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Recensione del catalogo FRANCESCO PALPACELLI Si aperta in Dicembre una esposizione sul lavoro di Francesco Palpacelli, promossa dallOrdine

e degli Architetti di Roma, molto attesa, soprattutto da quanti di noi hanno avuto occasione di conoscerlo, e fortemente voluta dalla moglie Gabriella, impegnata in un complesso lavoro di custodia ed ordine dellarchivio Palpacelli. Lopera di questo architetto nato a Roma nel 1925, considerata nel suo insieme (per quanto si possa tentare di abbracciare in un unico sguardo una visione piena di idee diverse, complesse, nuove, costellata di suggerimenti e di spunti dagli esiti spesso in apparenza molto distinti), ben rappresenta una fase creativa dellarchitettura italiana, i frutti della quale appaiono oggi quanto mai dispersi, definitivamente forse persi nelle caotiche sovrapposizioni del nostro territorio. Una fase di passaggio, certo, in attesa di trasformazioni difficili, di contrasti lungi dallessere oggi risolti (ed anzi attualit), che insieme hanno ampliato il campo della cultura architettonica quanto troppo spesso hanno ridotto e banalizzato la produzione artistica (ed usiamo questo termine perch il fenomeno strettamente legato alle trasformazioni della critica darte). Prima che i passaggi culturali (ammesso che si possano identificare questi traumi) diventassero almanacchi la cui validit o scadenza bandita prendendo a prestito i modi delle stagioni della moda, prima che il confronto con la societ reale (ci si perdoni ancora il ricorso ad un altro luogo indefinibile) e con la cultura popolare diventasse beatificazione del plagio del generico, officiata come operazione colta (e ci riferiamo specificamente alla Transavanguardia, al Postmodern italiano, al Neomanierismo, ed agli epigoni rivolti verso vesti formali del secolo XX), pi che analisi e risposta alle grandi trasformazioni fisiologiche del nostro ambiente, ed ancor pi durante tutto questo Francesco Palpacelli seguiva una strada sua, una filosofia del progetto attenta alle componenti espressive, funzionali, strutturali e compositive dellarchitettura, in quello che si pu certo definire isolamento elitario, ma che troppo sembra un esilio forzato. Come il catalogo, che riunisce scritti di tanti amici di Francesco (testimonianze di stima per lopera ed ancor pi per luomo, per una personalit aperta e generosa, vitale, rara) la mostra occasione per rileggere ed approfondire un lavoro originale; come scrive Massimo Locci: <<Le linee-forza delle sue composizioni (volumi primari, prismi, cilindri, spirali dinamiche) pi che puntare al pathos dellarte cubo-futurista ed espressionista sono lesito di una visione progettuale tutta interna allarchitettura, che fonda insieme anche elementi contrapposti: virtuosismo plastico e sperimentazione tecnologica, essenzialit strutturale e complessit aggregativa, gigantismo e antimonumentalismo, radicamento al suolo e proiezione paesaggistica.>> La torre idrica di Vigna Murata, nonostante il mancato completamento del parco scientifico allinterno del quale era stata immaginata, sicuramente uno dei pochi capolavori realizzati a Roma dagli Anni Settanta ad oggi. Seguiamo quindi nelle esclamazioni Vittorio Leti Messina: <<Ma ditemi voi se facile far squillare accenti di gioconda poesia nel paesaggio, perfino con quegli inserti adibiti alla pi esigente tecnologia, i piezometri! Trionfo della fantasia poetica che intride una delle meno poetiche tecnologie!>> 12 01 - 2002 Francesco Ranocchi

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