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CONFRONTO TRA CARONTE E CATONE (I Canto)

Durante il suo viaggio Dante incontra due personaggi particolarmente significativi, l'uno guardiano dell'inferno,
l'altro custode del purgatorio.
I due personaggi si differenziano fin dal loro ingresso: Caronte infatti entra sulla scena in maniera irruenta e inattesa,
colto mentre traghetta i morti manovrando la barca ferrigna con un'asta mentre Catone viene colto in una posa
statuaria e sacrale, avvolto in una barba bianca che lo rende venerando. Questo elemento è forse l'unico che che
accomuna le due descrizioni, le quali tra l'altro avvengono in due momenti differenti. Caronte viene descritto subito
dopo il suo ingresso; egli presenta una lunga barba bianca, gli occhi come fiamme e un lurido mantello che gli pende
dalle spalle. Alle sue caratteristiche fisiche demoniache si unisce anche una gestualità minacciosa e invettive gridate.
Catone invece viene descritto solo in seguito; Dante infatti mette dapprima in risalto il suo rispetto per il personaggio,
paragonabile a quello di un figlio nei confronti del padre. Nel volto del guardiano del purgatorio risplende la luce
delle quattro stelle rappresentanti le quattro virtù cardinali, con evidente significazione simbolica di uomo dalle salde
virtù.
Queste due immagini sottolineano non solo le diverse caratteristiche fisiche dei due personaggi ma anche le qualità
morali:
Caronte è un personaggio sinistro, che incute timore e oscuro come il paesaggio che lo circonda il quale lo rende una
figura ancora più drammatica e dinamica; in lui compare una forte energia interiore e volontà di dominio, oltrechè
un'inclinazione all'ira; egli costituisce dunque una personificazione del demonio.
Catone invece presenta un aspetto severo, austero e composto e rappresenta l'uomo nella sua vicenda eterna,
portatore di libertà morale.
E' evidente dunque il contrasto tra l'immagine rude del nocchiero infernale da quella solenne del custode del
purgatorio.
Catone:
Libertà: è la parola chiave che aiuta a capire perché Dante ha messo Catone nel Purgatorio, dove le anime si
purificano e trovano alla fine la libertà dal peccato.
Catone è morto per difendere la propria libertà ed ora, nonostante il suicidio, si trova nel Purgatorio come simbolo
della libertà dal peccato che le anime dei penitenti cercano.
Dante trova una parziale identificazione in Catone in quanto è un uomo esule, alla ricerca della libertà politica di cui
era stato privato ingiustamente.
Dante salva Catone perchè ritiene che abbia delle alte qualità morali.

L’Angelo nocchiero (II Canto)

L’Angelo nocchiero conduce al luogo della purificazione una barca piena di anime in grazia di Dio. L’Angelo si
avvicina velocissimo, come un’apparizione nebulosa e surreale. In essa domina il colore bianco, il più luminoso,
simbolo di purezza assoluta. Il suo aspetto non viene colto subito e totalmente, ma in modo progressivo: prima appare
la luce del suo volto, poi le due masse bianche delle ali le quali non hanno niente a che spartire (tranne la forma
esteriore) con quelle degli uccelli, infine la veste immacolata, senza che si possano individuare mai i lineamenti
precisi del suo volto. Ciò sta a significare la sua realtà celeste e superiore.
Nei versi che descrivono questo momento Dante scrittore ci suggerisce che anche Virgilio, la guida che lo ha sorretto
nel viaggio infernale, è sconcertato quanto lui di fronte alla nuova apparizione. L’Angelo traghettatore è
rappresentato in antitesi con un altro nocchiero, Caronte.

Jacopo del Cassero - vv. 64-84 (V Canto)

Il primo interlocutore di Dante è Jacopo del Cassero. Questi nacque a Fano nel 1260 e partecipò alla battaglia di
Campaldino, dove probabilmente conobbe Dante. Difese Bologna, città di cui era podestà, dagli attacchi di Azzo VIII.
Poi venne eletto podestà di Milano. E mentre si trovava nel padovano venne raggiunto dai sicari di Azzo VIII e ucciso.
Iacopo chiede a Dante, se passerà per Fano, di ricordare ai suoi parenti di pregare per lui affinché il tempo da
trascorrere nell'antipurgatorio finisca.

Buonconte da Montefeltro - vv. 85-129 (V Canto)

Un'altra anima chiede a Dante di pregare per lei: essa appartiene a Bonconte da Montefeltro. Bonconte sottolinea che,
se in vita era appartenuto alla casata dei Montefeltro, ora egli è semplicemente se stesso, attraverso la formula "io fui
di Montefeltro, io son Bonconte"(Vv.88); è quindi evidente un distacco totale dalla dimensione terrena. Bonconte
nacque dal conte ghibellino Guido da Montefeltro e partecipò alla cacciata dei Guelfi da Arezzo. Morì nella battaglia
di Campaldino, ma il suo cadavere non fu mai trovato. L'anima narra della sua cruenta morte e dell'invocazione a
Maria per il perdono dei peccati in fin di vita. Specifica il luogo in cui morì esangue in seguito alle ferite ricevute: nel
Casentino, nel punto in cui scorre l'Archiano affluente dell'Arno.
Particolare è il ricordo di Bonconte sulla disputa avvenuta dopo la sua morte tra il diavolo e un angelo: entrambi
reclamavano l´anima: l'angelo affermava che lui doveva avere l'anima perché Buonconte si era pentito, mentre il
diavolo sosteneva che fosse un'ingiustizia perdonarlo dopo una vita trascorsa nel peccato. Il diavolo, sconfitto, vuole
vendicarsi sul corpo di Bonconte. Provoca un violento temporale che fa straripare le acque che a loro volta si dirigono
verso l'Arno. Il corpo viene così straziato dalla furia della corrente e trascinato affinché le braccia di Bonconte, poste a
forma di croce sul petto, si sciolgano.

Pia de' Tolomei - vv. 130-136 (V Canto)

Una terza anima chiede a Dante di pregare per lei una volta ritornato in terra: appartiene a Pia dei Tolomei, ed
enuncia gentilmente e brevemente al pellegrino il luogo in cui nacque, Siena, e in cui fu uccisa, la Maremma. Allude
attraverso una perifrasi al suo assassino: il marito.

L'unica analogia tra i personaggi è la morte violenta subita e il pentimento avvenuto in punto di morte. Bonconte e
Iacopo del Cassero sono entrambi morti in seguito a battaglie o avversioni di altri nobili e manifestano sentimento e
coinvolgimento nel raccontare la loro storia a Dante. Il periodo in cui i due hanno vissuto è caratterizzato da lotte per
il potere tra i vari signori italiani. Al contrario Pia dei Tolomei assume un tono recriminatorio verso il suo uccisore,
sembra infastidita dal fatto che prima egli la prese come sposa e successivamente la uccise. L'atteggiamento della
donna nel raccontare la propria storia a Dante è distaccato e freddo, come a sottolineare il suo completo distacco dalla
vita e dal mondo terreno; è l'unica, tuttavia, dalla quale traspare un velo di cortesia, chiedendogli di farle il favore di
ricordarla in terra solo dopo essersi riposato dal lungo viaggio.

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