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… E VISSERO QUASI TUTTI FELICI E CONTENTI

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COME MAMMA CAPRA VENDICO’ I SUOI CAPRETTI
C era una volta, e una volta non è come l altra, una capra, che viveva con i suoi
tre capretti in una casetta, sulla montagna che, di primavera, si riempiva di te
nera erbetta e di verdura buonissima. La loro vita era semplice e felice. L unic
o ma, perché c è sempre un ma, era che nella zona circolava, indisturbato, un perfid
o lupo che, quando era affamato, mangiava gli animali più piccoli, senza farsi tan
ti scrupoli. Così mamma capra non faceva uscire mai da soli i suoi piccoli. Quando
doveva andare fuori, in cerca di cibo, li chiudeva a chiave, raccomandandosi di
non aprire a nessuno. Avevano per questo una frase stabilita, quando lei ritorn
ava, per farsi aprire la porta: "Caprettini, fìglioletti miei, vi porto latte e ca
volo cappuccio; apritemi la porta!". Un giorno, come al solito, la mamma uscì e si
raccomandò tanto di non aprire a nessuno. I tre fratellini si misero a giocare sp
ensieratamente. Ad un tratto sentirono bussare alla porta e, dall esterno, una v
ocina belante disse: "Caprettini, fìglioletti miei, vi porto latte e cavolo cappuc
cio; apritemi la porta!". Il briccone era stato davvero convincente, nella sua i
mitazione; così, la capretta più grande aprì la porta. Quando videro che si trattava d
el perfido lupo, i due capretti più piccoli corsero a nascondersi nel camino e nel
la madia. La sorella maggiore, invece, fu mangiata immediatamente, in un sol boc
cone, dallo spietato lupo. Questo, non contento, si mise a cercare gli altri due
capretti. Cercò dappertutto e alla fine scovò quello che si era nascosto nel camino
e fece anche di lui un sol boccone. Restava da scovare il terzo ma, vuoi che er
a ben nascosto, vuoi che il lupo era già sazio, il capretto più piccolo riuscì a farla
franca. Ora, il lupo briccone aveva la pancia piena e per questo decise di lasc
iare la casa di mamma capra. Quando questa tornò, capì cosa era avvenuto e, abbracci
ando il piccolo, scampato al pericolo, pianse disperatamente. Ma pensò subito alla
vendetta. Pensa e ripensa trovò la soluzione. Andò dal lupo e gli disse che sarebbe
stata felice di averlo suo ospite a pranzo. Il lupo, perennemente affamato, acc
ettò e all ora stabilita si presentò vestito di tutto punto. Mamma capra lo fece acc
omodare a tavola e mentre gli offriva ottimi manicaretti preparati da lei incomi
nciò: "Sai, lupo, mi hanno mangiato due figli! Chissà chi è stato quel crudele! Come s
i può pensare di mangiare due capretti così graziosi? Io sono davvero disperata, non
so come farò senza di loro!" - Così diceva mamma capra e piangeva e si disperava. I
l lupo che oltre ad essere malvagio era anche un ipocrita - "Com è possibile che s
ia successa una cosa così crudele?" - disse commosso - "Sono veramente dispiaciuto
per tè! Non so proprio chi può aver commesso un gesto così cattivo!" - Intanto contin
uava a mangiare ciò che mamma capra gli offriva e non si accorgeva quale tiro gli
era stato preparato. Sotto la sedia mamma capra, infatti, aveva scavato un fosso
e vi aveva messo dei tizzoni di legna. Il peso del lupo sulla sedia fece crolla
re il fragile strato di terra e il lupo cadde nel fuoco. Chiese disperatamente a
iuto a mamma capra, le promise anche che le avrebbe detto chi aveva mangiato i s
uoi piccoli se lo avesse salvato, pianse e si disperò il lupo crudele ma mamma cap
ra era troppo addolorata per poterlo perdonare e salvare. Così il lupo morì arrostit
o e tutte le caprette della montagna poterono di nuovo brucare all aria aperta,
senza paura.

COME L ORSO PERSE LA SUA BELLA CODA


Tanti, ma tanti anni fa, in una freddissima giornata d inverno, una volpe affama
ta si trascinava lungo una strada di montagna; erano tanti giorni che non toccav
a cibo e i morsi della fame la facevano barcollare. Quando ormai era allo stremo
delle forze e irrigidita dal freddo, scorse da lontano, come in un sogno, un uo
mo che guidava un carretto trainato da un cavallo. Man mano che il carretto si a
vvicinava, aumentava sempre più un intenso profumo di pesce fresco che stuzzicò lo s
tomaco della volpe, vuoto da giorni: si avvicinava un carico di pesce appena pes
cato! La volpe, immediatamente ringalluzzita, si lanciò lesta sul carico e fece sc
ivolare a terra tanto pesce che sarebbe bastato a sfamarla per almeno una settim
ana; poi, infilò la sua refurtiva in un sacco e si avviò verso casa, pregustando que
l buon pranzetto inatteso, dopo tanto digiuno. Strada facendo, incontrò un grande
orso, anche lui affamato e anche lui stuzzicato dal profumo che emanava dal sacc
o pieno di pesci. - Buongiorno, volpe - disse l orso - dove hai trovato tutto qu
esto buon pesce? - L ho pescato nel fiume - rispose la volpe che, oltre ad esser
e scaltra e ladra, era anche bugiarda. - Come hai fatto a pescare tanto pesce in
una stagione così fredda? - insistè l orso che era grande e grosso, ma anche un poc
hino credulone e già sbavava all idea di un insperato pranzetto. — Mi sono seduta ne
l fiume - incominciò a raccontare con aria da grande professore la furba volpe - e
d ho immerso la mia bella coda nell acqua; i pesci si sono impigliati nella folt
a pelliccia della mia coda, come se fosse una rete, e a me non è rimasto altro da
fare che raccogliere i frutti di questa pesca facile, abbondante e prelibata. Ed
ora me ne vado a casa a rimpinzarmi-. Così dicendo, la volpe riprese il suo cammi
no, ma l orso, che ormai non ci vedeva più dalla fame, - dammene almeno uno - la p
regò – solo per smorzare questi morsi che sento allo stomaco! - Eh, no, caro mio! – ri
spose dispettosa la volpe - ti ho svelato il segreto per fare una pesca così abbon
dante e questo basta! Ora tocca a tè darti da fare con la tua bella coda! -. Ciò det
to, riprese il suo cammino verso casa. Il povero orso corse verso il fiume, e co
sì come gli aveva detto la perfida volpe, infilò la sua lunga e folta coda nell acqu
a e attese trepidante che qualche pesciolino vi restasse intrappolato. La temper
atura era freddissima e presto la sua splendida coda rimase serrata in un blocco
di ghiaccio; così, quando con grande sforzo cercò di sollevarsi, quella per lo stra
ppo si spezzò, restando bloccata nel ghiaccio. Così il povero orso credulone, non so
lo restò a bocca asciutta, ma da quel giorno perse anche, per sempre, la sua belli
ssima coda.

COME IL VALOROSO PRASLEA RACCOLSE LE DUE MELE D ORO


C era una volta un grande regno, governato da un grande re che viveva in una gra
nde reggia. Questo regno, naturalmente, era bellissimo, con montagne alte che sf
ioravano il cielo e nelle notti di luna le cime erano illuminate da mille lampad
ine che erano le stelle; c erano bellissimi giardini con siepi di fiori colorati
, campi di grano che davano da mangiare a tutto il reame e grandi orti dove si c
oltivava buonissima verdura, famosa in tutto il mondo. Nel giardino del re cresc
evano molti alberi esotici e sopra tutti trionfava un bellissimo albero di mele
così alto che non se ne vedeva la cima e, uguale, non se ne era mai visto. Questo
melo aveva una particolarità: produceva solo due mele all anno e, per di più, d oro.
Ma questo non era, ancora, tutto: ogni anno, un drago enorme, preceduto da un v
ento caldo, addormentava tutti e prendeva per sé le due mele d oro. Il drago aveva
sette teste e sette bocche enormi che sputavano fuoco; gli occhi erano fosfores
centi e fiammeggianti e mettevano paura al più valoroso soldato. La sua pelle era
verdissima e piena di squame dure come il ferro. Oltre ad essere bruttissimo da
vedere, questo drago era anche molto cattivo e crudele. Tutti i più valorosi solda
ti avevano provato a uccidere quel drago ma nessuno era mai riuscito nell impres
a. Avvenne così che il re decise di fare un proclama: invitava tutti i sudditi a p
rovare ad eliminare il drago e chi ci fosse riuscito avrebbe, in cambio, sposato
la sua unica figlia e regnato su metà del reame. Attratti dalla proposta, vennero
giovani da tutto il mondo, vuoi per battere il drago, vuoi per sposare la princ
ipessa che era di una bellezza mai vista. Giorno dopo giorno, notte dopo notte,
settimana dopo settimana, centinaia di valorosi soldati, appostati ai piedi dell
albero, cercarono di cogliere di sorpresa il drago e, una volta eliminato, impo
ssessarsi delle due mele d oro. Ma immancabilmente arrivava il vento caldo che a
ddormentava tutti e poi il drago che portava via le due mele d oro. Passavano i
giorni, le settimane, i mesi, gli anni e il drago la faceva sempre da padrone. A
rrivò alla fine nel regno un uomo bello e aitante, forte e coraggioso, valoroso e
furbo. Si presentò dal re e gli chiese di lasciargli tentare. Il re lo avvertì che n
essuno in tanti anni era riuscito nell impresa ma lui - lascia fare a me ! — disse
. Così Praslea, questo era il nome dell eroe, si apprestò all impresa: costruì sotto i
l melo un letto di frecce appuntite, tanto pericoloso che non poteva concedersi
di dormire neanche un secondo, altrimenti si sarebbe ferito gravemente. Così giorn
o dopo giorno, notte dopo notte, settimana dopo settimana, Praslea sempre svegli
o sotto il melo attese il drago. Giunse il vento caldo ma Praslea non smise un s
olo istante di fissare le due mele d oro. Il sonno, infine, colpì tutti ma non Pra
slea che temeva di restare conficcato nel letto di frecce. Quando arrivò il drago
con le sue sette teste minacciose e le sue bocche che vomitavano fiamme e saette
, Praslea, per niente impressionato, estrasse dalla faretra una freccia, prese c
on calma la mira e con una precisione sorprendente colpì nel mezzo del petto il mo
stro che morì all istante. Raccolse poi le due mele d oro dall albero e le portò in
dono al re. Questo fu immensamente felice di avere finalmente quei frutti che, m
ai, nessun uomo aveva toccato. -Avrai la mano di mia figlia - disse - e metà del m
io regno, così come ti avevo promesso. - La principessa fu molto felice di questo
fidanzato che, come si è detto, era bellissimo. Subito furono celebrate le nozze c
he ebbero uno sfarzo pari alla grandezza e alla fama di quel re e di quel reame.
Da quel giorno vissero tutti felici e poterono, ogni anno, tranquillamente, rac
cogliere le due mele d oro, ma soprattutto non subire più la prepotenza del drago
e vivere felici.

COME IL RÈ CAPI CHE IL SALE E LO ZUCCHERO SONO I SAPORI DELLA VITA


Tanto, ma tanto tempo fa viveva in una terra ricca e felice un re. Questo re ave
va una moglie molto bella e buona e due figlie affettuose e ubbidienti; vivevano
in grande armonia ed erano una famiglia felice. Tutto procedeva per il meglio m
a, perché c è sempre un ma, un brutto giorno la regina morì. Il re pianse molto per qu
esta scomparsa e nulla valse a consolarlo: da quel triste giorno, lui che era st
ato sempre allegro e gioviale diventò triste e nervoso, irascibile e permaloso. Se
nza la sua bella regina sentiva la sua vita vuota e inutile e solo le sue due fi
glie lo consolavano un po . Così un giorno le chiamò a sé e - voglio sapere - chiese l
oro - quanto mi amate, figlie mie? - La prima a rispondere, con l animo commosso
e triste e le lacrime agli occhi fu la maggiore che -ti amo tanto - disse, padr
e mio, tanto quanto amo lo zucchero e i dolci-. Il re fu molto contento di quest
a risposta. Ora era la volta della figlia minore che, commossa quanto la sorella
-ti amo tanto -disse- padre mio, tanto quanto amo il sale e i cibi salati.- Il
re che era stato lusingato dalla risposta della figlia maggiore, fu molto contra
riato da quella della minore e, in preda all ira, la scacciò via per sempre dalla
sua casa e dal suo cospetto. Così passarono gli anni e il re non riusciva ancora a
rassegnarsi alla morte della regina e all assenza della cara figlia minore, che
aveva scacciato in un momento di rabbia. Quanto le mancava quell amata figlia!
Così avvenne che la figlia minore fu chiesta in sposa dal figlio del re confinant
e, presso cui era stata accolta dopo essere stata scacciata dal padre. Alle nozz
e furono invitati tutti i nobili della regione: non si contavano le dame e i cav
alieri con i paggi e le damigelle che giungevano con doni magnifici su carrozze
strabilianti da tutte le parti della terra. Naturalmente furono invitati anche i
l vecchio e iroso padre della sposa e la sorella. La festa era stata preparata c
on grande sfarzo perché, si sa, i matrimoni dei re sono sempre sfarzosi. C erano d
a mangiare tante prelibatezze, cucinate dai cuochi più famosi giunti da ogni parte
del mondo; quei cibi non solo erano buonissimi ma anche presentati come delle v
ere opere d arte. Gli invitati mangiavano con appetito e danzavano al suono di u
n orchestra formata dai musicanti più bravi , fatti arrivare da tutti gli angoli d
el regno. Tutti si divertivano e pensavano di non avere mai partecipato ad una f
esta così bella ed elegante. Solo il nostro re sedeva, triste e sconsolato e non
aveva mangiato nulla delle buonissime leccornie che gli erano state servite: era
no tutti cibi cucinati con lo zucchero! Accertasi, la sposa, che il padre era tr
iste e non aveva mangiato nulla gli si avvicinò e - perché non mangi, padre? - gli c
hiese - Forse il cibo non è buono? Forse non è di tuo gusto? - II padre la guardò con
le lacrime agli occhi e - figlia mia - le rispose - quando tanti anni fa chiesi,
a tè e a tua sorella, quanto mi amaste e tu mi rispondesti "tanto quanto amo il s
ale" io ti scacciai, perché pensavo che il tuo non fosse amore vero. Solo ora capi
sco che il sale e lo zucchero fanno parte della vita e che vanno gustati e amati
allo stesso modo -. Ciò detto si abbracciarono teneramente e da quel giorno visse
ro felici.

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