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La Visione del Mondo

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L'uomo caduto nel pozzo La pescivendola Il mistero della mya Il buio e l'ignoranza Cambiare la notte in giorno

1. L'uomo caduto nel pozzo Un brahmano che si trovava in una grande foresta giunse in un folto spaventoso, impenetrabile, frequentato da animali feroci, da una moltitudine urlante di leoni, tigri, elefanti e orsi, percorso da ogni parte da mangiatori di carne dal terribile aspetto, capaci di suscitare una grande paura; un folto, vedendo il quale tremerebbe perfino Yama. A quella vista il brahmano prov in cuor suo una grande angoscia, il corpo percorso da brividi, in preda a un profondo turbamento. Cominci a percorrere di corsa quel folto, fuggendo qua e l e cercando in tutte le direzioni un luogo in cui trovare rifugio; correva in cerca di scampo, in preda alla paura, ma non riusciva ad allontanarsi n a liberarsi di quelle visioni. E vide ancora che quella terribile foresta era coperta di trappole da ogni parte e che una donna assai spaventosa l'avvolgeva con le due braccia e

che serpenti a cinque teste si ergevano orribili. Quella vasta foresta era circondata da grandi alberi che toccavano il cielo e l, proprio nel centro, c'era un pozzo completamente nascosto, coperto com'era da forti liane velate dalle erbe. In quel serbatoio d'acqua ben dissimulato cadde il brahmano e rimase impastoiato nel fitto di quell'intrico di liane. Come un grande frutto dell'albero del pane legato al suo gambo, cos egli era l sospeso, con i piedi in alto e la testa in basso, e ancora l'attendevano l ulteriori sventure. In mezzo al pozzo egli vide, infatti, un vigoroso serpente e, presso la vera del pozzo, un immenso elefante bianco e nero, con sei proboscidi, che si muoveva coi suoi dodici piedi attorno a quel pozzo completamente coperto da quella pianta rampicante e da un albero che lo sovrastava. E, attaccate ai rami dell'albero, api di vario tipo, dall'aspetto spaventoso, che, formato uno sciame, erano intente a produrre del miele; s'adopravano senza posa per produrre il dolce succo, gustoso per qualsiasi creatura, ma particolarmente caro ai bambini. In molti rivoli colava gi quel miele e quell'uomo sospeso beveva continuamente quel miele e la sua sete non cessava mentr'egli beveva in quella situazione cos precaria. Egli ne voleva ancora e ancora e continuava a rimanere insoddisfatto e non nasceva in lui alcun disgusto per la vita e la speranza di vivere continuava a essere ben salda in quell'uomo. C'erano topi neri e bianchi che rosicchiavano l'albero. Le bestie da preda, la donna spaventosa sul limite del folto della foresta, il serpente sul fondo del pozzo, l'elefante intorno alla vera del pozzo, il rischio che l'albero cadesse per l'azione dei topi e, come sesto pericolo, quello costituito dall'avidit di miele e dalla presenza delle api: tuttavia egli sta l, precipitato nell'oceano del samsra, e non prova scoraggiamento, tanto grande la sua speranza di vivere... Questa una parabola: la citano i conoscitori della liberazione e grazie a essa l'uomo raggiunge la felicit nell'altro mondo. La foresta il grande samsra e il folto impenetrabile il viluppo delle rinascite. Le bestie da preda sono le malattie; la donna dal corpo immenso la vecchiaia, che distrugge la coscienza, le forme e i colori; il pozzo, poi, il corpo di coloro che hanno un corpo. Il grande serpente che sta in fondo il tempo che tutto rapisce e decreta la fine degli esseri corporei. La liana che si trova in mezzo al pozzo, l dove l'uomo pende, impigliato alle sue ramificazioni, la speranza di vivere delle creature.

L'elefante a sei teste che gira attorno all'albero, presso la vera del pozzo, l'anno: le sei facce sono le stagioni, i dodici piedi sono i mesi; e quei topi che rosicchiano l'albero, sempre intenti al loro lavoro, sono le notti e i giorni, mentre le api sono i desideri. Le colate che fanno scorrere abbondantemente un torrente di miele sono i piaceri nati dal desiderio, nei quali gli uomini sono immersi. I saggi sanno che tale l'evoluzione della ruota del samsra e per questo i saggi spezzano i legami con la ruota del samsra. Yama il re dei morti. Il samsra il mondo del divenire, nel quale inesorabilmente si ripete l'esperienza del rinascere e del rimorire.

2. La pescivendola Una pescivendola se ne stava andando per la sua strada quando fu sorpresa da un uragano. Poich si stava facendo buio, si rifugi presso un giardiniere, che la fece accomodare confortevolmente nella veranda attigua alla serra e la serv di tutto punto. La pescivendola per non riusciva a prender sonno. Alla fine si rese conto che la causa della sua insonnia era il profumo delle molte variet di fiori sbocciati nella serra. Allora asperse con un po' d'acqua il cesto nel quale soleva tenere i pesci, se lo mise vicino al capezzale e s'addorment beatamente. Allo stesso modo gli uomini pieni di attaccamento e tutti dediti ai piaceri dei sensi non apprezzano nulla che non sia il putrido lezzo delle cose del mondo.

3. Il mistero della maya Un giorno il grande veggente Vyasa stava parlando a un gruppo di asceti del mistero della maya: La maya del Signore un profondo mistero, incomprensibile anche agli stessi di. Essa obnubila le menti degli uomini e solo chi ha un assoluto dominio di s pu trascenderla.

Dissero gli asceti: Vogliamo comprendere la maya di Visnu cos difficile da superare. Degnati di parlare, noi ardiamo dal desiderio di sapere, o conoscitore del dharma!. Vyasa parl: La maya come un sogno, come un gioco di magia che attrae e seduce il mondo intero. Chi pu comprendere la maya di Hari se non Kesava stesso? Ora vi narrer, o brahmani, ci che capitato a Narada e l'inganno da lui subito a causa della maya. Ascoltate!... Il divino veggente Narada era un grande devoto del Signore Visnu e con devoto amore cercava in ogni modo di compiacerlo. Visnu gli apparve e gli accord una grazia. Narada chiese di poter comprendere il segreto della maya e, anche se Visnu cerc di dissuaderlo, egli stoltamente volle scegliere proprio quel dono. Allora Visnu disse: "Immergiti nell'acqua e conoscerai la maya". Non appena Narada si fu immerso nell'acqua, divenne Susila, figlia del re di Kasi. Quand'ella fu nel fiore della giovinezza, fu data in sposa all'avvenente e virtuoso figlio del re del Vidarbha, di nome Sudharma, e con lui ella godette di piaceri ineguagliabili. Quando suo padre se ne and in cielo, Sudharma gli successe alla guida del regno, si copr di gloria e felicemente regn sulla terra del Vidarbha, attorniato da figli e nipoti. Un giorno scoppi una tremenda guerra tra il re Sudharma e il signore di Kasi e in quella guerra il re del Vidarbha con figli e nipoti e il signore di Ksi trovarono la morte. Quando Susila venne a sapere del padre, dei fratelli, del marito, dei figli e dei nipoti, usc dalla citt, si rec sul campo di battaglia e vide quel grande eccidio. L, fra le schiere del marito e del padre, soverchiata dal dolore, eruppe in lunghi e strazianti lamenti. Sconvolta si rec dalla madre, poi port al grande cimitero i corpi dei fratelli, dei figli, dei nipoti, del marito e del padre e, dopo aver innalzato una grande pira, ella stessa appicc il fuoco. Quando si sprigionarono le fiamme, Susila si precipit nel fuoco esclamando: "Ah figli, figli miei!". In quell'istante ella divenne di nuovo l'asceta Narada e le fiamme assunsero il puro splendore del cristallo di rocca. Ricomparve tutto il lago, Narada ne usc e vide davanti a s il sommo dio Kesava, con quattro braccia, recante nelle mani la conchiglia, la mazza e gli altri suoi attributi. Sorridendo egli disse a Narada, il veggente divino: "Dimmi, o grande veggente, dove sono i tuoi figli e per quale morto ti stai disperando con la mente cos sconvolta?". Narada era pieno di vergogna, e di nuovo Visnu gli parl: "Ecco, o Narada, questa la mia maya, essenziata di dolore. Neppure Brahm assiso sul loto, n il grande Indra, n Rudra, n gli altri di possono conoscerla. Come puoi comprenderla tu, l'inintelligibile myd?". Nell'udire queste parole il grande

veggente disse: "O Visnu, concedimi il dono della devozione. Che io possa ricordarmi di te in ogni momento e che io possa godere sempre della tua visione!". Il termine my indica al tempo stesso il potere divino di manifestare, sostenere e distruggere l'universo e l'illusione cosmica che vela all'uomo la conoscenza dell'unica Realt e lo induce da un lato a considerare reali gli oggetti della sua esperienza, dall'altro a identificarsi con la sua individualit psicofisica, dimenticando la propria vera natura divina e immortale. La conchiglia e la mazza caratterizzano l'iconografia tradizionale di Visnu e simboleggiano rispettivamente la manifestazione dell'universo attraverso il suono (la conchiglia viene suonata durante molti riti sacri) e la potenza della conoscenza. Gli altri due attributi sono in genere il disco, simbolo solare e regale, e il loto a otto petali simboleggiante l'universo con le otto direzioni dello spazio. Hari (il Fulvo) e Kesava (dai lunghi capelli) sono nomi di Visnu. Indra il signore della folgore e il capo dei deva (di luminosi) e Rudra una divinit terrifica dell'atmosfera. Esistono altre versioni di questo mito e, fra esse, molto suggestiva senz'altro quella narrata da Rmakrsna e ripresa da H. Zimmer insieme con quella puranica qui tradotta, che egli dice di aver tratto dal Matsya-pura-na. L'acqua, che in molte tradizioni un importante elemento iniziatico e di trasformazione dell'essere, in India anche uno dei simboli pi ricorrenti della may e l'immersione nell'acqua indica un approccio profondo al suo mistero.

4. Il buio e l'ignoranza Cos Candrasekhara Bharati spiega il carattere misterioso e indescrivibile dell'avidy, l'ignoranza che vela all'uomo la sua vera natura spirituale, ignoranza che pu essere considerata come l'aspetto soggettivo della maya: Discepolo: Si dice che maya e avidy denotino la stessa cosa e si dice pure che non possano essere descritte. Come possiamo spiegarcelo?.

Maestro: Supponi che un uomo che non sa che cosa sia il buio mi chieda: "Che cos' il buio?". Se noi lo portiamo in una grotta buia e gli diciamo: "Ci che c' qui il buio", egli subito ci dir: "Io non vedo nulla!". Se noi gli diciamo: "Proprio questo il buio", egli non ci capir. Poich solito usare la luce per vedere le cose che non sono visibili, egli pu chiederci: "Io non riesco a percepire il buio. Visto che la luce ha la funzione di rendere visibili le cose che non lo sono, perch non portiamo una luce in modo che il buio mi appaia?"... Ma in questo modo il buio scomparir immediatamente, e non sar possibile mostrarglielo. Nel primo momento, il buio non poteva essere mostrato perch nulla era visibile, nel secondo, non poteva essere mostrato perch aveva cessato di esistere. Tuttavia si potrebbe fargli comprendere il concetto di buio dicendogli: "Ci che, avvolgendo le cose, impedisce loro di essere visibili e che non appena giunge la luce scompare immediatamente il buio". Allo stesso modo l'avidya pu essere definita come ci che non permette di percepire il S, sempre presente, e che scompare immediatamente allo spuntare dell'alba della conoscenza.

5. Cambiare la notte in giorno C'erano una volta un re dei corvi e un re dei gufi che avevano entrambi molti compagni e che vivevano nella stessa foresta sui loro rispettivi alberi. Un giorno s'incontrarono e il corvo chiese al gufo: Perch lavori di notte?. Il gufo protest: Fratello, sei tu che lavori di notte. Cos ebbe inizio una lunga e appassionata discussione. Mentre discutevano, il giorno svan e si fece notte. Il gufo disse: O re dei corvi, ora giorno. Il corvo replic: No, fratello, notte. Cos cominciarono a litigare animatamente. A quel punto sopraggiunse un cigno, che disse: Non litigate. Avete entrambi ragione. Ci che giorno per un corvo notte per un gufo. Ci che giorno per un gufo notte per un corvo. Allo stesso modo quello che per una persona ignorante il giorno, fatto di piaceri e di possesso, notte per un Perfetto e deve essere abbandonato.

Ci che giorno per un Perfetto - la sua consapevolezza del S in tutto ci che esiste, la conoscenza espressa dalle parole Io sono Quello e la comprensione della luce della beatitudine che tutto pervade - notte per una persona ignorante. Cambia in giorno la tua notte! In queste parole di Muktananda ritroviamo l'insegnamento di uno dei pi celebri versetti della Bhagavad-git (II, 69), che riportiamo nella traduzione di Stefano Piano: Quando notte per tutti gli esseri, veglia chi controlla i propri sensi; quando invece vegliano gli esseri, allora notte per il veggente silenzioso Le parole io sono Quello echeggiano il celebre detto delle Upanisad tu sei Quello (tat tvam asi), dove il termine Quello (tat) allude alla Realt suprema.

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