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Il riconoscimento della giustizia globale come problema poli-

tico a pieno titolo costituisce una delle novit pi rilevanti della discussione inter-
nazionalistica odierna. Tale legittimazione il frutto di un acceso dibattito trenten-
nale che riuscito ad emergere lentamente dal limbo in cui era stato lasciato per
molto tempo, sin dalle prime affermazioni della disciplina delle International Rela-
tions. Tra le cause desclusione di diversa natura e duguale effettivit tre hanno ri-
vestito, sino agli anni Settanta, un ruolo particolarmente significativo per ci che
concerne questo studio: legemonia della scuola realista nel dibattito politologico
delle relazioni internazionali; la situazione politica mondiale dovuta alla guerra
fredda; e linteresse prevalentemente meta-etico della filosofia darea anglosassone
della prima parte del Novecento.
Il dibattito specifico sulletica applicata alle relazioni internazionali si avviato
negli Stati Uniti proprio in diretta contrapposizione al paradigma realista che, fino ad
allora, aveva esercitato una vera e propria egemonia dottrinale. Contro le pretese rea-
liste, che intendendo la politica come perseguimento dellinteresse nazionale riserva-
no alletica universalistica uno spazio del tutto marginale, i filosofi morali e politici
hanno fatto valere con rinnovata passione le considerazioni etiche transnazionali. Una
delle prime affermazioni pubbliche di questa controtendenza riconosciuta nella ri-
soluzione del 1967 della American Philosophical Association contro la guerra in
* Desidero ringraziare Eugenio Lecaldano e Michele Marchetti per i commenti a una precedente ver-
sione di questo saggio.
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FILOSOFIA E QUESTIONI PUBBLICHE 1, 2005
Raffaele Marchetti
Utilitarismo e giustizia globale*
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Vietnam
1
, la quale mise in moto un ampio dibattito che port poi alla fondazione, da
parte di alcuni filosofi come Morgenbesser e Nagel, della Society for Philosophy and
Public Affairs nel 1969, progenitrice dellomonima rivista, per anni punto di riferi-
mento per il presente dibattito. Da allora la discussione si molto diffusa tanto che
quasi tutte le scuole di pensiero si sono cimentate sugli specifici temi internazionalisti-
ci: dal contrattualismo al marxismo, dalla teoria liberale dei diritti al femminismo, dal
giusnaturalismo al postmodernismo, dal neokantismo al neohegelismo, dal nazionali-
smo al repubblicanesimo, tutti hanno detto la loro sulla giustizia globale
2
. In questo
gran calderone anche lutilitarismo ha fatto la sua parte, sebbene sia stata, a parere di
chi scrive, una parte sottovalutata e ancora non sviluppata a pieno.
La produzione utilitaristica che si sviluppa a partire dagli anni Settanta
3
si con-
centra su una serie molto ampia di questioni di carattere internazionalistico (fra i
quali, la guerra e la deterrenza nucleare; la migrazione e la cittadinanza; la sovrani-
t, i diritti umani e la democrazia internazionale; i problemi demografici e quelli del-
le generazioni future; la povert e la giustizia distributiva internazionale; lingerenza
esterna e lautodeterminazione; la crisi ambientale e il nazionalismo)
4
, ma non ri-
112
RAFFAELE MARCHETTI
1
Journal of Philosophy, 1, 1967.
2
Come opere dinquadramento generale sulla discussione corrente sulla giustizia globale si veda: C.
Brown, International Relations Theory: New Normative Approaches, Harvester Wheatsheaf, Hemel Hemp-
stead 1992; K.G. Giesen, Letique des relations internationales. Les theories anglo-americaines contemporai-
nes, Bruylant, Brussels 1992; C. Jones, Global Justice: Defending Cosmopolitanism, Oxford University Press,
Oxford 1999; S. Caney, Review Article: International Distributive Justice, Political Studies, 5, 2001.
3
Malgrado siano di Bertrand Russell i primi scritti di utilitarismo internazionalistico del XX secolo, la
sua figura rimane tuttavia del tutto esterna al presente dibattito. B. Russell, Human Society in Ethics and Po-
litics, Allen & Unwin, London 1954.
4
Cfr. la seguente bibliografia divisa per argomenti per un primo approccio alla letteratura utilitaristica
internazionalistica contemporanea. GUERRA E DETERRENZA: R.B. Brandt, Utilitarianism and the Rules of War,
Philosophy and Public Affairs, 1, 1972, R.B. Brandt, When Is It Morally Permissible to Use Tactical Nuclear
Weapons, paper presentato al War and Morality Symposium, US Military Academy, West-Point, 1980; J.E.
Hare e C.B. Joynt, Ethics and International Affairs, Macmillan, London 1982; R. Goodin, Disarmement as a
Moral Certainty, Ethics, LXLV, 1985; R.M. Hare, Essays on Political Morality, Clarendon Press, Oxford
1989, G. Pontara, Antigone o creonte, Editori Riuniti, Roma 1990; G. Pontara, Guerra etica, etica della guerra
e tutela globale dei diritti, Ragion Pratica, gennaio, 2000; J. Glover, Humanity. A Moral History of the Twen-
tieth Century, Pimlico, London 2001. MIGRAZIONE E CITTADINANZA: R. Goodin, What is So Special about Our
Fellow Countrymen?, Ethics, 4, 1988; P. e R. Singer, The ethics of refugees policy, in M. Gibney, Open
borders? Closed societies?: The Ethical and Political Issues, Greenwood, New York 1988; B. Barry e R.E. Goo-
din, a cura di, Free Movement: ethical issues in the transnational migration of people and money, Harvester
Wheatsheaf, Hemel Hempstead 1992; R. Goodin, Inclusion and Exclusion, Archives Europennes de Socio-
logie, 2, 1996. DIRITTI UMANI: D. Lyons, Human Rights and the General Welfare, Philosophy and Public Af-
fairs, 6, 1977; R. Goodin, The Development-Rights Trade Off: Some Unwarranted Economic and Political As-
sumptions, Universal Human Rights, 1, 1979; J. Narveson, Human Rights: Which, if Any, Are There?, No-
mos, XXII, 1981; A. Gibbard, Utilitarianism vs. Human Rights, in E. P. Frankel et al., a cura di, Human
Rights, Oxford University Press, Oxford 1984; G. Pontara, Interdipendenza e indivisibilit dei diritti economi-
ci, sociali, culturali e politici, in AA.VV., a cura di, I diritti umani a 40 anni dalla dichiarazione universale, Ce-
dam, Padova 1989. SOVRANIT E DEMOCRAZIA INTERNAZIONALE: P. Singer, One World: the Ethics of Globali-
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esce a generare una sintesi che funga da punto di riferimento critico ultimo per lin-
tera scuola. Malgrado leterogeneit di contenuto, questi temi richiedono, infatti,
delle risposte normative che rimandano inevitabilmente a un approccio comprensi-
vo di giustizia globale, il quale non tuttavia facilmente identificabile in modo uni-
voco. dunque su tale prospettiva generale che il presente saggio si concentra, ten-
tando di tirare delle fila di tipo comparitivistico su quegli argomenti di giustizia glo-
bale che supportano le specifiche proposte che hanno animato il dibattito utilitari-
stico degli ultimi trentanni. Partendo dalla constatazione della mancanza, presso-
ch assoluta, di unopera che funga da raccordo tra i vari scritti
5
, il presente lavoro
zation, Yale University Press, New Haven 2002; R. Goodin, Justice in One Jurisdiction, No More, Philoso-
phical Topics, 2, 2002; R. Goodin, Globalising Justice, in D. Held e M. Koenig-Archibugi, a cura di, Ta-
ming Globalisation: Frontiers of Governance, Polity Press, Cambridge 2003. PROBLEMI DEMOGRAFICI E GENE-
RAZIONI FUTURE: J. Narveson, Utilitarianism and New Generation, Mind, 76, 1967; J. Narveson, Moral Pro-
blem of Population, Monist, 1, 1973; J. Fletcher, Give if It Helps but not if It Hurts, in W. Aiken e H. La
Follette, a cura di, World Hunger and Moral Obligation, Prentice-Hall, Englewood Cliffs 1974; G. Hardin,
Lifeboat Ethics: the Case Against Helping the Poor, in W. Aiken e H. La Follette, a cura di, World Hunger
and Moral Obligation, cit.; J. Fletcher, Feeding the Hungry: an Ethical Appraisal, in G.R. Lucas e T.W.
Ogletree, a cura di, Lifeboath Ethics. The Moral Dilemmas of World Hunger, Harper & Row Press, New York
1976; G. Hardin, Carrying Capacity as an Ethical Concept, in G.R. Lucas e T.W. Ogletree, Lifeboath Ethics.
The Moral Dilemmas of World Hunger, cit.; G. Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995.
POVERT E GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA INTERNAZIONALE: J. Narveson, Aesthetics, Charity and Distributive Justice,
Monist, 56, 1972; P. Singer, Famine, Affluence, and Morality, Philosophy and Public Affairs; J. Narveson,
Morality and Starvation, in W. Aiken e H. La Follette, a cura di, World Hunger and Moral Obligation, cit.;
P. Singer, Reconsidering the Famine Relief Argument, in P.G. Brown e H. Shue, a cura di, Food Policy. The
Responsability of the U.S. in the Life and Death Choices, The Free Press, New York 1977; T. Carson, Utilita-
rianism and World Poverty, in D. Miller e H. W. Williams, a cura di, The Limits of Utilitarianism, University
of Minnesota Press, Minneapolis 1982; G. Pontara, Filosofia pratica, il Saggiatore, Milano 1988; G. Elfstrom,
Ethics for a Shrinking World, Macmillan, London 1989; P. Unger, Living High and Letting Die: Our Illusion of
Innocence, Oxford University Press, Oxford 1996; B. Hooker, Rule-consequentialism and the Obligation to the
Needy, Pacific Philosophical Quarterly, 79, 1998; P. Singer, The Singer Solution to World Poverty, New
York Time online, September 5, 1999; B. Hooker, Ideal Code, Real World: A Rule-Consequentialist Theory of
Morality, Oxford University Press, Oxford 2000; A. Kuper e P. Singer, Debate: Global Poverty Relief, Ethics
and International Affairs, 1, 2002. INGERENZA ESTERNA E AUTODETERMINAZIONE: G. Elfstrom, On Dilemmas
of Intervention, Ethics, 93, 1983; J. McMahan, Ethics of International Intervention, in A. Ellis, a cura di,
Ethics and International Relations, Manchester University Press, Manchester 1986; S. Brittan, Morality and
Foreign Policy, A Restatement of Economic Liberalism, Macmillan, London 1988; J. McMahan, Intervention
and Collective Self-Determination, Ethics and International Affairs, 1996. PROBLEMI ECOLOGICI: R. Goodin,
International Ethics and the Environmental Crisis, Ethics and International Affairs, 4, 1990; R. Goodin,
Green Political Theory, Polity Press, Cambridge 1992. SALUTE: J.E. Roemer, Distributing Health: The Allo-
cation of Resources by an International Agency, in M. Nussbaum e A. Sen, The Quality of Life, Clarendon
Press, Oxford 1993. NAZIONALISMO E MULTICULTURALISMO: R. McKim e J. McMahan, a cura di, The Morality
of Nationalism, Oxford University Press, New York 1997; R. Goodin, Conventions and Conversions, or,
Why Is Nationalism Sometimes so Nasty?, in R. McKim e J. McMahan, The Morality of Nationalism, cit.
5
Lunico saggio interamente dedicato allutilitarismo internazionalistico larticolo A. Ellis, Utilita-
rianism and International Ethics, in T. Nardin e D.R. Mapel, a cura di, Traditions of International Ethics,
Cambridge University Press, Cambridge 1992, che per un lavoro breve e del tutto sommario, in quanto
presenta molte lacune soprattutto per la parte contemporanea. Pi completo il capitolo che Jones ha dedi-
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tenta di offrire una prima organizzazione dei vari ragionamenti utilitaristici sulla
giustizia globale al fine di contribuire a colmare tale lacuna
6
. Non intende per di-
fendere una specifica prospettiva normativa utilitaristica, in quanto riconosce i gra-
vi limiti epistemologici che laffliggono in termini di inaffidabilit pubblica delle
comparazioni interpersonali dutilit
7
.
inevitabile che anche lutilitarismo, cos come gran parte dellodierna filoso-
fia politica, tenga presente i cambiamenti che stanno mutando la vita civile e politi-
ca dogni cittadino, tra i quali uno dei pi significativi il progressivo superamento
dei confini nazionali intesi come limite ai rapporti tra gli individui. Il settore che
traina il processo quello economico, ma a seguire, o parallelamente, anche la poli-
tica, il dititto e la cultura stanno vivendo inedite trasformazioni globali che mettono
in crisi i vecchi canoni di condotta
8
. Il caso della filosofia politica emblematico: da
un lato lideologia della sovranit nazionale viene continuamente corrosa, dallaltro
il dibattito sulle nuove forme dellinterrelazione politica estremamente acceso. Si
affiancano proposte verso lalto e verso il basso: si va da un ritorno comunitaristico
alle tradizioni partecipative locali, alle esigenze di una pi estesa cooperazione con-
federativa macroregionale, alla riforma e creazione dorganismi mondiali federativi
e cosmopolitici. Quale che sia la proposta che prevarr, il dato etico da considerare
che lintensificazione delle relazioni internazionali sta provocando unespansione
dellambito dei sentimenti morali comuni e delle relative responsabilit politiche.
Di fronte ai problemi che questi cambiamenti hanno generato e continuano a
esacerbare, gli utilitaristi hanno suggerito diverse risposte normative. Questa rac-
colta presenta le pi rilevanti fra le argomentazioni internazionalistiche generali
avanzate a partire dal famoso articolo del 1972 di Peter Singer. Come detto, queste
cato allutilitarismo in C. Jones, Global Justice: Defending Cosmopolitanism, cit., sebbene anche questo soffra
dalcune deficienze rilevanti come ad esempio gli argomenti di R.M.Hare. Libri di estrazione utilitarista con
pretese multitematiche sono infine C.B. Hare and J.E. Joynt, Ethics and International Affairs, cit. e P. Singer,
One World: The Ethics of Globalization, cit., ma anchessi non riescono a fornire un quadro completo degli
argomenti in campo.
6
Se lo studio delle relazioni internazionali in Italia nato tardi, per quanto riguarda il tema specifico
dellutilitarismo internazionalistico, la ricezione nellambiente accademico italiano stata pressoch nulla.
Unica eccezione quella, in un certo senso per esterna, di Giuliano Pontara che si dedicato a pi riprese
al tema della povert e della disparit tra Nord e Sud del mondo.
7
A parere dellautore, una prospettiva pi soddisfacente offerta dal conseguenzialismo cosmopoliti-
co. Per uno sviluppo di tale tipo di argomentazione si veda: R. Marchetti, Cittadinanza cosmopolitica e mi-
grazione, Teoria Politica, 1, 2004; R. Marchetti, Principi e struttura del cosmopolitismo consequenziali-
sta, in S. Maffettone e G. Pellegrino, a cura di, Etica delle relazioni internazionali, Costantino Marco, Co-
senza, 2004; R. Marchetti, Consequentialist Cosmopolitanism and Global Political Agency, in J. Eade e D.
OByrne, a cura di, Global Ethics and Civil Society, Ashgate, Aldershot 2005; R. Marchetti, La riforma delle
Nazioni Unite: modelli normativi e proposte politiche, di prossima pubblicazione in Teoria Politica, 2, 2005.
8
Per una presentazione del dibattito sulla situazione internazionale odierna si veda Undp, Human De-
velopment Report: Globalization, Oxford University Press, Oxford 1999; A.G. McGrew e D. Held, The Glo-
bal Transformations Reader: An Introduction to the Globalization Debate, Polity Press, Cambridge 2000.
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saranno esplicitate come proposte normative di carattere globale, evitando di entra-
re nel dettaglio delle applicazioni ai casi speciali, se non per esemplificare i principi
generali.
I problemi di carattere generale che lutilitarismo internazionalistico affronta
sono gli stessi che hanno stimolato il risveglio delletica applicata alle relazioni in-
ternazionali negli anni Settanta. La constatazione tipicamente utilitaristica, invece,
che il sistema mondiale attuale non massimizza il benessere generale dellumanit e
quindi richiede una revisione del sistema politico istituzionale e dei suoi principi
normativi. Ci spinge a un esame critico dei concetti filosofici su cui si basano le isti-
tuzioni politiche attuali e a unidentificazione di una nuova struttura normativa mul-
tilivello di diritti e doveri di stampo universalistico. Il risultato tendenziale su cui,
come vedremo, concordano molte delle argomentazioni utilitaristiche consiste in un
universalismo cosmopolitico morale, quandanche non istituzionale.
Largomento singeriano
Il saggio di Peter Singer del 1972, Famine, Affluence and Morality, costituisce la
prima, certamente la pi influente, riflessione utilitarista contemporanea sulla giu-
stizia internazionale e rappresenta quindi il fondamentale punto di partenza per ca-
pire come le varie argomentazioni di questa scuola si siano evolute. Il caso esamina-
to in questarticolo riguarda principalmente le carestie, ma suscettibile destensio-
ne al tema generale della diseguaglianza e della giustizia globale, come lo stesso au-
tore ha indicato nelle versioni successive dello stesso e poi sviluppato nella sua ulti-
ma, pi complessiva, opera
9
.
La posizione normativa generale di Singer nasce dal riconoscimento della cen-
tralit del carattere universalistico dei giudizi etici. Da qui, egli deduce un principio
base deguaglianza: il pari rispetto degli interessi di tutti gli esseri senzienti. Caratte-
ristica, quindi, per essere considerati, da un punto di vista imparziale, soggetti mo-
rali non qualche facolt razionale, bens la capacit di avere interessi, da cui poi di-
scende un principio di compenso secondo il bisogno e limpegno, piuttosto che per
le capacit personali. Di conseguenza, vengono individuati alcuni interessi fonda-
mentali delluomo (quali evitare dolore, sviluppare le proprie capacit, soddisfare i
bisogni primari di cibo e riparo, godere di rapporti personali amichevoli e essere li-
beri di perseguire i propri progetti senza interferenze)
10
, i quali insieme al principio
dellutilit marginale decrescente conducono a una versione dellutilitarismo degli
9
P. Singer, Reconsidering the Famine Relief Argument, cit.; P. Singer, Practical Ethics, Cambridge
University Press, Cambridge 1979; P. Singer, The Singer Solution to World Poverty, cit.; P. Singer, One
World, cit..
10
P. Singer, Practical Ethics, cit., p. 37.
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interessi, o delle preferenze, ricca di fertili ricadute per le politiche redistributive
globali
11
.
Il ragionamento di Singer pi specificatamente attinente al problema della fame
composto da tre premesse argomentative (due morali e una fattuale), che hanno la
pretesa dessere minimali e di poter quindi essere accettate da un vasto pubblico, a
prescindere dalla simpatia nei confronti della teoria utilitaristica. In forma sintetica
sono le seguenti:
1) la sofferenza e la morte per mancanza di cibo, tetto e cure mediche (o se-
guendo le varie versioni in senso cronologico: linedia e la povert assoluta) male.
Il grado di bont del mondo, a parit delle altre condizioni, dipende dal minor nu-
mero di persone in tale stato.
2) se si pu prevenire che qualcosa di male accada, senza sacrificare nulla di mo-
ralmente importante, si ha il dovere di agire (versione moderata). Se si pu preveni-
re che qualcosa di male accada, senza sacrificare nulla dimportanza morale compa-
rabile, si ha il dovere di agire (versione forte).
3) i cittadini dei paesi sviluppati sono nella posizione di poter ridurre il nume-
ro di persone in stato di inedia nel mondo.
4) la conclusione normativa, basata sul principio utilitaristico negativo e su
quello imparzialistico che ne segue, secondo la versione forte preferita da Singer,
che abbiamo il dovere di prevenire quanta pi inedia possibile, fino al punto in cui
ci implicherebbe sacrificare qualcosa di altrettanto importante da un punto di vi-
sta morale.
Molte argomentazioni di stampo liberale, come ad esempio quella di Robert
Nozick, puntano a relegare i doveri daiuto ai bisognosi nella categoria in cui latto
benemerito, ma non obbligatorio in senso stretto. Se lo si compie si viene lodati,
altrimenti non c merito n colpa. Il pregio dellapproccio singeriano consiste, in-
vece, nel riportare il dovere dassistenza nel campo dei doveri perfetti, secondo i
quali in caso domissione si passibili di sanzioni, almeno morali, quali il biasimo.
Il vecchio modo di pensare letica secondo cui laiuto ai poveri lasciato alla bene-
ficenza caritatevole privata va abbandonato. In questo bisogna essere, sostiene Sin-
ger, controintuitivi, perch, date le caratteristiche della presente societ, appiattirsi
sulle attitudini etiche esistenti non permetterebbe di andare oltre un conservatori-
smo di posizioni divenute ormai immorali. Avanzando pretese che possono risulta-
re provocatorie, come fa lautore con il suo articolo, si pu invece facilitare lin-
gresso nel senso comune di nuovi standard morali che permettano unevoluzione
civile adeguata al nuovo ambiente socio-politico mondiale.
11
Per una critica della sua doppia fondazione, utilitaristica e egualitaria, cfr. S. Maffettone, Le ragioni de-
gli altri, il Saggiatore, Milano 1992, p. 73 e la sua introduzione alledizione italiana di P. Singer, Etica pratica, Li-
guori, Napoli 1989.
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Per Singer, la versione forte, quella cio che richiede un impegno fino al limite
rappresentato da un costo personale dimportanza morale comparabile allaiuto da-
to, quella meglio difendibile. Ci richiede una trasformazione radicale della no-
stra vita e una rinuncia a buona parte della societ consumistica attuale. Purtroppo
per lautore non esplicita i modi, che nascondono non poche insidie, attraverso i
quali condurre tale trasformazione. Sono, infatti, molte le vie di transizione che, se
non percorse in modo graduale e pacifico, metterebbero a rischio il saldo netto di
benessere totale. Forse anche per questo la richiesta definitiva nei confronti dei cit-
tadini abbienti ridotta pragmaticamente al 10 per cento di uno stipendio medio,
in memoria di quella tassa, la decima, che era consuetudine pagare nel medioevo
per aiutare i poveri. Al di l di ci, il testo non per insensibile alle necessit pra-
tiche di un coinvolgimento istituzionale nellaiuto internazionale, sebbene ci non
sia stato spesso rilevato dai critici. Se tutto il ragionamento di stampo individuali-
stico, la conclusione alla quale si arriva implica e richiede anche un impegno politi-
co di sostegno alle campagne di finanziamento pubblico per progetti di coopera-
zione internazionale e, come sottolineato nella sua ultima opera, a quelle di modifi-
ca della struttura istituzionale internazionale rappresentata da organismi quali il
Wto e le Nazioni Unite.
Laltra caratteristica, che segna una differenza netta rispetto ai sostenitori del-
letica comunitaristica degli obblighi speciali, costituita dal valore universale dei
precetti qui indicati. Per Singer, fattori come la prossimit o il numero dei potenzia-
li aiutanti non incidono, direttamente e significativamente, sullaspetto qualitativo
della prescrizione. chiaro per che, dato il fine ultimo consequenzialista della
massimizzazione del benessere generale, rimangono possibili delle divisioni del la-
voro, attraverso le quali la dimensione territoriale riacquisti, in modo indiretto, va-
lore. Inoltre, lobiezione del non cambia nulla che io aiuti o meno respinta fa-
cendo riferimento allefficacia dellimpegno individuale nellaiuto anche di una sola
situazione di sofferenza. Infine, il problema multiculturale viene in parte evitato fa-
cendo riferimento a situazioni base, in cui i confronti interpersonali sono facilitati
dai termini di riferimento elementari e lanalisi costi-benefici resa perci possibile
12
.
Punto daccesa discussione delle tesi di Singer laccettazione del metodo con-
sequenzialista del triage come criterio selettivo per destinare gli aiuti in situazioni di
scarsit di risorse da riallocare. Il metodo mutuato dalla pratica medica secondo
cui la selezione degli assistiti, in caso di limitate risorse mediche, decisa sulla base
della maggiore capacit dei pazienti di beneficiare della cura. Singer lo adotta per
12
Una tale strategia argomentativa per possibile solo a livello minimale. Se linsieme dei beni da ri-
allocare si espande, la difficolt aumentano geometricamente. Si veda Narveson, Aesthetics, Charity and Dis-
tributive Justice, cit. per unavvertenza contro la tentazione e lillusione di poter comparare le utilit dei di-
versi beni a livello universale.
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giustificare la precedenza degli aiuti umanitari ad alcuni paesi rispetto ad altri, che
non attuano politiche tese a massimizzare il benessere potenziale dei beni riallocati,
che non praticano, ad esempio, una politica demografica di controllo delle nascite.
Da un punto di vista utilitaristico, il ragionamento prima facie coerente, sebbene,
a livello critico, si ripresenti il serio problema, che qui non possibile discutere, del-
la responsabilit democratica interna e dei problemi assiologici per ci che riguarda
il multiculturalismo.
Oltre la specificit di tali critiche, un diverso tipo di considerazioni emerge se si
assume una prospettiva pi ampia. Dagli anni Settanta, Singer ha vigorosamente sti-
molato la discussione sulla giustizia globale, suggerendo un modo di vita cosmopo-
litico post-Vestfalia profondamente alternativo alle proposte contemporanee e at-
traendo cos inevitabilmente una serie di critiche provenienti da quasi ogni angolo
politico, al punto da essere accusato allo stesso tempo di essere un egualitarista ra-
dicale, pronto a divulgare una parola rivoluzionaria e un conservatore inconsapevo-
le interessato pi alla carit neoliberale che alla giustizia politica. Malgrado tali cri-
tiche, il contributo di Singer rimane fondamentale come componente di una narra-
zione, antinomica alla scuola rawlsiana dominante nelletica internazionale, svilup-
pata alla luce dello spirito di critica sociale che ha caratterizzato come leitmotiv una
parte della tradizione politica utilitaristica, da Mill via Russell a Singer stesso
13
.
I neomalthusiani e letica della scialuppa
Tra i consequenzialisti che hanno affrontato i temi della fame e della povert su
scala mondiale, un posto di rilievo occupato dai cosiddetti neomalthusiani, i quali
non negano la drammatica situazione di molti paesi in via di sviluppo, ma la possi-
bilit da parte dei paesi sviluppati di intervenire positivamente su di essa. La loro
analisi ha pi di un punto in comune con quella degli altri utilitaristi, ma la diver-
genza rimane forte per ci che concerne le loro proposte pratiche. Spesso accusati
dimmoralit, o meglio damoralit, questi filosofi tentano di offrire una lettura
scientifica del problema della fame e della povert, affiancata da un approccio nor-
mativo universalistico che si rif a Thomas Malthus. Secondo questultimo, infatti,
dato il differenziale di crescita tra la popolazione (geometrica) e mezzi di sostenta-
mento (aritmetica), non si pu far altro che aspettare, con leccezione delleducazio-
ne allastensione procreativa, che il ciclo naturale si compia attraverso guerre, care-
stie ed epidemie per riportare lequilibrio tra crescita demografica e approvvigiona-
menti. I neomalthusiani non vanno perci confusi con i politici realisti alla Morgen-
118
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13
Per unulteriore analisi dei pi recenti argomenti singeriani si rimanda a A. Kuper e P. Singer, Deba-
te: Global Poverty Relief, cit.; R. Marchetti, recensione di One World. The Ethics of Globalization, Utilitas,
3, 2004, pp. 332-334.
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thau i quali propugnano un semplice particolarismo nazionalistico. Sin dagli anni
Settanta, Garrett Hardin, il loro caposcuola, ha scandalizzato il mondo accademico
con la sua etica della scialuppa (lifeboat ethics)
14
, dando allo stesso tempo un con-
tributo impareggiabile alla vivacit della discussione.
Per Hardin, letica della scialuppa rappresenta solo unapplicazione speciale
della logica dei beni comuni. Il caso esemplare, che si presenta in forma di tragedia,
quello della terra in comune, nel quale, se ognuno alleva quanto bestiame vuole e
gode da solo di ci che coltiva, si arriver ben presto allinaridimento del terreno e
quindi alla povert generalizzata. In un mondo sovrappopolato, il superamento del-
la soglia di capacit biologica di sostentamento delle risorse pubbliche (carrying ca-
pacity) porta alla rovina per tutti. Meglio allora, anche da un punto di vista etico, la-
sciare che quelli che affogano intorno a noi rimangano nella loro condizione, piut-
tosto che caricarli sulla nostra scialuppa, facendola cos affondare, e ritrovarci tutti
in acqua senza speranza per il futuro. La popolazione una bomba che minaccia
tutti, sostengono i neomalthusiani, bisogna quindi tentare di disinnescarla prima
che esploda colpendo lumanit intera
15
.
Lapproccio etico dei neomalthusiani riserva, in questo modo, una particolare
attenzione alle problematiche ambientali. Il concetto di capacit di sostentamento fa
diretto riferimento alle potenzialit del territorio rispetto alle generazioni presenti e
future. Una conseguenza di ci consiste nel fatto che il tasso di sconto sul futuro
debba essere bilanciato dalla considerazione che la popolazione futura sar molto
maggiore dellattuale. La domanda centrale di Hardin and then what? ha, perci,
un doppio senso: per i posteri e per le conseguenze delle azioni. Il bersaglio pole-
mico principale sono, dunque, in primis quelle teorie etiche deontologiche per le
quali vale lantica massima fiat iustitia, pereat mundus
16
. Per i neomalthusiani, in-
somma, non possiamo sfamare il mondo intero e quindi nemmeno dobbiamo.
questa unassunzione che si basa su un attento esame diacronico e che evita cos la
fallacia della potenzialit (capacity fallacy).
La constatazione che attualmente la produzione alimentare sufficiente a co-
prire il fabbisogno mondiale non intacca il loro ragionamento, giacch unazione
distributiva del genere farebbe balzare in avanti il gi alto tasso dincremento de-
mografico, riproponendo domani e in modo aggravato la situazione senza via du-
scita della scialuppa. Per i seguaci di Malthus si darebbe, insomma, un caso di ge-
nerosit auto-confutantesi (self-defeating) in due situazioni: a) quando le probabili
conseguenze della condivisione mettano in pericolo la sopravvivenza della maggio-
ranza i cui interessi sono coinvolti (donanti e riceventi insieme); b) quando le pro-
14
G. Hardin, Lifeboat Ethics: the Case Against Helping the Poor, cit.
15
P. Ehrlich, The Population Bomb, Ballantine, New York 1971.
16
J. Fletcher, Give If It Helps but not If It Hurts, cit.
119
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babili conseguenze delle condivisione aumentino, piuttosto che alleviare, la miseria
dei riceventi
17
. Dal momento che in entrambi questi casi si avrebbe una perdita net-
ta di vite umane, i neomalthusiani, o almeno quelli meno radicali
18
, propongono
aiuti allo sviluppo vincolati allaccettazione dei paesi riceventi di politiche di con-
trollo delle nascite e alla ragionevole prospettiva di un possibile miglioramento del-
le condizioni socio-economiche dei beneficiari
19
, invece che meri aiuti alimentari
20
.
Ammettono, dunque, laiuto, ma a certe condizioni, quindi non a tutti: una parte dei
paesi in via di sviluppo andrebbe dunque abbandonata a se stessa proprio per ra-
gioni morali, per minimizzare cio le sofferenze totali, presenti e future.
Anche alcuni neomalthusiani, come gi Singer, adottano per selezionare i sog-
getti da aiutare un criterio che si rif ad alcune pratiche mediche, e in particolare al
triage, per cui, come detto, il nostro impegno in condizione di scarsit di risorse de-
ve essere indirizzato non a quelli che stanno meglio n a quelli che stanno peggio,
ma ai best risks per i quali solo laiuto pu fare la differenza, abbandonando cos
spesso i pi vulnerabili
21
. Un altro dei punti cruciali dellargomentazione neomal-
thusiana il rifiuto della teoria della transizione demografica, la quale sostiene
che, se opportunamente aiutati nello sviluppo, tutti i paesi subiscano un tendenzia-
le calo della natalit parallelamente alla crescita del livello di vita medio. I neomal-
thusiani affermano invece che, laddove ci si ottenga, questo rimane un risultato ca-
suale dal quale non si pu dedurre una legge universale, citando ad esempio i casi di
Francia, Irlanda e Stati Uniti in cui allo sviluppo economico-sociale si accompa-
gnata una grande crescita demografica.
Gi lutilitarismo classico internazionalistico era stato messo in guardia dallori-
ginale testo malthusiano. Non un caso, dunque, che sia ancoroggi possibile trova-
re dei punti di contatto tra le argomentazioni di Hardin e, per esempio, quelle di
Singer. Entrambi, infatti, pur proponendo soluzioni normative differenti, condivi-
dono lo stesso paradigma consequenzialistico. La costante attenzione alle conse-
guenze totali e di lungo periodo dei vari corsi dazione porta, infatti, in alcuni casi a
proposte come quella dei sacrifici attuali per benefici futuri che altre teorie norma-
17
J. Fletcher, Feeding the Hungry: an Ethical Appraisal, cit., pp. 57-58.
18
Vedi, perci, Fletcher, piuttosto che Hardin.
19
Ci porta, comunque, ad escludere dallaiuto la categoria dei paesi del quinto mondo, i quali hanno
superato la loro capacit biologica di sostentamento autonomo a causa delleccessiva popolazione e di con-
seguenza soffrono di croniche carestie e della paralisi della crescita economica. In questa categoria rientre-
rebbero paesi come lIndia, il Bangladesh, il Senegal e il Niger. Cfr. J. Fletcher, Give If It Helps but not If
It Hurts, cit., pp. 108-109.
20
Gli aiuti alimentari sono ammessi solo come supporto a quelli allo sviluppo e solo per casi di carestie
temporanee, ma mai per quelle croniche. questa una differenza con lapproccio utilitaristico maggioritario
ed invece una vicinanza con la posizione rawlsiana.
21
Per un approccio utilitarista ma opposto cfr. R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of
Our Social Responsibilities, University of Chicago Press, Chicago 1985.
120
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tive alternative non possono accettare. I punti di contatto con gli altri utilitaristi con-
temporanei sono dunque molti, ma nonostante questa vicinanza permangono alcu-
ne obiezioni, quali quella sullincertezza del risultato o quella ambientale, che ren-
dono inconciliabili i due differenti filoni di analisi normativa. Tanto lontani che non
solo da un punto di vista teorico le prescrizioni delluno saranno opposte a quelle
dellaltro, ma anche da un punto di vista personale gli autori arriveranno a lanciarsi
giudizi poco lusinghieri
22
.
Il principio dellanalogia
Uno dei tratti pi comuni delle varie argomentazioni internazionalistiche
quello della domestic analogy, la quale si sviluppa dal paradigma originariamente ap-
plicato alle relazioni individuali allinterno di un determinato gruppo
23
. Da questo
livello, gli obblighi morali vengono poi traslati, sostituendo gli agenti in causa a un
livello superiore dove i soggetti dobbligo e quindi di responsabilit divengono in
primis gli Stati e poi, di volta in volta, gli individui universalmente considerati (e non
pi i cittadini), le associazioni civili, le multinazionali e gli organismi internazionali.
Il passaggio analogico comporta per il sorgere di alcuni problemi di non facile so-
luzione, il maggiore dei quali riguarda lo status morale dei soggetti collettivi sul qua-
le le varie teorie politiche e legali hanno offerto letture alternative. Accanto alle in-
terpretazioni di stampo liberal-contrattualistico, per le quali lindividuo entra vo-
lontariamente, attraverso un patto, a far parte di unassociazione con finalit che, di
volta in volta, vengono fissate autonomamente dai soci in modo pubblico e accanto
alle interpretazioni che, invece, pongono laccento sui caratteri collettivi delle co-
munit quali fattori rilevanti dello status morale dellassociazione anche lutilitari-
smo ha proposto una robusta interpretazione analogica dellistituzione statale che, a
partire dal Fragment on Government del 1776 di Bentham (ispirato alla lezione hu-
miana), ha generato le pi recenti versioni internazionalistiche a opera di Hare e
Goodin.
Gi in un articolo del 1957, discutendo delle Ragioni di Stato e della crisi del ca-
nale di Suez, Richard Mervyn Hare propone una visione morale comprensiva delle
politica, includente sia la sfera interna, sia quella estera
24
. Inteso in senso rappre-
sentativo, il governo, quantunque al potere per delega, rimane responsabile delle
proprie azioni in quanto ha sempre davanti a s la possibilit delle dimissioni. Il giu-
22
Cfr. ad es. P. Singer, Practical Ethics, cit., p. 176.
23
Uno dei primi a proporre questo tipo di visione degli stati a livello internazionale fu Hobbes che vi-
de larena europea come la giungla dello stato di natura. Cfr. T. Hobbes, Il Leviatano, cap. 13-21. Per uno
studio contemporaneo si veda H. Suganami, The Domestic Analogy and World Order Proposal, Cambridge
University Press, Cambridge 1989.
24
R.M. Hare, Reasons of State, in Applications of Moral Philosophy, Macmillan, London 1957.
121
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111-134 F&QP 1-2005 Marchetti 3-06-2005 15:35 Pagina 121
dizio politico, come quello morale, va basato sulle conseguenze degli atti, malgrado
questoperazione si presenti pi difficile nel caso governativo. Avendo, infatti, la-
zione politica effetti pi estesi di quella morale individuale, sostiene Hare, lo Stato
sottoposto a molti pi vincoli di responsabilit, soprattutto se le conseguenze sono
intenzionalmente causate e prevedibili.
Quella che qui si avanza una visione che concilia, arrivando a delle conclusio-
ni molto nette, lattenzione alle conseguenze degli atti con uno spirito universalista
destrazione kantiana. Sostiene, infatti, lautore: Quando siamo di fronte a una de-
cisione morale, dobbiamo considerare non solamente le conseguenze che sarebbero
nel nostro interesse, o in quello del nostro paese, ma le conseguenze che sarebbero
scelte da chiunque fosse al nostro posto. Ci significa che dovremmo considerare gli
effetti delle nostre azioni sugli altri popoli e sugli altri paesi, cos come sui nostri, e,
essendoci posti immaginariamente nelle loro posizioni, pensare se potremmo soste-
nere che dovremmo fare quello che i nostri interessi ci spingono a fare. [] In ve-
ro, la fondamentale differenza non tra la morale e linteresse; ma tra il limitato in-
teresse nazionale e lo spirito pubblico. Entrambi possono essere chiamati tipi din-
teressi, poich entrambi mirano a qualche bene e linteresse ci che conduce al be-
ne. Ma il primo un tipo di interesse immorale, mirante solo al bene dellagente e
del suo paese; mentre il secondo un tipo di interesse coestensivo con la morale
25
.
In seguito, Hare perfeziona la sua teoria morale attraverso la distinzione tra i due li-
velli di giudizio (il primo, quello da applicare nella pratica quotidiana, composto da
una serie di norme che hanno valore prima facie e il secondo, quello critico dellar-
cangelo, da seguire raramente sotto forma di utilitarismo dellatto), che permette
una maggiore copertura dei fenomeni politico-morali
26
.
Per ci che riguarda pi precisamente il campo della giustizia, Hare giunge al-
la conclusione generale per cui va riconosciuto e garantito a ognuno il diritto a
unuguale considerazione e rispetto
27
, dalla quale discendono poi alcune conse-
guenze prescrittive di giustizia sociale distributiva. Lautore afferma, infatti, che i
principi di giustizia economica scelti da un pensatore critico imparziale e benevolo
sarebbero moderatamente egualitari
28
, e le relative attuazioni politiche sarebbero
condotte gradualmente e con moderazione, in quanto da un lato rivoluzioni o con-
fische brutali sarebbero tutto sommato negative nel bilancio complessivo utilitari-
stico e dallaltro un aumento graduale di ricchezze darebbe maggiore soddisfazio-
ne cumulativa, tanto quanto analogamente un calo graduale darebbe meno dolore.
Ciononostante, Hare prevede modalit eccezionali in caso di urgenza umanitaria e
122
RAFFAELE MARCHETTI
25
Ivi, pp. 22-23.
26
R.M. Hare, Moral Thinking: Its Levels, Method, and Point, Clarendon, Oxford 1981.
27
Ivi, p. 198.
28
Ivi, p. 210.
111-134 F&QP 1-2005 Marchetti 3-06-2005 15:35 Pagina 122
non pone quindi limiti procedurali al caso specifico dellaiuto internazionale de-
mergenza
29
, sebbene poi perfezioni largomento sostenendo che bisogna mirare
piuttosto a risolvere i vincoli strutturali che provocano il problema della fame mon-
diale
30
.
Laffinamento del suo pensiero conferma la visione degli obblighi politici come
sottospecie di quelli morali. Il suo ragionamento, similmente a quello di John Au-
stin, propone a livello critico una conclusione netta in base alla quale: ogni princi-
pio, se , formalmente parlando, un candidato allinclusione nella lista [dei doveri
che il cittadino ha nei confronti del proprio Stato], sar accettato o respinto a se-
conda che la sua generale accettazione prometta o meno di promuovere la soddisfa-
zione delle preferenze di tutti gli abitanti di tutti i paesi considerati imparzialmente
31
. Ci, se da un lato esclude per (dubbie) considerazioni storiche lipotesi del go-
verno mondiale, dallaltro lascia comunque aperta la possibilit di progetti confede-
rativi, in cui i doveri del cittadino promettono di incrementare notevolmente la
soddisfazione globale delle preferenze di tutti i cittadini considerati imparzialmente
32
. Tale doppio livellamento dei principi certamente una mossa argomentativa
molto fertile in ambito internazionalistico, poich permette di sottoporre a un uni-
co principio ultimo sia gli obblighi interni sia quelli esterni, indicando per ognuno
una diversa modalit dutilitarismo applicato.
Ciononostante, proprio tale arricchimento della teoria evidenzia alcuni punti
poco coerenti del ragionamento di Hare, sui quali vale la pena di svolgere alcune
brevi considerazioni. La prima riguarda il modo di impostare la questione degli ob-
blighi politici, in riferimento alla quale lautore riprende la classica immagine di un
gruppo di naufraghi approdati su un isola deserta
33
, mancando di riconoscere il
cambio di paradigma politico-filosofico nel senso dellinterdipendenza delle rela-
zioni internazionali
34
. Il secondo caso riguarda, invece, le prescrizioni a riguardo
degli obblighi speciali, per le quali Hare si limita, quando sostiene il patriottismo di
tipo non aggressivo per preservare lordine e la stabilit internazionale, a ribadire il
tradizionale dovere di non intervento
35
. Invero, ben altri tipi di prescrizioni di tipo
cooperativistico per il mondo attuale sembrano pi coerenti con il principio utilita-
ristico da Hare stesso sostenuto. Il prossimo autore, Gerard Elfstrom, sviluppa i
suggerimenti di Hare in modo pi audace.
29
Ivi, p. 211.
30
Ivi, p. 251.
31
R.M. Hare, Essays on Political Morality, cit., p. 90.
32
Ivi, p. 89.
33
Ivi, p. 22.
34
Si veda S. Veca, La filosofia politica, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 20-22, per la predominanza dei
motivi internazionalistici nel ragionamento filosofico-politico.
35
R.M. Hare, Essays on Political Morality, cit., p. 92.
123
UTILITARISMO E GIUSTIZIA GLOBALE
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La peculiarit internazionalistica
Il principio dellanalogia stato spesso posto, soprattutto da parte dei realisti,
al centro di unaccesa discussione, dal momento che in gran parte sulla possibilit
del giudizio morale nei confronti delle istituzioni statali che si tradizionalmente
decisa la possibilit o meno di parlare di etica nelle relazioni internazionali. Un mo-
do per aggirare tali forche caudine realiste consiste nel puntare sullindividuo per ri-
guadagnare le istituzioni pubbliche. Contro la posizione radicale dei realisti i quali,
richiamando lattenzione sulle particolari caratteristiche degli agenti dellambiente
internazionale, tentano di invalidare la fattibilit stessa di qualsiasi discorso etico
che vada oltre i confini statali, alcuni filosofi morali hanno evidenziato, proprio alla
luce di questi vincoli, la legittimit del discorso normativo internazionalistico. Fra
questi ultimi, Gerard Elfstrom ha recentemente presentato uninteressante proposta
normativa di stampo utilitaristico che tiene in conto le caratteristiche peculiari del-
le relazioni internazionali e le conseguenti possibilit e limiti di unetica globale
36
.
Secondo Elfstrom, poich le condizioni dellambiente determinano le possibili-
t dazione degli agenti, non si deve attuare un passaggio applicativo diretto del
paradigma individualistico al contesto internazionale. La diversit delle relazioni in-
ternazionali non radicale, ma comunque significativa. Nellambito quotidiano,
cardini dellazione morale del singolo sono gli effetti intenzionali previsti in un am-
biente in cui sono presenti istituzioni pubbliche con compiti dassistenza. Le azioni
statali internazionali sono, invece, caratterizzate da una grande incertezza, data dal-
la complessit dellambiente, la quale rende le conseguenze indirette e non inten-
zionali molto estese nel tempo e nello spazio e quindi poco controllabili a motivo
della grande distanza tra coloro che prendono le decisioni e coloro che ne subisco-
no le conseguenze. In questa situazione, difficile scegliere quali siano le azioni con
rilevanza morale e a chi addossarne la responsabilit. Sebbene, ad esempio, i capi
delle istituzioni statali, che nellargomentazione di Elfstrom sono i soggetti primi
chiamati in causa, abbiano dei doveri riconosciuti, lorganizzazione di cui fanno par-
te potrebbe essere strutturata in modo tale da impedire loro di agire correttamente.
Linterrogativo al quale, in questo caso, si deve dunque dare risposta consiste nella
liceit da parte dei governanti di oltrepassare il mandato istituzionale classico e da-
re priorit agli obblighi esterni rispetto a quelli interni.
Per Elfstrom, lutilitarismo nella versione delle preferenze e dei due livelli alla
Hare rappresenta la teoria normativa pi adatta a rispondere a tali problemi. Il ra-
gionamento prende avvio dal riferimento allindividuo particolare e al suo benesse-
re, dal quale discende la soggettivit assiologica derivata dallo Stato, caratterizzata
da: capacit di deliberazione razionale e dazione, responsabilit morale e assenza
124
RAFFAELE MARCHETTI
36
G. Elfstrom, Ethics for a Shrinking World, cit.
111-134 F&QP 1-2005 Marchetti 3-06-2005 15:35 Pagina 124
di diritto allesistenza. Gli Stati contano, secondo [questa] prospettiva morale, so-
lo in quanto quello che a loro succede ha conseguenze ultime sulle persone indivi-
duali
37
. Malgrado ci, la teoria di Elfstrom, a motivo della limitatezza dei mezzi di
cui il singolo dispone per agire efficacemente a questo livello, assegna agli Stati il
ruolo principale per ci che riguarda letica delle relazioni internazionali. C da no-
tare, in proposito, che, mentre lindividuo uti singuli deve decidere individualmen-
te di diventare moralmente responsabile, in quanto parte di unistituzione egli ha
invece come scopo immediato la promozione di cambiamenti strutturali che per-
mettano e stimolino limputabilit morale dellorganismo stesso. Capire il ruolo
dellindividuo allinterno delle strutture istituzionali apre una nuova strada per ri-
conoscere come allocare la responsabilit morale per gli atti dellistituzione
38
.
Unazione o una decisione , infatti, il risultato di una serie di decisioni separate,
sebbene coordinate.
Passaggio cardine della proposta lindividuazione dalcuni desideri basilari,
universali e prioritari. Questi sono identificati, sulle orme di Bentham, con il desi-
derio dei mezzi di sostentamento e quello della sicurezza di non essere danneggiati
da altri. Tale priorit si basa sul triplice assunto secondo cui: le persone general-
mente riconoscono un valore massimo alla vita e ai mezzi di sussistenza; questi mez-
zi sono necessari per il godimento di qualsiasi altro valore e infine tali desideri sono
facilmente misurabili e soddisfacibili. Gli altri desideri moralmente rilevanti vengo-
no di converso definiti secondari e presentano una maggiore variet che necessi-
ta di grande impegno per la misurazione e il soddisfacimento. Il precetto morale ge-
nerale che ne segue afferma che tutti hanno un obbligo assoluto di impegnarsi per
la soddisfazione dei desideri basilari dovunque essi siano, ma solo un obbligo molto
pi debole di badare ai desideri secondari di ogni essere umano
39
.
Da ci discende che si debba dare la priorit agli interessi basilari degli stranie-
ri rispetto agli interessi secondari dei concittadini. Due casi rimangono, per, in cui
la precedenza rimane a favore degli obblighi speciali che i governanti hanno nei con-
fronti dei loro elettori: a) nel caso di conflitto con i desideri secondari di cittadini
stranieri, perch gli obblighi speciali sono spesso diretti a preservare la vita e il be-
nessere dei propri cittadini, perch servono per preservare il contesto sociale neces-
sario per godere delle preferenze secondarie e, inoltre, perch se cos si facesse, ol-
tre alle maggiori difficolt tecniche e finanziarie, si favorirebbe molto verosimil-
mente un processo dappiattimento che uniformerebbe tutte le preferenze al mon-
do culturale degli Stati donatori; b) nel caso in cui si debba scegliere tra i desideri
basilari di propri elettori e quelli sempre basilari degli stranieri.
125
UTILITARISMO E GIUSTIZIA GLOBALE
37
Ivi, p. 32.
38
Ivi, p. 34.
39
Ivi, p. 15.
111-134 F&QP 1-2005 Marchetti 3-06-2005 15:35 Pagina 125
Il problema multiculturale rilevato da Elfstrom con chiarezza. Proprio per
evitare forme di mascherato etnocentrismo lautore si appella alle preferenze, in
quanto modellate dal Lebenswelt morale. In questo senso, dannosa considerata
qualsiasi esperienza che si vorrebbe evitare. Cos pratiche che dallesterno del gioco
culturale cui si partecipa verrebbero rifiutate possono invece trovare una giustifica-
zione utilitaristica in base ai concreti desideri degli interessati. Sebbene dunque ri-
mangano, per lautore, casi archetipi nei confronti dei quali si debba essere radical-
mente intolleranti, latteggiamento da seguire rimane quello minimalista guidato da
unestrema cautela e sensibilit che pu portare a censura o proteste, ma raramente
a interventi dallesterno. Centrale rimane, quindi, lanalisi dei contesti culturali che
deve guidare differenti giudizi modellati su quello che la forma di vita richiede e
concede.
Una questione particolarmente significativa del ragionamento di Elfstrom ri-
guarda la giustizia distributiva internazionale. Qui, nota lautore, gli argomenti han-
no generalmente stampo analogico e sono cos portati avanti attraverso unestrapo-
lazione del ragionamento che si applica allinterno dello Stato, sia in senso negativo
per negare il dovere alla ridistribuzione in nome del diritto liberale di propriet, sia
al contrario in senso positivo quando ci si appella allobbligo compensativo per gli
sfruttamenti passati, ai bisogni basilari o ancora ai principi che una persona sceglie-
rebbe sotto un velo dignoranza. Questi tentativi vanno per rifiutati giacch non ri-
levano gli specifici problemi che caratterizzano le relazioni internazionali. Posto che
il parametro di riferimento ultimo sia il benessere delle persone e date le circostan-
ze politiche correnti, il problema della giustizia distributiva si scinde in due ipotesi
riallocative: o si muovono le ricchezze o le popolazioni; o si attuano trasferimenti di
risorse economiche, finanziarie e tecnologiche o simposta una diversa politica mi-
gratoria che implica una reinterpretazione del concetto di cittadinanza. Delle due
luna: il principio di giustizia non sembra ammettere alternative.
Laltro dilemma di fronte al quale si trova ogni teoria normativa che voglia ri-
spondere a questi problemi concerne le soggettivit politico-legali in causa. Rappre-
senta questo, anzi, un doppio bivio morale: si tratta di decidere chi deve dare e chi
deve ricevere e, in entrambi i casi, le possibilit sono generalmente o lo Stato o gli
individui (uti singuli o come associazioni private). Come gi detto, la posizione di
Elfstrom centrata sullindividuo, sebbene venga assegnato un ruolo morale deri-
vato anche allo Stato-nazione. Posto lobbligo universale a soddisfare i desideri ba-
silari di chiunque, lesistenza di confini nazionali diventa rilevante solo in senso stru-
mentale. Conseguentemente, per Elfstrom i diritti di propriet nazionali dovrebbe-
ro essere limitati normativamente dai desideri basilari degli altri a prescindere dal
passaporto e per converso una nuova interpretazione del dovere di non intervento
dovrebbe essere accettata. Ove i governi responsabili non siano in grado, per inca-
pacit o corruzione, di garantire la vita e il benessere necessario per unesistenza de-
126
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cente ai propri cittadini, allora la loro sovranit rimane soggetta a ingerenze esterne
tese a garantire quei bisogni basilari. I cittadini hanno, infatti, ragione di credere di
avere legami e responsabilit speciali reciproche che non condividono con gli stra-
nieri. Essi hanno anche ragione ad avanzare pretese alle risorse materiali e culturali
del proprio paese. E hanno ragione di credere che queste pretese e questi diritti ab-
biano peso morale. Non hanno, per, ragione quando condividono lopinione co-
mune secondo la quale questi diritti siano assoluti e essi non hanno nessun obbligo
concernente i bisogni dei non cittadini. In particolare quando si tratta di vita uma-
na e benessere, essi hanno un obbligo stretto a rinunciare alle loro risorse a favore
degli altri. [] I confini nazionali, in altre parole, non fanno nessuna differenza mo-
rale in senso fondamentale
40
. Tale la nettezza della posizione di Elfstrom a ri-
guardo dellautorit dei confini nazionali. Un altro autore che si interessato in mo-
do significativo della rilevanza morale della con-cittadinanza Robert Goodin.
Vulnerabilit e dipendenza
Partendo da una nuova versione di responsabilit sociale verso i vulnerabili, co-
loro i quali cio dipendono direttamente o indirettamente dal nostro comporta-
mento, Goodin prospetta una nuova fondazione, attraverso il metodo dellequili-
brio riflessivo, dei nostri obblighi sociali allinterno come allesterno dei confini na-
zionali
41
. Goodin avanza la pretesa, sulle orme di Sidgwick, di poter mostrare, at-
traverso una reinterpretazione della morale di senso comune, che alla base dei tra-
dizionali obblighi speciali (verso la famiglia, gli amici, i benefattori, i clienti, i colle-
ghi e i compatrioti) vi sia un principio generale che impone un dovere nei confronti
dei socialmente vulnerabili. Da ci discende una nuova serie dobblighi individuali
e collettivi, ivi inclusi quelli internazionali, che non possiamo rifiutare se accettiamo
la morale di senso comune. Da questopera di smascheramento delle contraddizioni
latenti nei precetti comuni consegue la riallocazione delle responsabilit, in cui il
singolo in quanto tale perde centralit a favore dellazione collettiva allinterno di
unorganizzazione cooperativa.
Lobiettivo ultimo della teoria di Goodin consiste nella liberazione dallo stato,
o meglio dal rischio, di vulnerabilit, dove la dipendenza, stato che provoca la con-
dizione di vulnerabilit, viene caratterizzata attraverso quattro condizioni negative:
1) un equilibrio asimmetrico di potere, 2) la necessit di risorse da parte del subor-
dinato, risorse ottenibili solo tramite la relazione e necessarie per proteggere gli in-
teressi vitali, 3) linaggirabilit della relazione, per il subordinato, 4) lesercizio di un
127
UTILITARISMO E GIUSTIZIA GLOBALE
40
Ivi, p. 171.
41
R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, cit. e R. Goodin,
Utilitarianism as a Public Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1995.
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controllo discrezionale sulle risorse da parte di chi detiene il potere
42
. In questotti-
ca consequenzialista non si guarda tanto al passato, cio a chi ha creato la dipen-
denza, quanto al futuro ossia a come eliminarla. A riguardo, le strategie possibili per
ridurre la vulnerabilit sociale sono principalmente due: dare potere al vulnerabile
affinch si possa difendere e prevenire la possibilit stessa della dipendenza. chia-
ro, per, che non si pu alleviare la dipendenza del tutto e che, per quanto riguarda
le relazioni internazionali in particolare, la soluzione si dovr cercare tra lindipen-
denza e linterdipendenza, data linaggirabilit dellinterdipendenza mondiale.
Goodin enuclea le conclusioni normative del suo ragionamento, attraverso la
formulazione dalcune regole fondative dellordinamento sociale. Tra queste, parti-
colarmente interessanti sono il principio di responsabilit di gruppo, secondo il qua-
le: se gli interessi di un soggetto A sono vulnerabili in conseguenza delle azioni e
delle scelte di un gruppo di individui, sia disgiuntamente sia congiuntamente, allora
specifica responsabilit del gruppo: a) organizzare (formalmente o informalmen-
te) e b) implementare uno schema dazione coordinata dei membri del gruppo tale
che gli interessi di A siano protetti tanto quanto nelle possibilit del gruppo, in re-
lazione alle altre sue responsabilit
43
; e il secondo principio di responsabilit indivi-
duale, secondo cui: se B un membro del gruppo che responsabile, secondo il
principio di responsabilit di gruppo, di proteggere gli interessi di A, allora B spe-
cificamente responsabile di: a) assicurarsi, per quello che in suo potere, che il
gruppo organizzi uno schema dazione collettivo tale che gli interessi di A siano pro-
tetti tanto quanto nelle sue possibilit, in relazione alle altre responsabilit del
gruppo stesso e di b) adempiere completamente ed effettivamente alla responsabili-
t a lui assegnata in quello schema che potrebbe essere organizzato, fino al punto in
cui non gli venga impedito di esercitare le altre responsabilit morali, in modo tale
da proteggere gli interessi di A meglio di qualsiasi altra alternativa
44
.
Questi principi si sviluppano attraverso una reinterpretazione normativa in
chiave utilitaristica dellistituzione statale. Una volta che i principi siano accettati, ri-
sulta plausibile che la societ abbia pieno diritto ad agire coattivamente al fine di far
rispettare il ruolo che ognuno riveste, secondo un criterio dottimizzazione della di-
visione del lavoro, nello schema di cooperazione civile. Il fulcro dellargomentazio-
ne risiede nel riconoscimento del vantaggio pragmatico che si ha nellassegnare una
responsabilit collettiva allocata settorialmente ai vari agenti. Se vero che lindivi-
duo spesso fallisce quando agisce da solo, allora necessaria listituzione statale per
coordinare i singoli. Le scuse di stampo individualistico sono cos azzerate respon-
sabilizzando lo Stato, il quale, sebbene inteso strumentalmente come mezzo dallo-
128
RAFFAELE MARCHETTI
42
R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, cit., pp. 196-197.
43
Ivi, p. 136.
44
Ivi, p. 139. Per il primo principio di responsabilit individuale vedi, invece, p. 118.
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cazione di responsabilit, considerato come dotato di personalit morale, in quanto
possessore di valori e obiettivi e capace dazione deliberativa. Va detto per che ci
non conduce a una versione di istituzionalismo nei termini di un superorganismo col-
lettivo, in quanto le responsabilit rimangono in ultima analisi a carico dei singoli sia
come governanti, sia come consociati. In questo modo, due sole alternative sono date:
ove non esista il meccanismo statale, vi il dovere di organizzarlo, ove, invece, gi esi-
sta si ha il dovere di cooperare allinterno di esso, pena la coercizione.
Con questo ragionamento, si possono respingere anche le tradizionali critiche se-
condo le quali lutilitarismo permetterebbe limpermissibile e richiederebbe il non
obbligatorio. Questo tipo di utilitarismo, per lautore, non chiede troppo poco, in
quanto ha impliciti in s vincoli dovuti al riconoscimento della centralit delle regole
generali applicate a casi standard, n chiede, daltro canto, troppo, giacch non pre-
scrive atti eroici ma compiti sociali ripartiti in modo ragionevole attraverso uno sche-
ma coordinativo. In particolare per ci che riguarda le relazioni internazionali, sussi-
ste naturalmente lanalogo internazionale del problema del sacrificio eroico. In un
mondo di Stati indipendenti, a uno Stato ipercoscienzioso potrebbe, in conformit a
simili calcoli utilitaristici [quelli fatti dai sostenitori della critica del troppo, non ob-
bligatorio], essere richiesto di ottemperare ai compiti non svolti dagli Stati meno co-
scienziosi. La soluzione qui consiste, come sopra, nel collocare il governo nellambito
delle Nazioni Unite. Proprio come il far rispettare uno schema di coordinazione al-
linterno pu essere giustificato in quanto legittimo obbligare i singoli a giocare il lo-
ro ruolo nello schema di adempmento dei doveri condivisi, cos anche il far rispettare
lo schema internazionale pu essere similmente giustificato
45
.
Fulcro dellindagine critica di Goodin sulle ricadute internazionalistiche del suo
ragionamento lanalisi critica della priorit normativa concessa ai connazionali e dei
relativi obblighi speciali
46
. Operando una disamina critica di quelle che sono le mag-
giori teorie concorrenti, il principio pi difendibile risulta essere quello della re-
sponsabilit assegnata, la quale facendo appello alla nozione di vulnerabilit e di-
pendenza non solo in grado di giustificarsi per s, ma anche di scalzare le altre teo-
rie concorrenti. La teoria delle responsabilit assegnate reinterpreta, includendoli, i
doveri speciali come derivati da quelli generali e quindi da questi sopravanzabili. Gli
special duties mantengono, infatti, un loro ruolo per motivi funzionali quali la divi-
sione del lavoro e la specializzazione, la mancanza dinformazioni e le debolezze psi-
cologiche, ma ci tuttavia non permette loro di godere di autonomia morale. La divi-
sione territoriale ha, dunque, solo un senso organizzativo dallocazione delle respon-
sabilit e i doveri patriottici rimangono validi, ma solo prima facie.
45
R. Goodin, Utilitarianism as a Public Philosophy, cit., p. 67, nota 18.
46
R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, cit., cap. 6, 2 e R.
Goodin, What is So Special about Our Fellow Countrymen?, cit.
129
UTILITARISMO E GIUSTIZIA GLOBALE
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Nello schema di cooperazione sociale, come detto, la responsabilit collettiva
non annulla quella individuale, quantunque le cambi di carattere. Uno dei primi im-
pegni individuali, in ambito internazionale, consiste nel promuovere campagne po-
litiche interne che stimolino una diversa sensibilit nei governati come nei gover-
nanti. In questo caso, infatti, non vale largomento della generalizzazione per evade-
re i propri doveri. Anche dove alcuni defezionino, il nostro obbligo rimane quello di
cooperare con chiunque altro stia cooperando, al fine di produrre le miglior con-
seguenze possibili dato il comportamento dei non-cooperanti
47
; n vale largo-
mento della supererogazione psicologica, in quanto epistemologicamente falso so-
stenere una concezione troppo statica della nostra psicologia dellassistenza, come
insegna Singer. Afferma, infatti, Goodin: Lassegnazione delle responsabilit non
sar mai perfetta, e molto fa supporre che lassegnazione implicita nel presente si-
stema-mondo sia veramente molto imperfetta. In tal caso, la responsabilit speciale
derivata non pu impedirci di adempiere il dovere pi generale dal quale deriva.
Nel presente sistema-mondo, spesso, forse normalmente, sbagliato dare priorit
alle pretese dei nostri compatrioti
48
.
Il riduzionismo
Di segno diverso lultima argomentazione di cui questa rassegna si occupa.
Tale proposta, avanzata da Derek Parfit, tanto promettente quanto poco esplora-
ta in ambiente internazionalistico e suggerisce una visione riduzionistica dei sog-
getti morali, in primis degli Stati
49
. Parfit fa scaturire il suo ragionamento proprio
dalla constatazione che il senso comune stesso ha una visione riduzionistica degli
Stati e, sul modello di questa, propone poi uninterpretazione riduzionistica della
concezione di persona. Egli afferma: La maggior parte di noi ritiene che lesisten-
za di una nazione non implichi nientaltro che lesistenza di un certo numero di per-
sone associate tra loro. Noi non neghiamo la realt delle nazioni. Neghiamo invece
che siano realt separate o indipendenti. La loro esistenza implica soltanto lesi-
stenza dei loro cittadini che, insieme, vivono sul loro territorio e si comportano in
certi modi
50
. Ciononostante, parlando ad esempio della Francia ci si pu riferire
a lei come nazione. Quando si usa la parola Francia, infatti, ci si riferisce alla nazio-
ne, non al governo, ai cittadini o al territorio, perch altrimenti qualora il governo,
i cittadini o il territorio cambiasse non potremmo pi identificarla in quanto Fran-
cia, ma cos non . Questo un caso evidente, secondo Parfit, a conferma del fatto
130
RAFFAELE MARCHETTI
47
D. Regan, Utilitarianism and Co-operation, Oxford University Press, Oxford 1980, p. 124.
48
R. Goodin, Utilitarianism as a Public Philosophy, cit., p. 287.
49
D. Parfit, Reasons and Persons, Clarendon, Oxford 1984.
50
D. Parfit, Ragioni e persone, il Saggiatore, Milano 1969, p. 434.
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che ci si possa riferire a qualcosa anche laddove non si tratti di unentit esistente in
modo autonomo
51
.
Tale argomentazione riduzionistica si basa sulla similitudine tra lo Stato e la per-
sona che Parfit riprende esplicitamente da David Hume, il quale gi nel Treatise so-
steneva: Non potrei paragonare lanima meglio che a una repubblica, a uno Stato, in
cui i diversi membri sono uniti da un vincolo reciproco di governo e di subordinazio-
ne, e danno vita ad altre persone, le quali continuano la stessa repubblica nellinces-
sante cambiamento delle sue parti
52
. La persona va interpretata, secondo tale pro-
spettiva, come uno Stato, unassociazione, un partito politico in cui ci che conta il
grado di relazione tra i vari membri. Attraverso un indebolimento della concezione
dellIo e la conferma dellimportanza interpretativa della relazione R (ossia: la con-
nessione e/o la continuit psicologica dovuta al giusto tipo di causa
53
), Parfit propo-
ne, indirettamente, delle interessanti ricadute normative di etica internazionale.
Oltre a evitare il problema dello status morale degli organismi statali, la sua teo-
ria si rivela particolarmente fertile anche nellambito della parzialit spazio-tempora-
le. Qualora una concezione pi impersonale del giusto fosse accettata ed interioriz-
zata, sostiene lautore, i propri Io futuri assomiglierebbero di pi agli Io futuri altrui
e i propri confini personali perderebbero la loro invalicabilit cos come i propri con-
fini nazionali. Se una nazione non altro che i suoi cittadini, meno plausibile con-
siderare la nazione in se stessa come oggetto primario di doveri o come titolare di di-
ritti. pi plausibile focalizzare lattenzione sui cittadini e considerarli non tanto
quanto cittadini ma come persone. Sotto questa luce, pertanto, la nazionalit di una
persona ci apparir come qualcosa di moralmente meno importante
54
. Tale doppia
riduzione prima dallo Stato allindividuo e poi dallindividuo allio implica che gli
Stati non siano pi considerati soggetti principali dellarena internazionale, che per-
dano quindi le loro qualit giuridico-morali quali diritti e doveri e che lattenzione sia
rivolta primariamente agli individui, in particolare per ci che concerne la giustizia
distributiva.
La teoria parfitiana della giustizia distributiva presenta aspetti tanto interessan-
ti quanto innovatori
55
. Se da un lato la portata del principio distributivo aumen-
tata, il suo peso dallaltro per diminuito: lunit della persona abbandonata, i le-
gami tra i vari Io sono resi pi tenui e le possibilit di compensazione minori, giac-
ch manca un profondo fatto interiore che imponga, da un punto di vista morale, un
riequilibrio tra le diverse parti della vita. Tanto manca unidentit forte nel tempo
tra i diversi Io personali quanto manca tra i diversi Stati e, allinterno di questi, tra
131
UTILITARISMO E GIUSTIZIA GLOBALE
51
Ivi, pp. 596-597.
52
D. Hume, Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 273.
53
D. Parfit, Ragioni e persone, cit., p. 333.
54
Ivi, p. 435.
55
Ivi, parr. da 111 a 118.
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RAFFAELE MARCHETTI
le diverse generazioni. Per Parfit, ci spiega e giustifica perch, nel caso in cui fosse
possibile aiutare una sola nazione tra due che presentino entrambe lo stesso tipo di
sofferenza tra i cittadini, e fosse noto che quella a cui possiamo essere pi utili la
nazione che, nei secoli passati, ha avuto una storia pi fortunata, la maggior parte di
noi reputerebbe non essere giusto aiutare quella nei confronti della quale i nostri
aiuti potrebbero essere meno efficaci e lasciare quindi che lumanit nel complesso
soffra di pi, soltanto al fine compensativo di distribuire le sofferenze pi equa-
mente tra le storie delle varie nazioni. E ci perch, nel cercare di alleviare le soffe-
renze, le nazioni non sono comunemente considerate come unit moralmente signi-
ficative caratterizzate da una continuit storica forte
56
. Anche per Parfit, dunque, le
entit statali vanno spogliate di gran parte dellautorit normativa che tradizional-
mente si attribuisce loro.
Conclusioni
opportuno dare ora uno sguardo dinsieme alle proposte utilitariste passate in
rassegna fino ad ora. Per controbilanciare il riconoscimento secondario che lutilita-
rismo ha ricevuto nel dibattito sulla giustizia globale bene cercare di sintetizzare le
diverse indicazioni forniteci dagli autori passati qui in rassegna, al fine di porre le
basi dulteriori evoluzioni e affermare la rilevanza di questa tradizione per la solu-
zione normativa dei problemi globali correnti.
Gli utilitaristi contemporanei che hanno affrontato i problemi internazionali so-
no arrivati in genere a conclusioni normative che, evitando le due generali obiezioni
agli obblighi internazionali, vale a dire quella sulla sovranit statale e quella sul relati-
vismo culturale
57
, richiedono un ampliamento della nostra tradizionale sfera di sensi-
bilit morale, unassunzione di responsabilit globale e, come azione pratica fra le al-
tre, alcune misure atte a ridistribuire il benessere oltre i confini nazionali. Il testo
che, oltre ad aver iniziato, ha sicuramente pi influito in questo dibattito , come det-
to, quello di Peter Singer del 1972, ma anche le altre argomentazioni sono rilevanti.
Letica della scialuppa dei neomalthusiani, il criterio dellanalogia cos come proposto
da Hare, la peculiarit internazionalistica sostenuta da Elfstrom, il principio della vul-
nerabilit esposto da Goodin e infine largomentazione riduzionistica di Parfit arriva-
no tutti, sebbene si sviluppino per vie diverse e alle volte in contrasto, a delle conclu-
sioni simili: in primis, una riallocazione dei doveri morali in senso denazionalizzante e
la conseguente rilettura dei confini nazionali in termini strumentali.
Da ci discende una reinterpretazione, seppur eterogenea, di alcuni elementi
centrali della moderna filosofia etico-politica, quali la sovranit statale (verso un si-
56
Ivi, p. 436.
57
N. Dower, World Poverty: Challenges and Responses, Ebon Press, York 1983, p. 44.
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stema cooperativo internazionale), la cittadinanza nazionale (verso una cittadinanza
cosmopolitica), i diritti umani (verso i doveri umani), gli obblighi speciali (verso i
doveri universali), in favore di una concezione che, sebbene ancora riservi agli Stati
una funzione politico-amministrativa, animata da uno spirito cosmopolita e uni-
versalista. Tale aspirazione cosmopolita, tuttavia, non esclude che queste proposte
siano in grado dessere sensibili alle differenze culturali. Se, infatti, lutilitarismo in-
ternazionalistico presenta caratteristiche individualistiche e universalistiche nei suoi
tratti essenziali, pur vero che anche consequenzialista, e quindi capace di adat-
tarsi al contesto e di aprirsi a forme normative pi complesse. dunque individua-
lista, ma anche capace di rilevare la centralit dellazione cooperativa e di ricono-
scere i diversi livelli applicativi per quel che concerne i diversi agenti, contenuti cul-
turali e sfere dazione politiche.
Due questioni morali, in particolare, assumono nellambito odierno delle rela-
zioni internazionali unimportanza cruciale come criteri di legittimit per qualsiasi
teoria della giustizia globale che avanzi pretese di superiorit normativa: il problema
del soggetto responsabile e del danno e quello della dimensionalit multilivello dal-
le azioni internazionali. In entrambi i casi lutilitarismo si dimostra, come evidenzia-
to dagli argomenti passati in rassegna, particolarmente fertile rispetto alle teorie
concorrenti e quindi in grado di candidarsi a pieno titolo come teoria della giustizia
globale.
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