Gunther si pararono gli occhi scattando all'indietro. - Ohhh! - url Gunther, mentre George era zittito dalla paura. Non riuscivano a staccare gli occhi dalla statua, ma quella non sembrava pi voler dar prova di vita. Quando il tempo ricominci a scorrere e le loro percezioni parvero di nuovo aderire alla realt, Gunther chiese a George che cosa aveva visto. Le versioni coincidevano. - Siamo strafatti, - disse infine, - dovremmo andare a casa. George la consider una proposta saggia. Al buio, sul divano, chiuse gli occhi. Gunther era in camera sua davanti al computer. Su facebook era stato invitato a un evento, clicc su "Parteciper" anche se non aveva chiaro che tipo di evento fosse. Chiese l'amicizia a tutte le donne che avevano gi risposto all'invito. Una di loro accett immediatamente, la notifica segnalava: "Flavia Partinico ha accettato la tua richiesta d'amicizia." Gunther apr la finestra della chat e cerc la sua nuova amica. Nel suo status aveva scritto: "Ne me quitte pas, A." Io ciao F. chi A.? :-) Flavia

tu ki 6. Io io sono G. Flavia A. il mio uomo. Io ma A. ti sta lasciando... Flavia e tu ke ne sai? Io ne me quitte pas, A. ;-) Flavia nn mi va di parlare con 1 sconosciuto Io hai ragione, scusami. che ho visto che anche tu parteciparai al vernissage di sabato, cos ho pensato che se ti avessi conosciuta prima avrei guadagnato del tempo :-) e sei cos bella che sabato mi sarei sicuramente attaccato alla tua gonna per tutta la notte e mi avresti preso per pazzo se non mi fossi presentato prima... ! :-) adesso che mi sono presentato saprai quindi che sabato non ti moller!!! :-D oh, ci sei ancora? Flavia s. Io dove sei adesso? Flavia ma a te ke te ne frega? Io eddai, dove sei? Flavia certo ke 6 molesto....... Io potrei esserlo molto di pi se volessi... ;-) Flavia se volessi io o se volessi tu? Io se volessimo entrami... Flavia ufff... Io ti sto annoiando? Flavia 3365287453 E cos G. chiam F. e le chiese di toccarsi; lei gli chiese se aveva intenzione di sapere cosa indossava e come si stava toccando. - No, - rispose lui.

- Tu tu stai toccando? - S, - le rispose, ma entrambe le mani erano occupate, una reggeva il telefono, l'altra muoveva il mouse. Le dita di lei sguazzavano nel liquido fra le cosce, il suono era distinto. Lui fece finta di godere, e forse anche lei finse mentre gridava al telefono un orgasmo a forma di u. "UUU," faceva la sua bocca, la stessa che Gunther stava guardando sullo schermo del computer, le sue foto su Facebook, F. con A. su una spiaggia bianca, che sorridevano. - Lo dirai a qualcuno? - gli chiese. - Credo di s, - fece lui. - E a chi? - Non la conosci, una mia amica. - La tua fidanzata? - una mia amica. Si chiama L. Ciao F., auguri con A., sappi che G. per un poco ti ha amato. Flavia Partinico chiuse la comunicazione con un sospiro. Gunther era sicuro che avrebbe chiamato A. subito dopo. Riavvicin il telefono all'orecchio, era Johannes che lo invitava ad andare a una festa con lui. - Che festa? S certo, comunque s! - Porta pure tuo amico da Francia se ti fa. tranquilla, niente casino. Se puoi porta da bere. - George non sta tanto bene, forse non viene. - Fieni tu allora. - Io s penso che verr. Ma chi c'? - Io non so Gunther. Se vuoi chiamo e mi faccio dire... - No no, sticazzi. Ci vediamo dopo. Si annoiava.

Capitolo Sette Quella mattina Larissa e Gaetano erano stretti l'una all'altro, la grossa coscia di lui sullo stomaco di lei. Larissa apr gli occhi e si accert che fosse ancora l, con lei, la barba di lui contro il palmo aperto della sua mano. Decise di rimettersi a dormire, forse la ruota stava ricominciando a girare a suo favore. Venne risvegliata dal tintinnio della sua cintura. - E adesso te ne vai? - S, devo. Ho una macchina che mi aspetta sotto casa fra mezz'ora. - Dove vai? - A Buenos Aires, parto alle due. Si tir su la cerniera. - Mi passi le sigarette per favore? Fin di vestirsi e si avvicin al viso di lei che gli soffi il fumo sugli occhi. - Perch sei tornato? - Perch ti amo, - rispose.

Si allontan dal letto e mentre usciva dalla stanza chiese: - Non sei contenta? - Sarei pi contenta se restassi. - Non posso, te l'ho detto, domani mi aspettano a Buenos Aires. - Sai cosa intendo. Lui non rispose, abbass la testa sulle scarpe e continu ad avanzare verso l'uscita. Lei gli url di riprendersi lo spazzolino. - Sta marcendo, - disse. Sent prima il silenzio, poi i passi. Erano di nuovo nella stessa stanza, le stesse bocche premute, si baciarono finch lei non sent il proprio sesso dilatarsi per accoglierlo. Sent un oggetto freddo e liscio, stretto, penetrarle la vagina, in fondo sempre pi in fond dentro di lei, fino a che le spazzole toccarono il suo clitoride. Prima che Larissa potesse accettarlo, Gaetano sfil di fretta lo spazzolin e scivolo dentro di lei. Fecero ancora l'amore, in silenzio, e quanto pi godevano a petti stretti tanto pi sentivano un ineluttabile senso di vuoto insidarsi dentro, una vite che aveva scavato un foro ormai troppo largo da riempire. Lui si ricompose mentre Larissa cercava di chiarire alla sua fica che adattarsi ogni sera a una cazzo diverso era pi un lavoro di meccanica che di cuore. Un vecchio amore tornava mentre l'amante della sera prima si era dato alla fuga. "Gunther, non tu," pensava Larissa. Non riconosceva cosa e quanto le mancasse di lui, ma mentre la porta si chiudeva definitivamente e l'odore muschiato di Gaetano rimaneva impigliato fra le lenzuola, pensava: "Non tu Gunther. La voce di Ada arriv a salvarla. Proveniva dal telefono e sembrava lontana. Chiam il nome di Larissa pi volte. La invit a una festa, una riunione fra amici a casa sua. - Ci sar Iggy? - chiese Larissa. - Chi Iggy? - Iggy Iggy. Iggy Pop. - Credi di s... - non sembrava convinta. - Se Iggy non c' io non vengo. Stasera non ho nessuna voglia di starmente in compagnia di Luigi o Anthony. Ada non rispose. - S, okay. Tenco e Anthony & The Johnsons, - disse Larissa stirando le braccia sul letto. - Ti sei svegliata adesso? - No, un paio d'ore fa. - Ho capito, non parlare, hai fatto una cazzata. Okay, niente Luigi n Franceso. - Chi Francesco? - Guccini. - Ges, vorresti dirmi che in casa hai dei cd di Guccini? - S, perch? - Senti, va bene. Porto qualcosa? - Del vino magari. - Eh no, non posso. - Perch? Hai smesso di ubriacarti? - Giammai. Ma non ho i soldi per comprarlo. Va bebe se porto alcuna lattine di chinotto mezze vuote? - Ma fai come vuoi...

- Sei una stronza, lo sai? - Con shi hai scopato stanotte? - Lo sai benissimo. Vedi che sei una stronza? - Va bene, a dopo. La sua casa era ancora l. La odiava. Voleva ucciderla. La casa. Fece un paio di telefonate, addosso uno scialle che le ricordava quelli che portava sua nonna, di lana e con buchi larghi. I capelli carichi de malinconia e disordine, fra le gambe un odore ostile che non riusciva a lavar via a colpi di mano. Anche sua nonna aveva i capelli in disordine e un forte odore di fica tra le cosce che saliva fin su al naso, anche dopo che suo nonno era morto, insieme al suo uccello naturalmente, le sue cosce continuavano a secernere odori metallici di sangue e urina e di sesso appena consumato. Era come se avesse sempre appena finito di scopare, sua nonna. Era l'unico ricordo che aveva di lei. Stava diventando come sua nonna? Anche lei si alcolizzava. Doveva fare qualcosa che la riscattasse da quella condizione di decadenza. Tagli della cocaina con una carta di credito inutilizzabile. Sent il cervello guizzare oltre il cranio quando la polvere le penetr il setto. Telefon ad alcuni amici giornalisti e direttori di giornali. Non fece alcuna menzione della sua povert. Chiedeva lavoro. - C' la crisi, lo sai... Lo sapeva bene. - Guarda che i soldi non sono un problema... Lo faccio perch mi diverte, lo sai, mentiva. Fossero stati pure cinquanta euro ad articolo sarebbero bastati a sfamare lei e i supi gatti per almeno una settimana. - Possiamo offrirti non pi di settanta euro ad artiolo, - disse alla fine un amico direttore di una rivista per uomini. Due settimane di spesa garantite, i gatti sarebbero stati contenti. Furono d'accordo che avrebbe iniziato con il numero successivo, il mese dopo. Larissa non aveva autonomia sufficiente per poter aspettare. Avrebbe fatto bastare quello che aveva, come ci sarebbe riuscita lo ignorava, ma decise di rimandare quel pensiero a un altro momento. Le si propose un altro problema: cosa avrebbe fatto fino a quella sera? Alla festa di Ada mancavano circa dodici ore, che erano settecentoventi minuti da riempire. 12 1+2 che fa 3, 720 non va poi cos bene perch 7+2+0 uguale a 9 ma che sommato al 2 ricavato dal 12 fa ancora 12, e aconra 1+2=3 e 3 un numero primo. Se procedo con la sottrazione accade che: 1-2= -1 (no! orribili presagio) e 7-2-0=5 (ancora no, demonio di un numero) e -1+5 fa 4 che un numero cos borghese, una gamba sostiene l'intera impalcatura, ma una finzione perch il 4 si poggia benissimo su tutte e quattro le game, che non dicesse stronzate per carit, un numero fasullo, un po' come quelli che nascondono figli di giudici o senatori e se ne vanno per le strade a gridare slogan contro la borghesia a favore del proletariato. "Borghesi borghesi ancorsa pochi mesi" il motto del 4. Cap di stare impazzendo. A quel punto l'unica cosa da fare era rimettersi a domire. Lasci i gatti fuori dalla porta

delle camera: cos era pi facile dimenticarsi che avevano fame. Si svegli diverse ore prima che la festa a casa di Ada cominciasse. Doveva ancora aspettare. Che ne stava facendo del suo tempo? Sarebbe forse stato il caso di aprire il quaderno e rimettersi a scrivere? Si ricord che l'aveva stracciato la mattina precedente dopo che sua madre se n'era andata. Doveva uscire a comprarne uno. Anche quello era un motivo eccellente per rimandare. Davanti all'espositore non riusciva a scegliere, c'erano quaderni di diverse forme e misure, moltissimi disegni sulle copertina, dure e morbide, con la chiusura a elastico o con lo spago, senza chiusura, oppure dotate di bottone magnetico. Indugi per un'ora. Se avesse preso un brutto quaderno, era sucira, non sarebbe riuscita a scrivere. L'avrebbe tenuto fra le mani e riguardato pi volte pensando all'orribile quaderno che si era scelta. Salut la vecchia proprietaria della cartoleria. Accanto alla cassa teneva un rosario con grosse palle di legno. Si chiese se sotto la gonna non nascondesse altri segreti. Quella le sorrise, come si avesse intercettato le sue domande. Larissa fu sul punto di chiederle a quale setta appartenesse, poi per si ricord dei gatti e della fame che dovevano avere. Us gli ultmi soldi per una scatola di croccantini e torn a casa. Tre individui soli, persi nella noia egoistica delle proprie necessit, non si adoperano abbastanza affinch quelle necessit, non si adoperano abbastanza affinch quelle necessit vengano soddisfatte. Credono soltanto di farlo, ma si ripetono in parole e azioni che sortiscono le stesse identiche conseguenze, sempre. Gunther navugava per siti porno alla ricerca di un'erezione che non rispondeva agli stimoli, Larissa gli telefon e la prima cosa che disse fu: Ma tu pensi che io sia sbagliata? Lui rispose che, in natura, era impossibile trovare qualcosa di sbagliato. - E quindi tu non lo sei -. Le disse anche tante altre cose, ma lei non lo stava ascoltando. Pensava che qualcosa aveva difficolt a funzionare. Forse l'errore non esisteva, forse era il pensiero dell'errore a essere sbagliato. - tu c'hai l'ansia, - disse lui. - Cosa? - Tu c'hai l'ansia. - Pu essere. Rimasero in silenzio. Lui aveva parlato troppo, lei quasi per niente. - Ma tu fai mai caso agli odori degli altro? - fece lei. Lui sorrise. Lei non pot vederlo. George entr in camera di Gunther. Vide che il suo amico sorrideva. Ti sei innamorato? - gli chiese quando mise gi il telefono. - Pu essere, - rispose Gunther, e si stir sulla poltrona, le scapole scricchiolarono, il cuore sembr perdere qualche colpo. George baci Gunther sulla bocca, Gunther baci Georbe con tulla la bocca.

Capitolo Otto Pi tardi Larissa si muoveva affannosamente per la terrazza della casa di Ada, disponendo i piatti sul tavolo e impilando i bicchieri di carta sopra la tovaglia di lino. - Ma questo gelsomino, ogni quanto gli di l'acqua? - Perch? - chiese distratta Ada. - Tesoro mio... chiaramente moribondo... - Che fai, la giardiniera? - Chi? Io? Ma ti pare... sono capace di far seccare persino una foglia di lattuga, - ripose Larissa. - Ma perch oggi sei cos stronza? Non poteva confessarle che uno dei pi grossi limiti della sua vita era da sempre l'incapacit di trovare conforto nelle mani amiche. Credeva di pesare, usava le parole come armi e scudi per allontanare le persone, per impedire agli altro di amarla. Gli altri non ti ameranno mai. Solo una persona era riuscita, in quegli anni e in modo misteriosamente esatto, ad

annientare quel peso: Gunther. Le sembrava che con lui le sue paure trovassero pace per un momento e non perch capisse e fosse poi pratico a smontarle, ma perch ci che Larissa riconosceva in lui era una totale mancanza di paura, non eroica n superlativa, una fede in s e nel mondo che lo rendeva sano e folle allo stesso tempo. Larissa non poteva dire ad Ada di aver litigato con la madre fino a ferirsi la pelle, n poteva dirle di Gaetano, anche se era consciente che la sua amica aveva gi intuito, non poteva nemmeno parlare di Gunther, che Ada conosceva attraverso i racconti del suo matrimonio con Leo. L'avrebbe criticata, ne era certa. Quindi le parl del problema pi impellente, ma che non riusciva a coinvolgerla poi cos tanto. I soldi. - Neanche una lira, Ada. Ci campo una settimana, forse. - E il tuo editore? Non ti deve dei soldi? - S s, domani lo chiamo. - Vuoi che ti presti qualcosa intanto? - disse poggiando sul tavolo la tazza di tisana alla malva. - Ma no, ti pare... adesso dovrei risolvere, davvero. Chiedi aiuto chiedi aiuto. Non ce la faccio non ce la faccio. Perch non chiedi aiuto? Non lo so. Di cosa hai paura? Non lo so non lo so. - Ma perch muovi le labbra? - chiese Ada. - Stavo muovendo le labbra? Io? O Cristo... - Mai stai bene? - Ada si fece apprensiva. - Com' che tutti avete a cuore le mie condizioni di salute? Bene, sto benissimo. Povera ma una meraviglia. Erano le prime giornate di dicembre, eppure il freddo non aveva ancora colonizzato la citt. I cappotti sarebbero stati sufficienti a riparare dal leggero vento che soffiava da sud. Quando olive e capperi, semi di girasoli e fette di pane di segale furono disposti con un'eleganza che Larissa giudicava irritante, cominciarono ad arrivare i primi ospiti. Larissa non aveva nessuna voglia di salutare la gente, quindi si diede da fare tenere occupate le mani e la mente. Entr in casa e prese lo stereo e tutti i cd sistemati dentro cassette di legno da frutta. Si rese conto che la sua amica possedeva solo roba triste; le lanci un'occhiataccia, ma quella non vi fece caso. Accadde mentre era chinata sui cd, il sedere si muoveva fra una pianta di ibiscus e una di gelsomino, andava di qua e andava di l, i ginocchi sulle mattonelle come i palmi delle mani. Stava leggendo un testo di Nina Simone quando lo sent. Gunther, dietro di lei, stava ripetendo fra s e s: "Voltati Larissa, voltati," ma lei continuava a ondeggiare i fianchi con gli occhi fiondati sul testo. Lui indugi, poi ritent. Doveva riuscirci. "Voltati, non una rivalsa." Lei si volt. Gunther, nei suoi pantaloni neri e con la giacca di pelle scucita, le sorrideva sollevando

un bicchiere gi mezzo vuoto. Lei arross, non sulle guance n sulla fronte, sotto il collo fra le due ossa secche. - Ho una dozzina di idee in proposito, - disse lui. - A proposito di che? - Del tuo fondoschiena, - fece Gunther mordendosi le labbra. - Quanto parli pulito... - disse lei trascinando ancora una volta uno scudo invisibile a ripararla dal desiderio. Arross ancora, ma era notte, era sicura di non essere scoperta. Torn a rovistare fra i cd. Lui rideva. - Oh! - fece Gunther. - Ti ho offessa? Lei si gir e gli concesse una risata cavallina. - Rifallo, - le ordin. Senza pensarci lei rise ancora, e ridendo il culo sobbalz di nuovo, di nuovo. - Rifallo, - propose ancora Gunther. - No.Adesso non ho pi voglia di ridere. Si tir su, aveva due zeppe altissime e le gambe erano nude, la gonna rifiutava il ginocchio. - Non hai freddo? - le chiese. Lei tir su la testa. - No, - rispose. Johannes si un a loro, si avvicin a Larissa con l'intenzione di piacerle. Gunther cerc di avvertirlo che riuscire con lei, a meno che non fosse lei a scegliere, era cosa rara, ma Johannes era convinto di avere tutte le carte in regola. Lei se ne stette silenziosa e contratta mentre quei due conversavano sulla sua ritrosia. Gunther allora decise di lasciarli da soli, e raggiunse Chiara, la cui lingua ben ricordava, auspicando, per quella sera, di assaggiarla ancora. Ma nemmeno quel desiderio riusc a distrarlo dalla scena che si stava svolgendo dall'altra parte del terrazzo.Mentre Johannes si allontanava, Larissa si chin di nuovo e inser un altro cd. Poi il tedesco torn indietro con due bicchieri, ne offr uno a lei. Gunther aveva una percezione chiara della noia che in quel momento stava assediando Larissa. Doveva essere assurdamente stupido quel che Johannes le stava raccontando se lei continuava a starsene con le braccia a quel modo. I loro sguardi si intercettarono pi di una volta, e lui la scopr intenta a lanciare lampi nella direzione di Chiara. Decise di raggiungere i suoi amici, promettendosi che sarebbe tornato dalla lingua di Chiara, subito dopo. - Io feramente sono ti Monaco, ti Bafiera! - Eh, - sospir lei, poi vide Gunther avvicinarsi e rilass le braccia. Gli disse: - Senti ma dove lo hai preso 'sto Oscar Wilde finto tedesco? - Perch finto? - chiese Gunther.

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