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(Ebook - ITA - SAGG - Filosofia) Bobbio, Norberto - La Natura Delle Cose PDF
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abbia per effetto la diminuzione della popolazione un giudizio di fatto. Che la pratica dellaborto debba essere proibita o permessa dipende unicamente dalla risposta al seguente
giudizio di valore: La diminuzione di popolazione un
bene o un male? . In altre parole, possiamo dire che per
trarre una regola da una cosa, dobbiamo considerare questa
cosa come un mezzo per raggiungere un fine, cio attribuirle
la qualit di valore strumentale; ma questa qualit attribuibile soltanto in quanto sia presupposto un valore finale,
che io non ricavo dalla natura del comportamento, ma da
giudizi di valore ulteriori, in una catena continua di valori
linali che diventano strumentali rispetto a valori ulteriori.
sino R che si girmge incvitabilmcnte ai valori ultimi, cio a
valori non ulteriormente riducibili, dai quali poi tutte le cose
di cui si compone quel dato sistema normativo traggono il
loro valore.
Generalmente, noi siamo cos assuefatti ai valori sociali
espressi dallordine giuridico in cui viviamo che non ci accorgiamo della loro presenza, e consideriamo meri fatti constatabili empiricamente quelli che sono in realt gi espressioni di valutazioni precedenti. Non vi norma pi dellart. 84
Codice civile italiano, tanto per fare un esempio, che tissa
rispettivamente a 16 e a 14 anni la capacit matrimoniale
delluomo c della donna, che sembri ricavata (Ialla natura
dcllc cose , in questo caso dalla costituzione fisica dei soggetti. In realt, anche in questa norma la natura della cosa
altro non che il mezzo che si considera pi adatto p e r
raggiungere un certo fine, che quello che nella nostra societ viene attribuito al matrimonio. Immaginiamo una societ che attribuisca al matrimonio altri lini, per esempio d i
carattere economico, oltre quello della generazione della prole, e quei limiti deth potranno esscrc elevati. Non ci sarebbe
da stupirsi che nellevoluzione della nostra societ quei limiti di et vcnisscro clcvati, ove si ritcncssc di dovcr tener
conto 1x3 valutate la capacit matrimoniale di altri requisiti
oltre quelli lisiologici, per esempio della capacit economica.
Tl legislatore cr& di Iqgcrc nel l i b r o d e l l a n a t u r a .
In realth lo interpreta.
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Nella sua terza direzione polemica la dottrina della natura delle cose rappresenta una reazione contro il feticismo
legislativo che si rivela in unadesione troppo rigida ai testi
legislativi da parte dei giuristi, contro latteggiamento tradizionalmente dogmatico della giurisprudenza di fronte al sistema normativo costituito. Essa un invito a guardare pi
ai fatti che alle leggi, ad abbandonare il principio dautorit
per quello della indagine empirica, ad avviare la giurisprudenza per una strada in cui venga ad assomigliare sempre
meno ad una disciplina teologica e sempre pi a una scienza
di fatti.
Ritengo opportuno tener distinto laspetto metodologico
da quello ideo 1 ogico di questa terza questione. Dal punto di
vista metodologico credo che la discussione guadagnerebbe
in chiarezza se il concetto di natura delle cose fosse ulteriormente analizzato e specificato nelle sue diverse accezioni.
Per parte mia credo che, quando il giurista parla della natura di un oggetto o di un soggetto o di un comportamento
o di unistituzione, si riferisca al rapporto mezzo-fine e presupponga consapevolmente 0 inconsapevolmente il principio
fondamentale di Ihering: Lo scopo il creatore di tutto
il diritto . La natura di un oggetto per un giurista la
sua idoneit a fungere da mezzo per conseguire certi fini;
la natura di un soggetto la sua idoneit a compiere certi
atti per raggiungere certi lini; la natura di un comportamento la sua idoneit a raggiungere certi fini; e la natura
di un istituto nientaltro che la sua funzione economicosociale. La regola fondamentale cui il giurista si ispira per
produrre nuove regole dalla natura delle cose la seguente:
Se un certo fine obbligatorio (o proibito), sono da considerarsi obbligatori (o proibiti) tutti i mezzi oggettivamente
atti a raggiungerlo .
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Se questa interpretazione del procedimento interpretativo fondato sulla natura delle cose esatta, esso non differisce dal procedimento noto col nome di interpretazione
teleologica . Ma allora si deve riconoscere che procedimento pi comune di quel che lespressione generica natura delle cose lasci intendere e, quel che pi notevole.
esso usato anche da quei giuristi (e sono la maggior parte,
almeno in Italia) che si professano suoi avversari. Quando
il giurista si richiama allintenzione del legislatore, compie
nella maggior parte dei casi uninterpretazione teleologica,
la quale procede in base a questi due postulati: 1) il legislatore una persona ragionevole; 2) in quanto persona ragionevole, esso adopera mezzi oggettivamente adeguati ai fini
che si propone. Lintenzione del legislatore una finzione
ad uso del giurista legato al dogma volontaristico, il quale
ha bisogno di attribuire al legislatore la scoperta di quella
regola che egli ha desunto dallindagine teleologica, cio ha
bisogno di fingere che sia opera di un legislatore ragionevole
quello che lopera della sua stessa ragione. Ma dietro a
questa finzione c la ricerca effettiva della regola che, tanto
nel caso in cui venga attribuita al legislatore quanto nel caso
in cui venga posta come ricavata direttamente dalla natura
delle cose, pur sempre la ricerca fondata sullidoneit di
certi mezzi a raggiungere certi fini. Nel caso delle lacune
dellordinamento giuridico, opinione comune che si possa
ricorrere alla natura delle cose solo l dove il legislatore
abbia lasciato libero il giudice di scegliere i mezzi di integrazione pi idonei, non l dove, come nel diritto italiano,
ha indicato i mezzi e fra questi mezzi la natura delle cose
non compresa. Ma questa opinione t da correggere. Anzitutto, la legislazione, anche quando prevede lanalogia come
mezzo per colmare le lacune, non stabilisce la serie di requisiti in base ai quali due istituti possono dirsi simili:
spetta allinterprete stabilire di volta in volta se due istituti
siano simili, ed noto che il procedimento pi adoperato a
questo scopo proprio la natura delle cose. E non parliamo
del caso in cui si tratti non gi di formulare una regola, ma
di trovare la disciplina di un intero istituto: il giurista in
questo caso, anche se non ne consapevole, crea la disci-
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che considerato come valido o invalido da una fonte particolarmente accreditata di regole, sia essa il legislatore, la
societ, il popolo, il giudice. Vi sono oggi due concezioni
della giurisprudenza in contrasto, la concezione logico-sistematica e la concezione sociologica. Per quanto la seconda sia
meno rigida della prima, essa non ha il potere di trasformare
il lavoro del giurista in quello di un fisico o di un biologo:
la giurisprudenza sociologica una dogmatica diversa dalla
dogmatica della giurisprudenza logico-sistematica, perch il
principio dautorit a cui si appella diverso da quello cui
si appella la sua eterna avversaria, non la volont del
legislatore ma la coscienza sociale; ma pur sempre una
dogmatica, cosl come una teologia modernista pur sempre
una teologia. Il giurista, quale che sia il principio cui si
ispira, quali che siano le innovazioni che introduce nei procedimenti interpretativi, ha il compito di stabilire non ci
che ma ci che deve essere. Ma ci che deve essere presuppone un giudizio di valore. E un giudizio di valore p,x
sempre un giudizio che non pu essere empiricamente verificato, ma se mai soltanto giustificato con argomenti persuasivi. E largomento pi consueto e pi efficace per persuadere
gli altri mostrare che quel giudizio di valore posto o
condiviso in ultima istanza da persone, reali o immaginarie,
invcstitc di pwstigio o di potere superiore, Dio, il legislatore, il giudice, la societ, il popolo, i grandi giuristi, la
tradizione, e nel caso limite, anche la propria coscienza.
6. Conclusioni
Concludo. Sono pronto a riconoscere limportanza della
presente rivalutazione della nozione di natura delle cose.
Essa uno spiraglio aperto verso una miglior comprensione
del lavoro del legislatore, del giudice 2 del giurista nella
formulazione delle regole, e soprattutto un elemento costitutivo della concezione del diritto come tecnica della convivenza sociale, che, come ho detto allinizio, mi pare sopra
ogni altra accettabile. Ma la riconosco a due condizioni:
1) che la nozione di natura delle cos2 sia precisata e la
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Appendice a
si adoperi non come una formula suggestiva ma in un si-
Ancora
!+l -diritto
*
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Appendice b
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Athenaeum, Roma 1921, p. 152. Delle pretese fonti del diritto, tra cui pone
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dal Moore in poi col nome di naturalistic fallacy , ossia nellerrore di credere che sia possibile trarre un giudizio di valore da un
giudizio di fatto. Beninteso i giuristi che si valgono di questo argomento non lo espongono in modo rigoroso: esso prende di solito forma nellaffermazione che impossibile ricavare una regola
dal fatto perch la regola precede il fatto ed la regola che qualifica il fatto e non viceversa . Il quarto argomento di natura
giuridica: fa appello alla lettera e allo spirito del sistema positivo
italiano, il quale - per quel che riguarda la lettera - non ammette o sembra non ammettere altre fonti di produzione giuridica
oltre quelle espressamente previste dallart. 1 delle Disposizioni
sulla legge in generale, e - per quel che riguarda lo spirito -
informato al principio di legalit e alla separazione dei poteri,
onde si ritiene inammissibile lintroduzione di nuove fonti del diritto che aprirebbero il varco alla creazione del diritto da parte
del giudice .
A proposito di questultimo argomento sempre stata frequente tra i nostri giuristi losservazione che il ricorso alla natura delle cose poteva essere pi facilmente ammesso in altri ordinamenti, come quello francese e quello tedesco, in cui non sono
espressamente previsti i procedimenti da seguire in caso di lacuna,
che non nel nostro ordinamento, ove lallora art. 3 delle Disposizioni preliminari (corrispondente allart. 1.2 attuale) prevedeva,
in caso di lacuna, il ricorso allanalogia e ai principi generali di
diritto, cio a metodi di autointegrazione dellordinamento. Eppure la discussione intorno alla natura delle cose in Italia ebbe
il suo momento. pi felice proprio in occasione di una famosa disputa che si accese tra il 1921 e il 1925 intorno allinterpretazione dellart. 3 predetto e in particolare al modo con cui dovesse
essere intesa lespressione principi generali di diritto . .
4. La discussione fu aperta nel 1921 da un articolo del pi
autorevole filosofo del diritto del tempo, Giorgio Del Vecchio, il
quale scelse la scomoda posizione di opporsi allinterpretazione
; ormai divenuta dominante tra i giuristi circa i principi generali di diritto. Secondo lopinione dominante per u principi gel A SCARELLI , Il problema delle lacune, cit., p. 260. Nel modo pi
compiuto ed esemplare, ROTONDI , Istituzioni di diritto privato, cit., * . ..
logico che nessun rapporto, nessun fatto si pub valutare, se non formulando
un giudizio, in base a un criterio necessariamente distinto, ed estrinseco ad
esso...; non si pub negare che, logicamente, la norma non pub concepirsi
che come qualcosa di idealmente preesistente al fatto, che solo ci rende
possibile di valutare giuridicamente la natura di esso. Per valutare un fatto
dal punto di vista del diritto occorre appunto concepire la norma di diritto
come qualcosa di indipendente e preesistente w (p. 65).
* Anche questo argomento chiaramente esposto da R OTONDI , op. cit.,
p. 66.
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nctali di diritto dovevano intendersi quelle norme gencralissime che potevano ricavarsi attraverso un processo di successive
generalizzazioni delle norme vigenti, e quindi pi precisamente i
principi generali del diritto positivo e vigente. Il Del Vecchio sostenne, invece, anche con argomenti testuali, la tesi opposta: i
principi generali cui il nostro legislatore si eta richiamato etano
gli stessi principi del diritto naturale. Parlando del diritto naturale, il Del Vecchio comprendeva nella nozione di diritto naturale
anche il riconoscimento dell esistenza di un necessario tappotto tra la sostanza intrinseca delle cose e le rispettive regole di
diritto =: in tal modo lasciava capire che tra ricorso ai princ\pi generali di diritto e ricorso alla natura delle cose non ci poteva essere, per lo meno secondo la sua intcrprctazionc e dci ptinclpi generali di diritto c del diritto natotalc, a l c u n a diffcrcnza.
Alla fine dello Stesso anno sulla stessa rivista un giovane
studioso del diritto commerciale, Alberto Asquini (n. 1889), fece
ancora un passo avanti: riconobbe esplicitamente la natura dei
fatti come fonte di diritto, facendola passate, anchegli, atttavetso la porta dei principi generali di diritto se put con un atgomento diverso da quello adoperato dal Del Vecchio. Per il Del
Vecchio, poich i principi generali di diritto si identificavano coi
principi del diritto naturale, e i principi del dititto naturale si
potevano interpretate anche come tegole ricavate dalla natura delle cose, gli stessi principi generali di diritto comprendevano il
ricorso alla natura delle cose; pet lAsquini, invece, il ricorso alla
natura delle cose era, esso stesso, uno dei principi generali di
dititto, e quindi, come tale, legittimato dallart. 3, in patticolare era il principio generale che pctmetteva In chiusura dcl!otdinamcnto giuridico c tic assicurava la complctczxn . Senonch
IAsyuini, nel momento stesso in cui ricsrlmava la tesi dc1 Vivantc,
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prindpi, che la coscienza comune, illuminata dalla tradizione e dalla r one, derma desumendoli dullu natura dei lutti, ci& dei rapporti SOCITL
(c. 13, il corsivo mio). Quindi P. COGLIOLO, 1 principii generali del diritto,
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cambiato direzione: questa ormai viene in questione non tanto come fonte del diritto quanto come argomento o topos del ragie
namento giuridico. Nello svolgimento della discussione sulla natura delle cose in Italia si possono in tal modo distinguere nettamente due fasi: nella prima fase, svoltasi nel primo quarto di
secolo, i giuristi fecero, come abbiamo visto, qualche tentativo,
se pur sporadico, di utilizzare la nozione, o in sede di teoria delle
fonti o in sede di teoria dellinterpretazione, per smuovere le acque della ristagnante dogmatica, ma i filosofi generalmente non
mostrarono alcun interesse al problema che fu lasciato, del resto
non soltanto in Italia, in istato di grande abbandono; nella seconda fase che, dopo un silenzio da ambo le parti di circa ventanni, si sta svolgendo sotto i nostri occhi, mentre i filosofi si
sono accorti dellesistenza del problema e vanno sottoponendo
ad analisi critica la nozione di natura delle cose, i giuristi sembrano ormai completamente assenti dal dibattito. Non si pu dire
peraltro che nel passaggio dalluna allaltra fase le sorti della
natura delle cose siano migliorate: la tendenza sinora prevalsa
presso coloro che hanno affrontato lanalisi filosofica della nozione, e nel senso di non riconoscerne la validit o per lo meno
di limitarne la portata.
Non vorrei sbagliarmi, ma il primo saggio critico sulla naturadelle cose scritto da un filosofo del diritto italiano ma pub
blicato in lingua tedesca, stata la relazione da me svolta nellottobre 1957 al congresso di Saarbriicken che aveva giusto per tema
Die Natur der Sache 39. In questa relazione mi proposi di
discutere soprattutto tre punti: la natura delle cose come concezione generale del diritto (antivolontarismo), come fonte del diM N. BO B B I O, Uber den Begriff der Natur der Sache, in e Archiv tir
Rechts- und Sozialphilosophie a, XLIV, 1958, pp. 305-21 (ora ripubblicato come cap. 1X di questa raccolta). Ma si vedano,. precedentemente,
laccenno di W. C ESARINI S F O R Z A, Ex facto ius oritur, m Studi filosoficoiuridici dedicati a Giorgio Del Vecchio nel XXV anno di insegnamento,
s ociet tipografica modenese, Modena 1930, vol. 1, p. 95; le pagine dedicate alla natura delle cose a proposito della discussione se il diritto
sia riducibile al fatto in P. P I O V A N I, Il significato del principio di e#ettic&, Giuffr, Milano 1953, p. 123 S S.; e quelle sullo stesso argomento
di G. FASS, Lu storia come esperienza giuridica, Giuffr, Milano 1953.
87-8, e di L. CAIANI, 1 giudizi di valore nellinterpretazione giuridica
ElkDAM, Padova 1954, pp. 144-5, 248-9 che nega la legittimita del ricorso
alla natura delle cose in sede logica. Il iostante atteggiamento polemico nei
confronti della natura delle cose risulta anche da questa battuta di G. FASsb: a . . . lintramontabile mito del diritto naturale, magari sotto le equivoche
spoglie della natura delle cose s (a Sociologia e diritto nel loro nesso e nei
loro limiti ., in Filosofia e sociologia, Il Mulino, Bologna 1954, p. 166). Ma
dello stesso Fass, in senso favorevole allutilizzazione della natura delle
cose da parte del giudice, si veda il pi recente volume La legge della ragione, Il Mulino, Bologna 1964, p. 237, note 43, 44, 46, con un riferimento
ad una sentenza della Corte Costituzionale.
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ritto (antilegalismo) e come mezzo interpretativo (anticoncettualismo). In tutti e tre i sensi cercai di mostrare come il bersaglio polemico non fosse stato mai pienamente raggiunto e come
il richiamo alla natura delle cose promettesse assai pi di quel
che riuscisse a mantenere. Feci anche un tentativo, che per non
ha avuto seguito, didentificare il ricorso alla natura delle cose
in sede dinterpretazione, cio in quella sede in cui ha trovato
sinora maggiori consensi (anche dagli avversari), con Iinterpretazione teleologica. Dicevo: Per parte mia credo che, quando
il giurista parla di natura di un oggetto o di un soggetto o di
un comportamento o di unistituzione, si riferisca al rapporto
mezzo-fine e presupponga consapevolmente 0 inconsapevolmente
il principio fondamentale di Iherinp: Lo scopo il creatore di
tutto il diritto . . . La regola fondamentale cui il giurista si ispira
per produrre nuove regole traendole dalla natura delle cose la
seguente: Se un certo fine e obbligatorio (o proibito), sono da
considerarsi obbligatori (o proibiti) tutti i mezzi oggettivamente
atti a raggiungerlo N @.
Segd lanno dopo unampia rassegna del pensiero tedesco
sulla natura delle cose, in particolare sulle teorie del Radbruch
e del Maihofer, di un filosofo del diritto esordiente, Alessandro
Baratta l, il quale contrappose alla filosofia naturalistica tedesca, che aveva aperto un troppo facile accesso alla natura delle
cose, la prospettiva soggettivistica dellidealismo italiano nellinterpretazione di Cesarini Sforza, per cui, non esistendo se non per
astrazione una natura distinta dallo spirito e quindi un fatto distinto dallatto, la natura da sola non buona a nulla e restituisce unicamente quel che ci si mette dentro. Nelle conclusioni critiche Baratta, rifacendosi allidealismo nostrano, riecheggiava i
fondamentali motivi polemici che la dottrina italiana aveva costantemente e severamente ribaditi nei confronti della natura delle cose come fonte del diritto: e cos, nel momento stesso in cui
richiamava lattenzione degli studiosi italiani sul dibattito che
ferveva in Germania, si faceva interprete, ancora una volta, del
disagio che ogni concezione oggettivistica e naturalistica del diritto ha sempre provocato in una cultura, come la nostra, consacrata al culto dello spirito creatore e devota allo storicismo.
Di questa filosofia giuridica ispirata allidealismo italiano Baratta diceva che mostra limpossibilita di fondare nei fatti una
normativit oggettiva indipendente dalla valutazione e dalla volizione del soggetto, e di scorgere nella natura del fatto un valore
che preceda latto e la qualificazione del soggetto: giacch la na(o Uber dm Begrig der Nutur der Suche, cit., p. 317 (in questa raccolta, p. 208).
A. B ARATTA , Notura del futto e diritto nuturule, in e Rivista internazionale di filosofia del diritto P, XXXVI, 1959, pp. 177-228.
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