Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
di Maurizio Mazziero
Vanzago, 24 settembre 2010
Per quale ragione il debito pubblico in molti Stati nel mondo continua ad aumentare?
Quali sono le variabili che provocano un tale incremento? Ma soprattutto quali sono le
implicazioni di ciò?
L’aumento o la diminuzione del debito pubblico dipende in grande misura dal saldo
primario di bilancio, voce che rappresenta la differenza fra le entrate statali e la spesa
pubblica, a questa si deve ulteriormente detrarre la spesa per gli interessi sul debito
esistente.
Il debito rimarrà stabile se il saldo primario è pari alla spesa per interessi. (b)
Il debito diminuirà se il saldo primario è superiore a quanto speso per interessi. (c)
Nel primo caso (a) il paese sarà costretto ad indebitarsi ulteriormente, emettendo altri titoli
di stato, mentre nel terzo caso (c) la nazione sarà più virtuosa essendo in grado di
ripagare e diminuire il debito.
La sostenibilità del debito nel lungo termine quindi dipende dalle entrate che risultano
correlate alla ricchezza prodotta, misurata con il Pil (Prodotto interno lordo). Il Pil a sua
volta non deve essere eccessivamente eroso dal debito, e qui nasce la misura del
rapporto debito/Pil.
Il debito/Pil rimane stabile se il debito cresce percentualmente in misura pari alla crescita
del Pil. (e)
Occorre, infatti, osservare che il rapporto debito/Pil aumenta quando il costo del debito
eccede il tasso di crescita del Pil. In quel caso, per mantenere la sostenibilità del debito,
occorrono avanzi primari crescenti.
Hyman Minsky, economista post keynesiano americano (1919 -1996), nei suoi studi
sull’instabilità finanziaria classificò i debitori in tre categorie:
I mutuatari che fanno ricorso alla finanza coperta, ovvero coloro che sono in grado di
pagare gli interessi e restituire il capitale preso in prestito con i flussi di cassa correnti. (1)
I mutuatari che ricorrono alla finanza Ponzi le cui entrate non sono sufficienti né a coprire il
pagamento degli interessi né il rimborso del capitale. (3)
La loro unica opzione è ipotecare le proprie finanze future indebitandosi ancora di più,
sperando in un aumento del valore dei beni acquistati con il denaro preso a prestito.
L’analogia con il debito immobiliare americano è pressoché perfetta.
Nella quasi totalità dei paesi il debito sta aumentando, sia perché le entrate sono diminuite
a causa di minori introiti fiscali, direttamente correlati a un drastico crollo del Pil, sia perché
le spese sono fortemente aumentate per le misure di stimolo e gli ammortizzatori sociali
messi in campo.
Pur con un tasso di interesse basso – e le banche centrali cercheranno di tenerlo sotto
controllo il più a lungo possibile – un debito in aumento comporta una spesa per interessi
destinata a salire. Inoltre, un continuo incremento del debito potrebbe costringere ad
alzare i rendimenti sui titoli di stato, per convincere gli investitori al loro acquisto; a questo
punto gli sforzi di equilibrismo potrebbero risultare difficili.
Ma vediamo ora la situazione italiana: il debito pubblico è passato da 1.761 miliardi di fine
2009 a 1.838 di fine luglio 2010; il totale delle entrate, quelle fiscali sono un sottoinsieme,
alla fine dello scorso anno sono state di 440 miliardi, mentre nei primi sette mesi del 2010
hanno raggiunto i 228 miliardi, di questi quasi 33 miliardi sono andati in spesa per interessi
e una proiezione Istat indica che a fine anno questa spesa raggiungerà i 76 miliardi.
Il debito nei primi sette mesi è cresciuto di 77 miliardi pari al 4,4%, e personalmente penso
che siamo diretti a un incremento annuale superiore ai 100 miliardi, probabilmente
compreso tra i 110 e i 120 miliardi.
Riguardo al Pil la misurazione non è semplice, ma l’Istat ha dato per acquisito un
incremento dello 0,8%, potrebbe essere plausibile che entro la fine dell’anno ci si possa
trovare tra l’1,1% e l’1,3%.
Già da questi numeri si può vedere che a luglio il debito aumenta del 4,4% e il Pil dello
0,8%; la diretta conseguenza è che il rapporto fra debito e Pil non potrà far altro che
peggiorare. Infatti, molto probabilmente passeremo a fine anno dal 115,8% al 121%.
Purtroppo non è dato sapere fino a quando si potrà andare avanti a trasferire i nostri debiti
di oggi alle generazioni di domani emettendo titoli di stato, pur confortati dagli acquisti di
ultima istanza della banca centrale.
Queste cifre evidenziano una situazione scarsamente sotto controllo ed esposta al
pericolo di un’eventuale instabilità finanziaria, che potrebbe innescarsi anche al di fuori dei
nostri confini.
Certamente non ci troviamo di fronte a una finanza Ponzi, ma nemmeno di fronte a una
finanza coperta; la condizione di mutuatari speculativi nasconde l’insidia che sia più facile
scivolare sulla prima, piuttosto che con enormi sacrifici raggiungere “il posto al sole” della
seconda.