Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Archeologia Dei Materiali Da Costruzione Cagnana
Archeologia Dei Materiali Da Costruzione Cagnana
Collana diretta da
Gian Pietro Brogiolo e Gloria Olcese
MANUALI PER
LARCHEOLOGIA
ARCHEOLOGIA DEI
MATERIALI
DA COSTRUZIONE
di
AURORA CAGNANA
con premessa di
TIZIANO MANNONI
Editrice S.A.P.
labilit delluomo applicata ai prodotti della natura per bisogno, per lusso, per divertimento, o per curiosit, che ha fatto nascere le scienze e le arti (...). Esaminando i prodotti delle arti ci siamo accorti che alcuni sono pi opera dello spirito, mentre altri sono
pi opera della mano. questa, in parte, lorigine della superiorit che stata attribuita ad alcune arti su altre e della distinzione che stata fatta fra arti liberali e meccaniche. Tale distinzione, sebbene fondata, ha prodotto leffetto dannoso di umiliare persone assai utili e degne della pi grande stima e ha fatto nascere in noi il pregiudizio
che (...) persino praticare lo studio delle arti meccaniche volesse dire abbassarsi a cose
delle quali la ricerca faticosa, la meditazione poco nobile, lesposizione difficile, il commercio disonorevole, il numero infinito e il valore minimo (...). per questo pregiudizio
che le citt sono piene di tronfi disquisitori e di contemplatori inutili e le campagne di
piccoli tiranni ignoranti, oziosi e sprezzanti. Ma non cos che la pensano Bacone,
Colbert e gli uomini saggi di tutti tempi(...).
Mettete su un piatto della bilancia i vantaggi reali delle scienze pi sublimi e delle arti
pi onorate e sullaltro quelli offerti dalle arti meccaniche e vi accorgerete che sono stati
riveriti di pi gli uomini occupati a farci credere di essere felici, che non quelli dediti a
renderci felici realmente. davvero un bizzarro pregiudizio! Da un lato pretendiamo
che lavorino utilmente e al tempo stesso disprezziamo gli uomini utili.
(DallEncyclopdie di M. Diderot e M. DAlembert, 1772)
In copertina:
Una scena di abbattimento di tronchi tramite
grosse scuri, raffigurata sulla Colonna Traiana
Sul retro:
INDICE
Premessa (Tiziano Mannoni)
Pag. 9
I. L A PIETRA
1. Genesi e classificazione delle rocce
2. Le pietre scelte per costruire: caratteri di lavorabilit
e di resistenza meccanica
3. La coltivazione delle cave col sistema della tagliata a
mano
4. I trasporti via terra e via acqua
5. Le lavorazioni in cantiere: spaccatura, sbozzatura,
riquadratura
6. Modanature e sculture
7. Principali cause di degrado
8. Nota bibliografica
II. I
17
24
34
54
57
63
70
78
81
84
85
MATERIALI CERAMICI
89
92
97
103
119
120
123
124
125
126
137
141
145
150
151
152
IV. I COLORI
1. Natura fisica e valutazione oggettiva del colore
2. Colori minerali, terre, ocre: ricerca ed approvvigionamento
3. I pigmenti pi usati nellarchitettura
4. La tecnica dellaffresco
5. Il fresco secco e la pittura a calce
6. La pittura a tempera
7. Principali cause di degrado
8. Nota bibliografica
Pag.
155
157
160
163
171
172
173
174
177
179
180
184
190
193
195
198
200
201
207
213
213
215
219
221
222
230
230
V. IL VETRO
1. I sistemi di approvvigionamento della silice
2. Il processo di cottura e le sostanze fondenti
3. Dalla pasta vitrea alla soffiatura
4. La produzione di lastre da finestra
5. Principali cause di degrado
6. Nota bibliografica
VI. I
METALLI
1. Formazione e propriet
2. Ricerca dei giacimenti e pratiche di estrazione
3. Il piombo e il bronzo
4. La metallurgia del ferro
5. Luso del ferro nellarchitettura
6. Principali cause di degrado
7. Nota bibliografica
VII. IL LEGNO
1. Elasticit e resistenza: le propriet dei tessuti legnosi
2. Tecniche di abbattimento
3. Stagionatura e lavorazioni
4. Utilizzo del legno nellarchitettura
5. Principali cause di degrado
6. Nota bibliografica
BIBLIOGRAFIA
233
Tiziano Mannoni
PREMESSA
Ci che colpisce di pi delle costruzioni del passato lunit architettonica in esse realizzata: lequilibrio e linterazione tra materiali e
strutture, tra strutture e funzione, tra funzione e forma, tra forma e
stile, tra stile e materiali.
Qualsiasi prodotto della mente umana diventa oggettivo, ed autonomo dal suo stesso creatore, quando sia realizzato in una materia
stabile, che nel caso pi semplice potrebbe essere la scrittura su fogli
di carta raccolti in una biblioteca: il prodotto oggettivo e originale
sopravvive finch quei fogli potranno essere conservati. Nelle arti
figurative, ai materiali affidata anche la resa e la conservazione
delle forme, del colore e di altre propriet delle superfici. Le opere
architettoniche non sono state costruite, tranne in rari casi, soltanto
per oggettivare un pensiero, o una bellezza estetica, ma devono svolgere anche funzioni pratiche, come il difendere dagli agenti atmosferici uomini, azioni e cose. Proprio per questo non sono a loro volta protette; ci nonostante devono resistere nel tempo.
In tutti i casi le scelte dei materiali presuppongono delle precise
conoscenze oltre a quelle sulle loro qualit visive: la loro lavorabilit,
e quindi le tecniche e gli strumenti adatti, e le loro resistenze agli
sforzi ed alle cause ambientali di degrado; conoscenze, queste ultime,
che richiedono, a loro volta, altre conoscenze sulle forze e sugli agenti
degradanti, di varia natura, che operano in un edificio. Sembra impossibile che conoscenze complesse, che in certi casi sono ancor oggi
discusse con laiuto della scienza, facessero parte del saper fare
empirico; eppure larcheologia dellarchitettura, e la ricerca archeo-
10
metrica condotta con strumenti scientifici, dimostrano le ottime scelte fatte fin dai tempi lontani per le costruzioni destinate alla lunga
durata.
Questa realt non deve, daltra parte, meravigliare se si tiene
conto di come funzioni il sistema evolutivo della cultura materiale, che
non vuol dire soltanto il saper fare dei poveri, o delle cosiddette arti
applicate, ma che necessaria per qualunque prodotto oggettivo della
mente umana. Come il mondo vivente ha prodotto esseri quasi perfetti, per eliminazione delle varianti dannose, il saper fare, per analogia,
registra come negativi tutti i tentativi mal riusciti, e ne trasmette la
conoscenza di generazione in generazione, con lapprendimento che
avviene in ciascuna arte. Ci spiega, per esempio, perch in culture di
continenti differenti, ed in epoche diverse, si sia arrivati a scegliere le
stesse materie prime, o le stesse lavorazioni e persino le stesse forme,
in analoghe situazioni ambientali e funzionali (un esempio tipico
costituito dalle tecniche murarie).
La differenza sostanziale tra levoluzione culturale di tipo empirico ed il progresso scientifico e tecnologico, come ha detto Francesco
Bacone, sta nel fatto che con il primo modo si conosce la scelta migliore, ma non le sue spiegazioni, che solo il metodo scientifico pu dare.
Ci che per lo scienziato sono le leggi della natura, per lempirico sono
le regole dellarte. Questo spiega la lentezza dellevoluzione della cultura materiale: lentezza che ha tuttavia il vantaggio di verificare nei
tempi lunghi eventuali controindicazioni imprevedibili, incidente che
si verifica, ogni tanto, con le tecnologie basate sulle pi veloci previsioni scientifiche.
Proprio alla mancanza di spiegazioni scientifiche sul buon funzionamento delle scelte fatte, si deve per, in buona parte, il prevalente
carattere unitario dellarchitettura preindustriale. In tale situazione,
infatti, non era possibile progettare le forme solo in base alle funzioni
ed ai valori estetici, demandando ai calcoli strutturali le scelte e gli
impieghi dei materiali. Il costruttore doveva pensare a volumi e forme
proporzionate ed armoniose, nelle quali le funzioni richieste venissero
soddisfatte da soluzioni strutturali prevedibili con le regole dellarte
praticate, i cui materiali e la cui durata erano gi ben noti.
Contenuti. Avendo insegnato negli ultimi trentanni le risorse
naturali ai geologi, i caratteri costruttivi ed il degrado dei monumenti agli architetti ed agli archeologi, ho constatato la necessit di una
guida snella alla conoscenza dei materiali storici da costruzione. Essa
Tiziano Mannoni
11
non deve essere considerata una qualche riduzione della scienza dei
materiali, o delle diagnosi del degrado, ma neanche della storia della
tecnica. Spesso chi studia e chi restaura, o conserva larchitettura storica, non ha affrontato nessuna di tali discipline, e non pu capire la
vera storia del monumento e del suo stato attuale, se non ha unidea
di quali e quanti problemi fisici, chimici e culturali, siano contenuti
nei materiali con cui entra in contatto. Si tratta quindi di una guida
propedeutica, gi sperimentata da un po di anni sotto la forma di
dispense, che rimanda per gli approfondimenti alle singole discipline.
Ha il vantaggio, rispetto ai trattati specialistici, di mettere a confronto, per ogni materiale storico, le caratteristiche naturali, la storia del
suo sfruttamento, delle tecniche di lavorazione e di messa in opera, le
principali cause di degrado alle quali soggetto. evidente che linterazione fra questi diversi aspetti fondamentale sia per cercare di
capire globalmente il monumento cos come ci pervenuto, sia per far
s che, in una visione globale, ci che si pensa dei singoli aspetti non
sia troppo lontano dalla realt, e inoltre per sapere quali conoscenze
sia necessario approfondire.
1. Delle scienze dei materiali ci che pi importa conoscere sono le
classificazioni genetiche di quelli storicamente pi usati, in rapporto
alle loro caratteristiche fisiche e chimiche: lavorabilit ed effetti di
superficie; resistenze meccaniche ed al degrado, in modo particolare.
ci che empiricamente dovevano conoscere anche i costruttori del
passato, per compiere scelte adatte ad edifici ben proporzionati, funzionanti e di lunga durata. I meccanismi genetici e le spiegazioni di
tali caratteristiche sono spesso contenuti nei corsi delle scuole superiori, quando siano ben condotti. Essi sono comunque pi complessi di
quanto si possa sintetizzare in questa sede e si rimanda, pertanto, ad
una adeguata bibliografia. Anche per le caratteristiche tecniche si
mettono in evidenza le differenze, talora enormi, esistenti tra i vari
materiali tradizionali, ma per calcoli e progettazioni vere e proprie
bisogna ricorrere alle tabelle ufficiali di ogni singolo materiale.
2. Ogni materiale da costruzione, ha, ed ha sempre avuto, un suo
ciclo di produzione, prima di essere messo in opera. Ci perch non
esistono in natura materiali da costruzione, ma soltanto risorse natu rali trasformabili in materiali, con processi semplici o complicati, ma
ben precisi, dai quali sempre dipesa una buona parte della qualit
del costruito. Si chiama risorsa naturale una porzione dellambiente
12
Tiziano Mannoni
13
punto di vista tecnico ed economico, a priori. Un mulo non porta carichi superiori a 150 chili (due pietre di cm 20x20x70); un paio di buoi
pu tirare un carro con un carico di 800-1000 chili (un blocco di pietra
di cm 100x100x35) su strade con pendenze non superiori al 3%; limiti
pratici non ci sono invece per le navi ed i barconi da marmo. Ci spiega perch le vie dacqua fossero preferite, e fossero comunque le uniche che permettessero trasporti di blocchi molto grandi, come quelli da
100 tonnellate (obelischi egiziani portati a Roma, cupola monolitica di
pietra dIstria che copre il mausoleo di Teodorico a Ravenna).
Di ogni ciclo completo esiste una storia del suo funzionamento globale, degli strumenti e delle tecniche di lavorazione e di trasformazione, dei mezzi di trasporto e della qualit della vita dei lavoratori.
Come tutte le storie del saper fare vi sono fattori, come le caratteristiche naturali, che non cambiano nel tempo e nello spazio, ed una
volta raggiunte le scelte migliori, per evoluzione della corrispondente
cultura materiale, gli unici cambiamenti possibili riguardano la scoperta di nuovi materiali per realizzare gli arnesi da lavoro, o di nuove
fonti di energia. Queste scoperte, che dipendono dallevoluzione di
altre culture materiali (metallurgia e motoristica, nel nostro caso),
non possono in genere migliorare ulteriormente le qualit dei prodotti, ma incidono sui tempi, sui costi e sulla vita dei lavoratori.
Nella coltivazione e lavorazione dei marmi, per esempio, gli Egizi
avevano gi raggiunto la migliore qualit nel terzo millennio avanti
Cristo, con strumenti di pietra, di bronzo e di legno, e tale qualit non
migliorata con lintroduzione dellacciaio, della polvere da sparo, del
filo elicoidale, e del filo diamantato, anzi, si dovuto stare attenti, per
ridurre i costi di produzione con i nuovi strumenti, a non perdere
anche qualche conoscenza antica che garantiva la qualit.
3. Nessun materiale, antico e moderno, presenta caratteristiche
tali che gli permettano di resistere senza limiti agli agenti meccanici,
o a quelli chimici e fisici propri dellambiente atmosferico (pioggia,
vento e sbalzi termici). Per i primi basta imparare ad usare materiale di dimensioni adeguate ai carichi ed alle spinte, ed esso non si deteriora mai. Per quanto riguarda gli agenti ambientali, invece, lesperienza accumulata nei secoli ha indicato quali materiali entrino in un
quasi-equilibrio con tali agenti, nel senso che si hanno perdite di
materiale molto deboli in tempi lunghi, e, soprattutto, tale degrado ha
un andamento lineare.
Tutti i materiali storici, il legno compreso, infatti, non invecchiano
14
come avviene per i tessuti degli esseri viventi. Quando si parla di vecchiaia o di malattie della pietra, o di altri materiali da costruzione, si
usano delle metafore di tipo antropocentrico; in realt qualsiasi degrado, fisico o chimico, dipende esclusivamente da cause esterne al materiale stesso: nessun materiale cambia nel tempo le sue caratteristiche
per cause sue proprie. La conoscenza degli agenti di degrado quindi
sempre stata una componente essenziale del saper costruire. Essa era
inoltre alla base del saper fare la giusta manutenzione e conservazione delle parti che vengono esposte a cause inaspettate di degrado, o
che siano giunte alla fine di un quasi-equilibrio (per esempio: intonaco esterno completamente consumato dopo secoli di esposizione).
Nelle ricerche che prendono nome di archeologia del costruito lo
studio dei materiali ricopre una parte importante, come in tutti i
metodi archeologici. Al fine di stabilire, per esempio, le diverse unit
stratigrafiche murarie di un edificio, i criteri si basano su cinque fattori: natura del materiale, sue tecniche di lavorazione, forma del paramento, misure degli elementi costitutivi e continuit del paramento
stesso.
Nelle ricerche archeologiche che prendono il nome di archeometria le informazioni vengono ricavate da un manufatto mediante analisi condotte con strumenti propri delle scienze naturali. Fra i dati
archeometrici rientrano quindi: la determinazione della natura di un
materiale, o della sua formula compositiva, se costituito da un
aggregato artificiale; le sue caratteristiche fisiche, chimiche e tecnologiche; il suo comportamento ai vari tipi di degrado. Certe analisi
archeometriche possono servire, per molti materiali, a stabilirne
anche la provenienza; da quale giacimento naturale cio sono stati
estratti. Questa informazione utile per la storia costruttiva, ma
anche per il restauro. Senza contare che alcuni materiali sono anche
suscettibili di datazioni mediante orologi naturali: radiocarbonio e
dendrocronologia per il legno, termoluminescenza ed archeomagnetismo per laterizi, terrecotte, forni e focolari.
Se queste informazioni vengono inserite al loro giusto posto nellindagine archeologica del costruito (sequenza stratigrafica, datazioni
archeologiche ed analisi delle fasi storiche), confrontando il tutto con
i valori estetici e le fonti socioeconomiche, possibile ricostruire la storia fisica e culturale delledificio: passo indispensabile per qualunque
progetto di conservazione, o di restauro. Ma anche possibile accedere a problemi storici pi generali, che il ripetersi di certe risposte pu
rendere meno oscuri. Quando, per esempio, evidente che un mate-
Tiziano Mannoni
15
riale sia il migliore per essere usato in una certa parte delledificio, e
in un certo ambiente, ed esso sia stato sistematicamente usato in un
certo periodo, non si pu pensare al caso, ma ad una sua precisa conoscenza. Certe conoscenze sono divenute addirittura simboliche: da
migliaia di anni si usano espressioni come basato sulla pietra, eterno come il granito, limpido come il vetro. Si tratta evidentemente di
metafore che fanno uso della cultura materiale: non a caso forse nellantico Egitto si sceglieva il granito, anche se non lavorabile nel dettaglio come il calcare, per rappresentare le immagini indistruttibili
dei Faraoni.
Tiziano Mannoni
Aurora Cagnana
17
I. LA PIETRA
18
Aurora Cagnana
19
20
Sia i sedimenti incoerenti, sia le corrispettive rocce litificate vengono classificati in base alle dimensioni dei clasti che le compongono.
Prendono cos il nome di ruditi le rocce costituite da elementi di
dimensioni superiori ai 2 millimetri; esse si suddividono in brecce,
derivate dalla litificazione di clasti angolosi e in conglomerati, formati invece da ciottoli arrotondati. Le areniti (o arenarie) sono invece
costituite da clasti di dimensioni comprese fra i 2 millimetri e i 63
micron, e derivano dalla litificazione di sabbie. Le siltiti, originate per
diagenesi dei silts, o limi, sono costituite da clasti con dimensioni comprese fra i 63 e i 4 micron; mentre le argilliti, con clasti di dimensioni
inferiori ai 4 micron, sono prevalentemente costituite da minerali
argillosi.
roccia incoerente
dimensioni clasti
brecce
conglomerati
arenarie
siltiti
argilliti
> 2 mm
> 2 mm
2 mm-63 m
63 m - 4 m
<4m
Aurora Cagnana
21
22
smo di sedimenti calcareo-argillosi e gli argilloscisti (a grana finissima) originati da basso metamorfismo di rocce argillose. Fra questi le
ardesie liguri, particolarmente importanti fra i materiali da costruzione, sono un tipo di argilloscisto calcareo con forte isorientamento dei
minerali. Un grado di metamorfismo pi elevato presentano le filladi,
anchesse a grana finissima, particolarmente utilizzate per produrre
lastre per le coperture. Piuttosto frequenti sono inoltre gli scisti verdi,
derivati dal metamorfismo di rocce a chimismo basico e le quarziti,
derivate da arenarie ricche di quarzo.
Fra le rocce metamorfiche di aspetto non scistoso vi sono le ser pentiniti, di colore verde, derivate da rocce intrusive molto basiche,
tipiche del mantello che si trova sotto la crosta terrestre.
Il marmo, dovuto al metamorfismo di calcari puri, presenta invece
una struttura pavimentosa, o granulare, simile a quella del granito,
anche se, a differenza di questultimo, ha sempre un piano prevalente
di sfaldatura. La struttura del marmo viene detta anche saccaroide,
perch caratterizzata dalla presenza di calcite in grossi granuli; essi
sono il prodotto della ricristallizzazione completa dei piccolissimi
minerali che formavano i calcari originari: a forti pressioni e a temperature attorno ai quattrocento gradi il carbonato di calcio si riorganizza dando origine a individui cristallini di dimensioni pi grandi.
Nei marmi di Carrara i minerali di calcite sono in media della dimensione di mm 0,2 e raggiungono talvolta i 2 millimetri.
I marmi puri, costituiti quasi interamente (98% circa) di calcite,
sono bianchi; quelli pi lavorabili sono definiti statuari. Quelli colorati, detti venati, nuvolati, bardigli, arabescati, mischi, eccetera,
a seconda di quanto e come esteso il colore, derivano dal metamorfismo di calcari impuri; tali impurit possono essere costituite da
granuli di silice, da argille, da idrossidi di ferro, che conferiscono
colori dal giallo al rosa al verde, oppure da sostanze organiche, che
danno colori dal grigio al nero. In seguito al metamorfismo tali impurit si trasformano in prodotti stabili: il carbonio delle sostanze organiche, ad esempio, si riorganizza in lamelle nere di grafite; gli idrossidi di ferro in cristalli rossi di ematite; grafite ed ematite possono
anche migrare a formare zone di colore, dando luogo a marmi con
venature grigie, rosse, gialle. I cipollini, marmi a base bianca con
striature di colore, derivano invece da calcari ricchi in argille, trasformate dal metamorfismo in miche, isorientate in piani paralleli,
con colorazioni verdi, grigie, dorate. I mischi, infine, sono conglomerati o brecce calcaree
23
Aurora Cagnana
-Classificazione chimica e genetica delle principali rocce Oltre allorigine, anche la composizione chimica delle rocce riveste una notevole importanza, in quanto alla base delle strutture
cristalline dei minerali costituenti, dalle quali dipendono molti
caratteri fisici.
A seconda della composizione le rocce possono essere suddivise
nelle seguenti categorie:
- le rocce solfatiche sono costituite in prevalenza da gesso, cio da
solfato di calcio biidrato (CaSO4 2H20). Ne sono un esempio lalaba stro gessoso di Volterra, facilmente lavorabile, ma poco resistente agli
agenti atmosferici e in particolare allacqua e pertanto pi utilizzato
per elementi scultorei e decorativi; la pietra da gesso, o selenite, uti lizzata, fin dallepoca egiziana, per produrre leganti (cfr. III. 1.), ma
talora anche come materiale litico;
- le rocce carbonatiche sono costituite in prevalenza da carbonato di
calcio (CaCO3). Sono abbondanti in natura e molte sono quelle utilizzate nelledilizia, sia come materiale da costruzione, sia per produrre
leganti: i calcari, le dolomie, i marmi, il travertino, lalabastro calcareo.
Le molecole di carbonato di calcio sono tenute insieme da legami
ionici, pertanto le rocce carbonatiche sono attaccabili dagli acidi contenuti nelle piogge, siano essi naturali, come lanidride carbonica, oppure
dovuti allinquinamento atmosferico, come lanidride solforosa (cfr. I.7.);
24
Aurora Cagnana
25
Per le rocce la propriet della durezza invece pi difficile da definire e pu comprendere diversi tipi di resistenza meccanica: allincisione, allusura, alla segagione. Tali propriet dipendono soprattutto
dalla durezza dei minerali costituenti; le rocce silicatiche, ad esempio,
sono generalmente pi dure di quelle carbonatiche; il caso dei graniti, che pur avendo una struttura granoblastica simile a quella dei
marmi sono per molto pi duri essendo formati da feldspati e da
quarzo (minerali con durezza 6-7) e non da calcite (durezza 3) come i
marmi.
26
La durezza delle rocce monomineraliche corrisponde generalmente a quella dellunico minerale costituente, ma piccole quantit di
minerali pi duri o pi teneri possono variare considerevolmente il
valore complessivo della roccia. Un calcare puro, ad esempio, interamente costituito da calcite generalmente pi tenero di unarenaria,
la quale, anche se presenta un cemento calcitico, per comunque
costituita da molti granuli di quarzo.
Unarenaria a cemento calcitico comunque pi tenera del granito, perch il cemento abbassa notevolmente il valore complessivo di
durezza della roccia. Un granito , a sua volta, meno duro dei cristalli puri di feldspato o di quarzo, sia perch contiene anche della mica,
sia, soprattutto, perch i giunti fra i vari cristalli hanno legami sempre pi deboli di quelli cristallini e pertanto riducono la durezza complessiva della roccia.
La durezza di una roccia come materiale lavorabile viene considerata corrispondente alla resistenza alla segatura, e in relazione a tale
propriet, si utilizza la seguente classificazione empirica:
-rocce dure, sono quelle tagliabili solo con seghe lisce cosparse di smeriglio (ad esempio calcari compatti, marmi, serpentiniti, oficalci)
Aurora Cagnana
27
stono rocce molto dure, ma non tenaci, come la selce, composta interamente da silice, ma molto fragile e poco resistente agli urti.
In base a prove di laboratorio stata elaborata una scala di tenacit
di alcune fra le rocce pi comuni, che pone in alto quelle pi resistenti:
B ASALTI
PORFIDI
PORFIRITI E ANDESITI
DIORITI E GABBRI
QUARZITI
GRANITI E S IENITI
ARENARIE A CEMENTO SILICEO
CALCARI, DOLOMIE E MARMI
SERPENTINI
ARENARIE A CEMENTO NON SILICEO
-Scala di tenacit di alcune rocce Oltre che dalla durezza dei minerali costituenti, la tenacit di una
roccia dipende essenzialmente dalla sua struttura e coesione: evidente dalla scala qui riportata che la tenacit maggiore nella rocce
microcristalline e criptocristalline. Ci dovuto al fatto che, a parit
di volume, queste ultime hanno un numero maggiore di legami intercristallini, rispetto a quelle formate da cristalli pi grandi.
La tenacit inoltre molto alta nelle rocce a tessitura intersertale,
che infatti sempre presente nei primi quattro gruppi.
La resistenza alla compressione quella che i corpi oppongono alle
forze che tendono a romperli per schiacciamento. Tale carattere dipende sia dalla durezza dei singoli componenti (cio dalla resistenza dei
legami interni ai minerali), sia dalla struttura delle rocce (cio dal tipo
di contatti esistenti fra i vari cristalli). In genere resistono bene a compressione le rocce formate da cristalli duri, ben impilati fra loro, anche
se tenuti insieme da legami deboli, come il granito.
La resistenza alla trazione quella che i corpi oppongono alle forze
che tendono a smembrarli per stiramento. Ben di rado le rocce vengono poste in opera in modo da lavorare a trazione; tuttavia la resistenza alla trazione importante perch determina quella alla flessione,
che invece piuttosto frequente negli elementi litici delle costruzioni.
28
RESISTENZA
A COMPRESSIONE
RESISTENZA
A TRAZIONE
Basalto
Porfido
Granito
Tufi vulc.
3200 Kg/cm2
1900 Kg/cm2
1800 Kg /cm2
80 Kg /cm2
80 Kg/cm2
60 Kg/cm2
40 Kg/cm2
10 Kg /cm2
Gneiss
Ardesia
Marmo
1300 Kg /cm2
1100 Kg /cm2
1300 Kg /cm2
120 Kg /cm2
400 Kg /cm2
40 Kg /cm2
Calcare
Arenaria
Travertino
1100 Kg /cm2
800 Kg /cm2
450 Kg /cm2
50 Kg /cm2
20 Kg /cm2
30 Kg /cm2
Laterizi
Malta
Legno
Ghisa
Acciaio
175 Kg /cm2
50-400 Kg /cm2
500 Kg /cm2
8000 Kg /cm2
2000 Kg /cm2
70 Kg /cm2
10-40 Kg /cm2
850 Kg /cm2
1400 Kg /cm2
6000 Kg /cm2
Se si osserva la tabella dei valori qui riportata, si nota come la resistenza a trazione sempre molto inferiore rispetto a quella a compressione e oscilla fra 1/10 e 1/50 di questultima. Ci dovuto al fatto
che la resistenza a trazione dipende sostanzialmente dai legami intercristallini, che sono sempre pi deboli di quelli interni ai singoli minerali. In genere sono pi resistenti le rocce a grana fine o, in particolare, quelle microcristalline.
Sono le dimensioni dei minerali che determinano lo stato di coesione della roccia: questultimo maggiore nelle rocce a grana fine
perch, a parit di volume, aumentano le superfici dei vari cristalli e
quindi i relativi legami, che sono la fonte principale della resistenza
alla trazione. Essa pertanto maggiore in un basalto, piuttosto che in
un granito, in un calcare microcristallino, piuttosto che in un marmo
Aurora Cagnana
29
30
Aurora Cagnana
31
32
POROSIT REALI
travertini
argilloscisti
calcari compatti
gneiss
graniti
basalti compatti
serpentini
5-12%
0,4-10%
0,4-2%
0,4-2%
0,4-1,5%
0,2-0,9%
0,1-0,6%
Aurora Cagnana
33
lapidei al degrado, pi importante conoscere il carattere della porosit, poich sono soprattutto la comunicabilit e le dimensioni dei pori
che determinano il tipo di permeabilit delle rocce. La porosit comunicante o di tipo capillare comporta unalta penetrabilit dellacqua
nelle rocce (per imbibizione o per assorbimento). La porosit non
capillare, invece, alleggerisce il peso delle rocce ma non le rende capaci di assorbire lacqua.
Il granito, ad esempio, pur essendo molto compatto, per la sua
struttura pavimentosa presenta molti spazi intercristallini piccolissimi e comunicanti fra loro, nei quali lacqua penetra lentamente. La
pomice, invece, la roccia pi leggera (lunica che pu galleggiare sullacqua) e pi porosa di tutte, ha per una particolare porosit, costituita da bolle di gas non comunicanti fra loro, e immerse in una massa
vetrosa che la rende impermeabile.
Dal tipo di porosit e quindi dalle possibilit di penetrazione dellacqua dipende anche la maggiore vulnerabilit delle rocce al gelo. La
gelivit infatti maggiore nelle rocce che presentano abbondanti pori
di piccole dimensioni, dove lacqua, per capillarit, penetra in tutte le
direzioni, anche in salita (cfr. I.7.).
Fra le caratteristiche termiche particolarmente importante il coef ficiente di dilatazione dei materiali in seguito al riscaldamento. La presenza di calore crea unagitazione termica negli atomi, in seguito alla
quale aumenta la loro distanza di legame, determinando una dilatazione di tutti i composti cristallini. Si tratta di variazioni piccole, non
percettibili, ma che, se esercitate con continuit sui giunti cristallini,
finiscono per disgregare la roccia, poich le dilatazioni e i ritiri differenziati possono vincere i deboli legami di superficie. Questo fenomeno
pi forte nelle rocce polimineraliche, costituite da minerali con diversi indici di dilatazione; ma notevole anche su rocce monomineraliche
formate da cristalli, come la calcite, caratterizzati da dilatazioni differenti a seconda degli assi cristallini (cfr. I.7.). I suoi effetti sono accentuati, inoltre, nelle regioni in cui gli sbalzi termici sono veloci, e in certe
parti del costruito, come gli spigoli, dove la dispersione del calore (e
quindi il raffreddamento) pi veloce che in altri punti.
ROCCIA
graniti
basalti
arenarie
COEFFICIENTE DI DILATAZIONE
0,000008
0,000005
0,000004
34
Aurora Cagnana
35
seguite per individuare un buon affioramento roccioso, ma assai probabile che i prospettori fossero guidati dallosservazione di crolli o di
franamenti derosione che mettevano occasionalmente a nudo porzioni del sottosuolo. Lubicazione di un giacimento poteva inoltre essere
riconosciuta anche in base alla presenza di ciottoli nei corsi dacqua
che lo attraversavano, analogamente a quanto avveniva, ancora in
tempi recenti, per la ricerca dei giacimenti metalliferi (cfr.VI.2.).
Una volta individuato il deposito di materiale lapideo adatto alle
necessit, si provvedeva a organizzarne la coltivazione. Questa era
necessariamente condizionata dal tipo di formazione: le rocce sedimentarie, infatti, sono sovente costituite da depositi stratificati pi o
meno profondi e regolari, mentre quelle intrusive sono rappresentate
da ammassi la cui forma deriva dalle cavit naturali riempite dal
magma, sono perci costituite, generalmente, da blocchi tentacolari
solidificatisi negli interstizi della crosta terrestre. Il giacimento roccioso pu inoltre costituire lintera struttura di rilievi collinari o montani, modellati dallerosione, oppure pu formare il sottosuolo di aree
pianeggianti. Pertanto, a seconda del materiale e dei caratteri geomorfologici del deposito, venivano organizzati diversi tipi di coltivazione.
Quando i giacimenti si trovavano a mezza costa sui rilievi, lestrazione a cielo aperto determinava lapertura di grandi cave a gradoni,
disposte ad anfiteatro lungo i fianchi della montagna. Esse erano
adatte allo sfruttamento di rocce caratterizzate da una certa omogeneit su un fronte sufficientemente ampio da permettere di fare avanzare la superficie lavorabile in modo uniforme e progressivo.
In genere laltezza dei gradoni era orientata in base allandamento
naturale della roccia, cio, laddove possibile, con il piano di distacco
corrispondente al verso principale. Per fronte di cava si intende la
parete verticale verso monte, perpendicolare alla superficie di distacco; la sua altezza aumentava via via che procedeva la coltivazione e
che diminuiva il deposito disponibile. Pertanto, per evitare di esaurire la cava, la zona di coltivazione veniva estesa in senso orizzontale.
La base del gradone era in genere costituita da una piattaforma, o
piazzale di cava, sulla quale si facevano ricadere i blocchi staccati,
predisponendo appositi cuscini di schegge, che permettessero di attutire i colpi durante la caduta.
Nelle zone pianeggianti, le cave a cielo aperto potevano essere invece del tipo a fossa e cio caratterizzate dallabbassamento graduale della
superficie del suolo, operato con grandi trincee scavate in successione.
36
Aurora Cagnana
37
3- Operazione di estrazione dei blocchi con picco e cunei (da ADAM 1989
rielaborata)
38
Nelle cave a gradoni due lati (quello frontale e quello del piano
orizzontale) erano gi liberi; per separare gli altri tre lati verticali si
operava un solco di delimitazione, a monte e ai fianchi, della stessa
altezza del blocco da estrarre. Fino a una profondit di 50-60 centimetri il cavatore poteva lavorare dallalto, inginocchiato o in piedi,
usando picchi a lunga immanicatura (cfr. oltre). Se invece il blocco era
di dimensioni maggiori, il solco doveva essere una vera e propria trincea, tanto larga da consentire al cavatore di scendervi. Un esempio
eccezionale di questultimo sistema conservato nelle cave del cosiddetto tempio G di Selinunte, in Sicilia, abbandonate in seguito allinterruzione del grandioso cantiere, seguita alla distruzione della citt
nel 409 a.C..
Anche lomogeneit del materiale condizionava lo spessore dei blocchi e quindi dei gradoni della cava: per marmi e graniti, caratterizzati
da rare spaccature, laltezza poteva essere scelta con maggior libert
rispetto alle rocce sedimentarie, costituite da formazioni stratificate.
Aurora Cagnana
39
40
Aurora Cagnana
41
42
Aurora Cagnana
43
44
Aurora Cagnana
45
46
Aurora Cagnana
47
13- Strumenti a percussione diretta: la bocciarda. Segno lasciato sulla pietra e inclinazione con la quale va usata (da BESSAC 1986)
48
Aurora Cagnana
49
50
Aurora Cagnana
51
52
15- Funzionamento del taglio tramite filo elicoidale (da L. T. MANNONI 1984)
comunque piccole) delle tagliate, da avanzamenti curvi, o molto inclinati. In generale per le cave di pietra dellEuropa medievale sono
molto pi conosciute dallo studio delle fonti scritte che non da analisi
archeologiche.
Solo a partire dal XVIII secolo si registra un tentativo di innovazione nei sistemi estrattivi tradizionali, rappresentato dalluso degli
esplosivi. La carica esplodente, per lo pi polvere nera (formata da
carbone, salnitro e zolfo) veniva inserita entro lunghi fori, ricavati
con stretti scalpelli, detti fioretti. Per ottenerli occorreva che un
cavatore tenesse retto lo scalpello sulla pietra, facendolo ruotare di
20-30, mentre un altro lo batteva con la mazza. Anche se questo
sistema (definito varata nelle cave di Carrara) consentiva un notevole risparmio di energia muscolare umana, comportava per svantaggi notevoli: la maggior parte del prodotto era infatti inutilizzabile per le ridotte dimensioni o per le numerose incrinature; troppo era
lo spreco di materiale, e, non ultimo, enormi quantit di detriti ten-
Aurora Cagnana
53
16-Le tracce del filo elicoidale visibili in una cava di pietra del Finale
(Savona)
devano a soffocare le cave. Per tali ragioni luso degli eslposivi rimase un fatto molto limitato. Una radicale innovazione fu costituita
invece, alla fine del secolo scorso, dallintroduzione del taglio con filo
elicoidale. Presentato allEsposizione Internazionale di Parigi del
1889 e di l a poco introdotto in molte cave (a Carrara comparve nel
1895) esso era basato sullutilizzo di tre fili di acciaio, avvolti a spirale. Dovevano essere abbastanza lunghi (1 Km circa) da formare un
grande anello, tenuto in tensione da pulegge che lo facevano scorrere, mentre si abbassavano gradatamente sulla roccia. Il filo trascinava una miscela di acqua e sabbia silicea che provocava una progressiva abrasione della pietra. Questo sistema non era adatto per
le rocce molto dure, oppure per lardesia, troppo fine, e perci facile
a impastarsi.
Pi recentemente stato soppiantato dal filo diamantato, una lega
metallica che contiene granuli di diamante industriale.
54
17- La discesa dei blocchi da una cava tramite lizzatura(da DONATI 1990,
ridisegnato da Zanella 1999)
Aurora Cagnana
55
ai lati della quale si trovano ancora i fori usati per i pali dove venivano avvolte e fatte scorrere le funi destinate a frenare le slitte. Nelle
cave di marmo di Carrara la lizzatura stata in uso fino a epoche
recenti.
In pianura il trasporto dei blocchi (o dei semilavorati) necessitava invece di sistemi di traino; nellantico Egitto, essi erano effettuati tramite slitte trascinate dalla forza di centinaia di uomini, mentre nellantichit classica e nelle epoche successive veniva generalmente impiegata energia animale.
Un mulo non pu
trasportare pi di kg.
150 di materiale (vale a
dire non pi di due blocchi di cm 20x25x50
circa), mentre un paio
di buoi in grado di
trainare un carro con
un carico di circa 800
chilogrammi; il trasporto di pesi maggiori era
reso possibile moltiplicando gli animali aggiogati. Un tale sistema
era certamente in uso
presso gli antichi greci:
18- Carri per il trasporto del marmo a
lo studio della nota epiCarrara, agli inizi del secolo
grafe che registra i conti
per la costruzione del
portico del telesterion di
Eleusi (I.G.II, 1673 datata al 333/332 a.C.), ad esempio, documenta
limpiego di 27-40 coppie di buoi per ogni viaggio. Dalle testimonianze iconografiche offerte da modellini in terracotta, stato possibile
ricostruire laspetto dei carri per trasporti pesanti usati sia dai greci
che dai romani: erano formati da quattro ruote piene e dotati di un
piano orizzontale in legno; i carichi potevano esservi posti superior-
56
Aurora Cagnana
57
58
Aurora Cagnana
59
direttamente a contatto col percussore si comprime e si rilascia trasmettendo londa alla materia posta a fianco. Nelle rocce tenere un
solo passaggio pu rompere subito tutti i legami, mentre in quelle
tenaci e poco sfaldabili una buona parte di essi resiste alla percussione. Di conseguenza quanto maggiore la tenacit delle rocce, tanti pi
colpi, ripetuti nello stesso punto, saranno necessari per spaccarla.
Poich le rocce sedimentarie e quelle metamorfiche sono caratterizzate dalla presenza di piani preferenziali di divisibilit (cfr. I.2.), la
lavorazione a spacco pi conveniente sempre quella parallela a tali
piani.
Le murature identificabili con lopus incertum descritto da Vitruvio
(che, anche dopo let augustea, dovevano essere molto pi diffuse di
quanto non si creda), erano formate da pietre lavorate a spacco, in corrispondenza del verso o di un pelo. Tale operazione non richiedeva
un lapicida specializzato, ma poteva essere svolta anche da un semplice garzone; essenziale era invece labilit del muratore per il lavoro
di posa in opera, quello cio che garantiva la statica del muro.
Le strutture in pietre lavorate a spacco tornarono ad essere assai
in uso in et postmedievale, anche perch erano solide, pur essendo
prive di qualit estetiche; laspetto disordinato dei muri era generalmente nascosto da rivestimenti intonacati e affrescati.
Oltre che per le pietre da muro la lavorazione a spacco era adatta
anche per la produzione di lastre; nellardesia ligure, ad esempio, un
solo colpo, provocato (nella direzione del verso) con una sbarretta di
ferro su una lama dacciaio detta scalpella, era sufficiente a dividere la roccia in un blocco di cm 60 x 60. La citata immagine del 1838
che riproduce fedelmente le operazioni di estrazione dellardesia (cfr.
Fig. 5), mostra che, in questo caso, la lavorazione a spacco era effettuata in cava, forse per ridurre il peso del trasporto.
Anche le tessere dei mosaici venivano ottenute spaccando con colpetti decisi piccole lastre, precedentemente tagliate nella direzione del
verso.
Con una lavorazione a spacco si poteva anche frantumare la pietra
per ottenere pietrisco, da utilizzare per la produzione di calcestruzzo,
oppure come inerte nelle malte (cfr. III. 4).
La sbozzatura rappresenta uno stadio di lavorazione pi complesso. Pu essere effettuata con strumenti a percussione diretta, come
mazzuoli o picchi dal manico corto, usati al posto delle punte, oppure
da strumenti a percussione indiretta, per lo pi punte, battute da
60
Aurora Cagnana
61
mazzuolo: una mano percuote, laltra aggiusta il tiro. I colpi non devono essere perpendicolari, per non provocare onde di compressione che
non fuoriescono pi dalla pietra, e ne rompono alcuni legami interni i
quali, col tempo, possono provocare nella roccia fratture parallele alla
superficie. una lavorazione che procede gradualmente, con piccoli
colpi molto inclinati, tali da provocare fratture localizzate; ciascuno fa
partire una scheggia di pochi centimetri.
In cava il lavoro di sbozzatura poteva essere effettuato per regolarizzare i blocchi estratti (che comunque mantenevano superfici irregolari) ed eliminare spigoli troppo a rischio nei trasporti. Oppure poteva servire ad adeguare la geometria a quella del manufatto finale. In
cantiere venivano invece preparati tramite sbozzatura i blocchetti
lapidei da impiegare nelle murature a corsi orizzontali.
Rientrano in questa categoria i blocchetti costituenti le murature
che gli archeologi francesi definiscono petit e moyen appareil, a seconda delle dimensioni. Questo tipo di lavorazione era in uso sia in et
classica (opus reticulatum, e vittatum) sia in et medievale (cosiddetto filaretto).
In questo caso la lavorazione delle pietre doveva essere compito di
appositi sbozzatori che dovevano disporre di materiale estratto da
cava, oppure di sistematiche raccolte di ciottoli, di grandezza ben selezionata.
La squadratura invece unoperazione assai complessa, che richiede una specializzazione artigianale maggiore. Permette di ottenere
blocchi, anche di grandi dimensioni, della forma di regolari parallelepipedi; la loro realizzazione necessita di apposite forniture di cava e
pertanto, a differenza delle prime due, non pu essere effettuata su
materiale raccolto, soprattutto quando si tratta di grandi quantit.
Per la squadratura si usano per lo pi strumenti a percussione indiretta, che consentono di praticare una scheggiatura localizzata; con le
rocce tenere si possono usare per anche strumenti a percussione
diretta.
Per la riquadratura delle pietre sono necessarie delle righe, con le
quali si misurano e si individuano le superfici, e delle squadre, indispensabili per produrre elementi con angoli di 90. Ci spiega perch
proprio questi oggetti sono sovente rappresentati nelle lapidi funerarie di scalpellini. Questi ultimi dovevano evidentemente conoscere,
oltre ai caratteri delle rocce e alluso degli strumenti, anche alcune
regole empiriche di geometria.
62
24- Successione delle operazioni necessarie per la riquadratura di un blocco: realizzazione del primo spigolo con scalpello e mazzetta; traguardo
(dopo aver individuato il secondo spigolo con la squadra da 90) per lindividuazione del terzo e quarto spigolo; spianatura della faccia cos delimitata (con punta, o gradina, o martellina); ribaltamento del blocco e individuazione del secondo spigolo della seconda faccia con la squadra da 90
(disegno di Zanella 1999)
significativo constatare come, nella terminologia usata per indicare le murature in conci squadrati, venga appunto sottolineato, in
ogni epoca, laspetto della regolarit geometrica: saxum quadratum
infatti la definizione data da Vitruvio (De Arch. I,V, 8) e quadrato lapi de lespressione che ricorre in et medievale.
La squadratura di ogni singolo concio una lavorazione piuttosto
lunga, che nelle rocce semidure o dure pu richiedere anche sei-otto
ore di tempo. La prima operazione consiste nel realizzare il bordo
della prima faccia, usando scalpello e mazzuolo, in modo da ottenere
Aurora Cagnana
63
25- Una scena di cantiere, tratta da un manoscritto del XIII secolo, nella
quale sono raffigurati, alla base del muro in costruzione, alcuni scalpellini intenti a squadrare dei blocchi (da BINDING, NUSSBAUM 1978)
64
Aurora Cagnana
65
Cicli produttivi e gerarchie delle varie figure artigianali dellarte della pietra
(da MANNONI, 1993)
6. Modanature e sculture
Lavorazioni pi complesse sono alla base degli elementi pi elaborati: architravi, stipiti, cornici modanate, capitelli, rilievi, oppure vere
e proprie sculture a tutto tondo.
Gli strumenti necessari per la realizzazione di tali pezzi non sono
molto diversi da quelli utilizzati per lestrazione e per la squadratura
delle pietre: scalpelli, punte, gradine e relativi percussori; la differenza per costituita dalla loro vasta gamma dimensionale, necessaria
per ottenere anche i dettagli pi piccoli.
Altri strumenti utilizzati per la scultura sono il tornio (impiegato
per la pietra a partire dal XVII secolo) e il trapano. Questultimo era
gi in uso nella preistoria, per forare vaghi (o perline) da collana: era
costituito da affilate punte di selce, opportunamente fissate su unasticciola che veniva fatta girare velocemente fra le due mani.
Sfruttando questo principio in et classica vennero realizzati il trapano ad arco (o violino) e il trapano a corda, leggermente diversi per
il sistema di trasmissione del movimento. Entrambi erano infatti
costituiti da una punta fissata su unasta; nel primo caso per il movimento veniva prodotto arrotolando la corda attorno allasta e muovendo larco avanti e indietro; nel secondo, invece, il trapano era tenuto da un artigiano, mentre i capi della corda erano retti da un aiutante e mossi velocemente avanti e indietro; questo sistema richiedeva
66
limpiego di due persone anzich di una, ma permetteva una maggiore libert di movimento. In et medievale venne introdotto il trapano
ad asta, costituito ancora da uno scalpello inserito su unasta di metallo o legno, ma azionato con una traversa inserita orizzontalmente,
mossa dallalto verso il basso. Pi tardi venne introdotta la cosiddetta
trivella gallica, costituita da una manovella ad angoli retti, tenuta
con due mani.
Per la levigatura delle superfici si usavano invece raspe e materiali
Aurora Cagnana
67
68
Aurora Cagnana
69
28- Esempi di trapani da scultura: ad arco, ad asta, a corda e trivella gallica (disegno di Zanella 1999).
Luso di modelli in argilla o in gesso era indispensabile per la scultura a tutto tondo; ripensamenti, ritocchi, trasformazioni, impossibili
da realizzarsi con la pietra, erano invece permessi con questo genere
di materiali. Solo quando il modello era pronto poteva essere trasferito nella pietra, con le stesse dimensioni o in scala maggiore. Era questo un lungo lavoro che si basava su sistemi di misurazione tridimensionali, necessari a riportare le proporzioni e le fattezze del modello
con precisione. Leon Battista Alberti, ad esempio, descrive un sistema
complesso per ricopiare il prototipo di una figura a tuttotondo, basato
su una ruota graduata, da porre sopra la statua, per poi misurare tutti
gli angoli e le distanze fra i punti salienti.
70
29- Uno scultore in atto di effettuare le scanalature di un sarcofago strigilato, usando un trapano a corda azionato dal garzone (da ADAM 1989)
Aurora Cagnana
71
72
Aurora Cagnana
73
74
Aurora Cagnana
75
76
Aurora Cagnana
77
I sali solubili che producono le efflorescenze possono essere disciolti nel suolo, come i nitrati, o nei materiali stessi delle murature, come
i solfati. Nellatmosfera si trovano anche radicali liberi (ad esempio di
cloro, nelle zone vicine al mare); la pioggia sulle rocce carbonatiche
pu portare alla formazione di cloruro di calcio, ma si tratta di un
fenomeno molto lento, che tuttal pi agisce sulle tinte a calce.
Le rocce silicatiche sono invece soggette a un tipo particolare di
alterazione chimica, che viene definito caolinizzazione (cfr. II.1). In
questo caso lacqua agisce come solvente chimico sui feldspati; non
in grado di sciogliere i legami covalenti che uniscono la silice e lallumina, e che sono molto resistenti, ma pu asportare gli atomi di sodio
(Na) e di potassio (K), uniti agli atomi di ossigeno attraverso legami
ionici. Se una molecola di silicato cede un atomo di sodio o di potassio
e lo sostituisce con un ossidrile dellacqua (OH), si forma un nuovo silicato: la caolinite, un minerale argilloso, dotato di minore resistenza
meccanica (cfr. II.1).
La formazione della crosta nera non dovuta ad agenti naturali,
ma allinquinamento, che ha incrementato il fenomeno delle piogge
acide. Come noto, latmosfera contiene quantit sempre maggiori di
CO2, prodotte dai combustibili, che sono per lo pi generati da sostanze organiche fossili. Oltre alla CO2 il carbone fossile e il petrolio emettono nellatmosfera anche eccessive quantit di zolfo, originato
anchesso dalla fossilizzazione di antichi esseri viventi.
Lelevata quantit di CO2 d luogo alla formazione di acido carbonico (H2CO3), mentre lanidride solforosa (SO 2), combinandosi con un
atomo di ossigeno,produce anidride solforica (SO 3). Questultimo composto pu reagire con lacqua e dare origine allacido solforico (H2S04),
che altamente corrosivo. Tale reazione non pu avvenire, per, nellatmosfera, poich, anche per produrla in laboratorio, necessaria la
presenza di catalizzatori, costituiti per lo pi da metalli. Dunque lacido solforico che attacca i materiali lapidei carbonatici, non pu provenire direttamente dallatmosfera. La sua reazione col carbonato di
calcio produce il solfato di calcio biidrato (cio il gesso), che di per s
bianco. Il colore nero della crosta sembra quindi essere dovuto alla
presenza di carbonio non ossidato e di metalli dovuti allinquinamento atmosferico. Pertanto la formazione dellacido solforico non pare
avere origine sul materiale stesso, ma sembra favorita dai metalli, che
agirebbero da catalizzatori. Si inoltre osservato che la formazione
78
della crosta nera non avviene nelle zone sottoposte alla pioggia battente; infatti lazione fisica dellacqua (che ha un peso di un chilo a
litro) asporta il solfato e impedisce il ristagno, il quale consente le reazioni chimiche di solfatazione.
Tra i pi comuni tipi di agenti biologici si trovano invece batteri,
alghe, funghi e licheni. Alcune specie di licheni sono dannose, soprattutto per i carbonati; lazione di altre specie, invece, si limita alla formazione di patine superficiali (verdi, nere) che per non alterano
eccessivamente la materia.
Oltre a licheni ed alghe i materiali litici sono soggetti anche allattecchimento di muschi, muffe, piante erbacee e addirittura arboree.
Le piante superiori invece provocano problemi meccanici con il loro
ancoramento, dovuto alla penetrazione progressiva delle radici che poi
ingrossano producendo fratture.
8. Nota bibliografica
Alle rocce e alla loro estrazione e lavorazione viene dedicato ampio
spazio in vari manuali dedicati alla storia dei materiali da costruzione, come quello classico di DAVEY 1965, o i pi recenti e aggiornati di
POLATI, SACCO 1990 e di MENICALI 1992 (il primo pi incentrato sui
caratteri chimico-fisici e il secondo sugli aspetti storici). Per la classificazione genetica e composizionale delle rocce, oltre ai manuali correnti di Scienze della Terra, assai utile la lettura del breve saggio di
MANNONI 1986. Sui caratteri di durezza e tenacit, lavorabilit, resistenza meccanica, peso specifico, indici di porosit, dilatazione termica, ancora consigliabile la consultazione del classico manuale di litologia applicata di CALVINO 1963. Sui litotipi utilizzati tradizionalmente nelledilizia in Italia si veda il volume di RODOLICO 1953.
Della vastissima bibliografia riguardante le attivit estrattive
indichiamo qui solo alcuni dei lavori pi utili per acquisire una conoscenza di base. Un panorama generale delle pi antiche testimonianze di coltivazione della pietra si pu trovare in BROMEHEAD 1961; per
le cave dellantico Egitto si vedano gli studi di ENGELBACH, CLARKE
1930; WAELKENS 1990; WAELKENS, HERZ, MOENS, 1992; per la Grecia
antica ancora assai valido il testo di MARTIN 1965. Un esempio di diffusione dellopera quadrata di et ellenistica nel Mediterraneo occidentale stato magistralmente studiato da BESSAC 1980. Per lepoca
Aurora Cagnana
79
80
Aurora Cagnana
81
82
forma dovuta al reticolo cristallino, caratterizzato dalla sovrapposizione di strati di tetraedri di silice (SiO 2), strati di ottaedri di alluminio (Al 2O3) e strati di ossidrili (OH). Lalternanza di strati e interstrati si ripete periodicamente e caratterizza il reticolo cristallino
dei vari minerali argillosi, che si distinguono per lo spessore di strati e interstrati e per piccole differenze degli elementi che li costituiscono. I minerali argillosi presentano inoltre dimensioni piccolissime, inferiori ai due micron, a causa del fatto che il processo di caolinizzazione avviene contemporaneamente e in maniera diffusa su
ampie superfici; la ricristallizzazione in seguito allazione dellacqua
agisce perci su piccole porzioni di materia, creando piccoli individui
cristallini.
I pi frequenti minerali argillosi sono la caolinite, la montmorillo nite, lillite.
Le argille diventano plastiche al contatto con limitate quantit
dacqua, la quale penetra nei pacchetti di cristalli piani e sostituisce
i suoi legami polari a quelli intercristallini dei minerali. Di conse-
Aurora Cagnana
83
84
31- La sedimentazione alla foce di un fiume: successione di livelli sabbiosi (1) livelli sabbiosi pi fini (2) deposizioni limose (3) e argillose (4) (da
CUOMO DI CAPRIO 1988)
Aurora Cagnana
85
86
Aurora Cagnana
87
tori ceramici era invece utilizzato il tornio, lento oppure veloce, cio
azionato da un pedale.
I mattoni, le mattonelle, le tegole e i coprigiunti (o coppi) e i mattoni sagomati venivano invece foggiati a stampo, utilizzando appositi
telai di legno, privi del fondo, in modo da agevolare lestrazione delloggetto modellato. Limpasto di argilla veniva premuto a mano entro
lo stampo e la superficie superiore veniva poi spianata. Per la produzione di tegole occorreva applicare due fasce di argilla lungo i lati lunghi, premendole e modellandole poi a mano in modo da ottenere le
alette laterali rialzate. I coppi erano invece ottenuti appoggiando le
lastre rettangolari di argilla su un pezzo di legno semicilindrico, dal
quale prendevano la forma.
I laterizi decorati erano ottenuti attraverso stampi o matrici in
ceramica, che recavano il disegno in negativo.
Una volta foggiato, il prodotto doveva essere fatto essiccare in
ambienti asciutti, ma necessariamente allombra: mai al sole (contrariamente a quanto spesso si legge), perch ci avrebbe provocato un
88
34- Vari tipi di cassette lignee, prive del fondo, usate per la foggiatura di
mattoni di diverse forme (da MENICALI 1992)
ritiro differenziato tra le parti esterne e quelle interne, e avrebbe causato crepature nel prodotto.
Con lessiccazione largilla perde lacqua posta fra le microlamelle,
detta di imbibizione, che evapora, e subisce pertanto un ritiro di volume. Tale acqua, necessaria -come si scritto- per conferire la plasticit dellargilla, ne causa infatti un aumento di volume fino al 30%;
aumento che pu per essere limitato (entro il 15%) dalla presenza
dello scheletro. In seguito allessiccazione i pacchetti di minerali argillosi, compattati fra loro, consentono al materiale di raggiungere una
discreta resistenza alla compressione, non diversa da quella di certe
malte.
La perdita dellacqua di imbibizione un processo reversibile, in
quanto essa pu essere nuovamente addizionata allargilla.
Aurora Cagnana
89
90
Aurora Cagnana
91
38- Resti di muratura in adobe, dagli scavi della citt romana di Lepida
Celsa, presso Saragozza
92
Aurora Cagnana
93
94
Aurora Cagnana
95
96
Aurora Cagnana
97
98
dola con un ulteriore strato di argilla fine, molto diluita. Queste operazioni consentono di aumentare la resistenza allacqua e di ridurre la
porosit esterna, dopo la cottura.
Aurora Cagnana
99
vaso essiccato, la cottura doveva raggiungere temperature tali da sinterizzare i minerali della vernice stessa, ovvero a portarli a una temperatura compresa fra gli 800C e i 900C, in seguito alla quale la
barbotina cambiava colore. Essa poteva assumere un rosso corallino
(dovuto alla trasformazione del ferro delle argille in ematite, o ossido
ferrico; Fe2O3), oppure nero, (dovuto alla trasformazione del ferro
delle argille in magnetite, o ossido ferroso-ferrico FeOFe2O3). La
variet di tale esito dipendeva dal tipo di cottura, che, se ossidante,
dava luogo alla formazione dellossido ferrico, se riducente, dava origine alla magnetite. In altre parole le barbotine sinterizzavano nel
senso che il ferro si riorganizzava in cristalli lucenti di magnetite
oppure di ematite. Labilit dei ceramisti consisteva nel saper controllare latmosfera di cottura, ovvero la quantit di ossigeno presente nel
forno ad alte temperature. Le superfici esterne dei vasi acquistavano
cos una lucidit che le rendeva riflettenti e impermeabili, anche in
assenza di un vero e proprio rivestimento vetroso.
Queste tecniche erano gi conosciute dai Cretesi e dai Micenei, ma
vennero particolarmente perfezionate dai greci di et storica. Se
relativamente facile comprendere come si potessero ottenere superfici
interamente rosse o interamente nere, attraverso i meccanismi
descritti, pi difficile riuscire a capire come si ottenessero superfici
con due diverse colorazioni, vale a dire come si producessero i vasi a
figure nere su sfondo rosso, oppure i famosi vasi attici a figure rosse
su sfondo nero, nei quali era evidente una perfetta padronanza di questo tipo di tecnica. Di recente si compreso che i ceramisti greci dellet classica giocavano molto sui diversi tipi di cottura (ossidante e
riducente) applicati su uno stesso vaso; per poterla controllare meglio
cuocevano un vaso per volta. Se si cercava il fondo rosso, si faceva una
prima cottura ossidante e quando questa era ultimata si dipingevano,
col pennello immerso nella barbotina, le figure; queste ultime diventavano nere con la seconda cottura in ambiente riducente. Quando il
ferro cristallizza in ematite o in magnetite si creano composti stabili,
che non cambiano subito, anche se entrano in un nuovo ambiente.
Pertanto, se il fondo del vaso era gi sinterizzato in rosso (cio se si
erano gi formati cristalli di ematite), la seconda cottura riducente
non faceva in tempo a riorganizzare i cristalli per trasformarli in quelli di magnetite. Di conseguenza se la seconda cottura avveniva velocemente, non era in grado di alterare gli esiti della prima.
Con le vernici sinterizzate si otteneva un ottimo risultato estetico,
ma anche una buona impermeabilit del vaso.
100
Aurora Cagnana
101
rivestimento (cfr. II.7.). In particolare venne utilizzata per la produzione di ceramiche policrome, nelle quali la decorazione colorata, ottenuta con laggiunta di ossidi metallici alla vetrina, veniva valorizzata
per la presenza, tra vetrina e corpo ceramico, di un ingobbio bianco,
caolinico, applicato sulloggetto crudo. Questo sistema era usato anche
per ottenere le ceramiche graffite, diverse dalle ingubbiate e dalle
invetriate policrome, in quanto decorate (oltre che col colore) anche
mediante incisioni praticate sullingobbio a crudo, prima dellinvetriatura. In entrambe i casi lingobbio bianco sottostante rivestiva unicamente una funzione estetica.
Le terraglie sono invece prodotti ceramici a corpo bianco, realizzato cio con caolino e con scheletro bianco (calcite, generalmente) che
mantiene tale colore anche in seguito alla cottura. A differenza della
porcellana, caratterizzata anchessa da corpo bianco, ma vetrificato, la
terraglia non subisce una cottura superiore ai 900C, anche perch a
tali temperature la calcite si scomporrebbe e perderebbe il suo stato
cristallino. Di conseguenza non si raggiunge la fusione del quarzo, e il
prodotto non impermeabile, ma dotato di un rivestimento applicato,
vetroso e trasparente, detto cristallina, che lo rende impermeabile.
La terraglia venne prodotta per la prima volta in Inghilterra, nel
1745-47, allo scopo di mettere in commercio un prodotto molto simile
alla porcellana, ma molto pi a buon mercato. Inizialmente veniva
decorata con pittura a mano. Nel corso del XIX e del XX secolo, quando queste ceramiche conobbero una grande diffusione, ricevettero una
decorazione applicata a decalcomania, ottenuta con un procedimento
meccanico molto pi veloce. I motivi decorativi venivano infatti realizzati su matrici e quindi stampati su fogli di carta, con pigmenti a
base metallica. La carta veniva applicata al biscotto, rivestito della
polvere della cristallina, che era poi mandato in seconda cottura, dove
bruciava, lasciando aderire al prodotto il pigmento. La terraglia
stata utilizzata in architettura per produrre piastrelle, bianche o decorate, e per i servizi igienici.
Le ceramiche smaltate, o maioliche, sono caratterizzate dalla presenza di un rivestimento vetroso, reso opaco con laggiunta di ossido
di stagno nella vetrina, secondo un procedimento usato anche nella
decorazione dei metalli, soprattutto per i prodotti di oreficeria. Per
opaco si intende, in ceramologia, un corpo non trasparente, cio che
non lascia passare la luce, anche se lucido in superficie.
102
Aurora Cagnana
103
104
Aurora Cagnana
105
106
Aurora Cagnana
107
niana che si sviluppa una manifattura laterizia su larga scala, finalizzata a realizzare intere opere portanti. Da questo momento in poi
gli edifici in mattoni sono destinati a moltiplicarsi, in molte regioni
dellImpero Romano. Realizzati in argilla alluvionale, porosa, priva di
rivestimento, i mattoni romani erano cotti in ottime fornaci, spesso
(anche se non sempre) ben distinte da quelle per la produzione di vasi.
Anche se il modulo rettangolare non era sconosciuto e se tuttaltro
che rari erano i pezzi triangolari o circolari, quelli quadrati erano decisamente prevalenti e le loro misure corrispondevano a multipli o sottomultipli del piede; fra le pezzature pi diffuse erano il pedale (col
lato di un piede, cio cm 29,6 X 29,6 ) il bipedale (col lato di due piedi,
cio cm 59,2 X 59,2), il sesquipedale (col lato di un piede e mezzo, cio
108
cm 44,4 X 44,4) e il bessale (col lato di due terzi di piede, cio cm 19,7
X 19,7). La forma quadrata rendeva necessaria la posa in opera con
due mani (e talora richiedeva anche due operai) per ciascun mattone;
in compenso le grandi dimensioni consentivano di usare i laterizi
come elementi passanti da parte a parte nel muro e perci tali da
legare le strutture troppo disomogenee, come quelle in blocchetti
lapidei, dove i lati esterni erano generalmente scollegati rispetto al
nucleo interno.
In et imperiale una vasta produzione di manufatti per ledilizia in
ceramica colorata, porosa, priva di rivestimento, ben attestata sia da
resti di edifici messi in luce dagli scavi, sia dallarchitettura sopravvissuta. In tale epoca luso dei laterizi si estende ad altre parti degli
edifici, come le pavimentazioni e le tubature, in virt delle propriet
di tenuta idraulica e di resistenza termica dei materiali ceramici.
Assai frequenti sono i resti di tubature, definite fistulae, incassate
nelle pareti e destinate allo smaltimento delle acque. Per gli impianti
termali era invece in uso un sistema di intercapedini, poste sotto i
pavimenti, che servivano a far circolare laria calda e che erano sostenute da pilastrini realizzati in apposite mattonelle (quadrate o circolari) dette suspensurae.
Luso di imprimere iscrizioni sui laterizi, dopo la foggiatura e
prima della cottura, attestato, con maggiore o minore intensit, dal
I secolo a.C. al VI sec. d.C. Lo studio delle migliaia di tipi di bollinoti,
avviato gi dallOttocento, costituisce un campo dindagine di notevole importanza per comprendere lorganizzazione della produzione, che
era basata su officine (figlinae) gestite da officinatores (imprenditori,
per lo pi di condizione libera) e da domini (proprietari delle cave di
argilla o, secondo alcuni studiosi, anche degli impianti). Molte figline
appartenevano al fisco imperiale o erano propriet personale degli
imperatori, che sovente figurano come domini nei bolli.
Con i secoli dellAltomedioevo la produzione di laterizi subisce un
vistoso tracollo: larcheologia dimostra infatti che anche gli edifici pi
importanti venivano sovente realizzati in mattoni o tegole di recupero, provenienti dal crollo o dallo smantellamento di edifici pi antichi.
Alle manifatture in impianti permanenti, saldamente regolamentate
dalle autorit pubbliche, si sostituirono rare produzioni occasionali,
spesso legate a cantieri monastici; ne sono esempio i mattoni altomedievali fabbricati nei cenobi di Novalesa (Torino), Montecassino
(Frosinone), Farfa (Rieti), San Vincenzo al Volturno (Isernia), casi
Aurora Cagnana
109
44- Lapide con indicazione in scala 1:1 delle misure imposte ai produttori
di mattoni dal comune di Assisi (1349)
110
Aurora Cagnana
111
pietra che venivano apposti sui muri dei palazzi pubblici e che recavano, in scala reale, le sagome e le misure che dovevano avere le cassette per la foggiatura dei laterizi messi in commercio. La validit di
tali norme era limitata ai confini dei vari stati territoriali, e tale rimase fino alla fine dellAntico Regime.
Tuttavia, se si esaminano le dimensioni dei mattoni di una muratura omogenea, provenienti cio da ununica fornitura, si riscontra
un notevole divario di dimensioni (nello spessore, nella larghezza,
nella lunghezza) che possono presentare differenze anche superiori a
un centimetro. Ci dovuto a vari fattori, fra i quali il pi importante il diverso ritiro dellargilla, durante la cottura, che causa le differenze visibili nei prodotti finiti, provenienti da ununica infornata.
Tali differenze non potevano n essere previste n essere eliminate
dai fornaciai. La lettura dei testi legislativi dimostra come vi fosse
una precisa conoscenza di questo fenomeno: alcuni capitoli della corporazione dei produttori di mattoni di Savona del 1598, ad esempio,
fanno riferimento alle frodi commesse nella bont, ossia in buona
fede, e sembrano riferirsi proprio ai problemi del ritiro dellargilla
durante la cottura.
stato provato che se si dispongono su un grafico i valori delle
dimensioni dei mattoni di ununica produzione, le differenze di misure dei singoli pezzi tendono a formare una curva a campana, o gaussiana che appunto caratteristica delle variazioni che non dipendono
da interventi volontari, ma dal caso. Il vertice della curva, corrispondente alla media,
la misura cui tendevano i produttori,
quella imposta dalla
legge e alla quale il
fabbricante cercava di
attenersi, nonostante
le piccole variazioni,
indipendenti dalla sua
volont.
Lo studio delle
46- La curva a campana, o gaussiana, che
dimensioni
dei mattoni
rappresenta le piccole differenze di misure
ha
inoltre
provato
che
riscontrabili su mattoni coevi, dovute a
tali medie tendono a
variazioni casuali
112
Aurora Cagnana
113
za allurto. forse per questo che non compaiono mai nelle pavimentazioni degli esterni, dove si usavano invece i mattoni e soprattutto
quelli pi refrattari e duri, come si visto.
Nei piani nobili si notata una maggiore ricercatezza delle pavimentazioni, ottenuta intervallando mattonelle ottagonali con laterizi pi piccoli, quadrati, talvolta rivestiti di coperte colorate in smalto verde, blu, o
nero. Limpiego di materiale ceramico per i pavimenti era spesso preferito al marmo poich offriva un maggiore isolamento termico.
Anche luso di tubature incassate nei muri riprende in piena et
medievale, quando, soprattutto nelle aree urbane, vengono prodotte
appositamente a questo scopo condutture in ceramica a corpo colorato, poroso, impermeabilizzate con una coperta costituita da vetrina
piombifera, stesa solo sulla superficie interna e di colore verde o
bruno. A Genova questo sistema rimane in uso anche in et moderna,
quando si moltiplica limpiego delle tubature invetriate, definite trom bette nei documenti darchivio e costituite da varie parti, incastrabili
fra loro, grazie alle misure decrescenti del diametro.
Accanto ai diversi tipi di laterizi finalizzati alle parti strutturali,
fin qui descritti, non minore importanza riveste la produzione di
manufatti ceramici destinati alle decorazioni dellarchitettura, che
hanno una storia altrettanto antica.
Fregi di terrecotte figurate ornavano i principali edifici greci ed
etruschi fin dallepoca arcaica. Singole lastre foggiate a matrice venivano applicate con chiodi in ferro alle travature e avevano il duplice
scopo di proteggere le strutture lignee del tetto e di costituire lunghe
fasce decorate. Lo studio di alcuni contesti di terrecotte architettoniche dellEtruria ha dimostrato luso di due tecniche artistiche: una
detta a ritaglio (usata in particolare per gli acroteri di epoca arcaica)
che consisteva nel modellare i pezzi a crudo uno ad uno, utilizzando
un coltello in modo da praticare dei motivi a traforo; unaltra tecnica,
pi veloce, era invece basata sulluso di matrici in ceramica. Dopo lessiccazione i pezzi venivano rivestiti con un ingobbio di argilla depurata e diluita, stesa a pennello e quindi sovradipinti in bianco, (con caolino), in rosso, in marroncino, in nero (con argille ricche di ferro) e
quindi mandati in cottura.
Anche le statue acroteriali collocate sul colmo dei tetti venivano
ottenute con luso di stampi, erano svuotate internamente in modo da
essere pi leggere. La produzione di ceramiche per la decorazione
architettonica (o coroplastica) di tradizione etrusca continu per tutta
114
Aurora Cagnana
115
116
Aurora Cagnana
117
47- Piastrelle a forma di croce e stella (sec. XIII) rinvenute negli scavi del
monastero di San Fruttuoso di Camogli (Genova)
118
Aurora Cagnana
119
120
Aurora Cagnana
121
122
Aurora Cagnana
123
124
bonatiche, ovvero calcari. Molto adatti erano quelli puri, cio con alto
contenuto di carbonato di calcio, costituito per lo pi dalla calcite
(CaCO3), che in alcune formazioni pu anche trovarsi in quantit pari
al 95%.
In alcune circostanze vennero utilizzati anche i marmi, originati
dal metamorfismo dei calcari (cfr. I.1.), e nei quali il carbonato di calcio pu rappresentare il 98-99% della roccia; tuttavia essi sono poco
adatti alla produzione di calce, perch macrocristallini. Anche i calcari meno puri, contenenti cio piccole quantit di quarzo, ossidi di ferro,
o minerali argillosi, venivano utilizzati, in passato, per la produzione
di leganti.
Un altro litotipo calcareo molto usato era la dolomia, anchessa
roccia sedimentaria di origine chimica, costituita da carbonato di calcio e magnesio (CaMg (CO3)2). Non molto diversi sono i calcari dolomitici, rocce intermedie fra i calcari e le dolomie, nei quali, a differenza della dolomia, il rapporto calcio-magnesio non sempre pari a
1:1, ma la quantit di calcio maggiore; in pratica si tratta di litotipi
formati da calciti, dove il magnesio sostituisce una parte del calcio.
2. I sistemi di estrazione
Rispetto alle cave di pietra da taglio, che dovevano fornire blocchi
grandi, regolari e senza difetti, quelle per la pietra da calce, erano
basate su procedimenti assai meno complessi. Le cave erano sempre
organizzate a gradoni, con un fronte e un piazzale, ma per lestrazione non si operavano i faticosissimi e regolari solchi delle tagliate a
mano, ma si cercava di sfruttare ogni difetto, ogni crepatura o fratturazione naturale. I massi potevano essere distaccati dalla roccia
madre con picconi e leve o con cunei infissi a martello nelle fessure.
Dopo il distacco le pietre venivano fatte rotolare sul piazzale, per essere ridotte in frammenti minori.
Appena estratte avevano perci forme irregolari; le dimensioni
potevano essere diverse, tuttavia non troppo piccole, n troppo grandi, in modo da agevolare le operazioni di trasporto: la lunghezza idea le non superava i 20-30 centimetri.
Dalla fine del XVII secolo nelle cave per pietra da calce stato
introdotto massicciamente luso di esplosivi, proprio perch non vi
erano precauzioni di rovinare il materiale e tutto il prodotto estratto
poteva essere utilizzato.
Aurora Cagnana
125
126
me, perci non ha bisogno di inerti. Lunico inconveniente che presenta quello di essere molto igroscopico, vale a dire che allo stato microcristallino assai poroso e perci assorbe acqua la quale tende, col
tempo, a polverizzarlo. Per questo il suo uso era maggiormente adatto nelle regioni con climi caldi, oppure negli interni.
Come legante fu utilizzato dagli Egizi, dal terzo millennio a.C., (si
trova ad esempio nelle piramidi di Gizah e nelle tombe di Saqqara) e
in et minoica. In seguito venne utilizzato assai pi per gli intonaci e
per gli stucchi (cfr. III.7.) che per lallettamento delle pietre nei muri.
4. La calce: cottura, spegnimento, impasto, presa
Le malte sono miscele costituite da legante di calce, sabbia aggiunta come aggregato (un tempo chiamato inerte) e da acqua. Al contatto
con la CO2 dellaria il legante indurisce, diminuendo di volume e
diventando consistente, pertanto un materiale particolarmente
adatto come impasto per lallettamento delle pietre nei muri.
Nella classificazione tecnologica, la distinzione fondamentale va
fatta fra malte aeree, nelle quali il legante fa presa con laria, e malte
idrauliche, che possono far presa anche in assenza di aria, come
sottacqua (cfr. III.5.).
Unaltra distinzione viene fatta, in base alla composizione chimica
dei leganti, fra calci grasse e calci magre: le prime si ottengono dalla
cottura di calcari, le seconde dalla cottura di dolomie o di calcari dolomitici, e perci vengono dette anche calci magnesiache.
Occorre non confondere il concetto di calce grassa o magra con
quello di malta grassa o magra: le malte grasse contengono infatti
maggiori quantit di legante, mentre quelle magre ne hanno percentuali minori. Si possono cos avere, ad esempio, malte grasse di calce
magra, o viceversa.
La preparazione delle calci aeree grasse si ottiene in seguito alla
cottura a 900C di pietre calcaree. A tale temperatura il carbonato di
calcio si trasforma tutto in ossido di calcio (CaO) o calce viva, con
emissione di anidride carbonica, che si disperde nellatmosfera.
CaCO3 + 900 = CaO (calce viva) + CO2
Aurora Cagnana
127
128
129
Aurora Cagnana
% AGGREGATO
75-80%
65-70%
50%
130
Aurora Cagnana
131
132
Aurora Cagnana
133
134
Aurora Cagnana
135
stato sistematico, dal XII secolo in poi, e non solo per le murature, ma
anche per i rivestimenti esterni e per le opere idrauliche. Il loro ottimo stato di conservazione, che contrasta con i giudizi negativi dei
manuali, ha fatto supporre che la scelta dei calcari dolomitici non sia
stata casuale, ma dettata da una precisa volont. Si consideri, ad
esempio, che larea tradizionale per la produzione delle calci, (descritta pi sopra), posta in corrispondenza dellunico affioramento di calcari magnesiaci esistente nei dintorni di Genova. Si pu persino ipotizzare che a introdurre luso della calce magnesiaca siano stati i
Magistri Antelami, (corporazione di costruttori lombardi attiva a
Genova fino alla caduta dellAntico Regime) esplicitamente citati nel
pi antico atto notarile relativo alla produzione di calce, redatto nel
XII secolo. Che i maestri lombardi prediligessero la dolomia daltra
parte emerso da un recente studio condotto sulle cave medievali della
zona dei laghi di Varese, dove, fra le varie formazioni calcaree presenti
136
51- Operazione di spegnimento della calce viva con acqua e formazione del
grassello (da una miniatura del XV secolo conservata a Vienna, sterreichische Nationalbibliothek)
Aurora Cagnana
137
138
Aurora Cagnana
139
moli del porto di Genova, purtroppo demoliti in occasione delle manifestazioni colombiane del 1992. Indagini sul costruito, effettuate
parallelamente allesame delle fonti archivistiche e alle analisi di
laboratorio dei leganti, hanno dimostrato che a Genova limpiego della
pozzolana, come additivo per ottenere malte idrauliche, non attestato prima del XVII secolo. Anche nella documentazione scritta, la
prima citazione di questo materiale si trova in un documento del 1612,
proveniente dallArchivio dei Padri del Comune. Prima di tale epoca le
malte per la costruzione dei moli e delle banchine erano ottenute,
nella maggioranza dei casi, con aggiunta di caolino, argilla primaria
bianchissima (cfr. II.2.). Si pensi che nelle fasce di battigia dei ponti
del XIV-XV, dove cio il degrado del muro era particolarmente avanzato, a causa dellazione chimica, fisica e meccanica del mare e dei
molluschi litofagi, i giunti di malta idraulica a base di caolino hanno
resistito meglio della stessa pietra calcarea.
Il caolino veniva importato a Genova, insieme allallume, dai giacimenti laziali della Tolfa, dei quali i genovesi avevano il monopolio
nei secoli XV-XVI. Malte di questo tipo sono state rinvenute in molte
opere idrauliche, fra le quali lacquedotto pubblico, e sembra che il suo
impiego, protrattosi fino agli anni 30 del Novecento, abbia potuto
competere con la stessa introduzione del cemento Portland. Questa
lunga tradizione spiega perci la sopravvivenza del ricordo di tale
materiale presso alcuni costruttori genovesi che avevano appreso il
mestiere secondo i metodi tradizionali. Tali malte idrauliche venivano
da loro definite alla porcellana, forse perch questultima, come si
visto, prodotta appunto con il caolino (cfr. II.6). Come largilloscisto,
questo materiale doveva essere aggiunto allinerte dopo la cottura, in
modo da favorire la disgregazione dei cristalli dei minerali argillosi e
quindi la combinazione di silice e allumina con il calcio.
Se limpiego di unargilla bianca al posto di additivi che conferiscono un colore rosato comprensibile, per motivi estetici oltre che funzionali, negli intonaci delle facciate, (per le quali luso della malta alla
porcellana ben documentato) pi problematico comprenderne il
significato nelle strutture marittime, destinate a non essere viste.
Non vi sono ancora spiegazioni accettabili sulle ragioni di una tale
scelta, cos come non dato conoscere quali origini abbia questa particolare formula, alternativa a quella delle malte alla pozzolana, tipiche della tradizione romana. stata avanzata lipotesi di una sua origine orientale, ma troppo scarno il panorama degli studi e delle analisi per poter formulare spiegazioni sicure.
140
Aurora Cagnana
141
142
morino. Fra questi due materiali la calcite macinata era migliore, perch, a differenza del marmo, costituita da cristalli tabulari.
Luso di rifinire le superfici murarie con diversi strati di intonaco a
base di calce e sabbia attestato con certezza in alcune citt dellantica Grecia: a Delo si sono riscontrate pareti rivestite da due, tre,
quattro e talora cinque strati di intonaco; spesso nel rinzaffo si trovava anche del cocciopesto. A Priene vi sono attestazioni delluso di tre
strati di intonaco, lultimo dei quali presentava un inerte costituito da
polvere di marmo.
Dei rivestimenti parietali parla diffusamente anche Vitruvio (De
Arch. VII, 3), che raccomanda luso di ben sette strati, indicazione che
per non pare aver trovato riscontri archeologici, dato che, generalmente, i rivestimenti di epoca romana sono costituiti da 3 a 5 strati e
solo eccezionalmente se ne sono riscontrati sei. Alcuni cantieri incompiuti, come quello celebre della casa del Criptoportico di Pompei,
Aurora Cagnana
143
144
Aurora Cagnana
145
serie di arriccio, arenino, intonachino, ciascuno steso su quello sottostante quando ancora fresco, ma non pi malleabile. La coloritura e lucidatura delle superfici piane si praticano sullultimo strato
(lintonachino a fresco), e prevedono una decorazione dipinta a finto
marmo, con pigmenti sciolti in acqua, una passata di sapone di
Marsiglia sciolto anchesso in acqua, e infine una lucidatura fatta
con una piastrina di metallo (scaldata a 65-70C), posta a contatto
con la superficie dellintonachino e continuamente mossa. La temperatura del metallo viene misurata empiricamente col dorso della
mano e raggiunge il calore adatto quando, a breve contatto con la
pelle, permette di avvertire il caldo senza scottarsi. Questa operazione rende la superficie sottostante lucida e riflettente, al punto che
difficile distinguerla dal marmo.
Un sistema simile documentato anche per la produzione dei
marmorini lucidi di Venezia, realizzati, analogamente a quelli di tradizione lombarda, passando sullintonachino saponato dei ferri dacciaio caldi, definiti ferri da stiro.
Se il procedimento tecnico ora sufficientemente noto, la spiegazione chimico-fisica di questo meccanismo non invece altrettanto
chiara; probabile che il calore della piastra acceleri la carbonatazione dellintonachino e impedisca ai cristalli di crescere oltre un certo
limite; in questo senso il metallo caldo bloccherebbe la crescita dei
romboedri della calcite, ottenendo tante facce complanari poste sulla
superficie esterna, che diventa perci riflettente.
7. Gli stucchi
Col termine stucco si indica un particolare tipo di decorazione
parietale in rilievo, realizzata in materiale plastico bianco, eventualmente colorato con pigmenti, che indurisce allaria. importante
ricordare che tale definizione non si riferisce a un materiale preciso,
dato che gli stucchi possono essere realizzati con leganti derivati da
rocce solfatiche oppure carbonatiche; solo con adeguate analisi di laboratorio pertanto possibile stabilire lesatta natura geologica e chimica di ogni manufatto.
Le tecniche di lavorazione del materiale possono essere di due tipi:
modellamento a mano oppure formatura entro stampi; in entrambe i
casi i particolari vengono aggiunti successivamente, adoperando spatole di varie dimensioni.
146
Aurora Cagnana
147
148
Aurora Cagnana
149
150
Aurora Cagnana
151
La tradizione dei pavimenti in signino conobbe una curiosa continuit a Venezia, dove, dalla fine del XV secolo, essi presero il nome di
terrazzi, forse perch realizzati in preferenza nelle logge esterne delle
ville. La loro posa in opera, arte in cui i veneti rimasero a lungo degli
specialisti, ricordata dalle fonti trattatistiche rinascimentali e dai
commentatori veneziani di Vitruvio; essa prevedeva la preparazione
di un impasto ben battuto di calce, cocciopesto, ghiaia, talora arricchito con scaglie di marmi. A partire dal XVI secolo e soprattutto nel
corso del XVII e del XVIII secolo la tecnica dei terrazzi alla veneziana,
detti anche seminati, si diffuse fuori dellarea veneta, in tutta lItalia
settentrionale e anche in Francia, come provano numerose fonti scritte e diverse testimonianze materiali.
9. Principali cause di degrado
Sugli intonaci lacqua piovana battente esercita unazione meccanica: pu infatti asportare particelle superficiali e provocare solcature
o fenomeni di ruscellamento. In corrispondenza di ganci di ferro, pu
causare la formazione di macchie e, se i ferri si gonfiano per la ruggine, pu provocare vere e proprie rotture.
Lerosione superficiale dellintonaco invece dovuta alla bicarbonatazione del legante. Questo tipo di degrado chimico avviene quando lacqua piovana, contenente anidride carbonica, non scorre, ma ristagna.
Molto dannosa anche lazione dellacqua che, per cause varie, circola allinterno dei muri. Essa fuoriesce in superficie per capillarit e,
se negli stucchi o negli intonaci esterni si trovano piccolissime cavillature (provocate dal ritiro del materiale), lacqua li attraversa e ne
aumenta le dimensioni causandone, col tempo, il distacco. Lacqua che
risale per capillarit dalle fondazioni del muro crea distacchi ad altezze precise, dove cio fuoriesce ed evapora; la sua risalita raramente
supera i 4 metri di altezza.
Talvolta si osserva sulle superfici intonacate la presenza di frattu razioni, non dovute a crepature originali, provocate cio dal ritiro del
materiale durante la presa, ma avvenute in un secondo tempo, e spesso dovute ai sali solubili, trasportati dalle acque circolanti nei muri e
depositati sotto lintonaco, provocandone lentamente il rigonfiamento
e poi il distacco. Se i sali vengono depositati in superficie si verificano
soltanto efflorescenze bianche.
152
Aurora Cagnana
153
154
Aurora Cagnana
155
IV. I COLORI
156
frangenza, tipico della maggior parte dei corpi solidi cristallini, i quali,
se penetrati da un raggio di luce lo sdoppiano, secondo due diverse direzioni; vale a dire che ad ogni angolo incidente corrispondono due angoli
rifratti. Il minerale con pi alta birifrangenza la calcite e tale propriet la causa del fenomeno per cui se un oggetto viene osservato
attraverso un cristallo di calcite, se ne vedono due immagini.
Si calcola che locchio umano sia in grado di distinguere circa quattromila colori; per poterli valutare e descrivere in maniera oggettiva
sono state elaborate, negli ultimi decenni, delle carte del colore che
consentono di definire ogni tonalit con un preciso codice. Si tratta di
libri costituiti da tavole, da utilizzare come termine di confronto,
sulle quali sono stati applicati dei colori ben precisi prodotti in laboratorio.
Le tavole sono state elaborate in base al principio che ogni colore
definito da tre attributi:
-la tinta, che indica i colori base (giallo, rosso, verde, ecc.), ovvero
le lunghezze donda della luce riflessa; locchio umano ne distingue
quaranta;
-la chiarezza, che indica la quantit di bianco e di nero presente nel
colore: fra il bianco e il nero assoluti possibile riconoscere una scala
di otto grigi;
-la saturazione, che indica la quantit di tinta presente in un dato
colore, in rapporto al bianco, al nero, o al grigio stabilito dal valore di
chiarezza: a seconda del valore di chiarezza e della tinta base, si possono riconoscere da cinque a undici livelli di saturazione.
Tutte le variazioni che locchio umano in grado di registrare si
possono classificare in base a queste tre variabili.
Nelle carte di colore sono riportate, per ogni tinta, tutte le possibili variazioni, incrociate e progressive, di chiarezza e saturazione, e ciascuna di esse contraddistinta da un codice alfanumerico. Il pi usato
il Munsell Book of Color nel quale le dieci tinte pi importanti sono
state divise in cinque principali (rosso; giallo; verde; blu; porpora) e
cinque intermedie (giallo/rosso; verde/giallo; blu/verde; porpora/blu;
rosso/porpora); a loro volta queste dieci tinte sono divise in quattro
intervalli uguali, raffigurabili su un cerchio.
Il codice che identifica un determinato colore composto da tre parti:
numero+sigla alfabetica /numero /numero
La prima indica la tinta, la seconda la chiarezza, la terza la satu-
Aurora Cagnana
157
158
Linstabilit dellassetto elettronico spiega anche la variet strutturale dei metalli: il ferro, ad esempio, pu essere bivalente o trivalente; nel primo caso riflette lunghezze donda corrispondenti al colore verde, nel secondo al colore rosso. A seconda dei composti che forma
con lossigeno, inoltre, pu assumere colori ancora differenti: nero
lossido ferroso-ferrico (magnetite); rosso lossido ferrico (ematite);
verde lossido ferroso; varie tonalit di giallo-arancio-bruno sono date
invece dallossido ferrico pi o meno idrato (limonite).
Il bianco, oltre che con la calce stessa (carbonato di calcio) poteva
essere ottenuto col carbonato di piombo (biacca). Altri minerali piuttosto usati erano la manganite e la pirolusite (ossidi di manganese),
che danno un rosso scuro violaceo, e il cinabro (solfuro di mercurio),
che da un rosso vermiglio, differente da quello del ferro.
Pi rari erano i materiali dai quali ottenere il blu, che si poteva
ricavare dallazzurrite (carbonato basico di rame), dagli ossidi di
cobalto, o dal rarissimo lapislazzuli (silicato di sodio, calcio e alluminio), minerale assai pregiato che si trovava principalmente in
Afganistan e che, per la sua lontana provenienza, veniva definito blu
oltremare.
Fra tutti questi pigmenti minerali quelli pi facili da ottenere
erano i composti del ferro, metallo piuttosto abbondante (rappresenta
circa il 5% della crosta terrestre), che si trova, oltre che nei giacimenti minerari, anche in altri composti, ad esempio in molti silicati che
costituiscono le rocce magmatiche basiche (cfr. I.1.). In seguito alla
loro alterazione, dovuta al fenomeno di caolinizzazione dei feldspati
che d origine ai minerali argillosi, il ferro finisce nelle terre alluvionali, trasportato dallacqua insieme alle argille. proprio il ferro,
combinato con lossigeno e accompagnato talora da altri metalli (come
il manganese), la causa della colorazione dei depositi argillosi che
altrimenti sarebbero bianchi (cfr. II.2.). Pertanto, per ottenere sostanze coloranti, era pi facile sfruttare queste concentrazioni di ferro contenute nei depositi alluvionali, che non estrarre il minerale. Ci spiega perch, tradizionalmente, molti colori venissero indicati col termine terra. La presenza del 10-12% di ferro in unargilla gi sufficiente per ottenere ottimi coloranti.
A seconda dei composti del ferro che contengono, le terre possono
fornire i colori rosso (dato dallematite), giallo arancio marroncino
(dato dalla limonite) e, assai pi raramente, verde (dato dalla glauconite e dalla celadonite).
Aurora Cagnana
159
160
poi raffreddare lentamente il composto; in tal modo si poteva provocare la cristallizzazione di silicati di calcio e rame, ottenendo cos un
minerale artificiale dal colore blu vivo.
Completamente diversi dai pigmenti, descritti fino ad ora, sono
invece le tinture, le quali provengono sempre da sostanze organiche
naturali e sono in grado, dopo essere state sciolte in acqua, di rendere colorate le fibre naturali con cui vengono a contatto: cellulosa,
legnina, cheratina, eccetera. Si usavano pertanto per colorare i tessuti, le pelli, o per dipingere su carta, ma non nelle costruzioni, perch,
se applicate a materiali inorganici, non coloravano ed erano instabili
alle radiazioni solari.
3. I pigmenti pi usati nellarchitettura
Lo studio dei pigmenti impiegati nelle pitture murali antiche ha
preso avvio da almeno due secoli, in seguito alla scoperta di Ercolano
e Pompei, e inizialmente era rivolto soprattutto alla identificazione
dei vari materiali usati in passato. con la ricerca archeologica pi
recente che tali analisi sono state finalizzate anche a considerazioni di
carattere cronologico ed economico, tese a chiarire, ad esempio, la provenienza, la diffusione sociale oppure i periodi di comparsa, utilizzo e
abbandono delle varie sostanze coloranti.
I ritrovamenti sui quali si possono basare indagini di questo tipo
sono costituiti sia dalle pitture murali, manufatti relativamente frequenti, sia dai pigmenti stessi, che, in casi piuttosto eccezionali, si
sono rinvenuti in sepolture, oppure negli scavi di botteghe o di cantieri antichi.
I primi pigmenti usati per la pittura parietale furono le ocre e il
carbone, il cui impiego attestato fin dal Paleolitico Superiore, come
dimostrano le indagini condotte nelle grotte di Altamira e di Lescaux,
risalenti a 15.000 anni fa.
Pi tardi, con la formazione delle prime civilt urbane in Mediooriente e in Egitto, aument la variet dei pigmenti organici e minerali e venne introdotto luso di quelli artificiali: la produzione del blu
egizio, ad esempio, comparve nel terzo millennio a.C. La recente scoperta, a Karnak, del laboratorio di un pittore vissuto nel XV secolo
a.C., ha permesso di riconoscere lutilizzo di diversi pigmenti: oltre
Aurora Cagnana
161
allocra gialla e rossa e al blu egizio, si sono individuati un verde ottenuto con la cottura di silicati e di ossidi di rame e un bianco prodotto
con la macinazione di conchiglie.
Recenti analisi effettuate su campioni di pitture murali provenienti
da Cnosso e Micene hanno attestato anche qui limpiego del blu egizio,
di terre a base di ossidi di ferro, di minerali locali, e di carbone. Nella
pittura greca la tavolozza dei pigmenti sembra essersi arricchita ulteriormente: per la decorazione delle tombe macedoni del IV secolo a.C.,
ad esempio, sono stati utilizzati un bianco formato da calcite e caolino,
il blu egizio e dei rossi ottenuti sia da ematite sia dal pi pregiato cinabro, del quale parla anche Teofrasto, e che sembra essere stato impiegato a partire dal VI secolo a.C. Esso compare anche nella decorazione
pittorica di alcune tombe etrusche di et ellenistica, accanto alluso dei
pi comuni ossidi di ferro, provenienti da ocre o terre. per in epoca
romana che il cinabro venne impiegato su larga scala; Plinio (Nat. Hist.
XXXIII, 118) ricorda che veniva estratto da miniere spagnole e importato a Roma, dove esistevano apposite officine per il lavaggio e la preparazione e afferma che la sua vendita era regolamentata e il prezzo
stabilito da unapposita legge. Plinio e Vitruvio ricordano anche la produzione del blu artificiale, denominato caeruleum aegyptium del
quale esisteva una celebre manifattura a Pozzuoli. I verdi, invece, potevano essere realizzati con materiali omogenei (malachite o terre verdi),
oppure tramite la sovrapposizione di blu e giallo.
Dei colori utilizzati in et romana alcune fonti antiche forniscono
anche i prezzi di mercato e in base a tali indicazioni sono state compilate utili tabelle, che permettono di quantificare i diversi costi di
produzione per i vari coloranti. Alcuni archeologi hanno dimostrato
che luso pi o meno abbondante di pigmenti ricercati e costosi pu
costituire un importante indicatore sociale nello studio delledilizia
privata. In questo senso interessante richiamare i risultati di una
ricerca effettuata su una domus del I. sec. d.C., posta in luce Aix en
Provence, nella quale si cercato di quantificare i tipi di pigmenti
usati per la decorazione ad affresco di due stanze e di compararne il
costo. emerso che, a parit di quantit di materiale, la spesa per i
pigmenti di una sala, affrescata con ampie campiture in rosso cinabro
separate da bande blu, deve essere stata da dodici a sedici volte pi
alta rispetto a unaltra, decorata a pannelli rosso ocra, separati da
bande nere. La differenza di investimento si spiegava evidentemente
con la diversa funzione dei due vani: aperto su unentrata a portico il
primo e su un giardino interno il secondo.
162
Lincidenza del costo delle diverse sostanze coloranti emerge inoltre nello studio delle pitture murali dellAltomedioevo, periodo in cui
la variet dei pigmenti sembra essersi decisamente ridotta; tale fenomeno pu essere osservato, ad esempio, per le tonalit azzurre, che in
relazione alle nuove tematiche religiose avevano acquistato unimportanza maggiore rispetto al passato. Se limpiego del blu egizio stato
accertato per gli affreschi di S.Maria Antiqua a Roma, o per i dipinti
carolingi dellabbazia di San Giovanni di Mstair, esistono casi, come
quello del Tempietto sul Clitumno, presso Spoleto, in cui la tavolozza
decisamente scarna e il pigmento azzurro addirittura assente. In
altri casi si riscontrato invece limpiego di un miscuglio di bianco
(calcite), di nero (carbone) e pochissimo rosso (ocra) che d limpressione di un colore blu grigiastro, utilizzato al posto dei pigmenti
azzurri e che viene denominato falso blu. Un simile espediente, per
far fronte alla mancanza di coloranti rari, stato recentemente riscontrato nei dipinti murali della cripta carolingia di Saint Germain
dAuxerre; in questo caso si osservato che la presenza di pochissimo
cinabro, (che non compare invece nelle parti rosse, eseguite con ocre)
evidentemente dovuta alla precisa esigenza di mescolarlo con il
bianco e il nero per ottenere il falso blu.
La decorazione della chiesa campana di S. Angelo in Formis, edificata alla fine dellXI secolo, costituisce uno dei pi antichi esempi di
uso del pregiatissimo oltremare. Questo minerale, gi noto ai romani e ai bizantini, si diffuse pi tardi anche nellEuropa occidentale e
fin per soppiantare lantico blu egizio.
A partire dal XIII e dal XIV secolo la gamma cromatica delle
sostanze coloranti torna ad essere molto ricca; oltre al lapislazzuli il
blu era anche ottenuto dallazzurrite, proveniente dalle miniere di
rame della Slesia e della Boemia e definita azzurro di Alamagna.
Anche per i verdi erano particolarmente impiegati i minerali di rame,
peraltro gi noti ai romani. Per i rossi, oltre alle onnipresenti ocre,
riprese ad essere usato stabilmente il cinabro. Nel Libro dellArte di
Cennino Cennini, della fine del XIV secolo, si trovano elencati e
descritti i numerosi pigmenti allora in uso, per i quali si precisa anche
il miglior modo di applicazione.
In diversi casi i colori, essendo molto costosi, erano forniti al pittore dai committenti e venivano indicati con precisione nei contratti
scritti, come in quello piuttosto famoso con cui si ingaggi Gentile da
Fabriano per la decorazione della cappella del Broletto di Brescia,
allinizio del XV secolo.
Aurora Cagnana
163
164
Aurora Cagnana
165
166
58- Procedimento a pontate orizzontali, seguito in epoca romana e continuato in et medievale per la realizzazione di un affersco parietale (da
ADAM 1989)
venivano poi dipinte le volute, che potevano riprendere lintera circonferenza, oppure ricalcarla solo in parte. I paesaggi, le nature morte
entro quadretti, o le grandi composizioni a tema nilotico non sembrano invece essere state precedute da disegni preliminari, ma paiono
piuttosto essere state eseguite a mano libera. I grandi pannelli figurati erano invece dipinti su porzioni murarie appositamente lasciate
in bianco durante la decorazione della parete; in questi casi attestato luso di disegni preparatori costituiti da linee di contorno dipinte
con fini pennelli intinti di ocra. Questo sistema, che secondo alcuni
studiosi sarebbe derivato dalla tradizione greca, sembra essere riservato soltanto alla realizzazione di tali quadri. Esso pu essere messo
in relazione con le sinopie, delle quali parla anche Plinio (Nat. Hist.
Aurora Cagnana
167
XXXV, 6), il quale ricorda come il nome prenda origine dalla citt pontica di Snop, celebre per le sue terre coloranti.
Ciascuna delle diverse figure artigianali menzionate nei testi antichi doveva essere specializzata in una sola operazione: il dealbator,
era forse laddetto alla stesura dellintonaco; il pictor parietarius, realizzava probabilmente le cornici formate da motivi ripetitivi, mentre
limaginarius, doveva curare lesecuzione delle scene figurate.
Nel corso dellAltomedioevo la tecnica dellaffresco non venne
abbandonata, ma semplificata: gli strati preparatori, ad esempio, si
ridussero di numero, gi a partire dalla tarda antichit. Dallo studio
delle decorazioni ad affresco conservate, soprattutto nei luoghi di culto,
sembra potersi desumere una sostanziale persistenza delle tecniche
168
tradizionali romane. Si continu, ad esempio, a suddividere le giornate di lavoro secondo fasce orizzontali, ricalcate sulle pontate, ovvero
sulle porzioni murarie raggiungibili dal piano dellimpalcatura.
Unimportante innovazione nella tecnica dellaffresco si registra
invece dal XIII secolo, quando le pontate orizzontali, di uguale altezza, iniziano ad essere sostituite da giornate di diversa estensione; a
seconda della complessit esse potevano comprendere unampia porzione del fondo, oppure una sola figura, o anche un solo particolare, ad
esempio una testa. Generalmente la suddivisione partiva in alto a
sinistra e terminava in basso a destra. Nei grandi cicli della basilica
di Assisi sono attestati, accanto a partizioni pi tradizionali basate
ancora sulle pontate, i primi esempi di giornate suddivise col nuovo
sistema, destinato ad avere un notevole seguito nella grande decorazione parietale del Rinascimento.
Dallinizio del XIV secolo il disegno di base divenne pi particolareggiato: al semplice contorno schematico si sostitu un disegno a carbone, pi curato, ripassato poi con un pennello intinto nella terra di
Sinope. A differenza dellaffresco romano, tali sinopie venivano realizzate nello strato di intonaco sottostante lintonachino definitivo, sul
quale erano poi riprodotte a pennello, oppure a incisione, prima della
stesura del colore. Non sono rari i casi in cui il distacco dellaffresco ha
posto in luce, nella sinopia, la presenza di modifiche o pentimenti.
Questo sistema richiedeva un impegno costante del maestro, il quale
doveva curare personalmente, in ogni giornata di lavoro, la preparazione del soggetto da affrescare.
Nel corso del XV secolo il disegno diretto sul muro venne progressivamente sostituito con quello eseguito su cartonie poi riportato sullintonaco mediante lo spolvero. Esso consisteva nel praticare una
fitta serie di fori lungo i contorni del motivo da dipingere; una volta
appoggiato allintonaco, il cartone veniva ripassato con una stoffa
impregnata di ocra o carbone; cadendo attraverso i fori, il pigmento
lasciava sul muro fresco la traccia del disegno. Questo sistema, che
finir per sostituire definitivamente luso delle sinopie, si prestava a
una maggiore suddivisione del lavoro fra maestro (addetto alla preparazione dei cartoni) e aiutanti, ai quali era affidato il pi ripetitivo e
faticoso compito di riportare il disegno sul muro. Questultimo poteva
anche essere eseguito con incisione indiretta, seguendo i contorni del
cartone; inoltre poteva essere ripreso, o completato, tramite ulteriori
incisioni con punta metallica, corda battuta, tracciamento con pigmento, eccetera.
Aurora Cagnana
169
170
cimentale o manieristica del buon fresco. Molte notizie su questa particolare organizzazione artigianale sono state raccolte nel corso di una
ricerca basata sulla testimonianza orale di un anziano decoratore di
facciate genovesi, Giuseppe Noli, il quale aveva appreso le regole del
mestiere, a partire dallet di dieci anni, dal padre e dal nonno. Nel
suo laboratorio aveva conservato circa quattromila cartoni, in parte
suoi e in parte posseduti dalle due precedenti generazioni. Si potuto
apprendere che lo schema dinsieme della parete veniva progettato a
terra, in scala ridotta, dato che sui ponteggi era impossibile avere una
visione globale.
I disegni preparatori dei singoli motivi erano invece realizzati in
scala reale; i contorni venivano forati fittamente con un ago, di solito
nelle ore serali. Alcuni soggetti erano copiati, non senza adattamenti,
dal Trattato di Sebastiano Serlio, del quale il nonno, formatosi presso
lAccademia Ligustica di Belle Arti di Genova, possedeva una preziosa copia.
Ogni cartone conteneva solo la met di un motivo: per realizzare il
disegno intero era infatti sufficiente ribaltare il cartone sulla parete.
61- Lanziano affrescatore Noli insegna ad applicare i colori su un campione di intonaco fresco, con successive stesure, secondo il metodo tradizionale
Aurora Cagnana
171
172
quando si dovevano ottenere composizioni complesse, con ombreggiature e velature sovrapposte, che difficilmente potevano essere completate in ununica, veloce stesura.
Una delle pi antiche descrizioni di questa tecnica si trova nellopera del monaco Teofilo, Diversarum Artium Schedula, composta fra
XI e XII secolo. Le documentazioni materiali, invece, sono assai pi
antiche; risalgono almeno allepoca greca e accompagnano tutti i secoli successivi, parallelamente alle testimonianze di decorazioni affrescate.
6. La pittura a tempera
Per applicare il colore su un intonaco asciutto e senza utilizzare il
latte di calce, cio senza sfruttare la carbonatazione, occorreva ricorrere alluso di collanti, i quali venivano aggiunti ai pigmenti e ne
garantivano ladesione al muro. Il colore applicato direttamente sulla
parete, con luso di un medium organico, viene definito tempera.
In passato si usavano collanti di vario tipo: lolio, pur adatto per la
pittura su tela o su legno, lo era molto meno per i muri. Pi usati
erano i collanti ottenuti da proteine animali (chiara duovo, caseina
del latte) che potevano essere aggiunti al colore anche quando lintonaco era in stato avanzato di carbonatazione. Essi erano per poco
resistenti al calore: gi a 25C, ad esempio, la caseina inizia a trasformarsi in ossalato di calcio. Altri collanti organici di origine animale venivano ottenuti dai collageni: le fibre delle ossa, delle pelli,
delle cartilagini, delle unghie, potevano essere estratte facendo marcire le altre parti. Molto usata era ad esempio una colla ottenuta dalla
pelle di coniglio.
Esistevano anche collanti di natura vegetale, come le resine,
estratte dalle conifere o da altre piante, oppure la gomma arabica e la
colla dragante.
In ogni caso i colori applicati a tempera hanno una durata decisamente inferiore a quella dellaffresco; ci dovuto al fatto che il fissaggio della tinteggiatura, invece di essere garantito dalla cristallizzazione della calcite, dovuto essenzialmente ai leganti i quali, essendo di natura organica, sono soggetti ad alterazioni nel tempo. Anche
la resa cromatica inferiore, poich la necessit di mescolare il pigmento al collante ne determina una bassa trasparenza e una tonalit
meno pura.
Aurora Cagnana
173
La tempera una tecnica assai pi antica dellaffresco; rappresenta infatti il primo sistema di applicazione dei pigmenti alle pareti,
attestato gi nel Paleolitico, a Lescaux e ad Altamira.
Certamente fu usata anche nella pittura greca e romana, anche se
difficile ritrovarne tracce certe; anchessa viene descritta nel trattato di Teofilo, il quale sembra considerarla come un completamento
della pittura a calce, da utilizzarsi nella definizione dei dettagli. Nel
pi tardo Libro dellArte del Cennini si riporta, accanto a un breve
elenco dei colori adatti allaffresco, una nutrita serie di quelli che
dovevano essere usati a tempera, fra i quali erano lazzurrite, loltremare, la biacca, il cinabro.
Nel Medioevo si fece un ampio uso della tempera murale, che fu
particolarmente apprezzata dalla scuola senese e, soprattutto, da
Simone Martini; questa tecnica si prestava bene, infatti, alla raffinatezza delle velature, alluso di colori rari e di materiali ricercati, che
conferivano alla pittura un tono aulico e fastoso.
Anche nella grande stagione dellaffresco, fra XV e XVI secolo, si
attribuiva una grande importanza alla tempera, soprattutto per le
finiture. Essa fu usata da diversi artisti e in particolar modo da
Leonardo, il quale amava poco la tecnica dellaffresco, poich la velocit di esecuzione che richiedeva si conciliava male con la sua pittura
molto basata sullo studio grafico. Per tale motivo era solito sperimentare limpiego di collanti, come fece nel celebre caso dellUltima Cena
di Milano, dove us una tempera a base di uova.
7. Principali cause di degrado
In seguito a naturali processi di alterazione chimica, solo alcuni
pigmenti minerali, sottoposti alla luce e allaria, tendono a cambiare
abito cristallino e quindi a mutare la tinta: il caso, ad esempio, dellazzurrite, che col tempo tende a trasformarsi in malachite e a mutare colore da azzurro a verde, oppure del cinabro, che tende ad ossidarsi
e di conseguenza ad annerirsi.
Altri tipi di degrado possono essere subiti dalle decorazioni affrescate, non per alterazione chimica, ma per i danni meccanici procurati dallacqua. Se esposti a lungo alla pioggia battente i colori degradano per asportazione dei pigmenti; nel caso in cui la calcite venga resa
solubile dallanidride carbonica disciolta nellacqua, anche i granelli
dei pigmenti possono venire asportati. Via via che diminuisce la quan-
174
Aurora Cagnana
175
Aurora Cagnana
177
V. IL VETRO
178
Aurora Cagnana
179
180
Aurora Cagnana
181
friabile; essa consisteva nel plasmare, sulla parte terminale di unasticella metallica, un nucleo di argilla, sabbia e altre sostanze organiche leganti, intorno veniva poi avvolto uno spesso filamento di fritta, piuttosto viscoso, che formava il corpo del vaso. Estratta lasticella e frammentato il nucleo di argilla per liberare linterno, si otteneva il vaso; esso poteva essere completato con lapplicazione di orlo,
fondo, anse, ed eventualmente decorato con laggiunta di altri filamenti di colori diversi, disposti a festoni, a piume, a zigzag. Talora la
fritta poteva essere modellata anche a stampo; in ogni caso si trattava di sistemi piuttosto lenti, che permettevano di ottenere oggetti
di piccole dimensioni, e che non consentivano una grande variet di
foggiature.
con lepoca ellenistica che la diffusione dei contenitori in pasta
vitrea, come quella di molti altri manufatti artigianali, aument notevolmente e, di conseguenza, si moltiplicarono i centri di produzione.
Fra questi assunsero una notevole importanza le officine dellarea
costiera siro-palestinese, come Sidone, ricordata anche pi tardi da
Plinio quale artifex vitri.
In seguito alla conquista romana dei regni ellenistici si determin
nel Mediterraneo occidentale un imponente afflusso di ricchezze e con
esse di beni e di maestranze artigianali specializzate, fra le quali
anche molti maestri vetrai. in questo panorama di accresciuta
domanda e di grande circolazione di manufatti e di tecniche che si
registra, in et augustea, una innovazione tecnologica di portata
vastissima: la soffiatura. Questo nuovo sistema prevedeva di sottoporre la fritta a una seconda cottura in speciali contenitori troncoconici, realizzati in ceramica refrattaria, definiti crogioli. Insieme alla
fritta, macinata, si mescolavano frammenti di vetro pestati. Se si voleva ottenere un prodotto colorato, si aggiungevano anche pigmenti
metallici; a seconda dei composti (per lo pi di rame, ferro, manganese) e dellambiente di cottura (che poteva essere riducente oppure ossidante) si potevano ottenere colori diversi, dal blu al rosso al giallo al
verde. Il prodotto della cottura, non pi filamentoso, ma fluido e trasparente, veniva prelevato in piccole quantit e soffiato entro una
canna in ferro; con laiuto di pochi strumenti (pinze, cesoie, ecc.) si
potevano foggiare in brevissimo tempo svariati oggetti, di diverse
forme e dimensioni, e con spessori anche molto sottili. Grazie alla soffiatura il vetro conobbe una diffusione sociale decisamente maggiore.
Diverse decine di coppe realizzate in vetro soffiato, rinvenute a Roma
e risalenti allet augustea, sono caratterizzate dalla presenza di bolli,
182
con i nomi, in greco, degli artigiani che le hanno fabbricate, seguiti dal
termine Seidnios (= di Sidone). Spesso i nomi sono ripetuti anche in
latino, allo scopo di essere compresi dalla clientela di Roma che, evidentemente, riteneva il marchio sidonio una garanzia di buona qualit. Secondo alcuni archeologi ci proverebbe il trasferimento
dallOriente a Roma di specialisti del vetro ai quali si deve, con ogni
probabilit, lintroduzione della soffiatura; va comunque ricordato che
anche nel Mediterraneo orientale essa compare nello stesso periodo.
Questa innovazione tecnologica ha permesso al vetro di diventare un
prodotto ad amplissima diffusione e ha aperto molte possibilit nuove:
gli oggetti potevano essere allungati, modificati, soffiati entro stampi
e quindi rilavorati.
Moltiplicatesi velocemente in tutto lImpero romano (comprese le
aree nordiche, come la Renania) le manifatture vetrarie divennero un
poco pi rare nellaltomedioevo. La produzione aument nei secoli
seguenti, quando in Italia vennero aperte nuove fabbriche, basate
ancora sulluso di fondente prevalentemente sodico, mentre nel resto
dellEuropa settentrionale si andava sviluppando quello potassico.
Un importante esempio di un impianto produttivo medievale
stato fornito dallo scavo di una vetreria risalente alla seconda met
del XIV secolo, posta a 830 metri s.l.m., su una montagna
dellAppennino, nellentroterra del porto di Genova. Con ogni probabilit era gestita da vetrai provenienti da Altare, nel Savonese (zona
tradizionale di manifatture vetrarie) che fabbricavano soprattutto bicchieri e bottiglie, molte delle quali recavano un bollo con lindicazione
della misura di capacit e la sigla del maestro.
La fornace aveva pianta a 8, come quelle per ceramiche o per calce
(cfr. II.5.; III.4), ma in questo caso la strozzatura aveva la caratteristica di essere regolabile attraverso la disposizione di pietre che,
alloccorrenza, potevano ridurne o aumentarne lampiezza. Il forno era
costituito da una suola rialzata rispetto al canale di tiraggio. Il suo
funzionamento stato ricostruito in base ai resti rinvenuti e al confronto con alcuni dati iconografici. Doveva essere a riverbero, cio
costituito da una cupola che faceva convergere il calore dallalto verso
il basso; un foro superiore doveva garantire il tiraggio. La silice era
estratta da vene quarzose ubicate poco lontano, come attestavano consistenti tracce di coltivazione. Le analisi chimiche dei prodotti hanno
inoltre indicato luso di potassio, sodio, magnesio e calcio (estratti da
ceneri di piante), quali fondenti.
La silice veniva finemente frantumata e portata a fusione assieme
Aurora Cagnana
183
63- La soffiatura del vetro in una fonte iconografica del 1590, nella quale
si riconoscono chiaramente le varie fasi della lavorazione: preparazione
del combustibile, soffiatura, trasferimento delloggetto finito nella zona
della tempera (da MANNONI, GIANNICHEDDA 1996)
184
al fondente per ottenere la fritta, la quale veniva poi lasciata raffreddare e quindi ulteriormente macinata e mescolata a polvere di vetri
rotti, riciclati. Il miscuglio veniva nuovamente portato a cottura entro
crogioli, di forma troncoconica, realizzati in ceramica refrattaria. Di
notevole interesse sono risultati i dati emersi dallanalisi mineropetrografica di tre diversi tipi di crogioli: si potuto infatti stabilire
che le ottime caratteristiche di refrattariet erano dovute allalta percentuale di quarzo, utilizzato come inerte nellimpasto ceramico, e alla
presenza di caolinite, minerale argilloso caratterizzato da unalta temperatura di fusione (cfr. II.1.). La seconda esposizione al calore, detta
bollitura, richiedeva un certo periodo di tempo; il materiale doveva
essere controllato tramite finestrelle appositamente aperte nelle pareti della fornace, le quali permettevano anche di attingere direttamente dai crogioli; le bolle di gas erano espulse e venivano schiumate le
impurit che salivano a galla. Solo quando il vetro aveva raggiunto la
limpidezza necessaria veniva prelevato, allo stato fluido, con le canne
di ferro, sempre tramite le finestrelle, per essere modellato a fiato.
Dopo la foggiatura si doveva evitare il raffreddamento improvviso, che rischiava di creare tensioni interne le quali, con piccoli urti,
avrebbero potuto provocare lo sgretolamento delloggetto. Per farlo
assestare, perci, esso veniva tenuto a lungo in un ambiente, detto
stanza della tempera, con temperatura attorno ai 200 - 400C.
probabile che in questo caso tale zona si trovasse nella parte superiore del forno, a giudicare dalla forma degli speciali mattoni refrattari che formavano la cupola, e come suggerirebbe il confronto iconografico con impianti analoghi. Nei caratteri tecnologici essenziali, la
fornace medievale dellAppennino genovese, fin qui descritta, non
sembra molto diversa da quelle pi tarde, illustrate, ad esempio,
nelle tavole dellEncyclopdie.
4. La produzione di lastre da finestra
Il vetro particolarmente importante nelle costruzioni per le sue
caratteristiche di materiale impermeabile e trasparente, in grado di
creare un sufficiente isolamento termico, e al tempo stesso di lasciar
passare la luce e le immagini. Lintroduzione della soffiatura e le innovazioni tecnologiche dellarte vetraria hanno influenzato notevolmente, soprattutto nelle regioni a clima rigido, levoluzione tipologica delle
finestre.
Aurora Cagnana
185
186
65- Realizzazione di lastre da finestra tramite il sistema a corona: soffiatura di una bolla; appiattimento della base; distacco della canna e collegamento a unasticciola, modellamento della lastra per forza centrifuga e
stacco dellasticciola (da MENICALI 1992, rielaborata da Zanella, 1999)
Aurora Cagnana
187
188
sigillato i resti nel sottosuolo. Gli scavi archeologici hanno cos reso
possibile ritrovare, nei pressi della chiesa abbaziale di San Vincenzo
Maggiore, completata nell808, una serie di impianti produttivi costituiti da fornaci per laterizi, per campane, per smalti e per vetri, tutti
destinati a rifornire i materiali per questo grandioso cantiere. Una
parte delle officine, a carattere provvisorio, venne installata in unarea antistante ledificio di culto. Con il progressivo ampliamento della
chiesa gli impianti vennero spostati presso il fianco meridionale e
sistemati allinterno di strutture edilizie permanenti,
costituite da cellette rettangolari affiancate. In una di
esse sono stati rinvenuti i
resti di due fornaci da vetro,
che producevano lastre vitree
colorate, delle quali si sono
rinvenuti circa 7000 frammenti (delle misure massime
di cm 12 x 15), destinate a
finestre di notevoli dimensioni. Le analisi chimiche hanno
rilevato lutilizzo di fondenti
alcalini (soprattutto sodio)
secondo la tradizione tecnologica romana. Di notevole
interesse il fatto che meno
dell1% dei frammenti
risultato eseguito col sistema
a corona, mentre oltre il 99%
stato realizzato a cilindro.
Bench frammentarie,
stato possibile individuare la
forma originaria delle lastre:
quelle della parte bassa
erano rettangolari, mentre
quelle poste in alto erano a
66- Ricostruzione di una finestra
profilo curvilineo. Si peraltomedievale con lastre rettangolatanto ipotizzato che tali panri, in base ai ritrovamenti archeolonelli
fossero inseriti su telai
gici di San Vincenzo al Volturno (da
lignei simili a quelli rinvenuDELLACQUA 1996)
Aurora Cagnana
189
190
Aurora Cagnana
191
192
68- Testimonianza archeologica di finestre tardo-quattrocentesche costituite da vetrate fisse in alto e da ante mobili di legno in basso. Tali infissi rettangolari sono stati ricavati nello spazio delle pi
antiche polifore medievali
(San Salvatore dei Fieschi Genova) (da MANNONI 1999/b)
re si conservano i resti delle vetrate fisse, mentre allinterno si individuano chiaramente, negli stipiti, gli alloggi utilizzati per i paletti
lignei che tenevano ferme le ante poste nella parte bassa.
La realizzazione di grandi finestre con ante apribili, costituite da
lastre di vetro rettangolari, montate su telai di legno, si diffuse invece pi tardi: nei palazzi nobiliari soppiant definitivamente le finestre
a croce a partire dal XVII secolo. Le lastre erano prevalentemente
prodotte col sistema a cilindro, nel quale vennero introdotte alcune
modificazioni tecnologiche, non sostanziali: per il taglio delle lastre,
ad esempio, dal XVII secolo si cominci a fare uso del diamante.
5. Principali cause di degrado
La tendenza del vetro, sostanza amorfa, a riassumere col tempo
una struttura cristallina, un fenomeno naturale, che ne causa la
Aurora Cagnana
193
194
195
Aurora Cagnana
VI. I METALLI
1. Formazione e propriet
La distinzione fra i metalli e gli altri elementi chimici si basa su
alcune caratteristiche quali la conducibilit elettrica e termica, la duttilit e malleabilit, la facilit allossidazione, la lucentezza e la tendenza a riflettere la luce. Tutti questi caratteri derivano dalla mobilit
elettronica, gi ricordata a proposito dei colori (cfr. IV.2.). Alcuni metalli (oro, argento, platino, rame) si possono trovare allo stato nativo, ma
la maggior parte di essi invece combinata con altri elementi a formare composti quali ossidi e idrossidi, solfuri, carbonati, silicati, ecc.
CLASSE
NOME
FORMULA
METALLO
ESTRATTO
ossidi
ematite
magnetite
pirolusite
cuprite
Fe2 O3
FeO Fe 2O4
MnO2
Cu2O
Fe
Fe
Mn
Cu
idrossidi
limonite
FeO2 n H2O
Fe
carbonati
siderite
azzurrite
malachite
cerussite
FeCO3
2CuCO3 Cu (OH)2
CuCO3 Cu (OH)2
PbCO3
Fe
Cu
Cu
Pb
solfuri
calcopirite
calcocite
galena
argentite
cinabro
CuFeS2
Cu2S
PbS
AgS
HgS
Fe
Cu
Pb
Ag
Hg
196
Le concentrazioni di minerali metallici vengono definite giacimen ti e, in particolari condizioni che ne rendano vantaggiosa la coltivazione, possono essere sfruttati dalluomo.
I corpi metalliferi si trovano, allinterno di rocce che vengono dette
incassanti, in associazione con altri minerali non metallici, il cui insieme definito ganga; questultima si distingue per il suo colore chiaro
e ha generalmente un volume superiore a quello dei minerali metallici; frequenti sono, ad esempio, le ganghe quarzifere o quelle calcitiche.
Quanto alla classificazione generale, si distinguono giacimenti di
origine magmatica, sedimentaria e metamorfica.
I primi si formano durante il processo di consolidazione di un
magma, che avviene, attraverso vari stadi, a diverse temperature:
-allo stadio ortomagmatico (>750C) cristallizza la maggior parte
del magma e si formano i minerali delle rocce;
-allo stadio pneumatolitico (>400C) si formano alcuni giacimenti per
deposizione e cristallizzazione dei residui gassosi del magma (contenenti anche metalli) che circolano nelle spaccature dovute al ritiro delle
rocce, in via di raffreddamento. Le sostanze volatili disciolte nel magma
(CO2; SO2; Cl; N; H; S) facilitano, in queste condizioni, la formazione dei
minerali metallici perch ne aumentano la mobilit e vengono perci
detti agenti mineralizzatori. In questo stadio cristallizzano, ad esempio,
magnetite, ematite, cassiterite (ossidi); pirite e calcopirite (solfuri);
Aurora Cagnana
197
198
Aurora Cagnana
199
larit nella coltivazione, che veniva operata tramite pozzi rettangolari scavati a coppie e uniti per mezzo di gallerie parallele munite di
cunicoli trasversali per agevolare la ventilazione. Nel IV secolo a.C. fu
promulgata una legge che proibiva la rimozione dei pilastri, risparmiati per sostenere il tetto delle gallerie e alti fino a 9 metri. Questa
relativa regolarit, favorita dalle condizioni naturali del giacimento,
costituisce comunque uneccezione, poich in generale le miniere
restarono formate da gallerie irregolari.
nei sistemi di drenaggio che le coltivazioni di epoca romana
conobbero significativi miglioramenti rispetto al passato. La realizzazione di poderosi acquedotti permise infatti un ampio utilizzo della
risorsa idrica che, nel caso delle coltivazioni sotterranee, veniva impiegata per azionare le ruote, necessarie al sollevamento dellacqua.
Un sistema piuttosto laborioso, messo a punto in particolare nelle
grandi miniere iberiche e definito ruina montium, prevedeva imponenti sbancamenti nei depositi alluvionali ricchi di minerali metallici,
allo scopo di provocarne artificialmente la frana. Limmissione di
notevoli quantit dacqua causava un forte processo erosivo e selezionava i minerali in base al peso specifico; si otteneva cos la formazione di giacimenti alluvionali, ricchi di minerali metallici.
Le testimonianze storico-archeologiche, assai rare per il periodo
altomedievale, aumentano notevolmente a partire dal XII-XIII secolo.
In Italia le principali aree metallifere si trovavano in Toscana (dove
erano state gi ampiamente sfruttate dagli etruschi), in Sardegna e in
tutto larco alpino; secondo unantica norma giuridica ereditata dallepoca romana, il sottosuolo (e dunque anche i giacimenti minerari)
erano di propriet dello Stato; il diritto allapertura di nuove miniere
veniva generalmente concesso a famiglie private dietro corresponsione di una tassa.
La ricerca archeologica nei siti minerari lombardi di epoca medievale ha registrato la presenza di estesi scavi in superficie, (eseguiti
con mazza, punta e cunei) effettuati per individuare la vena e sfruttarla, dove possibile, allaperto; quando i filoni metalliferi si immergevano nella terra, lestrazione li seguiva in profondit, con lo scavo di
pozzi e gallerie.
La conoscenza dei sistemi estrattivi di epoca medievale stata notevolmente arricchita grazie agli scavi condotti a Rocca San Silvestro
(Livorno), un abitato sorto fra X e XI secolo in una ricca zona mineraria
e abbandonato nel corso del XIV secolo. Il borgo era dominato dal castello (posseduto prima dai conti della Gherardesca e poi dai signori Della
200
Rocca) ed era organizzato in una zona orientale, destinata alle abitazioni dei minatori e delle loro famiglie, e in una occidentale, dove si concentravano le attivit metallurgiche. Poco lontano si trovavano i giacimenti, costituiti soprattutto da calcopirite e galena argentifera. Lo
scavo archeologico di alcune miniere ha permesso di datare le attivit
estrattive al XII-XIII secolo. Sono state individuate sia fosse a cielo
aperto, del diametro raramente superiore ai dieci metri e profonde duetre metri, sia pozzi verticali, con imboccature dellampiezza di un metro
e mezzo-due metri, profonde al massimo una decina di metri. Il minerale veniva estratto con piccone o con mazzetta e punta. Una prima
selezione avveniva in miniera, allo scopo di ridurre il peso da sollevare,
mentre una seconda cernita veniva compiuta allesterno.
Nel XVI e XVII secolo si afferm, nelle principali aree estrattive,
Aurora Cagnana
201
una maggiore diffusione dellenergia idraulica, che permise di migliorare lorganizzazione dei pozzi minerari e consent luso di montacarichi, oltre che di pi progrediti sistemi di trasporto e trasformazione
del minerale. Per la conoscenza delle tecniche estrattive del XVI secolo esistono importanti fonti trattatistiche, quali il de Pirotechnia, del
senese Biringuccio, opera in dieci libri uscita postuma nel 1540, e i
dodici volumi del De re metallica, del sassone Georg Bauer, pi noto
come Agricola, il quale svolgeva lattivit di medico nel centro minerario di Joachimsthal. Questi trattati descrivono accuratamente (e con
molte illustrazioni) le tecniche di prospezione per la ricerca di vene
metallifere, i metodi di scavo, le funzioni dei vari addetti, gli arnesi e
le macchine impiegate, le fasi di lavaggio e di lavorazione dei vari
metalli.
202
3. Il piombo e il bronzo
Forse anche per la sua bassa temperatura di fusione (340C) il
piombo stato uno dei primi metalli ad essere utilizzato.
Nellarchitettura greca e romana veniva usato per produrre le grappe
di fissaggio dei grandi conci lapidei, le quali venivano fuse direttamente in opera, in cavit appositamente predisposte.
I romani lo impiegarono ampiamente anche per la produzione di
condutture idriche di fontane e giardini, costituite da lamine, che
venivano fuse in posto e quindi ripiegate e saldate.
Nellarchitettura medievale e postmedievale il suo uso maggiore
legato alla produzione di elementi per il deflusso delle acque, quali
grondaie, e alla realizzazione di profilati per lassemblaggio delle
lastre vitree (cfr. V.4.). Negli scavi della Torre Civica di Pavia, gi
ricordati, si sono rinvenuti vari scarti di lavorazione dei metalli, fra i
quali anche scorie di piombo, usate, con ogni probabilit, per la fabbricazione di supporti per le vetrate.
Fra i materiali da costruzione una notevole importanza era rivestita anche dal bronzo, la pi antica fra le leghe del rame, costituita
da una quantit di stagno variabile dall8% al 20%. Il suo punto di
fusione non costante e pu abbassarsi fino a 800C; allo stato fuso
pu essere colato entro stampi per ottenere oggetti di forme e dimensioni prestabilite. A partire dallAltomedioevo venne utilizzato per la
fusione delle campane, tramite un metodo a cera persa (simile a quello in uso per la produzione di statue) ben descritto anche nel trattato
di Teofilo. Dapprima veniva realizzato un modello in argilla refrattaria, rivestito di uno strato di cera, a sua volta rifasciata da un altro
strato di argilla. Con una breve cottura si induriva lo stampo ceramico e si scioglieva la cera ottenendo cos unintercapedine interna con
la forma delloggetto desiderato, nella quale veniva colato il bronzo
allo stato liquido. Dopo il raffreddamento lo stampo veniva frantumato in modo da liberare la campana. Impianti di questo tipo sono stati
evidenziati non di rado negli scavi archeologici di cantieri, in particolare di chiese. Una testimonianza assai antica stata rinvenuta nel
complesso altomedievale di San Vincenzo al Volturno (Isernia), pi
sopra menzionato. Pi frequenti sono per i resti di et bassomedievale, documentati in varie parti dEuropa; in Italia, ad esempio, si
sono poste in luce fornaci da campana negli scavi della Torre Civica di
Pavia, di SantAndrea di Sarzana (SP), di San Daniele del Friuli.
Attarverso la colatura di bronzo allo stato fuso venivano realizzate
203
Aurora Cagnana
anche le porte di edifici monumentali; molto rari sono i resti di et classica o tardoantica ancora conservati, mentre un numero maggiore di esempi documentato per il periodo medievale. Lesatta quantit dei metalli
costituenti la lega pu essere determinata solo tramite opportune analisi
chimiche. Quelle effettuate in occasione di restauri hanno evidenziato, in
diversi casi, alte percentuali di rame (70-80%), pochissimo stagno (1-7%),
significative quantit di zinco (9-18%) aggiunto verosimilmente allo scopo
di aumentare le propriet plastiche della fusione, e presenza di piombo (38%), forse da considerarsi come unimpurit dello stagno o del rame.
Assai rare sono le porte prodotte tramite ununica fusione, come
quelle celebri di Hildesheim, dellinizio dellXI secolo, nelle quali ogni
anta stata fusa in un unico pezzo. Pi frequentemente esse sono
costituite da pannelli realizzati separatamente e successivamente saldati fra loro utilizzando una lega metallica caratterizzata da una temperatura di fusione pi bassa.
Un esempio di studio piuttosto interessante costituito dalla famosa porta eseguita da Bonanno per il duomo di Pisa. Lanalisi dettagliata ha rivelato una cura particolare nelle lavorazioni a freddo, posteriori
alla fusione, eseguite con scalpelli, oltre che con strumenti tipici degli
orafi, quali punzoni, bulini e ceselli, per i particolari pi minuti.
4. La metallurgia del ferro
Il ferro uno dei metalli pi diffusi sulla crosta terrestre, ma la
sua lavorazione resa complessa dallelevata temperatura di fusione
(1540 C) che ne differenzia notevolmente il ciclo produttivo rispetto a
quello degli altri metalli.
METALLO
DIFFUSIONE SULLA
CROSTA TERRESTRE
TEMPERATURA
DI FUSIONE
Al
Fe
Mn
Zn
Cu
Sn
Pb
Ag
Au
8,13%
5,00%
0,10%
0,08%
0,007%
0,004%
0,0016%
0,00001%
0,0000005%
659C
1540C
1250C
419C
1083C
232C
340C
960C
1063C
-Tabella che evidenzia la diffusione del ferro rispetto agli altri metalli
e le rispettive temperature di fusione
204
73- Ricostruzione grafica, eseguita in base ai dati archelogici, di una forgia: nella fossetta circolare avveniva il riscaldamento della bluma, con un
piccolo mantice azionato a mano. La bluma veniva quindi estratta con le
pinze e posta su unincudine o sul banco roccioso stesso, per essere ribattuta (da FRANCOVICH 1991?ridisegnato da Zanella 1999)
Le prime fasi di lavorazione venivano svolte nei pressi della miniera e consistevano, come per gli altri metalli, nella frantumazione e
nella selezione del minerale appena estratto, allo scopo di eliminare la
ganga. Nel caso in cui la materia prima fosse costituita da siderite
oppure avesse contenuto tracce di pirite, veniva effettuata anche una
prima cottura ossidante, allaria aperta, detta arrostimento, che causava la scomposizione dei carbonati o dei solfuri e la loro trasformazione in ossidi di ferro.
Leliminazione dellossigeno, per ottenere il metallo puro, veniva
poi effettuata in una successiva cottura, eseguita in apposite fornaci,
in atmosfera riducente.
Il pi antico sistema utilizzato per ottenere il ferro detto bassofuo co, o metodo diretto e avveniva a temperature inferiori ai 1540C; pertanto non portava alla fusione del metallo, ma solo alla sua separazione dallossigeno. Il prodotto che si otteneva non aveva perci un aspet-
Aurora Cagnana
205
206
75- Un grande maglio per la battitura a caldo del ferro, azionato da energia idraulica (da DIDEROT, Planches)
207
Aurora Cagnana
% CARBONIO
CARATTERISTICHE
ferro dolce
<0,1%
scarsa durezza
buona resistenza a trazione
acciaio
0,15-1,7%
ghisa
2-5%
elevata durezza
scarsa resistenza a trazione
208
offrire unarmatura pi
rigida alla costruzione.
Tuttavia in et medievale, e soprattutto con larchitettura gotica, che lutilizzo di rinforzi in acciaio si
ampli notevolmente. Ci
fu dovuto sia alle particolari esigenze statiche richieste dalle costruzioni (molto
sviluppate in altezza e con
le murature indebolite da
ampie finestre), sia a una
maggiore razionalizzazione del lavoro di cantiere,
che permise forniture pi
sistematiche di metallo. La
Sainte Chapelle a Parigi
costituisce uno degli esempi pi celebri di tale sistema. Gli abbondanti elementi metallici che rinfor76- Un chiodaio tedesco, in unimmagine
zano tutta la costruzione
della fine del XV secolo, produce chiodi di
non si riconoscono che a
diverse dimensioni mediante unapposita
unosservazione attenta: le
incudine forata (da SINGER ETALII , 1961-66)
ogive dellabside della cappella inferiore, ad esempio,
sono contornate da ferri curvi, fissati con chiodi che attraversano i conci;
nella chiesa superiore la struttura muraria rinsaldata da un complesso sistema di catene, costituite da barre metalliche di 4 metri di lunghezza, immorsate le une nelle altre con appositi ganci uniti da cunei.
Anche la realizzazione di rosoni dal diametro gigantesco (quello della
cattedrale di Parigi di circa 13 metri !) fu resa possibile grazie alla presenza di elaborate armature in metallo.
Anche per il cantiere del Duomo di Milano, nel tardo Trecento, vennero importate enormi quantit di ferro, necessario per realizzare le
catene delle volte, da varie localit delle Prealpi, come si apprende dai
conti di fabbrica.
Un altro importante uso del ferro rappresentato dalla realizzazione
Aurora Cagnana
209
210
cento, di manufatti usciti da piccole fucine, sopravvissute alla rivoluzione industriale, ancora organizzate secondo sistemi tradizionali.
Il ferro battuto stato impiegato anche per la realizzazione di cancelli e ringhiere. Le aste che le costituivano, collegate mediante elementi trasversali, potevano presentare decorazioni a volute o a motivi vegetali, generalmente prodotte tramite battitura a caldo e successivamente saldate. In molti casi le aste presentano un rigonfiamento
centrale (conformato in vario modo) che veniva prodotto con un particolare sistema, definito rifollatura. Esso consisteva nel riscaldare la
barra di ferro soltanto nel punto in cui si voleva realizzare il rigonfiamento e nel batterla poi ad una estremit tramite la mazza; questa
operazione produceva nella zona riscaldata un ingrossamento, che
veniva poi formato, sempre tramite battitura a caldo, sino ad ottenere il motivo desiderato. Losservazione attenta dei manufatti consente
di distinguere tale lavorazione da quella detta ad anello, assai pi
semplice, che consisteva invece nellapplicare allasta una laminetta,
realizzata a parte, ripiegata per battitura e quindi saldata.
Sempre in ferro di forgia erano prodotti molti altri manufatti, di piccole dimensioni e privi di qualit estetiche, ma comunque essenziali allarchitettura, come i chiodi da carpenteria o la ferramenta per gli infissi.
La produzione di chiodi era opera di fabbri specializzati, o chiodai,
che usavano una apposita incudine, dotata di fori di varie dimensioni,
nei quali venivano inserite piccole sbarre di ferro, realizzate nelle fucine; lestremit veniva poi ribattuta a caldo per ottenere la capocchia.
Questo sistema, attestato da precise fonti iconografiche bassomedievali, sopravvissuto, in alcune zone, fino allinizio del novecento.
Anche la ferramenta di porte e finestre era un elemento importante della metallurgia del ferro destinata alle costruzioni. La produzione
di cardini a perno, fissati negli stipiti, e di bandelle a occhio, che venivano chiodate nelle ante, risale almeno allantichit ed attestata da
numerosi ritrovamenti archeologici. Non meno importante era la produzione di manufatti destinati alla chiusura degli infissi, ovvero serrature e chiavi. Delle prime esiste una vastissima casistica, che comprende vari tipi di ferrimorti, meccanismi con stanghetta ad avanzamento orizzontale, oppure a movimento verticale con molla di ritorno.
Infine, in ogni cantiere di costruzione, era indispensabile la presenza di un fabbro per la produzione e la costante manutenzione degli
strumenti da lavoro. Gli scavi archeologici condotti nella Torre Civica
di Pavia, gi menzionati, hanno permesso di ritrovare i resti di una
Aurora Cagnana
211
212
Aurora Cagnana
213
piccola forgia e circa 30 Kg di scorie di ferro, che sono state interpretate come i resti di lavorazioni connesse alla preparazione degli strumenti da lavoro per gli operai del cantiere.
Lutilizzo della ghisa nelle costruzioni invece molto pi recente,
essendosi affermato solo a partire dal secolo XIX, con la rivoluzione
industriale. La ghisa poco adatta alla produzione di travi, perch ha
scarsa resistenza a trazione, in compenso si presta a essere usata per
gli elementi che lavorano a compressione, come le colonne. Poich
ben modellabile, un grosso impiego stato fatto per la produzione di
pezzi decorati di ringhiere o inferriate. La possibilit di utilizzare
stampi consentiva di realizzare velocemente anche motivi molto complessi, e permetteva perci una notevolissima semplificazione del
lavoro. assai agevole riconoscere gli elementi prodotti a stampo da
quelli realizzati in ferro battuto, in quanto i primi presentano una
maggiore regolarit, dovuta appunto alla fusione, mentre con la forgiatura si ottengono oggetti pi irregolari e tutti differenti fra loro.
Queste osservazioni possono anche offrire elementi di datazione; nelledilizia del centro storico di Genova, per esempio, luso delle ringhiere in ghisa attestato dal 1870 circa, fino ai primi decenni del
novecento.
6. Principali cause di degrado
Questi materiali sono soggetti soprattutto a degrado di tipo chimico, in quanto lesposizione agli agenti atmosferici pu portare allidrossidazione oppure alla carbonatazione dei metalli, che possono cos
tornare a certi composti minerali di partenza; ad esempio il ferro pu
combinarsi e passare a limonite.
7. Nota bibliografica
Sullorigine e la classificazione geologica dei giacimenti minerari
ancora utile la lettura del classico manuale di DI CORBELTALDO 1967.
Sulle antiche pratiche di individuazione dei giacimenti si rimanda
alla lettura di MANNONI, G IANNICHEDDA 1996, pp. 68-77 dove si trova
anche una vasta e aggiornata bibliografia.
Un panorama dellevoluzione storica dei sistemi estrattivi si trova
inoltre nei saggi di BROMEHEAD 1961 e BROMEHEAD 1961/a.
Sullarcheologia della produzione mineraria esiste unampia biblio-
214
Aurora Cagnana
215
VII. IL LEGNO
216
tali determinano i caratteri di resistenza e, al tempo stesso, di elasticit dei tessuti legnosi. Tali pareti sono infatti costituite da pi strati,
formati da microfibrille, ovvero da fasci di fili molto resistenti, con
disposizione elicoidale, che si chiamano cordoni micellari. Ciascuno di
essi a sua volta formato da 50/100 molecole di cellulosa.
Questultima, dalla caratteristica struttura a sedia, fa parte dei carboidrati polisaccaridi, vale a dire che
costituita da catene di pi elementi
monosaccaridici (formati da H, O, C,)
uniti fra loro da ossigeni, con legami di
tipo covalente. La robustezza dei legami
e la disposizione elicoidale (sia delle
macromolecole di cellulosa sia dei fasci
di fibrille) spiegano le caratteristiche di
robustezza e al tempo stesso di elasticit delle fibre vegetali.
Per permettere il collegamento fra il
terreno e la chioma il tronco dotato di
numerosi canali, formati da cellule vegetali vuote allinterno, con apertura centrale (lume) di piccole dimensioni, e perci
tale da permettere la risalita dal suolo,
per capillarit, dellacqua, dei composti
azotati, e di altri elementi in soluzione.
Il fusto formato da un midollo, il
tessuto connettivo centrale, avvolto da
un durame, ovvero dal legno vecchio,
fisiologicamente morto. Questultimo
rappresenta la parte inattiva delle piante, che non svolge pi funzioni di trasporto della linfa, ma continua a offrire
il sostegno meccanico; spesso impregnato di sostanze antiputrescenti, che
ne aumentano la durezza. Lalburno
invece la parte giovane, fisiologicamente
attiva e destinata soprattutto alla funzione conduttrice, mentre il cambio il
tessuto vegetale nascente, lanello pi
80- La molecola della
esterno, la cui crescita inizia in primacellulosa, dalla tipica
struttura a sedia
vera, rallenta in estate e cessa in autun-
Aurora Cagnana
217
218
Aurora Cagnana
219
2. Tecniche di abbattimento
Il periodo pi adatto per il taglio degli alberi compreso fra dicembre e marzo; in tale momento, infatti, gran parte della linfa interna si
perduta, e quindi lalbero pi asciutto e pu resistere meglio agli attacchi dei funghi e delle muffe o alla cristallizzazione dei sali trasportati.
Anche Vitruvio raccomandava che gli alberi fossero tagliati tra
220
lautunno e linizio della primavera (De Arch., II, 9) e tale norma sembra essere stata osservata in molte regioni.
Una tecnica di abbattimento consisteva nel praticare un taglio a V
sul lato previsto per la caduta. Per questa operazione veniva adoperata una scure lunga (del peso di kg 2,5) con una lama stretta, usata a
trancio in maniera tale da penetrare nel tronco per pochi centimetri,
e perpendicolarmente alle fibre, in modo da vincere la loro resistenza.
Questa tecnica risale con ogni probabilit al Neolitico, quando
veniva praticata tramite asce di pietra costruite con rocce tenacissime
(ad esempio eclogiti o basalti), successivamente sostituite da strumenti in ferro acciaioso; diverse fonti iconografiche attestano che luso
di questo strumento non cambiato nel corso dei secoli: appare ad
esempio nella Colonna Traiana ed raffigurato, con poche differenze,
nei cicli medievali dei mesi.
A questa operazione poteva far seguito la segagione, operata sul
lato opposto, con il segone, o sega a due manici, dalla dentatura molto
grande, tale da superare la resistenza delle fibre.
3. Stagionatura e lavorazioni
Prima di essere utilizzati i tronchi devono espurgare tutte le soluzioni contenute; infatti, dopo il taglio della pianta, nei vasi si trovano
ancora molte sostanze la cui presenza pu alzare eccessivamente lumidit interna, oppure pu dare luogo alla cristallizzazione di sali che
rischiano di danneggiare il tessuto legnoso. Le cellule tubolari, che
costituiscono i canali, hanno infatti bisogno di un certo periodo di
tempo, dopo il taglio della pianta, per interrompere completamente il
loro lavoro.
Per poter espellere i sali interni il legno tagliato deve perci essere sottoposto, per periodi pi o meno lunghi, a unadeguata stagiona tura. Questa veniva praticata tramite il lavaggio con acqua, effettuato, ad esempio, esponendo i tronchi alla pioggia, oppure, dove possibile, utilizzando il trasporto fluviale. In seguito era necessario fare
asciugare la pianta molto lentamente, ma senza unesposizione diretta ai raggi del sole.
Dopo la stagionatura il legno sempre pi leggero rispetto al
momento del taglio, poich ha perso buona parte delle sostanze liquide interne, ma la sua resistenza non cambia, essendo dovuta alla
struttura delle fibre, che rimangono intatte.
Aurora Cagnana
221
222
Aurora Cagnana
223
224
Aurora Cagnana
225
86- Case medievali a pi piani del centro storico di Rouen, con pareti por tanti in fachwerk
226
Il sistema del blockbau (dal tedesco = costruzione a blocchi) invece caratterizzato dalluso di tronchi sovrapposti orizzontalmente e
incastrati agli angoli. Necessita pertanto di alberi a fusto altissimo e
diritto e per tale motivo stato usato nelle regioni ricche di conifere.
Anchesso doveva essere diffuso nellAntichit, bench le prove archeologiche siano assai scarse. Vitruvio ricorda lesistenza, presso alcuni
popoli dellAsia minore nord-occidentale, di case formate da tavole
87- Una casa con murature portanti realizzate a blockbau (da DONATI
1990, ridisegnato da Zanella 1999)
Aurora Cagnana
227
disposte orizzontalmente (De Arch. II, 1). Un esempio di notevole interesse costituito dal ritrovamento in val di Ledro (Trentino Alto
Adige) dei resti di un edificio databile al VI-VII secolo d.C., costituito
da tronchi del diametro di circa 30 centimetri, disposti luno sullaltro
e incastrati in prossimit delle testate. Questo tipo di tecnica si conservato a lungo nellarea alpina e in molte regioni montuose
dellEuropa centro-orientale. Negli affreschi della torre dellAquila del
castello del Buonconsiglio di Trento, (XV secolo), ad esempio, sono rappresentati, con notevole realismo e ricchezza di particolari, diversi
edifici realizzati nella tecnica del blockbau.
Nelle architetture del Nord Europa e nella regione alpina le case
in tronchi sovrapposti ancor oggi utilizzate sono per lo pi sostenute
da uno zoccolo di muratura in pietra.
Considerando la notevole resistenza a trazione, oltre che a compressione, il legno stato molto usato, oltre che per le pareti portanti,
anche per la realizzazione di elementi orizzontali, come i solai. I resti
conservati nel sottosuolo sono in genere piuttosto rari, ma larcheologia dellelevato permette di evidenziarne diversi esempi ancora in
situ, in molti casi datati tramite la dendrocronologia. Nel centro storico di Genova, ad esempio, si sono individuati numerosi solai lignei,
in ottimo stato di conservazione, realizzati con travi, travicelli e tavole, molti dei quali hanno conservato, sulla faccia inferiore, una decorazione dipinta a base di vernici ad olio di lino, con pigmenti minerali. Nelle case pi ricche la pavimentazione era costituita da mattonelle o da piastrelle in ceramica rivestita (cfr. II. 7.), fissate sullassito
ligneo tramite uno strato di malta e pietre. In un solaio del XVII secolo, posto in luce in un palazzo nobiliare ubicato nelle vicinanze del
porto, si rinvenuto un grosso albero di nave, con uno stemma di
famiglia dipinto a olio. Questuso documenta quanto fosse diffusa,
anche nelle residenze pi ricche, la pratica del reimpiego del legname
proveniente dallo smontaggio delle navi; infatti questo materiale,
anche dopo un uso prolungato, poteva mantenere intatte le sue ottime
caratteristiche di resistenza.
Anche nelle coperture sempre stato fatto un ampio uso del legno;
se per gli elementi che costituiscono lorditura del tetto questo materiale praticamente insostituibile, nelle zone di alta montagna viene
utilizzato anche per le coperture, costituite da scandole prodotte a
spacco e messe in opera imbricate, analogamente alle tegole.
228
Aurora Cagnana
229
230
Aurora Cagnana
231
vano negli Atti del Convegno tenutosi nel 1993 a Monte Barro (Lecco)
e dedicato alledilizia residenziale altomedievale, editi a cura di
BROGIOLO 1994. Sempre sulluso del legno nelle costruzioni altomedievali utile consultare la ricchissima banca-dati pubblicata da FRONZA,
VALENTI 1996 e concernente ledilizia abitativa altomedievale di tutta
lEuropa. Per lo studio degli edifici lignei altomedievali di Fidenza cfr.
CATARSI DELLAGLIO 1994. Per ledificio in blockbau rinvenuto in val di
Ledro cfr. BASSI, C AVADA 1994. Per la tradizione costruttiva in blockbau della regione alpina si veda DEMATTEIS 1986.
Sulla produzione di scandole nellAppennino ligure centro-orientale cfr. lagile ma filologica ricerca di GNONE 1995. Sulla lavorazione del
legno nellabitato palafitticolo di Fiav cfr. MARZATICO 1988. Sulle palificazioni lignee che costituiscono le fondazioni del porto medievale di
Genova cfr. MELLI 1996, pp. 58-105.
Aurora Cagnana
233
BIBLIOGRAFIA
AA. VV. 1983 Funzioni della ceramica nellarchitettura, Atti del XII Convegno
Internazionale della ceramica, Albisola 31 maggio - 3 giugno 1979.
AA.VV. 1986 Architettura etrusca nel Viterbese. Ricerche svedesi a San Giovenale e
Acquarossa 1956-1986, Catalogo della Mostra, Viterbo, Museo Archeologico
Nazionale - Rocca Albornoz, settembre 1986, ed. De Luca.
AA. VV. 1986/a La fabbrica dei colori. Pigmenti e coloranti nella pittura e nella tintoria,
Roma, ed. Il Bagatto.
AA.VV. 1988 Archeologia del legno. Documenti dellet del bronzo dallarea sudalpina,
Trento, Castello del Buonconsiglio, settembre-ottobre 1988. Catalogo della
mostra, ed. Provincia Autonoma di Trento.
AA.VV. 1990 Pigments et colorants de lAntiquit et du Moyen Age. Teinture, peinture,
enluminure, tudes historiques et physico-chimiques, Colloque International
du CNRS, Paris, ed. CNRS.
AA. V V. 1995 Petits carrs dHistoire. Pavements et revtements muraux du Midi mdi terranen du Moyen Age lpoque moderne, Catalogo della mostra,
Avignone, Palazzo dei Papi, ottobre 1995 - gennaio 1996.
AA. V V. 1996 I bacini murati medievali. Problemi e stato della ricerca, Atti del XXVI
Convegno Internazionale della ceramica, Albisola 28-30 maggio 1993.
ADAM J.P.1989 Larte di costruire presso i romani, Milano, ed. Longanesi (ed. or. Paris, 1984).
ADAM J.P., VARENE P. 1982 Four chaux artisanaux dans le Bassin mditerranen, in
Histoire des techniques et sources documentaires. Mthodes dapproche et
exprimentation en rgion mditerranenne, Atti del Colloquio, Aix en
Provence, 21-23 ottobre 1982, pp. 87-100.
ALEXANDER J.S. 1995 Building Stone from the East Midlands Quarries: Sources,
Transportation and Usage, in Medieval Archaeology, XXXIX, pp. 107-135.
234
Aurora Cagnana
235
ET
BILLOT C.1985 Note sur le plomb employ pour les toitures de la cathdrale de Chartres
la fin du Moyen Age, in CHAPELOT O. BENOIT P. Pierre et metal dans le bti ment au Moyen Age, 1985, Paris, ed. Ecole hautes tudes en science sociales,
pp. 339- 355.
BINDING G. NUSSBAUM N. 1978 Der mittelalterliche Baubetrieb nrdlich der Alpen in
Zeitgenssischen Darstellung, Darmstadt.
BISCONTIN G. 1985 (a cura di) Lintonaco: storia, cultura e tecnologia, in Scienza e Beni
Culturali, II.
BLAKE H. 1978 The bacini of North Italy, in Atti del I Congresso Internazionale su La
Cramique Mdievale en Mditerrane Occidentale, Valbonne, pp. 93-111.
BLANC N. 1983 Les stucateurs romains: tmoignages littraires, pigraphiques et juridi ques, in Mlanges de lEcole Franaise de Rome. Antiquit, 95, pp. 859 -907.
BLANK H., PROIETTI G. 1986 La tomba dei rilievi di Cerveteri, Roma, ed. De Luca.
BLOCH H. 1947 I bolli laterizi e la storia edilizia romana.
BOATO A. 1991 Luso della pietra da costruzione nelle murature genovesi del XVII seco lo: produzione, trasporto, posa in opera, in Le pietre nellarchitettura: strut tura e superfici, Atti del Convegno di Studi, Padova, pp. 47-56.
BOATO A. 1998 Fonti indirette e archeologia dellarchitettura: una proposta di metodo, in
Archeologia dellArchitettura, III, pp. 61-74.
236
ET
ALII Storia
BROMEHEAD C.N. 1961/a La tecnica delle miniere e delle cave fino al diciassettesimo seco lo, in AA.VV. Storia della Tecnologia, Torino, ed. Boringhieri, pp. 1-40.
CAGIANODE AZEVEDO M. 1961 Tecniche della pittura parietale antica, in Atti del Settimo
Congresso Internazionale di Archeologia Classica, Roma, ed. LErma di
Bretschneider, pp. 145-154.
CALEGARI M. MORENO D. 1975 Manifattura vetraria in Liguria fra XIV e XVII secolo, in
Archeologia Medievale, II, pp. 13-29.
CALVI M.C. 1968 I vetri romani del Museo di Aquileia, Pubblicazioni dellAssociazione
Nazionale per Aquileia, 7.
CALVINO F. 1963 Lezioni di litologia applicata per studenti in architettura, Padova, 1963,
ed. Antonio Milani.
CAMERON M.S.A. JONES R.E. PHILIPPAKIS S.E. 1977 Scientific Analysis of Minoan Fresco.
Samples from Knossos, in The Annual of the British School at Athen, LXXII,
pp.121-184.
Aurora Cagnana
237
CAPELLI C., MANNONI T., RICCI R. 1998/99 Il restauro degli stucchi, in AA.VV. Christiana
signa. Testimonianze figurative a Genova tra IV e XI secolo, Guida alla
Mostra, Genova, ed. Me. Ca. Recco, p.24.
CAPURRO E. GUGLIELMI T. 1991/92 Un secolo di decorazione dipinta: tecniche, materiali
tradizionali ed evoluzione stilistica nel genovesato, Tesi di Laurea Discussa
presso lUniversit di Genova, Facolt di Architettura.
CARUSO N. 1983 Ceramica viva. Manuale pratico delle tecniche di lavorazione antiche e
moderne, dellOriente e dellOccidente, Milano, Hoepli.
CASOLO GINELLI L. 1998 Indagini mensiocronologiche in area milanese , in Archeologia
dellArchitettura, III, pp. 53-60.
CASTELLETTI L. 1975 I carboni della vetreria medievale di Monte Lecco, in Archeologia
Medievale, II, pp. 99-122.
CASTELLETTI L. 1988 Dendrocronologia, in FRANCOVICH R., PARENTI R. Archeologia e
Restauro dei monumenti, I ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeo logia. Certosa di Pontignano (Siena), 28 settembre - 10 ottobre, 1987,
Firenze, ed. AllInsegna del Giglio, pp. 421-454.
CASTELNUOVO E. 1994 Vetrate medievali. Officine, tecniche, maestri, Torino, ed. Einaudi.
CATARSI
DELLAGLIO
CHAPELOT
M. 1994 Edilizia residenziale tra Tardoantico e Altomedioevo: le sempio dellEmilia occidentale, in BROGIOLO G.P. (a cura di) Edilizia residen ziale tra V e VIII secolo. 4 seminario sul tardoantico e laltomedioevo in
Italia centrosettentrionale, Monte Barro - Galbiate (Lecco) 2-4 settembre
1993, Mantova, ed. Padus, pp. 149-156.
O. 1975 La fourniture de la pierre sur les chantiers bourguignons (XIVe-XVe
sicle), in 98e Congrs national des Socits savantes, Saint-Etienne, pp.
209-224.
CHAPELOT O. BENOIT P. 1985 Pierre et metal dans le btiment au Moyen Age, Paris, ed.
Ecole hautes tudes en science sociales.
CHARLESWORTH D. 1977 Roman Window Glass from Chichester, Sussex, in Journal of
Glass Studies XIX, p. 182.
CIMA M. 1991 Archeologia del ferro: sistemi materiali e processi, dalle origini alla
Rivoluzione Industriale, Torino.
CLAVAL F. 1988 Les pures de la Cathedrale de Clermont-Ferrand, in Bulletin
Archologique du Comit des travaux historiques et scientifiques, n.s. 2021, 1984-85, fasc. A (1988), pp. 7-58.
COARELLI F. 1977 Public Building in Rome between the second Punic War and Sulla, in
Papers of the British School at Rome, XLV, p. 1 e segg.
COLLEDANI G. P ERFETTI T. 1994 (a cura di) Dal sasso al mosaico. Storia dei terrazzieri e
mosaicisti di Sequals, Pordenone.
238
Aurora Cagnana
239
240
Aurora Cagnana
241
HASELBERGER L. 1994 Ein Giebelriss der Vorhalle des Pantheon: die Werkrisse vor dem
Augustusmausoleum, in Mitteilungen des Deutschen Archaeologischen
Institut, Roemische Abteilung, n.101, pp. 279-308.
H EALY J.F. 1993 Miniere e metallurgia nel mondo greco e romano, Roma.
HEIZER FLEMING R. 1989 Let dei giganti. I trasporti pesanti nellantichit, ed. Marsilio
Erizzo.
KIMPEL D.1977 Le dveloppement de la taille en srie dans larchitecture mdivale et
son rle dans lhistoire conomique, in Bulletin Monumental, 135 (III),
1977, pp. 195-222.
KLAPISCH ZUBERT C. 1969 Les maitres du marbre. Carrare 1300-1600, Paris, 1969,
Sevpen.
LAMBRAKI A. 1980 Le cipolin de la Karystie. Contribution a ltude des marbres de la
Grce exploits aux poques romaine et palochrtienne, in Revue
Archologique (fasc. 1), pp. 31-62.
L ASFARGUES J. 1985 (a cura di), Architectures de terre et de bois, Documents
dArchologie Franaise, n 2.
LING R.J. 1972 Stucco Decoration in Pre-Augustan Italy, in Papers of the British School
at Rome, XL, pp.
L UCAS A. 1926 Ancient egyptian materials and industries , London.
MANNONI L. e T. 1984 Il marmo. Materia e cultura, Genova, ed Sagep (1 ed. 1978).
MANNONI T. 1975 La ceramica medievale a Genova e nella Liguria, Bordighera.
MANNONI T. 1984 Analisi di intonaci e malte genovesi. Formule, materiali e cause di
degrado, in Facciate Dipinte. Conservazione e Restauro, Genova, pp. 141-149;
195-197.
MANNONI T.1986 Definizione del termine marmo e cenni storici, in Il marmo nel mondo,
Carrara, pp. 11-19 (Ripubblicato in MANNONI T. Caratteri costruttivi delledi lizia storica, Genova, 1994/a, pp. 105-110).
MANNONI T. 1988 Ricerche sulle malte genovesi alla porcellana, in Le scienze, le istitu zioni, gli operatori alla soglia degli anni 90, Padova, pp. 137-142a.
MANNONI T. 1990 Dalle analisi dello stato attuale, alla conoscenza dei modi di produ zione degli intonaci, in Superfici dellarchitettura: le finiture, Padova, pp.
699-707.
MANNONI T. 1992 Le tecniche di estrazione e di lavorazione del marmo nel Medioevo, in
C ASTELNUOVO E. (a cura di) Niveo de marmore , Genova, pp. 27-28
(Ripubblicato in MANNONI T. Caratteri costruttivi delledilizia storica,
Genova, 1994/a, pp. 105-110).
MANNONI T. 1993 Le tradizioni liguri negli impieghi delle pietre, in MARCHI P. (a cura
di), Pietre di Liguria, Genova, ed. Sagep, pp. 37-44.
242
MANNONI T. 1993/a Metodi mineralogici applicati alla soluzione di problemi archeologi ci, in Notiziario di Archeologia Medievale, 61, pp. 7-10.
MANNONI T. 1994 Archeologia delle tecniche produttive, Genova, ed. Sagep-Escum.
MANNONI T. 1994/a Caratteri costruttivi delledilizia storica, Genova, ed. Sagep-Escum.
MANNONI T. 1996 Tecniche costruttive portuali , in MELLI P. (a cura di) La citt ritrova ta. Archeologia urbana a Genova 1984-1994, Genova, ed Tormena, pp. 125126.
MANNONI T. 1997 Il problema complesso delle murature storiche in pietra 1. Cultura
materiale e cronotipologia, in Archeologia dellArchitettura, II, pp. 15-24.
MANNONI T. 1999/a Continuit e discontinuit nelle tecniche del bronzo, in BANTI O. (a
cura di) La porta di Bonanno nel Duomo di Pisa e le porte bronzee medieva li europee. Arte e tecnologia, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Pisa
6-8 maggio 1993, Pisa, ed. Bandecchi e Vivaldi, pp. 147 - 150.
MANNONI T. 1999/b Il punto di vista dellarcheologia globale, in CAVANA M., DUFOUR
BOZZO C., FUSCONI C. (a cura di) San Salvatore dei Fieschi. Un documento di
architettura medievale in Liguria , pp. 73-78, Milano, ed. A.Pizzi.
MANNONI T., F ERRANDO CABONA I. 1984 Liguria, ritratto di una regione. Gli edifici fra
storia e archeologia, Genova, ed. Sagep.
MANNONI T. GIANNICHEDDA E. 1996 Archeologia della produzione, Torino, ed. Einaudi.
MANNONI T. MILANESE M. 1988 Mensiocronologia, in FRANCOVICH R. PARENTI R. (a cura
di) Archeologia e restauro dei monumenti, Firenze, ed. AllInsegna del Giglio,
pp. 383-402.
MANNONI T. RICCI R. 1992 La cava in pietra di Finale di SantAntonino di Perti, in
Archeologia Medievale, XIX , pp. 367-368.
MANNONI T. RICCI R. SFRECOLA S. 1988 Le analisi di laboratorio di supporto al restauro
delle facciate, in Tutela e conservazione del patrimonio architettonico, Torino,
pp. 15-16; 37-38.
MARAZZI F. FRANCIS K.D. 1996 Leredit dellantico. Tecnologia e produzione in un mona stero imperiale carolingio: San Vincenzo al Volturno, in KHANOUSSI M.,
RUGGERI P., VISMARA C., LAfrica romana, Atti dellXI Congresso di Studi,
Cartagine, 15-18 dicembre 1994, vol. II, pp. 1029-1045.
MARCHESI H. THIRIOT J. VALLAURI L. 1997 Marseille, les ateliers de potiers du XIII e s. et
le quartier Sainte-Barbe (Ve - XVII e s.), Documents dArchologie
Franaise.
MARTIN R. 1965, Manuel dArchitecture grecque, vol.I, Materiaux et techniques Paris.
MARZATICO F. 1988 I carpentieri palafitticoli di Fiav, in AA.VV. 1988 Archeologia del
legno. Documenti dellet del bronzo dallarea sudalpina, Trento, Castello del
Buonconsiglio, settembre-ottobre 1988. Catalogo della mostra, ed. Provincia
Autonoma di Trento, pp. 35-50.
Aurora Cagnana
243
244
PARENTI R. QUIROS CASTILLO J.A. c.s. La produzione dei mattoni della Toscana medieva le (XII-XVI). Un tentativo di sintesi, in Colloque international la brique anti que et mdivale. Production et commercialisation dun matriau, Atti del
convegno internazionale, Parigi, 16-18 novembre 1995, in corso di stampa
PENSABENE P. 1995 Le vie del marmo , Roma, Itinerari ostiensi n.VII.
PESEZ J.M. 1985 La terre et le bois dans la construction mdivale, in LASFARGUES J.
1985 (a cura di), Architectures de terre et de bois, Documents dArchologie
Franaise, n 2, pp. 159-168.
PIRINA C. 1993 Frammenti vitrei dalla torre civica di Pavia, in Milano e la Lombardia
in et comunale. Secoli XI-XIII , Milano ed. A. Pizzi, pp. 249-250.
PITTALUGA D. GHISLANZONI P. 1991 Mensiocronologia dei mattoni: la statistica applicata
allanalisi, in Archeologia Medievale, XVIII, pp. 683-686.
PITTALUGA D. GHISLANZONI P. 1992 Informazioni storiche e tecniche leggibili sulle super fici in laterizio in Le superfici dellArchitettura: il cotto. Caratterizzazione e
trattamenti, Atti del Convegno di Studi, Padova, pp. 11- 21.
PITTALUGA D. QUIROS CASTILLO J.A. 1997 Mensiocronologie dei laterizi della Liguria e
della Toscana: due esperienze a confronto, in GELICHI S. (a cura di) Atti del I
Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Pisa, 29-31 maggio, 1997, ed.
AllInsegna del Giglio, pp. 460-463.
POLATI I. S ACCO G. Scienza dei materiali, Bergamo, 1990, ed. Juvenilia
QUIROS CASTILLO J.A. 1996 Produzione di laterizi nella provincia di Pistoia e nella
Toscana medievale e postmedievale, in Archeologia dellArchitettura, I, pp.
41-52.
QUIROS CASTILLO J.A. 1997 La mensiocronologia dei laterizi della Toscana: problemati che e prospettive di ricerca in Archeologia dellArchitettura, II, pp. 159-166.
RAFFAELLI U. 1996 (a cura di) Oltre la porta. Serrature, chiavi e forzieri dalla preistoria
allet moderna nelle Alpi Orientali, Trento.
RAKOB F. 1993 Chemtou, le cave del marmo numidico, in AA.VV. Storia di Roma, III. 2.,
Torino, ed. Einaudi, pp.363-366.
RECCHIONE L. 1996 Prime indagini mensiocronologiche sui laterizi nella citt di Brescia,
in DELLA TORRE S. (a cura di) Storia delle tecniche murarie e tutela del
costruito. Esperienze e questioni di metodo, Milano, ed.Guerini e Associati,
pp. 195-204.
RICCI R. 1989 Composizione e datazione delle malte e degli intonaci in Liguria. Nota 1,
in Archeologia Medievale XVI, pp. 663-673.
RICCI R. 1998 Composizione e datazione delle malte e degli intonaci in Liguria. Nota 2,
in Archeologia dellArchitettura III, pp. 45-51.
ROCKWELL P. 1989 Lavorare la pietra. Manuale per larcheologo, lo storico dellarte e il
restauratore, Roma, ed. Nis.
Aurora Cagnana
245
ET ALII
246