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Ad aprirli ci vuole la frazione di secondo, ma poi è come entrare nella macchina del
tempo e volerci rimanere.
Guardo le immagini e mi arrivano pensieri, come una musica con parole a lungo
sedimentate che continuano a parlare di cambiamento. Una canzone.
Parla di Ettore, undici anni, che partecipa, nel dicembre del 1976, un dicembre
palermitano mite, commenta il suo insegnante. alla Corsa delle tre contrade
organizzata dalla Scuola Sportiva DEPA di Palermo.
Nella foto, bellissima, si vedono tre ragazzini ed Ettore è il più alto. Ha un fisico
asciutto e non sorride, ha i capelli un po’ arruffati e sembra affannato a differenza dei
suoi compagni che sembrano tranquilli pur se presi dalla situazione.
Il filo del gomitolo si dipana, e l’insegnante, perché questa storia dobbiamo narrarla
insieme, mi racconta.
“Ettore è nato in una famiglia che per tradizione ha lavorato con gli animali. Negli
anni sessanta e settanta in seguito alla grande cementificazione del nostro quartiere
che si estende dalle falde del Monte Pellegrino sino al mare, molti dei gruppi
familiari che vivevano di allevamento del bestiame, continuarono questo lavoro non
più in zone adibite a pascolo ma in stalla. Ettore ha aiutato la famiglia in questa
fase. Lo ha fatto abbeverando le mucche, dando loro il fieno ed altri vegetali,
aiutando il padre a trasportare l'erba raccolta alle pendici del monte, pulendo la
stalla, distribuendo il latte munto presso le famiglie che lo richiedevano.”
Dunque quel bambino quindi frequenta la scuola elementare e segue le lezioni; per lui
sedersi al banco è come tirare un sospiro di sollievo e riposare il corpo per dare aria
alla mente.
“Nei periodi scolastici Ettore doveva svolgere parte di questi lavori durante la
giornata, cercando di seguire anche le lezioni e di fare anche i compiti.”
Ettore cresceva sano e robusto e, come è naturale che sia, provava un po’ d'invidia
per gli altri ragazzini che non avevano di queste incombenze di lavoro.”
Afferro quel filo e vedo Ettore correre verso la scuola sportiva e materializzarsi al
fianco dei suoi insegnanti. Lo vedo sbrigarsi a finire con il bestiame, incombenza
faticosa e che richiede accuratezza e precisione, per non perdere la possibilità di far
parte di un gruppo e di seguire i suoi maestri.
Per lui questi contatti sono ossigeno ed entrare nel campetto per presentarsi ai maestri
è come spiccare finalmente il volo.
Parallelamente penso che ragionare sulla sua condizione di bambino che aiuta la
famiglia nel lavoro quotidiano e forse lasciarsi andare a giudizi anacronistici e
moralistici parlando di lavoro minorile non abbia, oggi, nessun senso. La nostra
presunzione moralista, dopotutto, si ferma sulla soglia di casa nostra e comunque
lasciamo che il mondo vada come va.
La condizione della vita quotidiana di Ettore era quella e non per scelta o
accanimento, ma per ragioni storiche che dobbiamo accettare come tali.
L’infanzia di oggi appare più tutelata ed ha garanzie formalmente diverse. Ma sulla
probabilità che sia realmente più felice e fiduciosa sul senso dell’esistenza o che
cresca genericamente meglio, abbiamo semplicemente staccato il tagliando di una
scommessa che è tutta da verificare.
Ora capisco quell’aria spettinata e lo sguardo che interroga e non dà nulla per
scontato.
Ogni attimo di scuola che per gli altri è un impegno per lui è invece un premio.
“Alla DEPA “ mi dice ancora l’insegnante, “assieme alle attività proprie dei corsi
della Scuola Sportiva abbiamo proposto gare di corsa, meeting di atletica leggera,
tornei di calcio, etc con la partecipazione aperta a tutti i ragazzini del quartiere.
Ettore, grazie a queste attività che hanno avuto sempre una valenza educativa, ha
trovato l'ambito dove essere alla pari con gli altri ragazzini. Nei suoi periodi "liberi"
ce lo ritrovavamo accanto sempre pronto ad accogliere il nostro assenso ad
includersi nelle attività dei corsi.”
Mi spiego anche le spalle e del ragazzo, nella foto leggermente curve, come se stesse
per assumere la posizione di partenza e al tempo stesso si rilassasse in attesa
dell’impegno di una competizione attesa e anelata. Mi spiego lo sguardo consapevole,
da adulto.
Le parole del suo insegnante documentano i fatti.
“Ettore quando ha partecipato alla gara aveva 11 anni e frequentava la quinta
elementare. La distanza della corsa era di circa 2 Km ed Ettore si è classificato tra i
primi. Il percorso della gara lo abbiamo modificato per farla passare davanti la
stalla di Ettore.
Lui aspetta dunque solo il via per lasciar correre gambe e cuore, per slanciarsi a
perdifiato gareggiando lungo le strade delle tre contrade, per confrontarsi con i
compagni e magari accelerare al massimo negli istanti in cui passa davanti alla stalla
della famiglia orgogliosa della sua partecipazione.
Un passero, con il cuore grande, da uomo.
Dopo la corsa tornerà a casa felice e continuerà il lavoro, finirà i compiti e si
preparerà al riposo con la mente rivolta al suo domani che, lui spera, sarà diverso da
quello di tutti gli altri.
Non posso impedirmi di pensare ad una qualsiasi corsa di ragazzini oggi: denari e
tempo da spendere per scegliere il look, la famiglia mobilitata, una colazione da
campione del mondo in trasferta di lusso, le videocamere e telefonini in azione,
parenti disposti lungo il percorso (in alcuni casi predisposti alla competizione o ad un
tifo esagerato essi stessi).
E poi? Poi nulla, si spengono le luci e molti non si chiedono
Ringrazio il Prof. Giuseppe Comitini che mi ha raccontato la storia di Ettore, e la Scuola Sportiva
DEPA di Palermo a cui appartiene la fotografia.