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Crack.

La procura di Rimini chiude l’inchiesta con 18 indagati per


il buco da 742 milioni di euro
Giacomelli, la fabbrica dei falsi
Ipotizzati associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e
riciclaggio

Le operazione fittizie
Gli ex vertici emettevano fatture artefatte con logo Nike e
producevano scontrini tutta la notte per distrarre fondi a danno
dei creditori.

di Morya Longo
Emettevano fatture false riproducendo artificiosamente anche il
logo della Nike.
Distraevano i fondi. E poi gonfiavano i bilanci, arrivando a
collegare 20 registratori di cassa a un server in modo da
stampare scontrini automaticamente per tutta la notte.
Nel gruppo Giacomelli Sport, quotato in Borsa nel 2001 e finito in
default nel 2003, se ne sono viste di tutti i colori: bilanci falsi,
fatture artefatte, compravendite fittizie di merci. E tante
distrazioni di fondi.
Il Pm di Rimini, Luca Bertuzzi, ha chiuso in questi giorni le indagini
sul crack da 742 milioni di euro.
La lunga inchiesta, condotta dal Nucleo di polizia tributaria di
Bologna (primo gruppo exverifiche speciali), si è conclusa con 18
indagati: dall’ex presidente Emanuele Giacomelli al padre Antonio
e la moglie Gabriella Spada dall’ex direttore finanziario Stefano
Pozzobon a numerosi parenti dei coniugi Giacomelli, fino al loro
ex autista.
L’avviso di chiusura delle indagini ipotizza numerosi reati:
associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta aggravata,
ricorso abusivo al credito, frode fiscale, emissione di fatture false,
insider trading, manipolazione del mercato, calunnia truffa,
riciclaggio, falsità in scrittura privata. Totale: 17 capi
d’imputazione, Descritti nell’avviso di chiusura delle indagini.
Uno dei modi per Svuotare il gruppo consisteva nell’aprire punti
vendita ad insegna <Giacomelli sport> nell’Est Europa. Negozi
che, <<attraverso le condotte delittuose di sovra-fatturazione e
di duplicazione dei pagamenti venivano utilizzati per distrarre
ingenti quantitativi di denaro dal Gruppo Giacomelli>>.
Per compensare in bilancio le perdite, poi, i vertici della società e
alcuni complici instauravano rapporti commerciali fittizi. Per
esempio Giacomelli Sport e la Arredo Trading (amministrata da
Vittorio Fracassi, consulente del gruppo) <<facevano risultare
acquisti e vendite di beni fittizi, supportati da movimentazioni
finanziaria anch’esse artefatte, determinando un volume di falsi
elementi attivi di reddito>> nel bilancio Giacomelli per 57
miliardi di lire tra il 1197 e il 2000: in questo modo – scrive il Pm –
si determinava <<una redditività aziendale fittizia, cosi
mascherando le perdite>>. Ma il massimo della “fantasia” gli ex
vertici del gruppo l’hanno raggiunto falsificando le fatture della
Nike.
Tra il 2001 e il 2003 hanno simulato pagamenti per l’acquisto di
merce, producendo fatture false per oltre 50 milioni di euro:
denaro che veniva riciclato (accreditandolo direttamente nei conti
dei loro consulenti e poi riprelevandolo in contanti) e che poi
veniva compensato in bilancio con <<<incassi fittizi al fine di
gonfiare i corrispettivi delle vendite>>. Come facevano?
Stampavano giorno e notte scontrini per <<far apparire un
volume d’affari superiore a quello effettivo>>. E, nel 2003,
quando il gruppo non ce la faceva più a pagare i fornitori? I
Giacomelli ne inventano un’altra: una denuncia per furto (falso) di
assegni per 139 milioni di euro. L’esposto aveva come unico
scopo quello di <<ottenere il sequestro di tutti gli assegni che
erano stati consegnati ai fornitori e che non potevano essere
pagati per mancanza di fondi>>.
Nel documento il Pm contesta infine l’acquisizione della Longoni.
Ora l’inchiesta è chiusa. Gli avvocati hanno accesso al materiale
raccolto dagli inquirenti per elaborare la loro difesa. Poi il PM
deciderà per chi chiedere il rinvio a giudizio, anche se per
qualche indagato minore è possibile l’archiviazione.

m.longo@ilsole24ore.com

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