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Libro Ricordi Anziani
Libro Ricordi Anziani
BELLI
DEI NOSTRI
ANZIANI
Foto in copertina:
Archivio fotografico Ass. Proloco - Capo di Ponte anni 50
INDICE
LE TRADIZIONI ............................................................ pag. 4
Le rogazioni ............................................................ 4
I disciplini ................................................................ 6
Le missioni ...............................................................
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La Macchina delle Quarantore ............................. 11
Le processioni . ........................................................ 14
I MESTIERI E GLI ARTIGIANI ....................................... pag. 17
Lallevamento del baco da seta . ............................ 17
La coltivazione della canapa................................... 20
La lavorazione del ferro ......................................... 22
Il fabbro.................................................................... 25
Il maniscalco ............................................................ 27
La lavorazione del legno ........................................ 29
Le segherie............................................................... 29
Il bottaio................................................................... 30
Lo scalpellino (pica prde) ..................................... 31
I costruttori di ruote, carri (caradr) e mobili ....... 33
La lavorazione del cuoio, il sellaio.......................... 34
I mulini...................................................................... 35
LE TRADIZIONI
LE ROGAZIONI
Le rogazioni hanno sicuramente origini molto antiche. Si
svolgevano nei tre giorni che precedevano lAscensione, che
cadeva sempre di gioved. I motivi di questi riti erano la richiesta a Dio di proteggere le comunit da calamit naturali.
I riti consistevano in processioni che iniziavano alle 5 o 6 del
mattino. Si percorrevano le zone rurali del paese. Il corteo
partiva sempre dalla chiesa parrocchiale dove i fedeli, intonando il canto delle litanie dei santi, si avviavano verso le
mete prestabilite.
Il corteo era regolato da precise disposizioni: davanti a tutti
la croce, quindi gli uomini, poi i ragazzi, le Consorelle, le Figlie di Maria, il prete con i chierichetti e, per finire, le donne.
La parrocchia di Capo di Ponte al luned prevedeva il percorso: Via Briscioli, sottopasso ferroviario in localit Rm,
sosta per la benedizione, per proseguire per il Roncofan
ed arrivare al Cimitero.
Il marted si passava da Via Vittorio Emanuele (ora Via Italia)
fino al sottopasso ferroviario di S. Rocco e quindi alla chiesa.
Il mercoled per Via Vittorio Emanuele fino allaltezza di casa
Zonta si imboccava la vecchia via Lmit che conduceva alla
Chiesa delle Sante. Lungo i percorsi venivano effettuate le
soste per la benedizione e le invocazioni:
A fulgore et tempestate
(dalla folgore e dalla tempesta)
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A flagello terremotus
(dal flagello del terremoto)
A peste fame et bello
(dalla peste dalla fame e dalla guerra)
alle quali i fedeli, inginocchiati, rispondevano:
Libera nos Domine (liberaci o Signore)
Alle invocazioni successive:
Ut fructus terrae dare et conservare digneris
(affinch Ti degni di darci e conservarci
i frutti della terra)
Ut nos exaudire digneris
(affinch Ti degni di esaudirci)
rispondevano:
Te rogamus audi nos (Ti preghiamo ascoltaci)
Anche Cemmo seguiva gli stessi criteri, ma naturalmente con
percorsi diversi transitando per la Rela, Via Convento, Localit Prada. Le mete erano: il Cimitero, la Pieve e la Chiesa di
S. Maria.
La tradizione delle Rogazioni ancora praticata con le stesse
mete: solo stata abolita la processione.
I DISCIPLINI
Fu un movimento medievale laico sorto contemporaneamente a Capo di Ponte e Cemmo nel 1573. E stato presente
nelle nostre parrocchie fino agli anni 50.
Lordine era una pia associazione, dotato di un proprio statuto e quanti ne facevano parte versavano una quota di
adesione che assieme ad altre elemosine veniva usata per
mantenere acceso il cero posto accanto al Santissimo e per
acquistare altri ceri e torce che venivano usati nelle processioni. Facevano inoltre celebrare una Messa allanno per i
confratelli defunti.
A quanto si ricorda, i membri di questo movimento, nelle
nostre parrocchie, erano solo uomini. Vestivano un abito
bianco con il cordone rosso ai fianchi e sulle spalle una mantellina pure di colore rosso. Sul petto era posto un distintivo
in metallo sul quale era raffigurato lostensorio.
Il compito principale consisteva nellaccompagnare tutte le
LE MISSIONI
Nel passato, quando la parrocchia era la culla dei cristiani
e la vita del paese era scandita dal suono delle campane,
quando la vita era statica e il cambiamento costituiva uneccezione, ecco la proposta della Missione come momento
nuovo per un cammino rinnovato dellintera comunit: da
una fede abitudinaria e devozionistica ad una fede autentica, illuminata, matura e generosa.
Le missioni si tenevano solitamente ogni 10 anni e duravano
una decina di giorni.
La dimensione missionaria di apostolato era affidata a dei
Padri appositamente chiamati che operavano sulla base
del mandato loro affidato.
I pi anziani di Capo di Ponte ricordano che lintensit della
predicazione trovava il punto culminante nello scontro
che si teneva in chiesa, ogni
sera, alla presenza di tutto il
popolo del paese, fra i due
predicatori (sacerdoti) che intrattenevano i fedeli con autentiche dispute sulla fede.
Uno dei sacerdoti, definito
Linesperto e che rappresentava in sostanza il popolo,
provocava il secondo sacerdote definito Il Maestro che
rispondeva e spiegava la vera
e autentica Fede Cristiana.
Il dialogo/scontro tra i due
Pulpito in legno
sacerdoti avveniva al centro
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della chiesa: uno dei due si poneva sul pulpito principale posto in alto fra gli altari di S. Vittorino e della Madonna, laltro sul pulpito pi piccolo situato fra gli altari di S. Giuseppe
e lAddolorata.
Le missioni a Capo di Ponte sono state fatte nel 1947 e poi
nel 1970 dai Padri Passionisti coordinati da Padre Pier Luigi,
straordinario oratore e trascinatore di fedeli.
Le ultime, nel 1981, sono state tenute dai Padri Oblati.
Oggi si dice che quella fastosit distogliesse facilmente i fedeli da un intimo raccoglimento (chi contava le candele, chi
osservava se qualche candela si spegneva perch consumata,
chi ancora seguiva il sacrista mentre provvedeva alla sostituzione).
Le Quarantore duravano quaranta ore esatte. Il periodo di
svolgimento era inserito prima della Santa Pasqua ed era
motivo per assolvere al precetto pasquale della confessione
e della comunione. La partecipazione era numerosa.
Lesposizione del santissimo iniziava di buon mattino e terminava alla sera con la predica tenuta da un valente oratore
appositamente invitato.
Durante la predica il Santissimo veniva coperto da un telo di
raso bianco che veniva calato meccanicamente da dietro la
grande macchina. Seguiva il canto solenne delle litanie (cosiddette belle) e la deposizione.
Durante lesposizione del Santissimo ogni ordine e congregazione si alternava per ladorazione. Vi partecipavano i disciplini, i ragazzi e gli uomini e le donne dellAzione Cattolica:
le piccolissime figlie di Maria (bambine fino agli otto anni),
le beniamine (ragazze dagli otto ai tredici anni), le ragazze,
le giovani, le madri.
Pure le scuole elementari effettuavano lora di adorazione.
Le rappresentanze femminili dovevano portare il velo, bianco per le giovani, nero per le madri e le anziane. Davanti a
Ges Eucaristico tutti effettuavano la genuflessione con le
due ginocchia.
Le Quarantore si concludevano con la solenne processione
seguendo il tradizionale percorso: dalla Chiesa Parrocchiale
lungo via Italia, ritorno verso piazza Roma, via Briscioli e rientro verso la chiesa per la solenne benedizione.
Il corteo era rigorosamente ordinato con in testa la Croce
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LE PROCESSIONI
In passato le processioni che si svolgevano nelle nostre parrocchie erano numerose.
A Cemmo, oltre alle tradizionali processioni del Corpus Domini e delle Rogazioni, si tenevano quelle per la Festa di Tutti Santi, della Madonna di Settembre, per S. Antonio, per
San Luigi, per San Giovanni Bosco.
Per Santa Elisabetta ci si recava alla chiesetta di S. Maria.
A Pescarzo nei periodi di persistente e prolungata siccit gli
abitanti ricorrevano alla processione con il Cristo Deposto
portato per le vie del paese.
Gli anziani sono testimoni che ad ogni processione, durante
o al termine della stessa, la pioggia arrivava in abbondanza
Il baco da seta
Un bozzolo
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Telaio di filatura
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Piante di canapa
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Le principali fonti di lavoro erano tuttavia le fucine che costruivano attrezzi forgiati a mano: secchielli, badili, padelle,
zappe, mazze, leve.
Produzione di badili
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Le pi numerose si trovavano in localit Sante: pare fossero 11. Nel 1900 alcune erano gestite da un certo Rusconi che
cess lattivit prima della seconda guerra mondiale. Passarono con ogni probabilit agli Zitti e, quindi, ai Grassi, ai
Bona (Um), ai Franzoni, ai Bontempi, ai Silistrini, agli Ercoli
(gli ultimi quattro cognomi rivelano la provenienza da Bienno) e ai Grola.
Pi a valle vi erano i Bona (Gianno) che producevano prevalentemente chiodi, in particolare quelli per ferrare i cavalli.
Avevano pure lesclusiva per la fornitura allesercito militare
delle shapte necessarie per la protezione delle punte degli scarponi.
In localit Mulini lavoravano invece i Salari (Cudigh).
Tutte le fucine ed i magli erano azionati grazie allacqua
captata dal torrente Re, che passava di fucina in fucina, attraversava la sede ferroviaria e la strada statale 42 mediante
due sifoni e finiva nel fiume Oglio. Tutte queste fucine cessarono la produzione quando la Societ Bresciana, nel 1940,
ebbe lesclusiva per lutilizzo dellacqua.
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IL FABBRO
Il fabbro, nella sua bottega, arroventava il ferro alla forgia per dargli la forma desiderata. Creava oggetti di ferro o
acciaio utilizzando attrezzi a mano per martellare, curvare,
tagliare o comunque dare forma al metallo.
Costruiva, in questo modo, serrature e relative chiavi, che,
pur essendo rudimentali, erano molto funzionanti. Costruiva cancelli, inferriate, griglie, e ringhiere dalle forme molto
belle senza usare le moderne saldature.
Lavori allincudine
Realizzava pure ferri da cavallo che venivano usati dal maniscalco. Costruiva i cerchi delle ruote dei carri e gli attrezzi
di lavoro dei contadini. Lofficina del fabbro era attrezzatissima: la forgia per riscaldare il ferro, il bancone come
tavolo di lavoro, lincudine sulla quale dare forma al ferro
ed una parete adorna di tenaglie, lame, pinze e punteruoli
vari.
I fabbri erano artigiani con caratteristiche diverse, ma dotati
di grande fantasia e bravura.
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Officina Bona
in via S. Bartolmeo
Interno dellofficina
di un fabbro
IL MANISCALCO
Maniscalco deriva dal tedesco marahskalk che significa
servo di cavalli. Il tramonto del cavallo nel lavoro agricolo e
nei trasporti segna anche la progressiva scomparsa di questa
tipica figura di artigianato dei nostri paesi.
Larte di sistemare gli zoccoli dei cavalli, ferrarli e pulirli significava ridare al cavallo la sicurezza per il lavoro. L'arte del
maniscalco si sovrapponeva in parte a quella del fabbro; i
ferri venivano infatti forgiati al momento, e su misura. L'atto
dell'adattamento e dell'applicazione del ferro non esauriva
il compito del maniscalco; infatti, unimportante fase della
ferratura era il pareggio, che consisteva nell'esportazione
dell'eccessiva crescita delle varie parti dello zoccolo.
Maniscalco al lavoro
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Il maniscalco doveva avere una vasta conoscenza sui comportamenti del cavallo.
Lavorava curvo, dietro il deretano dell'animale, ma, anche
se era preso dal lavoro, stava molto attento a balzare di lato
appena notava un minimo movimento, ed evitare qualche
calcione che ogni tanto l'animale dava gratuitamente fuori
programma e questo accadeva spesso nei giorni di maggio
quando lanimale era in calore.
Il lavoro iniziava di buon mattino e lo si sentiva bene per quel
battere il martello mentre sistemava le staffe agli zoccoli. Si
avvertiva nellaria pure lodore acre degli zoccoli bruciati dal
ferro rovente che veniva applicato su di essi.
Fuori dalla sua bottega egli metteva un ferro di cavallo, non
per scaramanzia, ma come insegna. Forse, se ci fosse oggi,
metterebbe un'insegna luminosa con la scritta "scarpe per
gli animali".
Lultimo maniscalco, Tosi di Cemmo, esercitava la sua professione in Vicolo Parolari e ancora oggi c chi ricorda che
il giorno del mercato si metteva a lavorare vicino al lavatoio
di Vicolo Parolari poich molti venivano da fuori paese con il
cavallo per farlo appunto ferrare.
Per il trasporto delle merci i quadrupedi equini sono stati sostituiti lentamente dai mezzi meccanici. raro vedere un cavallo tirare laratro, un asino o un mulo tirare un carretto.
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LE SEGHERIE
A Capo di Ponte sono esistite quattro segherie: la prima, risalente agli inizi del 1900 e situata in Via Colombera, era quella di Lascioli Luigi e Paolo (la Rsega) ai quali sono succeduti
Lascioli Antonio e Lascioli Giovan Maria; poi vi era quella
di Maffessoli (Silistrini) passata negli anni 50 alla famiglia
Baisotti e quella di Apolone. Tutte attualmente hanno cessato lattivit. Tuttavia sono
state una vera risorsa, infatti molti lavoratori hanno
potuto usufruire di queste
opportunit occupazionali. interessante ricordare
che le segherie dei Lascioli e
dellApolone in origine erano azionate dallacqua che
scendeva dalle Sante dopo
avere alimentato le fucine
mentre le altre funzionavaInterno di una vecchia segheria
no con energia elettrica.
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IL BOTTAIO
Il bottaio era uno di quei mestieri che veniva considerato
privilegiato e di difficile esecuzione.
Il procedimento di lavorazione era fatto necessariamente a
mano e consisteva nel sistemare delle listelle di legno, di preferenza castagno, o rovere (per le botti che dovevano contenere vini o liquori pregiati).
Queste listelle di legno, doghe, potevano avere dimensione diversa in funzione delle grandezza della botte che si doveva costruire, il lavoro cominciava col sistemare ogni doga,
perfettamente piallata, in una forma circolare al cui interno
c'era una fonte di calore (con fuoco o brace).
La doga era normalmente pi larga nella parte centrale e
pi stretta alle estremit e il numero delle doghe variava
in funzione della capienza della costruenda botte. Il calore
sprigionato dalla fonte di calore serviva a creare il vapore
necessario a rendere il legno pi duttile ed elastico alla lavo-
Vecchie botti
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razione e facilitare la necessaria curvatura delle doghe, inoltre era essenziale per liberare il tannino dal legno, sostanza
che avrebbe danneggiato facilmente il vino. Per completare
il lavoro occorrevano sei cerchi di ferro di diversa dimensione e due coperchi che avevano il diametro della dimensione del foro finale della botte. Larte magica del bottaio era
quella di far aderire le doghe l'una all'altra tenendole unite
con i cerchi metallici posti all'esterno senza l'uso di collanti,
ottenendo dei contenitori che non facevano perdere il liquido contenuto. Purtroppo la moderna tecnologia ed il ricorso
massiccio a contenitori di acciaio e di vetroresina stanno facendo scomparire la magia di un mestiere affascinante.
Lultimo artigiano che eseguiva botti stato Giovan Maria
Rivetta (Brca). Aveva il laboratorio in Via Briscioli.
Scalpellini al lavoro
Archivio fotografico Ass. Pro Loco
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I MULINI
Nel territorio di Capo di Ponte sorgevano due mulini alimentati ad acqua: uno si trovava in localit Sante (vicino alla famiglia dei Grola), ed era di propriet della famiglia Martinazzoli (R), mentre quello in via San Bartolomeo si trovava
in localit Mulini (Mul) e produceva anche la pasta ed era
gestito dai Bonomelli (Gin). La pasta veniva consegnata ai
commercianti in grandi ceste. Nel 1930 si incendi e venne
ricostruito. Mediamente vi lavoravano 5 persone.
Anche a Cemmo, nelle vicinanze del ponte Pontra, vi erano
due mulini: quello di Tosi (Criil) e dellOdelli (Mulinr d D);
Macina di granito
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PERSONE LOCALI
DA RICORDARE
LAFFRANCHI PIETRO
Costruttore di Cattedrali in terra
dAfrica.
Fratel Laffranchi Pietro nato a
Cemmo il 15 Aprile 1899. Ancora giovanissimo ha risposto alla
chiamata della patria prendendo
parte alla prima guerra mondiale
e ricevendo alla fine la Croce al
merito. Con lo stesso slancio ha
poi risposto allinvito del Signore che lo ha chiamato al servizio
nella congregazione missionaria
dei Comboniani. Figlio di onesti lavoratori, con la formazione
scolastica elementare e molto
amore per il lavoro, nel 1925 entr nel Noviziato dove nel 1928 emise la professione religiosa. Da casaro a cuoco della grossa comunit Comboniana si
improvvis pure muratore. Le sue qualit di costruttore non
passarono inosservate e i superiori lo incoraggiarono a seguire per corrispondenza un corso di edilizia per diventare
capomastro.
Eccolo iniziare la sua straordinaria carriera di costruttore di
Cattedrali in terra dAfrica. Il suo capolavoro fu la cattedrale
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realizzata in stile romanico nella citt di Khartoum, in Sudan. Accanto alla cattedrale realizz il campanile pi alto di
tutti gli edifici della citt, alto 46 metri e per realizzarlo in
tutta tranquillit lontano dagli occhi indiscreti fece lavorare
gli operai allinterno del campanile e quindi senza impalcature esterne. Nei 29 anni trascorsi in terra dAfrica ha realizzato 30 grandi opere tra chiese, seminari e scuole. morto
a Khartoum nel 1961. Aveva 62 anni. Gli ultimi 24 anni li ha
trascorsi in Africa senza mai tornare in Italia e l sepolto.
FRATELLI BONA
La famiglia Bona molto nota per avere ispirato e realizzato
listituto Fratelli Bona fu Benedetto.
I fratelli Bona Angelina (maestra) deceduta nel 1923, Vittorino (farmacista) deceduto nel 1924 e Giacomo (impiegato)
deceduto nel 1962 insieme con don Giuseppe deceduto nel
1964, hanno ideato e realizzato nel nostro comune un ricovero per laccoglienza degli infermi, dei pi bisognosi e
degli abbandonati.
Tutta la pratica relativa allacquisto dei terreni (nel 1929) alla
progettazione e la costruzione dellimportante opera, ultimata nel 1931, stata seguita dal Cav. Giacomo.
Dopo la pratica per erigere lIstituzione ad Ente Morale, in
data 23 maggio 1932 lIstituto viene aperto ufficialmente
per lattivit di assistenza secondo i desideri dei fondatori.
Lincarico di dirigere e servire lIstituto stato affidato alle
suore Comboniane.
Questa importante entit sociale continua la sua opera nel
rispetto delle volont testamentarie e delle norme di legge
che regolano tali istituzioni per essere al passo con le attuali
esigenze.
FAMIGLIA AGOSTANI
Di questa illustre famiglia Capontina si ricorda in particolare lultima componente, la signora Lavinia, che lasci le sue
sostanze (terreni e immobili di Via S. Martino) al Seminario
Vescovile di Brescia con limpegno di aiutare in particolare
le vocazione sacerdotali locali. Limmobile (conosciuto come
Villa Sacro Cuore) in seguito stato ritirato dalla parrocchia
di Capo di Ponte per realizzare lOratorio.
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RIZZI FORTUNATO
Nato a Capo di Ponte nel 1880, si laure alluniversit di Bologna discutendo la tesi col poeta Giosu Carducci.
Si perfezion in letteratura italiana a Firenze. Inizi la carriera di insegnante al ginnasio di Sarzana per poi passare a
Parma come insegnante e preside.
Andato in pensione continu a studiare ed a realizzare opere letterarie di vasta risonanza e notoriet.
Collabor come giornalista con i principali quotidiani e riviste. Ha scritto molte poesie ispirate alla Patria ed alla sua
Valle Camonica. Grande merito gli viene attribuito per aver
salvato e reso decoroso il Monastero di S. Salvatore.
morto a Parma Il 3 febbraio 1965.
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militare preso la Guardia di Finanza di Genova, poi a Messina e a Como. morto il 16 marzo 1963.
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Questo lavoro il frutto di alcuni incontri nel corso dei quali gli anziani
hanno voluto condividere i loro ricordi belli.
Liniziativa stata proposta dallAssessorato ai Servizi Sociali attraverso
la partecipazione ad un bando promosso dalla Comunit Montana di
Valle Camonica ed stato presentato
a luglio 2008 durante un momento di
festa insieme agli anziani di altri comuni vicini.
Alcune persone si sono trovate presso
la sede degli anziani e pensionati di
Via Briscioli per iniziare un cammino
di ricerca e raccolta di testimonianze
sugli eventi e mestieri del passato che
non esistono pi o si sono profondamente trasformati. Sono semplici e
brevi ricordi, sicuramente incompleti,
ma che riportano la nostra memoria
al vissuto degli anni passati.
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