Ordine L17946G
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N. pagine 64
Data 30/12/2005
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Indice
SOMMARIO............................................................................................................................................. 4
1 INTRODUZIONE ............................................................................................................................ 5
1.1 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI .................................................................................................. 5
1.2 COMPONENTI A RISCHIO ESPLOSIONE E INCENDIO NEGLI IMPIANTI DI POTENZA ....................... 5
1.3 IMPIANTI INTERRATI ................................................................................................................... 6
1.4 RISCHIO ASSOCIATO ALLE CONDIZIONI DI CARICO ED ETÀ DEL MACCHINARIO ......................... 6
1.5 OLIO USATO NEI TRASFORMATORI DI POTENZA ......................................................................... 7
2 SCENARI INCIDENTALI DI RIFERIMENTO .......................................................................... 8
2.1 ESPLOSIONE PRIMARIA E SCENARI INCIDENTALI CONSEGUENTI ................................................ 8
2.2 ESPLOSIONE SECONDARIA - DETERMINAZIONE DEL VOLUME DI OLIO NEBULIZZATO DISPERSO 8
2.3 POOL FIRE – DETERMINAZIONE DEL VOLUME DI OLIO LIQUIDO DISPERSO ................................ 9
2.4 IMPATTO DELL’ESPLOSIONE SECONDARIA SULLO SCENARIO DI POOL-FIRE ............................... 9
3 NOZIONI GENERALI INERENTI IL RISCHIO ESPLOSIONE ........................................... 11
3.1 ESPLOSIONE, DEFLAGRAZIONE, DETONAZIONE ...................................................................... 11
3.2 STIMA DEGLI EFFETTI DI UN’ESPLOSIONE IN FUNZIONE DEL VALORE DELLE SOVRAPRESSIONI12
3.3 CARATTERISTICHE DI UNA MISCELA ESPLOSIVA ...................................................................... 12
3.4 CARATTERIZZAZIONE DELLA MISCELA ESPLOSIVA PER LO SCENARIO DI ESPLOSIONE
SECONDARIA ............................................................................................................................. 14
3.4.1 Reazione di pirolisi dell’olio indotta dal guasto elettrico................................................ 14
3.4.2 Valutazione del quantitativo di gas rilasciato.................................................................. 14
3.4.3 Valutazione del quantitativo di olio nebulizzato .............................................................. 14
3.4.4 Composizione e proprietà di combustione della miscela gassosa.................................... 15
3.5 ASPETTI FENOMENOLOGICI E DI MODELLAZIONE DEI PROCESSI DI COMBUSTIONE RAPIDA ..... 15
3.5.1 Carattere del transitorio termodinamico ......................................................................... 15
3.5.2 Rilascio e dispersione della miscela esplosiva................................................................. 15
3.5.3 Tempo di agnizione .......................................................................................................... 16
3.5.4 Approcci metodologici per la stima della severità di esplosione ..................................... 16
3.5.5 Venting.............................................................................................................................. 16
3.5.6 Ventilazione ...................................................................................................................... 17
4 TECNICHE DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO ESPLOSIONE............................................ 18
4.1 STRATEGIE DI INTERVENTO ...................................................................................................... 18
4.2 SISTEMI DI PREVENZIONE DALLE ESPLOSIONI .......................................................................... 20
4.2.1 Introduzione...................................................................................................................... 20
4.2.2 Parametri di progetto per la protezione mediante inibizione tramite riduzione
dell’ossidante.................................................................................................................... 21
4.2.3 Influenza della pressione e della temperatura ................................................................. 21
4.2.4 Diluizione con gas inerti .................................................................................................. 22
4.2.5 Riduzione della concentrazione dell’ossidante ................................................................ 22
4.2.6 Riduzione della concentrazione di combustibile .............................................................. 22
4.3 SISTEMI DI PROTEZIONE DALLE ESPLOSIONI............................................................................. 23
4.3.1 Introduzione...................................................................................................................... 23
Numero Data Protocollo Lista delle modifiche e/o dei paragrafi modificati
revisione
0 30/12/2005 A5055895 Prima emissione
SOMMARIO
Nella presente relazione vengono illustrate le attività svolte nell’ambito del Progetto di Ricerca di
Sistema SISET “Sicurezza degli impianti del sistema elettrico e interazione con il territorio“–
Sottoprogetto SICIM “Sicurezza di centrali, stazioni elettriche e impianti nei riguardi di incendi ed
esplosioni” - Work Package 3 “Esplosione ed incendio in sottostazioni elettriche” – Milestone 3.5
“Metodologie per la valutazione del rischio di esplosione e incendio in sottostazioni elettriche: stesura di
linee guida”.
Le conoscenze acquisite nell'ambito del WP3 “Esplosione ed incendio in sottostazioni elettriche”,
corredate da una serie di informazioni raccolte su casi incidentali effettivamente verificatisi in
sottostazioni elettriche e sulle tipologie di interventi adottati dai gestori per il breve e il medio-lungo
termine, sono presentate nel presente documento di sintesi che può costituire una linea guida per il
progetto di sottostazioni e cabine elettriche di nuova concezione (dal punto di vista della ridotta
vulnerabilità nei riguardi degli effetti potenzialmente prodotti da scoppi e incendi) e per la
verifica/adeguamento di impianti esistenti.
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1 INTRODUZIONE
I macchinari elettrici isolati in olio (trasformatori di potenza, i cavi isolati in olio, i cavi di connessione)
costituiscono dei componenti critici all’interno di un impianto di potenza, in quanto possono essere
causa di scenari incidentali (esplosione, incendio) associati ad un alto livello di rischio, sia all’interno
che all’esterno dell’impianto. Questa criticità è particolarmente significativa per apparecchiature di
potenza alloggiate in impianti in caverna o in sottostazioni urbane.
L’innesco di una esplosione o di un incendio è la conseguenza di guasti o di errori umani. Il guasto
tecnico è normalmente causato da un malfunzionamento di un componente, la cui origine può essere di
natura progettuale o dovute alla non perfetta realizzazione del manufatto o al suo deterioramento.
L’errore umano può nascere in conseguenza di una manovra errata o ad una cattiva manutenzione in fase
d’esercizio.
Il potenziale rischio d’incendio è legato alla elevata quantità d’olio minerale presente. Il potenziale
rischio di esplosione invece è legato alla quantità di olio dissociato per effetto dell’arco elettrico interno,
ed alla quantità di olio nebulizzato fuoriuscente dall’involucro del componente durante la fase di
esplosione primaria.
Facendo riferimento a quei componenti d’impianto che utilizzano l’olio quale refrigerante e/o isolante, è
possibile evidenziare diverse aree dell’impianto da ritenersi critiche ai fini del rischio d’incendio e/o
esplosione:
• Trasformatori di potenza: nonostante il primo trasformatore sia stato realizzato da più di un secolo, e
quelli attualmente in uso hanno sono stati sviluppati concettualmente da più decenni, nessun
cambiamento sostanziale all’idea originaria è stato fino ad ora apportato. Come ricordato il
trasformatore contiene una elevata quantità di olio; in caso di guasto interno (arco interno), parte
dell’olio si decompone in diversi prodotti gassosi quali idrogeno, acetilene, etilene, e monossido di
carbonio, con un considerevole aumento della pressione all’interno della macchina. Se la
sovrapressione generatesi provoca il cedimento strutturale della cassa, una miscela d’olio
nebulizzato e gas può essere rilasciata nell’ambiente circostante; in presenza di una sorgente
d’iniezione si può innescare un processo di combustione che può evolvere in una esplosione e/o
incendio.
• Cavi di potenza: i cavi di potenza isolati in olio costituiscono un potenziale rischio d’incendio; tali
cavi contengono fino a 10 litri di olio minerale volatile per metro ed operano a temperature di circa
90 °C. Archi interni, manutenzione deficitaria non dovrebbero avere alcuna influenza sulla sicurezza
di questi componenti. Solo un danno meccanico se prodotto accidentalmente può causare l’innesco
di un arco interno, un aumento della temperatura, o peggio la fuoriuscita di un certo quantitativo
d’olio e l’innesco di un successivo incendio.
• Giunzioni e terminali dei cavi di potenza: giunzioni e terminali dei cavi costituiscono un potenziale
alto rischio. Guasti di natura meccanica possono insorgere su questi componenti a seguito di stress
meccanici originati da scarsa manutenzione o dall’interazione con altri componenti. L’incidente
presso la centrale in Zambia di Kafue Gorge (1989) ebbe origine da un guasto in tali giunzioni.
Terminali che connettono i cavi con componenti isolati in olio, costituiscono un potenziale rischio
d’esplosione (incidente alla centrale norvegese di Tonstad avvenuto nel 1973, incidente alla centrale
di Roncovalgrande avvenuto nel 1988).
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• Trasformatori non di potenza: anche i trasformatori ausiliari possono essere a potenziale rischio
d’incendio e/o esplosione.
• Interruttori: per molti anni questi componenti, tra i più importanti nel funzionamento di un impianto
di potenza, sono stati oggetto ed origine d’incidenti (un interruttore che opera a 12KV contiene
approssimativamente 100 kg d’olio, equivalente ad un quantitativo d’energia pari a 1.1 MWh). In
questi dispositivi il processo di vaporizzazione dell’olio generato dal passaggio dell’arco elettrico
(arco presente in fase di apertura/chiusura del circuito), veniva utilizzato quale mezzo estinguente
dello stesso. I recenti sviluppi tecnologici hanno tuttavia migliorato l’affidabilità di tali dispositivi,
soprattutto dopo l’introduzione di interruttori a basso contenuto d’olio o isolati in gas.
• Interruttori a basso contenuto d’olio: questi dispositivi che usano ancora l’azione dell’olio per
estinzione dell’arco, sono estremamente complessi per quanto concerne l’aspetto meccanico, la
scelta dei materiali, le temperature e pressioni d’esercizio. L’uso di questi tipi di interruttori non ha
comunque impedito il verificarsi di alcuni incidenti: un interruttore che opera a 10kV contiene circa
10 kg d’olio e rappresenta comunque una considerevole rischio d’incendio e/o esplosione.
Il livello di rischio associato alle persone ed alle apparecchiature, così come le conseguenze di un
ipotetico evento incidentale, sono notevolmente più alti per un impianto posto in ambiente confinato
(centrale idroelettrica in caverna, sottostazione interrata o alloggiata in un edificio) rispetto ad uno
convenzionale (posizionato cioè all’aperto).
L’impianto convenzionale prevede in generale il posizionamento dei trasformatori in luoghi non
confinati, l’utilizzo di adatte misure di contenimento (barriere anti-esplosione o tagliafuoco), e di
specifiche vie di fuga per il personale; tali scelte in generale non comportano costi aggiuntivi di
realizzazione. Tali impianti non prevedono l’installazione, nella aree in cui si trovano alloggiati i
trasformatori di potenza, di specifici sistemi di mitigazione e soppressione dell’esplosione e/o incendio.
Assai differente è la situazione per gli impianti idroelettrici in caverna o le stazioni elettriche interrate.
In generale i volumi degli ambienti, dei tunnel e delle altre aree sono il più possibile ridotti al fine di
minimizzare i costi in fase di realizzazione; ciò comporta ovviamente un aumento del livello di rischio
in caso di incendio e/o esplosione. Una soluzione che a livello di design è frequentemente adottata, e che
non va nel senso delle sicurezza dell’impianto, è quella di posizionare le celle trasformatori in prossimità
dei tunnel d’accesso, in modo da facilitare le operazioni di posizionamento ed eventuale rimozione dei
trasformatori in fase di manutenzione; in presenza di un incendio e/o esplosione, le vie d’accesso
risultano quindi zone ad elevato rischio.
Aree di particolare criticità per gli impianti sotterranei sono normalmente le celle trasformatori, i tunnel
di accesso a tali celle, le vie in cui sono posizionati i cavi ad alto voltaggio, i sistemi di ventilazione. Le
vie di fuga costituiscono sicuramente il maggior problema per questi impianti: infatti i lunghi tunnel
d’accesso ai diversi locali dell’impianto possono costituire delle efficaci vie di propagazione delle
sovrapressioni generate da un evento esplosivo.
L’apertura del mercato elettrico a diversi operatori e la conseguente deregulation del settore ha cambiato
profondamente il modo di operare della maggior parte delle centrali per la produzione di energia
elettrica. I fattori economici e le condizioni di vendita a breve termine hanno imposto di modificare le
condizioni di carico, passando da un funzionamento a carico pressoché costante, ad un regime in cui
risultano frequenti le variazioni del carico, con numerosi stop/restart del macchinario, e successivi
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I grandi trasformatori di potenza rappresentano un elevato potenziale energetico ai fini dello svilupparsi
di un incendio (100 ton di olio minerale equivalgono ad un potenziale sviluppo d’energia di 1000 GWh).
Oltre al potenziale rischio di incendio, la dissociazione dell’olio minerale è origine di una miscela
gassosa altamente reattiva la quale, a contatto con l’aria ed in presenza di una sorgente d’ignizione, può
essere causa d’innesco di un evento esplosivo con potenziale danno per il personale e per l’integrità
dell’impianto.
In un trasformatore circa il 7% dell’olio di riempimento impregna la carta usata come isolante. Anche se
la sostituzione nella macchina dell’olio esausto con uno nuovo non dovrebbe in alcun modo aver
influenza sulle prestazioni del trasformatore, non si può a priori escludere un cambiamento nelle
proprietà isolanti e meccaniche della carta. In generale risulta difficile valutare le condizioni dell’olio in
un trasformatore che ha operato per lungo tempo; di fatto anche se notevoli miglioramenti sono stati
apportati alle qualità dell’olio isolante/refrigerante, esso costituisce ancora un elemento critico
all’interno della macchina.
Gli oli siliconici sono caratterizzati dall’avere un alto punto di infiammabilità e di trattenere meglio
l’acqua in sospensione, rallentando così il processo di invecchiamento. Lo svantaggio di questi oli, se
comparati ai normali oli minerali, è il costo; il prezzo di un olio isolante basato su esteri o acidi grassi è
dalle 6 alle 8 volte quello di un normale olio minerale.
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L’esplosione primaria del componente (intesa come repentino cedimento dell’involucro esterno
provocato dall’incremento di pressione interna conseguente al guasto elettrico) è un evento
estremamente rapido, caratterizzato dalla fuoriuscita di olio e gas prodotti dalla pirolisi, sia attraverso
giunzioni o flange bullonate, sia attraverso squarci formatisi per lacerazione della lamiera, rottura di
saldature o cedimento di giunzioni di assemblaggio. A tutt’oggi, lo sviluppo di metodologie per la stima
del quantitativo di olio (sia allo stato liquido che nebulizzato) rilasciato durante l’evento di esplosione
primaria, rappresenta un tema di ricerca. In linea generale, una stima accurata presuppone un’ottima
schematizzazione del comportamento meccanico a rottura dell’involucro in regime di dinamica veloce.
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E’ bene sottolineare come in situazione di parziale o totale confinamento, un’esplosione secondaria che
avvenga in una cella di qualche centinaio di metri cubi di volume può provocare effetti critici già per un
quantitativo di olio nebulizzato pari a qualche litro. In tal senso il volume totale di olio contenuto
nell’involucro non è di per sé minimamente rappresentativo del grado di rischio a fronte di eventuali
scenari di esplosione secondaria; di fondamentale importanza sono invece il livello di pressurizzazione
raggiungibile all’interno dell’involucro prima del suo cedimento, e la forma ed estensione delle aree di
perdita; particolarmente critici risultano gli involucri caratterizzati da un’alta tenuta alle sovrapressioni
interne e contenenti volumi d’olio relativamente limitati, che in caso di rottura possono essere pressoché
totalmente nebulizzati.
In ogni caso, il contributo energetico legato all’olio nebulizzato nello scenario di esplosione secondaria
deve essere tenuto in conto in modo adeguato, rivestendo un’importanza per lo meno paragonabile, e
spesso preponderante, rispetto agli effetti dei soli prodotti gassosi della pirolisi.
Fra le due tipologie di scenari incidentali conseguenti l’esplosione primaria, lo scenario di pool fire è il
più frequente, ben conosciuto e comunemente considerato in fase di progettazione dell’impianto.
Tuttavia gravi danni conseguenti all’azione del fuoco sono da attendersi in situazioni in cui l’avvenire di
un’esplosione secondaria precedentemente all’innesco dell’incendio può notevolmente variare le
condizioni al contorno in cui l’incendio stesso si viene realmente a sviluppare, rispetto a quelle
considerate in sede di progetto. Ciò vale per tutti quegli elementi impiantistici che possono costituire
potenziali nuove aperture nel vano in cui si sviluppa l’incendio, provocando
• la creazione di percorsi di propagazione di fiamma non considerati in sede di progetto, attraverso cui
l’incendio può propagarsi in vani attigui, tipicamente non dotati di impianti di estinzione e quindi
estremamente vulnerabili (Fig. 6÷Fig. 8).
• un aumento di portata d’aria nel volume in cui si sviluppa l’incendio, in relazione alla portata d’aria
prevista in sede di dimensionamento dell’impianto antincendio (Fig. 9÷Fig. 12). Ciò è
particolarmente vero per impianti di estinzione a CO2, maggiormente sensibili alla concentrazione
di ossigeno, e per cui la creazione di venting inatteso può provocare la fuga di CO2 dal locale da
preservare. Gli impianti di estinzione a schiuma sono molto meno sensibili, avendo un buon grado di
efficienza anche in condizioni di confinamento debole.
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Gli elementi impiantistici sensibili a questa problematica sono tutti quelli per cui vengono tipicamente
richieste prestazioni al fuoco ma non all’esplosione, che possono quindi essere danneggiati o divelti in
caso di esplosione secondaria che precede lo sviluppo dell’incendio:
• porte di accesso
• finestre per l’areazione naturale, tipicamente dotate di pannelli di chiusure a farfalla, normalmente
aperte per consentire la refrigerazione in condizioni di esercizio, e dotati di dispositivi di chiusura
automatica in caso di rilevazione di un incendio: in caso di esplosione previa i pannelli possono
essere danneggiati o divelti, impedendo la successiva chiusura della finestra di areazione ai fini
dell’estinzione dell’incendio.
• passaggi cavi: i passaggi cavi sono tipicamente realizzati mediante predisposizione di aperture di
dimensioni anche piuttosto considerevoli nella carpenteria civile (per evitare problemi di
interferenza in fase di installazione dell’impianto), successivamente tamponate con elementi leggeri
ma resistenti al fuoco: in caso di precedente esplosione questi elementi leggeri possono essere
distrutti, lasciando scoperta l’intera luce predisposta nella carpenteria civile e connettendo il locale
adiacente; inoltre, la propagazione della fiamma in questo caso può essere “aiutata” dalla presenza
dei cavi.
La corretta concezione e predisposizione dell’impianto antincendio non può quindi prescindere dagli
effetti dello scenario di esplosione secondaria ad esso precedente.
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Un’esplosione è generalmente definita come una reazione chimica di combustione rapida su larga scala
di natura distruttiva, con generazione di calore e rapida espansione di gas. Il rischio connesso ad un
evento di questo tipo (esplosione primaria) è determinato dalla sua probabilità e dall’entità dei suoi
effetti su persone, impianti, apparecchiature e strutture. In impianti complessi risultano particolarmente
critiche le situazioni in cui può verificarsi un “effetto domino”, in cui un’esplosione primaria in una
parte dell’impianto provoca il danneggiamento di altre parti di impianto e l’innesco di una successiva e
spesso più critica esplosione (esplosione secondaria).
Una prima classificazione delle esplosioni può essere condotta in base alla natura del materiale
esplosivo; la classe di esplosioni nel seguito considerata è quella relativa a miscele di gas.
Dopo aver introdotto alcuni concetti di base verranno descritte le soluzioni tecniche attualmente
utilizzate per la prevenzione e la mitigazione di eventi esplosivi negli impianti industriali (petrolchimici,
farmaceutici, ecc.) dovuti alla formazione in aria di miscele infiammabili di gas o vapori.
Tali soluzioni e metodologie per la riduzione del livello rischio di esplosione, trovano applicazione nel
contesto degli impianti idroelettrici in caverna o delle sottostazioni di trasformazione elettriche urbane in
cui siano alloggiati macchinari elettrici isolati in olio: per tali macchinari un cortocircuito interno
provoca la pirolisi dell’olio, con conseguente produzione di una consistente mole di gas infiammabili,
repentino innalzamento della pressione interna all’involucro metallico fino a provocarne la rottura,
fuoriuscita dei gas miscelati a particelle di olio liquido nebulizzato. Qualora la miscela di gas, olio
nebulizzato ed aria sia entro i limiti di infiammabilità, l’esplosione si innesca in presenza di una anche
modesta fonte di ignizione.
La valutazione del rischio associato ad un evento esplosivo richiede una preliminare distinzione fra le
due possibili modalità con cui l’esplosione può manifestarsi: deflagrazione e detonazione.
Deflagrazione: evento di combustione rapida in cui il fronte di fiamma si propaga a velocità inferiore
rispetto a quella del fronte di pressione. Il livello di sovrapressione atteso è relativamente debole
(tipicamente 0.1 ÷ 10 bar). Poiché la fiamma si propaga con velocità inferiore al suono, essa è preceduta
dal fronte di pressione, che viene ad avere una conformazione relativamente allungata e relativamente
poco ripida. La relativa lentezza del processo (ordine dei secondi) e la forma del fronte d’onda rendono
praticabili possibili soluzioni per la mitigazione degli effetti distruttivi mediante adozione di dispositivi
di inertizzazione dell’ambiente, o di apparecchi di segregazione sia attivi (servocontrollati da sensori di
pressione che registrano la testa del fronte di pressione) che passivi (direttamente attivati dalla spinta del
fronte di pressione).
Detonazione: evento di combustione rapida in cui il fronte di fiamma ed il fronte di pressione sono
coincidenti e si propagano con la stessa velocità. Il livello di sovrapressione atteso è elevato (maggiore
di 10 bar). Il fronte di pressione è caratterizzato da un fronte di shock estremamente ripido. La rapidità
dell’evento (ordine dei millisecondi) e la forma del fronte d’onda rendono improponibile l’ipotesi di
messa a punto di tecniche di mitigazione degli effetti distruttivi mediante inertizzazione dell’ambiente o
attivazione di organi di segregazione sia attivi che passivi.
La fase iniziale del processo di combustione di una miscela di gas in aria è generalmente un processo
lento, caratterizzato da una propagazione laminare della fiamma. Il grado di congestione dell’ambiente
(inteso come presenza di elementi geometrici in grado di perturbare il moto del fluido che li avvolge –
tipicamente piping e strutture metalliche di supporto - come ad esempio avviene in impianti
petrolchimici) influenza profondamente la modalità di evoluzione del processo di combustione, in
termini di frastagliamento del fronte di fiamma e di incremento della turbolenza; tali aspetti concorrono
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alla crescita dell’efficienza del processo di combustione e, conseguentemente, ad una accelerazione del
fronte di fiamma; in condizioni particolarmente sfavorevoli l’accelerazione del fronte di fiamma può
progredire fino ad arrivare alla condizione di detonazione (la velocità del fronte di fiamma raggiunge la
velocità del suono), con un violento cambiamento delle condizioni fisiche associate alla combustione in
atto ed ad un repentino innalzamento del livello di pressione.
3.2 Stima degli effetti di un’esplosione in funzione del valore delle sovrapressioni
Il livello di danno causato da un’esplosione è funzione della pressione, sia in termini di valore di picco
che di andamento temporale, e della risposta strutturale dell’oggetto colpito dall’onda d’urto.
Con riferimento ai danni a persone, in Tab. 1 [1] e Tab. 2 [2] sono riportati i valori di riferimento delle
sovrapressioni e dei relativi danni attesi. In particolare possono essere fissate le seguenti soglie di danno:
0.03bar – danni reversibili
0.05bar – possibile rottura dei timpani
0.07bar – danni non reversibili
0.14bar – danni ai polmoni, ferite letali
Con riferimento ai danni su apparecchiature, impianti e strutture, in Tab. 2 [2], Tab. 3 [3], Tab. 4 [4],
Tab. 5 [5] sono riportati i valori di riferimento delle sovrapressioni e dei relativi danni attesi. Questi
riferimenti devono essere considerati come valori di larga stima per le varie tipologie, essendo la reale
entità dei danni fortemente dipendente dalla risposta strutturale degli specifici oggetti o strutture colpiti.
Al fine di poter adottare specifiche misure di prevenzione e protezione dalle esplosioni all’interno di un
impianto industriale è necessario poter conoscere in dettaglio le caratteristiche dell’esplosione di una
determinata sostanza combustibile. Tali informazioni vengono di norma ottenute mediante specifiche
prove dette “prove d’esplosione” in grado di valutare la severità dell’evento.
Le caratteristiche di una esplosione (sia essa originata da miscele di gas, vapori o polveri infiammabili),
possono essere identificate mediante indici relativi a:
• Esplodibilità: ci dice se la miscela può esplodere ed entro quali limiti;
• Ignitabilità: ci informa sulla facilità o meno della miscela di subire ignizione;
• Effetti delle sovrapressioni.
Relativamente a miscela in aria di gas e vapori infiammabili, le seguenti grandezze sono di importanza
pratica:
Esplodibilità
Flash point Tf (°C)
Limite inferiore LEL (% vol)
Limite superiore UEL (% vol)
Concentrazione limite O2 LOC (% vol)
Ignitabilità
Energia minima di ignizione MIE (mJ)
Temperatura di auto-ignizione AIT (°C)
Flash point (Tf): è la minima temperatura alla quale un liquido libera vapore ad una concentrazione
sufficiente a formare una miscela suscettibile di ignizione. In pratica questo significa che quando la
temperatura del liquido infiammabile è al di sopra della temperatura di flash-point, si può generare una
miscela di vapore infiammabile.
La temperatura di flash-point diminuisce con il diminuire della pressione.
Kg = (dp/dt)max V1/3
All’incorrere del cedimento dielettrico di un componente isolato in olio, il conseguente arco ad alta
temperatura provoca la vaporizzazione dell’olio da esso attraversato; l’olio viene decomposto in gas e
nerofumo in una reazione di pirolisi. Ciò provoca la formazione di una bolla di gas che, crescendo
repentinamente, pressurizza l’involucro del componente provocandone la rottura meccanica (esplosione
primaria). I prodotti gassosi della reazione, fuoriuscendo dall’involucro assieme ad una frazione di olio
nebulizzato, si mescolano con l’aria formando un’atmosfera esplosiva che, se disponibile una fonte di
ignizione, dà luogo ad una reazione di combustione rapida caratterizzata da un repentino aumento di
temperatura e pressione (esplosione di gas).
La determinazione degli effetti dell’esplosione richiede la quantificazione preliminare del massimo
quantitativo di energia E0 associato al corto circuito e conseguentemente del quantitativo di gas prodotto
dalla reazione di pirolisi all’interno del componente. Il massimo quantitativo di energia E0 associato
all’arco può essere valutato mediante la relazione E0 = 0.9 V i ∆t dove V è il valore della tensione
d’arco, i è il valore efficace della corrente d’arco e ∆t è la durata dell’arco.
Più specificatamente la tensione d’arco V è usualmente espressa come V = v L, dove v è il gradiente di
tensione d’arco e L è la lunghezza d’arco; studi specialistici [10][11][12][13] riportano valori
caratteristici per v nel range 10÷20 V/mm; le lunghezze d’arco sono strettamente dipendenti dal
componente.
Con riferimento al valore di corrente di corto circuito i, questo valore dipende dalle caratteristiche del
componente e dalla sua interazione con la rete, mentre la durata dell’arco ∆t è determinata dal tempo di
attuazione delle protezioni nelle condizioni di funzionamento meno favorevoli.
Studi specialistici [10][11] mostrano che per ogni kJ di energia d’arco sono prodotti 0.1 litri di prodotti
gassosi a condizioni normali. Questa relazione consente di quantificare il volume di gas prodotti una
volta calcolato il valore dell’energia d’arco in funzione della corrente di cortocircuito, della tensione
d’arco e della durata dell’arco.
L’esplosione primaria del trasformatore (definita nel §3.4.1) è un evento rapido, durante il quale
l’involucro perde la sua tenuta in più punti – apertura temporanea delle flange e perdita di tenuta delle
guarnizioni, o dispersione massiva attraverso squarci creati dal cedimento di parti strutturali o giunzioni.
A causa dell’aumento di pressione all’interno dell’involucro, i gas generati dalla pirolisi sono espulsi da
tali aperture, insieme ad una certa quantità di olio nebulizzato. Lo sviluppo di metodologie adeguate per
la stima del quantitativo di olio nebulizzato rilasciato durante l’esplosione primaria rappresenta tutt’oggi
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un tema di ricerca [14][15][16]. Tuttavia si può affermare che il contributo energetico dell’olio
nebulizzato nello scenario incidentale di esplosione secondaria può raggiungere un fattore pari a 3÷5
volte quello relativo ai prodotti gassosi della pirolisi.
Come anticipato, la pirolisi dell’olio è indotta dall’arco elettrico. La composizione dei prodotti della
pirolisi è stata determinata attraverso esperienze di laboratorio [10][13], e consiste in una miscela
gassosa composta da Idrogeno (73.7Vol%), Acetilene (20.7%Vol), Metano (3.5%Vol), Etilene
(2.1%Vol). Nello scenario di esplosione secondaria, a questa miscela si aggiunge un certo quantitativo
di olio nebulizzato.
I limiti inferiore e superiore di infiammabilità (%vol) della miscela gassosa per differenti rapporti
volumetrici fra prodotti della pirolisi ed olio nebulizzato sono riportati in Tab. 6.
Per il dimensionamento di sistemi di prevenzioni basati sulla riduzione della concentrazione di
ossidazione (ossia, in cui il componente è racchiuso in un contenitore stagno secondario riempito di gas
inerte, tipicamente CO2 or N2), è necessario conoscere la minima concentrazione di ossigeno per la
combustione (Minimum Oxygen concentration for Combustion, MOC, %vol); i valori di MOC per la
miscela gassosa in oggetto e differenti quantitativi di olio nebulizzato sono riportati in Tab. 7; è
possibile vedere che il valore più restrittivo di MOC è relativo all’evento di rilascio di soli prodotti della
pirolisi (MOC=5.3 in N2+aria; MOC=5.6 in CO2+aria).
Il carattere del transitorio termodinamico è quello tipico dei processi di combustione di gas idrocarburi;
in assenza di fonti di ignizione particolarmente violente, la reazione di combustione è caratterizzata da
una fase di attivazione relativamente lunga (tipicamente dell’ordine dei decimi di secondo) in cui la
fiamma avanza in regime laminare e velocità modesta, con un aumento di pressione contenuto; al
progredire della reazione il fronte di fiamma si frastaglia e la sua velocità aumenta, assieme al gradiente
di pressione. Durata e severità del processo di combustione sono funzione della composizione della
miscela, della sua concentrazione, del grado di ostruzione dell’area investita dal fronte di fiamma, del
venting. Le durate per espansione libera in aria variano tipicamente dai decimi di secondo (miscela ad
alto contenuto di idrogeno ed acetilene, in concentrazione stechiometrica, con venting) alle decine di
secondi (miscela a basso contenuto di idrogeno ed acetilene, a concentrazione bassa ed in ambiente
chiuso).
Il reale processo di formazione dell’atmosfera esplosiva a seguito del cedimento della cassa del
trasformatore (esplosione primaria) consiste nel violento rilascio di gas ed olio nebulizzato attraverso
flange o cordoni di saldatura danneggiati, e successivo miscelamento con l’aria contenuta all’interno
della cella. Il processo di rilascio del combustibile avviene in brevissimo tempo (frazioni di secondo) e
coincide con quello che viene comunemente inteso come “scoppio del trasformatore”; il processo di
dispersione del combustibile nella cella, ossia della sua miscelazione con l’aria, si sviluppa in un periodo
molto più lungo, dell’ordine di qualche decina di secondi. Durante tale periodo la concentrazione passa
da una distribuzione fortemente disuniforme iniziale (molto alta nell’intorno dei punti di rottura della
cassa sorgenti di rilascio, e nulla nel resto della cella) ad una distribuzione costante ed uniforme in ogni
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punto della cella. In presenza di ventilazione la concentrazione tende ad avere un valore linearmente
decrescente nel tempo, in funzione della portata di ventilazione; tuttavia per tipiche condizioni di
ventilazione (dell’ordine del ricambio/ora) la variazione di concentrazione per tempi brevi (qualche
decina di secondi) è trascurabile; ai fini delle valutazioni sulla severità attesa dell’esplosione ciò
rappresenta una approssimazione cautelativa.
E’ inteso come istante in cui si ha l’attivazione del processo di combustione in un dato punto della nube
esplosiva per effetto di una fonte di energia (scintilla, superficie calda). Nei casi in cui il quantitativo di
gas e olio nebulizzato rilasciati non è sufficiente a saturare la cella in condizioni stechiometriche, lo
scenario con ignizione ritardata è meno critico di quello ad ignizione immediata, poiché la combustione
avviene in una nube di miscela pressochè uniforme ma povera. Qualora l’ignizione occorra alla fine
della fase di rilascio del combustibile, invece, la presenza di zone a concentrazioni vicine a quella
stechiometrica e la turbolenza provocata dal violento processo di dispersione (cedimento della cassa)
favoriscono l’efficienza del processo di combustione, aumentandone la severità.
3.5.5 Venting
La presenza di aperture di sfogo (venting, vedi anche §4.3.2) nella cella trasformatori determina
un’evoluzione del processo di combustione rapida completamente diverso rispetto al caso di cella
chiusa; in quest’ultimo caso infatti la velocità del processo di combustione è decisamente contenuta
(velocità del fronte di fiamma dell’ordine di qualche metro al secondo), la durata del processo è
tipicamente dell’ordine di qualche secondo, e la distribuzione della pressione all’interno della cella è
sempre uniforme durante il transitorio. Qualora sia invece presente un’apertura di sfogo (venting), la
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fiamma viene da questa “attirata”, ed il processo di combustione tende a sfogarsi attraverso di essa;
l’utilizzo di aree di venting è possibile solo qualora sia possibile convogliare i fronti di fiamma e
pressione lungo percorsi controllati, fino allo sfogo in ambiente aperto; in caso contrario, eventuali
aperture presenti nella cella (tipicamente le bocche dei canali di areazione) devono essere
tempestivamente chiuse per evitare la propagazione incontrollata della combustione.
Se il percorso lungo il quale viene indirizzata la fiamma è essenzialmente monodimensionale ed in
presenza di ostacoli che favoriscano la turbolenza del flusso, il fronte di fiamma può inoltre subire
notevoli accelerazioni. La crescita della pressione statica è limitata, mentre per effetto del flusso dei gas
in espansione la componente di pressione dinamica (drag) può essere significativa. L’eventuale
raggiungimento delle condizioni di detonazione (velocità del flusso uguale alla velocità del suono)
comporta un repentino cambiamento delle condizioni fisiche del fenomeno di combustione: i lay-out che
conducono al possibile innesco di processi di detonazione sono assolutamente da scartare, dati i
conseguenti effetti devastanti; è quindi sufficiente disporre di strumenti che indichino la tendenza
all’instaurarsi delle condizioni di detonazione, identificabili ad esempio attraverso l’entità delle velocità
calcolate.
Esistono vari metodi semplificati che consentono la stima delle sovrapressioni all’interno ed all’esterno
di un ambiente in funzione della grandezza e della posizione delle aree di venting; un approccio basato
sull’esatta descrizione geometrica del dominio fluido in un’analisi fluidodinamica computazionale
consente di valutarne gli effetti in modo rigoroso.
3.5.6 Ventilazione
La ventilazione induce un flusso permanente all’interno della cella, a cui è correlata una distribuzione di
turbolenza; ciò comporta un potenziale aumento della severità del processo di combustione. Le
esperienze condotte con riferimento a condizioni di ventilazione tipiche per una sottostazione, mediante
prese d’aria in ingresso ed in uscita, non hanno tuttavia segnalato effetti di particolare rilevanza. La
presenza di aerotermi può ingenerare distribuzioni locali di turbolenza più elevata (e quindi più critica)
nelle vicinanze della cassa del trasformatore. Qualora il flusso d’aria indotto dalla ventilazione forzata
genera velocità locali considerevoli (dell’ordine di qualche m/s), è opportuno eseguire un’analisi
fluidodinamica per la ricostruzione del campo di moto e del conseguente livello di turbolenza in
condizioni di esercizio: valori di turbolenza superiori ad 1m/s hanno un impatto significativo
sull’evoluzione del processo di combustione.
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Il rischio associato ad un evento incidentale è definito come prodotto fra la probabilità dell’evento e la
severità dei suoi effetti. Il livello di rischio d’esplosione in un dato impianto può quindi essere ridotto
operando in diversi modi, da intendersi come generalmente complementari e non mutuamente esclusivi:
prevenzione: adozione di tecniche e provvedimenti atti a ridurre la probabilità dell’evento; nel caso
specifico, adozione di tecniche e provvedimenti atti ad impedire la formazione di una miscela
esplosiva e la sua ignizione.
protezione: adozione di tecniche e provvedimenti atti a ridurre gli effetti dell’evento; nel caso
specifico, adozione di tecniche e provvedimenti atti a ridurre l’estensione delle zone investite
dall’esplosione, e/o a ridurre l’entità delle sovrapressioni in tali zone.
mitigazione/soppressione: adozione di tecniche e provvedimenti atti a intervenire sull’evoluzione
dell’evento una volta innescato; nel caso specifico tali tecniche si traducono nell’adozione da una
parte di opportuni sistemi di pronta rilevazione dell’evento esplosivo, dall’altra di sistemi di
inertizzazione rapida dell’ambiente.
I sistemi di soppressione dell’esplosione sono progettati per captare la reazione di innesco della
combustione nella sua fase iniziale interrompendone lo sviluppo ed evitandone gli effetti disastrosi che
ne conseguirebbero. La fondamentale differenza fra i sistemi di prevenzione e di soppressione è la
seguente: il principio di funzionamento dei sistemi di prevenzione è quello di governare il livello di
sicurezza attraverso il mantenimento di condizioni ambientali costantemente incompatibili con
l’ignizione di una eventuale miscela esplosiva; si può dire quindi che i sistemi di prevenzione operano
un’azione di condizionamento ambientale costante e continua nel tempo, che prescinde dall’effettiva
presenza di un processo di rilascio di gas esplosivo. I dispositivi preposti al condizionamento
dell’ambiente devono quindi essere mantenuti costantemente attivi ed efficienti; d’altro canto l’apparato
di misura e controllo richiesto si limita alla predisposizione di sensori che verifichino il mantenimento
delle condizioni ambientali adeguate. I sistemi di soppressione mirano invece all’estinzione del processo
di combustione nelle sue prime fasi di sviluppo, prevenendone gli effetti, attraverso un’azione di
inertizzazione dell’ambiente ottenuta mediante rapido rilascio di opportuni agenti di soppressione; il
periodo di intervento di tali sistemi è circoscritto ai pochi istanti successivi all’ignizione dell’atmosfera
esplosiva; è però necessaria una rete di sensori opportunamente concepita e tarata in modo da
intercettare in tempo utile l’insorgere dell’evento esplosivo.
L’uso di specifiche tecniche per la prevenzione dell’esplosione non significa che eventuali sistemi di
protezione e/o mitigazione non debbano essere impiegati; in modo analogo l’uso di strategie di
protezione e/o mitigazione non esclude l’impiego dei sistemi di prevenzione. Negli Stati Uniti la
normativa di riferimento per il design delle aree di sfogo (relief, venting), è la “NFPA 68 Guide for
Venting of Deflagration” [6], mentre la “NFPA 69 Standard on Explosion Prevention System” [7] copre
sia gli aspetti di prevenzione che le tecniche di protezione. Il riferimento in ambito europeo è stato finora
costituito dalle normative tedesche “VDI 3673” [8]. Nel luglio 2003 sono entrate in vigore le nuove
direttive ATEX [9], riguardanti le apparecchiature ed i sistemi di protezione destinati a essere utilizzati
in atmosfera potenzialmente esplosiva; in base a tali direttive ogni apparecchiatura deve essere
classificata e conseguentemente protetta in base al rischio d’esplosione della relativa area di
installazione.
I concetti di prevenzione, soppressione e protezione implicano diversi livelli di gestione del rischio da
esplosione, ognuno dei quali risponde a specifici obiettivi raggiungibili mediante l’impiego di adatte
tecniche e metodologie. Più specificatamente si evidenziano i seguenti livelli di intervento:
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Livello 2 – protezione mediante riduzione delle sovrapressioni: obiettivo del secondo livello
d’intervento è la protezione dell’impianto dalle sovrapressioni generate dall’esplosione. La tecnica
comunemente usata è quella di introdurre nell’area in cui può verificarsi l’esplosione delle
opportune aree di sfogo (relief panels e venting), in grado di rilasciare all’esterno dell’impianto, in
totale sicurezza, le sovrapressioni. I vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’applicazione delle
tecniche di protezione dalle sovrapressioni mediante uso di aree di sfogo sono:
• vantaggi: - protezione dell’impianto da possibili danni
- investimento iniziale minimo
- minima manutenzione richiesta
• svantaggi: - le sovrapressioni rilasciate nell’atmosfera possono dare origine ad esplosioni
secondarie
- la combustione può propagarsi in altre parti dell’impianto attraverso condotti
- l’introduzione di specifici condotti per pilotare all’esterno le sovrapressioni può
essere una soluzione non sempre applicabile sull’impianto
Livello 3 – protezione mediante controllo della propagazione dell’esplosione: obiettivo del livello 3
è quello di prevenire la propagazione dei fronti di pressione e di fiamma in predeterminate aree
dell’impianto introducendo barriere fisico/chimiche in grado di resistere al fronte di pressione e/o di
fiamma. A seguito dell’azione di confinamento le pressioni conseguenti alla combustione di una
data nube esplosiva possono raggiungere valori un ordine di grandezza superiori rispetto al caso di
combustione non confinata: gli elementi strutturali (pareti, solette, porte di accesso) devono essere
opportunamente dimensionati. Si deve inoltre operare il controllo della propagazione attraverso i
condotti mediante predisposizione di barriere fisiche attive (servocontrollate in funzione di un
segnale) o passive (azionate dallo stesso fronte di pressione). I vantaggi e gli svantaggi derivanti
dall’applicazione delle tecniche di protezione mediante controllo della propagazione dell’esplosione
sono:
• vantaggi: - protezione dell’impianto da possibili danni
- confinamento dell’esplosione entro predeterminati ambienti; controllo della
propagazione attraverso i condotti
• svantaggi: - le strutture devono essere opportunamente dimensionate
- il costo dell’installazione e della manutenzione dei dispositivi di controllo della
propagazione attraverso i condotti può essere elevato (soprattutto nel caso di
protezioni attive)
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4.2.1 Introduzione
La tecnica di controllo dell’esplosione mediante inibizione della combustione, applicabile con efficacia
solo per deflagrazioni in ambienti confinati, consiste nella predisposizione di sistemi che impediscano
l’accensione di gas o olio nebulizzato accidentalmente rilasciati all’interno del volume protetto.
Tale obiettivo può essere ottenuto mediante uno dei seguenti metodi:
1. Inibizione mediante riduzione della concentrazione di ossidante
2. Inibizione mediante riduzione della concentrazione di combustibile
Il primo metodo può essere utilizzato in quelle situazioni in cui è possibile controllare costantemente la
concentrazione di ossidante all’interno del contenimento; il secondo metodo può esser utilizzato in
quelle situazioni in cui è possibile controllare costantemente la concentrazione di carburante.
Per il caso specifico di scenario di esplosione di un trasformatore, può essere implementato solo il primo
metodo; ciò significa che il trasformatore deve essere confinato in un contenitore metallico riempito con
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• Concentrazione limite dell’ossidante (LOC): per una data miscela gassosa, il LOC rappresenta la
concentrazione di ossidante sotto la quale non può verificarsi una deflagrazione. Il valore del LOC
dipende dal tipo di gas usato per rendere non infiammabile la miscela nel contenimento. Valori di
riferimento sono 5.0%(N2+aria)/5.2%(CO2+aria) per l’idrogeno, 11.5%(N2+aria)/14.5%(CO2+aria)
per il propano.
• Tipo di miscela gassosa: come detto, influenza il LOC.
• Tipo di inerte: come detto, influenza il LOC.
Vale la pena notare che la quantità di combustibile non influenza il progetto del sistema; ciò significa
che per tale tipo di soluzione la maggior parte delle incertezze collegate alla corretta definizione dello
scenario di esplosione non influisce sulla affidabilità della soluzione.
La necessità di ottenere una atmosfera costantemente non infiammabile richiede tipicamente di avere
una quantità di ossigeno non compatibile con la presenza del personale. Ciò influisce sulla progettazione
dei sistemi di controllo (è necessario un controllo remoto) e sulle procedure operative all’interno del
volume controllato (la concentrazione atmosferica di ossigeno deve essere ripristinata prima di
accedere).
L’aggiunta di un gas inerte quale diluente nella miscela combustibile ed ossidante avrà effetto sia sul
limite inferiore che superiore di infiammabilità e sul diagramma di infiammabilità. Agli effetti
dell’inertizzazione dell’ambiente nei confronti di un eventuale rischio da esplosione di gas metano, i gas
elio, azoto ed anidride carbonica hanno efficacia crescente.
La tecnica consiste nel mantenere la concentrazione di combustibile al di sotto del limite inferiore di
infiammabilità della miscela. La normativa americana di riferimento per la prevenzione delle esplosioni
NFPA 69 [7], prescrive che la concentrazione di combustibile, debba essere mantenuta al 25% del limite
inferiore di infiammabilità. Eccezioni possono essere fatte qualora si adotta un monitoraggio automatico
che comanda specifici sistemi di sicurezza; in tal caso la concentrazione del combustibile può essere
mantenuta fino al 60% del limite inferiore di infiammabilità. Tale tecnica è applicabile solo per i casi in
cui il combustibile viene rilasciato attraverso una perdita di portata modesta ma costante (ad esempio,
piccola perdita localizzata su una conduttura di gas); una volta stimata la portata massima della perdita
attesa, è possibile limitare il valore della concentrazione di combustibile entro un limite prestabilito
dimensionando opportunamente la portata d’aria dell’impianto di ventilazione.Sempre con riferimento al
diagramma di infiammabilità di Fig. 13, la composizione della miscela può essere alterata, abbassando il
rischio d’innesco, riducendo opportunamente la concentrazione del gas combustibile. In altre parole il
punto “x” viene fatto muovere lontano dall’apice del diagramma e possibilmente al di sotto del limite
inferiore di infiammabilità rappresentato dalla linea FBC.
Un modo per ridurre la concentrazione nell’atmosfera del gas combustibile può essere quello di
instaurare nell’ambiente da porre sotto controllo un regime di ventilazione sufficientemente elevata.
Parametri fondamentali per la riduzione del livello del combustibile mediante ventilazione, sono:
tempo richiesto tv per portare la concentrazione del combustibile ad un livello di sicurezza;
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4.3.1 Introduzione
Oltre alle misure di prevenzione contro l’insorgere di una esplosione, appropriate soluzioni tecniche
possono essere introdotte nell’impianto al fine di fornire una efficace protezione contro gli effetti di un
evento esplosivo, in termini di contenimento del livello delle sovrapressioni o di controllo della
propagazione dei fronti di pressione e di fiamma mediante predisposizione di barriere fisiche e/o
chimiche.
Le misure di protezione sono generalmente classificabili in:
Il controllo dell’esplosione mediante “venting” consiste nella riduzione del rateo di aumento della
pressione che si verifica all’interno del contenitore, per mezzo di aperture (tipicamente chiuse o protette
con appositi pannelli durante il normale servizio) che permettono di evacuare i gas di combustione e
sfogare la pressione dovuta ad una esplosione interna, in modo da minimizzare i danni strutturali e
meccanici. Il contenimento deve essere progettato per sopportare la pressione creata dall’esplosione e
ridotta dai sistemi di venting; nel caso siano previsti effetti dinamici, i carichi di progetto devono essere
definiti tenendo conto della legge di variazione di pressione nel contenimento durante le fasi di
esplosione ed attivazione dei venting.
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Il metodo di sfogare la pressione che si genera durante una deflagrazione è stato sperimentato per molti
anni ed è probabilmente il metodo industriale più utilizzato per la protezione dalle esplosioni; tale
metodo riconosciuto dalle direttive comunitarie 94/9/EC e 99/92/EC (note come direttive ATEX), è
accettato come valido strumento per la protezione dalle esplosioni. E’ da sottolineare che le tecniche di
sfogo delle sovrapressioni si basano sull’ipotesi di sostanziale uniformità del campo di pressione
all’interno dell’ambiente sede dell’esplosione, ipotesi del tutto accettabile per processi lenti quali la
deflagrazione di nubi di gas, ma non per processi rapidi quali detonazioni: per tali processi l’efficacia
delle tecniche di seguito esposte non è in generale garantita e necessita di puntuale verifica.
Per una data miscela di combustibile il fattore di espansione fornisce il rapporto tra la pressione iniziale
e quella finale dopo una combustione ottimale, per uno scenario nel quale tutto il volume disponibile V0
è riempito con combustibile alla concentrazione ottimale. Per una tipica miscela di idrocarburi e olio
nebulizzato, la concentrazione ottimale è leggermente superiore a quella stechiometrica.
Il concetto di venting interno consiste nel rendere disponibile una volumetria aggiuntiva V1 durante
l’esplosione. La pressione finale viene ridotta di un fattore V0/(V1+V0): per esempio, raddoppiando il
volume disponibile (V1=V0) la pressione finale si riduce a metà.
L’efficienza del venting interno dipende dall’area della sezione che connette il volume iniziale V0 a
quello addizionale V1, e dall’indice di reattività del combustibile Kg: durante il transitorio che segue
l’esplosione, la massima pressione Pred raggiunta all’interno del volume supererà quella teorica; nel caso
in cui il volume V1 non sia direttamente collegato a V0, deve essere previsto un condotto di venting, che
introduce una ulteriore perdita di efficienza ed incrementa il valore di Pred.
Il venting esterno rappresenta una soluzione efficiente per i casi nei quali è disponibile un’area di sfogo
verso l’esterno sufficientemente grande; in queste condizioni la massima pressione Pred raggiunta
all’interno del volume durante il transitorio può essere stimata come funzione dell’area di venting. Per
applicazioni tipiche, in condizioni normali i venting devono restare chiusi: a tale scopo si utilizzano i
pannelli di scarico pressione (pressure relief panels); l’efficienza del venting in termini di Pred dipende
dalla pressione Pstat che determina l’apertura di tali pannelli.
Per combustibili molto reattivi (come l’idrogeno) e grandi volumetrie, le aree di venting richieste
possono essere molto grandi, introducendo problemi pratici nella realizzazione dei dispositivi di
aerazione.
Se il volume da aerare non può essere direttamente connesso con l’ambiente esterno, deve essere
previsto un condotto di collegamento; l’efficienza del venting risulta fortemente influenzata dalla
lunghezza del condotto a dal suo percorso. Tale condotto dovrebbe quindi essere più breve e rettilineo
possibile.
Lo sfogo di una esplosione offre una immediata protezione dalla sovrapressione fornendo una via di
fuga predefinita ai gas in espansione. L’area di sfogo deve essere dimensionata per permettere lo scarico
dei gas in espansione ad una velocità sufficiente per limitare lo sviluppo interno di pressione. Lo sfogo
della pressione che si genera durante una deflagrazione si articola in 3 fasi:
• Fase 1: Nella fase incipiente la miscela esplosiva composta da gas/polveri combustibili ed aria viene
esposta ad una fonte d’innesco di sufficiente energia per dare luogo all’esplosione. Di conseguenza
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si assiste alla progressiva formazione di una fire-ball; lo sviluppo in volume dei prodotti della
combustione provoca l’insorgere di un’onda di pressione che si espande con la velocità del suono.
• Fase 2: L’onda di pressione raggiunge le pareti; al procedere della reazione di combustione la
pressione interna continua ad innalzarsi mantenendo una distribuzione uniforme in tutto il volume
della camera interessata all’evento di combustione. Quando viene raggiunta la pressione di apertura
del dispositivo di sfogo (membrana di sfogo/disco di rottura), inizia al fase di scarico.
• Fase 3: La membrana di sfogo/disco di rottura raggiunge, in millesimi di secondo, la completa
rottura; la sovrapressione e le fiamme defluiscono attraverso l’apertura creatasi.
Al fine di raggiungere il necessario livello di protezione, dispositivi quali le membrane di sfogo ed i
dischi di rottura dalle esplosioni devono possedere le seguenti caratteristiche:
• Pressione di rottura predeterminata: l’efficienza del dispositivo è determinata dalla precisione del
suo valore di rottura entro limiti di tolleranza noti.
• Apertura totale e controllata: la linea di rottura delle membrane di sfogo o del disco di rottura deve
essere predeterminata e controllata; inoltre in caso di esplosione deve essere garantita un’area di
sfogo predeterminata e senza restrizioni.
• Risposta immediata: per raggiungere il necessario livello di efficienza i dispositivi di sfogo delle
esplosioni devono essere progettati per fornire un’apertura istantanea al fronte di pressione.
L’efficienza di sfogo delle membrane e dei dischi di rottura è del 100%; altri sistemi (porte
incernierate, ecc.) offrono una efficienza allo sfogo minore.
• Minima frammentazione: i sistemi di sfogo delle esplosioni devono essere progettati per evitare ogni
rischio di frammentazione; ciò è possibile attraverso l’uso di materiali di massa ridotta.
• Compatibilità con il sistema: il dispositivo di sfogo delle esplosioni selezionato deve essere
compatibile con le normali condizioni operative dell’impianto da proteggere. Qualora le condizioni
di impiego includano ambienti corrosivi, pressione di servizio ciclica o pulsante, pressione di
esercizio negativa (vuoto), o temperature operative elevate, deve essere selezionato il dispositivo di
protezione più adatto a fornire una adeguata operatività.
Per raggiungere il necessario livello di protezione delle attrezzature deve essere determinata l’area
minima di sfogo per la pressione originata dall’esplosione. L’area di sfogo necessaria dipende dalle
caratteristiche esplosive del combustibile (rappresentate da Kmax, e da pmax), dalla resistenza meccanica e
dal volume del recipiente o della cella e dalle condizioni operative.
I vantaggi derivanti dall’impiego dei dispositivi di sfogo delle pressioni, in confronto ad altri sistemi (es.
valvole di sicurezza) sono:
• un costo relativamente contenuto;
• non hanno parti in movimento e quindi non necessitano di manutenzione garantendo inoltre tempi di
risposta più rapidi;
• mediante semplice sostituzione, è possibile montare dispositivi tarati su diversi valori di pressione;
• sono idonei per l’impiego con liquidi, gas, fluidi viscosi e fluidi bifasici;
• sono disponibili in una ampia gamma di materiali assicurando così buoni livelli di resistenza alla
corrosione a prezzi contenuti;
• garantiscono un buon livello di tenuta del sistema, evitando perdite di sostanze tossiche o preziose.
Oltre alle membrane di sfogo e ai dischi di rottura, un altro dispositivo utilizzato allo scopo di consentire
uno sfogo controllato delle sovrapressioni è il filtro di fiamma (flame quenching). Quando una
membrana di sfogo si apre per effetto dell’onda di pressione generata dall’esplosione di polvere o gas,
oltre alla pressione distruttiva vengono scaricati nell’atmosfera i prodotti della combustione (fiamme e
gas) ed il prodotto incombusto che può alimentare la propagazione continua ed intensiva della fiamma
dando luogo a fenomeni secondari (esplosioni secondarie).
La propagazione di fiamma accompagnata dallo sfogo di pressione e vapore rappresentano quindi
pericolose fonti di innesco per eventuali esplosioni secondarie, capaci di causare danni consistenti al
resto dell’impianto e compromettere l’incolumità delle persone che si trovano nelle immediate
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vicinanze. E’ quindi necessario adottare opportune misure di sicurezza per evitare ferimenti del
personale e danni alle attrezzature in caso d’esplosione. E’ ormai risaputo che la propagazione del fronte
di fiamma può essere fermata mediante dissipazione d’energia. Si può ottenere tale effetto facendo
sfogare le fiamme all’interno di uno speciale scambiatore di calore meglio conosciuto come “filtro di
fiamma”; in questo dispositivo la temperatura della fiamma viene abbassata ad un valore inferiore alla
temperatura d’innesco del prodotto trattato riducendo al minimo il rischio d’innesco di esplosioni
secondarie.
Questi dispositivi presentano il vantaggio di consentire uno sfogo dell’esplosione in ambienti chiusi a
patto che vengano rispettate certe cautele. Un ulteriore vantaggio è costituito dal fatto che il filtro di
fiamma può essere riutilizzato dopo lo sfogo dell’esplosione eseguendo semplici operazioni di pulizia ed
ovviamente dopo aver effettuato la sostituzione della membrana.
• Fattore di espansione del combustibile: definisce la pressione finale massima dopo una perfetta
combustione in un volume completamente saturato dal combustibile in oggetto alla concentrazione
ottimale (leggermente superiore a quella stechiometrica).
• Reattività del combustibile (indice Kg ): caratterizza la rapidità del processo di combustione e
conseguentemente la velocità di incremento della pressione nei casi confinati; inoltre, tale parametro
governa l’accelerazione del fronte di fiamma nei casi non confinati (venting). Ciò significa che per
miscele reattive deve essere adottata particolare cautela nella adozione di condotti di aerazione
lunghi e non rettilinei.
• Rapporto tra volume e area di aerazione (venting) disponibile.
• Pressione di attivazione dei dispositivi di venting, Pstat: elevati valori di Pstat portano ad alti valori
di pressione Pred e conseguentemente a bassi valori di efficienza del venting.
• Coefficiente di riempimento: per scenari nei quali non tutto il volume iniziale è riempito con il
combustibile, i valori di pressione (Pred) si riducono proporzionalmente al valore di tale
coefficiente.
• Fattore di espansione del combustibile: definisce la pressione finale massima dopo una perfetta
combustione in un volume completamente saturato dal combustibile in oggetto alla concentrazione
ottimale (leggermente superiore a quella stechiometrica). Valori di riferimento sono 6.8 per
l’idrogeno, 7.8 per il butano, 8 per il propano ed olio nebulizzato.
• Reattività del combustibile (indice Kg , definito come (dP/dT)max*V1/3): caratterizza la rapidità del
processo di combustione e conseguentemente la velocità di incremento della pressione. Tale
parametro può influire sui carichi dinamici applicati alla struttura di contenimento. Valori di
riferimento sono 550mbar*m/sec per l’idrogeno, 100mbar*m/sec per il butano, propano ed olio
nebulizzato.
• Coefficiente di riempimento: per scenari nei quali non tutto il volume iniziale è riempito con il
combustibile, i valori di pressione (Pred) si riducono proporzionalmente al valore di tale
coefficiente.
Per un dato volume e distribuzione di concentrazione, Pmax e dP/dTmax sono definite; la soluzione di
contenimento richiede il progetto di una struttura adeguata a contenere i corrispondenti carichi dinamici.
Tutte le aperture (porte, prese d’aria, scarichi, etc..) devono essere chiuse per mezzo di dispositivi
appositamente predisposti.
L’isolamento dell’esplosione può essere effettuata anche mediante l’uso di valvole flottanti. Tali valvole
sono frequentemente usate per proteggere i condotti di ventilazione che vengono chiusi quando un certo
livello di sovrapressione viene raggiunto. Tali valvole si distinguono a seconda che funzionino come
dispositivi passivi (self-actuated valve), oppure vengano comandate da dispositivi esterni (externally
actuated valve). Entrambe le tipologie di valvole possono sopportare sovrapressioni fino a 10 bar;
offrono una adeguata protezione nei confronti della propagazione di esplosioni da polveri (pmax ≤ 10 bar,
Kmax ≤ 300 m bar/s) e per esplosioni ibride, con una concentrazione massima dei vapori o gas
infiammabili del 50% rispetto al limite inferiore di infiammabilità.
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La parte interna della valvola contiene una valvola conica montata su una cavità sferica, libera di
muoversi assialmente in entrambe le direzioni; essa in condizioni normali è mantenuta nella posizione
centrale mediante una molla. La tensione della molla è calibrata per una predeterminata velocità
massima all’interno del condotto e differenza di pressione a monte e a valle della valvola. In presenza di
una esplosione, la valvola si chiude automaticamente grazie all’azione della sovrapressione incidente
(sovrapressione che in caso di deflagrazione precede il fronte di fiamma). Perché la valvola si attivi,
deve essere superata una delle due predeterminate soglie di velocità o di differenza di pressione a monte
e a valle della valvola. La valvola conica è spinta verso la sua sede di chiusura e mantenuta in tale
posizione da un sistema di ancoraggio. In aggiunta l’avvenuta chiusura della valvola può venire segnala
anche elettronicamente mediante l’invio di un opportuno segnale (limit switch). La valvola flottante
rimane chiusa finchè il dispositivo di sgancio (reset knob) non viene attivato mediante intervento
esterno.
La propagazione della sovrapressione (ad es. in un condotto di ventilazione), non viene impedita se il
picco di sovrapressione è inferiore al valore di soglia per cui il dispositivo di chiusura della valvola è
stato calibrato. Eventuali sistemi di venting o di soppressione installati nell’area da proteggere
dovrebbero essere tarati su valori di sovrapressione ancora superiori, in modo da posticiparne
l’attivazione solo dopo l’avvenuta chiusura delle valvole flottanti.
Per un corretto utilizzo di questo tipo di valvole flottanti, bisogna rispettare una distanza minima lmin e
massima lmax fra il punto in cui viene posizionato il dispositivo e l’area da proteggere. La massima
distanza deve assicurare che non si sviluppi lungo il condotto una transizione deflagrazione-detonazione,
e che quindi la sovrapressione incidente non raggiunga valori troppo elevati non sopportabili dalla
valvola. La minima distanza deve invece assicurare che il fronte di fiamma raggiunga la valvola dopo la
sua chiusura, prevenendo la propagazione di fiamme a valle della valvola stessa. La distanza per una
corretta installazione di deve quindi essere compresa fra lmin ed lmax ed è funzione del valore della
sovrapressione massima ammessa nella zona da proteggere ppred, max. Altri parametri che influenzano la
distanza di installazione di sono ovviamente il diametro nominale della valvola ed il tipo d’esplosione.
Le valvole flottanti attivate esternamente trovano impiego in quelle situazioni ove in presenza di deboli
sovrapressioni l’utilizzo di valvole flottanti non consentirebbe di prevenire completamente l’ignizione in
altre parti dell’impianto. Queste valvole sono attivate mediante l’azione di un gas propellente espulso ad
alta pressione contenuto in un recipiente ausiliario. In caso di esplosione un sensore rileva la presenza di
fiamme o di una sovrapressione e comanda l’attivazione del meccanismo di chiusura della valvola. La
valvola è quindi spinta nella sua sede e mantenuta in tale posizione da un sistema di ancoraggio. In
aggiunta, l’avvenuta chiusura della valvola può venire segnalata anche elettronicamente mediante l’invio
di un opportuno segnale (limit switch). La valvola flottante rimane chiusa finchè il dispositivo di sgancio
(reset knob) non viene attivato mediante intervento esterno.
Tali tipi di valvole flottanti attivate esternamente hanno tipicamente un funzionamento unidirezionale.
Nel caso che siano installati altri sistemi di protezione attivi quali quelli di soppressione, il sensore di
pressione impiegato per la rilevazione delle sovrapressioni entro l’area da proteggere può essere
impiegato per comandare anche l’attivazione della valvola flottante. Per quanto riguarda i tempi di
attivazione e di chiusura e l’ubicazione valgono le considerazioni già riportate per le valvole di
protezione a ghigliottina.
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La tecnica di controllo dell’esplosione mediante soppressione consiste in una adeguata riduzione della
velocità di incremento della sovrapressione per mezzo di sistemi che riducano l’efficienza del processo
di combustione che può portare alla deflagrazione, in modo da ridurre il danno strutturale e meccanico.
Oltre alla efficacia chimica dell’agente di soppressione selezionato per un dato combustibile, l’efficienza
di un sistema di soppressione rapida è influenzato dai seguenti parametri:
• efficienza ed efficacia dei sensori
• efficienza ed efficacia dell’unità di controllo e relativa logica
• efficienza ed efficacia dei dispositivi di scarico rapido dell’agente di soppressione
Il sistema di soppressione dell’esplosione è la soluzione tecnica preferibile rispetto ai sistemi sopra
discussi, permettendo di evitare il rilascio incontrollato nell’atmosfera delle sovrapressioni, di materiale
combusto/incombusto e delle fiamme. Tale sistema rappresenta una soluzione obbligata per tutti quei
processi in cui sfogare l’esplosione rappresenterebbe una soluzione impraticabile (ad esempio nel caso
di sostanze tossiche, o quando l’attrezzatura da proteggere è installata all’interno di un ambiente chiuso,
o infine quando un eventuale sfogo esporrebbe il personale ad inaccettabili rischi provocati dalla
emissione di pressione, calore e/o fiamme).
Uno degli elementi chiave nel funzionamento di un sistema di soppressione dell’esplosione è la scelta
del prodotto da utilizzarsi come agente di soppressione. Questa scelta è condizionata fra l’altro dal tipo
di sistema hardware che comanda il sistema di soppressione, dalla portata di rilascio del sistema (HRD
High Rate Discharge) e dal tipo di nozzle usati per disperdere l’agente chimico di soppressione. Non è
necessariamente il sistema che assicura il più rapido rilascio dell’agente o il sistema che ottiene la
dispersione su una più grande area, che assicura un più efficace arresto del processo di combustione. Le
modalità di rilascio dell’agente di soppressione sono certamente importanti, ma altrettanto fondamentale
è assicurare una ottimale interazione fra l’agente ed il processo di combustione.
• Reattività del combustibile (indice Kg , definito come (dP/dT)max*V1/3): caratterizza la rapidità del
processo di combustione e conseguentemente la velocità di incremento della pressione. Tale
parametro può influire sui carichi dinamici applicati alla struttura di contenimento. Valori di
riferimento sono 550mbar*m/sec per l’idrogeno, 100mbar*m/sec per il butano, propano ed olio
nebulizzato.
• Distribuzione del combustibile all’interno del volume di controllo (dispersione/perdite): la
conoscenza del meccanismo di dispersione consente un efficace posizionamento e dimensionamento
dei dispositivi di scarico rapido e la definizione delle logiche di attivazione
• Pressione massima ammissibile: se tale valore è determinato da condizioni esterne (ossia se la
resistenza delle strutture civili o del contenimento sono già definite), il sistema di soppressione può
essere progettato per adeguarsi a tali richieste.
L’impiego di dispositivi di scarico dell’inerte influenza le procedure operative all’interno del volume
controllato: il sistema di soppressione deve essere disattivato prima dell’accesso del personale per la
manutenzione qualora la sua attivazione possa nuocere al personale.
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Diversi sono gli agenti di soppressione che possono essere utilizzati in tali sistemi; essi possono essere
classificati in base alla loro natura fisica e chimica nel modo che segue:
Gas inerti o chimicamente attivi
Liquidi fisicamente o chimicamente attivi
Polveri fisicamente o chimicamente attive
4.4.3.1 Gas
Molti agenti gassosi agiscono come elementi inertizzanti, ossia hanno il compito semplicemente di
abbassare la concentrazione dell’ossigeno che sostiene la combustione. Le concentrazioni tipiche per
l’utilizzo di tali agenti gassosi inertizzanti (come CO2 o N2 ) è dell’ordine del 50% in volume. Il rilascio
di tali agenti gassosi in un ambiente confinato comporta un innalzamento delle pressione interna di circa
0.5 bar, a cui si deve aggiungere l’incremento di pressione dovuto all’innesco del processo esplosivo,
prima che questo possa essere efficacemente soppresso. Poiché un jet di gas ha un basso momento se
rilasciato in avanti, in confronto a quello di un liquido o ad una polvere, non è sorprendente che tali
agenti gassosi possano essere efficaci sono se rilasciati in ambienti confinati di modeste dimensioni; nel
caso di ambienti più grandi la loro efficacia è legata all’utilizzo di diversi punti di rilascio,
opportunamente posizionati entro il volume. Come già accennato precedentemente, particolare
attenzione deve essere riposta nella definizione del numero, della posizione, della forma e della portata
degli ugelli, poiché una fase di rilascio dell’agente inertizzante troppo violenta può portare ad un
controproducente aumento della turbolenza diffusa nell’ambiente.
Gas attivi chimicamente come CHF3 agiscono sulla combustione come radicali liberi in grado di
arrestare la reazione. Questo incrementa l’efficacia del gas che agisce come agente di soppressione,
richiedendo una concentrazione appena del 15% in volume per estinguere il processo di combustione.
Anche nel caso di gas chimicamente attivi, l’efficacia in caso di rilascio in grossi volumi è modesta,
causa il basso valore del momento della fase gassosa.
I liquidi evaporanti usati come agenti di soppressione hanno il vantaggio di essere rilasciati sotto forma
di gocce liquide in sospensione, che successivamente evaporano in prossimità dell’epicentro
dell’esplosione. Fra i liquidi evaporanti più utilizzati in passato va citato l’Halon. Questi liquidi
chimicamente attivi soffocano il processo di combustione sia sottraendo calore al processo, sia agendo
come radicali liberi in grado di arrestare la reazione. A seguito del protocollo di Montreal, l’Halon è
stato messo al bando avendone riconosciuto la dannosità in termini di effetto serra. Attualmente sono
state identificate e prese in considerazione come agenti chimici alternativi nuove sostanze
ecologicamente compatibili (fluorocarbon), con proprietà estinguenti simili all’Halon.
4.4.3.3 Liquidi
Il liquido che presenta le migliori proprietà di soppressione è l’acqua, che risulta particolarmente
efficace nel caso di esplosioni originate da polveri, ove il calore trasferito tra le particelle è il principale
meccanismo di propagazione della combustione; in questo caso l’acqua, rendendo “umide” le particelle
di polvere, contribuisce ad abbassarne il livello di infiammabilità. Gli agenti liquidi dimostrano invece
una minore efficacia nel caso di esplosioni di miscele di gas.
L’uso dell’acqua nebulizzata (water mist) quale mezzo estinguente, particolarmente efficace in caso di
incendio, è stato oggetto di recenti sperimentazioni anche per casi di esplosione. La dimensione della
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goccia d’acqua nebulizzata assume un ruolo fondamentale nelle proprietà estinguenti del mezzo, così
come le modalità di rilascio nella cella: studi recenti hanno dimostrato che una fase di rilascio del water
mist troppo violenta genera un grado di turbolenza diffusa nell’ambiente che può arrivare nei casi più
sfavorevoli ad alimentare il processo di combustione anziché inibirlo.
4.4.3.4 Polveri
Le polveri sono largamente usate come agenti di soppressione delle esplosioni. La loro primaria azione
inibitoria è svolta sottraendo calore al processo di combustione e successivamente agendo come radicali
liberi in grado di arrestare la reazione. Per questa ragione le dimensioni delle polveri, ed in particolare
l’area superficiale, hanno una particolare influenza sull’efficacia dell’azione di soppressione. L’effetto
inertizzante delle polveri nei confronti della miscela incombusta permane fintanto che esse rimangono in
sospensione nell’ambiente. Nel caso di esplosioni originate da polveri, l’uso di tali agenti assicura una
efficace inertizzazione, mentre nel caso di esplosioni di gas o a miscele ibride, deve essere presa in
considerazione la limitata durata dell’azione inertizzante e la conseguente possibilità di un nuovo
innesco dell’esplosione, una volta che l’agente inertizzante non è più in sospensione.
Parametri come il diametro degli ugelli allo scarico e la pressione del gas propellente che alimenta il
sistema di soppressione influenzano grandemente l’efficienza del sistema di soppressione ad alto tasso
di rilascio (HRD). Anche la portata dell’agente di soppressione e l’effettiva dispersione spaziale dello
stesso, hanno una grossa importanza nel determinare l’efficacia del dispositivo. In generale la portata
dell’agente di soppressione, può essere calcolata mediante l’espressione:
dm/dt = C0 A (PN2 )1/2
dove C0 è una costante, A è l’area di scarico, e PN2 è la pressione dell’azoto usato come propellente nel
sistema di soppressione.
E’ evidente che sia un incremento nella pressione dell’agente usato come propellente, sia un incremento
dell’area di scarico, incrementeranno la portata dell’agente usato per la soppressione. Va rilevato che se
una maggiore pressione del gas propellente, genera un sicuramente un maggior momento in avanti
dell’agente di soppressione, ciò comporta anche una maggiore dispersione angolare del getto; di fatto
questi parametri agiscono sull’efficacia del sistema di soppressione HRD. D’altra parte un rilascio
troppo rapido può essere di fatto uno svantaggio: infatti sia che si tratti di esplosioni di gas o di polveri,
un aumento della turbolenza indotta dall’azione di rilascio dell’agente di soppressione, può incrementare
il grado di severità dell’esplosione. Per tutte queste ragioni, il sistema di soppressione è da ritenersi
maggiormente efficace nel caso che si opti per un minore diametro degli ugelli allo scarico e per una
minore pressione dell’agente usato come propellente.
La pressione dell’agente gassoso usato come propellente contribuisce alla sovrapressione risultante
dall’evento esplosivo; una più elevata pressione del propellente può risultare in una più veloce
soppressione dell’esplosione, ma a scapito di un maggiore incremento della pressione finale. Di fatto
quello che si predilige è un compromesso in modo da bilanciare gli effetti spaziali e temporali dovuti al
rilascio dell’agente di soppressione, con le forze di reazione e la distribuzione di pressione originata
dall’agente propellente.
dispersione angolare del getto scaricato (come quella che si ottiene usando dei nozzle di forma tronco-
conica anziché semi-sferica) tende a peggiorare l’efficienza del sistema di soppressione.
Per quanto concerne la natura dell’agente di soppressione, test hanno dimostrato che agenti a base di
“fluorocarbon” presentano la stessa efficienza dell’Halon. L’aggiunta di specifici additivi chimici
all’acqua ne aumenta in generale l’efficacia. Per quanto concerne invece le polveri, gli agenti più usati
sono a base di mono-ammonio fosfato e bicarbonato di sodio.
L’esistenza di agenti di soppressione ad elevata efficacia, può consentire la realizzazione di sistemi di
soppressione che presentano bassi valori dei diametri degli ugelli allo scarico e/o basse pressioni
dell’agente usato come propellente.
In conclusione, è bene sottolineare che l’applicazione delle tecniche di soppressione rapida a scenari di
esplosione secondaria di componenti elettrici rappresenta una materia recente [14][15] e poco
consolidata, ed è tutt’oggi limitata ad esperienze pilota.
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Un fondamentale elemento che caratterizza la severità dello scenario incendio è costituito dall’eventuale
presenza della vasca di raccolta dell’olio; in caso di assenza di vasca l’intero quantitativo d’olio
fuoriuscente dalla cassa va a concorrere nella formazione del pool fire; inoltre è bene notare che in
presenza di falde o corsi d’acqua vicini i quantitativi di olio dispersi sono tali da configurare un elevato
rischio di inquinamento ambientale.
L’efficacia della vasca di raccolta dipende da quanto efficacemente l’olio fuoriuscente dalla cassa viene
in essa convogliato; molto spesso la griglia di captazione è solo di poco più estesa dell’impronta della
cassa, ed è quindi in grado di captare solo l’olio che fuoriesce dalla cassa in condizioni di non
pressurizzazione, ossia le vene d’olio che percolano dalle lacerazioni della cassa una volta esaurito il
processo di esplosione primaria; non vengono invece captati i volumi d’olio costituiti dai getti in
pressione durante la fase di esplosione primaria, che possono essere anche rilevanti ai fini della
formazione di un pool fire. Una disposizione costruttiva utile in tal senso, soprattutto in presenza di un
recinto tagliafuoco o di un ambiente chiuso, è la realizzazione di un massetto di fondo in pendenza, che
aiuti il rifluimento dell’olio disperso verso la griglia di captazione e la vasca di raccolta.
Un aspetto caratteristico nelle sottostazioni in ambiente confinato è costituito dalla soluzione tecnologica
adottata per la realizzazione dei passaggi cavi fra due ambienti contigui. In particolare, molto spesso tali
passaggi sono realizzati adottando accorgimenti anche sofisticati, ma relativi al solo scenario incendio,
ossia sono dotati di ottime caratteristiche di resistenza al fuoco ma scarse caratteristiche di resistenza
meccanica alle sovrapressioni; l’efficacia di simili elementi rischia di essere del tutto vanificata in caso
di previa esplosione, poiché la loro rottura avviene per effetto dell’esplosione prima ancora che si
inneschi l’incendio, lasciando pressoché totalmente sguarnita la sezione.
Le barriere tagliafuoco sono costituite da elementi aventi buone caratteristiche di tenuta al fuoco, aventi
lo scopo di schermare apparecchiature o l’ambiente esterno dal carico da fuoco. Come già discusso con
riferimento ai dispositivi posti in opera in corrispondenza dei passaggi cavi, l’efficacia di tali elementi è
tuttavia subordinata alla loro prestazione in termini di resistenza meccanica alle sovrapressioni da
esplosione. Inoltre la loro importanza è maggiore in condizioni di impianto aperto o semiconfinato.
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I cavi rappresentano un naturale driver per la propagazione delle fiamme, la cui efficacia è dipendente
dalla giacitura (verticale o orizzontale) e dalla presenza di elementi tagliafuoco. Una efficace
metodologia per il controllo della propagazione delle fiamme lungo i cavi è costituita dall’utilizzo di
vernici o malte ignifughe, con cui vengono rivestiti i cavi in corrispondenza dei tratti di maggior
probabilità di innesco (terminali) o di maggior criticità (passaggi pareti o solette).
L’acqua è sicuramente il mezzo estinguente più noto ed usato, grazie alle sue peculiari caratteristiche:
• Grande effetto refrigerante grazie al suo alto calore specifico ed alto calore latente di evaporazione;
• Buona proprietà di smothering, ossia di isolare dall’ossigeno;
• Vaporizzata adeguatamente, l’acqua può essere usata anche su apparecchiature elettriche;
• Facile reperibilità
• Bassi costi
Nessuna altra sostanza ha proprietà estinguenti di pari efficacia: il calore latente di evaporazione
dell’acqua è pari a 2257 KJ/Kg mentre il suo calore specifico è di 4.2 KJ/Kg. Questo significa che un Kg
d’acqua inizialmente riscaldato dalla temperatura di 10°C a 100 °C (evaporazione) e poi surriscaldato
fino a 300 °C, “consuma” (sottrae all’ambiente) circa 3000 KJ; se ciò accade in 1 secondo la potenza
termica sottratta all’ambiente è pari a 3000 KW. Un’altra importante caratteristica è la capacità di
penetrazione dell’acqua. L’aggiunta di speciali additivi riduce la tensione superficiale dell’acqua
aumentandone la penetrabilità.
Capacità estinguenti ancora maggiori sono proprie dell’acqua nebulizzata (water mist); la dimensione
della goccia d’acqua nebulizzata assume un ruolo fondamentale nelle proprietà estinguenti del mezzo.
Infatti più la goccia d’acqua si comporta come un gas, meglio essa può penetrare nel mezzo che brucia
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Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 35/64
ed quindi isolarlo dall’ossigeno (comburente): avere delle particelle d’acqua sufficientemente piccole
vuol dire consentire all’acqua di evaporare a contatto con le fiamme, ottimizzando così il suo effetto
refrigerante. Da esperienze condotte sembra che le dimensioni ottimali di tali gocce d’acqua debbano
essere fra i 200 e 300 µm.
Il concetto del water mist sembra essere molto promettente per l’estinzione dell’incendio, persino in
ambienti ove sono allocate apparecchiature che operano ad elevato voltaggio e sono presenti prodotti
d’olio. Sembra pensabile in un recente futuro poter sostituire molte sistemi d’estinzione d’incendio
basati su altri agenti quali halon e diossido di carbonio, con water mist.
Il sistema noto come water deluge si basa sull’utilizzo di grossi quantitativi d’acqua. Grazie
all’attivazione di un sistema di valvole (deluge valve), l’acqua viene inviata dei diffusori (nozzle) e
quindi spruzzata sul trasformatore (circa 15litri/minxm2). L’attivazione della valvole avviene mediante
un segnale proveniente da una serie di sensori, che registrano la presenza di fumo o fiamme entro la
cella, o un incremento di pressione all’interno della cassa del trasformatore. Il principio alla base del
water deluge è che l’acqua scaricata sul trasformatore lo raffredda e va ad estinguere l’incendio
dell’olio. L’aggiunta di speciali schiume tende ad inibire il processo di combustione, assicurando inoltre
che l’olio che fluisce all’esterno della cella non continui a bruciare. Tale sistema di estinzione presenta
alcuni punti critici, come ad esempio l’impossibilità di estinguere quei quantitativi d’olio che possono
essere fluiti lontano dalla portata dei nozzle. Attualmente il metodo del water deluge è tra i più diffusi
nel mondo, con diverse industrie specializzate nella sua installazione.
Le schiume sono uno dei mezzi d’estinzione degli incendi più efficaci. La schiuma ha la capacità di
soffocare l’ossigeno che alimenta la combustione insieme ad un forte potere refrigerante. Celle
eventualmente investite dalla schiuma sono infine ricondizionate facilmente. Generalmente queste
schiume sono addizionate all’acqua anche in basse concentrazioni (fino all’1%): hanno bassa viscosità,
non si deteriorano durante lo stoccaggio e non sono corrosive. Il principale svantaggio è l’elevato costo
di gestione del sistema d’estinzione.
Le soluzioni basate sull’uso di gas come mezzo estinguente sono caratterizzate da un minor costo
rispetto a quelle che impiegano acqua nebulizzata o schiume. Per tali installazioni tuttavia particolare
attenzione deve essere posta al design degli edifici e degli ambienti, ed alle soluzioni adottate.
Il diossido di carbonio, CO2, è stato usato per molti anni come mezzo estinguente nelle celle
trasformatori. Il CO2 , incolore, inodore e non tossico, estingue l’incendio ostacolando la diffusione
dell’ossigeno durante il processo di combustione. Il gas può essere compresso sotto forma liquida o
polvere in recipienti d’acciaio; un litro di CO2 liquida produce circa 460 litri di CO2 gassosa. La
concentrazione ottimale per un uso come estinguente durante un incendio, è del 25% in aria.
Tra i vantaggi si possono segnalare l’assenza di contaminazione sia degli ambienti che delle
apparecchiature una volta investite dal getto estinguente, e la facilità con la quale si disperde
nell’atmosfera. Ha buone proprietà isolanti per cui può essere impiegato senza particolari problemi su
trasformatori ed in generale su apparecchiature sotto tensione.
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Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 36/64
Il principale svantaggio associato all’uso della CO2 è il basso potere refrigerante. In generale la
reignizione dell’incendio può aversi se la zona soggetta a combustione non è totalmente avvolta dal gas
o se la temperatura è ridotta a sotto la temperatura di reignizione. Il gas è infine pericoloso ad alte
concentrazioni.
5.2.5.2 Halon
L’effetto estinguente dell’Halon è basato sulle proprietà inibitorie nei confronti del processo di
combustione. Fino ad alcuni anni fa l’Halon sembrava essere la sostanza più indicata per l’efficace
estinzione di un incendio; pochi quantitativi di gas erano sufficienti ad estinguere totalmente l’incendio
consentendo al personale di stazionare in piena sicurezza nell’area anche dopo che l’Halon era stato
rilasciato. Sfortunatamente il riconosciuto impatto ambientale di tale gas nei confronti dell’effetto serra,
ha imposto dapprima severi limiti sul suo utilizzo e successivamente il suo bando totale (protocollo di
Montreal).
Al momento è vietata la realizzazione di impianti che usino l’Halon come mezzo estinguente. Per gli
impianti già esistenti tale divieto è diventato operativo col 1 gennaio 2003.
Il bando dell’Halon come mezzo estinguente ha portato a sviluppare tecnologie che includessero altri
tipi di gas; sul mercato sono attualmente disponibili i seguenti prodotti:
Per la maggior parte di questi prodotti purtroppo non si hanno specifiche esperienze sul campo. Molti di
questi gas non possono essere impiegati in impianti che in precedenza utilizzavano l’Halon; se non a
fronte di grossi interventi sull’impianto quali la sostituzione dei serbatoi di contenimento e dei nozzles.
Attualmente nessuno di tali prodotti ha ricevuto l’approvazione per il suo utilizzo.
Insieme all’uso dell’acqua, la polvere è stata una delle prime sostanze usata quale mezzo estinguente;
tale effetto è basato sulla proprietà inibitorie della polvere. Fattori determinanti sono la composizione
chimica e la dimensione del grano. Le polveri sono principalmente usate nei sistemi d’estinzione
portatili mentre sono poco usate quale sistema fisso installato nella centrale e in particolare nelle celle
trasformatori. I principali vantaggi associati all’uso delle polveri sono la maggiore efficienza rispetto ai
liquidi e gas, insieme alla bassa conducibilità elettrica e tossicità.
Gli svantaggi risiedono negli oneri associati alla rimozione e pulizia degli ambienti dove viene usata,
nella possibilità che si abbia una reazione chimica fra polvere e superficie investita getto ed infine nel
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Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 37/64
basso potere refrigerante. Va infine ricordato l’elevato costo di installazione di tali sistemi e la vita
limitata della polvere una volta stoccata in recipienti.
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Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 38/64
Nel Rapporto CESI [17] è stata proposta una metodologia per la quantificazione del rischio associato
agli scenari incidentali di esplosione ed incendio in una centrale in caverna o una sottostazione elettrica.
La metodologia è basata sul calcolo di opportuni indici di priorità del rischio (RPN) definiti come
RPN = S x P x R
dove S esprime l’indice di severità di un dato evento, P il suo indice di probabilità, ed R il suo indice di
rilevabilità. Il calcolo dell’indice di rischio per l’intero impianto prevede l’identificazione di tutti gli
eventi o aspetti che incidono sul rischio considerato –per ognuno dei quali è calcolato un indice RPN
specifico-, e la loro razionalizzazione in un processo di valutazione che fornisca l’indice RPN collettivo
per il rischio considerato.
6.1.1 Severità/Gravità
Il primo passo nell’analisi del rischio è quantificare la gravità degli effetti dovuti al malfunzionamento
del dispositivo o processo in esame, visto come deviazione dalle caratteristiche funzionali impostate dal
costruttore o dalle ipotesi progettuali adottate in fase di progetto. Gli effetti sono scalati in un range da 1
a 10 dove 10 è il più grave. L’esperto o il gruppo di esperti deve stabilire criteri oggettivi di valutazione
all’interno del range stabilito. La messa in conto della diversa incidenza relativa di una data causa nella
valutazione globale del rischio può essere operata adottando per quella causa un range ridotto; ad
esempio, una causa ritenuta apriori particolarmente critica può essere caratterizzata dal range 5÷10; una
causa ritenuta meno critica può essere caratterizzata dal range 1÷3.
6.1.3 Rilevabilità
Il sistema in esame, o un suo componente, può essere dotato di controlli e protezioni che hanno lo scopo
di monitorarne il funzionamento, prevenendo il raggiungimento delle condizioni di guasto o dello
scenario incidentale. Il processo che porta all’indice di rilevabilità deve considerare i seguenti punti:
Controlli/Protezioni che prevengono le cause o il modo di guasto, oppure riducono la probabilità di
accadimento.
Controlli/Protezioni che rilevano le cause del modo di guasto e conducono ad azioni correttive.
Controlli/Protezioni che rilevano possibili avarie, prima che queste avvengano.
L’indice di rilevabilità assume un valore che rappresenta la capacità collettiva di rilevare cause o modi
di guasto.
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Un primo aspetto da tenere in considerazione per la classificazione del grado di rischio di un dato
impianto è il contesto urbanistico in cui l’impianto è inserito. Gli elementi che caratterizzano questo
aspetto sono:
densità e probabilità di persistenza della popolazione nell’intorno del sito
volume di traffico e vicinanza delle vie di comunicazione nell’intorno del sito
presenza e tipologia di altri siti industriali
A parità di scenario incidentale e di effetti in termini di sovrapressioni nell’intorno dell’impianto, la
presenza di un’alta densità di popolazione, o di una importante via di comunicazione, o di un impianto
industriale a rischio, determina una maggior gravità dei danni che tali sovrapressioni possono arrecare
all’esterno dell’impianto, e quindi un più elevato rischio globale.
Questi elementi devono quindi essere descritti da specifici indicatori di severità per rischio esplosione
(SE) ed incendio (SF); un esempio di definizione e quantificazione è il seguente:
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Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 40/64
Un altro aspetto di carattere generale è costituito dal grado di confinamento dell’intero impianto; a parità
di scenario incidentale, infatti, con riferimento al rischio esplosione l’entità delle sovrapressioni è tanto
meno consistente (e quindi tanto minori sono i danni attesi) quanto più ci si avvicina ad una condizione
di impianto all’aperto. In particolare, impianti interrati o in caverna non progettati come antiscoppio
sono da considerarsi con particolare cautela, perché i fronti di fiamma e pressione ed i fumi possono
propagarsi in modo poco prevedibile attraverso i volumi interni, arrivando ad interessare anche zone
relativamente distanti dall’origine dell’esplosione. L’impatto dei fumi sul territorio circostante è invece
poco dipendente dal grado di confinamento, motivo per cui l’indice di severità relativo allo scenario
incendio deve assumere valori relativamente elevati anche per volumi aperti o semiconfinati.
Un esempio di definizione e quantificazione degli indicatori specifici di severità per rischio esplosione
(SE) ed incendio (SF) legati a questi aspetti è il seguente:
grado di confinamento SE SF
volume aperto 2 6
volume semiconfinato (2 o più lati aperti) 4 6
volume chiuso con una superficie esterna cedevole 8 8
volume chiuso con finestre, botole, porte verso l'esterno 10 8
volume bunkerizzato progettato come antiscoppio 1 1
La quantificazione dell’indice globale di rischio deve essere condotta considerando tutti gli scenari
incidentali associati a tutti i componenti critici dell’impianto [17]. Nel Rapporto CESI [17] sono stati
indicati gli aspetti che rivestono una maggior criticità nei confronti del rischio esplosione ed incendio
per vari componenti critici.
In linea generale, gli aspetti che devono essere definiti per un dato componente considerato sono quelli
legati ai tre seguenti aspetti:
formazione di una miscela esplosiva (preludio allo scenario incidentale di esplosione secondaria)
formazione di un pool fire (preludio allo scenario incidentale di incendio)
proiezione di missili
La miscela esplosiva è formata in sede di esplosione primaria, e si compone di gas generati dalla pirolisi
dell’olio per effetto dell’arco interno, e di olio nebulizzato durante l’efflusso da squarci o flange
dell’involucro. Un indice di severità per lo scenario di esplosione può quindi essere parametrizzato
all’energia d’arco attesa, ad esempio espressa come funzione dei seguenti dati:
Il quantitativo di olio nebulizzato dipende dalla modalità di rottura dell’involucro; con riferimento ai
trasformatori, ad esempio, l’aspetto che maggiormente condiziona il fenomeno è la presenza della
corniera (trave di rinforzo posta immediatamente sotto la flangia di chiusura principale): le casse
sprovviste di corniera tendono ad aprirsi per tranciamento a taglio dei bulloni di chiusura, dando luogo
ad aree di efflusso notevoli e quindi ad una modesta frammentazione dell’olio; viceversa nelle casse
provviste di corniera, o in generale le casse provviste di rinforzi sovradimensionati in corrispondenza
delle flange, la dispersione dell’olio durante l’esplosione primaria può avvenire per distaccamento delle
flange e perdita di tenuta delle guarnizioni, con formazione di lame di efflusso relativamente sottili, e
conseguente notevole nebulizzazione dell’olio.
Per quanto riguarda lo scenario incendio, la distinzione principale relativa alla tipologia di cassa è quella
fra casse a campana (in cui è molto probabile avere la fuoriuscita repentina di una notevole quantità di
olio) e casse a coperchio.
Gli aspetti sopra descritti possono essere definiti in questo modo:
tipologia di cassa SE SF
coperchio senza corniera 8 7
coperchio con corniera 10 8
campana senza corniera 8 10
campana con corniera 10 10
quantitativo di olio
Infine, il buon funzionamento del componente, e quindi la sua probabilità di failure, sono correlati alle
modalità di esercizio e manutenzione. E’ utile quindi introdurre un opportuno indice di probabilità per
esprimere questo aspetto. In un primo livello di approccio tale indice è quantificato in modo diretto
dall’operatore specialista che esegue l’analisi di rischio; in un approccio più di dettaglio può invece
essere definito un criterio (o un intero sottomodello) per la definizione dell’indice di probabilità di
failure in funzione di specifici aspetti o variabili che definiscono le modalità di esercizio e
manutenzione.
6.4 Dati relativi all’estensione delle zone a rischio esplosione e/o incendio
La stima dell’estensione delle zone di danno rappresenta un aspetto particolarmente critico della
definizione del livello di rischio esplosione e incendio; infatti la reale estensione delle zone di danno
dipende dal modo con cui gli eventi incidentali evolvono in dipendenza dall’attitudine degli ambienti da
questi investiti a resistere alle sollecitazioni conseguenti.
In un contesto di analisi preliminare semiqualitativa è possibile affrontare questo aspetto introducendo
anzitutto degli indici di severità specifici per esplosione e incendio definiti in funzione della tipologia
costruttiva degli elementi di contenimento dell’impianto; pareti e solette in cemento armato (tipologie
costruttive dotate di notevoli risorse in termini di resistenza strutturale, e quindi “intrinsecamente
resistenti”) danno luogo a indici più bassi; pareti in mattoni, tamponamenti leggeri, finestre e infissi
((tipologie costruttive dotate di scarse risorse in termini di resistenza strutturale, e quindi
“intrinsecamente deboli”) danno luogo a indici più alti; inoltre, aperture o sfoghi diretti verso l’esterno
hanno un maggiore impatto sul territorio, e quindi devono essere caratterizzate da indici più elevati. Un
esempio di definizione è il seguente:
CESI A5055895
Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 42/64
Un aspetto che ha implicazioni relativamente al solo rischio incendio è quello relativo alle caratteristiche
del tracciato dei cavi. I cavi rappresentano un naturale driver per la propagazione delle fiamme, la cui
efficacia è dipendente dalla giacitura (verticale o orizzontale) e dalla presenza di elementi tagliafuoco.
Questo aspetto può essere descritto mediante un indice specifico di severità per il solo scenario incendio,
definito come segue:
Un aspetto caratteristico nelle sottostazioni in ambiente confinato è costituito dalla soluzione tecnologica
adottata per la realizzazione dei passaggi cavi fra due ambienti contigui. In particolare, molto spesso tali
passaggi sono realizzati adottando accorgimenti anche sofisticati relativi al solo scenario incendio, ossia
sono dotati di ottime caratteristiche di resistenza al fuoco ma scarse caratteristiche di resistenza
meccanica alle sovrapressioni; l’efficacia di simili elementi rischia di essere del tutto vanificata in caso
di previa esplosione, poiché la loro rottura avviene per effetto dell’esplosione prima ancora che si
inneschi l’incendio; ai fini della quantificazione del rischio, quindi, passaggi cavi dotati di diaframmi
standard fireproof o totalmente aperti sono da ritenersi quasi equivalenti. Questi aspetti possono essere
tenuti in conto mediante l’introduzione dei seguenti indici specifici:
Analoghe considerazioni possono essere condotte con riferimento alle soluzioni tecnologiche adottate in
corrispondenza delle sezioni di inlet/outlet dei condotti di ventilazione. Sezioni libere, o dotate di griglie
fisse costituiscono ovviamente sezioni libere sia nei confronti dei fronti di pressione e fiamma
(esplosione) che dei fumi (incendio). Una soluzione spesso adottata ai fini del controllo dello scenario
incendio è quella di dotare queste sezioni di pannelli di chiusura standard fireproof servocontrollati
attuati da sensori di fumo o fiamma; come per i passaggi cavi dotati di diaframmi standard fireproof,
anche questi elementi hanno tipicamente buone caratteristiche nei confronti della resistenza al fuoco ma
scarse prestazioni alle sollecitazioni meccaniche, e la loro efficacia è fortemente penalizzata
dall’eventualità di un’esplosione che precede l’instaurarsi dello scenario di incendio. Possono quindi
essere introdotti i seguenti indici specifici:
CESI A5055895
Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 43/64
Infine, un aspetto di carattere del tutto generale ma di forte impatto sul livello di rischio è rappresentato
dal grado di partizionamento dell’impianto. Il principio di fondo è che tanto più i componenti critici, e in
generale le diverse parti dell’impianto, sono alloggiati in zone fisicamente separate e compartimentate,
tanto più gli effetti di eventuali scenari incidentali rimangono circoscritti e governabili. Possono quindi
essere definiti i seguenti indici specifici:
partizionamento SE SF
volume aperto o semiconfinato (2 o più lati aperti) 1 1
impianto partizionato 5 5
impianto non partizionato 10 10
L’impianto di inertizzazione è a tutti gli effetti un impianto complesso, caratterizzato da livelli propri di
affidabilità e rilevabilità, correlati alla tipologia e concezione dell’impianto, alle modalità di esercizio e
manutenzione, alla sensoristica ed alla logica di autodiagnosi e controllo. In un primo livello di
approccio i livelli di affidabilità e rilevabilità possono essere quantificati direttamente da opportuni
indici, il cui valore è fissato in modo diretto dall’operatore specialista che esegue l’analisi di rischio; in
un approccio più di dettaglio può invece essere definito un criterio (o un intero sottomodello) per la loro
definizione in funzione di specifici opportuni aspetti o variabili.
La presenza di un eventuale impianto di soppressione rapida presuppone per definizione che l’evento
esplosione sia stato considerato in sede progettuale.
Un primo indice quantitativo può essere definito in base al rapporto Pred/Pmax di targa dell’impianto,
dove Pmax indica la pressione massima conseguente all’esplosione in assenza di impianto di
soppressione e Pred è la pressione massima ridotta per effetto dell’impianto di soppressione.
Analogamente a quanto detto per l’impianto di inertizzazione, anche l’impianto di soppressione
rappresenta un sistema complesso caratterizzato da livelli propri di affidabilità e rilevabilità, per il quale
valgono le medesime considerazioni espresse nel precedente paragrafo.
Eventuali aree di venting previste come tali in sede progettuale ed opportunamente realizzate devono
essere considerate separatamente dalle aperture accidentalmente formate dagli effetti dell’evento
esplosivo (già messe in conto nei §6.2 e §6.4).
Devono essere definiti un indice di severità definito in base al rapporto Pred/Pmax di progetto del
venting, ed un indice di affidabilità correlata alle modalità di controllo e manutenzione dei dispositivi di
venting.
Inoltre deve essere messo in evidenza un aspetto particolare, che influenza la severità dello scenario
incendio, rappresentato dalla richiudibilità del dispositivo successivamente al processo di venting; infatti
i dispositivi non richiudibili (tipicamente, i pannelli o le membrane a pressione di rottura prestabilita)
costituiscono a tutti gli effetti un’apertura nei confronti dello scenario incendio, mentre i dispositivi
richiudibili (pannelli incernierati) non incidono negativamente sulla severità dello scenario incendio.
Questo aspetto può essere messo in conto introducendo il seguente indice specifico:
CESI A5055895
Rapporto PeC Prove e Componenti Approvato Pag. 45/64
Le barriere tagliafuoco sono costituite da elementi aventi buone caratteristiche di tenuta al fuoco, aventi
lo scopo di schermare apparecchiature o l’ambiente esterno dal carico da fuoco. Come già discusso con
riferimento ai dispositivi posti in opera in corrispondenza dei passaggi cavi e dei condotti di
ventilazione, l’efficacia di tali elementi deve essere parametrizzata alla loro prestazione in termini di
resistenza meccanica alle sovrapressioni da esplosione. Inoltre la loro importanza è maggiore in
condizioni di impianto aperto o semiconfinato.
Può essere definito il seguente indice specifico di severità:
La presenza di un eventuale impianto di estinzione incendio presuppone per definizione che l’evento
incendio sia stato considerato in sede progettuale.
Un primo indice quantitativo può essere definito in base al fattore di efficienza e ridondanza
dell’impianto adottato in sede progettuale, correlato al volume di inerte disponibile rapportato al volume
dell’impianto ed alla tipologia e disposizione degli sprinkler.
Analogamente a quanto detto per gli impianti di inertizzazione e soppressione, anche l’impianto di
estinzione incendio rappresenta un sistema complesso caratterizzato da livelli propri di affidabilità e
rilevabilità, per il quale valgono le medesime considerazioni espresse nei §6.6 e §6.7.
Un ulteriore aspetto, di notevole importanza, è costituito dalla tipologia di estinguente utilizzato
nell’impianto. Estinguenti gassosi (tipicamente la CO2) sono caratterizzati da una forte dipendenza dalla
formazione di aperture o varchi non previsti in sede progettuale, che consentono un apporto di ossigeno
superiore a quello per cui è stato dimensionato l’impianto; viceversa, estinguenti di tipo schiumogeno
sono poco dipendenti da questo aspetto, essendo la loro efficacia pressoché invariata in ambienti
confinati o totalmente aperti. E’ quindi utile introdurre il seguente indice specifico secondo cui scalare
opportunamente gli indici di severità di incendio relativi a tutti gli aspetti sopra discussi.
tipologia di estinguente
gas (CO2) 10
water mist 8
schiuma 3
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6.11 Dati relativi a disposizioni costruttive per la mitigazione del rischio incendio
Un fondamentale elemento che caratterizza la severità dello scenario incendio è costituito dall’eventuale
presenza della vasca di raccolta dell’olio; in caso di assenza di vasca l’intero quantitativo d’olio
fuoriuscente dalla cassa va a concorrere nella formazione del pool fire; inoltre è bene notare che in
presenza di falde o corsi d’acqua vicini i quantitativi di olio dispersi sono tali da configurare un elevato
rischio di inquinamento ambientale.
L’efficacia della vasca di raccolta dipende da quanto efficacemente l’olio fuoriuscente dalla cassa viene
in essa convogliato; molto spesso la griglia di captazione è di solo di poco più estesa dell’impronta della
cassa, ed è quindi in grado di captare solo l’olio che fuoriesce dalla cassa in condizioni di non
pressurizzazione, ossia le vene d’olio che percolano dalle lacerazioni della cassa una volta esaurito il
processo di esplosione primaria; non vengono invece captati i volumi d’olio costituiti dai getti in
pressione durante la fase di esplosione primaria, che possono essere anche rilevanti ai fini della
formazione di un pool fire. Una disposizione costruttiva utile in tal senso, soprattutto in presenza di un
recinto tagliafuoco o di un ambiente chiuso, è la realizzazione di un massetto di fondo in pendenza, che
aiuti il rifluimento dell’olio disperso verso la griglia di captazione e la vasca di raccolta. Questi aspetti
possono essere messi in conto mediante l’introduzione del seguente indice di severità specifico:
7 CONCLUSIONI
8 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] Graziani R., Lepore L., Poli U. "Metodo per l'analisi e la valutazione delle conseguenze di eventi
incidentali connessi a determinate attività industriali", Istituto Superiore per la Prevenzione e la
Sicurezza del Lavoro, Doc. DIPIA 1040 Rev. 9/92
[2] Ministero dell’Ambiente: Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai
depositi di liquidi facilmente infiammabili e/o tossici, DM n°188 20 Ottobre 1998
[3] Ragusa S., "Introduzione all'Analisi del rischio nell'industria", Safety Improvement, 1986, p.174
[4] Lees, F.P. "Loss prevention in the process industries", Butterworths & Co., 1980, Vol.1, p.571
[5] Mercx W.P.M., De iutwerking van explosie-effekten op constructies, PML 1988-C-74, Juni 1988
[6] NFPA68 – Guide for Venting of Deflagrations, 1988 Edition, National Fire Protection
Association.
[7] NFPA69 – Standard on Explosion Prevention System, 1992 Edition, National Fire Protection
Association.
[8] Pressure Venting of Dust Explsions, VDI 3673, Beuth Verlag, 1995
[9] Direttiva 94/9/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchiature e sistemi di protezione destinati a
essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva, 23 marzo 1994
[10] EPRI: Partial combustion of electrical insulation fluids, Project 2028-11, Final Report EL-5262,
July 1987
[11] T.Kawamura, M.Ueda, K.Ando, T.Maeda, Y.Abiru, M.Watanabe, K.Moritsu: Prevention of tank
rupture due to internal fault of oil-filled transformer, CIGRE International Conference on Large
High Voltage Electric Systems, Paris, 28/8-3/9/1988
[12] H. Kuwahara, K. Tsuruta: Study of explosion and fire hazards of silicone liquid under arc
conditions, IEEE, pp. 186-194, 1989
[13] CESI: Indagine sui gas prodotti con archi interni nei trasformatori in olio, Rapporto di Prova
GPS-98/031632, Dicembre 1998.
[14] SEBK - Sikkerhetstiltak mot Eksplosjon og Brann i Kraftforsyningen - Safety Measures to
prevent Explosion and Fire in Electrical Power Plants, Phase 1÷5 SEBK Project Reports, Gennaio
2002
[15] SEBK - Sikkerhetstiltak mot Eksplosjon og Brann i Kraftforsyningen - Safety Measures to
prevent Explosion and Fire in Electrical Power Plants, Extension Project, Agosto 2002
[16] CESI: Tecniche di modellazione del fenomeno di rilascio di olio e gas dalla cassa di trasformatori
soggetti ad arco interno, Rapporto A4524877, 31/12/2004
[17] CESI: Definizione di una check-list per la valutazione del rischio, Rapporto A5030345,
30/12/2005
[18] CESI: Caratterizzazione dei principali componenti di sottostazioni elettriche con riferimento agli
scenari incidentali di esplosione ed incendio, Rapporto A5030345, 29/06/2005
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Sovrapressione
Danni
[bar]
Limite di danno trascurabile 0.02
50% frantumazione vetri finestre 0.025
100% frantumazione vetri finestre 0.07
50% distruzione di edifici in muratura 0.16
Rottura di serbatoi di stoccaggio 0.25
100% distruzione di edifici in muratura 0.45
notevoli danni su impianti e apparecchiature industriali 0.6
distruzione di strutture in cemento armato 0.7
CESI A5055895
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Sovrapressione
Danni
[bar]
Percezione rumore fastidioso (137 dB), se di bassa frequenza (10-15 Hz) 0.001
Rottura occasionale dei vetri di grandi finestre se già sotto sforzo 0.002
Forte rumore (143 dB) 0.004
Rottura di finestre già sotto sforzo 0.007
Tipica pressione di rottura di lastre di vetro 0.010
'Distanza di sicurezza' (probabilità 0.95 di assenza di danno sotto questo valore)
0.002
Danni minori a coperture di edifici; 10% vetri finestre rotti
Limitati e secondari danni strutturali 0.028
frantumazione dei vetri di finestre di grandi e piccole dimensioni; rottura occasionale
0.034-0.069
dei serramenti
danni minori a strutture di edifici 0.048
parziale demolizione di edifici 0.069
pannelli ondulati di amianto distrutti
pannelli corrugati di acciaio o alluminio divelti dai supporti e imbozzati 0.069-0.138
tamponamenti in legno divelti e sfondati
strutture portanti in acciaio lievemente distorte 0.090
parziale collasso di muri e tetti di edifici 0.138
rottura di muri in blocchi di calcestruzzo non rinforzati 0.138-0.207
limite inferiore di importanti danni strutturali 0.159
50% distruzione di edifici in mattoni 0.172
strutture portanti in acciaio deformate e divelte dalle fondazioni 0.207
strutture scatolari in acciaio distrutte
0.207-0.276
rottura di serbatoi di stoccaggio
rottura del rivestimento di edifici industriali 0.276
probabile totale distruzione di edifici
0.690
spostamento e danneggiamento di macchinario industriale pesante
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Tab. 6 – Limite inferiore e superiore di infiammabilità della miscela gassosa (prodotti gassosi della
pirolisi e olio nebulizzato)
Quantitativo LFL UFL
oil mist (%vol) (%vol) (%vol)
0 (no oil mist) 3.4 66.4
100 2.9 32.3
200 2.6 23.6
400 2.2 17.2
Tab. 7 – Minima concentrazione di ossigeno della miscela gassosa (prodotti gassosi della pirolisi e
olio nebulizzato) con riferimento ai gas inerti N2 e CO2
Quantitativo N2 CO2
oil mist MOC MOC
(%vol) (%vol) (%vol)
0 (no oil mist) 5.3 5.6
100 5.7 6.0
CESI A5055895
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Reazione
di pirolisi
Arco
elettrico
Missili
Prodotto gassosi
della pirolisi
Getto d’olio
Prodotto gassosi
Olio nebulizzato della pirolisi
Olio liquido
Scenario di Esplosione
Secondaria
Sorgente di
ignizione
Scenario di Incendio
(Pool fire)
KO
KO
Venting
Barriere antiscoppio
OK
Fig. 6 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – controllo passaggio cavi (a)
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KO
Fig. 7 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – controllo passaggio cavi (b)
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OK
Fig. 8 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – controllo passaggio cavi (c)
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Fig. 9 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – apertura di brecce (a)
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KO
Fig. 10 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – apertura di brecce (b)
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Fig. 11 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – dispositivi di venting (a)
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OK
Fig. 12 – Impatto dell’esplosione secondaria sullo scenario di pool-fire – dispositivi di venting (b)
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Gas Combustibile
100%
D
A
X
C
F
B