Janus-Giano
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About this series
La casa, il mito, il confine, il gioco, il viaggio delineano lo spazio di questo libro scritto tra il 2012 e il 2020. Una raccolta composita anche linguisticamente, con testi in italiano, sloveno e inglese.
I testi possono apparire distanti l’uno dall’altro e forse lo sono, per lo meno in senso temporale: « Non so quante cose io abbia scelto e quante mi sia ritrovata a vivere o a scrivere, ma quando cammino in montagna so che cammino e mi piace. Per arrivare in cresta, solitamente si sale passando boschi di faggi per poi sbucare su declivi erbosi che lasciano presto spazio a zone aspre e rocciose e ovunque fortificate dai soldati dell’uno e dell’altro fronte durante la prima guerra mondiale. È faticoso coprire dislivelli di mille-millecinquecento metri anche senza altra difficoltà che salire, richiede impegno fisico e resistenza all’insistente pensiero di resa che dice adesso, adesso, adesso mi fermo… ».
Titles in the series (8)
- Angolo morto
1
In Angolo morto, pietra miliare dell’opera di Quintais, troviamo versi liberi, prose e sonetti che testimoniano la sua abilità nel pensare “ in retrospettiva ”, nel riflettere sull’importanza della parola per non dimenticare la Storia e imparare a convivere con i suoi drammi. Attraverso i consueti toni nostalgici e profondamente elegiaci, Quintais ci suggerisce di guardare il passato per poter mettere in allerta la coscienza sul futuro. La poesia si fa dunque arte della memoria, permettendoci di non dimenticare gli errori della Storia. L’angolo morto di cui ci parla Quintais è metafora di un pericolo che comunque ci trae in inganno, è l’informe la cui visuale ridotta diventa fatale: accettare la manifestazione del pericolo vuol dire anche accettare le nostre paure, riuscire a dominarle o imparare a convivere con esse. Alla raccolta si aggiunge la poesia inedita « All’interno di quest’ombra », omaggio a Dante Alighieri composto espressamente per questa edizione.
- Penultimi
I penultimi non sono gli ultimi. I penultimi possono ancora trovare ciò che resta della civiltà occidentale, delle sue idealità: la comunanza, la commozione, la morbidezza di ciò che è sensuale, corporeo, vitale. Possono ancora concepire la speranza del cambiamento. Il mondo che emerge non è più quello dell’alienazione operaia ma quello dell’apartheid prodotta dalle nuove oligarchie finanziarie. La società tende a dividersi in caste non più in classi come nel 900, le persone, sempre in movimento pendolare, restano immobili, l’Occidente sembra tutto retrodato a vecchio regime, a prima della rivoluzione borghese, è un mondo neofeudale, appunto. Di questo mondo Forlani dice con tenerezza e crudeltà. NOTA CRITICA di Biagio Cepollaro Con questi testi che sono insieme contesti ed extratesti, sono parole, immagini, riferimenti precisi al mondo concreto, oggettuale, quotidiano, platealmente condiviso, indiscutibilmente luogo comune, comunanza , Francesco Forlani ci regala un risultato, non una ricerca intellettualistica, manieristica e vana. Il risultato è il punto di vista, “dal basso”, che confligge o si sposa con lo stile che è medio ma anche alto, lirico. Il male non viene urlato perché dirlo e dirlo nello stile del male, vuol dire restare invischiati e complici. Nelle ore in cui soltanto i topi la fanno da padrona e l’eco dei passi non li sveglia né li fa fuggire dalle feritoie che accolgono l’asfalto delle strade s’ode dei matti l’orazione alle stelle ormai scappate via una nenia che è una forma di preghiera una ninna-nanna al cuore che protegge il sonno in quell’ora presta dei piccini disseminati nei palazzi tutti intorno cullati da lucine di notte disposte dalle madri ma sono loro, i matti, che sorvegliano i sogni.
- Primo Amore - ПЕРВАЯ ЛЮБОВЬ
Per la prima volta, oltre a una nuova traduzione, il classico romanzo breve di Ivan Turgenev viene pubblicato con il testo a fronte originale russo. Introduzione di Massimo Maurizio - Traduzione di Barbara Delfino Primo amore, composto nel 1860, è una «povest’ (racconto lungo), che però nella biografia artistica dell’autore ricopre un ruolo di primo piano», ci dice Massimo Maurizio nell’introduzione al volume. Il romanticismo, con tutto il suo mondo, è già anacronistico all’epoca della stesura, ma consente al grande scrittore russo di aprire una finestra critica – a tratti compiaciuta – sul progressivo disfacimento di una società. «Turgenev si fa beffa delle pose dei suoi personaggi, sembra osservarli dall’esterno e con il ghigno canzonatore di chi non vuole piacere a nessuno, di chi sa di non conoscere la Verità.» E l’amore? È un inutile gioco di società, un capriccio non senza cattiveria. Ne fa le spese il più giovane, che al suo “primo amore” perde l’innocenza, venendo scavalcato nelle grazie della bella principessina di cui si innamora dal proprio padre (e con questo, probabilmente, fa un passo decisivo, per quanto sofferto, nel passaggio da ragazzo a uomo). «Lo scandalo seguito alla pubblicazione di Primo amore è spiegabile, ovviamente, con la visione moralistica e ipocritamente bigotta delle relazioni sociali, ma anche – forse – con il riconoscersi dei critici e dei lettori nella narrazione impietosamente realistica delle macerie di un tempo che non riuscì a fare mai davvero i conti con se stesso.»
- L'imperatore di Atlantide
La storia di un’opera artistica eccezionale per le circostanze in cui è stata creata, il Lager nazista, e ritrovata e riportata a nuova vita. La musica e il testo dell’Imperatore di Atlantide, opera lirica composta durante la prigionia nel ghetto di Terezín, risorgono dal fondo dell’abisso in cui furono creati e giungono fino a noi come altissima testimonianza della forza politica ed etica dell’arte. Nel volume – che presenta il testo del libretto in traduzione con l’originale tedesco a fronte –, Enrico Pastore racconta la storia dei due autori, illustra il contesto del ghetto di Terezín e analizza il valore artistico dell’opera, mentre a Marida Rizzuti è invece affidata l’analisi della partitura musicale.
- Onde lunghe
Onde lunghe è dedicato agli elementi dell’acqua e dell’etere radiofonico, e raccoglie i migliori testi di alcune delle raccolte poetiche pubblicate da Timofeev negli ultimi dieci anni. Che cosa potrete trovare in Onde lunghe? Troverete versioni alternative della realtà e dediche a icone pop semidimenticate; vi racconterà delle passeggiate di un padre e di un figlio e degli afterhour notturni per Riga. Quando prenderete in mano Onde lunghe, andrete al mare, anche se non vi muoverete di un centimetro. Qui, dove si incontrano il mare e la terraferma, la prosa breve e la poesia, dove i loro ritmi si sferzano a vicenda come onde su una riva che si allunga fino all’orizzonte, qui c’è un punto di quiete. Quale? Trovatelo voi.
- Poesie dal campo di concentramento
L’ascesa della Germania nazional-socialista non lo colse impreparato, il suo impegno civile contro il dilagare del fascismo si fece caricatura per le testate giornalistiche dell’epoca. Per via del suo orientamento politico venne arrestato nel 1939 e rinchiuso in un lager nazista. Sarà qui che Josef Čapek si affiderà per la prima volta alla poesia. Prima che finisse la guerra, alcuni componimenti riuscirono a raggiungere Praga, per mano di studenti universitari che da Sachsenhausen nel 1943 fecero ritorno nella capitale boema. A questi si aggiunsero le copie delle poesie che alcuni detenuti vicini allo scrittore riportarono in patria dopo la guerra. Il 25 febbraio del 1945 Josef Čapek venne trasportato nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, dove morì, probabilmente a causa dell’epidemia di tifo che decimò i prigionieri rimasti nel lager, pochi giorni prima dell’arrivo delle truppe inglesi. Čapek scrisse la sua ultima poesia „Prima del grande viaggio“ (Před velikou cestou) nel campo di concentramento di Sachsenhausen in prossimità dell’ultimo trasporto. Le edizioni La prima edizione delle poesie risale al 1946 (Fr. Borový, Praha) e si deve alla cura del poeta Vladimír Holan, al quale, Jarmila Čapek, moglie di Josef, aveva dato in lettura le poesie ricevute durante la guerra. Le edizioni successive (Odeon, Praga, 1980 – Triáda, Praga, 2010), curate dal critico letterario Jiří Opelík, presentano una ricostruzione puntuale e completa dell’intera raccolta che conta in tutto 121 poesie. Di recente in Germania è stata pubblicata in traduzione (con testo a fronte) una scelta di poesie (Josef Čapek, Gedichte aus dem KZ, Arco, Wuppertal, 2016), curata da Urs Heftrich – che ne è anche il traduttore – e Jiří Opelík. L’edizione tedesca contiene 44 poesie. La traduzione italiana è condotta sul testo dell’edizione ceca del 2010 (così come quella tedesca). Intendiamo presentare al pubblico italiano un numero significativo di poesie che sia rappresentativo dell’intera raccolta.
- Volevamo salvarci
La poesia di Hruška è un originale misto di lirismo del quotidiano e di uno sguardo sempre sorpreso sul mondo, stupore da cui scaturisce il tentativo di salvarsi. L’uomo è fragile, confuso, la realtà sconnessa, fatta di oggetti e comportamenti che non hanno più un vero senso. Lo sguardo del poeta è allora quello che ci fa di nuovo accorgere di quello che facciamo, del luogo in cui ci troviamo, che si chiami casa, traghetto, supermercato, motel, gru di cantiere, una rotatoria, o casa. Lo sguardo sulla contemporaneità, sulle storture della vita comune, è severo e insieme illuminato. Ed è così che finiamo per leggere le ultime notizie sulle “canaglie” in campagna elettorale sulla carta unta del giornale usato per incartare il pesce. La disperazione è però consapevole, quasi educata, tenera, come se ci si adattasse ad essa, in fondo. Forse è per questo che non resta altro che “un certo presentimento che volevamo salvarci”.
- Casadolcecasa
casadolcecasa ha diverse fonti. Tre testi su cinque nascono da performance di teatro e musica. La potenza di questi versi è un’esigenza profonda, il bisogno di trovare equilibrio attraverso gli estremi del corpo, passando da un sentiero all’altro in uno scarto interiore continuo. La casa, il mito, il confine, il gioco, il viaggio delineano lo spazio di questo libro scritto tra il 2012 e il 2020. Una raccolta composita anche linguisticamente, con testi in italiano, sloveno e inglese. I testi possono apparire distanti l’uno dall’altro e forse lo sono, per lo meno in senso temporale: « Non so quante cose io abbia scelto e quante mi sia ritrovata a vivere o a scrivere, ma quando cammino in montagna so che cammino e mi piace. Per arrivare in cresta, solitamente si sale passando boschi di faggi per poi sbucare su declivi erbosi che lasciano presto spazio a zone aspre e rocciose e ovunque fortificate dai soldati dell’uno e dell’altro fronte durante la prima guerra mondiale. È faticoso coprire dislivelli di mille-millecinquecento metri anche senza altra difficoltà che salire, richiede impegno fisico e resistenza all’insistente pensiero di resa che dice adesso, adesso, adesso mi fermo… ».
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