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CATTIVO GUSTO

1. Il gusto nella moda


Che influenza ha il cattivo gusto sulla moda? Vi una moda
del cattivo gusto? La stessa domanda pu apparire provocatoria
nei confronti di un mondo che ha fatto dello stile (che certamente
parente del gusto) la propria insegna e principale risorsa. E
per chiaro che nella storia dellabbigliamento spesso le
creazioni della moda appaiono brutte e perfino grottesche, esempi
di cattivo gusto tanto agli occhi degli esteti (o estetologi, o critici
o saggisti) della propria epoca, quanto al giudizio degli storici.
Anzi: facile vedere che tanto pi velocemente un indumento
(ma anche una musica, un pensiero, un cibo) si impone sull'onda
effimera della moda, tanto pi facilmente esso apparir
discutibile dal punto di vista dei valori estetici consolidati della
stessa epoca. Questo non perch tali valori estetici siano oggettivi
e perenni, al contrario della moda, ma per il semplice fatto che si
tratta di costrutti socio-semiotici pi fondamentali e radicati, che
variano molto pi lentamente delle mode e dunque si trovano
spesso contraddetti dalle manifestazioni di queste, che si
affermano proprio forzando il gusto.
Per affrontare il problema del cattivo gusto nella moda
dunque necessario tener conto dello specifico meccanismo
estetico che regola il suo funzionamento Le mode in generale
sono analizzate come meccanismi di uniformazione sociale dei
comportamento, relativamente cogenti, che agiscono per non a
livello delle obbligazioni politiche o giuridiche, n a quello delle
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responsabilit etiche, bens sul piano delle scelte estetiche, del


piacere e del dispiacere. In questo ambito, la loro caratteristica
pi specifica costituita dal fatto che esse non rivendicano come
proprio fondamento dei criteri assoluti, cio non usano categorie
come il bello, che sono generalmente asserite come valide
indipendentemente dal tempo, dallo spazio e dai soggetti
dellesperienza (per quanto tale assolutezza possa apparire
discutibile allo sguardo distaccato delle scienze sociali ed vada
certamente ridotta alla lentezza di evoluzione delle strutture
sociali pi radicate). Al contrario, le mode legano esplicitamente
il loro giudizio estetico al tempo e alle condizioni del contesto e
dunque rivendicano solamente un certo gusto, percepito come
valido in un certo momento, ma di cui si sa che variabile
piuttosto velocemente.
Fa parte infatti della natura pi essenziale dei fenomeni di
moda che ci che ieri piaceva (era di moda), oggi non debba
piacer pi (sia fuori moda); vale a dire che proprio ci che in
un certo momento risulta molto attraente debba essere visto in
quel tempo stesso come effimero, destinato a uscire dal campo
del gusto molto velocemente e senza rimpianti. Una metafora
spaziale orizzontale si affaccia con prepotenza in questo ambito:
qualcosa in o out, secondo confini che si muovono
velocemente, a differenza della dimensione metaforica verticale
che definisce nella nostra societ i valori estici ed estetici in
senso proprio. Georg Simmel sintetizza tale peculiare situazione,
nel suo classico saggio sulla moda (1905) definendola
oscillazione obbligatoria del gusto. Questo meccanismo di
funzionamento legato al tempo vale per molte mode (letterarie,
architettoniche, dellarredamento ecc.) ma innanzitutto per
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lambito di quellabbigliamento elegante e lussuoso, che si usa


definire per antonomasia moda.
La variabilit stessa della moda fa dunque s che i suoi
prodotti e i suoi criteri si distacchino dalle categorie
caratteristiche dellestetica tradizionale ispirata alle arti: non vi
nulla di contraddittorio nellaffermare per esempio che la moda
di questanno brutta. Uno dei primi sociologi a studiare i
fenomeni di moda, Thorstein Veblen (1899), ha addirittura
sostenuto che la moda nel suo complesso ha una certa inevitabile
vocazione alla bruttezza, in quanto la sua autentica motivazione
sociale sarebbe lesibizione della ricchezza di chi la indossa e in
particolare la sua esenzione dal lavoro manuale; il che
implicherebbe nellabbigliamento di moda una serie di vincoli e
di ornamenti inutili e peggio ancora disfunzionali, i quali
inevitabilmente negherebbero quella semplicit ed usabilit che
per lo studioso americano sono requisiti indispensabili della
bellezza di oggetti duso come gli indumenti. Questa condizione
di esibizione inviterebbe da un lato all'accumulo di materiali
preziosi nellabbigliamento, dall'altro alla disfunzionalit della
sua progettazione: gli abiti eleganti hanno spesso forme e vincoli
che impediscono (Veblen dice: che sono fatti apposta per
impedire, anzi per esibire limpossibilit) di lavorare e di
muoversi comodamente. E evidente il legame di queste
osservazioni con il problema del cattivo gusto della moda.
Non ci interessa discutere qui la tesi di Veblen, suggestiva
ma certamente legata a una struttura sociale molto differente da
quella che si evoluta nelle societ occidentali negli ultimi
decenni; quel che conta stabilire che la moda, anche quella
tradizionale, un sistema estetico del tutto particolare, perch da
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un lato conserva la caratteristica di fondarsi su un giudizio di


gusto,

dallaltro

sottrae

tale

valorizzazione

alla

pretesa

delluniversalit, alla stabilit che ne deriva e allautonomia che


dovrebbe

esserne

conseguenza,

ma

anzi

lo

relativizza

esplicitamente allesibizione di ruoli sociali, al tempo e a se


stessa, in definitiva a criteri di utilit, sia pure simbolica, che
fanno dei suoi prodotti oggetti comunicativi, pi che estetici.
E importante sottolineare il fatto che nella moda il legame
col tempo non negato o parzialmente occultato sotto letichetta
del progresso, come nel caso di molte altre arti applicate e
perfino delle belle arti, i cui criteri evidentemente cambiano,
ma conservando sempre (almeno fino alla piena modernit) la
pretesa allassolutezza. Nella moda al contrario da sempre il
legame col tempo esplicito, programmatico e condizionante: al
contrario di un quadro o di un poema antico, una vecchia moda
non vale pi per definizione, il che ha notevoli conseguenze
pratiche, oltre che estetiche. Nel celebre dialogo fra la Moda e la
Morte contenuto nelle Operette morali, per esempio, Giacomo
Leopardi d per scontato il carattere esplicitamente effimero e
impersonale della moda, descritta come una potenza che proprio
per il suo legame col tempo ha carattere essenzialmente
distruttivo.

evidente

che

un

sistema

estetico

obbligatoriamente variabile non pu raggiungere uno stato di


equilibrio e deve dunque staccarsi da qualunque criterio stabile
del buon gusto o della bellezza. Il giudizio estetico e la moda
differiscono sistematicamente almeno nei loro ritmi cronologici.
Quando a met del XIX secolo la moda smise di essere
impersonale ed espressa solo nelluso, per legarsi alle figure di
alcuni artefici socialmente accettati come arbitri del gusto (le
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figure che nellOttocento francese furono chiamate couturier, e


che da qualche decennio sono denominate in maniera pi
stringente stilisti), la molteplicit del gusto si trov a non
dipendere solo dal tempo, ma anche dalle indicazioni di questi
demiurghi, sicch in un certo anno ci fu una moda secondo Coco
Chanel e una secondo Christian Dior, o una moda di Armani e
una di Versace. Se tali diverse indicazioni dautore trovano il
modo di unificarsi verso una certa tendenza, viene salvaguardato
il principio puramente cronologico della valorizzazione di moda;
se invece, come accade sempre pi di frequente a partire dalla
met del Novecento, esse risultano diverse e contraddittorie fra
loro, la moda perde la sua unit sia pur effimera e diventa
questione non pi di gusto, ma di gusti, al plurale.
Una situazione di questo tipo riporta oggi, a giudizio di
molti, il gusto della moda assai vicino al senso da cui esso trae
metaforicamente il nome, quello del palato: gli stili di
abbigliamento sembrerebbero piacere arbitrariamente, dunque,
senza fondamento alcuno; e per imponendosi come un dato
soggettivo irrefutabile, analogamente a quanto accade ai diversi
cibi, che si confanno o meno a quellarbitrario sistema dei sapori
che definiamo in senso proprio gusto: con una certa dipendenza
sociale e senza che il soggetto interessato possa facilmente
cambiarlo da s. E per noi sappiamo che il gusto alimentare si
pu e di fatto in ogni societ si deve educare e, almeno da Lvi
Strauss (1964) in poi, abbiamo imparato a pensare che vi sia una
relazione fra le categorie del gusto alimentare e quelle della
grande organizzazione simbolica della vita di una societ, sicch
la carne e i vegetali, il crudo e il cotto, larrosto e il bollito non
siano solo pi o meno buoni da mangiare, ma innanzitutto
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debbano essere buoni da pensare, cio corrispondere o meno a


tali categorie.
Dunque, anche se una saggia tradizione proibisce di
disputare sui gusti, lecito interrogare la moda sulle scelte che
pratica e sul loro significato sociale. La variabilit del gusto,
proprio perch si esibisce come capricciosa e immotivata, appare
allocchio dello scienziato sociale bisognosa di spiegazioni
contestuali: essa esprime un certo stato dellorganizzazione
sociale, certi valori pi o meno provvisoriamente egemoni. Ma
anche lecito interrogarsi sul valore della singola moda di un certo
tempo e di un certo stilista, per esempio sul suo carattere di
provocazione e di Kitsch. Le due domande non sono indipendenti
fra loro, perch evidentemente il valore di una certa moda non
affatto indipendente dalle categorie di pensiero e dai simboli
sociali, insomma dallideologia che essa incorpora e di cui si fa
silenziosa ma efficace messaggera.
2. Eleganza
Un modo tradizionale di avvicinarsi a questa domanda
quello che contrappone la nozione di eleganza a quello di moda.
Eleganza una parola latina che viene da "eligere", cio
scegliere. Ancora pi indietro, sotto "eligere", troviamo la radice
indoeuropea delle parole "leggere" e "legge" che si riferisce s
all'atto di leggere, ma soprattutto all'ordinare, al mettere in fila, al
legare. L'etimologia non sempre significativa, perch nelle cose
della lingua, come nella moda, regna la storia e dunque spesso
domina il caso. Ma talvolta l'etimologia permette di intravedere
il lato nascosto delle cose e delle istituzioni, o almeno di lanciare
uno sguardo al modo originario con cui una societ guarda a un
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certo fenomeno. Eleganza dunque la capacit di scegliere, ma


anche il fatto di essere scelti; o, come si usa dire con
unespressione che copre pi o meno lo stesso arco semantico e
riguarda la stessa dinamica sociale, distinti.
Nella nostra tradizione culturale l'eleganza, intesa come il
saper scegliere, una virt, anche se non mai entrata fra le
grandi virt morali o teologiche. E' esattamente la virt
corrispondente e insieme contrapposta alla moda, quella cio che
riguarda il modo di presentarsi al mondo, di costruire la propria
apparenza sociale con gesti, oggetti e parole: un ambito che per
quanto riguarda labbigliamento che ne parte importante,
regolato nelle sue regole quotidiane dalla moda. Ma moda e
eleganza non si identificano, la seconda mantiene rispetto alla
prima un distacco critico, si riserva la facolt di giudicarla
utilizzando come criterio il buon gusto. Secondo questa
differenza, condizione per seguire (o per trasgredire) con profitto
la moda per lappunto essere elegante, cio saper scegliere,
conoscere le regole per offrire al mondo la propria figura
pubblica, che appaiono a ogni societ permanenti se non proprio
eterne.
Non si tratta semplicemente di avere "gusto" (che,
sosteneva Kant, una conoscenza ignara di s) o di condividere
il gusto del proprio tempo imposto dalla moda: l'eleganza ci
chiede di sapere. E' una competenza sugli strumenti e sui
contenuti della moda. Conoscere le regole, essere competente sui
colori e sui tessuti, avere la capacit di valutare le occasioni, le
persone, i tempi della vita. Apprezzare le differenze: un abito da
pomeriggio non un abito da sera, il teatro non un salotto, la
campagna non la citt. La seta non nylon, il velluto non
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broccato. Il blu col nero non si pu portare, il verde stona col


rosa, le righe non si accoppiano ai quadretti. Il rosso non sta bene
coi capelli biondi, le ragazze non portano gioielli, c' un limite
alla vivacit dei colori. Tutti questi sono esempi, enunciati
sempre da chi pratica leleganza come fatti, allindicativo, ma
che proprio per questo sottintendono la forza di un imperativo.
Essi riguardano regole della tradizione di eleganza europea che si
sviluppata quasi senza soluzione di continuit negli ultimi due
secoli: mille volte trasgredite dalla moda e dalluso, ma ancora
valide per chi se ne interessa.
Leleganza un gusto consapevole, sottratto alle
oscillazioni della moda, dunque sempre un po anacronistico o
addirittura invecchiato come si usa col vino. Conoscere, in questo
ambito, dunque innanzitutto avere nozione di ci che non si
pu fare. Saper scegliere, essere eleganti, vuol dire anche essere
legati, non sciogliersi dall'abbraccio delle regole, averle
interiorizzate con tanta forza da averne fatto parte del proprio
corpo. Le regole dell'abbigliamento non sono diverse in questo
dalle altre regole della buona educazione che dicono come
mangiare, come muoversi, che distanze tenere, quale posto
riservare alle signore e cos via. Le une e le altre, quelle
dell'abbigliamento e quelle del vivere, sono leggi che servono a
contenere il corpo, a dargli una forma per l'appunto elegante.
Uno dei punti di gusto pi significativi per il contrasto fra moda
ed eleganza, nella nostra cultura materiale, consiste nel fatto che
questa tende a essere invisibile, fatta di dettagli che possono
essere riconosciuti solo da chi li pratica, mentre quella spesso
appare clamorosa e vuole farsi notare. Questa contrapposizione
fra eleganza e moda in termini di discrezione (cio di nuovo, in
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ultima istanza, di gusto) risale almeno a due secoli fa, ai tempi di


Lord Brummel e dei primi dandies.
Naturalmente queste regole sono arbitrarie. ci sono popoli
per cui elegante (o obbligatorio) mangiare con la mano destra,
ma non con la sinistra che riservata a usi meno nobili. Culture
in cui bisogna girare seminudi anche d'inverno e altre per cui le
donne devono coprirsi il volto e il capo. Civilt per cui il bianco
il colore del lutto e altre per cui cicatrici, lobi allungati, labbra
forate sono de rigoeur. Senza andare troppo lontano, nostri
bisnonni si sarebbero sentiti nudi senza guanti e cappello, le loro
mogli portavano il corsetto come segno obbligatorio di
distinzione. Le nostre regole oggi sono diverse, certamente
domani cambieranno. Non esistono ragioni intrinseche per
adottare queste invece che altre. Se non il fatto che sono cos; il
che significa che altre persone, eleganti come noi o pi di noi, le
accettano e le hanno accettate in passato. Saper scegliere
significa essere d'accordo con quelli che sanno scegliere, fare
come "tutti" e dunque come si deve. E evidente il carattere di
conformismo sociale e perfino di conservazione di queste scelte
maturate per consenso. Leleganza inevitabilmente il deposito
di mode e gerarchie sociali del passato (Bordieu 1979).
Certo, vi sono alcuni elegantissimi dandies che si possono
permettere di trasgredire a questa o quella regola dell'eleganza e
magari anche dell'educazione. All'eleganza si pu sovrapporre la
nonchalance, la disinvoltura. Ma, per l'appunto: si tratta di un
sovrapporre. Il dandismo, la nonchalance vengono dopo le
regole, mai prima o invece. Cambiano in parte le procedure
stabilite dall'eleganza, osano accostamenti inediti, per rispettarne
meglio la sostanza, l'intuizione fondamentale della figura umana
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che la sostiene. Essere dandy ha senso solo per chi sa le regole, le


conosce tanto bene da permettersi di fare eccezione, magari
attendendosi di essere imitato, di creare nuove regole. Se lo pu
permettere solo chi ha uno status che lo mette al di sopra di ogni
sospetto. Se no, la violazione delle regole, il cattivo gusto, ha un
nome che una condanna definitiva: volgarit.
Che la volgarit sia il contrario dell'eleganza un'altra
prova della capacit dell'etimologia di raccontarci verit che si
tende a trascurare. "Volgare", infatti, non vuol dire altro che
appartenente al volgo, cio popolare. Significati sociali analoghi
hanno altri nomi del cattivo gusto: "cafone", "burino", "bifolco",
"buzzurro".

Vogliono

dire

tutte

contadino.

Il

contrario

dell'eleganza la povera gente. Leleganza una condizione di


classe (la sua variante europea e conservativa, quanto la moda
veblenianamente la variante americana e innovativa. Chi non
elegante qualcuno che non sa scegliere perch non stato scelto
(dal destino, dall'economia, da un'eredit). Non distinto. Non ha
cio la ricchezza necessaria per poter scegliere; o, se la possiede,
sua da troppo poco tempo perch costui sappia davvero
scegliere. L'eleganza cos tradizionalista che ai suoi occhi un
nuovo ricco e un povero non sono troppo diversi.
Essere eleganti si usa dire anche "aver classe" e in questo
caso chiaro che si tratta di una classe sociale. I sociologi hanno
spesso sostenuto che l'eleganza (come del resto la moda)
soprattutto uno strumento simbolico delle classi dominanti, che
serve a rendere difficile il ricambio e la confusione con le classi
subalterne, ad elevare per loro la barriera allingresso nel vero
benessere. Dopotutto un sinonimo di eleganza quella
"distinzione", di cui Pierre Bordieu ha mostrato analiticamente il
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meccanismo classista. E' elegante chi si distingue dalla


"volgarit" degli altri.
Viene spontaneo chiedersi a questo punto se questa
descrizione sia realistica rispetto alla moda di oggi. La risposta
ovviamente negativa. N la moda di passerella n quella di strada
oggi sono, n vogliono essere, n potrebbero essere davvero
eleganti. Non almeno nel senso appena chiarito. Il perch
chiaro. La nostra una societ che ha rinunciato al principio
della distinzione, o almeno l'ha alleggerito, per sostituirlo con il
trionfo dei grandi numeri. Una cosa, una moda, uno stile, una
musica, un libro, ha successo nella societ contemporanea non se
unico e inimitabile, ma se largamente condiviso, se da tutti
adottato e imitato, se insomma fa audience. La massa non
appare pi volgare n lo sono i suoi strumenti di
comunicazione e consumo. Semmai sembra snob chi vi si
sottrae. Chi in queste condizioni vuol comunque segnalare la
propria distinzione (e sono molti), lo fa con criteri cronologici ed
economici assieme: precedendo (ma di poco) la massa degli altri
consumatori e spendendo di pi per ottenere lo stesso valore
duso. Il lusso ha sostituito leleganza.
Nell'abbigliamento, come nella vita sociale e individuale
non si pi in generale disposti a sottomettersi a tutte le regole
rigide e minuziose che definivano fino a qualche tempo fa
l'eleganza come distinzione, o semplicemente non le si conosce.
Non si vuol pi essere legati, anche a costo di non saper pi
scegliere. Scegliere, anche nel senso di adottare senza riserve e
con cura dettagliata una grammatica dellabbigliamento, in realt
non piace, si preferisce adottarne o citarne provvisoriamente e
superficialmente

una.

L'idea

che

una

singola

scelta
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(atteggiamento, abito, tono di voce, accessorio, pettinatura) in


una data circostanza debba essere l'unica giusta del tutto
lontana dalla cultura dominante oggi. Si pluralisti nei confronti
di se stessi, anche se magari ancora poco tolleranti delle regole
altrui. Si gioca col proprio corpo e col proprio aspetto, volentieri
si cita, ci si traveste, sempre con forte approssimazione, secondo
i modi di venti o di cinquanta anni fa. Quel che si indossa
dovrebbe definire, secondo le intenzioni pi diffuse, molto meno
lo status che lumore o l'"immagine" di noi che si vuole
proiettare.
In tutto questo lavorio, o forse ancora prima di esso, si
generalmente perso quel sapere sicuro su cui si fondava
l'eleganza, che era una grammatica della vita sociale prima che
dell'abbigliamento. Le diverse categorie di abiti (da sera, da
pomeriggio, da cocktail, da casa eccetera) si mescolano e si
confondono fra loro anche perch le relazioni fra gli eventi e le
persone non sono pi cos nette ed esclusive, il lavoro si insinua
nel divertimento e il divertimento entra nel lavoro, la casa si apre
sulla strada e la pi conveniente faccia pubblica spesso quella
privata e casalinga, lo sport e la politica si intersecano, come la
pubblicit e la guerra. Insomma, la distinzione cade anche nel
suo senso originario di mantenimento delle differenze. Per non
parlare dellapertura al mondo della societ contemporanea, che
non consiste tanto nellapertura ai costumi degli immigrati
quanto nellinvasione di immagini cinematografiche e televisive
provenienti da una cultura materiale abbastanza diversa da quella
europea, com quella della pop culture di Hollywood e dintorni.
Dunque la competenza per la nostra societ, il sapere che
sta alla base della nostra moda, non pu e non vuole essere pi
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univoco ma consiste in un sapiente controllo dell'ambiguit. Lo


stesso vale per le condizioni sociali: che cosa vuol dire oggi
essere giovani o adulti se non adottare un certo stato d'animo?
Essere sposati poi socialmente cos distinto dall'essere single?
Altrettanto si deve dire di altre opposizioni polari che guidavano
l'abbigliamento di un tempo, la ricchezza e la povert, lo stato di
cittadini e di stranieri, il viaggio e la residenza. Non si tratta qui
di naturalmente valutare in senso generale tutti questi fenomeni,
che sono spesso rubricati sotto letichetta del postmoderno; ma
solo di sottolineare quanto essi rendano anacronistica la nozione
di eleganza e allo stesso tempo predispongano strrutturalmente
la moda nella direzione del cattivo gusto.
Una moda che nasce in queste condizioni non pu infatti
essere elegante in senso proprio, vale a dire che non certamente
in grado di scegliere secondo una regola, n di rifarsi a tradizioni
consolidate e intoccabili; semmai tende a includere, o a rompere
le regole, a provocare, a lottare per attirare l'attenzione, a
scandalizzare e a sedurre. Altri valori hanno insomma sostituito
l'eleganza, innanzitutto la visibilit, poi l'emozione, una specie di
eccesso del sentimento e del comportamento che dovrebbe
eccitare e non calmare, coinvolgere e non separare, traumatizzare
e non imporre rispetto per il rango e per il ruolo. Valori da
indossare e poi da gettare per assumerne altri, in un frenetico
falso movimento non meno di facciata delle vecchie categorie
della moda ma certamente pi nervoso e meno tranquillizzante.
3. Lusso
Vale la pena di considerare a questo punto la categoria del
lusso, che come abbiamo accennato ha sostituito leleganza
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portandola verso territori pi sospetti sul piano del gusto. Fra i


grandi temi del cambiamento che investe i nostri anni, uno dei
pi importanti e dei meno discussi riguarda infatti la
trasformazione del lusso e la sua relazione col cattivo gusto.
Lusso una parola latina, derivante da una radice indoeuropea: in
origine essa significa "eccesso", perfino "rottura" (si pensi a
quella lesione delle articolazioni che si chiama ancora
"lussazione"). L'eccesso di cui parlavano i latini in realt una
profonda esigenza antropologica, diffusa in tutte le societ degli
uomini. Ogni societ avverte la necessit di produrre oggetti e
consumi al di l delle vita quotidiana e della sua stretta necessit:
siano le sontuose insegne cerimoniali dell'autorit, i sacrifici
religiosi, gli eccessi delle feste, i doni, quelle strane cerimonie
diffuse in mezzo mondo, che gli antropologi designano con la
parola amerindia "potlac" (Mauss 1950), in cui si distruggono a
gara cibi e beni materiali, soprattutto luso di abbigliamento che
per fattura e materiali, insieme costoso e disfunzionale, come si
visto sopra. Insomma, a guardar bene, profondamente vera la
battuta di Oscar Wilde, per cui "non c' nulla di pi necessario
del superfluo". Questo "superfluo", questo "eccesso" sociale e
individuale rispetto alla stretta funzionalit dell'esistenza, il
lusso. La sua diffusione nellabbigliamento generale e spesso
incide sulla dimensione estetica degli indumenti.
Nella societ occidentale degli ultimi secoli il lusso si
definito progressivamente sul piano economico: lussuoso ci
che costa molto, che non tutti si possono permettere. Di qui una
lotta secolare della chiesa e degli stati contro l'eccesso del lusso,
le "leggi suntuarie" che per secoli in tutti gli stati europei hanno
limitato il consumo, soprattutto della moda, la "polemica sul
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lusso", che coinvolse a lungo i principali intellettuali nella


condanna del "consumo improduttivo" ed eccessivo. Eppure
molti economisti e sociologi del nostro secolo hanno sostenuto
che il decollo dell'economia europea avvenne principalmente
intorno alle corti e ai consumi di lusso. La reincarnazione pi
recente del lusso economico si avuta negli "status symbol", i
beni da ostentare per dimostrare la propria condizione
economica: cere automobili, certe case, certi abiti. Da qualche
tempo questo tipo di consumo, volto all'esterno e inteso a
stabilire la propria "distinzione" sembra avviato al tramonto. Nel
momento in cui il benessere si diffuso largamente nella societ
(almeno in quelle del mondo "sviluppato"), sempre meno
interessante

ostentare

la

propria

quota

di

consumo

"improduttivo".
Eppure il lusso continua a apparire necessario come
sempre. Forse perch la nostra societ manca delle cerimonie e
dei riti della coesione sociale del passato, forse perch le distanze
sociali si sono accorciato ed pi facile ottenere il necessario,
forse perch leccesso del lusso permette e autorizza margini pi
larghi di guadagno dei produttori: in ogni caso nella societ
contemporanea

egemone

unideologia

intollerante

di

un'esistenza materiale limitata allambito della funzionalit,


proponendone lequivalenza con lo squallore e l'anonimato.
Molti sintomi indicano che lovvio bisogno di un senso, di
un'identit che vada al di l della normale utilit, si ridefinisca
nella nostra societ in termini di lusso. Dalle vacanze al
coinvolgimento nello spettacolo, dallamore per il consumo
all'importanza accordata allabbigliamento, alla casa e al corpo,
tutti questi sono fenomeni di identificazione e differenziazione;
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ma in ciascuno di essi si trovano elementi di differenziazione che


si mettono in gioco il lusso.
Questa profonda ridefinizione sociale del lusso incide
naturalmente sul mercato delle merci che concretizzano questa
categoria. Se fino a qualche decennio fa era molto chiara la
distinzione fra i beni di lusso e le altre merci, ora questa
distinzione risulta assai pi problematica: ogni prodotto deve
incorporare una certa quota di superfluo che lo renda gradevole e
pi costoso, deve comunicare il proprio carattere di lusso, anche
quando questo molto parziale. Il lusso oggi un effetto
discorsivo necessario e quasi universale del linguaggio delle
merci, in particolare dellabbigliamento. La cura dei materiali, il
design, la novit delle forme e l'innovazione tecnologica non
sono pi riservate agli oggetti di lite ma investono anche il
mercato di massa; ma questo avviene non secondo le categorie
della cura, delloggetto ben fatto, ma secondo quelle del lusso,
dellincarnazione della ricchezza: ogni oggetto si propone come
esclusivo, anche quando la sua destinazione il mercato di
massa. Questo fenomeno di massificazione (e di inevitabile
degradazione estetica) del lusso particolarmente significativa
nel campo dellabbigliamento, in particolare con limportanza
attribuita alla semplice presenza della griffe.
Anche se fino a qualche tempo fa i beni di lusso erano
diretti soprattutto a impressionare gli altri, e ora il loro scopo si
esteso soprattutto a compiacere il loro consumatore, con
lobiettivo di comunicargli il proprio benessere, e il piacere della
propria condizione, a rassicurarlo su di s. L'ostentazione appare
sempre volgare, i simboli di stato paradossalmente squalificano
chi dipende da essi per la propria definizione; ma allo stesso
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tempo il lusso appare necessario a tutti per loro stessi. Il lusso


affetto da questo paradosso, anche quando certa di affermarsi
sotto la figura dellunderstatement.
Come sostiene un importante antropologo contemporaneo,
Arjun Appadurai (1981), sbagliato cercare di identificare il
lusso con un complesso di merci o una certa tipologia di beni,
siano diamanti o champagne o cachemire o seta. Il lusso un
registro oggettuale.

Nell'uso di un linguaggio si possono

identificare diversi registri linguistici, completi di lessico


specialistico, strutture sintattiche caratteristiche, morfologia pi o
meno sviluppata. Vale a dire che allo stesso parlante possibile
parlare in un certo momento secondo un registro pi o meno
ufficiale e colto, ma subito dopo secondo un registro familiare, o
secondo un registro pi secco, lavorativo ecc. Allo stesso modo,
secondo Appadurai, il lusso un registro nella comunicazione
degli oggetti: una certa tonalit emotiva nellacquisto e nell'uso
delle merci. Le caratteristiche fondamentali di questo registro,
sempre secondo Appadurai sono la restrizione all'accesso di
questi beni, la non universalit del loro possesso, la complessit
di acquisizione, la necessit di una sorta di virtuosismo
comunicativo per usarli (secondo dei cerimoniali, delle etichette,
dei rituali pi o meno "raffinati" o magici ecc.), l'esistenza di una
conoscenza specializzata sulla loro gestione e il fatto di essere in
relazione con il corpo, con il piacere, con la soddisfazione. Tutti
requisiti che l'abbigliamento di lusso realizza facilmente
Vale la pena di considerare come questa concezione del
lusso ci permetta di delimitare meglio quella richiesta di lusso di
massa, di cui abbiamo appena visto limportanza nella societ
contemporanea. Il lusso che per tutta la storia stato legato alla
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definizione (e all'autopercezione) dei vertici sociali divenuto


nelle moderne societ occidentali l'esigenza di base, la richiesta
minima di tutti.
Sul piano dei registri oggettuali di Appadurai, questi
sviluppi vogliono dire che oggi nella definizione del lusso
perdono importanza la restrizione all'accesso e la complessit di
acquisizione.

O piuttosto queste vengono in qualche modo

inscenate solo fittiziamente: si dichiara con forza, per esempio


nel discorso pubblicitario, che vi sarebbe ancora per i beni di
lusso una certa restrizione allacquisto o esclusivit, che
resterebbe la difficolt di acquisizione (per esempio per il
numero limitato), la complessit dell'accesso (solo in certi punti
di vendita), insomma lanalogo di quelle che una volta erano le
leggi suntuarie e poi sono state le barriere economiche sui beni di
lusso. Ma tali restrizione di principio naturalmente non vigono
oggi su nessun bene legale, e la barriera del prezzo per lo pi non
posta troppo in alto rispetto alla capacit di acquisto dei
cittadini, almeno di quella cospicua frazione di abitanti del
mondo sviluppato che fanno parte di questo mercato: sono
relativamente poche le merci che un europeo o un americano di
ceto medio "non potrebbe permettersi".
A delimitare il gusto resta dunque il virtuosismo
comunicativo, la conoscenza specializzata, che per si
parecchio "involgarita", cio rispetta codici non pi tradizionali
E' importante che le cose buone da indossare sono cose che
richiedono delle competenze in qualche modo esclusive di
conoscenza, fossero pure i jeans. (Si tratta infatti, per i giovani, di
avere quei jeans e non altri) Quel che cambia, rispetto ai criteri
della vecchia eleganza, il modo di funzionamento di questra
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competenza, che in primo luogo del tutto effimera e interna alle


logiche

della

moda,

in

secondo

luogo

trasmessa

prevalentemente dai meccanismi delle comunicazioni di massa e


non da altre forme pi mediate ed elitarie di socializzazione,
come accadeva per leleganza. Di qui laspetto volgare (nei due
sensi sociale ed estetico che abbiamo gi segnalato) che
caratteristica costante del lusso contemporaneo.

4. Cattivo gusto
A questo punto opportuno affrontare direttamente il
problema del gusto, e in particolare del cattivo gusto. Certamente
le regole del costume sono obbligatorie, in molte societ perfino
sanzionate penalmente. Ma cambiano e anche abbastanza
velocemente. E soprattutto contengono un largo spazio di gioco,
ammettono anche comportamenti che leleganza sconsiglia.
Questo significa che esse si devono ignorare, o non bisogna
considerarne significativa la violazione? Ci sono parecchie
ragioni per non pensarla cos. Intanto bisogna considerare che
labbigliamento, come tutte le forme di esteriorit, un atto di
comunicazione.
Chi si veste in una certa maniera implicitamente dice agli
altri come vuole essere considerato e trattato. Questo il senso
comunicativo essenziale dellabbigliamento. Che comunicazione
veicola labbigliamento sciatto o trasgressivo cos diffuso nella
vita reale come sulla passerella delle sfilate? La sciatteria si
presenta come disinteresse per gli altri, rifiuto di considerare il
contesto sociale. Come i fracassoni che girano con le radio a tutto
volume o coloro che non si fanno problemi a buttare in giro
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cartacce e cicche di sigaretta, chi si presenta in un abbigliamento


sconveniente (secondo i criteri dominanti) compie un doppio
gesto di rifiuto: dice insieme che non gli importa nulla degli altri
e che agli altri non deve importare di lui.
La provocazione sessuale, che un altro ingrediente tipico
dei costumi fuori dalle regole, dice invece, ovviamente,
desiderami!. Ma lo fa nella maniera pi elementare, esibendo
semplicemente il corpo un po (o tanto) oltre i limiti. Viene ovvio
il paragone con altre violazioni dei limiti dellabbigliamento,
quelli che sono comuni nella prostituzione di strada. E anche se
qualche stilista ha parlato talvolta con approvazione dellestetica
della puttana, non pensiamo sia moralista dissentire.
Labbigliamento insomma non diverso dalla lingua. E
noto che le regole della grammatica sono arbitrarie e cambiano
nel tempo. Non c nessuna buona ragione per seguire proprio
queste e non altre. Ma, per potersi capire, una grammatica ci
vuole, e una volta stabilita essa la condizione per una
letteratura, cio per un uso estetico della lingua. Cos
labbigliamento. Non c nessuna buona ragione per assegnare i
pantaloni corti ai bambini e quelli lunghi agli adulti, le gonne alle
donne e le tonache ai preti. E neanche per proibire di far vedere
il seno, piuttosto che il viso. Ma le regole dellabbigliamento, una
volta stabilite, organizzano il mondo sociale e permettono di
dargli una visibile dimensione estetica. Innovare e trasgredire
queste regole necessario perch labbigliamento, come la
lingua, deve cambiare per vivere. Ma in ogni momento sono
stabiliti dei limiti estetici e comunicativi: il cambiamento e la
trasgressione arricchiscono se non finiscono nella sciatteria o
nellestetica della puttana. Se cio sono in condizione di
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generalizzarsi e di modificare il costume, e non solo di segnalare


chi le utilizza, nei termini che si sono appena vista. Una
condizione formale di tale utilit dunque la sua possibilit di
generalizzarsi, che connessa da un lato alle intenzioni implicite
di chi la propone, dallaltro alla sua continuit con le regole
acquisite. La distinzione fra cambiamento e violenza alle regole
anche una questione di misura.

5. Scandalo e Kitsch
Infine appare inevitabile evocare a proposito della moda il
concetto di Kitsch: una parola tedesca, intraducibile in italiano, la
quale nomina cattivo gusto che consiste nel banalizzare e
riciclare la bellezza pi convenzionale, secondo le abitudini dei
ninnoli nei salotti piccolo-borghesi del secolo scorso. Kitsch sono
i Colossei di gesso che comprano i turisti di passaggio a Roma, le
imitazioni della Gioconda ad uso domestico, le gondole sotto la
neve nelle palle di plastica made in China che si trovano sulle
bancarelle veneziane. E clamorosamente Kitsch sono molte
forme di abbigliamento correnti, che pretendano alleleganza per
via di accumulo di decorazioni, che rifacciano celebri abiti e stili
del passato, o che accumulino esibizioni di lusso e di ricchezza.
Naturalmente non bisogna essere moralisti nell'ambito del
gusto: il Kitsch pu anche essere divertente e pu perfino piacere,
se preso con la giusta dose di umorismo ed cos gigantesco da
denunciarsi da s. In molte sfilate di moda quel che colpisce e
diverte proprio la dimensione spudorata del

Kitsch,

l'improntitudine con cui proposto, l'assenza di compromessi o


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di vergogna. La meraviglia, il lusso, lo stordimento dello


spettatore lo scopo dello stilista, che non si propone tanto di
vendere quei prodotti quanto di farsi ricordare. Gli spettatori
sono ben lieti di farsi abbagliare e anche un po' prendere in giro:
sono venuti apposta. La curiosit e l'ironia, perfino la meraviglia,
sono d'obbligo.
Da questo punto di vista il Kitsch si apparenta a unaltra
modalit

del

cattivo

gusto

dellabbigliamento,

solo

apparentemente opposta, quella dello scandalo. In teoria lo


scandalo sarebbe la violazione estrema dei codici, il Kitsch la
loro riaffermazione eccessiva e sentimentale. Di fatto spesso
nella moda recente il Kitsch stato usato consapevolmente per
fare scandalo, secondo una tecnica che si potrebbe accostare
allarte pop e alla poetica del camp; e vi certamente un Kitsch
dello scandalo infinitamente ripetuto, che evoca la provocazione
come codice estetico in definitiva ben noto e tranquillizzante.
Anche perch evidente che nel mondo della moda una retorica,
si non proprio una grammatica della trasgressione ormai
stabilita da tempo.
Per capire come il Kitsch entri nel mondo della moda
bene porsi il problema del suo rapporto con la bellezza in termini
di sociologia dellarte. A partire dagli esordi della societ di
massa, il criterio sociale della bellezza, vale a dire
l'apprezzamento dei valori estetici da parte della maggioranza
della popolazione, una sorta di autodefinito buon senso estetico
dominante, che peraltro nella societ moderna assai ben
sostenuto e diffuso dai mezzi di comunicazione, rimasto
indietro rispetto a quello definito dagli artisti e dai critici.
Naturalmente questo "indietro" estremamente problematico,
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perch in primo luogo implica una sorta di linearit, di tragitto, o


addirittura di progresso in campo estetico, e in secondo luogo tale
determinazione spaziale implica un punto di vista, in questo caso
quello dei professionisti della produzione culturale. Allo stesso
titolo si potrebbe osservare che "la produzione artistica andata
troppo avanti, distaccandosi dal comune sentire". In ogni caso
tale bellezza sociale, che va intesa come oggetto sociologico,
determinato anche se un po approssimativo e grossolano, si
staccato dai criteri dominanti nel mondo artistico professionale a
tal punto da definirsi in maniera autonoma con quella categoria,
molto ambigua e molto interessante esteticamente che il Kitsch.
Il Kitsch un concetto molto classista, dal punto di vista
culturale,

che

quell'orientamento

dipende
"spaziale"

evidentemente
che

abbiamo

proprio

da

adottato

qui

provvisoriamente. Esso si definisce formalmente durante gli anni


delle

avanguardie

storiche come

il

gusto

caratteristico,

conservatore, rassicurante, ricco di ornamenti futili, che


appartiene ai piccoli borghesi.
In Italia la nozione di Kitsch stata introdotta da Gillo
Dorfles (1968), che per lappunto un teorico dell'innovazione
artistica, un critico che ha seguito e appoggiato sempre la
sperimentazione linguistica dellarte. Nella "tradizione del
nuovo" impersonata da Dorfles e da altri studiosi, la nozione di
Kitsch serve a stigmatizzare in qualche modo il cattivo gusto, che
per non sciatteria o indifferenza, cio pura e semplice
antiestetica, ma piuttosto un gusto che individua un proprio
oggetto, una propria bellezza, un proprio piacere. Questa
bellezza per sarebbe una cattiva bellezza, ci che piace al

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cattivo gusto medio della gente, quando questa si preoccupa del


bello e lo vuole regolare, tranquillizzante, carino, ornato.
Il risultato di tale giudizio negativo sulla bellezza
convenzionale come Kitsch, condiviso nel mondo della
produzione e della critica d'arte del Novecento, stato una specie
di rivolta generale contro questo bello banale e scontato, un
bisogno universale di provocazione e innovazione. Questa rivolta
ha dato da una parte lestetica del brutto, con tutte le sue varianti,
landare contro la forma, la deformazione, la volgarit cercata
ecc.; dallaltra la trasformazione dellinteresse proprio della
creazione artistica dalla bellezza artigianale dell'"oggetto ben
fatto" al concetto, e in particolare alla novit del concetto, cio
alla comunicazione. L'artista, secondo questa poetica, da sublime
artigiano si fa pensatore, pubblicitario, manipolatore di idee. la
linea che, diciamo, va da Duchamp a Magritte, da Warhol alla
Pop Art. Tutto questo stato uno dei principali problemi estetici
del Novecento: la realizzazione di una divaricazione culturale e
sociale al tempo stesso fra una "bellezza" che non vale, almeno
dal punto di vista della cultura dell'avanguardia, perch Kitsch
e banale - e una bruttezza o un'immaterialit che valgono senza
neppure voler essere belle.
Questa sciussione estetica ha influito in maniera molto
evidente anche sulle arti applicate e sulle pratiche sociali che
hanno una rilevante componente estetica come la moda.
Trattando questa il corpo e lapparenza delle persone,
dipendendo economicamente da queste ed essendo usata come
strumento di comunicazione da parte loro, la moda ha sempre
lavorato nel senso di aumentare la piacevolezza dei propri
consumatori, e quindi sempre stata sensibile a quelle categorie
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estetiche rassicuranti condivise dalla maggior parte del pubblico


generale. Questa tendenza alla piacevolezza, alla rassicurazione,
allornamento non contraddetta dallaltra verso la provocazione
e il gioco: spesso le due si sono fuse e integrate in maniera tale
da assicurare il massimo successo commerciale. Se si prendono
in considerazione eventi comunicativi come le sfilate, oggetti
come i cataloghi, le vetrine e le pubblicit di moda facile
vedere che spesso in esse si articolano luoghi comuni e stereotipi
tipici del Kitsch, in particolare rispetto alle categorie del sesso e
della seduzione: dallingenua ragazza di campagna alla maliarda,
dalla seduttrice senza piet alla donna di lusso alla signora
apprezzata nel gran mondo. Questi riferimenti pi o meno
impliciti a luoghi comuni del gioco seduttivo producono quasi
invariabilmente degli effetti di Kitsch e di cattivo gusto, che si
accentuano in particolare quando la moda propone abiti per
occasioni speciali come matrimoni, feste o quando mette in
gioco i segni sempre molto evidenti e pacchiani, del successo e
del lusso. E su questa base che una rilevante frazione della moda
contemporanea ha sviluppato quella estetica della prostituta,
cui abbiamo accennato sopra.

In conclusione: il cattivo gusto fa parte della fisiologia


della moda, sempre stato il correlativo necessario al buon gusto
degli eletti. Basta leggere alcuni dei pi celebri luoghi letterari in
cui compare la moda, in particolare nel teatro, come La trilogia
della villeggiatura di Goldoni o Il borghese gentiluomo di
Molire per vedere come il carattere selettivo della moda sia
stato sempre dipinto attraverso le pretese ridicole del cattivo
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gusto. Linflazione di moda degli ultimi decenni e il carattere


massificato della nostra societ, rendendo pi rara leleganza e
togliendole significato, hanno depotenziato pure il cattivo gusto.
Resta la sua pratica ironica e aggressiva, che fa parte dei codici
comunicativi pi caratteristici del Novecento.

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