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CARLO COLLODI 1 CHI ERA GIANNETTINO Ora, ragazzi, se starete attenti, vi racconter per filo e per segno la storia

di Giannettino. Giannettino, quando l'ho conosciuto io, poteva avere su per gi l'et vostra, vale a dire fra i dieci e i dodici anni. Ne volete il ritratto? Figuratevi un bel giovinetto, sano e svelto nella persona, con un paio d'occhi c elesti e anche un tantino birichini, e con un gran ciuffo di capelli rossi, che a guisa di ricciolo, gli ricascava gi in mezzo alla fronte. Giannettino era figlio unico; e, come potete immaginare, il suo babbo gli voleva un bene dell'anima, e la sua mamma, per dir come si dice, non lo guardava, dall a paura di consumarlo. Ma il troppo bene alle volte appunto quello che sciupa i ragazzi; e tanto era av venuto di Giannettino. Il quale, a furia di averle tutte vinte e di vedersi contentato in tutti i capri cci, si era tirato su un piccoso e un prepotente, da non averne pace n in casa, n fuori di casa. La voglia di studiare non la conosceva neppur di vista. I suoi libri e i suoi quaderni erano tutti fioriti di scarabocchi e arabescati d alla prima all'ultima pagina di omini, di alberini e di soldatini fatti con la p enna e colorati con la matita rossa e turchina, e qualche volta anche col sugo di ciliegie. Quando, la mattina, andava a scuola, vi andava con lo stesso piacere e con lo st esso viso allegro col quale sarebbe andato da un dentista a farsi levare un dent e. E poich le domeniche e i gioved erano giorni di vacanza, cos quella birba diceva se mpre a sua madre, credendo forse di dire una bella cosa: Vedi, mamma! Se fossi io che avessi inventato il lunario, avrei messo quattro do meniche e tre gioved per ogni settimana! In casa Quando Giannettino ritornava a casa era lo scompiglio e la disperazione di tutto il casamento. I pigionali degli altri piani, che lo sentivano strillare e saltare su per le sc ale, dicevano subito bofonchiando: Eccola questa saetta!... Il suo servitore e la cameriera, alla prima scampanellata fatta senza garbo n gra zia, si scambiavano fra loro un'occhiata e quell'occhiata voleva dire: Ecco finit o il benestare! Dio ce la mandi buona!... E perfino Buricchio, il venerabile Buricchio, un vecchio gatto soriano, che in q uesto mondo non aveva mai dato noia a nessuno, nemmeno ai topi, appena sentiva l a voce del padroncino se la dava subito a gambe, e scappava in cucina a rimpiatt arsi in fondo al corbello della brace. 2 GIANNETTINO E IL DOTTOR BOCCADORO n casa della signora Sofia (cos si chiamava la mamma di Giannettino) c'era tutte le sere una conversazione fiorita. Ma Giannettino non si faceva mai vedere. Con la scusa di ripetere la lezione, rimaneva sempre in un'altra stanza; e l, bal occandosi e sciupando il tempo, passava le serate intere a fabbricare dei teatri ni per le marionette e a insegnare la lingua italiana a due pappagalli, che gli erano stati regalati dal suo zio Ferrante, famoso capitano di mare, di ritorno d al Brasile. Quand'ecco che una sera Giannettino, per uno dei suoi soliti estri, volle andare in sala con tutti gli altri; e quella sera ne fece d'ogni colore e d'ogni sapor e. Sfogli, a una a una, alcune bellissime rose, che erano al fresco dentro un vaso c inese; ritagli con le forbici le figurine del ventaglio di sua madre; ruppe un ca

lamaio di vetro di Venezia, per la curiosit di vedere com'era fatto dentro; tir a segno con una palla elastica negli occhiali di un Cavour di marmo, che stava sul caminetto; e quando non seppe pi che cosa inventare, allora leg una sonagliera di bbboli alla coda di Buricchio; on de la povera bestia, fuggendo impaurila fra le gambe delle seggiole e dei tavoli ni, fece uno scampanello cos indiavolato, da levare di cervello anche i sordi. Ripetendosi quasi tutte le sere queste monellerie di Giannettino, accadde che le persone che andavano a conversazione dalla signora Sofia, perduta la pazienza, cominciarono a diradare in un batter d'occhio. Da sedici che erano dapprincipio, diventarono otto; da otto quattro; da quattro due. Una sera la signora Sofia si trov sola. Di tanti amici e conoscenti, l'unico che alla solita ora si present in casa fu il dottor Boccadoro, un bel vecchietto, asciutto e nervoso, lindo negli abiti e ne lla persona, il quale era conosciutissimo per la sua bella virt di parlar chiaro e di dire a tutti la verit, anche a costo di passare qualche volta per un po' les to di lingua. I ragazzi e i puledri Mentre il Dottore si metteva a sedere, entr Giannettino, il quale vedendo la sala vuota, domand tutto meravigliato a sua madre: Perch stasera non venuto nessuno? Perch sei tanto noioso e impertinente, che dove capiti tu, tutti gli altri scappa no. Giannettino rimase cos mortificato da queste parole, che soggiunse subito: Dimmi, mamma: quando me le compri le marionette per il teatrino? Oh! Dovrai aspettarle un pezzo!... E io, allora, domani non vado a scuola. Lo sente eh, come risponde? disse la signora Sofia, voltandosi verso il dottor B occadoro. Lo sento rispose il Dottore e non mi stupisce. Perch i ragazzi, vede, sono come i puledri. I puledri hanno bisogno di accorgersi fin da principio che sono guidat i da una mano forte e sicura, che sa carezzarli a tempo e che a tempo sa tenerli in briglia, valendosi, in certi casi, anche di un briciolino di frusta... Di frusta? disse Giannettino, alzando vivacemente il capo. Sissignore, di frusta replic il Dottore con lo stesso tono di voce; poi continu: G uai se i ragazzi... cio, volevo dire, guai se i puledri si accorgono di potersi s bizzarrire a loro capriccio!... Pigliano subito dei vizi e cominciano a impuntar si, a mordere, a tirar calci, finch una volta o l'altra c' anche il pericolo che v adano gi a capofitto in qualche burrone, tirandosi dietro il calesse e chi c' sopr a. Mentre il Dottore parlava cos, Giannettino, tanto per non stare in ozio, si diver tiva a mandare in su e in gi, a tempo di musica, la calza del lume. Se stai fermo cinque minuti... cinque minuti soli d'orologio disse il Dottore a cui prudevano gi le mani una di queste sere ti condurr a vedere la Lanterna Magica . Oh bene! la Lanterna Magica! cominci a gridare Giannettino, saltando dall'allegre zza; e per dimostrare la sua gratitudine al Dottore, gli pest i piedi, gli mont a cavallo sui ginocchi, allung una mano per arricciargli i baffi... insomma gliene fece tante e poi tante, che il brav'uomo, soffiando come un istrice, si alz da se dere e prese in mano il suo cappello. La storia del canino Bib Se ne va cos presto? gli disse la signora Sofia. Me ne vado: e ho paura che star un pezzo, prima di farmi rivedere disse il Dottor e. E il motivo? Mi permette di parlare con la mia solita franchezza? Allora le dir che, tempo add ietro, io avevo preso l'abitudine di passare le mie serate in casa della moglie del Sindaco. Una brava donnina quella moglie del Sindaco!... ma per me aveva un grandissimo difetto... quello, cio, di tenersi sempre vicino, o sulle ginocchia,

il suo caro Bib, un canino bizzoso e spelacchiato, il quale tutte le volte che mi vedeva, o abbaiava con un guaito stridulo, che entrava nel cervello, o brontola ndo mostrava una fila di dentini appuntiti e sottili come tanti aghi: e quando p oi era di buon umore e voleva farmi le feste, allora m'impelacchiava tutto dalla testa ai piedi. Una sera Bib prese un brutto equivoco, ossia credette che le mie gambe fossero una cantonata o un piolo, e senza darmi il tempo di avvertirlo de ll'errore, lasci sui miei calzoni chiari uno di quei ricordi indelebili, che tutt i i cani sogliono lasciare ai pioli e alle cantonate. Da quella sera in poi, non ho pi rimesso i piedi in quella casa; ma domani sera comincer a tornarvi. Che forse Bib morto? domand la signora Sofia. No! Bib vivo! purtroppo vivo! ma che vuol che le dica? Seccatura per seccatura, t ormento per tormento, confesso la verit, signora Sofia, preferisco sempre Bib al s uo signor Giannettino. La lettera di Giannettino Giannettino, che a tutto questo racconto aveva fatto delle grandi risate, quando sent la chiusa, si rannuvol a un tratto e cominci a strofinarsi gli occhi e a soff iarsi il naso, per trattenere le lacrime; ma non vi riusc. Appena il Dottore fu fuori della stanza, Giannettino dette in uno scoppio di pia nto. La mattina dopo, al dottor Boccadoro venne recapitata una lettera. La lettera diceva cos: Pregatissimo Signiore, (pregatissimo invece di pregiatissimo: v'era una i di meno; e signiore, invece d i signore: v'era una i di pi). Siccome lei mi disse ieri sera che io sono peggio di un cane spelacciato (invece di spelacchiato: l'h gli era rimasta nella penna) questa cosa mi ha fatto piang ere molto dal gran dispiacere. Ho promesso anche alla mamma di corregermi (invece di correggermi: vi mancava un a g) e per questo la prego di voler tornare qui in casa per fargli (invece di fa rle) vedere che sono diventato buono e per condurrai alla Lanterna Magica, con l a quale la saluto e anche la mamma che non sa nulla che gli ho scritto. Suo aff.mo Giannettino. La sera il Dottore and subito a trovare la signora Sofia; la quale, quando seppe della lettera, disse sospirando: Meno male! segno che quel monello sente ancora un po' di vergogna... Meno male davvero! replic il Dottore perch i ragazzi che hanno la fortuna (io la c hiamo cos) di fare il viso rosso sui propri mancamenti, o prima o poi finiscono c ol ravvedersi e col pigliare la buona strada. I ragazzi che non danno da sperare , sono quelli che non si vergognano di nulla!... In questo mentre, apparve Giannettino; e la signora Sofia si alz e li lasci soli. L'ha ricevuta?... domand il ragazzo. L'ho ricevuta disse il Dottore e l'ho trovata gremita di spropositi. Di spropositi?... E Giannettino fece un gesto di meraviglia, come se il Dottore l'avesse calunniato. Perch bisogna sapere che Giannettino, come accade a tutti i ragazzi buaccili e svo gliati, era pieno di presunzione, e si figurava sempre di non sbagliar mai e di saperne pi degli altri. Ah! non lo credi? ripigli il Dottore ridendo. Lascia fare a me: rileggeremo insie me la lettera, e cos vedremo chi di noi due abbia torto o ragione. E tir fuori la lettera: ma Giannettino, lesto come un baleno, gliela strapp di man o; e fattala in minutissimi pezzi, la butt fuori della finestra. Poi, con voce di pianto e di bizza, cominci a dire: Gi, anche lei di quelli che mi vogliono male... e che mi danno addosso... Vorrei sapere perch in questa casa tutti ce l'hanno con me... Nessuno mi pu sopportare e fra questi c' anche lei... Sissignore, c' anche lei! Verissimo! rispose secco il Dottore. D'altra parte, caro mio, bisogna capacitars

i che in questo mondo vi sono due specie di ragazzi: vi sono i ragazzi che per l e loro buone maniere, e per essere compiti, educati e ammodo, si fanno benvolere da tutti; ve ne sono poi molti altri, sgarbati, molesti, impertinenti... e ques ti, in una sola parola, sai come si chiamano? Si chiamano ragazzacci. Sicch a sentir lei disse Giannettino mortificato il mio posto sarebbe... fra i ra gazzacci? Caro mio, un posto che ti tocca di diritto. Grazie del complimento! Vi furono due minuti di silenzio. Tutt'a un tratto Giannettino, rialzando vivacemente il capo e tirandosi indietro quella gran ciocca di capelli rossi che gli scendeva sugli occhi, disse con una cert'aria di fierezza: Se volessi, non potrei diventare anch'io uno di quei ragazzi che, come dice lei, si fanno benvolere da tutti?... Perch no? M'insegnerebbe il modo? Volentieri. Vai l a quel tavolino: tira fuori un lapis e un foglio di carta, e pi glia nota di quel che ti dico. Giannettino obbed.

3 UNA LEZIONE DI BUONA EDUCAZIONE Allora il dottor Boccadoro cominci: Devi dunque sapere che un ragazzo della tua et, se vuol essere visto di buon occh io e accarezzato da tutti quelli che lo avvicinano, bisogna, prima d'ogni altra cosa, che metta una grandissima attenzione alla pulizia della sua persona e dei suoi vestiti. Tienilo bene a mente: un ragazzo col viso e con le mani sporche, e coi capelli a rruffati, con le unghie orlate di nero e con i vestiti polverosi e pieni di stra ppi e di macchie, sia pure il pi bel ragazzo del mondo, far sempre, agli occhi del le persone pulite, la figura di un fagotto di panni sudici. Quanto a me disse Giannettino smettendo di scrivere so che il viso me lo lavo tu tte le mattine e l'ho sempre pulito... E le mani? domand il, Dottore con un sorrisetto maligno. Di certo anche le mani le ho sempre pu... Ma non pot finir la parola, perch nell'atto di far vedere le sue mani, si accorse che l'indice e il pollice della mano destra erano tinti d'inchiostro. E quella macchia d'inchiostro? Ecco... dir... rispose il ragazzo cercando una scusa che stamani ho dovuto ricopi are il componimento... e la penna era tanto cattiva... Poi, non ho mai sentito d ire che l'inchiostro sia una cosa sudicia. Finch l'inchiostro nel calamaio replic il Dottore non davvero una cosa sudicia; m quando lo vedo sulle dita dei ragazzi, dico la verit, non m' parsa mai una cosa m olto pulita. Non mangiarti le unghie, non grattarti il capo... Giannettino, lesto lesto, si port le due dita macchiate alla bocca, per lavarsele con la saliva. Fermati! gli grid il Dottore. In codesto caso il rimedio peggio del male. Perch? Perch non sta bene lavarsi le mani con la saliva. Andiamo avanti: e le unghie? A questa domanda inaspettata, Giannettino torn a nascondersi le mani, e rispose u n po' confuso: Le ripulisco tutte le mattine, ma dopo cinque minuti mi si anneriscono daccapo.. . E perch non porti in tasca un fuscello, o uno stecchino d'osso per potertene serv ire al bisogno? Ha ragione: lo far. In quanto alle unghie, ho notato in te un altro brutto vizio. E sarebbe? Quello di mangiartele. Sta' un po' a vedere che non sar nemmeno padrone di mangiarmi le unghie!... Mangi

o forse la roba degli altri? Io ti ripeto che un brutto vizio, e che bisogna correggersi per tempo... Ebbene, mi corregger... disse Giannettino; e senza avvedersene, si avvicin l'unghi a del pollice alla bocca. Gi quel dito! grid il Dottore. A quell'urlo il ragazzo ritir la mano con tanta velo cit, come se se la fosse scottata; poi soggiunse: E proprio destino! Si dice di volersi correggere di un difetto; e subito ci si r icasca... E che bisognerebbe avere... non so come dire... E che bisognerebbe che tutti i ragazzi avessero... E poich non gli riusciva di trovar la parola, Giannettino cominci a grattarsi il c apo. Ecco un altro vizio bruttissimo disse il dottor Boccadoro. Quale? Quello di grattarsi il capo. Lo so; anche la mamma mi sgrida sempre... ma come si fa? Basta che io cerchi una parola... e che questa parola non mi voglia venire, la prima cosa che faccio, p roprio senza avvedermene, quella di grattarmi... E credi che a grattarsi il capo vengano le parole? replic il Dottore ridendo. Nossignore, non dico questo... Bisogna insomma, Giannettino, che tu ci stia attento, e molto; perch quel grattar si il capo un atto sconvenientissimo... e che pu far nascere dei sospetti e mette re di malumore tutte le persone che ti stanno accanto... Ha ragione! non ci avevo mai pensato! Dunque, riepiloga e scrivi disse il Dottore, pigliando il garbo di un maestro ch e detta la lezione: Viso pulito. Mani e unghie sempre pulite. Non lavarti le mani con la bocca. Non pulirti le unghie n a tavola, n in faccia alle persone, e non roderle con i den ti. Pettina i tuoi capelli ma senza troppa ricercatezza; non perdere tempo dinanzi al lo specchio... _ Scusi, scusi lo interruppe Giannettino smettendo di scrivere. Non devo dunque guardarmi nello specchio? _ Ho detto: non perdere tempo dinanzi allo specchio, a vagheggiarti, a farti la divisa, il ciuffo, i riccioli. Per gli antichi lo specchio era simbolo d'una virt, la prudenza; per i moderni in vece simbolo di un difetto, la vanit. Anzi, a rappresentare la vanit, spinta all'e ccesso, gli antichi inventarono la favola di Narciso, che, specchiandosi ad una fonte, s'innamora della propria bellezza e muore. Doveva essere molto stupido! esclam Giannettino. T'ho detto che un racconto favoloso... Dunque concludiamo. Un uso discreto dello specchio, te lo permetto anche tutti i giorni; ma ti raccomando di consultarlo specialmente quando ti fai prendere dalla collera, quando ti senti pungere dall' invidia o quando hai commesso una cattiva azione. Anche Socrate, il sapiente ant ico, consigliava di guardarsi nello specchio nei momenti nei quali l'animo turba to da qualche malvagio sentimento... E ora seguitiamo e scrivi: Camicia pulita e vestito sempre decente. Intendiamoci bene: la camicia per esser pulita non c' bisogno che sia di cambr fine o di tela batista; e la giacchettina, per esser decente, non importa averla di panno o di velluto di seta. Alle volte per le campagne si vedono dei ragazzetti andare a scuola con la loro camicia di filo grosso di canapa e col loro giubbettino di lana o di bordatino: avranno, ma gari, le toppe ai gomiti e i calzoni pieni di rammendi; eppure, a vederli, appai ono pi lindi di tanti altri ragazzi della citt, vestiti di roba fine e costosa, ma tutti frittellosi, sgualciti e sbrindellati. Non grattarti mai n in testa n altrove. Non metterti mai le dita in bocca, e tanto meno nel naso. Non sdraiarti sulle seggiole; non ti prendere i piedi in mano; non sbadigliare ru morosamente; non soffiarti il naso con fracasso, e quando te lo sei soffiato, no n ti lasciar vincere dalla brutta curiosit di guardare nel fazzoletto.

Procura di non sbadigliare e di non far versacci d'impazienza in faccia alle pers one con le quali parli. Non tossire n starnutire sul viso alla gente: e se ti accade di non poterti tratte nere, ricordati di voltare il viso da un'altra parte e di metterti una mano sull a bocca. A teatro non essere mai il primo a battere le mani, o a disapprovare; e quando gl i attori o i cantanti sono sulla scena, ricordati di non ridere troppo forte e d i non parlare a voce troppo alta. Non ti prendere mai confidenze con le mani; nemmeno con gli amici e coi ragazzi d ella tua et, e nemmeno con l'intenzione di fare una carezza o uno scherzo innocen te. Tieni le mani sempre a posto disse il Dottore e te ne troverai bene. A tavola non mangiar troppo, n troppo in fretta; non porgere mai il tuo piatto pri ma degli altri; non sbrodolarti le mani e i vestiti; non mettere sgarbatamente i gomiti sulla tavola. Quando ti trovi in compagnia di gente da pi di te cerca di parlar poco, di non int errompere i discorsi degli altri, e di non metter bocca nelle cose delle quali n on t'intendi. Non dare mai delle risposte troppo recise e insolenti. Alle persone, con le quali parli, non dir mai: Questo non vero. impossibile. Non pu essere. Questa una menz ogna. Ma, se credi di aver ragione di opporti, serviti piuttosto di altri modi n on offensivi e pi gentili, e che in fondo dicono lo stesso; per esempio: Mi pare che la tal cosa non stia precisamente cos. Io dubito che tu sia stato male inform ato. Non fo per contraddirti, ma credo che la cosa sia andata diversamente. Scherzando con gli amici, non ti abituare a far uso di parolacce scorrette, perch c' il caso che ti scappino dette anche quando non le vorresti dire. Mostrati cortese e bene educato con tutti: e soprattutto coi sottoposti, con la g ente di servizio e con le persone da meno di te. l'unica maniera per essere risp ettato da tutti. Quando parli con una persona, non ti dondolare, come fanno le lampade attaccate a l soffitto; non ti piegare da una spalla o dall'altra; non ti appoggiare di qui o di l, ma procura di star sempre diritto. Se hai bisogno di scomodare qualcuno, o di passargli davanti, ricordati di dir se mpre con buona maniera: Scusi, Abbia pazienza, Se mi permette. A proposito di doveri La sera successiva, appena Giannettino rivide il dottor Boccadoro, gli and subito incontro e gli disse: Sa una cosa? quei ricordi che ella mi dett sulle buone creanze e sul modo di star e in questo mondo da persone educate e per bene, li ho imparati tutti a memoria. Vuole che glieli rip eta? Sentiamoli. Bravo! esclam il Dottore dopo che ebbe ascoltato quella ripetizione ma ricordati che certe cose non basta impararle a mente: la parte pi difficile e pi importante quella di ricordarsele a tempo e luogo e di saperle mettere in pratica. Si capisce! esclam Giannettino. Non c' dunque pericolo che tu faccia come un certo mio compagno di scuola, e prop rio nella quarta classe elementare, la quale ai miei tempi era l'ultima... Allora parecchi anni fa. Eh, figurati! Una quarantina almeno. Ora anche lui ha i capelli bianchi come me. .. Ma lei non li ha bianchi. Se mai, sono pepe e sale... S, con molto sale. E che fece quel ragazzo? Senti: Piccolo Padre Zappata Di solito il nostro maestro cominciava la sua lezione o con la revisione dei com piti o con la lettura; ma una mattina, appena si fu messo a sedere al suo banco, disse cos: Facciamo un po' di riassunto su quanto abbiamo detto fin qui intorno ai nostri do

veri. Sentiamo te, Marinuzzi soggiunse rivolto a quel mio compagno che sedeva ne l primo banco Qual l'ordine dei nostri doveri? Il Marinuzzi, pronto e sicuro di s, rispose: Dio, l'Umanit, la Patria, la famiglia, noi stessi. Benissimo! esclam il maestro. Gi, lo studio dei doveri, lo so, il tuo forte. Il ragazzo gongol, e sorridente e soddisfatto pass in rivista rapidamente le facce di tutti noi, suoi compagni di scuola. Parliamo particolarmente continu il maestro dei doveri verso la famiglia, anzi del la gratitudine che devono i figli ai genitori. Sai dirmi in che consiste questo sentimento di gratitudine? Nel conservare caro e continuo il ricordo dei benefizi ricevuti. Ma benone!... E perch dobbiamo gratitudine ai genitori? Perch essi ci hanno allevati, nutriti, educati; perch spesso hanno dovuto soffrire e sacrificarsi per noi. Ma bravo! Non si potrebbe rispondere con pi prontezza e precisione. E il Marinuzzi a sorridere di nuovo, tutto contento di quelle lodi; e di nuovo a guardare in faccia noi compagni che lo ammiravamo. Ora dimmi seguit il maestro come si dimostra ai genitori questo sentimento di grat itudine. Il Marinuzzi rispose cos bene, che ci fu tra noi un tentativo di applauso, impedi to a tempo dal maestro. Stupendamente! Non si potrebbe rispondere meglio di cos! badava a dire il maestro. Tu li conosci i doveri dei figli verso i genitori, ma... c' un ma, e questo ma.. . eccolo qui. Si tolse di tasca un foglietto, lo spieg e lo lesse. Era una lettera della madre del Marinuzzi. La povera donna, non potendone pi, rac contava al maestro che quel suo figliuolo era cos disubbidiente, che ella pi d'una volta ne aveva pianto. E pregava caldamente il maestro di mortificare quel catt ivo innanzi a tutti noi, e di adoperare tutta la sua autorit per vedere di miglio rarlo almeno un poco. Com' facile immaginare continu a dire il Dottore a misura che il Maestro procedeva nella lettura, l'aria di trionfo e di baldanza spariva dalla faccia del Marinuz zi. E quando quella lettura termin, il ragazzo stava a capo basso, immobile e con gli occhi a terra, fatto bersaglio agli sguardi di tutti noi, che, per dire la verit, eravamo stupiti e anche addolorati, perch volevamo bene a quel compagno. E dopo un breve silenzio il Maestro disse: Sicch tu, Marinuzzi, hai creduto finora che io ti insegnassi i tuoi doveri solamen te per il gusto di sentirteli poi ripetere come esercizio di memoria? Ma io te l i ho insegnati perch tu li mettessi in pratica; se no, queste lezioni sarebbero u na perdita di tempo. Tu fai precisamente come quel certo Padre Zappata, che pred icava bene e razzolava, male. Dopo un altro breve silenzio, il Maestro scese dal banco, e avvicinatosi al Mari nuzzi, gli porse la lettera della madre, dicendogli: Tieni: conservala tu. Tra un anno la renderai a tua madre e le dirai: "Ecco la le ttera che tu scrivesti con tanto dolore, che io sentii leggere con tanta vergogn a, ma che mi ha fatto tanto bene! In un anno non ti ho dato pi motivo di lagnarti di me: dunque ora puoi distruggerla. Il Marinuzzi prese la lettera. Lo farai? gli domand il maestro. S, rispose il ragazzo sempre a capo basso. Ti senti dunque la ferma volont di adempiere tutti i tuoi doveri verso il babbo e la mamma? S. Guardami. Il Marinuzzi alz la faccia: il maestro lo guard e disse ponendogli la mano sul cap o: Ti credo! La promessa del Dottore Oh, io non far davvero come quel Marinuzzi! esclam con risolutezza Giannettino. Io

non sar un Padre Zappata. Il dottor Boccadoro fu tanto soddisfatto della buona piega presa da Giannettino, che gli promise di condurlo la sera seguente alla Lanterna Magica. Ma aggiunse ad un patto. Come? un altro patto? esclam Giannettino diventando subito di cattivo umore. Sicuro! un altro patto; ed ecco quale: tu fai ora la quarta, bench alla tua et avr esti dovuto aver finito da un pezzo le classi elementari; ma lasciamo correre! P er, siccome non si pu cominciar bene una classe se non siamo sicuri di aver beh ca pito quello che il maestro ha insegnato nella precedente, cos non ti avrai a male se io ti far delle interrogazioni su quanto ti venne insegnato in terza... Oh! ma lei vuol farmi fare un altro esame. Si figuri che ho ancora addosso la tr emarella che mi prese in luglio davanti al presidente della Commissione, un sign ore vecchiotto con tanto di barba ed un vocione profondo. Ah! non mi ci rimetto in simili impicci, io. Ho il mio bravo certificato di promozione... Con tanti sei e un sette solo! interruppe la signora Sofia. Il certificato, ad ogni modo, me lo guadagnai riprese Giannettino rannuvolandosi . I sei piovvero per colpa di quella benedetta tremarella... E poi... e poi la C ommissione fu severa, ed il maestro ce l'aveva con me... - Eh via! Sono le solite scuse, anzi le solite cattiverie degli scolari sbuccion i! ammon il Dottore. Giannettino, imbronciato, abbass il capo, facendo una leggera spallata. Un tal atto non sfugg al Dottore, che disse calmo: Questo sarebbe, carino mio, il caso ed il momento della frustata al puledro! Due lucciconi fecero capolino negli occhi dolenti di Giannettino, e gli corsero sulle guance rosse, mentre la signora Sofia esclamava con tristezza: Povera me! E dette in un gran sospiro di sgomento, che arriv proprio al cuore di Giannettino . Ci furono alcuni minuti di silenzio. Poi il dottor Boccadoro, domand: Ebbene, accetti il patto? E Giannettino: Come vuole... s... ma per domani. E lo disse con un leggero tremito di voce, alza ndo timidamente la testa e fissando i suoi occhi umidi verso il Dottore. Bene, bene! A domani sera, dunque. Io verr per tempo, e se la prova riuscir, subit o dopo andremo a vedere la Lanterna Magica. 4 LA LANTERNA MAGICA Il dottor Boccadoro era stato per parecchi anni medico condotto in un piccolo Co mune dell'Appennino toscano, e per molto tempo vi aveva esercitato anche l'uffic io di soprintendente scolastico. Arrivando la sera dopo in casa di Giannettino, a cui voleva un gran bene, perch f iglio di un suo vecchio amico, entr nel salotto fregandosi le mani, e disse: Eccomi puntuale: ogni promessa debito. Tu, Giannettino, non avrai cambiato parer e, eh? Il fanciullo, che aveva ripreso, pare impossibile, la sua solita vivacit e pronte zza, rispose franco: Proviamo! S'incomincia Bene! Sediamo. E sedettero entrambi alla tavola tonda del salotto, mentre la signora Sofia, per non dar loro soggezione, spieg un giornale che aveva ricevuto allora allora, e s i mise a leggere. Il Dottore, preso il lapis, tracci sopra un foglio di carta un disegno in forma q uasi di cuore, e poi cominci: Supponiamo che questo mio informe disegno raffiguri esattamente la regione Tosca na. Qui, a sinistra, cio a...? Ponente rispose pronto Giannettino. Bravo! A ponente, dunque segner?... Il mar Tirreno, ed a levante gli Appennini. Bene! Ora io faccio nell'interno di questa regione un piccolo tondo per fissare

la citt principale della Toscana. Qual ? Firenze, ove nacque Dante Alighieri, il pi grande fra i poeti italiani. E puoi aggiungere che Firenze, per le sue bellezze artistiche e naturali, una de lle citt pi meravigliose d'Italia. Le sue chiese e i suoi palazzi sono tanti capol avori; le sue gallerie e i suoi musei godono una fama mondiale. E il Dottore continu a interrogare Giannettino, il quale, spinto dal vivo desider io di farsi condurre alla Lanterna Magica, aveva imparato, ma un po' a pappagall o, quelle cosucce e alla meglio riusciva a cavarsela. Dopo aver parlato delle ricchezze naturali del suolo della regione toscana e del le condizioni dell'industria e del commercio, il dottor Boccadoro termin, com'era suo costume, con alcune sagge massime che aveva sempre pronte e sempre a propos ito: Il lavoro ricchezza, Il lavoro nobilita, Il tempo denaro, Uomo sollecito no n fu mai povero. Un po' di riposo A questo punto Giannettino non stava pi nella pelle dalla gran voglia di andare a lla Lanterna Magica, e scosso dal tic tac dell'orologio a pendolo, che era sulla parete dirimpetto alla tavola, diede un'occhiata significativa al quadrante. Il Dottore se n'avvide, e gli disse, sorridendo: - Non aver fretta: sono appena le sette, e fino alle otto lo spettacolo non inco mincia. E poi, dalle tue risposte incerte, io non posso ancora decidere se merit i o no di venirci, come ti ho promesso. Per ora, un poco di riposo: anzi, ti per metto dieci minuti di moto, e poi un'altra mezz'oretta di prova. Tanto, il teatr o non molto lontano di qui. Fare un po' di moto! Giannettino non se lo fece dire due volte. Aveva l'argento vivo addosso, l'abbiamo gi detto; onde, appena il Dottore ebbe finito di parlare, e fu uscito dalla stanza, in men che non si dica Giannettino fece due, tre diec i salti nel salotto; poi, come un baleno, lo percorse in giro, al galoppo. Trema rono tutti i vetri delle finestre: pareva che fosse il finimondo. La signora Sof ia, con quel fracasso, non pot continuare la lettura del suo giornale; ed il paci fico Buricchio, che era accoccolato ai piedi della padrona, s'impauri talmente c he, nella furia di scappare, batt la testa nell'uscio del salotto. Il fanciullo lo vide, e proruppe in una risata cos rumorosa, che raddoppi i terror i del gatto, il quale, prendendo la rincorsa attraverso le stanze, si credette a ppena in salvo in fondo al corbello della brace, ch'era in cucina. Quel riso clamoroso fu come l'ultimo razzo di un fuoco d'artificio; ma la calma dur poco. Giannettino, avvicinatosi alla tavola, prese gli occhiali della mamma, e se li mise sul naso, tenendo la testa all'indietro, perch non cadessero; si mis e in capo il cappello del Dottore, che gli dondolava come un pendolo, gli prese il bastone e camminando lentamente, con comica gravita, sporgeva il petto e batt eva, ad ogni passo, la punta della mazza, sul pavimento. Fece cos il giro della s ala, e poi, mettendosi il bastone sotto il braccio destro, spieg il giornale e le sse nella quarta pagina, con voce nasale e stentorea: Non pi calli! Guarigione in fallibile e garantita! Rimedio di incontrastata ed incontrastabile efficacia! Ciarlatanerie!... interruppe il dottore rientrando. Ciarlatanerie per i gonzi che si lasciano ingannare dai paroloni.... I ciarlatan i e le ciarlatanerie ci sono sempre stati: ma non si mai fatto tanto spreco di s trombazzature, di specchietti da allodole quanto ai nostri giorni, nonostante il nostro vantato progresso morale e civile. L'invenzione pi semplice, e spesso inu tile, se non ingannevole, viene annunciata con grandi manifesti, nei quali per s olito spicca una figura umana o un Icone che lecca una scatola, o un'aquila che stringe fra gli artigli, volando, una bottiglia, o si vedono altre figure anche pi esagerate. La gente passa, si arresta, osserva, e colpita dagli smaglianti car telloni e dai superlativi insuperabile, miracoloso, non plus ultra, corre a comp rare l'unguento che gli sciuper la pelle, l'estratto che gli sgretoler lo smalto d ei denti, la pillola o la polverina che finir di guastargli lo stomaco. E questa pubblicit smaccata sui muri e sui giornali si fa per ogni cosa nuova o r imessa a nuovo: per la vernice da scarpe e un lavoro letterario, per una scatola di fiammiferi e un'opera musicale, per una corsa podistica e una conferenza d'a rte o di scienza...

Finalmente si va! L'orologio del salotto batt le sette e tre quarti, e il Dottore, alzatesi, disse: Vogliamo dunque andare alla Lanterna Magica? Giannettino fece un salto dalla gran contentezza: - Arrivederci, mammina. - Addio, caro; e sii buono. - Non dubitare. In pochi momenti si trovarono dinnanzi al baraccone della Lanterna Magica, ed en trarono. La platea era piena, stipata di babbi e di un nuvolo di ragazzi di ogni et, i qua li, cinguettando tutti insieme, facevano con le loro voci squillanti e argentine un tal chiasso da mettere in pericolo il soffitto della sala. Quella sera si rappresentava la Creazione del mondo. Giannettino, un po' con le buone maniere e un po' coi gomiti, seppe lavorare cos bene, da trovarsi un posticino in mezzo a un gruppetto di giovinetti, la maggior parte suoi conoscenti e suoi compagni di scuola. Accanto a lui vi era, fra gli altri, un fanciulletto di circa nove anni, biondo come una spiga di grano maturo, con un viso bianco e rosso come una melarosa, co n la bocca sempre mezza aperta e sempre ridente, e con due labbra fresche e verm iglie, che parevano due fragole colte allora allora e messe l'una sull'altra. Questo bambinetto aveva nome Arturo; ma poich era minuto di fattezze e alto, come suol dirsi, come un soldo di cacio, cos Giannettino, per la sua smania di metter e il soprannome a tutti, lo chiamava Minuzzolo. Guarda chi c'! c' Minuzzolo grid Giannettino, indicandolo col dito e ridendogli sul viso in atto di canzonatura. Che cosa ci fai qui? ti pare che la Creazione del m ondo sia pane per i tuoi denti? Sicuro! rispose Arturo pi per i miei denti che per i tuoi. Se non fosse altro, la Creazione del mondo io la so tutta a memoria, e tu non la sai!... Te la posso insegnare! E io scommetto che non la sai! Scommettiamo mille scudi! grid Giannettino. Scommettiamoli pure rispose Minuzzolo ma poi chi li paga? A quest'uscita, tutti i ragazzi, che erano l intorno, scoppiarono in una grandiss ima risata. Giannettino, trovandosi oramai compromesso agli occhi dei suoi compagni, dovette accettare per forza la sfida, e cominci cos: La Creazione del mondo. Iddio fece il cielo e la terra... Ecco subito uno sproposito grid Minuzzolo scattando ritto in piedi, come se avess e avuto sotto la seggiola un saltaleone. E dove lo sproposito? domand Giannettino, turbandosi e facendo il viso cattivo. Tu hai detto: Iddio fece, E come dovevo dire? Dovevi dire Iddio cre il cielo e la terra. E fare e creare non forse la stessa cosa? Nossignore, che non la stessa cosa: perch anche il maestro, se te lo ricordi, c'i nsegn che altro fare altro creare. Il cappellaio, col pelo del castoro o con la f elpa, fa i cappelli; il legnaiuolo col legno fa le seggiole e gli armadi; il sar to col panno fa i vestiti; il pasticcere e qui il ragazzo tir fuori la lingua e s i lecc le labbra con la farina, con le uova e con lo zucchero fa i pasticcini: in somma, tutti abbiamo bisogno d'una materia o di un'altra per poter fare qualcosa . Iddio invece non ha bisogno di nessuna materia. Iddio trasse il mondo dal null a: e questo appunto si chiama creare. Dio solo pu creare: e perci Dio solo creator e. _ Bravo Arturino! gridarono i compagni battendo le mani. La prima veduta Appena Minuzzolo ebbe finito, il direttore d'orchestra dette il segnale della si nfonia. L'orchestra non era molto numerosa: tre suonatori in tutto: un clarinetto, un ta mburo e un uomo che faceva il violino con la bocca. Dopo la sinfonia furono spenti i lumi, e il teatrino rimase

al buio. Allora cominci lo spettacolo. La prima veduta a quadro trasparente raffigurava le tenebre, ossia un gran buio come quello delle nottate d'inverno, quando non c' n luna, n stelle, n lampioni acce si. In mezzo a questo buio si vedeva una macchia pi nera dell'inchiostro: e quella ma cchia era la Terra. A poco a poco la Terra cambi colore e, da nera, si fece verdolina chiara... e poi pi verde; e sempre pi verde; finch si videro spuntare l'erba, i fiori e gli alberi d'ogni specie. Gli alberi nascevano piccini piccini, e crescendo a vista d'occhio diventavano g randi come piante di limoni. Tutt'a un tratto brill una gran luce, e il teatro apparve illuminato come di gior no. Oh bene! ecco il Sole! gridarono tutti i ragazzi nella platea. La questione sui pesci Mentre la prima veduta si scioglieva a poco a poco come nebbia soffiata dal vent o, un'altra ne usciva fuori a rappresentare l'acqua del mare; e nell'acqua si ve deva un brulicho di pesci, di tutte le forme e di tutte le grandezze, i quali sco dinzolavano e boccheggiavano cos bene che parevano proprio vivi e da potersi pren dere, magari, con le mani. Guarda quel pesciolino che passa ora diceva un bambino scommetto che una triglia !... Ma che triglia! ripigliava un altro e io scommetto che un'acciuga. Un'acciuga? Ma non vedi che ha il capo? Se fosse un'acciuga sarebbe senza capo.. . Hai ragione!... non ci avevo pensato!... Ecco una sogliola! grid Giannettino, vedendo un pesce biancastro, luccicante e sc hiacciato come una mestola da muratori Come mi piacciono le sogliole!... A me piacciono pi le anguille disse un ragazzetto accanto. Vuoi mettere le anguille in confronto alle sogliole? Secondo i gusti! Ma che gusti?... bisogna non aver palato. E l, una gran questione fra i due ragaz zi, per sapere se fosse migliore la carne di sogliola o quella d'anguilla. Facciamola decidere al gran Minuzzolo disse Giannettino, col solito tono canzona torio. Minuzzolo, tu che sei un gran professore e che conosci a menadito anche l a Creazione del mondo... qual fra tutti i pesci quello che ti piace di pi? Il pollo arrosto disse Minuzzolo. E tutti risero. Cos al povero Giannettino accadde anche questa volta quel che tocc ai pifferi di m ontagna: che andarono per sonare e furono sonati. 5 LA FESTA DI NATALE Al pranzo del giorno di Natale in casa di Giannettino presero parte, come faceva no da parecchi anni, anche il capitano Ferrante e il dottor Boccadoro. Alla fine del pranzo, dopo aver parlato di cose diverse, e in particolare della carit che in un giorno come quello tanto pi da raccomandarsi ed esercitarsi, il Do ttore prese a dire cos: La storia che vi racconto oggi, non una di quelle novelle come se ne raccontano tante, ma una storia vera, vera, vera. Dovete dunque sapere che la contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuto benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina. Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni; Alberto, il secondo, ne finiva sette, e Ada, la minore di tutti, era entrata appena nei s ei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di pi a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.

La Contessa passava molti mesi dell'anno in una sua villa, e non lo faceva gi per divertimento, ma per amore dei suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di un a salute molto delicata. Finita l'ora della lezione, il pi gran divertimento di Luigino era quello di cava lcare un magnifico cavallo sauro,un animale pieno di vita che sarebbe stato capa ce di fare cento chilometri in un giorno, se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cio, di essere un cavallo di legno! Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola; e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manci ata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo: Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza! I lupini li manger io. Addio a domani, e dormi bene. E perch il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra un materassino ri pieno di ovatta; e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire a pposta dal tappezziere di casa. Alberto, il fratello minore, aveva un'altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, muoveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero; e per essere un uomo vero, non gli mancav a che una cosa sola: il parlare. Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva farsi una ragione del perch il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, ave sse preso la cocciutaggine di non voler discorrere come discorrono tutte le pers one per bene, che hanno la bocca e la lingua. E fra lui e il Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un ta ntino risentiti, sul genere di questo: - Buon giorno, Pulcinella, gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo f uori dal piccolo armadio dove stava riposto. Buon giorno, Pulcinella. E Pulcinella non rispondeva. - Buon giorno, Pulcinella, ripeteva Alberto. E Pulcinella zitto, come se non dicessero a lui. - Suvvia, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella. E Pulcinella, duro. Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso diceva Alberto un po' stizzi to. E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo guardava. Ma perch gridava Alberto arrabbiandosi sempre di pi ma perch se ti dico guardami a ra mi guardi; e se ti dico buon giorno non mi rispondi? E Pulcinella, zitto. Brutto dispettoso! Alza subito una gamba! E Pulcinella alzava una gamba. Dammi la mano! E Pulcinella gli dava la mano. Ora fammi una bella carezzina! E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso. Ora spalanca tutta la bocca! E Pulcinella spalancava una bocca che pareva un forno. Di gi che hai la bocca aperta, profittane almeno per darmi il buon giorno. Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva l a bocca aperta, fermo e intont ito, come, generalmente parlando, il vizio di tutti gli uomini di legno. Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizio che proprio di molti ragazzi, comin ci a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare n rispondergli , perch era indispettito con lui. Indispettito!... e di che cosa? Forse di veders i mal vestito, con un cappellaccio di lana bianca in capo, una carnicina tutta s brindellata, e un paio di calzoncini cos corti e striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba. Povero Pulcinella! disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di

un accattone... ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allor a potr rompere il mio salvadanaio, e con quei quattrini, voglio farti una bella g iubba, mezza d'oro e mezza d'argento. Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa era so lita regalare ai suoi figli due o tre soldi la settimana, a seconda, s'intende b ene, del loro buon comportamento. Questi soldi andavano in tre diversi salvadana i: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello di Ada. Otto giorni pri ma delle feste di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi denari che vi si trov avano dentro, tanto la bambina come i due ragazzi erano padronissimi di comprars i qualche cosa di loro genio. Luigino, com' naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, una bella gualdrappa da potergli getta re addosso quando era sudato. Ada che aveva una bambola pi grande di lei, non vedeva l'ora di'farle un vestitin o di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate p er andare alle feste da ballo. In quanto al desiderio di Alberto, facile immaginarselo. Il suo vivissimo deside rio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli veri. Intanto il Natale s'avvicinava, quand'ecco che una mattina mentre i due fratelli ni con la loro sorellina andavano a spasso per i dintorni della villa, si trovar ono dinnanzi a una casupola tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c'era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo t remava come una foglia. Zio Bernardo, ho fame!... disse il bambino con una voce sottile sottile, voltand osi appena con la testa verso l'interno della stanza terrena. Nessuno rispose. In quella stanza terrena c'era accovacciato sul pavimento un uomo con una barbac cia rossa, che teneva i gomiti puntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani . Zio Bernardo, ho fame!... ripet dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena. Insomma vuoi finirla? grid l'uomo dalla barbaccia rossa. Lo sai che in casa non c ' un boccone di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo! E nel dir cos, quell'uomo bestiale si lev dal piede uno zoccolo e glielo tir. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente lo colp al capo. Allora Luigino, Alberto e Ada, commossi da quella scena, tirarono fuori alcuni p ezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliuolo. Ma il bambino, prima si tocc con la mano la ferita del capo, poi, guardandosi la manina tutta insanguinata, balbett a mezza voce piangendo: Grazie... ora non ho pi fame... Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma: e di quel caso se ne parl per due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si fin per dimenticarlo e per non parlarne pi. Alberto solamente non se l'era dimenticato: e tutte le sere, andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva crogio landosi fra il calduccio delle lenzuola: Oh come dev'essere cattivo il freddo! Brrr... E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte: Oh come dev'essere cattivo il freddo! si addormentava saporitamente e faceva tutto un sonno fino alla mattina. Pochi giorni dopo, accadde che Alberto incontr per le scale di cucina Rosa, l'ort olana, che veniva a vendere le uova fresche alla villa. Sor Albertino, buon giorno, signora, disse Rosa quanto tempo che non passato dall a casa dell'Orco? Chi l'Orco? Noi chiamiamo con questo soprannome quell'uomo dalla barbaccia rossa, che sta la ggi sulla via maestra. Dimmi, Rosa, il suo bambino che fa?

Povera creatura, che vuol che faccia?... E rimasto senza babbo e senza mamma, ne lle mani di quello zio Bernardo... Che dev'essere un uomo cattivo e di cuore duro come la pietra, non vero? soggiun se Alberto. Purtroppo! Meno male che domani parte per l'America, e forse non ritorner pi. E il nipotino lo porta con s? Nossignore; quel povero figliuolo l'ho preso con me, e lo terr come se fosse mio. Brava Rosa! A dir la verit gli volevo fare un vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo... ma ora sono a corto di quattrini. Se Dio mi d vita, lo rivestir alla meglio in prima vera. Alberto stette un po' soprappensiero, poi disse: Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui alla villa: ho bisogno di vede rti. Non dubiti. Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammenta to: il giorno cio, in cui si celebrava solennemente la rottura dei tre salvadanai . Luigino trov nel suo salvadanaio dieci lire; Ada trov nel suo undici lire, e Alber to vi trov nove lire e mezzo. Il tuo salvadanaio gli disse la mamma stato pi povero degli altri due; e sai perc h? perch in quest'anno tu hai avuto poca voglia di studiare. La voglia di studiare l'ho avuta replic Alberto ma bastava che mi mettessi a stud iare, perch la voglia mi passasse subito. Speriamo che quest'altr'anno non ti accada lo stesso soggiunse la mamma; poi vol gendosi a tutti e tre i figli seguit a dire: Da oggi a Natale, come sapete, vi so no otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi padronissimo di fare l'uso che vorr dei denari trovati nel proprio salvad anaio. Quello poi, di voialtri, che sapr farne l'uso migliore, avr da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Il bacio tocca a me di certo! disse dentro di s Luigino, pensando ai ricchi finim enti e alla gualdrappa, che aveva ordinato per il suo cavallo. Il bacio tocca a me di certo! disse dentro di s Ada, pensando alle belle scarpine da ballo, che aveva ordinate al calzolaio per la sua bambola. Il bacio tocca a me di certo! disse dentro di s Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella. Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sent la voce della Rosa, che, chiama ndolo a voce alta dal prato della villa, gridava: Sor Alberto! sor Alberto! Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo so; ma so che quella buo na donna, nell'andarsene, ripet pi volte: Sor Albertino, creda a me: lei ha fatto proprio una carit fiorita, e Dio mander de l bene anche a lei e a tutta la sua famiglia! Otto giorni passarono presto; e dopo otto giorni arriv la festa di Natale. Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre fi gli: Oggi Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai . Ricordatevi intanto che quello di voialtri che li avr spesi meglio, ricever da m e, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino: tu sei il maggiore e to cca a te essere il primo. Luigino usc dalla sala, ritorn quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di l egno, ornato di finimenti cos ricchi, e d'una gualdrappa cos sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani. Non c' che dire osserv la mamma, sempre sorridente quella gualdrappa e quei finime nti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto: il difetto, cio, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te. No, no grid il ragazzetto, turbandosi leggermente prima di me, tocca ad Ada. E Ada, senza farsi pregare, usc dalla sala, e dopo poco rientr tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l'ultimo figurino .

Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo! disse Ada compiacendosi di mettere i n mostra la graziosa calzatura della sua bambola. Quelle scarpine sono un amore! replic la mamma. Peccato per che debbano calzare i piedi d'una povera bambina fatta di cenci e di stucco; e che non sapr mai ballare! E ora, Alberto, vediamo un po' come tu hai speso le nove lire e mezzo che hai tr ovate nel tuo salvadanaio. Ecco... io volevo... ossia avevo pensato di fare..., ossia credevo... ma poi ho creduto meglio... e cos oramai l'affare fatto, e non se ne parli pi. Ma che cosa hai comprato? Non ho comprato nulla. Sicch avrai sempre in tasca i denari? Ce li dovrei avere... Li hai forse perduti? No. E, allora, come li hai spesi? Non me ne ricordo pi. In questo mentre si sent bussare leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse: permesso? Avanti! Apertasi la porta, si present sulla soglia... indovinate chi? Si present la Rosa, che teneva per la mano un bambinetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuov o, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e ai piedi un paio di stivale tti di pelle bianca da campagnolo. tuo Rosa, questo bambino? domand la Contessa. Ora lo stesso che sia mio, perch l'ho preso con me e gli voglio bene, come a un f igliuolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo n on lo patisce pi perch ha trovato un angelo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi. E chi quest'angelo di benefattore? chiese la Contessa. L'ortolana si volt verso Alberto, e guardandolo in viso e indicandolo alla sua ma mma, disse tutta contenta: Eccolo l. Alberto divent rosso come una ciliegia; poi rivolgendosi impermalito a Rosa, comi nci a gridare: Chiacchierona! Eppure ti avevo detto di non raccontar nulla a nessuno!... Scusi, ma c' forse da vergognarsi per aver fatto una bell'opera di carit come la s ua? Chiacchierona! chiacchierona! chiacchieronaccia! ripet Alberto, arrabbiandosi sem pre pi; e tutto stizzito fugg via dalla sala. La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiam pi volte: ma siccome Alberto no n rispondeva, allora si alz dalla poltrona e and a cercarlo dappertutto. Trovatelo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracci amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno pi di cento. 6 LE MARIONETTE Giannettino, se ve lo ricordate, aveva promesso al dottor Boccadoro di volersi c orreggere dei suoi molti difetti. Ma altro il promettere, altro il mantenere. E quando i ragazzi hanno fatto tanto di prendere dei vizi e delle brutte pieghe, torna quasi impossibile, anche badandovi, che arrivino a sapersene emendare da un giorno all'altro. E per questo motivo sarebbe bene che i ragazzi tenessero a mente un vecchio dett o che dice cos: A prendere un vizio, ci vuol poco o nulla: basta la forza di un canarino; mentre poi a liberarsene bisogna fare una sudata, peggio che a tirar l'alzaia. Ad ogni modo conviene rendere a Giannettino questa giustizia: era migliorato mol to da quello d'una volta. In certi momenti pareva un altro ragazzo.

Quando si trovava in compagnia con persone da pi di lui, stava composto e perbene . Tutte le volte che entrava in casa d'altri non si scordava mai di levarsi il cap pello. Non si ficcava pi le dita negli stivaletti. Aveva il vestito quasi sempre lindo e le mani quasi sempre pulite. Ma in quanto a molti altri viziarelli, vi ricascava... e vi ricascavi spesso: co me, per esempio, il vizio di grattarsi, quello d mangiarsi le unghie, e quell'alt ro di rispondere qualche volta sgarbatamente. Il Dottore lo sgridava, e Giannettino prometteva che non l'avrebbe fatto pi, ma p oi s'era daccapo alle solite storie. Lascia correre La brutta abitudine di grattarsi cost, pochi giorni fa, a Giannettino, proprio a scuola, una canzonatura clamorosa che lo mortific non poco e lo fece montare in f uria. Il Maestro aveva dato un problema da risolversi in classe, come fa spesso, perch dei problemi risolti a casa si fida poco. Giannettino, il quale, come sappiamo, non ha mai veduto di buon occhio l'aritmet ica, non trovando la soluzione, ne soffriva, e via via si dava una grattatina. Il suo compagno di banco, Gigetto, che aveva quasi subito imbroccato il problema , si volse a Giannettino e gli disse per scherzo: Lascia correre! Non glielo avesse mai detto! Giannettino divent rosso come un gambero cotto e, mo strando il pugno, disse abbastanza forte: Guarda come parli, sai! perch io ne ho pochi di spiccioli! Che c'? che stato? domand il Maestro. Gigetto mi ha offeso; ma fuori me la paga. No, no: lei non gli far pagar nulla n qui n fuori di qui. Perch, se veramente l'ha o ffeso, penso io a punirlo. Signor Maestro, stato uno scherzo, senza intenzione di offendere. Siccome si gra ttava, io gli ho detto, ma cos per ridere; Lascia correre! A quella dichiarazione tutti gli alunni dettero in una gran risata, e Giannettin o, stizzito pi che mai, e non potendo sfogarsi, cominci a piangere. Ma poco dopo il Maestro lo calm dicendogli che Gigetto non aveva creduto affatto di offenderlo. Quando il dottor Boccadoro seppe quel fatto, il giorno dopo disse a Giannettino, vergognoso, s, ma non pi arrabbiato: Speriamo che la lezione ti giovi. Un nuovo patto Ma veduto che il ragazzo non si correggeva, allora il Dottore immagin un rimedio. Sapendo che Giannettino si struggeva da tanto tempo di avere una compagnia di ma rionette per farle recitare, gli disse un bel giorno: Ho comprato una scatola di marionette, di quelle finissime, fabbricate a Norimbe rga. Le vuoi? Si figuri!... rispose Giannettino; e stava per fare un salto dalla gran contente zza. E io te le do, ma, bene inteso, a un patto. Accetto tutti i patti. Il patto questo: le marionette sono ventiquattro; ma tu, ogni volta che ricasche rai in qualcuno dei tuoi soliti difetti, dovrai rendermene una. Sta bene. Bada! disse il Dottore, distendendo l'indice della mano destra bada, perch c' il c aso che fra pochi giorni non ti resti pi un solo attore di tutta la compagnia... E io credo invece replic Giannettino che fra un anno avr sempre tutta intera la co mpagnia... Vedremo chi la indovina. I principali attori di legno Il dottor Boccadoro, puntuale, mand il giorno dopo a Giannettino la grande scatol a, con dentro le ventiquattro marionette.

Quelle marionette (io le ho vedute e lo posso dire) erano tanti piccoli capolavo ri. Basti dire che muovevano le gambe, le braccia, la testa, il collo e qualcuna anc he la lingua. La signora Rosaura, ossia la prima attrice, grazie ad una macchinetta che aveva nel cervello, apriva e chiudeva i suoi grandi occhi di vetro turchino, tale e qu ale come fanno i gatti sdraiati al sole. L'amoroso, ovvero il signor Florindo, a tirargli un certo filo che gli corrispon deva alla bocca dello stomaco, sospirava come un soffietto. Il Tiranno poi metteva paura soltanto a guardarlo! Aveva un gran barbone color verde bottiglia; due baffi quasi gialli dalla gran b ile che lo rodeva in corpo, e un paio di sopraccigli cosi grossi e cosi neri, ch e parevano due chifelli messi a rinvenire in una tazza di cioccolata. Per via di un ordigno armonico, attaccato in fondo al filo delle reni, tutte le volte che il Tiranno si dondolava un poco sulla vita, cominciava subito a fare b au! bau!! bau!!!... proprio come fanno i tiranni nelle tragedie. I quattro compagni Figuratevi l'allegrezza di Giannettino! Senza mettere tempo in mezzo and subito a chiamare quattro suoi compagni di scuola, che stavano di casa accanto a lui. Questi compagni erano quattro fratelli, cio: Ernesto, Gigetto, Adolfo e Arturino, detto anche Minuzzolo; quello stesso che si era fatto tanto onore nel ridire a mente la Creazione del mondo. Fissarono la commedia da doversi recitare per prima: si distribuirono fra di lor o le parti; e la domenica dopo, in casa della signora Sofia, c'era, come suoi di rsi, teatro. La sala traboccava di gente, e gli applausi non finivano mai. Chiamati da grandi applausi, gli attori di legno venivano fuori, strisciavano un a bella riverenza al pubblico, e se ne tornavano dietro le quinte, saltellando e camminando per traverso, com' costume di tutti i grandi artisti di legno. Sul pi bello la Rosaura se ne va Per altro, ed era facile a prevedersi, dopo un corso appena di quattro o cinque recite, la compagnia drammatica del capocomico Giannettino si trov assottigliata di molto. Diciannove marionette, in poche settimane, erano tornate a casa del dottor Bocca doro. A Giannettino ne rimanevano cinque sole, cio: il Lelio, il Florindo, il Padre Nob ile, la Rosaura e il Tiranno. Bisogn allora mettere da parte le commedie, dove di solito i personaggi sono molti, e attaccarsi alla recita delle tragedie. E fra tutte le tragedie antiche e moderne venne scelta a pienissimi voti la Fran cesca da Rimini, scritta da Silvio Pellico, uno dei martiri dello Spielberg. Gi l e prove di scena erano avanti e procedevano a meraviglia, quando accadde che Gia nnettino, rispondendo una mattina a sua madre, disse con voce risentita: Ti ho detto che oggi non ho tempo per andare a scuola, e quando ho detto che non ho tempo, mi pare inutile lo starmi a seccare!... Impertinente! grid il dottor Boccadoro, che per l'appunto si trovava l. questo il modo di rispondere?... e poi, a chi?... a tua madre!... Ricordati che con me, ch i rompe, paga: dunque va' subito di l, e portami una marionetta! Quale? domand Giannettino tutto dispiacente. Portami la Rosaura! La Rosaura? url il ragazzo con un grido acutissimo di dolore e di disperazione. M a se lei mi leva la Rosaura, come vuole che faccia domenica sera a rappresentare la Francesca da Rimimi Io non voglio sapere nulla n di Francesca n di Franceschi! I nostri patti sono que sti; e portami subito la Rosaura! Il povero Giannettino si raccomand, pianse, preg, si inquiet, pest i piedi per terra ; ma tutto fu inutile... Dovette andare nella stanza del teatrino a prendere la Rosaura, e dal modo col q uale la consegn in mano al Dottore, si cap benissimo che gli avrebbe consegnato pi volentieri un morso nel na

so. Quel che accadde al Tiranno Quando i quattro compagni di Giannettino vennero a sapere della gran disgrazia t occata alla prima attrice, si lasciarono scappar di bocca un Ohhh! cos lungo e co s straziante, che avrebbe intenerito un macigno. Qui non c' tempo da perdere disse Giannettino. Oramai per domani sera stata prome ssa la Francesca, e la Francesco, deve andare in scena!... Ma senza la Rosaura, chi far la parte della Francesca? domandarono in coro i quat tro fratelli. La far fare al Tiranno! replic il piccolo capocomico. A questa risposta temeraria e inaspettata, i quattro fratelli cacciarono fuori u n altr'Ohhh! molto pi lungo e pi straziante del primo. Giannettino, senza perdersi in ciarle inutili, usc correndo dalla stanza. Quando ritorn brandiva con la destra un coltello da cucina, e con la sinistra ten eva per i piedi, e a capo all'ingi, il povero Tiranno, sbatacchiandolo di qua e d i l, come se fosse un pollastro bell'e pelato. E ora? domandarono i compagni, che in tutto questo armeggo non ci sapevano legger e una parola. Lasciate fare a me! rispose Giannettino; e ficcatosi il Tiranno fra le ginocchia , cominci col coltello a scorticarlo e a raschiargli, senza ombra di carit, il bar bone, i baffi e le due grandi sopracciglia. Quando l'ebbe raschiato ben bene, lo vest da capo a piedi con gli abiti di France sca: e quasi non fosse avvenuto nulla, annunzio per la sera dopo la recita della tragedia. Il capitan Ferrante Quella sera la sala del teatrino, secondo il solito, sudava dalla gran gente; e, in mezzo alla folla, lo spettatore che dava pi nell'occhio era il gigantesco cap itan Ferrante, lo zio materno di Giannettino, quello medesimo che tempo addietro aveva fatto al nipote il regalo dei due pappagalli. Immaginatevi un bell'uomo sulla cinquantina, alto come un cipresso, con due spal le larghe quanto un pianerottolo di scale, e uno stomaco che pareva un armadio a perto. Quando il Capitano rideva (e rideva spesso) le sue risate facevano un tal fracas so assordante, che somigliavano a quelle saette che si sentono sul palcoscenico nei balli e nelle opere in musica, allo scoppio del temporale. La recita non finisce bene La rappresentazione della tragedia nei primi due atti cammin piuttosto bene. Ma s ul pi bello, e quando per l'appunto le mamme, le ragazze e le fanciulline cominci avano a tirar fuori i fazzoletti e a piangere e a soffiarsi il naso sui casi del la bella Riminese, il diavolo, come suol dirsi, ci volle mettere la coda, e acca dde uno di quegli scandali che non si dimenticano pi per tutta la vita. Ecco come and. Giannettino, che era sempre stato uno sventato e uno sbadataccio e che in tutte le cose che faceva non aveva mai il capo l, s'era dimenticato di staccare la macc hinetta cucita in fondo al filo delle reni del Tiranno, trasformato in donna per un caso urgentissimo: cos quella sciagurata Francesca, nel gran bollore dell'azi one, ripiegandosi forse un po' troppo sulla vita cominci a fare: bau! bau! bau! Immaginatevi allora gli urli e il chiasso di tutto l'uditorio! Bisogn per forza calare il sipario nel bel mezzo dello spettacolo; e appena calat o, si sent una risata che fece tremare tutti i vetri delle finestre. Quella risata era del capitan Ferrante. 7 I PREGIUDIZI Quando la sala del teatro fu un poco sfollata, il capitan Ferrante pass nella sta nza accanto, e l trov il nipote Giannettino con i suoi quattro compagni, tutti sed uti per terra, che si guardavano in faccia l'un l'altro, senza far parola. A quel che pare la recita di stasera non andata troppo bene disse il Capitano, s cherzando.

Anzi, andata malissimo replic Giannettino ma io lo prevedevo fin da stamani! E perch lo prevedevi? Ecco: stamani sono andato dal legnaiuolo per fare scorciare una gamba a Lanciott o, ossia al marito di Francesca da Rimini, perch il babbo, che conosce la storia, mi aveva detto che il marito di Francesca era zoppo da un piede. Ebbene, lo vuo l sapere? la prima persona che ho incontrato, appena fuori dell'uscio, stato un cavallo bianco. Male! ho detto subito fra me: la giornata non pu finir bene, e qu alche disgrazia mi deve succedere... Non vero, ragazzi, che ve l'ho raccontato s ubito anche a voi altri? E tu credi a queste sciocchere? disse lo zio. Saranno sciocchere, ma io ci credo! Povero Giannettino! E dire che io finora ti avevo preso per un ragazzo intellige nte!... Il sale e l'olio Il signor Capitano ha ragione interruppe Minuzzolo. Queste son bambinate, che fa rebbero torto anche a me, che sono il pi piccolo di tutti. Io so che ho incontrat o tanti cavalli bianchi, e non mi mai accaduta nessuna disgrazia. Oh! se mi dite del sale rovesciato sulla tavola, allora un altro paio di maniche. A quello, s, ci credo anch'io. E che cosa credi? domand il Capitano, che aveva pronta un'altra risata pi forte. Gu! credo che il sale rovesciato porti disgrazia... E qui c' poco da ridere, perch s'immagini, che l'altro giorno, a desinare, rovesciai la saliera sulla tavola, e Adolfo, che stava accanto a me, mi disse: Bada, ti succeder qualche disgrazia! E m i successe davvero! Appena arrivato a scuola, il Maestro mi mise in ginocchioni! Ma perch ti mise in ginocchioni? Perch non sapevo la Geografia! Un'altra volta disse il Capitano se ti avviene di rovesciare la saliera, cerca d 'imparare bene la Geografia, e vedrai che non ti accadranno disgrazie. Quella del sale mi pare una ragazzata osserv Gigetto io credo piuttosto all'olio versato per terra. Bravo! grid il Capitano ridendo. Se avessi dei figliuoli, confesso la verit, all'o lio versato ci crederei anch'io. Perch l'olio caro, oggi specialmente, e se lo ve rsate per terra, tocca al babbo doverlo ricomprare. E quella davvero una gran di sgrazia!

Il venerd Giannettino, che aveva la testa piena di pregiudizi, e che pigliava per moneta c ontante tutte le superstizioni, s'ebbe a male delle grandi risate dello zio Capi tano, e un po' risentito gli domand: Dunque lei non crede neanche al venerd? A quale venerd? domand il vecchio lupo di mare perch io, dei venerd ne conosco due. Conosco un Venerd, che era segretario e cuoco di Robinson Crusoe, e conosco poi u n altro Venerd, che sta di casa nel lunario e rappresenta onoratamente uno dei se tte giorni della settimana. Io parlo appunto di questo disse Giannettino. Che opinione ne ha lei? Buonissima! Io lo credo un giorno per bene, come tutti gli altri: se ne sta dove l'hanno messo: mangia di magro tutto l'anno, e, per quanto sappia, non ha mai a ttaccato briga con nessuno, nemmeno col Gioved e col Sabato, che sono i suoi vici ni. Eppure soggiunse Giannettino vi sono molte persone, e persone d'ingegno, che pot rebbero provarle coi fatti alla mano che il venerd stato sempre un giorno disgraz iato e di malaugurio per tutti, in particolare per quelli che devono mettersi in viaggio. Ho avuto un amico anch'io replic il Capitano il quale credeva fermamente che il v enerd portasse disgrazia ai viaggiatori. In tutta la sua vita non si era mosso un a volta sola di casa in giorno di venerd. Quand'ecco una mattina sente dire che u n suo parente, ritorto in America, gli ha lasciato una grossa eredit. Che cosa fa l'amico? Senza perdere un minuto di tempo, corre a imbarcarsi sul mio legno che

stava appunto per partire. Rammentati che oggi venerd! gli dissi celiando, in tono tragico. Ebbene, sapete come mi rispose? Mi rispose cos: Caro mio, quando c', una grossa eredit che mi aspetta a braccia aperte, non mi fanno paura neanche tutti i venerd del calendario. Ma volete una prova schiacciante concluse il Capitano che uno sciocco pregiudizio credere nefasto il venerd? Eccola: Cristoforo Colombo par t da Palos di venerd nell'agosto del 1492 e vi rientr trionfante il 15 marzo dell'a nno seguente, pure di venerd. I tredici a tavola E questo caso qui seguit a dire il Capitano me ne fa ricordare un altro. Ho conos ciuto una volta un baccellone, uno di quei disgraziati imbottiti di pregiudizi, i quali, fra le altre cose, si spaventano a trovarsi a tavola in tredici persone . Il tredici egli diceva un numero fatale, e qualcuno dei tredici o prima o poi dev e morire. Un giorno lo invitai a desinare da me in campagna, e ordinai apposta la cosa in modo che tutti i commensali, contato me, fossero tredici per l'appunto. Quando il brav'uomo se ne accorse, entr subito di malumore; e, avvicinandosi all 'orecchio, mi disse: Ho visto che siamo in tredici!... Ma io non voglio saper di disgrazie; dunque ti saluto e me ne vado. E tu vattene! gli risposi senza tanti com plimenti. Detto fatto, il buon uomo prese il suo cappello e se ne and: ma quando fu a mezza scala sent aleggiare intorno al naso un odorino di tartufi e di polli in umido da far tornare l'appetito a un morto. Allora si ferm, e dopo aver riflet tuto lungamente, e dopo essere stato per cinque minuti con un piede sospeso in a ria fra i due scalini, alla fine si decise a tornare indietro, borbottando fra i denti: Se oggi siamo in tredici a tavola, pazienza! Oggi ho troppo appetito, e m i manca il tempo di aver paura! Insomma, ragazzi, se andate avanti con queste gio ccate, finirete col credere anche voi che il canto della civetta annunzi la mort e; che le farfallette che si posano sul vestito portino fortuna; che i morti rit ornino; crederete ai castelli abitati dagli spiriti, ai fantasmi, alle streghe, alle fate, ai vampiri notturni e a mille altre grullere, che non hanno n capo n cod a. Iettature E dello iettatore non avete mai udito parlare? domand il capitano Ferrante. un di sgraziato, secondo certa stupida gente, che il solo avvicinarlo porta disgrazia, perch nato con una maligna influenza. Io ne ho conosciuto uno, e ricordo, con dolore e vergogna, che talvolta, incontr andolo per via o in altro luogo, mi allontanavo da lui. Ma quasi subito arrossiv o dell'atto, e ancor pi del sentimento di paura superstiziosa da cui ero preso. A ltri invece, ed erano molti, non solo lo sfuggivano, ma si nascondevano le mani in tasca o dietro la schiena per fare gli scongiuri. E di quel tale, non solo le donnicciole, ma anche le signore colte e di spirito, ed uomini con tanto di baffi, narravano una lunga storia di disgrazie cagionate dal suo malefico influsso. Un giorno, era passato appena davanti ad un gran palazzo in costruzione, che cad de gi un ponte con quattro operai; due dei quali restarono morti sul colpo e gli altri due gravemente feriti. Un altro giorno, bast che salutasse un signore incontrato per via, perch quel disg raziato fosse colto da un colpo apoplettico. Un'altra volta si ferm in un viale a veder potare un grosso platano, e il potator e cadde a terra di schianto e si fracass una spalla. Un'altra volta era montato in una carrozza pubblica, la quale fu investita da un 'automobile. La carrozza and in pezzi, il cavallo si ruppe una gamba, il vetturin o ebbe parecchie contusioni, e lui, lo iettatore, non riport nemmeno una graffiat ura. Un teatro s'era incendiato durante una rappresentazione perch in prima fila, tra gli spettatori, c'era lui! In un Caff era scoppiato il deposito del gas, producendo molto danno e molto spav ento, perch lui, quella sera, era stato li a prendere una bibita e n'era uscito p ochi momenti prima dello scoppio. Tante ne raccontavano delle disgrazie cagionate da lui con la sola sua malefica

presenza. E tanti vi prestavano fede, e in modo tale, da diventar crudeli con qu el disgraziato. Al Caff, al teatro, in qualunque altro luogo pubblico egli si vedeva sfuggire da tutti come un appestato. Anzi, non di rado, se un avventore, entrando, per esemp io, in un Caff, scorgeva lui, faceva le viste di cercare qualcuno che non trovava e se ne tornava via. Per anche i padroni di bottega nutrivano una grande avversione contro quel disgraziato, e spesso gliela manifestavano con delle sgar berie. E dire che lui, quel terribile iettatore, vittima innocente dell'ignoranza super stiziosa di tanta gente, era un'anima mite, affettuosa, gentile. Era un uomo che non avrebbe fatto male a una mosca, che adorava la sua famiglia, che voleva ben e a tutti. E quando uno dei suoi pochissimi amici gli ebbe detto un giorno lo sciocco motiv o dell'avversione da cui era perseguitato e della quale egli non sapeva rendersi ragione, esclam: Ora capisco! e pianse. Pianse; e da quel giorno era lui che cercava l'isolamento. Ma dopo qualche tempo , non potendo pi condurre quella vita, fece un sacrificio, e cambi paese. I vampiri Eppure i vampiri, che succhiano il sangue ai bambini, ci sono di certo disse Min uzzolo. E chi te l'ha detto? Un mio cugino che ha studiato la Storia Naturale. Il tuo cugino ti avr detto che il vampiro una specie di pipistrello. Anch'io l'ho veduto pi volte nei paesi dell'America meridionale. Questo pipistrello, verissim o, succhia il sangue degli animali addormentati, e qualche volta anche degli uom ini, ma qui, nei nostri paesi, non ci sono vampiri. Eppure insist Minuzzolo a me pare di averli veduti! I vampiri che tu hai veduti replic il Capitano, preparandosi a ridere succhiano i l sangue anche quelli; ma qui da noi si chiamano con un altro nome. Come si chiamano? Zanzare. Tutti risero di cuore; ma Minuzzolo non rise. Mortificato nel suo amor proprio, tir fuori di tasca una grossa pera, e, dalla bizza che aveva addosso, la divor in quattro bocconi, senza nessun riguardo n al torsolo n alla buccia. Le cabale per il lotto Scommetto, signore zio, che lei non crede nemmeno alle cabale per indovinare i n umeri del lotto. Il Capitano, invece di rispondere, dette una scrollatina di capo in segno di com passione. C' poco da far cosi! grid Giannettino impermalito, alzando la voce. Lo conosce il signor Giacemmo, quello che sta su, all'ultimo piano di casa nostra? Ebbene, qua ndo il signor Giacomino ha fatto una cabala, son quattrini sicuri per l'estrazio ne del lotto! E che cosa ne fa, delle sue cabale, il signor Giacomino? Oh bella! le vende a quei giocatori che voglion vincere. E perch disse il Capitano invece di venderle, non gioca le sue cabale per s? Gliel ho suggerito anch'io; ma il signor Giacomino mi ha sempre risposto: Io non gi oco mai. Mi dispiacerebbe troppo di rovinare il Governo! E tu dai retta a quest'impostori? Allora puoi credere anche ai ciarlatani di pia zza, che vendono il cerotto miracoloso per guarire tutte le malattie. Il diavolo e i giocatori di bussolotti Mi levi una curiosit disse Gigetto ma i giocatori di bussolotti ce l'hanno qualch e volta un po' di diavolino in corpo? Ma che diavolino ti vai indiavolando? Certe domande i ragazzi un po' svegli non dovrebbero farle. Nei giochi di bussolotti, per vostra regola, anche in quelli c he paiono meravigliosi, non v' nulla di miracoloso e di soprannaturale. Tutto il gran segreto dei prestigiatori sta nella destrezza delle loro dita, nella perfez ione delle scatole e delle macchine che adoperano, e in quella naturalezza di da

re ad intendere che fanno una cosa mentre poi ne stanno facendo un'altra. Perch i giochi di prestigio riescano bene davvero, mi diceva un vecchio prestigiatore, ci vogliono due cose: molta destrezza in quello che li fa, e molta buona fede in chi li sta a vedere. Del resto, ragazzi, quando non vi sapete spiegare qualche gioco di prestigio, qualche esperimento di magnetismo e di chiaroveggenza, invec e di andare fantasticando col diavolino in corpo, con le stregonerie e altre bam bocciate, pigliatevela sempre con la vostra ignoranza e con la vostra poca scalt rezza. 8 LA SCELTA D'UNA PROFESSIONE Prima di ripartire per il suo nuovo viaggio, il capitano Ferrante si volt al nipo te Giannettino e gli domand: E tu, che arte o che professione intendi fare? Il ragazzo si strinse nelle spall e. Non hai ancora scelto? La mamma vorrebbe che facessi l'impiegato. Governativo? Gi. Tutte a un modo queste benedette mamme! disse il Capitano ridendo e guardando la sorella. Basta che abbiano un figliuolo, non sono contente fino a tanto che non lo vedono accomodato in qualche Ufficio o Azienda dello Stato. Non ti dir che la strada degli impieghi non possa condurre un galantuomo a guadag narsi onestamente un pezzo di pane. Ma non credere, amico mio, che questa strada sia seminata di rose e di viole! Il giorno che sarai impiegato, comincerai subi to a perdere i due pi grandi beni della vita, cio l'indipendenza e la libert, e tut ti i giorni avrai un orario fisso, come i treni delle strade ferrate. La vocazione del signore Allora, secondo lei, che cosa dovrei fare in questo mondo? domand Giannettino. Tocca a te a dirlo. Qual la tua vocazione? La mia vocazione rispose il ragazzo dopo averci pensato un poco sarebbe quella d i fare il signore. Male! male! url il Capitano con una vociona che fece tremare tutta la stanza. Car o mio, l'arte di fare il signore, come costumava una volta, oggi non c' pi. Ai nos tri tempi e in mezzo alla societ presente, tutti abbiamo bisogno di lavorare: tut ti... tienilo bene a mente: ricchi e poveri, artigiani e possidenti. Un uomo, al giorno d'oggi, che per l'unica e sola ragione di essere ricco non sapesse far n ulla, o non volesse far nulla, non sarebbe pi nemmeno un uomo; ma diventerebbe un o zero, un cinese di gesso, da mettersi per figura sopra il caminetto. Debbo fare l'avvocato? chiese Giannettino. Ce ne sono troppi... osserv scherzando il Capitano. Il medico? Ce ne sono abbastanza... Allora non so pi che cosa scegliere!... Ah, ora che ci penso: studier il disegno e far il pittore. Perch no? Ma bada bene, ci vuole una vocazione, una vera vocazione, una fortissim a vocazione. Guai ai giovinetti che dicono: Far il pittore, lo scultore o l'archit etto e lo dicono con la stessa svogliatezza o indifferenza, come se dicessero: Far l'usciere di tribunale, il merciaio, il giovane di banco, il fabbricante di cand ele o di sapone. L'arte una cosa bella e divina, non lo nego; ma l'artista, se vu ol davvero procacciarsi un bel nome e una vita comoda e onorata, bisogna che sappia uscire dall'oscura e malinconica mediocrit: perch, credilo a me , la vita degli artisti oscuri e mediocri, cio di quegli artisti che non hanno n i ngegno per far bene, n coraggio per cambiar mestiere, tutta una vita di patimenti , di disinganni e di afflizioni. E dunque? disse Giannettino. Io forse ti parr di difficile contentatura soggiunse lo zio ma non vero. Ho detto il mio parere chiaro e tondo, e nulla pi. Del rimanente, convengo anch'io che tu tte le arti e tutte le professioni possono essere eccellenti, specialmente se es

ercitate con amore e con coscienza, e anche con un tantino di fortuna; perch nell e cose di questo mondo un po' di fortuna non guasta mai! Per conseguenza, fai pu re, se cos ti piace, o l'impiegato, o l'avvocato, o il medico, o il pittore; ma r ammentati che qui in Italia c' un campo quasi vergine, e che promette tesori: e q uesto campo quello delle arti meccaniche, dell'industria, dell'agricoltura e del commercio. Se i nostri ragazzi rivolgessero al commercio, all'agricoltura e all 'industria i loro studi e la loro operosit, sono sicuro che farebbero la propria fortuna e quella del paese. Giannettino, la prima volta che si trov col dottor Boccadoro, gli rifer, per filo e per segno, come la pensasse lo zio Ferrante a proposito della scelta di una pr ofessione, e concluse: Lo zio, alle volte, ha delle idee curiose! Vorrebbe che si fosse tutti agricolto ri, industriali e commercianti. Quasi quasi desidera, forse, che suo nipote impa ri a guidar l'aratro. E', carino mio, prese a dire il Dottore che tuo zio un uomo pratico, un uomo che ha imparato a conoscere il mondo, gli uomini e le cose, non sui libri, ma dal v ero, e studiando il gran libro della Natura. Forse si sar sentito stringere il cuore allo spettacolo della folla di emigranti italiani assiepati s ulla tolda del suo bastimento. Bisogna dire bens aggiunse il Dottore che molti vanno all'estero spinti dalla bra mosa e dalla speranza di far presto fortuna; e, del resto, l'emigrazione per noi necessaria, perch la nostra popolazione cresce continuamente, ci che non avviene, per esempio, in Francia, dove invece diminuisce. Ma che c'entrano in tutto questo gli avvocati, i medici, gli ingegneri, gli impi egati contro i quali se la prende lo zio Ferrante? domand Giannettino. Tu, vero, sei ancora un fanciullo e certe considerazioni non puoi farle; ma prov er a mettere qualche idea in codesto tuo cervellino. E nel dir questo, diede una leggera tiratina d'orecchio al ragazzo. Poi riprese: Parlandoti cos, lo zio ha vo luto alludere a coloro che pure avendo la fortuna di possedere campi, prati e vi gne, sono presi dalla stolta vanit di fare dei loro figli tanti dottori, avvocati e professori, credendo di nobilitare il proprio casato. Invece lo zio vorrebbe che essi impiegassero la loro energia e i loro capitali nel promuovere il miglio ramento della scienza agraria, incoraggiando gli agricoltori e adoperandosi per il loro benessere: vorrebbe che essi impiantassero nuove industrie produttive, a ffinch gli Italiani non fossero obbligati a richiedere dalla Francia, dall'Inghil terra e dalla Germania tante e tante merci, per le quali scappano di l dalle Alpi parecchi milioni di lire. Capisci, ora? Cos ragionando, il Dottore si era accalorato, con gran meraviglia di Giannettino, il quale non intendeva forse molto chiaramente quelle dolorose verit: verit sulle quali anche i fanciulli devono riflettere, perch un giorno saranno adulti, e avr anno l'obbligo di lavorare per il bene proprio e per quello della Patria. E tu, invece riprese il Dottore hai detto con dispiacere: Come? lo zio vorrebbe c he io imparassi a guidar l'aratro? Sicch il contadino che ha le mani incallite dal la vanga e il volto abbronzato dal sole, il contadino, che riempie le nostre can tine e i nostri granai, non stimabile quanto un signore? E l'uomo annerito dal f umo delle oscure officine, lo credi inferiore al professionista, solo perch quest i va in guanti? Scommetto che con la fantasia gi corri al giorno in cui potrai av ere sul tuo biglietto da visita tanto di Dottore o di Ingegnere. E credi tu che sarebbe minor soddisfazione, invece di andare alla caccia dei clienti, dopo otte nuta la laurea, di attendere, vestito di una semplice giacca di frustagno alla c oltivazione delle tue terre, e vederle, di anno in anno, prosperose e fiorenti, ricche di viti, di frutti e di grano? Giannettino non sapeva proprio che cosa rispondere. Ascoltava bens con attenzione il Dottore, persuaso dalla seriet e dal calore con cui esso gli parlava. 9 GIANNETTINO SI TAGLIA IL CIUFFO Un bel giorno Giannettino torn a casa, che s'era tagliato il ciuffo: quel gran ci uffo di capelli, come sapete, che era il suo orgoglio e la sua ambizione.

Questo strano avvenimento fece caso a tutti. Perch bisogna sapere che la sua mamma e il Dottore e quante persone bazzicavano p er la casa, gli avevano sempre predicato: Giannettino, tagliati codesto ciuffaccio! Non solo t'imbnittisce, ma, scendendot i sugli occhi, finir col farti prendere un vizio di guardatura. E Giannettino, duro! L'ammonirlo e il dargli dei buoni consigli era tutto fiato buttato via. Piuttosto che tagliarsi quel ciuffo, che secondo il suo poco giudizio gli dava u na certa aria di fierezza e di originalit, Giannettino avrebbe preferito tagliars i l'indice o il pollice della mano destra. Disgraziati quei ragazzi che credono di aver sempre ragione, e che quando inciam pano in qualcuno che abbia la pazienza di correggerli, lo pigliano subito in sos petto di una persona che parli per gelosia, o che brontoli per la smania di bron tolare. Com' che ti sei tagliato il ciuffo? gli domand il Dottore, guardandolo fisso negli occhi. Giannettino, senza scomporsi, invent una bella bugia, e rispose: Le dir... Ieri sera, mentre leggevo la Storia Romana, avvicinai un po' troppo la testa al lume, e mi abbronzai tutti i capelli. Ecco la ragione perch stamani me l i sono dovuti tagliare. Ma il dottor Boccadoro, che non era un uomo da comprar carote per fragole di gia rdino, gli fece, ridendo sul viso: Cuc! Proprio, la verit. Cio, una bugia. Parola d'onore. Non giurare! Hai detto una delle tue solite bugie, e basta cos. Giannettino, con tutta la sua disinvoltura, divent rosso come un cocomero dipinto . Carlino Volle il caso che il Dottore, appena uscito di casa, s'imbattesse in un ragazzet to che era compagno di scuola di Giannettino; e, andandogli incontro, gli domand: Vorrei levarmi una curiosit: che cosa accaduto a Giannettino in questi giorni? Il ragazzo sorrise e non rispose. Tu sai che di me ti puoi fidare insist il Dottore. Lo so disse il giovanetto esitando ma mi faccia il piacere, per carit, di non and argli a raccontare che l'ha saputo da me: se no, Giannettino sarebbe capace di m angiarmi vivo. Il ragazzo che parlava cos, si chiamava Carlino: ed era un bambinetto gracile, mi ngherlino, patito, tutto pelle e ossa. Aveva un viso bianco come la cera, e due labbra cos pallide e scolorite, che pare vano due foglie di rosa in una tazza di latte. Badi ve'! cominci a dire Carlino, rispondendo al Dottore Giannettino, in fondo, i n fondo un buon figliuolo, e io gli voglio bene; proprio gli voglio bene, bench m i abbia fatto piangere tante volte. Ma Giannettino... che vuol che le dica? un b enedetto ragazzo, che oramai ha il vizio di canzonar tutti, e di mettere a tutti il soprannome. Bruttissima abitudine! disse il Dottore. Ci sono dei soprannomi che non fanno n caldo n freddo; ma ce ne sono di quelli che scottano e che arrivano proprio al cuore! Si figuri che viene alla nostra scuol a un ragazzo, che, poverino, nato con una spalla un po' pi grossa dell'altra; e G iannettino, per divertirsi, gli dice sempre: O Gabbino! Un altro ragazzo, perch z oppo da un piede e cammina con le grucce, lo chiama Zoppo Vulcano. C' poi un altro povero figliuolo: da piccino disgraziatamente gli rovesciarono su l capo una scodella di minestra bollente, e i capelli, in un punto della testa, non gli tornarono pi; e Giannettino a dirgli: O Pelato! A un altro ragazzo, perch figlio di povera gente e non pu vestirsi bene come noi, ha messo il nome di Maestro Miseria. E poi ci sarebbero tanti e tanti altri... e fra questi ci sono anch'io...

Come! disse il Dottore quella birba di Giannettino ha messo il soprannome anche a te? Ce ne fosse! Mi becc subito il primo giorno che entrai nella scuola. E sa perch? p er la ragione che io sono cos malatino e sbiancato di pelle, mi mise il soprannome di... E poich si vedeva bene che Carlino ci pativa a ripetere il suo soprannome, il Dot tore lo interruppe subito, dicendogli: Non m'importa di saperlo: anzi, non lo voglio sapere. Gi... riprese il ragazzetto diventando sempre pi malinconico glielo posso anche di re: a ogni modo sono quasi due anni che Giannettino mi chiama cos... e oramai ci comincio a far l'orecchio. Insomma, visto che sono pallido e sbiancato, mi chiam a... Ricotta! Ora lo domando a lei seguitava a dire Carlino quasi piangendo e co n un fil di voce che si sentiva appena che colpa ho io, se sono sbiancato e se h o poca salute? Lo faccio forse per divertimento? Crede Giannettino che io ci pro vi gusto a tossire tutti i giorni e a sentire il medico che dice sempre alla mam ma: Questo ragazzo ha bisogno di molti riguardi, se no... questo ragazzo bisogna cu stodirlo, se no... questo ragazzo bisognerebbe tenerlo nel cotone, se no.... Crede che io non lo capisca quel se no? Quel se no, vuol dire: se no alla prima rinfres cata quel ragazzo se ne va in Paradiso!.... Eppure, vede, signor Dottore, non dic o che quel soprannome di... Ricotta sia una parolaccia che offenda...; ma tutte le volte che me lo sento dire, mi rammenta che sono malato, e questa cosa mi met te addosso un malumore... e alle volte mi piglia una serratura qui... e si tocc l a gola che mi pare proprio di morire. Se sapesse per questo nomaccio di Ricotta quanti pianti ho fatto!... E Carlino, senza avvedersene, piangeva, e le lacrime gli cascavano gi per le gote , grosse come perle. Che Giannettino grid il Dottore indignatissimo fosse un grande sguaiato, lo sapev o da un pezzo; ma, confesso la verit, non avrei mai e poi mai creduto che fosse p er giunta anche cos cattivo di cuore! Cattivo di cuore, no!... disse Carlino con la vivacit affettuosa dell'amico che v uol difendere l'amico. Sissignore! Cattivo di cuore ripet il dottor Boccadoro perch il canzonare la gente e il metterla in berlina con versacci o soprannomi ridicoli, sta sempre male, a nzi malissimo; ma la cosa poi di mortificare le persone infelici e di mortificar le in quelle malattie e in quei difetti fisici, nei quali non hanno nessuna colp a, non solo una crudelt, ma mi pare una vera vigliaccheria! Oh se Giannettino mi capita davanti!... No disse Carlino mi faccia il piacere: non stia a sgridarlo; tanto pi che ieri, e bbe una lezione da ricordarsene per un pezzo. Quel che fatto reso Davvero? e questa lezione quale fu? Bisogna sapere che batti oggi, picchia domani, tutti i ragazzi di scuola cominci avano a essere stufi di sentirsi offendere e canzonare da Giannettino. Allora ch e cosa fecero? Ordirono fra loro una congiura, per trovare un soprannome anche a Giannettino. E poich aveva quel ciuffo di capelli rossi sulla testa, fissarono, tutti d'accordo, di chiamarlo Capirosso. Detto fatto, ieri appena uscirono dalla scuola, gli fecero ruota intorno e cominciarono a gridare: Eccolo Capirosso! Ev viva Capirosso! Fuori Capirosso! e con la bocca e col fischio rifacevano il vers o che fanno i capirossi quando sono in gabbia. Si figuri Giannettino! Con la bil e che gli schizzava dagli occhi, si prov a rivoltarsi...; ma lui era solo, e gli altri erano tanti: perci, quando s'accorse che a pigliarli con le cattive ci avre bbe rimesso, si avvicin ai caporioni che urlavano pi forte e disse: Perch mi chiamate Capirosso? E' un soprannome gli risposero. Ma perch per l'appunto Capirosso? Bella forza! per via di quel ciuffaccio di capelli rossi che porti sulla testa. E non vi vergognate? soggiunse Giannettino con la voce che gli tremava dalla sti zza. E non vi vergognate a canzonare in questo modo un vostro compagno di scuola ?

Senti! senti! da che pulpito viene la predica! urlarono i ragazzi. Non sei stato tu la prima pietra dello scandalo dei soprannomi? Caro mio, gli disse Minuzzolo, che era uno di quelli che vociavano pi forte ramme ntati che quel che fatto reso. Lo dice anche il proverbio. Animo, via... soggiunse Giannettino tutto mortificato io vi faccio un patto. Se non mi date pi quel soprannome stupido, che proprio non mi sta... Altro se ti sta! grid Minuzzolo. Insomma... se non mi date pi quel soprannome citrullo, io vi prometto, da oggi in poi, di chiamarvi sempre col vostro nome. Accettate? Accettiamo! E li, tutti d'amore e d'accordo, si scambiarono una stretta di mano: e rifatta l a pace, se ne andarono a casa, ognuno per la sua strada. Ma Giannettino rimase cos scottato da quel soprannome, che corse difilato dal par rucchiere e si fece tagliare i capelli fino alla pelle. Le bugie Dunque avevo colto nel segno! disse il Dottore a Giannettino, incontrandolo poch e ore dopo su per le scale. Sarebbe a dire? rispose il ragazzo, facendo il nesci. Sarebbe a dire che la tua abbronzatura di capelli non era altro che una bugia. Nossignore, che non era una bugia. Chetati! Certe storielle le devi dare ad intendere ai capirossi, e non a me. A questa parola di capirossi, Giannettino s'accorse subito che il Dottore aveva saputo ogni cosa, e visto oramai il caso perso, borbott a mezza voce: Non sar poi una gran bugia! Non ci sono bugie grandi e piccole replic il Dottore riscaldandosi tutte le bugie sono a un modo, tutte avviliscono l'uomo e lo rendono spregevole. Ricordati del detto: Chi bugiardo ladro e sai che cosa vuol dire? vuol dire che i bugiardi poss ono essere capaci d'ogni cattiva azione; anche di rubare. Io perdono nei ragazzi molti e molti difetti, non fosse altro a motivo dell'et; ma coi bugiardi sar semp re senza misericordia! E volt le spalle per andarsene; ma fatti due passi appena, torn indietro e disse: Non ci sono, ripeto, bugie innocenti, ma ci sono invece bugie pietose, e di ques te ne dico spesso anch'io... Ah, vede? S, vedo rispose il Dottore con un certo risolino ironico vedo che non sfondi molt o col cervello. Un altro capirebbe subito che specie di bugie io sono spesso cos tretto a dire. Supponi che un infermo, irremissibilmente condannato, mi domandi: Crede, dottore, che guarir? Come posso aver io il coraggio di dirgli la cruda veri t? Dico invece una bugia con la certezza che se non verr registrata nel gran libro dei meriti, non verr registrata nemmeno in quello delle colpe. 10 UN'ALTRA DI GIANNETTINO Ma tutte le prediche del dottor Boccadoro e gli esempi da lui portati non avevan o corretto Giannettino della brutta e colpevole abitudine di dire le bugie, n del la sua sciocca vanit. Difatti nemmeno un mese dopo, per la solita smania di fare lo spocchioso, ossia la figura del gran signore coi compagni di scuola, prese di nascosto l'orologio d'oro di suo padre (che in quel giorno era in campagna) e appena fu gi nella stra da, s'infil la catena nell'occhiello del gil, e via. E mentre se ne andava a scuola, faceva ogni venti passi una fermatina, e mettend o in fuori il petto e dandosi un'occhiata compiaciuta, diceva: Che bel signore so no! E come mi guardano tutti! Arrivato intanto in fondo alla strada, Giannettino vide una gran folla di gente; e credendo che fosse accaduta qualche disgrazia, domand a un ragazzetto che vend eva i fiammiferi: Che c' stato? C' un omino che fa vedere una gallina con tre gambe rispose il fiammiferaio. O che vi sono le galline con tre gambe? gli chiese Giannettino meravigliato.

Sicuro che ci sono: un filomeno! rispose il ragazzo, il quale probabilmente inte ndeva dire fenomeno. Giannettino non pot trattenersi. Si cacci subito a capo basso in mezzo alla gente, e a furia di spintoni, riusc a spingersi avanti e a mettersi in prima fila. La gallina con tre gambe E quando fu l, pot vedere con tutto il suo comodo la gallina fenomeno, e sentir l' omino che diceva alla folla dei suoi ammiratori: Guardino, signori: ecco qui un animale gallinaceo, che nato davvero con tre gamb e. Qui non ci sono imposture. Tocchino, o signori, questa terza gamba, e sentira nno che calda come le altre due! Uno spettatore, allungando subito la mano, prese la terza gamba della gallina co n tanta poca grazia, che la gamba... crac... si stacc di netto e venne via. Allora tutti si accorsero della burla: si accorsero, cio che quella gamba era una gamba posticcia, attaccata con un po' di mastice. Vi lascio immaginare gli urli, i fischi e il parapiglia di tutta quella gente in dispettita. Appena Giannettino si trov fuori della calca, la prima cosa che fece fu quella di portarsi la mano al taschino del gil. Il gil e il taschino c'erano sempre, ma l'orologio... L'orologio non c'era pi. Probabilmente qualche ladruncolo, che aveva bisogno di sapere con precisione che ora fosse, gliel'aveva portato via. Giannettino bugiardo La mattina seguente Giannettino fu chiamato in camera da suo padre, il quale gli domand: Sei stato tu che hai preso il mio orologio? Io? neanche per sogno! E il ragazzo disse questa bugia con lo stesso tono naturale e ingenuo di chi dice la verit. Allora il babbo di Giannettino chiam in camera Ireneo, il servitore di casa. Ireneo era un contadinello venuto gi dai monti della Falterona onesto, pieno di b uonissima volont, insomma un'eccellente pasta di figliuolo; ma un bietolone, di q uelli proprio fatti e messi l. Aveva dei suoi padroni una soggezione da non poterselo figurare; tant' vero, che quando gli comandavano qualche cosa, non sapeva dir altro che: Gnor s, e Gnor no. Ireneo! gli disse il babbo di Giannettino, con una voce e un cipiglio da far pau ra fra poco un anno che voi siete al mio servizio, e finora non ho avuto da dir nulla sul conto vostro. Ma oggi avviene un fatto grave: il mio orologio d'oro co n la catena, che lasciai ieri mattina sul cassettone, non si trova pi! Chi l'ha p reso? Ho interrogato Giannettino, e Giannettino mi ha risposto di non averlo nem meno veduto... Dunque?... Il povero Ireneo, durante questo discorso, cambi tre volte di colore: prima diven t rosso, poi bianco, e da ultimo color della morte. Voleva dire mille e mille cose a propria discolpa, ma il pover uomo, balbuziente e timido com'era, dopo aver boccheggiato cinque minuti, come un pesce fuor d'acqu a, non seppe dir altro: Io no!... io no! Badate, Ireneo, riprese il babbo di Giannettino, rannuvolandosi sempre pi badate bene che in questa casa, a quel che pare, ci dev'essere un ladro: e che io dovre i farvi interrogare dal maresciallo dei carabinieri. No, per carit... signor padrone... non lo faccia!... abbia compassione di me... cominci a gridare il servitore, buttandosi in ginocchio e piangendo e gesticolan do come un matto. Dunque... siete voi che avete preso l'orologio? No... no... glielo giuro per la Madonnina santa, che ho portato sempre al collo. Lo creda... io sono innocente come l'acqua; e se non dico la verit, che il Signo re benedetto non mi faccia pi rivedere la mia povera mamma!... Il babbo di Giannettino, sia che questi urli di disperazione gli ribadissero nel l'animo il sospetto, o altro, fatto sta che licenzi l su due piedi quel disgraziat o d'Ireneo, con ordine di far subito fagotto e di andarsene di casa.

E Ireneo se ne and: mentre scendeva le scale, barcollava e vacillava come una per sona presa dal capogiro. A vederlo in quello stato, Giannettino sent un po' di pena; ma poi si consol pensa ndo: E un buon figliuolo, e pu trovare un servizio anche meglio del nostro. Alle dieci di notte, quando Cecchina (che era la serva di casa) and a chiudere la porta di strada, le parve di vedere qualche cosa di scuro, una specie d'ombra n era, accoccolata sugli scalini. Abbass per curiosit il lume... Era quel povero diavolo d'Ireneo, che non aveva pot uto allontanarsi dalla casa dei suoi padroni, e che, seduto per terra con le spa lle al muro, singhiozzava e piangeva sempre come una vite tagliata. Pass una settimana, ne passarono due, ne passarono tre, quand'ecco un giorno, men tre Giannettino e la sua mamma erano a tavola, capit il medico di casa. Il quale, dopo aver parlato del pi e del meno, disse di punto in bianco alla sign ora Sofia: Sa chi malato gravemente all'ospedale? Chi? Quel buon diavolaccio d'Ireneo, che stato qui al loro servizio. A queste parole, Giannettino che aveva la forchetta in mano, a mezz'aria, divent bianco come un panno lavato. Povero Ireneo!... disse la signora Sofia Che male ha? Una infiammazione al cervello rispose il medico. Stamani, durante il delirio, non ha fatto altro che balbettare fra i denti: Io so no un galantuomo! l'orologio non l'ho preso io... Rendetemi giustizia, se no... non voglio morire.... E nel dir cos il pover uomo rimasto l che pareva quasi morto! Allora si sent nella stanza un piccolo colpo. Era Giannettino, che cadendo indietro mezzo svenuto, aveva battuto il capo nella spalliera della seggiola. Si riebbe quasi subito, ma rimase mogio e pensieroso, finch, confessata ogni cosa al babbo, questi lo sgrid severamente della bugia, e riprese in casa il povero I reneo. 11 GIANNETTINO A SCUOLA Giannettino, in quanto al comportamento, faceva ogni giorno qualche passo in meg lio. Ma in quanto a voglia di studiare... A chi gli parlava del gran bisogno che aveva di mettersi a studiare con impegno, egli rispondeva sempre come rispondono tutti i ragazzi svogliati: Studier!... non c' furia! comincer domani... E, neanche a farlo apposta, quel benedetto domani non arrivava mai. Perci una mattina il maestro fece alzare Giannettino e, porgendogli un libro e in dicandogli una pagina, gli disse: Leggi tu questa breve poesia e voialtri aggiunse rivolto a tutta la classe state attenti, perch vi dar da fare un componimentino, forse una letterina sullo stesso argomento. E Giannettino lesse, soddisfatto della preferenza che il maestro gli dava scegli endo lui fra tanti. Il signor Domani Un fanciullo, sdraiato mollemente su morbidi cuscini, rumina gran progetti nella mente e sogna alti destini. Dovrebbe, ver, studiare un po' di storia. La studier domani. E pensa invece a un avvenir di gloria, ricchezze a piene mani. Dovrebbe scriver oggi una novella. Domani posso farla.

Or gli sorride una visione bella. Non vuole disturbarla! Ha pure da imparare una poesia. La imparer domani. Cos sempre domani ripetendo, nulla egli mai far, l'avvenire sognato andr svanendo e triste invecchier (Dal Canzoniere dei fanciulli) Ti piacciono questi versi? domand il maestro a Giannettino appena questi ebbe fin ito di leggere. Poco! rispose il ragazzo confuso. Lo credo. Lo so perch li ha fatti leggere a me e perch mi fa questa domanda; ma da oggi in p oi voglio seguire il consiglio che dice: Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Speriamo! esclam sorridendo il maestro. Una figura meschina Ora disse il maestro un giorno interrogher il nostro Giannettino. A quest'accenno, tutti i nasi e tutti gli occhi della scuola si voltarono, con u n movimento di vivissima curiosit, verso Giannettino. Hai ripassato la Geografia? gli domand il maestro. Sissignore! rispose Giannettino restando seduto. Dunque, alzati in piedi e rispondi: che cosa c'insegna la Geografia? La Geografia c'insegna... c'insegna... E siccome non sapeva che cosa dire, Giannettino si port la mano in capo per darsi la solita grattatina; ma poi, sembrandogli vedere il fantasma del dottor Boccad oro, che venisse a muso duro a chiedergli qualche altra marionetta, riabbass subi to la mano, e riprese a dire: La Geografia ... ... Ho capito tutto... interruppe il maestro, il quale aveva capito benissimo che Gi annettino di Geografia non ne sapeva un'acca. Passeremo piuttosto a un altro tem a. Conosci i primi elementi di Cosmografia? Sissignore. Meno male. Qual la figura della Terra? La terra... tonda! Tonda?... domand il maestro, con un punto interrogativo molto strascicato. Credi proprio che la figura della Terra sia perfettamente tonda? Io non lo so! Non lo sai, ma dovresti saperlo. O che l'ho fatta io la Terra? replic il ragazzo, con una spallata. A questa sciocchissima risposta, da tutte le panche della classe scoppi una risat ona cos lunga e cos rumorosa, che fece voltare in su tutta la gente che passava in quel momento per la strada. Figuratevi il viso rosso e la gran confusione di Giannettino! La prima idea che gli balen alla mente, fu quella di prendere il suo cappello e d i scappare dalla scuola come un gatto frustato. Ma poi non lo fece, forse per la paura di sentirsi accompagnare fino all'uscio d i casa da una solennissima fischiata. Dentro di s Avvilito, con la testa fra le mani e coi gomiti appoggiati sul banco, diceva di s, consumandosi dalla bizza e dalla vergogna: Che cosa pagherei per potermi riscattare!... Che bella cosa, se domani potessi v enir qui, e far vedere a questi sguaiati che io ne so pi di loro! Sarebbe una gra n bella soddisfazione; ma come posso fare a pigliarmela? E qui metteva una lunga pausa e un grosso sospiro. Poi seguitava a dire: Per cavarsi di queste voglie, lo so... bisognerebbe avere studiato... e io ho st udiato... poco; anzi nulla; e allora a che serve limarsi lo stomaco e star qui a

fare dei castelli in aria? A questo punto fu preso da una specie di singhiozzo convulso, che gli serrava la gola. Anche la mamma... me l'ha detto tante volte... Studia, Giannettino; se no, verr un giorno che te ne pentirai!... e oggi purtroppo me ne sono pentito! Ma oramai tar di!... E dire che una cinquantina di ragazzacci hanno avuto il diritto di canzon armi, e di ridermi sulla faccia... E non poter rispondere!... non poter dir null a!... non potersi riscattare!... Sono cose da picchiare la testa nel muro!... E mentre rimuginava, l'una dietro l'altra, tutte queste cose, gli cascavano dagl i occhi certi lucciconi larghi come monete d'argento di cinque lire. Finita la scuola, il maestro chiam Giannettino presso di s, e per rinfrancarlo e f argli un po' di coraggio, gli disse: Su, su: non bisogna sgomentarsi subito. Quest'altra volta ti farai pi onore. Tutto sta bene rispose il ragazzo, piangendo e singhiozzando ma... siamo giusti, quella risataccia sul viso non me la meritavo!... A mortificare un povero ragaz zo... come me... mi pare che ci sia poca carit. Io so che agli altri non sarei capace d i farlo! Oramai quello che stato stato, e non bisogna pensarvi pi. Si fa presto a dirlo!... Forse sar perch oggi non mi sento bene: ma lo creda, sign or maestro, quella risata mi ha fatto proprio male qui... dalla parte del cuore. Oh! se potessi riscattarmi... Quanto mi dispiace in te questo persistente desiderio di vendetta! esclam il maes tro. Sta bene che ti sia rincresciuta la risata dei tuoi compagni, ma pi di quell a ti deve dispiacere il pensiero di avere, in certo modo, addolorato me, che t'i nsegno con tanto amore e che vedrei tanto volentieri un maggior profitto nei tuo i studi! Del resto, la maniera per riscattarsi c' disse il maestro ed una maniera bella e decorosa. E sarebbe? Quella di mettersi a studiare e di diventare il primo della classe. Giannettino ci pens un poco, poi disse: Mi ci voglio provare. E, asciugatisi gli occhi e salutato rispettosamente il maestro, usc dalla scuola. Ma quando si trov in mezzo alla strada, cominci a fare tre passi avanti e due indi etro. Smarrito e confuso gironzolava in qua e l, e non sapeva risolversi a tornar e a casa. Gli ronzava sempre negli orecchi quella maledettissima risata: e quanti ragazzi incontrava per la via, gli pareva che tutti lo guardassero e gli ridessero sul v iso. Arrivato nella sua strada, vide da lontano sulla facciata di casa sua, e proprio accanto alla porta, una gran macchia scura, che aveva tutto l'aspetto di una en orme testa di cavallo, disegnata col carbone. A mano a mano che Giannettino, un passo dietro l'altro, si avvicinava sempre di pi, quella testa di cavallo cresceva, cresceva, cresceva... e insieme con la test a, disgraziatamente, crescevano anche gli orecchi. E gli orecchi a furia di crescere, crebbero finalmente tanto, che quando Giannet tino si trov alla distanza di pochi passi, dovette persuadersi che quella testa d i cavallo non era una testa di cavallo, ma una bellissima testa di somaro. Dentro la testa e lungo la testa vi era scritto con diversi caratteri: Giannettin o! Giannettino! Giannettino! E tutte queste cose accadevano un sabato sera. Giannettino si vendica La mattina del luned, appena Giannettino entr nella scuola, tutti i ragazzi cominc iarono a guardarlo di sottecchi e a sghignazzar tra loro, compreso, naturalmente , quel frugolo di Minuzzolo, meno Carlino, il quale ripeteva sempre: La miglior v endetta il perdono. Giannettino non se ne dette per inteso. Tranquillo, composto, attento, non perse una sola parola di tutta la lezione: e quando il maestro, rivoltosi a lui, gli accenn di volerlo interrogare, si alz subi

to in piedi senza bisogno di farsi tirare per il vestito. Allora il maestro gli chiese: Quali sono i punti cardinali? Il Sole, con il suo viaggio apparente, indica quattro punti, che sono: Levante, Ponente, Mezzogiorno e Tramontana. Ti ricordi che tra i quattro punti cardinali se ne segnano altri quattro seconda ri intermedi? S, signore. E Giannettino, sempre sicuro, rispose esattamente a tutte le interrogazioni del maestro. In particolare si fece molto onore parlando della bussola, dicendo qual i vantaggi aveva portato quello strumento all'arte della navigazione e che Crist oforo Colombo fu il primo a servirsene nell'esplorazione dell'immenso e sconosci uto Oceano. Giannettino, nipote di un vecchio capitano di mare, queste cose le sapeva a mena dito, cosicch quel giorno si fece molto onore nella scuola, non senza stizza dei pi chiassosi fra i suoi compagni; i quali, nella certezza che Giannettino avrebbe fatto una figuraccia pi solenne di quella del sabato, avevano gi immaginato un'al tra burla. Una lezione di geografia astronomica Il capitano Ferrante, informato dello smacco del nipote e poi della sua riabilit azione, disse a Giannettino in presenza della sorella, la signora Sofia, e del d ottor Boccadoro: Ti ho portato una piccola rivista, nella quale un raccontino allegro che ti far r idere, ora che ti sei vendicato dignitosamente della canzonatura dei tuoi compag ni. E Giannettino lesse: Il maestro aveva messo tutto il suo impegno, adoperata tutta la sua abilit didatti ca per dare agli alunni un'idea abbastanza chiara del movimento della Terra nell o spazio, del moto apparente del Sole, delle eclissi e via dicendo; e appena ebb e terminata la spiegazione, domand al Cipolletti, che era stato sempre attento: Hai capito le mie spiegazioni? Sissignore rispose pronto il Cipolletti alzandosi. Allora sentiamo: Quando si ha l'eclissi di Sole? Quando si mette una noce fra un lume e un'arancia. Ma rispondi meglio. Io mi sono servito di una noce per rappresentare la Luna, di un lume per rappresentare il Sole e di un'arancia per rappresentare la Terra... Dunque devi dire: Quando la Luna... ...si mette fra il Sole e la Terra. Non dire si mette, ma si trova... Ripeti: Perch avvenga l'eclissi di Sole, necess ario... ...avere un pezzo di vetro affumicato. Ma una cosa terribile! esclam il maestro disperato. Sissignore approv il fanciullo sicuro del fatto suo. Ma che vuoi dire? I selvaggi dell'America ebbero una paura terribile dell'eclisse preparata da Cri stoforo Colombo. Basta! Mettiti a sedere. Il Cipolletti ubbid, contento di se stesso, e sicuro che il maestro gli avrebbe se gnato un buon punto, perch aveva risposto sempre. Il maestro, invece, stette alquanto in silenzio, tenendosi la testa fra le mani; dopo un poco la sollev, e si rivolse con rinnovata speranza ad un altro alunno: Alzati, Piselli. Il Piselli si alz senza esitazione, perch anche lui era stato attento. Quando il Sole si leva al mattino, come diciamo comunemente, proprio il Sole che avanza verso ponente, oppure... Siamo noi che ci avanziamo sulle vetture della strada ferrata rispose pronto il Piselli. Ma no, ma no, santo Dio! Per darvi un'idea del moto apparente del Sole, ho porta to ad esempio l'illusione che si prova quando viaggiamo in treno, poich a noi par

e di star fermi, mentre vediamo alberi, pali, case fuggire nella direzione oppos ta. A proposito poi della rotondila della Terra, io vi ho parlato di Cristoforo Colombo. Sissignore. Cristoforo Colombo and in America passando da un'altra strada. S; per un'altra strada: anzi, per una strada opposta voleva arrivare alle Indie, che sono in Asia... ...e invece le trov in America. Ma c' da diventar pazzi! esclam il maestro scoraggiato. Sissignore. Dissero che era pazzo; ma lui cerc di persuaderli; e per persuaderli prese un uovo e lo schiacci sopra un tavolino; ma si persuase solamente la regina , che allora gli dette tre manovelle... Ma che manovelle? url il maestro che non riusciva a frenare quella foga di stramp alerie. Caravelle se mai. Sissignore: caramelle... avevo sbagliato... che si chiamavano... Non ne posso pi! grid il maestro alzandosi e comprimendosi il capo. Si sente male? domandarono con affettuosa premura il Piselli ed altri. S, mi sento male a udire tanti spropositi. Il Piselli guard meravigliato prima il maestro, poi i suoi compagni, ed allora inc ontr lo sguardo trionfante del Cipolletti che, poco generoso, godeva della cattiv a figura fatta dal compagno. Si possono immaginare le matte risate che fecero tutti i presenti a quella lettura, ma quelle del capitan Ferrante facevano tremare la casa. 12 CIUFFETTINO-BLU E BECCOTORTO Giannettino, dando retta al consiglio del maestro, seguit a studiare con impegno, e a farsi molto onore nella scuola e fuori della scuola. Si dette da se stesso il compito di tutti i giorni: divise le ore dello studio d a quelle dello svago; e di tanti balocchi e di perditempi inutili, nei quali una volta era solito sciupare le giornate e le serate intere, se ne conserv uno solo : quello cio, di dare il sabato di ogni settimana un'ora di lezione di lingua ita liana ai suoi pappagalli. Questi pappagalli, come gi sapete, erano due. Il pi grosso si chiamava Ciuffettino-blu, a motivo di un pennacchietto di belliss ime penne turchine, che gli stava ritto in mezzo alla testa. L'altro pappagallo aveva nome Beccotorto, perch, fosse disgrazia o scherzo di nat ura, fatto sta che il suo becco, piuttosto lungo, appena arrivato a mezza strada , si ripiegava tutto da una parte. Fra questi due graziosi animali passava una certa differenza d'et. Il pi piccolo, ossia Beccotorto, era stato portato in Europa quasi bambino. Impossibile dire con esattezza quanti anni e quanti mesi avesse; ma giudicandolo dall'appetito che lo tormentava in tutte le ore del giorno, e dalla sua ripugna nza invincibile per la grammatica italiana, si capiva benissimo che era un pappa gallo ragazzo e che, a dargli molto, poteva aver su per gi gli anni di Giannettin o. Ciuffettino-blu, invece, non mostrava di essere giovane; ma nemmeno vecchio. Era, come suol dirsi, un pappagallo d'una certa et. In due anni di lezione, Beccotorto aveva imparato a dire forse un centinaio di p arole, cio: buon giorno, buona sera, mamma, babbo, caff, chi ha rotto il bicchiere ?, e altre simili. Insomma l'italiano lo masticava poco e male: in compenso lo i ntendeva benissimo. Viceversa Ciuffettino-blu aveva fatto nella lingua italiana passi da gigante: ta nt' vero che Giannettino si era impensierito, e gli era venuto il sospetto che lo scolaro ne sapesse un pochino pi del maestro. Intendiamoci bene, ragazzi: la storia di questi due pappagalli io ve la racconto come l'hanno raccontata a me; ma invece di una storia, ho una gran paura che da lla prima all'ultima parola debba essere tutta una favola.

Come sei brutto! Il fatto sta, che ho sentito raccontare che ogni volta che Giannettino andava su lle furie (cosa che gli accadeva spesso a causa del suo carattere stizzoso e pre potente), Ciuffettino-blu, il quale aveva la piega del filosofo e del moralista, gli gridava subito dall'alto della sua gruccia di ottone: Come sei brutto! E gli diceva la verit. Perch Giannettino, che aveva tutte le ragioni di passare per un bel ragazzo, ogni volta che si lasciava prendere dalla bizza, diventava un vero spauracchio, come avviene ai ragazzi rabbiosi. I suoi occhi gonfiavano e si macchiavano di sangue; le gote gli pigliavano fuoco , e i capelli, arruffati e scompigliati in gran disordine, parevano una scopa, s batacchiata screanzatamente contro il muro. Accadde una volta che la mamma di Minuzzolo, parlando con la signora Sofia di ra gazzi sbadati e fracassatori di roba, raccont come uno dei suoi figliuoli, avesse mandato in pezzi un bellissimo specchio antico. Ci vuol pazienza! disse la signora Sofia tutti i ragazzi sono a un modo. Adagio a dir tutti! replic Giannettino, rizzando la cresta, come un galletto io, per esempio, posso avere tutti i difetti di questo mondo; ma non ricordo di aver rotto nemmeno un bicchierino da rosolio. E dicendo cos, fece sul calcagno sinistro una giravolta tanto sguaiata, che urtan do contro la tavola, gett per terra un magnifico vaso di porcellana del Giappone. E Ciuffettino-blu, rallegrandosi e dondolandosi a capo alPingi, attaccato coi pie di alla catena, cominci a schiamazzare: Cra! cra! cra! Chi si loda, s'imbroda. Volendo dire con questo, che non sta bene ai ragazzi di millantarsi e di credere d'essere migliori degli altri, almeno pe r rispetto a quel proverbio che dice: Chi ritto, pu sempre cascare. La golosit Giannettino era molto ingordo: e quando s'imbatteva in qualche pietanza di suo g usto o in qualche piatto di frutta o di dolci che gli piacesse davvero, tirava v ia senza regola n discrezione. Un giorno, avendo trovato in casa un paniere di fichi, vi si butt sopra con l'avi dit di un affamato che da ventiquattr'ore non abbia visto grazia di Dio. Ciuffettino-blu stette un po' a guardarlo; ma poi prese a fargli il solito verso e gli disse: Cra! cra! cra! Chi troppo mangia, scoppia! Crepi l'astrologo! rispose il ragazzo senza nemmeno voltarsi; e seguitando a man giar fichi, non fu contento finch non ebbe veduto il fondo del paniere. Giannettino non scoppi, ma ci manc poco; perch una colica violenta lo condusse quas i al lumicino: e fra gli spasimi e i morsi atroci dello stomaco gridava piangend o: Ohi! ohi! ohi!... Ciuffettino-blu aveva ragione! Buon per me, se gli avessi dato retta!... Ohi! ohi! ohi! La superbia Una sera a Giannettino, trovandosi in campagna con la sua famiglia, venne l'estr o di andare a far visita ad un compagno di scuola, che villeggiava in quei press i, alla distanza forse di un chilometro e mezzo. Il sole cominciava a calare: Giannettino, senza stare a dir nulla in casa, si mi se la strada fra le gambe, e via. Giunto dinanzi a una pineta, ossia a una boscaglia di pini, s'imbatt in un povero ragazzetto, che era garzone di un taglialegna; il quale, dopo averlo salutato g arbatamente per nome, gli domand: Scusi, signor Giannettino, che va alla Casina Verde? Per l'appunto. Vuole che l'accompagni? comincia a farsi buio, e mi dispiacerebbe che si dovesse sperdere in mezzo alla pineta. Io sperdermi? replic Giannettino in modo superbo e insolente povero grullo! ma pe r chi mi hai preso? La strada, per tua regola, posso insegnarla a te!

Scusi tanto!... disse il ragazzetto mortificato. Io non ho bisogno di tante scuse: vattene per i fatti tuoi, e basta cos! Ci detto, entr nella pineta e prese il primo viottolo battuto che gli capit davanti . Intanto si fece notte: e Giannettino, cammina, cammina, fin con lo sperdersi. Allora il cuore cominci a battergli fitto fitto, e pens di tornare indietro. Impaurito e trafelato, col sudore che gli colava gi per il viso e col fiato gross o, girava smarrito per la pineta, battendo gli stinchi in tutti i tronchi d'albe ro, incespicando e bucandosi le gambe in tutte le siepi e in tutti i roveti. Ma non sentiva nulla. La paura, in lui, era pi forte d'ogni dolore. Quand'ecco, a un tratto, sent dietro di s un fruscio di foglie e un piccolo rumore di passi: Questo il lupo! disse spaventato; e il respiro gli rimase a mezzo, e le mani gli diventarono fredde, di marmo. Per buona fortuna, guardando indietro con la coda dell'occhio, gli parve di vede re, invece del lupo, qualche cosa che somigliava a una figura umana. Era appunto quello stesso ragazzo, che un'ora fa si era offerto di insegnargli l a strada. Oh amico mio! giusto te! Fammi il piacere di condurmi fuori da questa pineta. O che lei ha bisogno di me? rispose il ragazzo sostenuto. Io me ne vado per la m ia strada, e lei se ne vada per la sua. No, non mi dir cos!... Hai ragione, lo capisco... Poco fa ti ho risposto male... ti ho risposto da quel superbiaccio che sono; ma ora mi dispiace... e ti chiedo scusa. Se mi lasci qui, domani mi troveranno morto e mangiato dai lupi. Il ragazzo, che in fondo era una buona pasta di figliuolo, quando senti Giannett ino chiedergli scusa, dimentic ogni cosa: e offertogli il suo braccio, lo ricondu sse, per una scorciatoia, fino alla porta della villa. Ma Ciuffettino-blu, che in un batter d'occhio aveva saputa tutta la scena da un usignolo che abitava nella pineta, appena vide Giannettino entrare in sala, fece sulla gruccia d'ottone tre o quattro capriole e poi cominci a urlare: Cra! cra! cra! La superbia va fuori in carrozza e ritorna a piedi. E cos voleva far capire a Giannettino che in questo mondo non bisogna fare mai i superbi n i disprezzanti, perch da un momento all'altro si pu aver bisogno di tutti , anche di quelli che non parrebbero buoni a nulla. 18 LA SFIDA FRA DUE SCOLARI La scuola, da un pezzo in qua, gli stava moltissimo a cuore, e gli stava a cuore in particolare quella mattina, perch sotto gli occhi del maestro si doveva comba ttere una specie di battaglia campale fra i due migliori alunni. Uno di questi si chiamava Giulio Cesare, e l'altro Maurizio. E poich tanto l'uno quanto l'altro, nel corso dell'ultimo bimestre, avevano otten uto i medesimi punti di merito, cos in quel giorno il maestro aveva pensato di fa re un ultimo esame, per decidere quale dei due valenti campioni dovesse avere il primo posto fra tutta la scolaresca. Giulio Cesare aveva ingegno e studiava molto: ma, poich era scontroso e superbo, e anche un tantino invidioso del merito e della capacit altrui, i compagni di scu ola lo curavano poco e non lo avevano nelle loro buone grazie. Le simpatie della scolaresca, bisogna dirlo per la verit, erano tutte per Maurizi o, giovinetto studioso e intelligente, sempre il primo fra i primi, ma senza bor ia, senz'ombra di presunzione. La prova Il silenzio nella scuola era grandissimo: si sarebbe sentito volare una mosca. Com' la superficie della Terra? domand il maestro. La Terra stata paragonata a una grandissima palla; ma non ha la superficie cos pi ana e liscia come quella di una palla. La Terra, invece, sparsa qua e l di pianur e, di prominenze e di cavit, le quali formano le montagne, le colline, le valli. E, continuando, il maestro domand tante cose: dell'ossatura delle montagne, delle miniere che racchiudono, quindi del mare, e via dicendo.

Finalmente parl dell'acqua e dei tre diversi stati in cui si trova. E a proposito dell'acqua disse: Ascolta: un vaso di terracotta era completamente pieno di acqua e chiuso con una certa forza. Fu lasciato sul davanzale della finestra durante una freddissima n otte d'inverno. Che cosa avvenne? La mattina dopo il vaso fu trovato rotto. Sfido io! Sar crepato dal freddo, il poveretto! esclam Minuzzolo, facendo ridere i compagni a lui vicini. Ed il maestro, a cui quella celia non era sfuggita: Non fare lo spiritoso... La ragione ce la dir Maurizio. E questi subito: L'acqua, diventando solida per il freddo, si restringe e diminuisce di volume fi no alla temperatura di 4 gradi sopra lo zero; ma da questo punto, proseguendo il raffreddamento, comincia a dilatarsi; e siccome, di conseguenza, ha bisogno di uno spazio maggiore, fa forza, e spezza le pareti dei vasi, nei quali rinchiusa, se le manca lo spazio necessario per dilatarsi. Ecco, dunque, perch aggiunse il maestro d'inverno, alle volte, si spezzano i cond otti delle fontane; e le piante muoiono per il freddo eccessivo. L'acqua che cir cola nelle piante, gelando, ne lacera i tessuti, e la loro vita finisce. Si accenn, poi, sempre a proposito dell'acqua, alla sua trasformazione in vapore ed agli effetti che questo produce, cio alla nebbia, alle nubi, alla pioggia, all a neve, alla rugiada e alla brina. Si continu a parlar del ghiaccio, e si fece cenno alle solitudini gelate dei paes i pi settentrionali del polo artico. Giulio Cesare ne fa una delle sue Quando l'esame fu finito, il maestro si raccolse per pochi minuti; quindi disse: Dall'esame fatto quest'oggi, risulterebbe che lo scolaro pi bravo di tutti Giulio Cesare; e il primo posto nella scuola toccherebbe a lui. Ma visto e considerato che il maestro, nell'atto di conferire un premio, deve te ner conto non solo del grado di istruzione, ma anche del grado di educazione mor ale e civile raggiunto dai suoi alunni nel corso dell'anno, cos io giudico che il primo posto debba essere conferito a Maurizio. Data questa sentenza, tutti gli scolari cominciarono a gridar bravo e a battere ru morosamente le mani e i piedi. Ma il maestro li richiam severamente al silenzio e, adocchiati i caporioni del ch iasso, fece loro una bella lavata di capo, perch imparassero e tenessero a mente che la scuola non una piazza pubblica da schiamazzi e da dimostrazioni, ma bens u n luogo dedicato allo studio e alla disciplina. Dopo la scuola, Giulio Cesare, col viso verde come un ramarro, aspett Maurizio in mezzo alla strada; e andandogli incontro, tanto per sfogarsi, gli disse un sacc o di parolacce. Maurizio da principio prese la cosa in celia e prov a fare intendere la ragione a l suo inferocito rivale. Ma l'altro, invece di rabbonirsi, rincarava la dose; cosicch Maurizio, scappatagl i alla fine la pazienza, gli disse: Buon per te, che siamo qui, in mezzo a una strada popolata di gente: altrimenti, penserei io a insegnarti il galateo. Credi forse di farmi paura? Se vuoi, possiamo andare anche subito nella piazzett a accanto. L non c' anima viva. Via, via! disse Maurizio frenandosi a stento Andiamo piuttosto a casa, e ne ripa rleremo domani. Se non vieni, vuol dire che sei un vile! Vile a me? E una parola tirando l'altra, se ne dissero delle cotte e delle crude. Poi i due ragazzi, rossi come gamberi, imboccarono infuriati il vicolo, che portava sulla vicina piazzetta. E dietro a loro, di gran corsa, tutti i ragazzi della scuola, allegri e contenti come pasque, per questa sfida di pugilato. E fra gli altri, anche Giannettino. Ma Giannettino, fatti appena pochi passi, si ricord tutt'a un tratto di una stori a raccontatagli da Ciuffettino-blu, e spintosi furiosamente innanzi agli altri e afferrato Maurizio per un braccio, cominci a parlargli sottovoce, con grandissim a animazione.

Quindi fece altrettanto con Giulio Cesare. Che cosa disse ai due ragazzi? Non si saputo mai; ma la verit questa: che dopo le parole e i ragionamenti di Giannettino, i due rivali si mossero l'uno incontro all'altro, si dettero la mano, e con gran dispiacere del pubblico e dell'inclita scolaresca, fu calato il sipario prima che cominciasse lo spettacolo. 14 IL SERRAGLIO DELLE BELVE FEROCI Il dottor Boccadoro aveva un amico, il quale era Sindaco di Borgovecchio, paeset to discosto forse sei chilometri dalla citt. Quest'amico si ammal, e il Dottore pens di andare a fargli una visita. Ci vengo anch'io? domand Giannettino. Vieni pure. Allora Giannettino, esitando e facendo un po' il viso rosso, soggiunse: Permette che vengano con me anche Minuzzolo e i suoi fratelli? Padronissimi tutti! A Borgovecchio Partirono a piedi alle otto della mattina, e alle dieci erano arrivati a Borgove cchio. Il Dottore and subito a casa del Sindaco ammalato, e buss. Chi vuole? domand la serva, affacciandosi alla finestra. Vorrei fare una visitina al Sindaco. uscito in questo momento. Uscito? Ma non era malato? Sissignore; ma starnarli ha dovuto guarire in fretta e furia, per andare alla st azione a salutare il Prefetto. Ai ragazzi non parve vero, perch, per l'appunto in quel giorno, a Borgovecchio ri correva la fiera annuale, o gran fierone, come dicevano gli osti del luogo. Tutte le strade formicolavano di gente. Spintoni di qua, urloni di l, gomitate nello stomaco, pestate di piedi; un brulic hio infinito di contadini, di bovi, di asini, di possidenti, di carri, di sensal i, di maialini giovani; insomma chiedete e domandate, c'era un po' di tutto. La piazza grande offriva una bellissima occhiata. Tutto all'intorno vi era spuntata all'improvviso, come i funghi, una specie di c itt nuova, composta di osterie di tela, di caff di legno, di teatrini ambulanti e di baracche e baracconi di ogni stile e d'ogni colore. E dinanzi alle baracche un voco, uno stamburo e uno strombetto, da assordare anche il Perseo di Benvenuto Celimi che ha gli orecchi di bronzo. Qui urlava una masnada di lottatori e di saltatori di corda, con le loro maglie color mattone, e con i loro capelli unti e bisunti, appiccicati alla testa e al collo, come quelli di un affogato. Pochi passi pi in l, tre o quattro giocatori di bussolotti mangiavano, in presenza del pubblico, stoppa, nastri a colori, spade infuocate, pugnali e, al bisogno, anche pani interi di un chilo. Pi avanti, una compagnia di comici ambulanti annunciava a suon di tromba e di gra ncassa la rappresentazione del terribile dramma: IL FEROCE MASTRILLI OSSIA IL DELITTO CHE VENDICA LA COLPA E L'INNOCENZA CHE TRIONFA DI TUTTI E TRE Sulla porta di quell'altra baracca, un bellissimo Moro (che era diventato moro a forza di non lavarsi mai il viso) invitava la gente a vedere il GRAN SERRAGLIO DI BESTIE FEROCI Il cartello delle bestie feroci diceva cos: Per comodo dei signori visitatori, l'ora del pasto sar ogni cinque minuti. E sotto il cartello svolazzava una tela, sulla quale si vedevano dipinti leoni, pantere, tigri, serpenti boa, coccodrilli, pappagalli e un gigantesco elefante, che portava sulla proboscide una casa di due piani, con tutta una famiglia di qu indici persone (fra servitori e padroni) affacciate alla finestra. Come vedrei volentieri quest'elefante! disse Minuzzolo.

Anch'io ripet Giannettino. Il dottor Boccadoro cap l'antifona; e, comprati i bigli etti d'ingresso, and coi ragazzi a vedere il serraglio delle bestie. Questo serraglio, che di fuori prometteva molto, nell'interno manteneva pochissi mo. Era un bugigattolo con quattro cassoni, ossia con quattro gabbioni di legno, tut ti chiusi sul davanti da un'inferriata di legno. Nel primo gabbione sonnecchiava un grosso gatto di pelame rossastro e tigrato, i l quale era nato per fare il gatto vita naturai durante; ma poi, per certe disgr azie di famiglia, si trov costretto, dall'oggi al domani, a cambiar mestiere e do vette rassegnarsi a fare da pantera in un serraglio di bestie feroci. Vicende di questo mondo! Questa, o signori, disse il padrone accennando con la sua mazza, ferrata il gros so soriano questa la pi bella pantera che sia stata presa viva nelle foreste verg ini della Nuova Guinea. Osservino, o signori, la lucentezza del suo pelame, e la terribile potenza dei suoi artigli! E nel dir cos, forse pigi un po' troppo forte la mazza ferrata sugli unghili del ga tto: per cui la povera bestia, dimenticandosi l per l di essere una pantera, cacci fuori un miagolio lamentevole e fece: Gnaooo! Senti, senti! gridarono i ragazzi meravigliati dalla voce pare proprio un gatto! S, o signori, soggiunse subito il padrone le pantere della Nuova Guinea hanno il privilegio di potere imitare con la loro voce tutte le bestie, compreso il gatto e l'uomo. Quindi, passando alla gabbia accanto, seguit: Questa, o signori, una bellissima scimmia, che viene dalla Gujana: una scimmia c he appartiene alla nobile famiglia dei Gorilla, i quali sono chiamati dai natura listi col nome di Quadrumani, per la ragione che hanno quattro gambe e una testa sola. Questa scimmia, o signori, un animale intelligentissimo: mangia, beve, ra giona, e si fa la barba tutte le settimane, peggio d'una persona pulita. Su da b ravo, Gog! fate vedere a questi signori la vostra destrezza nel fare il barbiere. Cos dicendo il padrone introdusse nella gabbia una piccola catinella di latta pi ena di acqua, e un vecchio rasoio tutto arrugginito. I ragazzi, pensando alla scena comica d'una scimmia che si fa la barba da s, comi nciarono a sbellicarsi dalle risa. Ma il nostro Gog, attaccato colle sue quattro zampe alle traverse della gabbia, d ette un'occhiata in gi e guard il rasoio e la catinella con quell'aria di disgusto indicibile, con cui gli scolari oziosi e svogliati sogliono guardare la grammat ica e il calamaio. Mi dispiace soggiunse il padrone della scimmia di non aver qui un po' di sapone; motivo per cui la scena della barba viene rimandata ad un'altra volta. Aspetti un momento grid Giannettino; e, lesto come una rondine, usc fuori e ritorn in un attimo con in mano un panetto di sapone. Ecco il sapone per la barba! disse il ragazzo; e allungando il braccio, volle po rgerlo da s alla scimmia. Gog afferr velocemente con le grinfie il panetto di sapone, e il suo primo pensier o fu quello di avvicinarselo al naso. Lo annus una volta, poi un'altra volta. Poi una terza volta: e fece con gli occhi e con la bocca un certo garbo, come a dire: Di queste mele qui non ne ho mangiat e mai! Per sincerarsi meglio, rigir il panetto da tutte le parti: quindi vi pass sopra la lingua e gli dette una leccatina: ma, stando alle apparenze, non ne rimase trop po contento. Torn daccapo ad annusarlo: gli dette altre tr o quattro leccatine; finalmente, dop o aver meditato un poco sulla vanit dei colori e dei sapori di questo mondo, fece un animo risoluto e divor il panetto di sapone in meno che non si dica. E la barba?... domandarono i ragazzi, tutti mortificati. Le scimmie della Gujana rispose il padrone senza preoccuparsi si fanno la barba a quel modo l. E un uso del paese, e bisogna rispe ttarlo. Nella terza gabbia vi era attaccata una pelle di leone, con le sue zampe e i suo i unghioni benissimo conservati; ma mancavano la testa e la coda.

Ecco, o signori, disse il padrone del serraglio, accennando a quella pellaccia e cco il tremendo leone dell'Africa, il maestoso re del deserto, il cui spaventoso ruggito... Tutto sta bene disse Giannettino ma noi si credeva che il leone fosse vivo! No, o signori, questo leone, non vivo... ma come fosse vivo, perch non sono ancor a ventiquattr'ore che morto, povera bestia. Povera bestia! replic Minuzzolo quasi impietosito Di che male morto? Di crepacuore! S, o signori, di crepacuore! La vita di questo leone, a raccontarl a, sarebbe un romanzo. Fu rapito giovanissimo dalla sua casa paterna, e l'infeli ce dovette lasciare nei deserti dell'Africa una sposa adorata e quattro teneri p argoletti, incapaci di guadagnarsi un pezzo di pane. Povera bestia! esclam Minuzzolo, e si asciug una lacrima. Arrivato dinanzi all'ultima gabbia, che era vuota, il padrone del serraglio diss e: In questa gabbia, o signori, ci dovrebbe essere l'elefante, con la casa di due p iani sulla proboscide; ma l'elefante in questo momento non c'. E dov' andato? domandarono i ragazzi. Se vogliono vederlo, possono ammirarlo dipinto nella tela attaccata qui fuori. I l ritratto anche pi somigliante dello stesso originale. I ragazzi uscirono dal serraglio molto scontenti. Alla trattora Fosse per la passeggiata fatta, fosse perch da un pezzettino gironzolavano in su e in gi per la fiera, i ragazzi si sentivano illanguidire lo stomaco, e facevano certi sbadigli poco garbati, a dire il vero, ma espressivi. Passando davanti ad una trattoria, da cui veniva fuori un odorino di stufato da far risuscitare un morto, Minuzzolo arricci il nasetto in un modo cos significante , che il Dottore disse: Vi sentireste, ragazzi, di mangiare un bocconcino? Se si sentivano! Di l a cinque minuti, i denti di Giannettino e dei suoi quattro amici, compresi q uelli del nostro dottor Boccadoro, erano tutti intenti a far festa al famoso stu fatino che col suo buon odore li aveva invitati ad entrare nella trattoria. Ecco gli effetti di certi inviti! Naturalmente, tra un boccone e l'altro, il discorso cadde su quell'impostura del serraglio, e i poveri ragazzi si rammaricarono di non aver potuto ammirare il l eone, il re degli animali, e di essersi dovuti contentare di vederne una semplic e pelle attaccata alla gabbia. Sar la pelle di un leone o di una leonessa? domand Giannettino al Dottore. E quest i: Di un leone. La femmina priva della magnifica criniera che ombreggia il capo ed il collo del maschio. Inoltre, la leonessa, ha la testa meno grossa, ed il suo c orpo quasi un quarto pi piccolo di quello del leone. E siccome i ragazzi, eccitati dalla curiosit, rivolgevano parecchie domande al Do ttore, egli, che aveva studiata la vita ed i costumi degli animali, dopo aver sp iegato che il leone va classificato nell'ordine dei carnivori e nella famiglia d ei felini, dette loro varie spiegazioni sull'indole e sull'abitudine di quest'an imale. Disse che il leone, per procurarsi il cibo, si pone in agguato sulle sponde degl i stagni e fa preda delle antilopi, delle gazzelle, delle giraffe, delle zebre, dei bufali, ecc. che vanno a dissetarsi; ma se spinto dalla fame, allora si acco sta all'abitato per sorprendere qualche animale domestico, e scavalca, come per giuoco, recinti anche alti tre metri, piombando in mezzo al bestiame; afferra un bue, un cavallo, un cammello, e, in mancanza d'altro, una capra, una pecora; e fugge. Il Dottore narr che fu visto un leone portar via una giovenca con la stessa facil it con cui un gatto prende un sorcio; e saltare, tenendo sempre la preda, un larg o fosso che si trovava sulla via. Immaginate un po' quanto interesse presero i cinque piccoli amici del dottor Boc cadoro a quanto egli andava loro dicendo! Lo tempestarono di domande sopra doman

de, tanto che durante la colazione non parlarono di altro che di leoni e di leon cini. Il Dottore spieg che il leone aggredisce l'uomo, specialmente quando alle strette con la fame, o stato da lui provocato; altrimenti fugge anche di fronte ad un f anciullo, e se la d a gambe, alla distanza di cinquecento passi, al solo rumore d elle voci umane portategli dal vento. Queste abitudini sono note a certe popolazioni dell'Africa, che attraversano, se nza armi da fuoco, dei lunghi tratti di terreno dove vagano i leoni. E come si d loro la caccia? I negri del Sudan e gli Ottentotti scavano delle fosse profonde, ben nascoste so tto un intreccio di rami ricoperti di vegetazione: una specie di trappola, dove il leone spesso cade; ma quando le astuzie, a cui gli indigeni ricorrono, fallis cono, allora al terribile mammifero si fa guerra aperta. Ritornando in citt Ormai tempo di far ritorno, ragazzi, concluse il dottor Boccadoro. Dunque, un ul timo sorso di vino, e... in cammino! Ripassando davanti alla baracca di quelle famose bestie feroci, i nostri ragazzi dettero un'occhiata di scherno alla tela su cui era dipinto l'elefante con la c asa sulla proboscide; e Minuzzolo, facendo il suo solito verso di canzonatura, e sclam: Gua' ! Bisognava averlo capito subito, che quell'uomo era un imbroglione e un ci arlatano! Possibile che un elefante porti sul naso una casa come se fosse un fus cellino di paglia! Ecco osserv il Dottore che quell'uomo canzoni il pubblico, e che voi siate rimast i con un naso pi lungo della proboscide dell'elefante, siamo d'accordo; ma vi ass icuro io che possibile, possibilissimo, che l'elefante sopporti sul dorso molte persone. I ragazzi si guardarono in viso, come per dirsi: Ah! vuol darcela a bere, anche l ui! Il Dottore se ne accorse e continu con seriet: Non vi canzono: vi dico la verit pura e semplice. Se ne volete sapere di pi, ascol tatemi. Fin dalla pi remota antichit, l'elefante dell'Asia veniva addestrato al se rvizio domestico e militare, e quest'uso continuato sino ai giorni nostri. Nelle guerre tra i popoli dell'Asia, gli elefanti venivano caricati di torri occupate da uomini armati di frecce, di fionde e di giavellotti. I primi eserciti che co ndussero degli elefanti nel loro seguito, ottennero facilmente vittoria. La semp lice vista di questi animali, equipaggiati in assetto di guerra, colpiva di terr ore tutti i soldati... A proposito disse il Dottore interrompendo il discorso vo i a quest'ora dovete aver letto e studiato i capitoli che trattano della guerra tra i Romani e i Tarantini, i quali chiamarono in loro difesa il famoso Pirro re dell'Epiro, che condusse con s anche venti elefanti. vero, vero! esclamarono ad una voce Giannettino e Minuzzolo. Ancora degli elefanti vero che gli elefanti sono tra i pi grandi mammiferi terrestri? domand Minuzzolo. I pi grandi addirittura, come i capidoglio sono i pi grandi animali acquatici risp ose il dottor Boccadoro. vero che hanno la pelle tanto grossa e dura? Precisamente, e perci il loro nome di pachidermi, cio di pelle grossa. E la proboscide? Questa non altro che il naso allungato smisuratamente, a foggia di tubo, che ter mina, appunto, con l'apertura delle narici. E che ne fanno di un naso cos enorme? Se ne servono come organo del tatto e dell'odorato non solo, ma per prendere le cose, per difendersi e aggredire. Con la proboscide, infatti, l'elefante si port a i cibi alla bocca, solleva carichi pesanti e se li colloca sul dorso; beve, af ferra il nemico, lo avvolge nelle sue spire, lo stringe, lo stritola, lo lancia in aria e poi lo getta in terra, per calpestarlo coi suoi larghi piedi. Oooh!! esclamarono in coro i fanciulli, pieni di meraviglia. Il dottor Boccadoro, contento dell'attenzione che essi gli prestavano, li volle

divertire col racconto del seguente aneddoto: In un'isola dell'Asia c'era un elefante, che ogni giorno veniva condotto al fium e vicino per esservi lavato. Passando davanti alle case, allungava la proboscide come per chiedere frutta e radici, che gli abitanti gli davano con piacere. Una mattina present la proboscide alla finestra di un sarto, il quale, per scherzo, gliela buc con un ago. L'elefante continu tranquillo la sua strada. Giunto al fium e, smosse con uno dei suoi piedi anteriori il fango del letto, ed aspir nella pro boscide molta di quell'acqua fangosa. Ripassando per la strada dov'era la botteg a del sarto, si accost indifferente alla finestra, e lanci dentro Una tromba d'acq ua con tanta forza e violenza, da mandare a gambe all'aria il sarto ed i suoi op erai. 15 UOMINI DI CERA E ANIMALI IMPAGLIATI Arrivati in citt, il Dottore disse ai ragazzi: Se avete la curiosit delle bestie feroci, lasciate fare a me: vi condurr al Museo di Storia Naturale, e l ne troverete tante, da cavarvene la voglia. Povero Dottore! non l'avesse mai detto. Dopo quella promessa, sfuggitagli di bocca, i ragazzi non lo lasciarono pi in pac e. Finch una bella mattina, non potendo reggere a tanto tormento, si decise a con durre tutt'e cinque i ragazzi a vedere il Museo. Mentre salivano le grandi scale, Minuzzolo, facendo boccuccia e arricciando il n aso, domand: Dica, signor Dottore, che odore questo puzzo? l'odore dell'acido fenico. E l'acido fenico che cos'? un disinfettante potentissimo, che serve a salvare gli animali impagliati dal gu asto delle tignole. Perch si chiamano animali impagliati? chiese Giannettino Sono forse ripieni di pa glia? Tutt'altro: si chiamano impagliati, perch un modo di dire popolare: ma gli animal i che vedrete fra poco sono tutti ripieni di stoppa, di borraccina e di fil di f erro. La paglia non c'entra per nulla. Cos discorrendo, attraversarono un lungo corridoio che immetteva in una sala: in mezzo a questa sala c'era una gran vetrina, con sotto una figura d'uomo, grande al naturale e modellata tutta in cera. Fermiamoci un momento qui disse il Dottore perch, ragazzi miei, dovendo fare una corsa attraverso il regno animale, mi pare conveniente di cominciare dall'uomo. L'uomo il primo di tutti gli esseri animati. Egli si dato da se stesso il titolo di Re degli animali e di sovrano della natura; e siccome il titolo gli torna be ne, lasciamoglielo stare. L'uomo si distingue fra tutti gli esseri meglio organizzati per la sua intellige nza, per la sua attitudine a perfezionarsi, per la facolt del ragionare, per il d ono della parola, per la conoscenza di Dio, per l'amore del bello e per il senti mento della moralit. Il corpo dell'uomo uno stupendo meccanismo di organi uniti insieme, e che lavora no fra loro con mirabile armonia. Al pari delle bestie, l'uomo ha i suoi istinti e i suoi bisogni materiali; ma, p er altro, egli possiede una forza distinta dalla materia, vale a dire il pensier o, il sentimento del bene e del male e l'idea dell'immortalit dell'anima. Questa specie di doppia natura colloca l'uomo fra due ordini diversi o, come si potrebbe dire, fra due mondi differenti; perch col suo corpo egli abita sulla Ter ra, mentre con la sua anima spazia al disopra delle cose create e s'innalza fino alla Divinit. Ma non ci dilunghiamo troppo. Ragazzi! eccovi qui un uomo modellato in cera. Avanti, da bravi! Chi di voi che sa dirmi i nomi delle diverse parti, dei principali organi che formano il corpo umano?

Il corpo umano Il Dottore aspettava una risposta; ma quando si avvide che nessuno si faceva viv o, allora riprese a dire: Questa ignoranza, credetelo, vi fa torto, proprio torto! Sono oramai dieci o dod ici anni, che vivete col vostro corpo fatto di carne, pelle, ossa e nervi, e non avete ancora imparato i nomi dei diversi pezzi che lo compongono! Che cosa direste d'un giovinetto che abitasse da parecchi anni una casa e non sa pesse dirvi qual il salotto, quale la camera, quale la cucina e quale il sottosc ala? Che cosa direste di un orologiaio, di un fabbro, di un incisore, di un meccanico , che dopo molti semestri di professione, non avessero ancora imparato a conosce re i diversi strumenti messi in opera tutti i giorni? La descrizione del corpo umano disse Minuzzolo io la so, perch l'ho studiata a scuola: ma ora ho paura di sbagliare. Se sbaglierai, pazienza, replic il Dottore son qua io per correggerti. Allora Minuzzolo mont sopra uno sgabello, e, scorrendo il dito sulla vetrina per indicare le cose che man mano veniva descrivendo, prese a nominare tutte le part i esterne del capo, del tronco e delle estremit. Quindi accenn le diverse funzioni del corpo umano: la digestione, la respirazione , la circolazione del sangue. A proposito del sangue il Dottore parl dell'ossigeno grazie al quale si produce i l calore che abbiamo internamente, e domand: Perch quando fa freddo ci mettiamo abiti pi pesanti? Oh bella! esclam Minuzzolo perch fanno pi caldo. Invece non fanno caldo per niente. I ragazzi lo guardarono come si guarda uno che dice una strambera. proprio cos insist il Dottore. Ne volete una prova? Prendete un burattino di legno , mettetelo a letto: avete voglia di coprirlo! Esso non si scalder mai. Cos non si scalda il materasso, sebbene abbia sopra di s tante coperte. I vestiti come le c operte, non fanno che conservare il calore che emana dal nostro corpo; e alcune stoffe lo conservano meglio, altre peggio. Per esempio, lo conservano di pi la se ta e la lana, di meno il lino e la canapa. L'ossigeno produce dentro di noi una combustione e quindi il calore indispensabi le alla vita animale. Ora capisco disse Minuzzolo perch ai deboli ed ai convalescenti i medici consigli ano l'aria ossigenata dei campi! Ed ecco perch l'aria si guasta, quando siamo in molti a respirare in una stanza c on le finestre chiuse; e perch la mattina bisogna ventilare le camere. Accendete del carbone disse e si produce il gas acido carbonico, che, respirato in una stanza ermeticamente chiusa, d la morte per asfissia. Corrompono l'aria i lumi e qualsiasi altra combustione, come pure le esalazioni di materie organiche in putrefazione (depositi di concimi, latrine, ecc.). E siccome il dottore aveva sempre pronto il fatterello adatto per distrarre e ri creare, raccont ai suoi piccoli amici il seguente aneddoto, che, peraltro, una ve ra lezione d'igiene: Un celeberrimo medico francese stava per rendere l'anima a Dio. In quei momenti estremi egli era circondato da vari colleghi, tutti desolati per la sua perdita imminente. E il moribondo disse: Per me suonata l'ora fatale; ma lascio tre grand i medici a continuare la mia opera.... E sospese il suo dire. Ognuno dei presenti , credendo di esser nominato lui, ascoltava sospeso le parole dell'agonizzante. Il quale, con voce vicina a spegnersi, concluse: Essi sono: l'acqua, l'esercizio e la dieta. Dunque, concludo io, aggiunse il Dottore ecco tre medici che non si pagano e che non c'ingannano mai. Poi riprese: Un altro medico, ad un pigraccio, il quale cercava di giustificare il proprio oz io con la scusa di essere sempre mezzo malato, rispose: Eh! mio caro, saresti pi n el vero, se tu dicessi: sono sempre malato, perch non lavoro mai! Rispetto per gli animali

Come ebbero finito di visitare tutte le sale del Museo, se ne vennero via, e qua ndo furono in strada il dottor Boccadoro disse: Ora che avete veduto tante bestie, che certo non si sognarono di essere un giorn o impagliate e messe in mostra, voglio parlarvi un momento dei doveri che noi ab biamo verso di esse... Si capisce che intendo parlare di quelle vive... Andiamo a sedere l su una panchina del giardino pubblico. Sar una lezione all'aperto. Ma n on vi spaventate: ho poco da dire. Ma noi si ascolterebbe sempre e volentieri, anche se facesse dei discorsi lunghi come quelli dei predicatori. Il Dottore ringrazi con un breve inchino e un sorriso; quindi tutti andarono a se dere sulla panchina. Sicuro prese a dire il Dottore noi abbiamo il dovere di lasciar vivere in pace t utti gli animali che non sono nocivi e non ci danno molestia. Ma anche questi do bbiamo, uccidendoli, farli soffrire il meno che sia possibile. giusto, per esemp io, che si dia la caccia ai topi che fanno tanto danno, ma non si deve straziarl i. Io m'imbattei un giorno in un ragazzettaccio che aveva legato un topo per la coda e si divertiva a farlo correre. E come si rivolt il monello quando io lo sgr idai! E un fatto che vi sono uomini, ma specialmente ragazzi, i quali proprio per brut ale malvagit si divertono a far soffrire le povere bestie... Voi siete ragazzini dabbene che potete servire di modello... E su questa parola il Dottore si ferm: aveva sulle labbra e negli occhi un risoli no sospetto che non sfugg ai ragazzi. Lei ci canzona disse Giannettino. Lei ci prende in giro disse Minuzzolo. Il risolino del Dottore si cambi in una grassa risata: S, ho scherzato... Ma per quello che fa la piazza, come suol dirsi, potete servir e d'esempio a molti. Certo che voi non avete, o almeno lo credo, il barbaro gust o di maltrattare le bestie, che, se non sono moleste, o pericolose, hanno diritt o a essere lasciate vivere in pace. Voi non incrudelite con le bestie, perch sape te che anch'esse soffrono i dolori come noi; e non solo i dolori fisici, ma anch e quelli morali. Se la mamma per punirvi di qualche fatto vi chiude, mettiamo, i n una stanza, voi piangete per quella prigionia; ma anche il cane, rinchiuso, gu aisce dolorosamente. Dunque anche lui sente il dolore morale della perduta liber t e dell'essere abbandonato dal padrone che ama. Lucertole, talpe, rospi, tre ben emeriti divoratori d'insetti nocivi alle piante, vengono perseguitati dai ragazz i di campagna, i quali sono cos cattivi, cos spietati, da togliere perfino gli ucc ellini dal nido alle povere mammine pennute senza pensare allo strazio del loro cuore materno. In alcune scuole i fanciulli continu a dire il dottor Boccadoro si costituiscono in associazione per la protezione degli uccelli. Essi promettono solennemente, c on giuramento, di non molestarli e di denunciare ai magistrati i contravventori alle leggi sulla caccia. E i fanciulli di tutte le scuole del mondo civile dovrebbero chiedere ai rispett ivi governi, con una domanda collettiva, che venga proibito assolutamente l'acce camento degli uccelli, atto spietato, che fa ricordare i pi atroci supplizi dei p i malvagi tiranni antichi. Ed ora disse il Dottore alzandosi datemi la zampetta, e arrivederci a domani. An date diritti a casa... Oh! vi raccomando di non studiare troppo, perch potrebbe f ar male alla vostra salute. Non c' pericolo! esclamarono i ragazzi, e ridendo si allontanarono. 16 GLI SPIRITI IN GABBIA Il giorno seguente il Dottore, chiamato da una lettera di premura, dovette parti re col treno diretto per Pracchia, per poi recarsi di l sulla montagna pistoiese, nella villa del suo cugino Gustavo. Giannettino pot tenergli compagnia. Mentre il treno stava per partire, entr nel vagone un amico del Dottore; uno di q

uegli infelici, che campano soltanto di pane, di giornali e di politica. Inutile starvi a dire che da Firenze a Pistoia fu tutto un chiacchierare di tass e, di elezioni, di crisi ministeriali, di rancori politici e di altre miserie um ane. Giannettino, da principio, era tutt'orecchi per poter prendere un po' di parte a lla conversazione, e, dai gesti e dai garbi della bocca, dava a vedere di tanto in tanto una mezza voglia di dir qualcosa o di chiedere qualche spiegazione. Ma si trattenne sempre. Alla fine, fosse noia o stanchezza o dispetto di non capir nulla, fatto sta che appoggi il capo alla spalliera imbottita del vagone, si appi sol a bocca aperta, ed il Dottore lo lasci dormire sino alla stazione di Pracchia, dove scesero. La villa Fuori della stazione c'era il cugino Gustavo, con un buon calesse e un buon cava llo, che stava aspettando il Dottore e Giannettino. Era una serata di paradiso. La luna, passando attraverso ai rami e alle foglie dei grandi alberi che orlavan o la via, disegnava sulla massicciata bianca della strada maestra mille strani g eroglifici e mille bizzarre figure. Giannettino non aveva fatto parola. A quell'ora tarda e in mezzo a quella solitudine maestosa della montagna, il suo orecchio non sentiva altro rumore che il trotto del cavallo, lo stormire legger issimo delle foglie mosse dalla brezza, e di tanto in tanto il chiacchiero petteg olo e argentino di qualche vena d'acqua o di qualche piccola cascatella. Eccoci arrivati disse Gustavo, voltando per un viottolo. In fondo al viottolo e in mezzo agli alberi della foresta, biancheggiava una vil letta, la quale, illuminata dalla luna, pareva un masso enorme di alabastro, o u n marmo candidissimo di Carrara. E questa villa domand il Dottore al cugino durante la cena te la sei fabbricata d i sana pianta? Tutt'altro. Era una vecchia casa disabitata, che comprai per un pezzo di pane. Disabitata? E perch? domand Giannettino. Perch i contadini di questi posti s'erano messi in testa che ci si sentiva. Giannettino divent serio. E ora ci si sente sempre? chiese il ragazzo, con una specie di esitazione. Dal giorno che la comprai, e che feci imbiancare le pareti, gli spiriti se ne so no andati. E il motivo? Chi lo sa? rispose ridendo Gustavo. Forse gli spiriti hanno a noia l'odore della calcina. In camera Giunta l'ora di andare a letto, il cugino Gustavo assegn al Dottore una camera al primo piano, e un'altra camera al pian terreno a Giannettino. Il quale, nell'atto di dar la buona notte, fece due o tre volte con la bocca un certo verso, come se avesse voluto dir qualcosa; ma poi, vergognandosi di confes sare che aveva paura, prese il suo candeliere e spar. Appena entrato in camera, la prima cosa che disse dentro di s fu: Per questa notte non vado a letto di certo! Poi soggiunse subito: Non mica che abbia paura! S, non ci mancherebbe altro! che non ho sonno! Proprio non ho sonno! Neanche l'ombra del sonno! E per persuadersi che non aveva sonno davvero, tir fuori il suo libretto di ricor di; ma, dopo lette poche righe gli occhi gli si chiusero: cominci a piegare la te sta sul tavolino... e si addorment come un ghiro. E probabilmente si sarebbe svegliato la mattina dopo a mezzogiorno se la cera bo llente della candela accesa, gocciolandogli sulle dita, non lo avesse fatto salt are su come una molla d'acciaio. Giacch non ho per nulla sonno... disse allora Giannettino, sbadigliando a bocca s palancata, come un mascherone da fontana giacch non ho per nulla sonno, sar meglio muoversi e far qualcosa.

Apr la finestra e la richiuse. Prov a canterellare, e non gli venne la voce. Prov a fischiare, e non gli riusc. Smoccol la candela. Poi la smoccol daccapo. Poi, senz'avvedersene, la rismoccol per la terza volta. Alla fine, girando gli occhi qua e l intorno alla stanza, vide una gabbia, dov'er a un canarino, che se la dormiva tranquillamente, col suo capino sotto l'ala. Beato te! disse Giannettino che non hai paura degli spiriti. Per, se non dormo io , mi pare giusto, caro il mio uccellino, che non debba dormire neanche tu. Animo ! svegliati, e vieni a tenermi un po' di compagnia. E tolse il canarino dalla gabbia, e lo pos sulla tavola. La povera bestiola, svegliata cos sul pi bello del sonno, era tutta imbozzolita, e pareva un palloncino di cotone giallo. Zampett un poco per la tavola: gir due o tre volte intorno al piede del candeliere , e non sapendo dove andare a posarsi, si appollai sopra un manico di penna, che usciva fuori del calamaio. Come sono carini gli uccelli quando dormono! balbett a mezza voce il ragazzo. E a nch'egli si riaddormentava. In questo frattempo l'orologio della sala al pian terreno batt la mezzanotte. Giannettino si svegli con un sussulto, e, stirando le braccia e strofinandosi gli occhi per tenerli aperti, cominci a sgridare se stesso, dicendo: Insomma, quanto deve durare questa sciocchera di aver paura degli spiriti? Gli sp iriti, dice bene il dottor Boccadoro, non ci sono e non ci sono mai stati. Gli s piriti li hanno inventati i bambini paurosi, per avere una scusa di tenere il lu me acceso la notte. Ma io non son pi un bambino, e nemmeno pauroso! Dunque voglio vincermi, voglio scaponirmi ; s! s! s! E tutto arrabbiato, come se litigasse con qualcuno, si spogli, entr nel letto, spe nse il lume e si addorment. Dopo aver dormito forse una mezz'ora, si trov a un tratto con gli occhi spalancat i, come se avesse dormito una nottata intera. La prima cosa che gli torn in mente, come potete immaginare, furono gli spiriti. E per farsi coraggio ripet daccapo tutto il discorso che aveva recitato a se stes so prima d'entrare nel letto, e concluse a voce alta: Mi vergogno di aver creduto finora a queste giuccherie; ma d'ora in poi faccio g iuramento di non credere... E gli manc il fiato per poter finire la parola. Giannettino aveva sentito in came ra un piccolo rumore. Alz il capo e stette in ascolto. Si vede disse poi fra s che me lo sono figurato io! Ha ragione il Dottore; quando la fantasia riscaldata, ci pare di sentire... E si sent in camera un altro rumore pi forte del primo. Eccoli davvero! disse Giannettino, e nascose il capo sotto le lenzuola. Dopo pochi minuti, un altro rumore; e poi qualche cosa che venne a posarsi in fo ndo al letto. Aiuto! aiuto! cominci allora a gridare il ragazzo. Che cos' stato? domandarono il Dottore e Gustavo entrando in camera col lume acce so. Ci sono gli spiriti! rispose tremando Giannettino, il quale era seduto sul letto , con gli occhi fuori della testa, con i capelli dritti e con il viso bianco per lo spavento. Ma che spiriti! disse il Dottore, ridendo come un matto. To', bevi un bicchier d 'acqua e ti passeranno! Lo creda!... Li ho veduti proprio con questi occhi... Grullerello! disse il Dottore, crollando il capo. Facevano un rumore da non figurarselo! Buaccilo! E son venuti a posarsi in fondo al letto!... Visionario! Padrone di darmi del visionario replic Giannettino con un po' di bizza ma io poss

o giurare che ero qui sveglio e a occhi aperti, come sono adesso; e che nello st esso modo che ora sento questo bicchiere che tengo in mano, cos ho sentito un spi rito far del rumore per la camera e poi venirsi a posare laggi, dove ho i piedi. Eccolo l, eccolo l lo spirito! cominci a gridare Gustavo, ammiccando col dito in fo ndo al letto. Fermi tutti, e silenzio! E allungata pian piano una mano, la ficc tra le pieghe della coperta e dei lenzuo li; quindi la ritir fuori chiusa, dicendo a Giannettino: Lo spirito l'ho acchiappato io!... qui! Giannettino, dalla paura, spalanc tanto d'occhi. Allora Gustavo apr la mano, e il canarino vol via, ritornando tutto allegro e cont ento dentro la sua gabbia lasciata aperta. E cos gli spiriti finirono come dovevano finire, cio in una grandissima risata; e cos si cap che il povero uccellino, trovandosi a disagio su quel manico di penna, s'era messo a svolazzare per la camera in cerca della sua gabbia; e svolazzando al buio, aveva fatto rumore, battendo nei mobili e nei colonnini del letto, finc h era venuto a cascare fra la coperta e le lenzuola, ai piedi di Giannettino. Bell'e guarito Il giorno dopo, Giannettino disse al Dottore: Ho bisogno di un gran piacere da lei. Son qua. Ho bisogno che lei mi prometta sulla sua parola d'onore di non raccontare a ness uno... ma proprio a nessuno... nemmeno alla mamma... la storiella del canarino. Altrimenti, io diventerei lo zimbello e il divertimento di tutti. Te lo prometto rispose il Dottore ma a un patto: al patto che tu faccia una buon a cura per guarire da questa ridicola malattia di credere negli spiriti. Oh! sono bell'e guarito! Stia sicuro che sono bell'e guarito, e tutte le volte c he sentir parlare di spiriti, di rumori e di apparizioni, mi rammenter sempre la s toria del canarino. Lo credo; ma aspetta disse il Dottore. E andato nella biblioteca del babbo di Gi annettino, ne tolse una antologia, la porse al ragazzo e indicandogli un punto d isse: Leggi qui. E Giannettino lesse: Il fantasma Una sera un mio amico, passando per una via di Firenze, trov sul canto, presso la piazza del Duomo, sotto ad una finestra d'un palazzo, molta gente ferma che dic eva tutta spaventata: Ih! il fantasma. E guardando per la finestra nella stanza, d ove non era altro lume che quello che vi batteva dentro da uno dei lampioni dell a citt, vide egli stesso come un'ombra di donna, che scagliava le braccia di qua e di l, e nel resto immobile. Era la finestra non molto pi alta da terra che la statura d un uomo. Uno della mo ltitudine sal sulle spalle d'un compagno per guardare che cosa vi fosse, e trov pr esso all'inferriata della finestra, disteso sulla spalliera d'una seggiola, un g rembiule nero, che, agitato dal vento, faceva quell'apparenza di braccia che si scagliassero, e sopra la seggiola, appoggiata alla medesima spalliera, una rocca da filare, che pareva il capo dell'ombra: la quale rocca egli presa in mano, mo str alla folla che, dopo aver rso molto, si disperse. G. LEOPARDI 17 SCUOLE, TELEGRAFO, STRADE FERRATE Io vorrei disse un altro giorno il nostro Giannettino al Dottore che lei, che co s compiacente, mi aiutasse a farmi conoscere il mio paese, ossia l'Italia. Perch, vede, mi fa vergogna a dirlo, eppure il mio paese io non lo conosco affatto; oss ia, so che la sua capitale Roma, so quali sono le sue principali citt e i suoi fi umi principali; ma se poi mi domanda tante e tante altre cose riguardo al mio pa ese, io non ne so nulla, proprio nulla, ed quasi lo stesso che se mi domandasse della Cina o del Giappone. Si figuri, per dirgliene una, che io sento raccontare tutti i giorni che in Italia c' l'istruzione obbligatoria per noi ragazzi; ma cr

ede lei che io sappia che cosa s'intende dire con istruzione obbligatoria? L'istruzione obbligatoria Se non lo sai, te lo dir io replic il Dottore. Devi sapere che l'istruzione elemen tare dei ragazzi si chiama oggi obbligatoria, perch stata fatta una legge, la qua le obbliga tutti i genitori a mandare i loro figliuoli a scuola. E se i genitori mancassero a quest'obbligo? I genitori che per una trascuranza biasimevole mancassero a quest'obbligo, posso no essere condannati, in forza della legge, a pagare una multa. Scusi la mia curiosit: le scuole comunali per i ragazzi sono a pagamento o gratui te? Sono gratuite, e tutti i giorni se ne aprono delle nuove per cui c' speranza che presto diminuisca di molto il numero degli analfabeti. Che cosa vuol dire analfabeti? Si chiamano analfabeti tutti quelli che non sanno n leggere n scrivere. E questi, caro Giannettino, ammontano a parecchi milioni: la qual cosa non fa certo onore alla nostra patria: tutt'altro! E il Dottore continu: Bisogna che tu conti poi, oltre le scuole comunali diurne, gli asili infantili, le scuole serali e festive e quelle di arti e mestieri e per i ciechi e i sordom uti. Aggiungi poi le scuole dette secondarie, cio: i ginnasi, i licei, le complem entari, gli istituti tecnici, le magistrali e le commerciali; le scuole pratiche di agricoltura e le accademie di belle arti. E per le professioni di avvocato, medico, ingegnere, farmacista, veterinario, in segnante, ecc.? Vi sono le Universit. E mio cugino, che sottotenente, dove ha studiato? Tuo cugino ha fatto i suoi studi nella Scuola militare. E per quel giorno la lezione fin presto, poich il Dottore aveva un impegno che non gli permise di trattenersi pi a lungo con Giannettino; altrimenti gli avrebbe pa rlato dei doveri di rispetto e di gratitudine verso i maestri, e forse gli avreb be raccontato che l'imperatore Teodosio, entrando un giorno nella stanza dove il figlio riceveva lezione, e trovato che esso era a sedere e il maestro gli inseg nava restando in piedi, pieno di collera, si volse al figlio e gli disse: Alzati, e cedi quel posto al tuo maestro. Si pu esser sicuri che il Dottore avrebbe accennato pure a quei tempi, in cui l'i struzione si riduceva a un privilegio dei ricchi, perch le scuole erano scarse e a pagamento. Oh! come sarebbe tornato a capello narrare a Giannettino di Antonio Lodovico Muratori importantissimo storico! Quand'egli era fanciulletto, non avendo mezzi per pagare il maestro, ogni mattin a, anche di pieno inverno, si recava sotto le finestre della scuola della sua Vi gnola, e se ne stava l cheto cheto ad ascoltare le lezioni. Che fai qui, birichino? gli tuon un giorno il vocione del maestro. Vieni a fare l a spia? No, no: vengo per imparare. Per imparare, stando a prendere il freddo? Il maestro poi, che era un brav'uomo, invece di scacciarlo con cattiva maniera, lo fece entrare nella scuola e lo interrog. Ma quale fu la sua sorpresa, quando dalle risposte del fanciullo s'accorse che e gli ne sapeva pi degli scolari che stavano dentro al caldo, che avevano libri a d isposizione e in casa ogni ben di Dio! Da quel giorno il piccolo Antonio fu accolto gratuitamente nella scuola. Il dottor Boccadoro, nemico acerrimo della vanit e della boria, parlando del Mura tori avrebbe sicuramente aggiunto che, divenuto grande per il suo ingegno e la s ua sapienza, rimase cos umile e sincero, che a chiunque gli domandava del suo cas ato, diceva: Io non so altro, se non che sono figliuolo di un pover'uomo. Alla stazione Un altro giorno (beninteso, un giorno che era vacanza a scuola) Giannettino and f uori col dottor Boccadoro.

Per l'appunto quel giorno il Dottore aveva mille coserelle da fare. Dovendo spedire un telegramma in Sicilia, a un suo parente, giudice di Tribunale , si avvi verso gli uffici del Telegrafo. Nello stesso edificio vi era la Posta, ed il Dottore ritir una lettera, compr due cartoline, e chiese se fosse giunto al suo indirizzo un pacco postale, per cui d a vari giorni, aveva spedito una cartolina-vaglia. Nel venir via dall'ufficio telegrafico, il dottor Boccadoro disse: Ora andremo subito alla stazione. Voglio vedere se mi arrivato uno strumento chi rurgico di cui ho gran bisogno. Alla stazione, il Dottore sbrig la sua faccenda, e poi entr con Giannettino sotto la tettoia. V'era un treno in partenza. Senta come brontola quel mostro di ferro! esclam sorridendo Giannettino, mentre g uardava la locomotiva presso cui erano il macchinista ed il fuochista col loro c amiciotto turchino, entrambi sudici di fumo e di carbone. Il Dottor, indicandoli a Giannettino, rispose: Eh! vedi come sono ridotti... il fuochista specialmente, che sempre ad alimentar e il focolare della macchina con delle grandi palate di carbon fossile. Intanto i viaggiatori si affrettavano ad entrare nelle carrozze: gli sportelli s batacchiavano e si chiudevano. Avanti chi parte per la linea di Bologna!... andava ripetendo a voce alta l'impi egato guardasala, quello che buca i biglietti di viaggio. Suonava la campanella della partenza, quando dalla sala di 3a classe usc correndo (correndo per modo di dire) un trippone con mazza e ombrello stretti sotto il b raccio e con due pesanti valigie, una per mano, le quali, urtandogli e stringend ogli le gambe, corte e tozze, gli impedivano di muoversi libero e svelto. Presto, presto! gridavano gli impiegati. E quello pi s'impacciava e indugiava. Fi nalmente aiutato da un viaggiatore compiacente, il carico del ritardatario fu me sso dentro; mentre egli, sbuffando come un mantice, montava sul predellino della vettura per prendervi posto; ma ci volle una buona spinta di un impiegato per f arlo entrare, tant'era grosso. Immaginate se i capi ameni che non mancano mai fra i viaggiatori, risparmiarono i loro motteggi a quella scena comica! Uno disse: Io vo via... io scappo! Certo ora sprofonda la carrozza! E un altro: Sor capostazione, faccia aggiungere un'altra macchina al treno. L'uomo, abituato forse a quei frizzi, lasciava dire e rimaneva indifferente. Egl i era tutto occupato ad asciugarsi con un ampio fazzoletto, a righe rosse e bian che, il sudore, che gli colava gi sulle gote e sul naso rosso e bernoccoluto. Ma perch prendersi giuoco di un uomo troppo grasso!! mormor il Dottore. Intanto, tutto era all'ordine per la partenza. Il capostazione diede il segnale, e allora si ud la voce del capotreno, che grid: Partenza! Pronti! gli fecero eco altri impiegati del treno. Squill la cornetta; rispose un acuto fischio della locomotiva, e un'ondata di vap ore impennacchi il fumaioloj si mossero gli stantuffi, la locomotiva avanz sulle r otaie e trascin con s in un attimo carri e carrozze con dentro uomini, merci e bes tiame. 18 I SOLDATI E LA TORTA DI FRUTTA fra un giorno di vacanza. Ernesto, Adolfo, Gigetto e Minuzzolo, dopo aver fatto i compiti, cominciarono a dire fra loro: Si fa un po' di chiasso? S'inventa qualche cosa? Si fa qualche giuoco? Facciamo i deputatil disse Gigetto. I deputati no grid subito Minuzzolo perch il babbo non vuole. E poi non c' sugo. Ta nto a me, a fare il ministro non mi tocca mai. Allora inutile. Adolfo. Si fa i giurati? Tutti. S! s! I giurati! i giurati!

Adolfo. Io far da presidente del tribunale. Gigetto. E io da imputato. Minuzzolo. Che vuol dire imputato? Adolfo. un soprannome che danno al reo. Ernesto. E io far da quel coso vestito di nero, che vien fuori a principio dell'u dienza, e dice: La Corte! Minuzzolo. E io? Tutti. E tu farai da giurato. Minuzzolo. E chi sono i giurati? Gigetto. Come! non lo sai? Minuzzolo. Io no. Gigetto. Eppure, il babbo l'altro giorno ce lo spieg veramente bene. Minuzzolo. Ma io non ero attento. Gigetto. Vieni qui, e te lo spiegher io. Una volta, come tu sai, nei tribunali c' erano i giudici che interrogavano l'accusato e stavano a sentire tutto quello ch e si diceva di lui a carico o a discolpa. Quando i giudici avevano sentito tutte le campane, allora si ritiravano dalla sala; e quando ritornavano, se l'accusat o pareva loro che fosse reo, lo condannavano; e se invece lo giudicavano innocen te, dicevano ai carabinieri di guardia: Lasciatelo andare! Ora non si fa pi cos: ora si fa in un altro modo. Figuratevi che ora nei tribunali vi stanno non solament e i giudici, ma anche i giurati. Minuzzolo. Che sono giudici anche loro? Gigetto. Li chiamano giudici del fatto; ma sono uomini come me e come te, e vest iti proprio come noi. Quando il dibattimento finito, il Presidente, ossia il mag istrato con la toga si volta a domandare ai signori giurati: Secondo loro, quell'uomo reo o innocente? Se i giurati rispondono: reo, allora il Pr esidente lo condanna; se invece dicono: E innocente, il Presidente non pu far altro che assolver lo e rimandarlo a casa. Minuzzolo. Tu dirai bene, ma tutti questi discorsi io non riesco a tenerli a men te. Io far il giurato, quando sar grande, come lo fa il babbo, perch il babbo dice che il cittadino dabbene bisogna che faccia tutto quello che comanda la legge; m a ora, finch sono ragazzo, non voglio saperne di queste storie. Se si fa qualche altra cosa, bene e ci sto: se no, piuttosto vado su in terrazza a dar da mangiar e al mio passerotto. Adolfo. Zitti! l'ho trovata io!... Tutti. Sentiamo! Adolfo. Si fa i soldati? Tutti. S! s! bene! bene! Bisogna sapere che i quattro fratelli avevano per il giuoco dei soldati una pass ione da non credere. Anche quando erano pi piccoli, la loro camera era sempre piena di reggimenti inte ri di bersaglieri e di granatieri, ritagliati con le forbici e tenuti ritti sopr a un pezzetto di legno da uno stecchino incollato di dietro e che faceva da sost egno. E sulla tavola, nelle ore della ricreazione, galoppavano parecchie batterie d'ar tiglieria leggera: tanto leggera che sarebbe bastata una ventata per vederla vol are fuori dalla finestra; e dietro l'artiglieria sfilavano al trotto alcuni squa droni di cavalleria (di carta), montati sopra certi cavalli di un bellissimo col ore di cioccolata e latte, da far venire la voglia di berli e d'inzupparvi dentr o i crostini. L'uniforme di gran parata Fissato il giuoco dei soldati, i quattro ragazzi corsero a un piccolo sottoscala , che serviva da magazzino per il vestiario e per l'armamento, e si vestirono co n l'uniforme di grande parata. Ognuno si era fabbricato un cappello a modo suo. Il maggiore dei quattro fratelli, ossia Ernesto, aveva una specie d'elmo da cori sti, e lo chiamava l'elmo di Scipio; ma n lui n Scipione erano mai arrivati a sape rne il perch. Adolfo, ossia il secondo, portava in capo un chep di carta a fiori stampati, con

in mezzo una placca quasi inargentata dove c'era scritto: Generale e capo della fanfara. Difatti, Adolfo aveva l'obbligo di suonare il tamburo con la bocca e di fare, al bisogno, da grancassa e da corno inglese. Gigetto, negli esercizi militari, s'infilava in capo una papalina, che voleva es ser turca per forza, sebbene il babbo di Gigetto si ricordasse benissimo di aver la comprata e consumata a Firenze. Il minore di tutti, vale a dire Minuzzolo, era contentissimo di un vecchio berre tto di seta, da viaggio, sormontato da un'aquila con le ali distese, fatta di ce nci e di stoppa, e che, veduta da una certa distanza, poteva scambiarsi benissim o per un cane barbone, che tornasse a casa coll'ombrello aperto. Quanto poi all'armamento, avevano per fucili quattro manichi di granata, con un ferro da calza legato in cima, che faceva da baionetta; una giberna dipinta con l'inchiostro e fatta di cartoncino; e quattro foderi vuoti da sciabola che, a la sciarli fare, avrebbero preteso di essere gabellati per quattro sciaboloni di ac ciaio sopraffine. Fra i quattro ragazzi, quello a cui toccava la sorte di essere fatto generale di tutto l'esercito, aveva il diritto di mettersi in capo la luc erna di foglio, con un pennacchio della medesima materia: di legarsi al fianco l a canna, col pomo d'avorio, del genitore, e di conficcarsi dietro al tacco delle scarpe un paio di chiodi piuttosto lunghi, colla speranza che fiorissero presto e diventassero due speroni da ufficiale superiore di cavalleria. L'arrivo della torta Adolfo, com' naturale, accett il grado di generalissimo, che nessuno gli aveva off erto; e fatti mettere in colonna i suoi tre soldati, e levato il fodero... dalla guaina, grid, con quell'urlo stridente, alla militare, che pare il rumore di un fazzoletto strappato per il lungo colle mani: Marrrche! E il battaglione si mise in moto. Ma in quel frattempo entr nella stanza la serva di casa, con un vassoio in mano, e sul vassoio una bella torta ripiena di frutta, e sulla torta un biglietto riga to, celeste e bianco. Ernesto stese subito il braccio; e aperto il biglietto, lesse a voce alta queste parole: Giannettino, ricorrendo oggi il suo onomastico, regala e dedica agli amici la pre sente torta.... Un grido di gioia echeggi nella stanza, e i quattro ragazzi si precipitarono, com e un razzo solo, verso la torta. Ma ecco che Adolfo s'impadron del vassoio; e atteggiandosi a gran comandante, dis se ai suoi soldati: Alto l! Il generale sono io; e come generale, tocca a me a fare le parti del ranc io!. E nel dir cos, stacc con molta dignit un bel pezzo di torta e se la mise in bocca. I soldati gli dettero una guardataccia; ma il generale, che era un uomo prudente , si ripul dignitosamente la bocca, e fece finta di non aver visto nulla. Intanto Minuzzolo, che vedeva la torta in gran pericolo, si mise a piangere, e p iangendo diceva: Ih!... ih!... ih!... voglio fare il generale anch'io, se no, lo dico alla mamma. Adolfo. Sicuro, che hai da fare il generale anche tu; ma devi aspettare che ti t occhi. Minuzzolo. Bella forza! tocca sempre a te! Anche l'altro giorno volesti fare il generale di riffa, e con la scusa del generale, ci mangiasti la merenda a tutti. .. Ih!... ih!... ih!... lo voglio dire alla mamma! Ernesto e Gigetto. vero! vero!... Minuzzolo ha ragione! E senza perdersi in altri discorsi, i quattro ragazzi si buttarono sul vassoio d ella torta con una golosit cos indecente, che gli stessi cani (parlo dei cani amma estrati) si sarebbero coperta per pudore la faccia. Oh! Mi fai male alle dita! Ohi! Mi graffi! Vogliamo le parti giuste! Tu pigli il pezzo pi grosso!

Nossignore, il pezzo pi grosso il tuo! Facciamo adagino. Adagino un corno... Il pezzo pi grosso Che cos' tutta questa confusione? Non vi vergognate? grid all'improvviso una voce giovanile, fresca e sonora. I ragazzi si voltarono: era Giannettino. Dal giorno che Giannettino aveva cambiato vita e si era dato a studiare sul seri o, tutti i compagni sentivano per lui qualche cosa che somigliava a una specie d i soggezione. Non dir che lo temessero, no; ma lo rispettavano. Tant' vero che i quattro fratelli, appena udita la sua voce minacciosa, si ritira rono dall'assalto della torta e rimasero senza fiato e confusi, come se fosse en trato nella stanza qualche gran personaggio. Giannettino, facendo da paciere, volle conoscere il motivo del gran litigio; e q uando gliel'ebbero raccontato, dovette persuadersi che tutti e quattro avevano r agione, e che se c'era uno che avesse torto, questo era lui, Giannettino, perch a veva fatto la sciocchera di regalare una torta sola, invece di quattro. Datemi qui il coltello, che voglio fare le parti io disse Giannettino. Detto fatto, tagli la torta in cinque parti. Perch cinque parti, se siamo in quattro? domandarono i fratelli. E io?... disse Giannettino. I quattro fratelli, per prudenza, non protestarono; ma pensarono che quando si r egala una torta, sempre una grande mancanza di discrezione quella di volerla ass aggiare. Giannettino si era ingegnato di fare le parti uguali; ma l'occhio l'aveva tradit o. Io voglio questo pezzo qui! disse Gigetto, stendendo la mano sul vassoio. Nossignore, quello tocca a me, replic Ernesto. Perch a te? Oh bella! perch io sono il maggiore. Nossignore, tocca a me, perch io sono il minore disse Minuzzolo. I ragazzi pi picc ini, si sa, hanno sempre dei vantaggi... Se si dovesse fare le cose giuste, il pezzo pi grosso toccherebbe a me soggiunse Adolfo. E tu chi sei? Io, volere o no, sono quello che ho pi ingegno di tutti voialtri! Ecco lui, che si vanta sempre!... Io non mi vanto. Provatevi, se avete coraggio! Avanti: chi di tutti voialtri che sappia fare come me le capriole all'indietro? Io no. Neanch'io. Chi di voi, che sappia camminare, come me, con le mani per terra e con le gambe per aria? (Segni d'ammirazione e di stima su tutti i volti). Chi di voi che sappia mettersi in bocca una penna d'acciaio e farsela uscire dal l'occhio sinistro? Tu dirai bene soggiunse Giannettino ma io vorrei vedere il tuo grande ingegno in altre cose. Per esempio? Invece di fare il giuoco dei soldati, che stringi stringi non conclude nulla, fa cciamo piuttosto quello della scuola. Cio? Qualcuno di noi faccia da maestro, e tutti gli altri da scolari. Il maestro, col suo libro in mano, s'intende, interrogher a piacere; e chi risponder meglio, quel lo avr diritto di scegliere il pezzo pi grosso della torta. Vi garba? Chi ci sta, alzi la mano. I quattro fratelli, presi cos all'improvviso, alzarono tutti la mano, ma Iddio so lo sa con che cuore! Animo! Chi vuol fare da maestro? Io... disse Minuzzolo, facendosi avanti e camminando a passi lunghi per sembrare

pi uomo. Passa via! gli gridarono i fratelli. Il maestro dev'essere Giannettino! Vogliamo Giannettino! Viva Giannettino e la sua torta!

Il giuoco della scuola Il figlio della signora Sofia, commosso da questi segni di stima e di profonda g ratitudine, and a sedersi sopra una seggiola in mezzo alla stanza, e tutti gli al tri intorno a lui. Quindi, preso l'atteggiamento e l'intonazione di voce di un maestro vero, cominc i a dire con un certo sussiego: Oggi ripeteremo alcuni cenni sulle nozioni varie. Dunque, figliuoli miei, state bene attenti e cercate di non divagarvi... Ma che cosa vedo laggi? Si alzi, signo r Minuzzolo, e dia un'occhiata alle sue mani. Ebbene? domand Minuzzolo alzandosi, e guardandosi le mani. Non vede come sono macchiate d'inchiostro? Lo vedo. Mi pare che lei non sia un ragazzo troppo pulito. Pare anche a me soggiunse in buona fede Minuzzolo ma ne ho conosciuti degli altr i, che avevano sempre le dita insudiciate d'inchiostro. Basta cos. E che oggi fanno da maestri... Basta cos, ha detto! E che trattano come poco puliti i ragazzi come me... Si metta a sedere: ho capito! Mentre loro si lavavano le mani una volta l'anno... Basta! basta! basta! E se lei seguita un altro poco, la mando fuori di scuola. E io vado; ma prima voglio il mio bravo pezzo di torta. Via, via, finiamola una buona volta! soggiunse Giannettino, facendo il cipiglio e ingrossando la voce, per incutere un po' di rispetto nei suoi scolari. Quindi, tirato fuori dalla tasca un libro di istruzione elementare, conosciutissimo e u sato in tutte le scuole, and a pagina 152, e cominci le sue domande in questo modo : Si alzi, signor Ernesto, e risponda: che cos' l'aria? L'aria rispose Ernesto un corpo gassoso, elastico e trasparente. Quanto pi l'aria fredda, tanto pi densa e tanto pi pesa; quanto pi calda, tanto pi rarefatta e le era. Perci l'aria calda tende sempre a innalzarsi, e continuamente le succede l'a ria fredda, pi pesante dell'aria calda. Cos spesso si forma una corrente continua d'aria, che prende il nome di vento. L'aria leggiera d'ordinario densa di vapori e di nuvole; l'aria pesante per lo pi pura e serena. Che cos' l'atmosfera? L'aria circonda tutto il globo terracqueo per l'altezza di molti chilometri, per quanto ne possiamo sapere noi. Questo involucro trasparente della Terra si chia ma atmosfera. L'atmosfera un miscuglio d'aria, di vapori e di vari gas. Guai se i venti non la purificassero! Se non ci fosse l'aria, nessun uomo, nessun animal e, nessuna pianta, nessun'erba potrebbe vivere e vegetare; perch l'aria necessari a alla respirazione degli uomini, degli animali e delle piante. Che cosa s'intende per aria sana? L'aria sana per l'uomo quella fresca, pura, asciutta; essa ci mette appetito e c i fa dormire saporitamente. Non sano abitare, e tanto meno dormire, in camere piccole, dove sia radunata tro ppa gente, o nelle stanze appena intonacate, oppure in quelle dove si tengono di notte vasi d'agrumi, di fiori e di erbe odorose. L'aria, penetrando nelle sostanze mangerecce, le altera e le guasta. Perci, volen do conservare la frutta, le uova, la carne, il vino, conviene impedire che l'ari a vi penetri dentro. Quindi il vino si mette in bottiglie tappate con sugheri e col catrame: le uova s'immergono nell'acqua di calce; i grani in alcuni paesi ve ngono sotterrati; la frutta si tiene sotto il miglio, le castagne nella sabbia, e diversi altri commestibili nell'olio. L'aria propaga il suono e lo porta lontano; l'aria senza colore e viene attraver sata dalla luce; si pu comprimere con l'aiuto di alcune macchine; ma, abbandonata

a se stessa e resa libera, riprende il suo volume; cio l'aria sommamente elastic a. Con la macchina pneumatica si pu togliere l'aria contenuta sotto una campana di v etro, in modo che sotto a questa si formi il vuoto. Posto sotto la campana un uc cello, la povera bestia muore, perch non pu respirare. L'aria molto umida, calda o fredda che sia, o contenente gas irrespirabili o puz zolenti, sempre nociva. Quindi Giannettino continuando a far da maestro, interrog i suoi quattro compagni , che facevano da scolari, su tutto quanto avevano imparato nella scuola di nozi oni varie fino a quel giorno. Parlarono del barometro, del termometro, del suono , della grandine, della pioggia, della neve, del vento, del fulmine, del terremo to e via dicendo. 19 CATTIVI COMPAGNI Giannettino una mattina chiese venti lire a sua madre per comprarsi un bell'atla nte geografico, rilegato in marocchino rosso, che aveva veduto nella vetrina di un libraio. Eccoti le venti lire disse la signora Sofia e invece di dargliele di carta, gli pose in mano un bel napoleone d'oro. Perch allora i napoleoni d'oro c'erano. Oggi invece... Quindi soggiunse: Bada bene: stasera voglio vedere l'atlante in casa! Diavolo! replic Giannettino, quasi offeso avresti forse dei dubbi?... Io non dubito di nulla; ma so che il maestro mi dice sempre: Giannettino un brav o ragazzo: studia bene, si fa onore; ma un peccato, un vero peccato, che abbia p er compagni le birbe pi matricolate della scuola. Che vuoi? Per quel benedett'uomo del maestro tutti i ragazzi che hanno un po' di passione per il giuoco della palla sono tante birbe matricolate. Io non ti dico altro soggiunse sua madre. Guardati dai cattivi compagni e te ne troverai bene. Ma dove sono questi cattivi compagni? replic il ragazzo, riscaldandosi un poco. E tanto tempo che ne sento parlare ma io, per ora, non li ho veduti n conosciuti m ai. Ci saranno questi cattivi compagni, non dico di no...; saranno anche pericol osi: ma sai per chi? per i ragazzi che sono stati sempre attaccati alla gonnella della mamma; ma per gli uomini furbi e per le persone svelte come me (e qui Gia nnettino si rizz in punta di piedi per sembrare pi grande) ci vuol altro che catti vi compagni! Non far vedere i quattrini! Arrivato a scuola, Giannettino, per una specie di vanit comunissima a tutti i rag azzi (e spesso e volentieri anche agli uomini fatti), tir fuori il suo bravo napo leone d'oro, e con la scusa di voler sapere se era vero o falso, lo mostr agli sc olari che aveva accanto. Gli scolari che aveva accanto, com' naturale, lo passarono a quegli altri che ven ivano dopo, e cos, passando di mano in mano, il napoleone d'oro fece trionfalment e il giro di tutte le panche, in mezzo alle esclamazioni bisbigliate sottovoce: C om' bello! Guarda come lustro! Ne piglieresti una tascata?... Bella cosa se piove ssero napoleoni!... e altre simili. Dopo la scuola, quattro o cinque dei soliti compagni si fecero intorno a Giannet tino, dicendogli: Dunque si va?... Dove? A giocare a palla. Oggi non posso rispose Giannettino bisogna che vada subito a comprare un atlante geografico. Hai paura che l'atlante ti scappi? Lo comprerai domani. No: voglio portarlo a casa stasera. Ho dato la mia parola alla mamma. Tira via! Con la mamma non ci si bada!... disse uno dei compagni. Con la mamma si fa sempre a confidenza! soggiunse un altro.

Giannettino, che aveva una gran voglia di lasciarsi persuadere, rest subito persu aso; e and coi compagni a giocare a palla. All'ostera Era quasi notte, e giocavano sempre. Alla fine, stanchi, scalmanati, sfiniti, bianchi di polvere dalla testa ai piedi come tanti mugnai, se ne vennero via tutti insieme; e passando dinanzi a un'ost eria, uno di loro disse: Se io non bevo, muoio dalla sete! Anch'io! Anch'io! Anch'io! Entrarono e chiesero del vino. Io prenderei un po' d'acqua fresca disse Giannettino, il quale per la prima volt a nella sua vita metteva i piedi in un'osteria, e quasi si vergognava d'esservi entrato. Ho capito! soggiunse uno degli amici. Il vino ti fa male. Portategli un bicchier di latte a questo povero bambino. Giannettino, toccato sul vivo dalla canzonatura del compagno, riemp un bicchiere di vino e lo tir gi d'un fiato. Allora i compagni chiesero qualche cosa da mangiare. Chi volle del salame, chi una bistecca e chi del cacio pecorino. Ehi, ragazzi! osserv Giannettino ma qui, se non sbaglio, volete fare una cena in piena regola. Che te ne importa? Hai forse paura che si faccia pagare il conto a te? risposero i compagni a una voce. Giannettino da principio si fece un po' pregare; ma poi, cedendo alle tentazioni di un appetito che somigliava moltissimo alla fame, fin col mettersi a tavola e mangi e bevve come tutti gli altri. Chi paga la cena? Quando ebbero finito, il pi furbo della brigata disse: Propongo una cosa; si giuoca fra noi a chi deve pagare la cena per tutti? S! s! Fuori i dadi! gridarono gli altri. Giannettino, a dire la verit, avrebbe preferito pagar la sua parte e andarsene a casa: ma oramai era in ballo, e bisognava ballare sino in fondo. E poi c' da dirn e un'altra: quel bicchiere di vino, bevuto tutto d'un fiato, cominciava a fargli un po' di chiassino nelle gambe e nel cervello. I dadi furono interrogati; e tocc a Giannettino pagare per s e per tutto il resto della comitiva. Nove lire in tutto, pi la mancia per il cameriere. Io voglio giocarmi questi ultimi soldi disse il pi furbo, mettendo sulla tavola u n biglietto da cinque lire. Io non giuoco disse Giannettino. Fai male rispose l'altro. Io giuoco apposta queste cinque lire, per farti ripren dere i quattrini della cena. Giannettino che sentiva limarsi lo stomaco dalla passione di non aver pi in tasca il suo napoleone intero, tentenn un poco e poi disse: Ebbene... giochiamoci le cinque lire!... Le gioc e le perse. La rivincita! Io non voglio saper di rivincita replic Giannettino stizzito. Ho perso altre cinq ue lire, e mi basta. E io voglio darti la rivincita strillava l'altro. E io non la voglio urlava pi forte Giannettino. Ma ti pare disse il compagno abbassando la voce e pigliando un tono affettuoso e compassionevole -- ma ti pare che io possa andare a letto col rimorso di averti vinto cinque lire? Non potrei chiudere un occhio in tutta la notte: vedi, anche a vincerti un soldo solamente, mi parrebbe quasi di avertelo rubato. Ebbene... vada la rivincita delle cinque lire balbett fra i denti Giannettino, e si alz. E appena che si fu alzato cominci a capire che due gambe sole sono piuttosto poch

e, e ce ne vorrebbero forse quattro per tenerlo ritto in piedi un giovinetto che abbia bevuto troppo vino. Com'era da aspettarselo, anche le altre cinque lire sfumarono. Se vuoi soggiunse il furbo, fingendosi mortificato posso darti la rivincita dell e dieci lire. Come vuoi tu che giuochi, se non ho pi nemmeno un soldo? rispose Giannettino, fru gandosi indispettito per tutte le tasche. Questo importa poco: se ti fa piacere, puoi giocare dieci lire sulla parola. Giochiamo anche dieci lire sulla parola! grid Giannettino, a cui quel bicchiere d i vino aveva messo in corpo un coraggio da leoni. Giuoc... e rest debitore di dieci lire perdute sulla parola. Allora divent malinconico e taciturno. A che cosa pensi? Penso a quelle dieci lire, che dovr pagarti domani! Non so proprio dove andarle a pescare. Ci vuol poco! disse uno della brigata. Cio? Devi confessare ogni cosa a tua madre. A mia madre? povera donna! sarebbe lo stesso che darle un gran dispiacere. E allora c' un altro rimedio! Dimmelo. M'immagino che tua madre avr dei braccialetti, degli anelli, degli orologi, delle spille d'oro... Ebbene? domand Giannettino turbandosi. Ebbene... il resto chiaro come il sole. Acciuffa un orologio, una spilla, un bra ccialetto... insomma quel che ti capita fra le mani e portamelo. Dopo penso io a trovarti i quattrini. Ma voi altri dunque m'insegnate a rubare! url Giannettino quasi impaurito. Ma che rubare? quello che si piglia in casa, per tua regola, non mai rubato risp ose quel ragazzaccio cattivo e disonesto. Le palline di mollica Intanto che Giannettino stava giocando e chiacchierando, si era divertito, secon do il suo solito, a fare con la mollica di pane delle grosse palline; e, fatte c he le ebbe, ne scagli una verso un suo compagno, seduto in fondo alla tavola. Ma fece cilecca, e la pallina and a colpire la punta del naso d'un giovinetto, ch e, solo solo, stava cenando in un angolo della stanza. Brutte marmotte! grid il giovinetto alzandosi inviperito e col pugno per aria, in atto di voler picchiare. I ragazzi, vista la mala parata, non stettero a dire che c' e che non c'; ma infil arono la porta, e via. Per altro, non appena furono un quaranta passi distanti dall'osteria, si fermarono, e voltandosi indietro presero a dire fra di loro: Hai sentito?... Ci ha chiamati brutte marmotte! Marmotte... una grande offesa! Sicuro, che una grande offesa! E ci deve chiedere scusa! Benissimo! E ci deve chiedere scusa! Aspettiamolo qui. Aspettiamolo pure disse Giannettino ma ho paura che le prenderemo. E pi grande e pi grosso il doppio di noi. E che vuol dire se pi grosso di noi? E solo, e noi siamo in sei. In quel mentre il giovinetto usc dall'osteria. Eccolo! dissero i ragazzi, che lo videro in distanza. E ora chi di noi lo va a fermare? Io no. Neanch'io. Nemmeno io. Tocca a Giannettino. E perch proprio a me? Gua' ! Perch sei il pi forte e il pi coraggioso di tutti. Giannettino, sentendosi accarezzato nel suo debole, si tir il cappello sulle vent

itr, serr con forza i pugni, e presa quell'andatura spavalda di chi non ha paura d i nessuno, si mosse incontro al giovinetto. Quando gli fu davanti, ingross la voce pi che pot, e con una specie di rantolo mina ccioso gli disse: Permette una parola? Ah! siete sempre qui, brutte marmotte? grid quel giovane: e senza stare a dir alt ro, cominci a versare sul capo di Giannettino una serie di scapaccioni, che, al r umore, parevano una scossa di grandine che battesse in una vetrata. Giannettino, non potendosi difendere da solo, si volt indietro per chiamare in ai uto i compagni. Ma i compagni non c'erano pi! I compagni, secondo il solito, eran o scappati tutti. Lo arrestano per ladro Mentre Giannettino, mezzo rintronato dalle busse piovutegli fra capo e collo, st ava cercando per terra il cappello che aveva perduto, si sent afferrare per il ba vero del vestito da una mano forte come una tenaglia. Si volt... e figuratevi come rimase, quando vide che quella mano era la mano di u n carabiniere! Frugatelo! frugatelo! gridava intanto l'oste, che veniva avanti correndo, e soff iando come un mantice. Frugatelo! perch fra questi sei canarini il ladro ci dev'e sser di certo. Giannettino, che in tutto quel voco non capiva nulla, si lasci frugare. E nel frugarlo il carabiniere gli tir fuori dalle due tasche della casacchina un tovagliolo, due forchette, tre coltelli e una mezza forma di cacio pecorino. L'oste riagguant subito la sua roba, e voltandosi a Giannettino, cominci a urlare, spalancando una bocca che pareva un forno: Bravo ragazzo! Hai cominciato presto a lavorare di fine con le cinque dita. Se sg uiti di questo passo, farai una bella carriera! Alle strane parole dell'oste e alla vista di quel tovagliolo, di quelle forchett e, di quei coltelli e di quel cacio pecorino, il povero Giannettino credeva prop rio di sognare, di trovarsi in un altro mondo o che gli avesse dato di volta il cervello. Rintronato, intontito, senza cappello in testa, senza pi cravatta al collo, col v iso tutto sangue e lividi, girava gli occhi spalancati in qua e in l, senza poter spiccicare una sola parola. Come ti chiami? gli domand il carabiniere, riafferrandolo per il bavero. Giannettino, a sentirsi dare del tu, prov una stretta al cuore da non dirsi. Io mi chiamo... Giannettino... E dove andavi?... Volevo andare a casa mia... A casa ti ci manderemo domani. Stanotte bisogna dormire alla Questura. Alla Questura!!... grid il ragazzo, con un urlo straziante e dando in uno scoppio di pianto. Ma perch mi vuol portare alla Questura? Io sono una persona dabbene.. . io sono un galantuomo... E io? disse il carabiniere Io sono pi galantuomo di te; perch io fra poco ho trent 'anni sonati, e ancora non ho rubato n tovaglioli, n forchette, n coltelli, n forme di cacio pecorino. Oh Dio mio!... oh Dio mio!... cominci a urlare pi forte Giannettino, piangendo e d isperandosi. Ma come, signor soldato... dica la verit... lei pu credere che io sia un ladro?... Ma mi guardi in viso... mi faccia il piacere, signor soldato, mi g uardi in viso... e poi mi dica se le sembro un ladro... Oh, povera mamma mia! Se tu sapessi a che cosa mi sono trovato!... Per carit, signor soldato, se domani p er caso vedesse la mia mamma, non le racconti nulla... mi raccomando!... Povera donna... la farebbe morire di vergogna o di crepacuore. Su, su, da bravo, e camminiamo spediti! disse il carabiniere rialzandolo da terr a, per farlo muovere. Ma dunque ripigli a urlare il ragazzo dunque non ci vuol credere che io sono un g alantuomo?... Glielo giuro: io non ho mai portato via nulla a nessuno; piuttosto morirei!... Quei tovaglioli e quelle forchette... dev'essere una burla dei miei compagni. M'hanno fatto bere... e il vino mi ha fatto male: me lo merito; se and

avo a casa!... Mi lasci andare a casa, signor soldato, ecco... mi lasci andare! E tanto tempo che la mamma mi aspetta... e Dio sa quanto ha pianto! Mentre il nostro Giannettino urlava e si raccomandava cos, pass una carrozza, che andava a rotta di collo. Allo sportello della carrozza si affacci una testa e si sent una voce di dentro, c he grid al cocchiere: Ferma! ferma! ferma! Appena la carrozza si fu fermata, salt gi a terra una specie d'ombra scura, la qua le a motivo della serata molto buia, non si poteva distinguere se fosse uomo o d onna. Ma Giannettino la riconobbe subito, e cominci a gridare: Oh mamma! Oh mamma mia! La signora Sofia strapp il ragazzo dalle mani del carabiniere e lo port quasi di p eso in carrozza. Il carabiniere voleva protestare; ma il dottor Boccadoro, affacciatosi allo spor tello, gli dette il suo nome: e la carrozza, voltando indietro, ripart a rotta di collo. Da quella brutta avventura in poi, Giannettino era solito dir sempre, che i catt ivi compagni sono la pi gran disgrazia che possa toccare a un ragazzo. 20 LO SCARTAFACCIO DEL DOTTORE Circa un mese dopo quello sciagurato avvenimento, che era costato a Giannettino tanto spavento, tanta umiliazione e tanta vergogna, il dottor Boccadoro chiam un giorno a casa sua tutti e cinque i ragazzi e mostrando uno scartafaccio un po' i ngiallito dal tempo disse loro: Qui ci sono favole, novelle, indovinelli: Oh bene, gli indovinelli! esclam Minuzzolo. Io ne so diversi... Ce li dirai, eh? dissero gli altri. Sicuro. Io vi permetto di leggere questo scartafaccio ogni gioved continu a dire il dottor Boccadoro finch non l'avrete scorso tutto; ma in questa stanza e senza n insudici arlo n sgualcirlo, perch un caro ricordo dei miei anni, quando non erano pi dei vos tri. Oggi vi legger io alcune favole, poi ognuno di voi legger a turno ogni gioved, e quelle che vi piaceranno di pi potrete copiarle. Non incontrerete difficolt nel leggerli, perch anche da ragazzo avevo una bella scrittura. Ed un caso, perch, in generale, medici e avvocati, fanno zampe di gallina. Ma prima di cominciare la lettura, che sar breve, perch fra tre quarti d'ora ho da fare una visita, ci vogliono quattro parole d'introduzione. La favola il racconto di una cosa finta, inventata per ammaestrare o per diletta re. Dalla favola si ricava la morale, che per lo pi collocata alla fine, come con clusione. L'asino e il cavallo Dunque, c'era una volta in un circo equestre uno splendido cavallo dalle forme s nelle ed eleganti, che nitriva e scuoteva la criniera in attesa che lo montasse il solito cavallerizzo. Questi, finito di indossare l'abito dai vivaci colori, monta d'un salto in gropp a all'animale e gli fa eseguire mille giuochi e mille volteggi fra gli applausi calorosi degli spettatori, che gremivano il circo. Assisteva allo spettacolo anche un asinello, che sopra un enorme basto sosteneva un rozzo contadino dai modi bruschi e dalle mani pesanti. L'asino vide, e, avido di gloria, poich la gloria non soltanto desiderio dei poet i e degli eroi, ma anche degli asini, volle fare altrettanto. Spicca un salto cos a un tratto, da far cadere il padrone nell'arena, e, giunto i n mezzo al circo, incomincia a far salti e a tirar calci, in modo cos strano, gof fo e ridicolo, che gli spettatori prorompono in risate, fischi ed invettive, men tre l'asino, soddisfatto di s, si applaude ragliando. Ma intanto il contadino si rialzato, e, preso a due mani un bastone, raggiunge i l borioso e stupido asinello e lo carica di legnate, accompagnandolo cos fino all

a stalla... I ragazzi, che durante il racconto del Dottore trattennero a stento le risa, qua nd'egli fin, dettero in una rumorosa risata; ma il dottor Boccadoro lasci fare, e poi riprese: La tavoletta vi ha divertito, ma nessuno ne domanda la morale. Oh! giusto! Qual ? Ce la dica, ce la dica. Potreste ricavarla da voi; ma andiamo avanti. La morale questa: Ogni giorno nel mondo si vedono asini simili a questo, che vogliono, cio, gareggia re coi cavalli; ma, purtroppo non tutti ne sono distolti dalle sante legnate di qualche uomo assennato. La scimmia Una scimmia, mettendo a profitto la propria bruttezza, and come buffone in una ri cca casa, e seppe con le sue burle, qualche volta anche impertinenti, cos diverti re e provocare il riso, che non di rado ebbe le spalle accarezzate dal bastone. Per esempio, se veniva il medico, col passo grave e la fronte corrugata, lo scim miotto con un rapido gesto gli portava via la parrucca... A quei tempi si usava la parrucca col codino. Era poi da sbellicarsi dalle risa vederla ficcarsi la parrucca a sghimbescio, e con un'aria mesta avvicinarsi al letto del malato, tastargli il polso e crollare il capo comicamente: sembrava addirittura un medico: non gli mancava che la lau rea. E quando, indossati gli abiti di qualche giovanotto galante, ne imitava le mosse, il portamento, le riverenze, pareva proprio un damerino. Cos essa passava il tempo tranquillamente. Ma un giorno il padrone, stufo che si ridesse sempre alle spalle delle persone, volle ridere una volta almeno alle spalle della scimmia. E, messosi subito all'opera, tira fuori un rasoio, il sapone, lo specchio e comi ncia, dopo essersi ben bene insaponato le guance, a radersi la barba. Appena finito, si alza e se ne va, lasciando tutto cos come stava; ma si ferma dietro la porta, sicuro di assistere ad una graziosa scenetta . Infatti la scimmia, che non aveva tolto gli occhi un momento di dosso al padrone , balza sulla sedia, afferra il pennello della barba, e se lo passa per tutto il muso, anche sugli occhi; ma quando comincia a darsi il rasoio sulle guance pelo se, son tagli, gemiti, urla da mettere sottosopra tutta la casa. Questa una lezione per coloro che credono di rendersi graditi facendo i buffoni. Ma spesso capita loro come alla scimmia; cio che se non si taglieranno proprio co l rasoio, certo dovranno fare degli strappi alla dignit e qualche volta anche all a coscienza. Il Cane signore e il Cane povero Il Cane signore, avendo trovato un giorno aperto il cancello del giardino, ed es sendo una magnifica giornata, ebbe desiderio di fare una passeggiata all'aperto, in piena campagna. Cammina cammina, si trov dinanzi alla casa d'un contadino, vi cino alla porta della quale vide accucciato il Cane da pagliaio. Gli si avvicin, gli domand se sapeva indicargli in quelle vicinanze una fonte o un ruscello per dissetarsi. Per trovare una fonte o un ruscello dovrebbe camminare parecchio rispose l'altro alzandosi rispettosamente in piedi ma io posso offrirle acqua quanta ne vuole.. . Passi in casa, se non le dispiace. Il Cane signore pass; ma alla vista di quella cucina tutta affumicata, strinse le labbra e sgran gli occhi con stupore e con disprezzo. E quando poi l'ospite gli present sotto l'acquaio un vecchio tegame sbocconcellato con dell'acqua, egli fece boccuccia; ma la sete era cos prepotente, che lo costrinse a vincere la ripugnanza, e bevve. Se ha fatto una lunga passeggiata disse il Cane ospitale con la pi sincera genero sit deve avere anche un po' d'appetito; ed io mi stimo fortunato di poterle offri re qualche cosuccia alla buona. E senza aspettare risposta, gli indic l presso, in un coccio, un miscuglio di zupp a. Oh questo poi no! esclam il Cane signore con un gesto di disgusto. Il mio stomaco , avvezzo a vivande delicate, non potrebbe sopportare un cibo cos grossolano! Anz

i, mi stupisco che voi possiate adattarvi a questa miseria di abitazione e di nu trimento. Mi fate veramente compassione! E a testa alta, senza nemmeno ringraziare, se ne and. Sar ricco mormor il Cane da pagliaio mortificato ma gli manca l'educazione, mi par e. Il leone e la volpe Nel regno animalesco dell'Africa, un leone, ammalatosi, s'era ritirato in fondo a un antro dalla stretta imboccatura. Tutti gli animali si facevano un dovere di andare a visitare il loro re, e vi si recavano col massimo rispetto. Anche la volpe, da quella politicona che , non vo lle mancare a questo dovere, e arriv fino all'imboccatura dell'antro, di dove, fe rmatasi, chiese con voce soave, ma un pochino canzonatoria: Come va la salute di Vostra Maest? Ba' !... Non c' male; grazie rispose il leone con voce che cerc invano di rendere meno terribile. Ma perch non vieni avanti? aggiunse. No n vedi le orme degli animali che sono venuti a trovarmi? Appunto, Maest, rispose melliflua la volpe. Vedo le orme degli animali che sono v enuti a farvi visita, ma non vedo le orme di coloro che son tornati indietro. La tavoletta c'insegna che prudente non fidarsi dei tristi. L'aquila e il gufo Dopo molte contese, l'aquila e il gufo fecero pace; ma siccome il gufo temeva pe r i suoi piccoli, volle dall'amica il giuramento di rispettarli; e perch potesse distinguerli dagli altri, gliene fece la descrizione. L'aquila non poteva sbagliare: i piccoli gufi erano, al dire del loro babbo, i p i graziosi uccelli del creato: avevano le penne lisce, morbide e variopinte, e un a voce, una voce... che gareggiava con quella dell'usignolo. Finalmente, da buon i amici, i due uccelli si separarono. Pochi giorni dopo, l'aquila, affamata, capita nel tronco vuoto d'un albero, dov' era un nido di gufi piccoli, meschinelli, spelacchiati e che mandavano strida co s rauche che, Dio ce ne scampi e liberi, straziavano le orecchie. Ih! Come sono brutti! esclam l'aquila. Fanno piet! E per la troppa compassione, li divor in quattro e quattr'otto. Stava ingoiando l'ultimo boccone, quando apparve il gufo, e, vista la strage, si rivolse all'aquila chiamandola spergiura, bugiarda e inumana! E l'aquila, con tutta calma: Ma che colpa ne ho io? Tu me li avevi descritti cos perfetti, che nel vedere ques ti miseri scheletrucci, non ho pensato neppure lontanamente che potessero essere i tuoi figliuoli. Appena il Dottore fin il racconto, Giannettino disse: Se permette, voglio provarmi a cavarne io la morale. Oh il moralista! scapp detto a Minuzzolo. Lascialo dire: sentiamo. Ecco: l'aquila l'immagine del prepotente che opprime i deboli; ma la favoletta am maestra che i genitori credono sempre i figli molto superiori a ci che siano in r ealt. Precisamente! replic il Dottore. E puoi aggiungere che altrettanto ci accade per tutte le nostre opere, che a noi sembrano sempre perfette. Il gatto e il pesce dorato Ed ora basta disse il Dottore. Ma i ragazzi lo pregarono di continuare, ed egli compiacente disse: Nel fondo di una vasca di marmo guizzava ed eseguiva mille giravolte e mille mos se capricciose ed agili uno splendido pesce dalle squame variopinte e lucenti. Accoccolato sull'orlo della vasca, un gatto soriano, dal pelo lucido e dall'aspe tto tranquillo, faceva, beato, le fusa; ma ogni volta che il pesce si accostava all'orlo, s'alzava repentinamente con gli occhi fissi e la coda inarcata, per po i tornare nella comoda posizione di prima, appena il pesce si allontanava. Ed ec co che questo, a poco a poco, s'avvicina sempre pi al gatto, e il gatto smette di far le fusa, e segue attentamente ogni mossa del pesce dorato. Perch, bisogna confessarlo, questo gatto era un ghiottone, ma di quelli!... e spe

rava che il pesce fosse altrettanto buono quanto lo promettevano le splendide sq uame dai riflessi dorati. Il gatto comincia a spazientirsi: stende la zampa, la tuffa un pochino, ma la ri tira subito e la scuote; accosta il muso, tocca l'acqua appena, e sbuffa... Fina lmente il pesce viene a fior d'acqua e s'indugia un pochino... In un lampo il ga tto pronto lo afferra: l'addenta, mastica... gusta... assapora... Che delusione! Il pesce, cos bello esternamente, era insipido, disgustoso. Il gatto non fin neppu re di mangiarlo; sbadigli, si stir un pochino e si mise a dormire. Se fosse stato uno di voi, avrebbe subito pensato che l'abito non fa il monaco, se ntenzi il Dottore. O che l'apparenza inganna, aggiunse Giannettino. Bravo, bravo! approv il Dottore. Sentite quest'altra. La mosca e il moscerino Nel pieno solleone di agosto un forte contadino era curvo sull'aratro, e ogni ta nto pungeva i buoi per farli lavorare con pi lena. Una insolente mosca volava intanto dalla schiena di un bue su quella dell'altro, e in fretta poi tornava sull'aratro, dandosi un gran da fare. Suda, smania, s'a ffanna, corre, ronza, non si ferma un momento. Sembrava un candidato al Parlamento, alla vigilia delle elezioni... . Un mosceri no, passando, meravigliato le chiese: Perch ti affanni tanto? Che fai? Non vedi ignorantello, rispose la mosca altezzosa, con aria d'importanza ariamo i campi. E riprese a svolazzare con pi lena di prima. Il moscerino la guard ancora un poco, rise e si allontan canticchiando un'arietta popolare, e pensando che E' ASSAI COMUNE USANZA IL CREDERSI PERSONA D'IMPORTANZA. 21 TEMPO DI ESAMI Intanto si avvicinava il tempo degli esami. Giannettino, sebbene vi si fosse pre parato benissimo, diceva al Dottore: Non so perch, ma il pensiero degli esami mi mette addosso un'agitazione e una pau ra da non credersi. E il Dottore gli rispose un giorno: Non solo c' da sperar bene, ma per conto mio sono sicuro. Prova ne sia, che ho fa tto di gi preparare il baule per il nostro viaggio. Quale viaggio? domand Giannettino tutto allegro. Volevo aspettare a dirtelo; ma oramai il segreto m' scappato di bocca, e ci vuol pazienza. Sappi dunque che, d'accordo con i tuoi genitori, ho fissato che, subit o dopo l'esame, se l'esame andr bene, ti condurr a fare un giro per le principali citt d'Italia. Sei contento? Si figuri! rispose Giannettino, con voce commossa faccia conto che io le abbia d etto grazie mille volte, e poi da capo. Immaginate se Giannettino lasciasse tranquillo il dottor Boccadoro su quella fac cenda del viaggio. Un giorno, che era presente il capitano Ferrante, tornato per qualche mese in fa miglia, domand al Dottore: Lo farebbe, lei, un bel giro anche fuori d'Italia? E perch no? Oggi, con le vie e i mezzi di comunicazione di cui possiamo disporre, in pochi giorni si va da un capo all'altro del mondo. Una volta, sai? per un vi aggio di cento miglia si faceva testamento, si suol dire, perch vi s'impiegavano delle settimane lunghe e fastidiose; non senza il pericolo di rimanere a mezza s trada o di tornare con qualche mutamento nei connotati. Gi, ora ben diverso aggiunse il capitano. Figurati, che con la ferrovia detta la peninsulare, in meno di tre giorni, si va da Londra a Brindisi! Da' un'occhiata alla carta geografica, e vedrai che po' po' di chilometri di strada! Se tra l'Inghilterra e la Francia c' il canale della Manica, come fa il treno a p

assare? chiese Giannettino. Grullerello che sei, a volte! gli grid lo zio. S'intende che la ferrovia giunge s ulle coste dell'Inghilterra e poi bisogna attraversare la Manica col piroscafo.. . Insomma, la peninsulare parte da Londra e va a Dover (sulle coste meridionali della Gran Bretagna); da Dover a Calais attraversa la Manica, poi riprende il tr eno che tocca Parigi e Digione; passa sotto la galleria del Moncenisio, giunge a Torino, prosegue per Bologna, Ancona, Bari e termina a Brindisi; dove i passegg eri e la posta, detta Valigia delle Indie, continuano il viaggio sul piroscafo p er Bombay. Il dottor Boccadoro non metteva bocca nel discorso: ascoltava il capitano Ferran te che poteva meglio di lui soddisfare la curiosit di Giannettino. Giannettino parte Giannettino super gli esami con una bella votazione di nove e di dieci, e la matt ina dopo un nuvolo di parenti e di amici accompagnarono alla stazione della stra da ferrata lui e il dottor Boccadoro. E tutti vollero dare al giovane viaggiatore una litana di ricordi e di avvertimen ti. Divertiti! gli disse Gigetto. E rammentati di scrivere! gli disse Adolfo. Obbedisci al Dottore! gli disse suo padre. E non ti strapazzare tanto! gli disse la mamma. Se trovi una scimmiettina viva, ricordati di portarmela! gli disse Minuzzolo in un orecchio. Chi lo sa quanto questa storia sarebbe durata, se le guardie della stazione non avessero gridato: Partenza! Allora si sent uno sbatacchio di tutti gli sportelli dei vagoni, e poi una campanella, e poi un fischio; e la locomotiva, ansando e s buffando faticosamente, come un ghiottone che abbia mangiato troppo, si mise in moto, lasciando dietro di s una lunghissima coda di fumo.

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