Ho vissuto in Italia per quasi 10 anni sognando di tornare a casa. L’Iraq
per me era un autentico sogno, lo è anche adesso, ma un sogno che a volte diventa incubo. Il mio primo rientro in Iraq è stato nel 2001, già conoscevo la situazione sotto embargo, solo che non ero al corrente del deterioramento, passatemi la cosa, ma comunque era il mio paese, poi ci sono rimasto così poco che non ho avuto il tempo di paragonare il sogno alla realtà che già ero in Italia, nuovamente a sognare il mio Iraq. Ero consapevole che al mio rientro avrei trovato le cose cambiate, ma i sogni sono fatti apposta per decontestualizzare ed evadere o migliorare la realtà. Peccato che in questo mio sogno non ho potuto mantenere mia moglie, che appena ha messo piede in Iraq, ha subito contestualizzato, pur venendo anche lei con un suo sogno. Che dire del mio Iraq pre-Saddam E durante Saddam? Certamente è bello, bellissimo, un sogno, è vero ogni iracheno è un re, abbiamo tutto e prova ne è che la vita anche adesso non è stressante come qui. L’incubo lo vivo in Italia con la frenesia dell’Occidente. In Iraq abbiamo vissuto periodi diversissimi nella nostra storia, ma sempre siamo stati fieri della nostra terra e ci sentiamo bene solo nella nostra terra, finchè ci lasciano vivere in pace. Il passato era bello, non solo quando un dinar iracheno valeva 3.5 $, immaginate, sguazzavamo nell’oro, eravamo la Dubai di oggi. Ma era bello anche sotto il regime di Saddam, certo con i suoi annessi, ma se capisci le regole del gioco, giochi e puoi vincere e i cristiani vincevano: erano liberi di praticare la loro fede e se non dicevi apertamente la tua idea politica stavi bene, non eri perseguitato. Oggi invece ci sono tanti, tantissimi problemi, uno di questi è la libertà! Gli iracheni hanno bisogno di essere educati alla libertà, come ogni essere umano, del resto. Sembra ovvio e risaputo che la libertà individuale finisca dove inizia quella altrui, ma non lo è affatto! Specialmente quando accade che diverse forze e gruppi repressi per anni tutto d’un tratto si ritrovano liberi, è un’esplosione di libertà. La libertà è cosa buona, ma le esplosioni un po’ meno, e l’Iraq è stato e continua nostalgicamente ad essere tutta un’esplosione di qualsiasi cosa, rabbia, bombe, esseri umani, animali, corruzione, disordini, inquinamento, malattie, violenze. Dopo sette anni di lontananza, ho trascorso un mese a casa mia nel nord Iraq, a Bartella, 29 Km da Mousul, il paesino da dove viene anche Padre Aiman. In questo tempo abbiamo incontrato la gente e l’abbiamo ascoltata, tutti hanno bisogno di parlare, di raccontarsi, di far conoscere quali sono le loro sensazioni, sogni, rammarico, speranza, paura. È risultato che in tutti vive il ricordo dei bei tempi, anche della bellezza nella bruttezza. Certamente peggio di ora forse non c’è stato, per cui tutti o quasi tutti vi diranno che sotto Saddam sicuramente si stava meglio: almeno nessuno ti cacciava via di casa e nessuno faceva la fame o moriva saltando in aria al mercato o aspettando l’autobus. Dunque quale è il mio Iraq oggi che posso raccontarvi? Come avete potuto vedere dalle foto l’Iraq oggi ha un fondamentale problema, ed è un problema matematico, direte, ovvio i numeri li avete inventati voi con gli amici indiani. È vero. Ma perché è matematico? Perché ciò che regna è la divisione! Nord-Sud, ricostruito-distrutto, cristiano-curdo, sunnita-sciita, pulito-sporco, malato-sano. Due volti della stessa medaglia, un unico paese diviso. In molti vogliono dividere l’Iraq, e alle divisioni poi si aggiungono le addizioni, i piccoli se vogliono sopravvivere devono unirsi ai grandi e bisogna vedere se i grandi vogliono accoglierli. Come al solito le minoranze hanno problemi e l’Iraq è un buon patchwork di minoranze di ogni genere: da quelle etnico religiose a quelle politiche ed economiche. In questa matematica irachena le regole si stravolgono, solitamente il contrario dell’addizione è la sottrazione, questa volta il contrario dell’addizione, intesa come unione, è la divisione, che pure va contro la famosa democrazia. La cultura di questo paese che è il paese madre della cultura, è quella della divisione, forse va capita anche, capita e non giustificata! Dopo tanti anni di oppressione, più di 25 anni, ognuno ora ha ritrovato la libertà d’espressione, di essere manifestamente, per cui ognuno vuole affermare la sua esistenza, la propria identità, ovviamente slegata a quella dell’altro e che addirittura nega l’altro: buona parte dei musulmani iracheni dice che noi cristiani non siamo iracheni e non dobbiamo essere presenti sul territorio. Non c’è né una chiara strategia di ricostruzione materiale, tantomeno una di ricostruzione identitaria, l’idea del federalismo la dice lunga, ma è triste perché a livello sociale non c’è una cultura tendente all’unione, all’integrazione, va bene affermare se stessi, ma io esisto in quanto relato all’altro, da solo non ho molto senso, i miei beni, la mia ricchezza non sono fini a me stesso, sono per l’altro e viceversa! In Iraq oggi questo non c’è. Ci sono tanti tesori nascosti, pensate alle grandi potenze che si sono originate e si sono succedute in questa terra, Accadi, Babilonesi, Assiri; ognuna ha lasciato qualcosa all’altra. Pensate ancora al magnifico mosaico di religioni ed etnie: Curdi, Arabi, Sciiti, Sunniti, Turkmeni, Yasiditi, Mandei, Cristiani orientali e occidentali. Cosa fanno? Nulla! Ognuno nel suo cantuccio e beato chi sa che esistono. Il nuovo Iraq è libero, democratico, federale ma non ha guadagnato molto, almeno fino ad ora. È libero e vive da liberto, è democratico ma rasenta l’autarchia, forse ha capito solo che essendo federale deve essere diviso! Tutto ciò non aiuta molto, non aiuta affatto, perché è un paese pieno di collera, fame, disordine e corruzione! Ma soprattutto sta vivendo una grave crisi di memoria, se conosciamo il nostro passato non possiamo capire il nostro presente e non possiamo andare verso il futuro. Vi faccio un esempio, noi cristiani, siamo aramei, di lingua aramaica, il nostro progenitore nella fede era un arameo errante, e noi cristiani lo sappiamo, ce lo ricordiamo, ecco perché di cristiani non ce ne sono quasi più sono quasi tutti andati via, errano in giro per il mondo alla ricerca di un po’ di pace e di chi non li perseguiti. Vi parlo in generale perché la storia particolare di ogni questione è lunga e la lascio agli addetti ai lavori, le foto poi penso e spero abbiano parlato da sole. Vi ringrazio per la sensibilità che avete dimostrato chiedendo una serata sull’Iraq, perché davvero questo bel paese, il paese tra i due fiumi, ha bisogno di solidarietà e di comprensione, è un popolo che ha sofferto e soffre ancora per i peccati degli altri. Necessita di comprensione e solidarietà, perché è un popolo fratricida, il fratello che perseguita l’altro fratello e gli dice che non è figlio di questa terra. Forse Caino e Abele erano davvero iracheni. Ma poi il Signore ha detto guai a chi torcerà un capello a Caino, per cui se Dio ha avuto pietà e amore di questo fratello fratricida, anche noi iracheni dobbiamo averne per i nostri, ed anche voi! Perché siamo tutti fratelli. Concludendo il mio vi dico che il mio Iraq è memore del passato, spera di tonare agli antichi splendori e sperando soffre, perché è dolorosa la memoria, vive tra l’accidia e la voglia di fare, ma tra questi due atteggiamenti ci sono molte forze avverse: ideologie politiche, religiose e macchinazioni economiche molto più grandi della volontà del singolo e dei gruppi più piccoli.