Sei sulla pagina 1di 77

UNIVERSIT DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO

FACOLT DI SOCIOLOGIA LAUREA TRIENNALE IN SOCIOLOGIA

SISTEMI PRODUTTIVI E SUBCULTURA POLITICA: IL CUORE ROSSO DI FANO?

Relatore: Chiar.mo Prof. FRANCESCO FRATTO

Tesi di Laurea di NICOL CANESTRARI

Anno Accademico 2011-2012

2 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

INDICE INTRODUZIONE 1. FORDISMO, POSTFORDISMO E DISTRETTI PRODUTTIVI ITALIANI 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. Lindustria prima di Ford Dallempiria e arbitrio allorganizzazione scientifica del lavoro Il fordismo La crisi del fordismo e i suoi motivi Il postfordismo 1.5.1. Il concetto di flessibilit 1.5.2. La filosofia industriale del just in time Distretti produttivi e piccola e media impresa in Italia 1.6.1. Inquadramento storico: il capitalismo italiano nel 900 1.6.2. Sviluppo ed affermazione della piccola e media impresa 1.6.3. Definizioni e caratteristiche 1.6.4. Analisi recenti per prospettive future: verso la globalizzazione 5

7 7 8 10 14 15 18 20 21 21 23 25 28

1.6.

2. SUBCULTURA POLITICA E SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. Le Tre Italie Grandi partiti, piccole imprese e subculture politiche Identit, territorio, mappe, voto LItalia di mezzo: ancora un Cuore rosso?

31 31 33 39 42

3. SUBCULTURA E SISTEMI PRODUTTIVI: IL CASO DI FANO 3.1. 3.2. 3.3. Il quadro di riferimento economico Il quadro di riferimento politico Tra trasformazioni economiche e scongelamento subculturale: le conseguenze nel contesto fanese

49 49 55 63 71 77

BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA

3 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

4 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

INTRODUZIONE

Questo lavoro nasce da una duplice necessit: da una parte lintenzione di esplorare tematiche di stampo sociale, economico e politico; dallaltra, quella di osservare la citt di Fano, metterla sotto i riflettori come oggetto di studio, dare un senso ai profondi mutamenti sul piano politico che lhanno interessata. Per potersi sviluppare, lanalisi si muover pertanto tra il livello economico e quello socio-politico, ne descriver i rispettivi tratti caratteristici, e i meccanismi mediante i quali luno influenza laltro. La sovrapposizione di questi due piani verr calata sul contesto fanese, cos da poter cogliere fattori statici e dinamici sia dei suoi sistemi produttivi che, soprattutto, di quelli legati allappartenenza politica ed al comportamento elettorale. Partendo dalle tesi proposte da Francesco Ramella in Cuore rosso?, linteresse sar poi spostato sulla realt di Fano: gli studi portati avanti da questultimo hanno analizzato la cosiddetta Terza Italia, quella composta dalle regioni del nord-est e del centro, con particolare attenzione a quelle regioni (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche) che meglio di altre hanno saputo mantenersi fedeli ad una tradizione politica di stampo comunista (e, successivamente, post-comunista). Una fedelt che tuttavia negli ultimi venti anni apparsa meno granitica, pi rinegoziabile, formalmente in continuit col passato ma sostanzialmente trasformata. Giacch anche Fano, importante centro della provincia di Pesaro e Urbino, fa parte di quel cuore rosso, pu diventare un ambito di studio interessante per verificare la bont di quelle tesi. Obbiettivo e scopo principale di questo elaborato pertanto quello di riprendere il lavoro di Ramella e confrontarne le ipotesi sullambito specifico di Fano. Per far ci, la metodologia utilizzata quella della tesi compilativa: si fatto ampio riferimento alla letteratura della sociologia economica e della sociologia politica, specie se di studiosi del complesso contesto italiano. Sono riportati quindi studi di stampo storico, socio-economico e socio-politico; alcune tra le pi fortunate e convincenti ipotesi formulate per descrivere lassetto economico e sociale dellItalia; dati riguardanti la popolazione, la stratificazione sociale, la segmentazione delle imprese (sia su base nazionale sia, pi in piccolo, su base comunale); risultati elettorali dal secondo dopoguerra ad oggi. Inoltre, per redigere lultima parte, quella pi marcatamente incentrata su Fano, la ricerca si avvalsa anche di colloqui ed interviste, utili a ricostruire il quadro politico della citt, le sue evoluzioni, i suoi mutamenti nel recente passato, le sue attuali caratteristiche. Si tratta di un lavoro strutturato in tre parti: in primo luogo, non potendo prescindere da una descrizione della macro-area economica e socio-economica, vengono definite le forme di produzione pi importanti e pi radicate: il livello economico cos esplorato descrivendo il taylorismo, la grande impresa, il fordismo, la sua crisi ed il suo superamento, sfociato in un postfordismo che apre unera nuova, dove la fabbrica si ridimensiona, diventa flessibile, tenta di dare risposte ad un mercato sempre pi variegato. Lemersione di una forma di produzione che supera la grande industria fordista particolarmente visibile sul
5 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

contesto italiano, ancor di pi nel nord-est e nel centro Italia, zone in cui il sistema produttivo basato su piccole e medie imprese e distretti produttivi ad affermarsi con forza. Successivamente, nel secondo capitolo, il livello economico viene sovrapposto a quello politico: verranno cos passati in rassegna le analisi che meglio di altri hanno saputo descrivere il contesto del centro e del nord-est italiano. Si far cos riferimento allemersione della Terza Italia, al fondamentale concetto di subcultura politica, al territorio come base dindagine per scoprire le tradizioni politiche, le identit, la continuit (o la discontinuit) nel voto. Da queste analisi non emerge solo unaccurata descrizione del variegato panorama economico e sociale italiano: esse forniscono anche strumenti analitici di grande utilit, ripresi ed ampiamente utilizzati in questo lavoro per descrivere la realt di Fano. Sempre nel secondo capitolo inserita lanalisi di Ramella e le tesi proposte in Cuore rosso?: si focalizza sulle quattro regioni del centro Italia, sul sistema produttivo che le caratterizza e sulla fedelt dal punto di vista elettorale che le accomuna. Tale contesto, tuttavia, presenta tratti di progressivo mutamento: a fronte di elementi che lo pongono in continuit col passato, ve ne sono altri che ne attestano la trasformazione, sia da un punto di vista economico che, soprattutto, da un punto di vista politico. Le regioni rosse, insomma, sono sempre meno rosse, sempre meno ancorate alla tradizione politica di origine comunista. in atto uno scongelamento subculturale, ben visibile a cavallo tra fine anni 90 e linizio del nuovo millennio. Proprio perch lanalisi di Ramella si ferma al 2004, interesse di questa tesi riprendere quelle ipotesi, calarle su un contesto pi limitato come quello di Fano, ed allargarle fino ad oggi. Il terzo capitolo, quindi, si snoder innanzi tutto su unanalisi socio-economica del contesto fanese; proceder poi descrivendone la subcultura politica; verificher in ultima battuta se anche a Fano sia in atto, e in che misura, quello scongelamento cui si faceva riferimento pocanzi.

6 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

1. FORDISMO, POSTFORDISMO E DISTRETTI PRODUTTIVI ITALIANI


Lanalisi sociale di un territorio non pu prescindere dallanalisi della sua economia. E, pi nello specifico, delle forme di produzione che lo caratterizzano. Per questo, prima di arrivare a focalizzare temi pi marcatamente sociopolitici, occorre partire dal livello economico, descriverne la sua evoluzione ed i suoi mutamenti.

1.1. Lindustria prima di Ford Prima di arrivare a parlare del fordismo, nucleo centrale di questo capitolo, occorre rivolgere lo sguardo al passato. Parlare di fordismo significa far riferimento ad una forma di organizzazione della produzione industriale, in unindustria gi relativamente sviluppata, con una sua storia, una sua evoluzione. Non si pu parlare di fordismo, pertanto, se non si delinea innanzi tutto il concetto di industria: alla sua nascita ed alle condizioni socioeconomiche che la favorirono, alle sue originarie forme di organizzazione interna, allambiente umano in cui si inserita ed ai cambiamenti che ha imposto allo stesso. Si pu definire lindustria come quellattivit che permette ai lavoratori, tramite i mezzi di produzione, di svolgere unattivit finalizzata alla produzione di beni di interesse economico. Si tratta pertanto innanzi tutto di un gesto, di unazione, un fare qualcosa. Ma industria anche un luogo fisico, entro cui questa attivit di produzione dei beni viene svolta. I primi tratti in cui possiamo scorgere la fisionomia dellindustria cos come la concepiamo oggigiorno sono ritracciabili fra la fine del XVIII e i primi anni del XIX secolo. Anni di grandi mutamenti sia sociali che economici, e di scoperte tecnologiche che favorirono, in special modo in Inghilterra, il passaggio da uneconomia prevalentemente basata sullagricoltura ad una fondata sulla manifattura. LInghilterra, infatti, era un paese caratterizzato da unagricoltura non votata semplicemente alla sussistenza o allautoconsumo, bens mossa dalla volont di creare profitto da ci che si raccoglieva. Questo passaggio, favorito anche dallintroduzione delle enclosures, nonch da innovazioni in campo tecnologico, fece s che gran parte della popolazione contadina, ritrovandosi senza lavoro, si spost dalle campagne a centri abitati pi grandi. In citt gran parte di tale popolazione ebbe lopportunit di sperimentare esperienze lavorative legate al settore manifatturiero, che andava via via sviluppandosi nelle botteghe artigiane. Anche in questo caso, fu la tecnologia a permettere un ulteriore passaggio: quello dallutilizzo di strumenti manuali allutilizzo della macchina; nello specifico, quella a vapore. Ma la rivoluzione tecnica non fu solo interna alla fabbrica: fuori si andava sviluppando il sistema ferroviario, che permetteva di commerciare e spostare le materie prime con maggior rapidit. Decisivo fu anche il passaggio dallutilizzo intensivo della legna (che andava man mano scarseggiando) a quello del carbone.

7 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

sufficiente far accenno ai mutamenti di cui sopra per rendersi conto di quanto rapido e travolgente fu lespansione del settore manifatturiero. Il quale, tra 700 e 800, come detto, fu costretto a uscire dal semplice e ristretto contesto artigianale (pochi artigiani che, in spazi spesso angusti, sono in grado di produrre poco e con poco ricavo), passando cos alla grande industria: grandi capitali, grandi stabilimenti, gran mole di materie prime, molti lavoratori allopera al fine di mettere sul mercato una gran quantit di prodotti cos da ricavare profitti inimmaginabili fino ad allora. a partire da queste caratteristiche che studi di stampo economico e sociale hanno definito lespansione dellindustria come una vera e propria rivoluzione. Si parla in realt di rivoluzioni industriali, al plurale. La prima fu quella legata allintroduzione della macchina a vapore ed temporalmente collocabile, come gi accennato, fra fine 700 e inizio 800. La seconda, di fine 800, fu resa possibile ancora una volta da migliorie scientifiche e tecniche: lutilizzo dellelettricit e del petrolio1. Tutto lottocento in definitiva (almeno dal punto di vista economico) il secolo dellespansione industriale - tanto da poter parlare di gigantismo industriale - e della produzione che da ristretta diventa di massa. Il tutto, ovviamente, in un processo che non stato n omogeneo, n lineare. N, tantomeno, privo di conflitti e crisi. Anzi, per molti versi imperfetto, come ebbe modo di notare un gran numero di studiosi.

1.2. Dallempiria e arbitrio allorganizzazione scientifica del lavoro La grande industria prevedeva (e per certi versi prevede tuttora) la possibilit di produrre macchine da macchine. Se i mezzi di produzione, i macchinari impiegati nellindustria, non sono pi usati soltanto come motrici o come mezzo di trasmissione, va da s che la macchina, da semplice utensile, diventa altro: diventa una macchina operatrice (Negrelli, 2005, p. 11). Di fronte ad una macchina di questo tipo, altrettanto ovvio che cambier il significato del lavoro e con esso lesistenza stessa delloperaio, del lavoratore. Il mutare di tale significato, con le successive implicazioni, fu analizzato da pi punti di vista, da pi studiosi di differenti estrazioni, da pi discipline, dalleconomia alla filosofia. Ad esempio, per Locke il lavoro era libert, per Durkheim era espressione di una mutata forma di solidariet, per Adam Smith produttivit e felicit. Per Marx, al contrario, era alienazione. Allo stesso Durkheim, vista la perdita del valore morale del lavoro, non sfuggiva la possibilit per il lavoratore di cadere in uno stato di anomia. Ci port alla nascita di quello che Baglioni (1967) definisce come il problema operaio: per tentare di dare una risposta a tale problematica che, allinizio del 900, nascono movimenti sociali, operai, sindacali in difesa del lavoro. da l che nasce e si sviluppa un importante strumento di tutela come il diritto del lavoro (Negrelli, 2005). Il contesto industriale, come detto, era profondamente migliorabile, e gli studi cui si faceva riferimento sopra tentarono di dare una risposta principalmente rivolta ai
1

Si fa talvolta accenno ad una terza rivoluzione industriale, dopo la fine del secondo confitto mondiale, dalla met del 900, legata allelettronica e allinformatica. Passaggio, questo, che verr affrontato nei paragrafi successivi e che verr definito come postfordismo.

8 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

lavoratori. Ma ad esser profondamente migliorabile era anche lindustria in s: questa, viste le grandi potenzialit (non adeguatamente sfruttate) di cui disponeva, necessitava di un cambio di passo, di unorganizzazione pi rigorosa. Di questo si occup nei suoi studi lingegnere americano Frederick Winslow Taylor. Questi, nellosservare il lavoro nella fabbrica di inizio 900, notava come i processi produttivi fossero legati allempiria, allarbitrio: essi non erano standardizzati ma al contrario discrezionali, privi di direttive chiare ed univoche, senza tempi stabiliti. Il lavoro doveva diventare qualcosa di standardizzato, parcellizzato, ripetitivo, privo di discrezionalit (Bonazzi, 2008). Taylor, in una frase enunciata nel 1909 e poi ripresa nel suo libro The principles of scientific management (Taylor, 1975), afferma che : [] ciascun lavoratore deve avere un compito ben definito da compiersi in un determinato lasso di tempo [] si creano le condizioni perch non possa sottrarsi al suo compito. In un simile sistema la direzione deve conoscere ogni dettaglio del lavoro e al lavoratore non viene chiesta alcuna iniziativa. Gli viene affidato un compito e diventa uno strumento di lavoro. Parole nette, in cui ogni valore morale che pu dare legittimit al lavoro viene tralasciato: conta solo la produttivit. La quale, se espressa al massimo, porta alla massima prosperit. Ecco dunque lidea di one best way, la via migliore, lunica percorribile al fine di esprimere la massima potenzialit di una fabbrica. Taylor teorizza cos il management scientifico, e soprattutto il lavoro scientifico: stabilisce qual la migliore maniera per far lavorare una fabbrica, per razionalizzare il modo di produzione, per ottenere una compiuta e perfetta organizzazione scientifica del lavoro. Se prima, in fabbrica, regnava lempiria, Taylor propone di dare il via a pratiche legali su cui fondare lattivit lavorativa: tutto va stabilito in modo scientifico, cos da creare una forma legittimit del lavoro, ed ovviamente pi produttivit. Per far ci, Taylor, sempre in The principles of scientific management (1975), sintetizza cos alcune regole, chiare, univoche, capaci di condurre allone best way: 1. Selezionare 10 o 15 individui (preferibilmente occupati in aziende separate e situate in parti diverse del paese) che siano particolarmente abili nellesecuzione del lavoro da analizzare; 2. Studiare lesatta serie delle operazioni o dei movimenti elementari che ciascuno di questi uomini compie per svolgere il lavoro oggetto dello studio e studiare anche gli utensili usati da ciascuno; 3. Cronometrare il tempo occorrente per compiere i singoli movimenti elementari e scegliere quindi il modo pi celere per compiere ogni singola operazione; 4. Eliminare i movimenti errati, lenti o inutili;

9 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

5. Dopo aver eliminato tutti i movimenti inutili, si riuniscano in una serie tutti quelli pi rapidi e pi efficaci e si raggruppino gli utensili pi adatti. Si nota quindi come le attivit manuali vadano irrigidite e parcellizzate: il saper fare viene ridotto al minimo, le qualit essenziali risiedono nella capacit di esecuzione del lavoro, nel possesso di una data abilit manuale, nellattenzione costante, nella velocit di rendimento. Perch tutto ci sia possibile, ovviamente, sono necessari degli incentivi: paghe pi alte rispetto al passato cos da rendere il lavoro pi sopportabile, pi appetibile, per cos dire. Taylor mira con questo sistema di incentivi a superare il conflitto tra operai troppo lenti ed industriali rapaci: pi produzione porter ad una maggiore ricchezza; al contempo, meno soldiering (comportamenti da lavativi, che ostruiscono la produttivit) significava minor conflitto. Un sistema cos congegnato non poteva non andare incontro a critiche piuttosto aspre: bench il rendimento della fabbrica potesse essere migliorato, di certo non tutto pu essere cronometrato, preciso, standardizzato, definito una volta per sempre. Gli imprevisti, pur piccoli, anche minimi, possono rallentare il processo produttivo, ostacolandone la sua fluidit. In altre parole, la scientificit si proponeva di implementare nei processi produttivi non sempre applicabile. Ma non certo questo lunico punto debole della dottrina taylorista: occorre infatti considerare un sistema cos congegnato anche dal punto di vista degli operai, che finivano per essere schiacciati in ritmi cos frenetici e tempi da rispettare in maniera ferrea. Un modo di produzione di questo tipo non poteva che portare a nuove forme di sfruttamento (Bonazzi, 2008). In conclusione: la via indicata da Taylor, sintetizzata (non senza unaccezione spregiativa) nel termine taylorismo, pur coi notevoli elementi negativi di cui sopra, ha avuto il merito di riorganizzare il lavoro in fabbrica. Almeno da un punto di vista teorico: se infatti Taylor teorizz lorganizzazione scientifica del lavoro, fu poi Ford a metterla materialmente in pratica nella sua fabbrica di autovetture (Negrelli, 2005). Aprendo cos, lungo tutta la prima met del 900, una fase di rinnovata prosperit ed efficienza per il settore della grande industria.

1.3. Il fordismo Col termine fordismo si identifica quel particolare modello di organizzazione economica proposto da Henry Ford (da cui il nome) e da questi implementato nella sua industria automobilistica. Un modello che, come detto in precedenza, ispirandosi alle teorie proposte da Frederick Taylor e ponendosi in continuit con le stesse, si fonda principalmente sulla tecnologia della catena di montaggio. Non solo: tale modello pone le proprie basi su una serie di caratteristiche come lintegrazione verticale, la produzione di massa e la parcellizzazione; elementi, questi, che rompevano, sovvertivano i precedenti modelli di organizzazione industriale. Ford, a partire dagli anni 10, fu uno dei primissimi imprenditori ad inserirsi sul solco tracciato da Taylor, divenendo cos non solo il primo grande interprete del
10 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

taylorismo: egli riusc a sviluppare un modello di produzione di enorme successo, che raggiunse lapice del suo sviluppo negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Si faceva pocanzi riferimento a una serie di caratteristiche proprie del fordismo, peculiarit che, schematicamente, potrebbero essere riassunte in questo modo (Trigilia, 2009): le imprese sono concepite secondo un modello ad integrazione verticale, ovvero racchiudono al loro interno tutte le fasi produttive, senza che esse vengano svolte da aziende esterne. Ci comporta la totale autosufficienza dellimpresa stessa: tutti i componenti necessari alla produzione (dalla lavorazione delle materie prime, passando per i servizi di ricerca e sviluppo, sino alla rete di vendita) sono interni allazienda. Unorganizzazione di questo tipo prevede che vi sia un sistema produttivo fondato sulla catena di montaggio, un sistema che va a gradini, che procede armonicamente per fasi, con una sequenza di passaggi che portano sino al prodotto completo. Ovviamente, se tale armonia viene meno o ci sono degli intoppi, la produzione si rallenta. Questo elevato numero di mansioni e procedure necessiter pertanto di aziende di dimensioni sempre maggiori. le imprese sono impegnate nella produzione di massa: i prodotti finiti sono standardizzati, tutti uguali, con misure e caratteristiche che si uniformano ad un modello originario. Tali beni vengono prodotti con macchine specializzate: cos facendo, allaumentare dei volumi di produzione, i costi unitari diminuiscono. Non solo: si eliminano cos anche tutte le procedure di adattamento necessarie per tutti quei pezzi che provengono dalle piccole officine (spesso artigiane) esterne rispetto allimpresa stessa. le imprese si dotano di una manodopera scarsamente qualificata. Essa come detto precedentemente opera secondo unorganizzazione del lavoro di tipo tayloristico: c forte parcellizzazione, il lavoro diviso in compiti semplici, ripetitivi, il che rende estremamente limitata lautonomia degli operai. Ma i dettami dellorganizzazione scientifica del lavoro non si limitano ad inquadrare le caratteristiche della manodopera; essi si rivolgono anche ai vertici dellazienda, sottolineando la centralit del management, che ha il compito di coordinare tutte le attivit produttive e che deve essere separato rispetto alla propriet dellimpresa.

Accanto ai tre concetti fondamentali di integrazione verticale, produzione di massa e parcellizzazione, il fordismo fa leva anche su un altro elemento di primaria importanza: la tecnologia, imprescindibile per poter garantire un flusso di produzione incentrato sulla rigida sequenza di passaggi della catena di montaggio. Dalla scelta delle appropriate tecnologie (nonch dalla ricerca e dallo sviluppo in campo tecnologico), deriva lutilizzo di macchine monofunzione che, concatenate fra loro, svolgono funzioni estremamente specializzate. Ed mediante ladeguato utilizzo della tecnologia, infine, che il modello di produzione fordista pu garantire una produzione massiccia, su larga scala.
11 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Nel descrivere un modello di produzione come quello fordista, non ci si pu certo limitare a tratteggiarne soltanto i caratteri intrinseci, interni al modello stesso. La sua estensione e la sua pervasivit non possono che avere importanti ripercussioni sullambiente umano e sulleconomia in generale, modificando incisivamente sia luno che laltra. Si faceva riferimento pocanzi alla manodopera: essa costituita da una forza lavoro poco qualificata, da lavoratori poco specializzati, che hanno appreso allinterno della fabbrica le poche, ripetitive mansioni che da svolgere per far s che la catena di montaggio scorra veloce e senza intoppi. I lavoratori arrivano in fabbrica senza particolari conoscenze: imparano il lavoro sul posto, in pochi giorni, talvolta in poche ore (Negrelli, 2005). Non difficile immaginare come un lavoro cos organizzato possa essere fortemente stressante, alienante: i dettami di Taylor uniti alla catena di montaggio di Ford, i ritmi lavorativi, le condizioni di lavoro interne alla fabbrica possono costituire un mix terribilmente faticoso da sopportare, per il lavoratore. Lesempio classico, capace offrire una rappresentazione plastica dello stress causato da questo sistema produttivo, loperaio interpretato da Charlie Chaplin in Tempi moderni. Operaio che finisce incastrato nei meccanismi della catena di montaggio. Non a caso, riflessioni recenti sul fordismo come quella portata avanti da Maria Turchetto, non faticano a considerare la catena di montaggio come un sistema che da innovativo finisce per perdere quellaura di progresso tecnico che possedeva inizialmente; caduto quel velo, essa si rivela un semplice mezzo per imporre gli alienanti metodi tayloristi (De Marchi, La Grassa, Turchetto, 1999). Tuttavia, per far fronte alla fatica di lavorare in condizioni cos miserevoli, Ford (cos come Taylor) dovette pensare ad un sistema di incentivi che incoraggiasse il lavoro alla catena di montaggio: la strategia pi incisiva fu quella della cosiddetta paga a cinque dollari, un sostanzioso innalzamento del salario in un paese, gli Stati Uniti del 1913, in cui la paga media di un operaio si aggirava attorno ai due dollari e sessanta centesimi. Una paga pi alta significava un pi cospicuo potere di acquisto e di rimando un mercato in cui si affacciavano sempre pi acquirenti. Infatti, uneconomia di scala che mira ad espandersi secondo una crescita esponenziale dei livelli produttivi, ha per forza di cose bisogno di un ampio mercato di consumatori in grado di acquistare un altrettanto ampio quantitativo di beni. Si rompeva cos la netta dicotomia fra produttore e acquirente che aveva caratterizzato la produzione industriale da un lato e le logiche di mercato dallaltro, sino allavvento del fordismo stesso. In altre parole, i lavoratori diventano acquirenti delle merci prodotte. Il mercato che prende forma vede la presenza di beni standardizzati, indifferenziati, spesso di scarsa qualit. A tal proposito, si pu prendere in prestito una famosa battuta dello stesso Henry Ford, che cos stigmatizzava limpossibilit di differenziare le automobili da lui prodotte, il celeberrimo Modello T: ogni cliente pu ottenere un'auto colorata di qualunque colore desideri, purch sia nero. Tuttavia, almeno sulla carta, le intenzioni di Ford erano di pi ampie vedute. Egli voleva infatti costruire unautomobile per la gran massa. Essa sar grande abbastanza per contenere una famiglia, ma piccola abbastanza perch
12 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

un uomo solo la possa condurre e tenere in buon ordine. Sar costruite con i migliori materiali, dalle migliori maestranze, sui pi semplici piani che lingegneria moderna possa creare. Ma il suo prezzo sar cos basso che ogni lavoratore ben salariato sar nella possibilit di averne una, e di godere con la sua famiglia la benedizione delle ore di svago nei grandi spazi aperti di Dio. (Ford, 1925) Per poter far ci, abbandonato definitivamente il modello della piccola bottega artigianale, occorreva implementare nella grande fabbrica un sistema come quello descritto sopra, che permettesse di passare ad una produzione su larga scala. Ecco dunque realizzato quel gigantismo industriale cui si faceva accenno nei paragrafi precedenti. Lidea della catena di montaggio venne a Charles Sorenson, responsabile della produzione nelle officine Ford (Negrelli, 2005). Essa ovviava ad un problema organizzativo piuttosto critico: spesso era possibile osservare i lavoratori che si muovevano per lo stabilimento come manovali che costruiscono una casa. Di qui, la necessit di organizzare il lavoro, e nello specifico di portare il lavoro agli operai, non gli operai al lavoro: ecco perch fu studiato questo pur primitivo, semplice sistema di scorrimento dei pezzi su cui lavorare su un nastro dacciaio. Oltre a quella sul piano puramente tecnico, la grande innovazione del fordismo fu quella di riuscire a combinare il lavoro di una gran quantit di operai senza abilit (operai che, secondo Marx, sarebbero stati scartati da una produzione di tipo artigianale, perch troppo ristretta: non ci sarebbe stato posto per tutti) con buoni salari ed incentivi. Nel presentare i tratti pi importanti di questo modello di organizzazione economica, non si pu far riferimento al fordismo come una serie monolitica di assiomi; cos come non ci si deve dimenticare delle sfumature presenti al suo interno. Esso rappresenta infatti un sistema che attecch pi negli Stati Uniti che non in Europa e che, inoltre, non riusc ad affermarsi uniformemente, con la stessa intensit in tutti i settori produttivi (Trigilia, 2009). In primis, se riuscito a far presa su un paese come gli Stati Uniti di inizio 900, il fordismo deve ringraziare la presenza di un avviato, florido, grande mercato nazionale. Un mercato che prima di altri fu unificato sotto il profilo dei trasporti, delle infrastrutture di comunicazione (ad esempio, per mezzo delle ferrovie). Non solo: gli Stati Uniti erano allepoca un paese giovane fortemente irrorato di immigrati in cerca di fortuna, dove si sentiva meno il peso delle differenze sociali tipiche del Vecchio Continente. Secondariamente, come detto sopra, se il fordismo non riusc ad essere pervasivo in tutti i settori produttivi, le cause possono essere di matrice tecnologica: lutilizzo di tecnologie efficienti e allavanguardia era molto costoso e solo le aziende in grado di attrarre a s ampie fette di mercato potevano permettersele. Infine: nonostante abbia contribuito a creare benessere e a guidare loccidente in generale e gli Stati Uniti in particolare verso il boom economico del secondo dopoguerra, il fordismo non ha certo avuto uno sviluppo esponenziale n illimitato: si sviluppato in un contesto economico diverso rispetto a quello del XIX secolo, in cui vi era un capitalismo di dimensioni contenute, concorrenziale, liberale e liberista, bens in un capitalismo divenuto man mano sempre pi di massa,
13 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

gigantesco, statalista, assistito. Un sistema cresciuto lentamente, entrato a regime solo con la fine della guerra e rimasto in piedi sino alla fine degli anni 60 (De Marchi, La Grassa, Turchetto, 1999). Il fordismo, pertanto, ha dovuto fare i conti con i suoi limiti ed ha quindi conosciuto un periodo di forte crisi. Una crisi che ha portato al superamento dello stesso modello fordista.

1.4. La crisi del fordismo e i suoi motivi Lespansione del modello fordista, dopo aver fatto presa negli Stati Uniti, dopo aver attecchito in Europa, dopo aver permesso il boom economico degli anni 60, conobbe una forte contrazione a partire dai primi anni 70. Contrazione che port dapprima ad una crisi del modello stesso e, successivamente, come si vedr nei paragrafi successivi, al suo graduale ma inesorabile superamento. Fino agli anni 60, le economie occidentali conobbero una fase di crescita dovuta a pi fattori: le scoperte e le innovazioni tecnologiche avevano permesso una forte crescita produttiva; laumento della produttivit aveva ridotto i costi di produzione (da qui, il successivo allargamento del mercato); loccupazione si attestava su buoni livelli; i salari ed il reddito disponibile avevano permesso un netto aumento per quel che riguarda i consumi. Passata questa fase sostanzialmente positiva, quelle stesse economie andarono incontro ad una fase di crescita fortemente rallentata (per non dire nulla), dove linflazione e la disoccupazione si attestavano su livelli preoccupanti. Un contesto, questo, che faceva scricchiolare pericolosamente lassioma della crescita indefinita della domanda (uno fra i principi cardine della dottrina fordista): nei paesi sviluppati il mercato si satura, i beni considerati durevoli e costruiti in maniera indifferenziata (si pensi, per esempio, alle automobili o agli elettrodomestici) non vengono sostituiti, la loro domanda ha volumi pi contenuti rispetto al passato. Si tratta di un meccanismo che allimprovviso sinceppa: fino alla fine degli anni 60, il modello fordista aveva previsto economie in cui a i volumi di domanda sempre crescenti sarebbero dovuti corrispondere costi industriali e prezzi al consumo sempre decrescenti, al fine di generare nuova domanda. Vale la pena soffermarsi sui motivi che bloccarono gli ingranaggi del fordismo e ne decretarono la sua crisi; si tratta di cause di varia natura, alcune esterne alle logiche del modello di produzione fordista ed altre, per riflesso, interne alle fabbriche. Fra le cause esterne, non si pu non far riferimento, innanzi tutto, allinnalzamento dei prezzi delle materie prime, dovuto allo shock petrolifero scoppiato ad inizio anni 70. La crisi petrolifera mise il modello fordista di fronte al problema della finitezza delle risorse: non essendo possibile introdurre allinfinito gli input dentro il sistema produttivo, questo non potr crescere esponenzialmente, ma anzi dovr preoccuparsi del crescente costo delle materie prime. Altre cause esterne furono la forte concorrenza su un mercato divenuto allimprovviso globale, dove certo non contano solo i competitors interni ma occorre guardare anche ai paesi esteri. Vi fu poi un cambiamento nei consumi: in un mondo dove c pi cultura, dove si studia e si conosce di pi, gli stimoli esterni cambiano,
14 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

si differenziano, si moltiplicano, finendo inevitabilmente per rivolgere una domanda nuova e diversificata ad un mercato non sempre capace di rispondere in maniera adeguata. Alle cause esterne, come detto, se ne connettono altre interne: si faceva riferimento allimprovviso innalzamento dei costi di produzione che va a discapito delle retribuzioni (e dunque del reddito disponibile, e dunque ai consumi). In un modo di produzione gi duro, faticoso, difficile da gestire come quello della catena di montaggio, gli incentivi cui si accennava nei paragrafi precedenti non sono pi sufficienti: le relazioni industriali finiscono per inasprirsi, gli operai prendono coscienza della loro condizione ed aumentano le loro richieste. Non va inoltre dimenticato che, in unepoca di crescita come quella vissuta fino agli anni 60, tutti gli stati occidentali (pur con le loro differenze) hanno potuto aumentare il prelievo fiscale e mettere cos in piedi un welfare state divenuto via via sempre pi maturo ed esteso, ma a tempo stesso ingigantito e costoso: i servizi vengono potenziati, loccupazione nel settore pubblico aumenta. Tutto ci a scapito di un settore secondario che perde forza lavoro cedendola ad un terziario che si fa sempre pi avanzato: la cosiddetta economia della conoscenza. Da questo quadro, non pu che emergere un fordismo pesantemente modificato, plasmato, rimodellato sulla base di nuove necessit: quel modello rigidamente fondato su organizzazione verticale, produzione di massa e bassa qualificazione della manodopera non pu pi tenere n essere al passo coi tempi. a causa di tutti questi sopraggiunti mutamenti che lepoca del fordismo in senso stretto appare superata, sostituita da quello che la disciplina definisce come postfordismo.

1.5. Il postfordismo Diverse e sfumate sono le definizioni di postfordismo, concetto che, anzich connettersi ad un preciso modo di produzione, delinea uno spazio temporale. E nello specifico, di questo spazio temporale, si vuol mettere in risalto la capacit di superare, di andare oltre il modo di produzione fordista. La difficolt nel trovare una definizione convincente, come sottolinea Rullani (Rullani, Romano, 1998), ha in particolare due cause: in primis, limpossibilit di tracciare un confine netto, preciso fra ci che fordista in senso stretto e ci che non lo , sia in senso concettuale sia da un punto di vista strettamente cronologico. Altra questione lemergere di una definizione che, oltre a portarsi dietro unaccezione negativa, costruita su una differenza, su di un cambio concettuale, sullo scarto rilevato dal confronto col modello fordista. Tanto premesso, leconomista ed epistemologa Maria Turchetto ne tratteggia i contorni descrivendo il postfordismo semplicemente come quellinsieme di caratteristiche economiche, sociali ed istituzionali del nostro presente, avvertite come profondamente diverse rispetto al nostro recente passato (De Marchi, La Grassa, Turchetto, 1999, p. 7), dove per recente passato sintende il secondo dopoguerra: unepoca in cui, nel giro di pochi decenni, si assistito prima ad una rapidissima crescita economica - il gi citato boom - poi ad una lunga e tormentata
15 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

crisi. Anni che hanno portato un generalizzato aumento del benessere, seguito poi da un periodo di austerit, sacrifici, povert per vari strati di popolazione 2. Parlando di postfordismo, si vuol quindi sottolineare la chiusura di un ciclo, il tramonto di unepoca vecchia in favore di una nuova. Date limportanza del fordismo, la sua espansione rapidissima, la sua capacit di attecchire in contesti diversi, una volta attestato il suo superamento, le discipline che lo hanno studiato (economia in primis, ma anche la sociologia) si sono ritrovate nella necessit di tratteggiare i caratteri di una nuova fase. Qualcosa che oltre il fordismo, qualcosa che post. Ed proprio il suffisso -post a suggerire lidea di un dopo che smentisce la direzione prevista, un cambiamento di rotta, uninversione di tendenza. E non potrebbe essere altrimenti, visti e considerati i caratteri peculiari dellera postfordista, cos profondamente diversi rispetto a quelli propri del fordismo. Volendo riassumerli sinteticamente non si pu non partire, ancora una volta, dalla tecnologia e dal rapido susseguirsi di innovazioni che, dagli anni 70 in poi, hanno contribuito a cambiare il mondo: le scoperte in campo microelettronico e soprattutto informatico e telematico ne sono un chiaro esempio. In un mondo che cambia, cambia inevitabilmente anche leconomia, cambiano le domande del mercato, cambiano le offerte, e di rimando si modificano i modi di produzione: se in epoca fordista si poteva notare la centralit di beni di consumo massificati, standardizzati e durevoli, ora tale centralit viene a mancare. Protagonisti diventano beni non standardizzati, customizzati, tagliati su misura su consumatori che avanzano richieste particolari; al pari di questi beni, cresce la richiesta di servizi ad elevato contenuto di comunicazione e di specializzazione. Inizia a fare capolino, in questo contesto, unorganizzazione produttiva orientata alla flessibilit, elemento centrale nellepoca post fordista (e che verr analizzata pi avanti): tramite la flessibilit, si cerca di dare una risposta ad un mercato divenuto volatile, saturo di beni standardizzati, portatore di domande nuove. Da ci non pu che conseguire un cambiamento profondo per quanto riguarda la struttura delle imprese: sempre a cavallo fra anni 60 e 70, la loro portata si riduce, diventano pi piccole, la crescita degli stabilimenti si contrae. Risulta evidente che non pi possibile produrre tutto in un'unica, grande azienda; al contrario, essa deve passare attraverso un processo di parcellizzazione, rimpicciolirsi affinch quei processi produttivi che prima erano portati avanti in un unico luogo, ora possano essere sparsi sul territorio, suddivisi in processi pi piccoli e settoriali. Decade, dunque, lenfasi posta sulla localizzazione della grande impresa, elemento che quasi risulta irrilevante: la fabbrica diventa diffusa, e si inizia infatti a parlare di decentramento, di esternalizzazione; come sar possibile approfondire nei paragrafi successivi, nascono le fabbriche fornitrici (o contoterziste), si creano gli indotti, ovvero quellinsieme di industrie di ridotta dimensione (talvolta di carattere artigianale) che producono parti semplici, elementari ma necessarie alle grandi industrie per ultimare il prodotto. Pur operando su impianti pi piccoli, le imprese rimangono grandi solo da un punto di vista finanziario: soprattutto negli anni 80 e 90 diverr evidente un pesante
2

Come si vedr pi approfonditamente nel secondo e terzo capitolo, gli effetti di questi mutamenti nel panorama economico ne scateneranno altri sotto il punto di vista politico: le forti convinzioni politiche proprie dellimmediato dopo guerra, saranno poi bruciate molto velocemente tra la fine degli anni 70 e linizio degli 80 (De Marchi, La Grassa, Turchetto, 1999).

16 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

processo di finanziarizzazione delleconomia, col capitale finanziario che prende il sopravvento su quello industriale. Quelli appena citati sono tutti elementi che in qualche maniera predispongono al un cambio di paradigma, suggeriscono una cesura piuttosto netta col passato. possibile affermare, quindi, che il postfordismo rappresenti unepoca in cui la produzione cambia, tanto nei suoi processi interni quanto nei beni e servizi che mette sul mercato, i quali devono essere diversificati e di qualit. Da un quadro cos strutturato, non possono non emergere alcune conseguenze, che si riverbereranno poi in ambiti differenti. A partire dalleconomia e dalle imprese: la prima, la pi evidente tra queste conseguenze la nascita di un mercato globale ed il proliferare di aziende (come le multinazionali) che ne ricalcano i caratteri di universalit ed indifferenziazione. Ma a tempo stesso, la dimensione globale e transnazionale non pu tener conto delle piccole e medie imprese, dei distretti industriali: forme nuove di produzione che tornano a dare importanza al territorio, al radicamento ed alla diffusione sullo stesso, allembeddedness. Il mutare dei modi di produzione sviluppatisi nelle imprese medio-piccole e soprattutto nei distretti produttivi sar centro dellanalisi dei prossimi paragrafi; rimangono tuttavia altri ambiti, esterni al campo strettamente economico, su cui il postfordismo impone le sue conseguenze: prima fra esse le relazioni industriali, che vedono il progressivo sfaldamento dei sindacati tradizionali, della loro azione unitaria, finalizzata alla contrattazione salariale collettiva, in favore di interventi pi mirati sul livello locale o, ancor pi specificatamente, su quello aziendale. Altro contesto profondamente mutato dal postfordismo quello politico: entra in crisi la tenuta pressoch generale degli orientamenti politici tradizionali, ogni credo politico risulta sfilacciato, non pi al passo coi tempi, incapace di dare risposte. I partiti nazionali entrano in crisi, ed il voto risulta esser sempre meno lespressione di una determinata coscienza di classe. A tal proposito, la stessa idea di classe sociale a non sembrare pi valida: esse risultano frammentate, attraversate da necessit nuove, che le scuotono e le rimettono in discussione. Non solo: lanalisi delle classi sociali risulta uno strumento inadeguato per comprendere la societ e leconomia; lenfasi posta sugli individui in quanto facenti parte di una categoria nuova, quella dei compratori, dei consumatori, e sempre meno in quanto espressione di un determinato strato sociale. In una generalizzata crisi delle tradizioni politiche e dei partiti, la partecipazione alla cosa pubblica passa attraverso movimenti sociali nuovi, che poco o nulla hanno a che vedere con gli orizzonti, con le finalit dei vecchi partiti: si tratta di movimenti che fungono da rete, che concentrano la propria attenzione su obiettivi specifici, su rivendicazioni basate sulla regione di residenza, sul genere, su necessit politiche mirate, circoscritte. Altre conseguenze, ovviamente, sono osservabili anche sul piano culturale: lepoca postfordista lera dellascesa dellindividualismo, della sua promozione, della sua affermazione sia nel pensiero quanto nel comportamento. Fulgido esempio e discendente diretto dellindividualismo il culto dellimprenditorialismo, imperante ovunque (Italia inclusa) dagli anni 70 sino allinizio del nuovo millennio. Come accennato, gli stili di vita si diversificano, diventano plurali, frammentati. Lo stesso

17 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

processo di sfilacciamento investe anche i valori, che appaiono sempre pi deboli e meno determinanti (Kumar, 1995). Si faceva riferimento, in apertura di paragrafo, alla difficolt di trovare una definizione netta, precisa e soprattutto neutra di postfordismo. Diversi sono gli autori che denunciano, esplorandola, tale problematicit: la crisi del fordismo stata vista da alcuni studiosi come una sorta di lutto non ancora elaborato, vista la forza del modello passato e lopacit di quello presente. Un passaggio difficile da cogliere anche perch si tratta di una transizione da un paradigma assestato (quello del fordismo realizzato) ad uno emergente (ricco di potenzialit ma ancora indeterminato) (Rullani, Romano, 1998, p. 5). Se le dinamiche sul piano teorico hanno ancora dei nodi da sciogliere, non meglio districata risulta essere neppure la visione generale del postfordismo: come ricorda la Turchetto, prima della diffusione di questo concetto, le discipline avevano iniziato a parlare di postindustrialismo, unepoca in cui ci si aspettava che il terziario avanzato, i lavori intellettuali, legati allinformatica, fossero in grado di affrancare i lavoratori dagli aspetti pi negativi di uneconomia incentrata solo sulla grande industria. Postindustriale era dunque visto come post positivo, carico di speranze. Speranze evidentemente disattese, se si scelto di parlare di postfordismo, facendo leva su aspetti in qualche misura pi sobri e forse pi pessimisti: passata lubriacatura informatica, occorre prendere consapevolezza di un post dai tratti pi realisti e concreti: ci si sveglia ed anzi si constata che il mondo non cambiato [] anzi va peggio (De Marchi, La Grassa, Turchetto, 1999, p. 10). Osservato lambiente che ha favorito il progressivo tramonto della rigidit fordista, osservate da vicino le conseguenze, colte le questioni ancora aperte dellera postfordista, ora possibile sintetizzarne gli effetti in tre fenomeni: nel postfordismo si assiste ad una diminuzione generale del lavoro, allemergere di un assetto nuovo (definito flessibile), allo spostamento dei poteri di governo e delleconomia dallambito strettamente nazionale ad una dimensione sovranazionale, globale. In tre parole, il post fordismo : fine del lavoro; flessibilit; globalizzazione (ivi). Da tutto ci non possono che emergere modi di produzione nuovi, che certo non sostituiscono in toto n i precedenti n la grande industria, ma che certo si differenziano profondamente: in particolare, per quel che riguarda il contesto italiano, lattenzione verr posta sullo sviluppo dei distretti industriali e della piccola e media impresa. Occorrer tuttavia osservare schematicamente anche il concetto di flessibilit, cos come il just in time (concetto alla base del cosiddetto toyotismo), suo diretto discendente. A flessibilit e just in time sono dedicate le prossime righe. Ai distretti industriali ed alla piccola e media impresa, il seguente paragrafo. 1.5.1. Il concetto di flessibilit Lidea di flessibilit entrata a far parte del lessico moderno, contemporaneo, delineando un aspetto caratteristico sia in riferimento al mercato del lavoro, sia per quel che riguarda la modalit di produzione industriale. Limitatamente al mercato del lavoro, detto flessibile quel lavoratore che non rimane costantemente al proprio posto di lavoro per un tempo indeterminato,
18 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

condizione classica, caratteristica dellepoca fordista. Al contrario, questi si ritrova a cambiare pi volte lungo larco della vita, la propria mansione, la propria attivit occupazionale, il proprio datore di lavoro. Impostazione, questa, che potenzialmente parrebbe un vantaggio per chi offre la propria prestazione lavorativa, ma soprattutto per chi la acquista sul mercato del lavoro: il lavoratore dovrebbe poter cogliere in questi passaggi un miglioramento dal punto di vista delle competenze, del reddito, del proprio livello occupazionale; il datore di lavoro, giocando su questo ricambio costante, pu contenere i costi legati ai salari. In realt, allidea di flessibilit sempre pi spesso si sovrappone non senza un certo grado di rischio quella di precariet: il lavoratore finisce per essere instabile, per nulla ancorato n ad una continuit per quanto concerne la sua presenza nel mondo del lavoro n, tantomeno, ad un posto di lavoro stabile, definito, attinente alle proprie competenze3. Se lidea di flessibilit porta dunque con s un inevitabile alone negativo, essa appare altamente funzionale se applicata alle moderne modalit di produzione (flexible manufacting system), configurate non pi secondo i rigidi dettami fordtayloristi, ma plasmate sulle richieste di un mercato cangiante, volatile, diversificato. Come visto gi in precedenza, non possibile immaginare che la grande industria contenga al suo interno unintera filiera: ci comporterebbe limmissione sul mercato di beni standardizzati, non facilmente modificabili, spesso di scarsa qualit. E dunque, sebbene bene ripeterlo la grande industria non scompaia completamente, essa tuttavia cambia, muta nelle proprie dinamiche interne, esporta altrove parti delle proprie mansioni, esternalizza, diffonde sul territorio. Si rinnova al suo interno facendo leva su macchine sempre pi sofisticate e tecnologicamente avanzate. Il tutto, non senza una convenienza in termini di costi di produzione. Come sottolineato da Harrison (1999, p. 136-141), il postfordismo si caratterizza per un sempre crescente allargamento del sistema di interdipendenze: non ci si riferisce pi soltanto ad ununit produttiva, in cui si concentrano integralmente una lunga serie di attivit, svolte materialmente in un unico luogo. Si fa fatica a riferirsi ad unit singole, staccate; esse vanno invece considerate come unit multiple, formate da sotto-sistemi collegati dal punto di vista funzionale. Profondamente mutate appaiono, in un sistema cos strutturato, sia la dimensione territoriale (non c pi una base territoriale circoscritta, facilmente identificabile con un solo luogo, una sola unit) sia le strutture di comando: importanti non sono pi soltanto i rapporti interni alla fabbrica, ma soprattutto quelli fra una fabbrica e unaltra, fra la fabbrica e lambiente che la circonda: si sviluppano strutture di comando gerarchiche o cooperative, con equilibri di potere pi o meno stabili. Il fordismo, come detto, per sfumato sino ad approdare alla flessbilit anche grazie a mutamenti interni alla fabbrica: le macchine utensili hanno man mano virato verso il controllo numerico derivante da appositi strumenti informatici. Il loro
3

Lambivalenza della flessibilit ben descritta nel noto Diario postumo di un lavoratore flessibile di Gallino (cfr. http://www.repubblica.it/online/economia/pensionesei/gallino/gallino.html), in cui il sociologo immagina lo svilupparsi dellesperienza lavorativa di un giovane che, inizialmente, accetta con entusiasmo i dettami della flessibilit; finendo poi, col passare degli anni, per esserne letteralmente schiacciato, divorato.

19 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

sviluppo tecnologico e la loro efficienza ha permesso di aumentare la produzione, riducendo tempi morti ed inconvenienti legati ai malfunzionamenti della catena di montaggio. 1.5.2. La filosofia industriale del just in time Il just in time una modalit di produzione di successo, con alcune particolarit degne di nota. Discendete diretto di quella produzione flessibile cui si faceva riferimento poco fa, esso viene fatto coincidere spesso con lesperienza interna alla fabbrica automobilistica giapponese Toyota (da cui deriva il successo di concetti come toyotismo e modello giapponese). Quella che poi sarebbe divenuta larchetipo della flessibilizzazione della grande industria, negli anni 40 era unazienda profondamente in crisi: a Taiichi Ohno, ingegnere e membro del consiglio esecutivo Toyota, fu affidato il compito di ristrutturare, ridimensionandolo, uno stabilimento con troppi sprechi e pochi ricavi. Lidea iniziale fu quella di volare bassi, abbassare e razionalizzare la produzione, produrre meno ma meglio. Per realizzare tale idea, Ohno elabor un sistema di produzione alternativo a quello taylor-fordista: la filosofia Toyota si basa sul prerequisito di una visione policentrica del modello industriale, nel quale convivono linnalzamento della qualit dei prodotti e a tempo stesso labbassamento dei costi di produzione. Da quanto affermato nei paragrafi precedenti, risulta evidente che tutto ci nel fordismo (e ancor meno nel taylorismo) non era possibile: i problemi venivano approcciati sotto unottica monocentrica, che mirava s allottimizzazione delle singole variabili ma che spesso non teneva conto dei loro comportamenti ora divergenti, ora imprevedibili (Mangiabosco, 1997, p. 10). In unottica di specializzazione flessibile e di produzione snella, alla Toyota si inizi ad applicare la strategia degli allestimenti brevi: le fasi di produzione dovevano essere pi corte, diminuendo i tempi e gestendo parti della produzione in maniera pi flessibile e dinamica. Venne ridotta la manodopera, cos come ridotti allosso furono gli sprechi e le ridondanze (malfunzionamenti che per anni hanno caratterizzato il fordismo). La Toyota riusc cos ad adattarsi ad un mercato flessibile, mantenendo ben salda davanti a s la meta della qualit totale: questo un altro precetto profondamente dissonante con la dottrina taylorista, il cui fine ultimo era quello di trovare lone best way, il modo di produzione migliore. In questo caso il paradigma rovesciato, il miglioramento ricercato in itinere, la qualit cresce di livello col tempo. Ed proprio lalta qualit a fidelizzare il cliente (ivi): cos facendo le richieste provenienti dal mercato crescono e la fabbrica incrementa i propri introiti. Bonazzi (2008) sostiene che il modello Toyota sia un taylorismo pensato al contrario, che pone lattenzione sul prodotto finito e che cos facendo capace di organizzare una produzione snella ed efficiente4. Diventa cos strutturale, centrale per il modello giapponese la messa in pratica di una nuova filosofia industriale: quella del just in time, sistema produttivo che
4

Il tutto, come sostiene Mangiabosco (1997, p. 16), non senza costi per i lavoratori: il lavoro ha un ritmo stressante, non meno faticoso di quello fordista. Ma tuttavia considerato dai lavoratori stessi come interessante, coinvolgente, creativo.

20 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

garantisce continua e perfetta simmetria tra lofferta dei beni prodotti e la domanda che proviene dal mercato. Il just in time si fonda su requisiti precisi: entra a regime, innanzi tutto, se vengono eliminate le ridondanze, se in altre parole si tagliano gli sprechi, se la produzione snella, se lofficina minima; i dipendenti devono essere coinvolti nelle decisioni del management cos come per tutte le decisioni che riguardano la produzione: le mansioni hanno confini volutamente poco precisi, i lavoratori sono spinti a prendere decisioni in proprio, la volont quella di approdare ad una sempre maggiore autonomazione; come gi detto, c la ricerca del miglioramento continuo (in giapponese: Kaizen); importanti sono anche i fornitori, scelti per la loro affidabilit e sulla base di mantenere vive collaborazioni di lunga durata. Il tutto finalizzato al raggiungimento di un obiettivo, quello della qualit totale (o dei difetti zero). Per far ci si fa ricorso al controllo totale della qualit (total quality management): tutta limpresa deve impegnarsi per il raggiungimento della mission (Bonazzi, 2008). Rimane aperto un interrogativo, rilanciato, fra gli altri, da Mangiabosco (1997, p. 10) e da Bonazzi: quello in cui ci si chiede se il toyotismo sia unalternativa al fordismo o, ponendosi in una sorta di continuum, soltanto una sua evoluzione. Non solo: lo stesso Bonazzi pone il dubbio su quali possano essere le dinamiche che permettono al just in time di funzionare a pieno regime: esso funziona se tutto gira, se ogni singolo ingranaggio muove il meccanismo; fra questi, certamente i pi importanti sono i lavoratori, che devono essere asserviti alle sue esigenze e completamente disposti a collaborare. Ci pu aprire altri dubbi, e per certi versi lasciarli insoluti: quanto detto sopra possibile, sicuramente pi semplice in una cultura come quella giapponese, fortemente dedita al lavoro ed allefficienza. Ma quali incentivi vanno predisposti perch il just in time possa funzionare anche in altri contesti?

1.6. Distretti produttivi e piccola e media impresa in Italia Quello dei distretti industriali italiani, cos come quello della piccola e media impresa, per vari motivi un ambito di indagine molto interessante: vuoi per il successo che ha avuto, vuoi per la sua capacit di uscire da un vicolo cieco, quello del fordismo, offrendo prospettive nuove. Ma, ancor prima di fornire una definizione dei due concetti, vale la pena porre come premessa introduttiva la descrizione del percorso che il capitalismo italiano ha compiuto nel secondo dopo guerra, prima che il nuovo modello prendesse il sopravvento sia materialmente, sul territorio, nelle industrie, sia nelle riflessioni scientifiche che lo hanno studiato. 1.6.1. Inquadramento storico: il capitalismo italiano nel 900 Occorre tornare nuovamente indietro nel tempo, agli anni dello sviluppo, anzi di quel vero e proprio miracolo economico: alla fase espansiva posta orientativamente tra 1956 e 1963. I dati di quegli anni parlano di cospicui investimenti sul settore manifatturiero: in pochi anni si passa dal 4,5% del reddito nazionale lordo a punte del 27%.
21 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Loccupazione industriale era in crescita: circa 7 milioni e mezzo di occupati nel settore, circa il 37% della popolazione. Poche cifre che rendono bene lidea di un settore, il secondario, in fortissima ascesa (Castronovo, 1990, p. 275). Cos come ascendente era la direzione dellintera economia europea, dove lItalia poteva vantare un ruolo chiave: lindustria risultava vitale per leconomia, il saggio di sviluppo pro capite era secondo solo a quello tedesco. Tutto ci appariva come un risultato gi di per s straordinario: il nostro paese non poteva che contare su risicate risorse energetiche, su poche materie prime, e come se non bastasse era afflitto dal divario tra nord e sud. Ma ciononostante, lindustria italiana, tra il 52 ed il 54, riusc a progredire pi rapidamente e pi consistentemente di altri paesi. Il costo del lavoro era basso, lemigrazione interna da sud a nord contribuiva a mantenerlo tale; i sindacati, allepoca, erano ancora deboli e dunque la concertazione non rappresentava una criticit come avrebbe fatto di l a pochi anni dopo (Castronovo, p. 277). I modelli industriali imperanti erano due: quello Fiat e quello Olivetti, col settore dei trasporti a fare da battistrada allo sviluppo economico e con unindustria automobilistica nazionale differenziata rispetto a quella americana (la Fiat, allepoca, ha sempre puntato e prodotto auto pi piccole rispetto alla concorrenza estera); ma al pari di Fiat, anche la realt sviluppata allinterno della fabbrica di macchine da scrivere e da calcolo Olivetti era piuttosto interessante: la dirigenza seppe sfruttare sapientemente gli aiuti statali ed americani per aprire nuovi stabilimenti, inaugurando cos un tipo di produzione standardizzata per categorie differenziate di consumatori ed una pi ampia gamma di impieghi. Adriano Olivetti seppe non solo rinnovare le strutture produttive, ma realizz una vera e propria comunit di fabbrica. A tal proposito, una realt di dimensioni contenute e non ancora modificata dai grandi flussi di immigrazione dal sud come Ivrea era il terreno ideale per impiantare e far crescere una filosofia come questa (ibidem, p. 288). Ai tanti aspetti indubbiamente positivi di questo quadro, se ne legano altrettanti molto meno edificanti: tra questi, non si pu dimenticare la forbice tra nord e sud Italia, il divario sul piano economico tra settentrione e meridione: questultimo era ancora votato ad unagricoltura ancora di sussistenza (ibidem, p. 294); la Cassa del Mezzogiorno, ente pubblico istituito nel 1950 per finanziare iniziative industriali nel sud, non aveva risolto i problemi di cui soffriva leconomia meridionale: stanziamenti per circa mille miliardi, volti a sviluppare infrastrutture e servizi, non furono sufficienti a creare unimprenditorialit locale forte (ibidem, p. 295). Si giunge cos, in questo percorso attraverso la storia recente del capitalismo italiano, agli anni della crisi del modello fordista: di tutte le cause gi passate in rassegna che ne decretarono il declino, in Italia fu linasprirsi dei rapporti sindacali, il contrasto tra lavoratori e datori di lavoro, le rivendicazioni che ne seguirono ad accelerare il superamento dei vecchi modelli in favore di altri nuovi. Si arriva dunque allautunno caldo del 1969, periodo gi di per s critico, aggravato da problemi interni alle fabbriche:, a causa dellintensificazione dei ritmi e delleccessivo sfruttamento della forza lavoro, proprio in quellanno che le lotte operaie si intensificarono, deflagrando talvolta in maniera drammatica (ibidem, p. 305). Non solo: nuove migrazioni dal sud nel triangolo industriale contenuto tra Milano, Torino e Genova, crearono nuove tensioni sul piano sociale: rincararono ad esempio i costi delle abitazioni e quello dei trasporti; servizi come quello sanitario o
22 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

quello scolastico diventarono in breve tempo insufficienti a contenere domande nuove (ivi). A farne le spese, vista la situazione, soprattutto il potere dacquisto dellampissimo strato sociale riconducibile agli operai salariati: questo fu il prezzo che lItalia pag per la mancanza di una chiara politica di programmazione. Castronovo (1990, p. 320) parla a questo punto dellinizio di una fase controversa, in cui si nota tutta volont, ed a tempo stesso la difficolt, di staccarsi dai vecchi assetti, unitamente ai tarli della grande impresa privata che corrodono le basi dellintera economia italiana: la grande industria era in crisi perch il rapporto fra valore aggiunto (incremento di valore di beni e servizi dovuti allintervento dei fattori produttivi) e produzione lorda (costo delle operazioni volte a trasformare beni primari in beni utili a soddisfare la domanda) era di segno negativo. In questo contesto si installano anche i pi ampi motivi percepiti a livello internazionale, non solo italiano della crisi degli anni 70, motivazioni gi visti in precedenza: costi improvvisamente schizzati alle stelle, mercato saturo di beni standardizzati e qualitativamente scarsi, crisi petrolifera 5. Ma questa fase si caratterizza come controversa soprattutto perch, a fronte di un generale quadro di crisi, il capitalismo italiano trova la sua rivincita, che passa per il modello della piccola e media impresa e dei distretti industriali. 1.6.2. Sviluppo ed affermazione della piccola e media impresa La fortuna della piccola e media impresa sar grande lungo tutti gli anni 70, anni in cui si affermer un modello prevalentemente basato non pi sulla grande industria, ma su stabilimenti pi piccoli, frammentati, diffusi sul territorio. Si tratta di un salto strategico e concettuale di fondamentale importanza, capace di rompere nettamente col passato: come sottolinea Cor lapprodo ad un sistema basato sulla piccola e media impresa non solo una conseguenza di un fenomeno congiunturale, n costituisce unanomalia. piuttosto una via di fuga contro il dogma della produzione di massa (Rullani, Romano, 1998, p. 189). Ci rimarca la convinzione che questa tipologia dimpresa (pur coi suoi limiti, pur essendo allora solo in fase embrionale) costituisca essa stessa una delle forme pi idonee di organizzazione economica e sociale della produzione postfordista (ivi)6. Qualche altro dato per capire la portata del fenomeno: nel 1971 i dipendenti della grande industria erano diminuiti fortemente, passando da pi di 1,5 milioni a 1.266.000 circa; allo stesso tempo, i dipendenti della piccola e media impresa erano 3 milioni, qualcosa come il 60% di tutta loccupazione manifatturiera italiana, pi della met (Castronovo, 1990, p. 325). Sempre rimanendo in quegli anni, per la precisione nel 1974, unindagine portata avanti da Giorgio Fu ci viene incontro spigando, almeno in parte, i motivi di tanta fortuna: certo non si tratta dellunica spiegazione possibile, ma di sicuro ebbe grande importanza laumento del costo del lavoro nellambito della grande impresa.

5 6

Cfr. paragrafo 1.4., da pagina 13. Certo che, come sottolinea Castronovo (1990), se il quadro della grande industria era chiaro e definito, pi complesso risultava il dare una definizione univoca della piccola industria, cos come il tentativo di ritrarne la sua fisionomia, il fotografarne modelli e comportamenti.

23 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Tale indagine scatta unistantanea circa le differenze che intercorrevano tra le varie industrie in termini di costo del lavoro: in uno stabilimento con pi di 500 dipendenti, unora di lavoro costava mediamente 4.817 lire; 4.691 lire in uno con pi di 250 dipendenti; 3.715 lire negli stabilimenti da 10 dipendenti in su (Castronovo, 1990, p. 326). Il mercato del lavoro andava dunque differenziandosi: a quello classico se ne sviluppava parallelamente un altro che riguardava le aziende pi piccole. Al di l delle cifre, era evidente che in quel momento le strategie stavano profondamente mutando: le grandi imprese investivano nel trasferimento allesterno di tutte quelle lavorazioni che potevano essere distaccate senza intaccare il ciclo produttivo. Torna dunque il tema della flessibilit, che le grandi imprese andavano cercando per sopravvivere: flessibilit nella manodopera cos da ottenere almeno sulla carta un clima di minor conflittualit sindacale, e di rimando una maggior produttivit. Si andava sviluppando pertanto un sistema completamente nuovo. Sempre Castronovo (ibidem, p. 327) ricorda che la suddivisione di alcune fasi della produzione, soprattutto quelle intermedie che non richiedono di norma grandi macchinari o impianti particolarmente specializzati, contribu allo sviluppo di una miriade di piccole imprese e alla diffusione del lavoro a domicilio. Gli opifici minori e gli esercizi artigianali, infatti, non soltanto erano in grado di assorbire cospicue frange emergenti di popolazione lavorativa (giovani, donne, anziani) disposte ad accontentarsi di remunerazioni pi basse, o di utilizzare alloccorrenza lapporto di una certa quota di lavoratori regolari interessati a integrare i loro redditi con un doppio lavoro svolto in forme saltuarie. Essi potevano, in quanto operanti al di fuori dello spazio organizzato delle grandi fabbriche, mimetizzarsi e sfuggire cos sia alle rivendicazioni sindacali sia a vari oneri fiscali e sociali. Da queste parole, non si fa fatica a cogliere limportanza decisiva della piccola impresa, vista come risorsa preziosa tanto dai datori di lavoro, quanto da chi offriva la propria prestazione lavorativa sul mercato. Unimportanza alimentata anche dal forte spirito di iniziativa ed autonomia, dalla spiccata tendenza alla specializzazione, dalla sempre maggior propensione alladattamento ed alla flessibilit. Soprattutto, da un rapporto costruttivo tra sistema industriale ed enti locali: pubblico e privato hanno entrambi la necessit di stabilire rapporti improntati alla cooperazione, al miglioramento tanto delleconomia quanto dellintero territorio, in un circolo virtuoso che (come sar possibile vedere pi avanti) ha dato i suoi frutti specie in Veneto, in Emilia Romagna, nelle Marche. Il percorso storico sin qui tratteggiato passa ora allo snodo degli anni 80, anni in cui lindustria su piccola scala diventa in maniera indiscussa componente essenziale delleconomia italiana: da essa dipendeva oltre un quarto della produzione nazionale; ad essa era legata pi della met della popolazione occupata. Ecco perch Arnaldo Bagnasco inizia a parlare di Tre Italie: proprio perch nel dualismo fra sud arretrato e nord-ovest, col suo triangolo industriale, caratterizzato da storiche imprese di grandi dimensioni, rivendicava una sua legittimit anche il modello fondato sui distretti industriali e sulla piccola e media impresa che attecch con particolare fortuna nella Terza Italia, nel centro-nord-est.

24 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

In una cornice cos strutturata, lItalia degli anni 80 si approcciava alle sfide del mercato globale (Castronovo, 1990, pp. 343 e segg.). Sfide molto spesso vinte con successo, almeno fino alla crisi iniziata nel 2008: diversi marchi, pur giocando sullimportanza del made in Italy, scelgono una soluzione che supera i confini nazionali ed i limiti che i mercati tradizionali avevano imposto. Con la globalizzazione questi vincoli si rompono, ed aziende come ad esempio Benetton, Stefanel, Riello, De Longhi ed altre mantengono s il loro epicentro in Italia, ma quello stesso epicentro diviene poi capofila di una galassia industriale che si espandeva al di fuori del confini italiani. Lo spiccato interesse verso i nuovi mercati, tuttavia, non impedisce la creazione e la crescita di distretti produttivi fortemente radicati sul territorio: basti pensare a realt come il bresciano o il mantovano, alle province emiliane, romagnole, marchigiane. 1.6.3. Definizioni e caratteristiche Terminato lexcursus attraverso la storia delleconomia industriale italiana e colti i motivi del successo di piccole e medie imprese e distretti produttivi, si pu ora mettere a fuoco il tema, definendo le caratteristiche principali di tali modelli. Va anzitutto ricordato che quello della piccola e media impresa un modello ancora relativamente giovane, emerso recentemente sia nella pratica delleconomia reale, sia di rimando, nellanalisi teorica. Visto il successo riscontrato, quello della piccola e media impresa smette di essere un concetto analizzato in astratto; di pari passo, i distretti industriali smettono di essere semplicemente una nozione per cos dire geografica, ma diventano la base di una nuova analisi, un vero e proprio concetto economico (Rullani, Romano, 1998, p. 196). Sempre sul piano analitico, grande risalto ha anche il concetto di territorio, percepito come unintegrazione versatile (ivi), una vera e propria forza produttiva (Rullani, 1995): la dimensione territoriale trova cos cittadinanza nella teoria economica e nelle analisi (Rullani, Romano, 1998, p. 203), a dimostrazione della rilevanza che esso pu assumere nel contrastare la dimensione indifferenziata della globalizzazione. Non solo: alcune analisi vedono il territorio come una vera e propria infrastruttura, capace di veicolare contenuti economici, sociali e cognitivi (Cor, Miceli, 2006, p. 41). Quello del distretto industriale un modello fortunato non solo per lanalisi economica, ma la concreta affermazione di un modello di sviluppo economico reale. Per molto tempo, tale contesto sfuggito agli occhiali teorici degli economisti, che si concentravano prevalentemente sulla grande impresa manageriale. Il merito del risalto assegnato a questo paradigma, sostengono Cor e Miceli (2006, p. 24) lo si deve a Giacomo Becattini, che riprese le indagini portate avanti da Alfred Marshall 7 su base americana (suoi i primi studi su distretti statunitensi come quello della celeberrima Silicon Valley), le rielabor e le adatt sul contesto italiano8.
7

Gi dalla fine dell800 Marshall iniziava a scorgere la lenta ascesa del modello fondato sui distretti produttivi, indicandoli come espressione di uneconomia sana, in crescita (Cor, Miceli, 2006, p. 71). 8 A tale proposito, restando in unottica a stelle e strisce, vanno ricordati anche gli studi di Priore e Sabel, capaci di scorgere nel contesto americano un possibile passaggio dalla corporation fordista ad

25 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Premessa la fortuna pratica e teorica di questo modello, conviene ora passare alle definizioni. Definire i concetti di piccola e media impresa relativamente semplice: basta far riferimento ai limiti nel numero di impiegati e fatturato, tendenzialmente oscillanti fra un minimo di 50 ed un massimo di 250 occupati ed i 10 e i 50 milioni di euro9. La definizione si fa pi complessa ed articolata quando si focalizza sui distretti industriali: su di essi, la letteratura e lanalisi economica degli ultimi trentanni hanno riflettuto approfonditamente. E certo, dopo tanti studi sul settore, non pu esser sufficiente dire, semplicemente, che i distretti sono uninsieme di piccole e medie imprese. Al contrario, il gi citato Becattini (2000) li definisce come unentit socioterritoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunit di persone e di una popolazione di imprese. Non solo, quindi, una mera agglomerazione di imprese, ma piuttosto un progetto sociale: essi vogliono essere una rappresentazione compiuta di un capitalismo dal volto umano (Becattini, 2004). Nuti (1992) parla di insieme di imprese e di unit produttive caratterizzate da dimensioni e da specializzazione produttiva per lo pi simili, che operano in aree geografiche ben delimitate, coincidenti con il territorio di uno o pi comuni, e che realizzano tra di loro forme diverse di collaborazione: ritorna in questo caso limportanza del territorio, unitamente a tema (che verr ripreso pi avanti) della collaborazione che crea specializzazione. Altra definizione interessante e particolarmente utile in questa trattazione quella di Trigilia (autore la cui analisi risulter importante, specie nel capitolo successivo): il distretto produttivo un sistema locale caratterizzato da alta concentrazione di piccole e medie imprese, con unelevata specializzazione produttiva e con alto grado di integrazione orizzontale fra le piccole imprese (Trigilia, 2004): si fa riferimento in questa definizione a dinamiche non pi gerarchiche, verticali, proprie della fabbrica fordista; al contrario, esse sono orizzontali, tra attori di pari livello 10. Gi solo dalle poche righe spese dagli autori per elaborare la loro propria definizione, emergono alcune precondizioni che facilitano lo sviluppo dei distretti industriali; assieme a tali precondizioni, al contempo possibile scorgere le caratteristiche principali di tale modello. Sempre secondo Trigilia (2004, pp. 79-80), tre assetti istituzionali fungono da premessa, da precondizione necessaria per lo sviluppo dei distretti: la presenza di piccoli e medi centri urbani, spesso di origine medievale, dove le conoscenze sono protette, le tradizioni commerciali ed artigianali non sono state erose dallindustrializzazione; la presenza di una tradizione di lavoro indipendente nellagricoltura (mezzadri, piccoli contadini), capace successivamente di favorire la diffusione di manodopera flessibile; limportanza, infine, dellinfluenza delle

una nuova forma di produzione basata su reti di piccola e media impresa e sulla specializzazione flessibile (Cor, Miceli, 2006, p. 25). 9 Tale definizione stata elaborata ed uniformata dallUnione Europea. Tale unificazione va a sciogliere parecchi dubbi, visto che ogni paese europeo applicava definizioni e limiti propri. 10 Al pari di questa definizione, Trigilia (2004) ha usato come strumento dosservazione anche il concetto di sistema produttivo: ovvero sistemi in cui la concentrazione territoriale di attivit manifatturiere pi alta rispetto alla media nazionale.

26 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

subculture politiche (ad esempio, quella cristiano-sociale per il nord-est, e le tradizioni socialiste e comuniste per lEmilia Romagna). Ancor pi specifiche sono le precondizioni elencate da Cor e Miceli (2006, p. 42): da un lato devesserci la possibilit concreta di frammentare materialmente il ciclo produttivo (cos da avere una divisione del lavoro che va per fasi distinte); dallaltro la presenza di tecnologia avanzata e mercati ampi, cos fa potersi rinnovare (ed eventualmente riposizionare) con facilit. Anche dal punto di vista dellelencazione delle caratteristiche peculiari dei distretti produttivi, i contributi sono notevoli. Fra i caratteri che pi frequentemente emergono dagli studi sul tema, spesso si fa riferimento a temi come quello della divisione del lavoro, della gi citata flessibilit, e soprattutto della specializzazione. Nei distretti industriali, infatti, ciascuna piccola azienda si specializza in una o pi fasi di un ciclo di produzione completo: cos facendo, essa sar capace di rispondere prontamente ai segnali provenienti dal mercato o da altri operatori (Harrison, 1999). Sottolineano quindi Cor e Miceli (2006, pp. 65-68): tanto pi le imprese assumono la divisione del lavoro come criterio organizzativo della produzione specializzando lattivit in singole fasi e integrandole allinterno di una struttura industriale tanto maggiore sar la crescita della produttivit e, di conseguenza, delle risorse da distribuire fra i membri della societ: ancora una volta, dunque confermata la forte correlazione che esiste tra divisione del lavoro e produttivit. Gli stessi autori (ivi) si concentrano anche sulla specializzazione, esaltandone i vantaggi: se allinterno di un sistema economico ci sono capacit tali per svolgere particolarmente bene una certa attivit, conviene specializzarsi su questa, acquistando altrove tutto il resto11. Per riassumere: nei distretti industriali vi sono imprese che creano un network. In questo network possibile trovare: un processo di produzione scomposto e flessibile; la produzione di beni diversificati sia in quantit che in qualit, perch la domanda fortemente variabile; un rapporto molto stretto fra le varie aziende, unorganizzazione di tipo orizzontale; una base comune, una condivisione di ideali, valori, informazioni, risorse. proprio questultimo tema, quello della fiducia e delle collaborazione che intercorre tra aziende dello stesso distretto, ad essere particolarmente interessante e meritevole di alcune sottolineature: sempre Cor e Miceli (ibidem, p. 42) parlano di integrazione versatile della produzione (idea somigliante a quella dello scaffold presente nella letteratura angloamericana), elemento capace di alimentare una proficua condivisione delle conoscenze. Il distretto, dunque, non pu che rappresentare una forma efficiente di produzione, che emerge dallevoluzione delle strategie competitive delle piccole imprese. In tre parole: collaborazione e crescita dalla competitivit. Questo processo, come si visto, genera incentivi e spinte verso linnovazione. In altri termini: si creano, si accumulano, si mettono in rete delle conoscenze utili. questo uno dei punti di forza del sistema di piccola, media impresa e distretti.

11

Vale la pena ricordare in cosa, materialmente, la piccola e media impresa italiana si specializzata: molto forti, ad esempio, sono i settori della moda, quello della produzione di beni afferenti al sistema casa, lagro-alimentare tipico, la meccanica strumentale di supporto (Cor, Miceli, 2006, p. 78).

27 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

1.6.4. Analisi recenti per prospettive future: verso la globalizzazione Anche se un accenno al tema era gi stato fatto al paragrafo 1.6.2., pu essere interessante, ora, ampliare il discorso sullo stato attuale della piccola e media impresa italiana. E, oltre al presente, altrettanto degne di nota sono le prospettive future12. Il successo dei distretti per qualcuno un vero e proprio boom, protrattosi fino alla fine degli anni 80 ha molteplici radici ed altrettanti meriti: fra questi, merita di esser sottolineato quello di aver creato una rete integrata di aziende, basata sulla divisione del lavoro fra produttori specializzati (Harrison, 1999, p. 79). Per un lungo periodo, dunque, elementi come la sinergia tra tradizioni piccolo-borghesi e vantaggi tecnici della produzione artigianale, la grande capacit dinnovazione dovuta alla prossimit geografica, il sostegno delle autorit locali, il successivo sviluppo di marchi conosciuti e dimpatto hanno fatto s che il modello fondato su piccola e media impresa e distretti rimanesse valido e funzionale (ivi). Rullani e Rumano (1998, pp. 190-191) aggiungono a quelli sopra elencati altri punti di forza, che hanno giocato a favore di tale modello. Ad esempio il fatto che fino alla fine degli anni 90 la piccola e media impresa avessero sempre garantito una condizione di alta occupazione; la crescita costante dei distretti industriale, dal secondo dopoguerra sino alla crisi attuale; la capacit di questultimi di manifestare, oltre ad un profondo radicamento, anche una grande apertura verso il contesto internazionale che li ha portati a irrompere sui mercati emergenti. Una crescita, questa, sicuramente frutto di investimenti in macchinari, tecnologia ed organizzazione razionale, flessibile, scientifica del lavoro e ancora una volta della condivisione di saperi comuni, di motivazioni personali e valori collettivi (Cor, Miceli, 2006). Questo il quadro dellassetto fondato su piccole e medie imprese alle soglie del nuovo millennio. Domanda centrale, a questo punto : come cambia questo quadro posto di fronte alle sfide della globalizzazione? Ovviamente, ogni modello non n pu esser visto come immutabile, valido ora e sempre: esso risente degli stimoli esterni, si modifica, per cause esterne ed interne. proprio questo il punto su cui si sono soffermati diversi autori nelle analisi degli ultimi anni. Gli stessi Cor e Miceli, nel 2006 (p. 28), alla vigilia dellattuale crisi, scorgevano alcuni dati di segno negativo: il Made in Italy appariva gi allora meno performante, loccupazione nei distretti era in calo, lexport italiano, cresciuto tantissimo tra 1991 e 2001, vedeva una flessione gi dal 2004 (Cor, Miceli, 2006, p. 32): dati che allepoca non facevano temere larrivo di una crisi, visto che anche i comprati pi grandi e strutturati (auto, chimica, elettronica, eccetera) erano in flessione. Stava iniziando invece in quegli anni un processo di rapida ridefinizione delle imprese medie e piccole e del loro modo di stare allinterno di quel network di aziende cui si faceva riferimento nei paragrafi precedenti. Le piccole imprese, in molti casi, iniziano a scomparire; le medie si allargano leggermente, spesso finendo
12

Occorre precisare che in questo lavoro non troveranno spazio le pur importanti conseguenze della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008: si tratta di un fenomeno complesso ancora in evoluzione, tuttaltro che prossimo a vedere una conclusione. Per questo motivo, la scelta ricaduta sulle analisi ad essa precedenti; analisi nelle quali, tuttavia, gi era possibile coglierne alcune avvisaglie.

28 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

per essere aziende satellite di altre ancor pi grandi; il costo del lavoro, infine, spinge a delocalizzare. Sono queste le mutazioni che Trigilia e Burroni tentano di delineare gi nel loro lavoro del 2004. Partendo innanzitutto col chiedersi se le performances di piccola e media impresa e distretti siano ancora buone o, al contrario, in declino; e secondariamente tentando di ridefinire il quadro alla luce dei cambiamenti recenti. A tal proposito, gli autori iniziano a parlare di distretti tradizionali, che non sono mutati, ed altri che sono al centro di una rete dalla trama profondamente cambiata. Se fino ad ora abbiamo parlato di rapporti di collaborazione orizzontale, gli stessi autori colgono un processo nuovo: oltre a quello delle classiche reti di imprese, fa capolino il modello di regolazione basato sullimpresa-rete, ovverosia su unazienda di medio-grandi dimensioni su cui si focalizza lattenzione, che perno di tutto il sistema, e che soprattutto in grado di organizzare gran parte del network circostante a seconda delle sue esigenze (Trigilia, Burroni, 2004, p. 124). Almeno da un punto di vista strettamente teorico, utile per lanalisi e lo studio di questi fenomeni, questi modelli di regolazioni possono essere considerati estremi di un continuum entro cui collocare le varie forme di produzione. Gi il solo fatto di parlare di un continuum teorico, di una scala, di una sorta di gradazione, suggerisce un punto chiave: non esiste la piccola e media impresa, n il distretto produttivo. Occorre altres considerarne le differenze, sottolineando i diversi modelli di regolazione. Oltre ad un passaggio concettuale, si nota anche una serie di profondi cambiamenti, tutti interni ai distretti, frutto forse delle sollecitazioni provenienti dalla globalizzazione: oltre a causa della gi citata delocalizzazione, la forma dei distretti cambia anche perch diventano pi grandi, per certi versi pi maturi. Si parla di distretti manifatturieri-terziari: distretti che s mantengono al proprio interno le fasi pi importanti della produzione, spostano altrove le fasi a maggiore intensit di manodopera, ma sviluppano anche una serie di attivit terziarie legate ai servizi ed alla formazione (Trigilia, Burroni, 2004, p. 82). Anche se queste trasformazioni hanno avuto dei costi in termini di perdita di specializzazione (ivi), gli autori sottolineano comunque la sostanziale tenuta di questi modelli, e non vedono emergerne di nuovi: essi tengono perch capaci, di fronte a nuove pressioni, di dare risposte diversificate ed elastiche (ibidem, 2004, p. 125).

29 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

30 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

2. SUBCULTURA POLITICA E SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI


Dopo una parte di analisi prettamente incentrata sul livello economico, osservato sia in termini di modelli teorici sia sulla base di esperienze reali, il fuoco si sposta ora sui legami che intercorrono fra lo stesso livello economico e quello sociale. Verranno riproposti sinteticamente gli studi portati avanti da quattro sociologi italiani, la cui opera interessante proprio per il modo in cui vengono messi in correlazione sistemi di produzione, caratteristiche della societ e subculture politiche.

Parlare di subcultura politica e sistemi produttivi significa anzitutto legare campi diversi, analisi portate avanti sotto prospettive differenti, trovare connessioni tra il piano economico e quello sociale (e, di rimando, come questo si esprime al momento del voto, a livello politico). Fra i tanti che hanno esplorato questo intreccio di relazioni, quattro sono gli autori che hanno contribuito in maniera decisiva alla crescita di una letteratura sul tema. Innanzitutto Arnaldo Bagnasco: verr successivamente descritta in uninteressante e per certi versi pionieristica analisi sui differenti modelli di sviluppo (o di nonsviluppo) che hanno caratterizzato il contesto italiano. Se fino al 1977, anno di uscita del libro Tre Italie, lapproccio era quello prettamente votato al dualismo tra nord e sud, questi proporr di fare attenzione anche allemersione di una terza italia, quella del centro e del nord-est; ripartendo cos la realt italiana in tre, e non pi in due, ambiti danalisi. Bagnasco ha avanzato un modello nuovo, sulla cui scia si sapientemente inserito Trigilia con Grandi partiti e piccole imprese, analizzando pi da vicino le questioni legate al governo, alla partecipazione, ai mutamenti in ambito politico nonch le differenze riscontrate fra le tre zone citate sopra. Fornendo, soprattutto, una definizione complessa e convincente di subcultura politica. Sempre di matrice politica sono i lavori di Diamanti, osservati nel terzo paragrafo del capitolo: i suoi sono stati e continuano ad essere contributi interessanti sotto il profilo dellanalisi del territorio, sminuzzato, osservato da vicino, molte volte su base provinciale o comunale; analisi che spesso, tramite la colorazione di apposite mappe, forniscono unimmagine plastica della realt politica italiana, sul voto, sulle motivazioni e le istanze che lo determinano. Per ultimo (anche se non in ordine di importanza) arriva lanalisi di Ramella: mirata sul centro Italia, su quel cuore che ha saputo esprimere una continuit tanto dal punto di vista dellassetto economico-produttivo, quanto su quello politico. La sua indagine sullItalia di mezzo, datata 2005, apre per dei dubbi (sottolineati da quel punto interrogativo nel titolo di Cuore rosso?) sulla tenuta sia del sistema produttivo sia della continuit del voto. Analisi interessante che verr ampliata, e a tempo stesso sovrapposta sui confini sociali, economici e politici della citt di Fano, nel prossimo capitolo.

2.1. Le Tre Italie

31 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Arnaldo Bagnasco, come gi accennato, ha scritto il libro Tre Italie nel 1977, nel pieno cio di quel passaggio tra modello fordista e modello postfordista. In un contesto in cui leconomia reale, e di rimando la societ, stavano cambiando profondamente. Evidente che tanto il quadro teorico che fino ad allora aveva retto, quanto gli strumenti di osservazione delle realt economiche e sociali, apparivano sempre pi inadeguati. Obiettivo dellopera era pertanto aprire spazi di indagine nuovi, riconsiderando le modalit con le quali, fino ad allora, si era soliti maneggiare quelle stesse realt. Bagnasco coglieva lemergere di sistemi produttivi meritevoli di essere osservati pi da vicino; al contempo, voleva sottolineare il ruolo svolto dai territori nel favorire questa emersione: per farlo, lautore ha scomposto la realt italiana in pi parti, uscendo dalla sin troppo semplice dicotomia giocata tra nord e sud del paese. Come vedremo, lintuizione stata pertanto quella di dare risalto ad una terza Italia, quella del centro e del nord-est. I dubbi sulla mutevolezza e la variabilit del contesto italiano, emergono gi dal sottotitolo dellopera: la problematica territoriale dello sviluppo italiano. Lattenzione dunque rivolta in primis alla dicotomia tra un nord avanzato contro un sud visto come area di sottosviluppo; successivamente allirrompere sulla scena di protagonisti nuovi come le piccole e medie imprese; protagonisti che inevitabilmente scompaginano il quadro e che al contempo rendono lItalia un territorio fertile per lo sviluppo delleconomia periferica. A chiusura di questa analisi, lipotesi centrale: la necessit di riconsiderare il territorio italiano come unarticolazione complessa di tre formazioni territoriali. Si pu dire che quella di Bagnasco sia unanalisi capace di passare dal livello marco a quello micro, in grado di descrivere prima la storia economica italiana e poi, attraverso la proposta di un nuovo modello teorico dosservazione, lemersione di fenomeni nuovi. La ricerca si apre infatti con unampia descrizione del dualismo nord-sud, e nello specifico focalizzando sul meridione: denunciate le forti disarmonie fra le due Italie, lautore ricorda che tali squilibri partono da lontano, dallepoca immediatamente successiva allUnit dItalia; la questione meridionale era sta gi discussa e analizzata da quel filone di studi, detto per lappunto meridionalista, che tuttavia non era riuscito a cogliere gli effetti di queste crescite a due velocit (Bagnasco, 1977, p. 34). Gi dalle prime pagine, si coglie la necessit per lo stesso Bagnasco di apportare un cambio concettuale: la realt del sud merita di essere studiata pi a fondo, separatamente dal nord, cos da non dover ricavare definizioni per differenza ed anche per non fare continuamente riferimento al classico lato negativo della medaglia. I dati Istat in possesso di Bagnasco vedevano nel sud un costante calo dellimpiego agricolo ed una crescita del terziario; dati che, tuttavia, non devono trarre in inganno n lasciar presagire rivoluzioni nellassetto economico meridionale: anche se qualcosa in quegli anni iniziava a muoversi, lagricoltura non era razionalizzata capitalisticamente, il terziario (settore in crescita) non era sufficientemente maturo, la disoccupazione era profondamente mascherata nel commercio, si potevano osservare la grave ipertrofia ed inefficienza della pubblica amministrazione. Vecchio e nuovo, funzionale e disfunzionale, insomma coesistevano e bloccavano lo sviluppo (Bagnasco, 1977, p. 72).

32 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Interessante, a questo punto della trattazione, laver per cos dire incrociato dati riguardanti leconomia ed altri ti natura pi spiccatamente politica. Il tema dei rapporti tra economia, territori e governo locale, ripreso in seguito da tanti altri autori italiani, diventa centrale. A tal proposito, Bagnasco avanza unipotesi: la Democrazia Cristiana, partito forte nel meridione, aveva usato il tema del sottosviluppo per creare consenso, senza mai affrontarlo davvero. La DC, in altri termini, aveva nel Mezzogiorno un ampio consenso che non gli permise tuttavia di strutturarsi come grande partito di massa; al contrario, essa cre un mass patronage, una fitta rete di clientele orizzontali che aiut fortemente a compromettere lo sviluppo del sud (Bagnasco, 1977, p. 73). Ecco allora limportanza del quadro politico, la necessit di sovrapporlo a quello socioeconomico: diventa di fondamentale importanza capire che tipo di collaborazioni vengono strette, se e come il territorio aiutato a crescere. Se per il sud questa sovrapposizione dava esiti negativi, lo stesso certo non si poteva dire per il nord, e nello specifico per il centro-nord-est, dove a tradizioni politiche forti corrispondevano modelli produttivi altamente competitivi: questa correlazione positiva fra tra continuit nel voto ed assetto economico, oltre ad essere centrale in questo lavoro, verr poi ripresa con successo da altri autori. Staccatasi dalla dicotomia nord-sud, lanalisi continua poi mettendo sotto la lente dingrandimento temi (per lepoca) emergenti, quali il superamento del fordismo, larrivo della flessibilit, le prestazioni lavorative che assumono forme e tempi nuovi (basti pensare al part-time), la crescente femminilizzazione del mondo del lavoro, la societ che muta a velocit altissime, dove si studia di pi, dove gli stimoli e le istanze cambiano. Ritorna dunque quella problematicit che gi veniva citata nel sottotitolo dellopera: un incognita che scompagina il quadro e che rende pi eterogeneo lo sviluppo italiano. In un contesto cos delineato, ecco la novit: un modello fondato sulla piccola e media impresa, localizzato in regioni come il Veneto, lEmilia Romagna, la Toscana, lUmbria, le Marche. Un sistema emergente e di successo, che lanalisi scientifica non pu ignorare e che al contempo deve inserirsi in quel dualismo fra settentrione e meridione perch capace di trainare leconomia, di trasformare il capitalismo, rendendolo pi maturo. Occorre studiare, per tanto, le conseguenze derivanti da questo sviluppo. A chiusura dellopera, che pure lascia aperte alcune domande in merito alle prospettive future, vengono ribadite le proposte centrali: ripensare il contesto italiano, considerare lemersione della terza Italia, analizzare questa tripartizione.

2.2. Grandi partiti, piccole imprese e subculture politiche Sulla scia dellanalisi di Bagnasco, a distanza di pochi anni, ne emerge unaltra altrettanto fortunata: lindagine, per certi versi paradigmatica, portata avanti da Carlo Trigilia (1986). Se il primo aveva suggerito lopportunit di osservare la realt italiana da un punto di vista nuovo, il secondo, oltre ad aver raccolto tale suggerimento sul piano analitico, ha poi sviluppato il suo lavoro tenendo uniti da una parte il livello economico e dallaltro quello politico. Ed proprio sulle tradizioni
33 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

politiche che stato posto laccento: centro dellindagine sono dunque le subculture politiche ed il loro forte legame coi territori della terza Italia. Nel concetto di terza Italia, come detto, rientrano anche regioni del nord-est italiano come il Veneto, il Trentino, il Friuli Venezia-Giulia. Tutte zone che non sono centrali per questo lavoro (pi incentrato sul centro, sulle realt emilianoromagnole e marchigiane, e nello specifico sulla citt di Fano). Tuttavia, non si pu fare a meno di ricordare che anchesse costituiscono un paradigma, un esempio interessantissimo di come si sviluppa, cresce, si radica, si trasforma una subcultura politica. Trigilia ha dato ampio spazio a questo tema, cogliendo non poche differenze fra un centro Italia socialista prima e comunista poi ed un nord-est italiano fortemente cattolico dove ebbe modo di radicarsi la Democrazia cristiana. La domanda che Trigilia si pone e da cui prende le mosse lintera analisi : che relazione esiste tra le origini e la persistenza di regioni rosse e bianche, e unorganizzazione economica che, nella sua variante agricola prima, e industriale dopo, ha privilegiato le piccole dimensioni e il lavoro autonomo (Trigilia, 1986, p. 7)? Questa domanda se ne porta dietro altre: possibile accostare due realt cos diverse fra loro? Cattolici del nord-est e comunisti (originariamente socialisti) del centro? E ancora: utile una prospettiva analitica che guarda ai rapporti tra fenomeni economici e sociopolitici per mettere a fuoco il processo di sviluppo di questa parte ditalia? Tutti interrogativi pi che legittimi, almeno da un punto di vista analitico, per lepoca: fino ad allora la dimensione sociale, quella appartenente alla societ civile non era molto considerata, linteresse era tutto rivolto al mercato, al suo funzionamento, al quanto si vende. Era da l che si tentava di capire il successo economico di un territorio. Anche in questo caso, cos come in Bagnasco, viene suggerito un cambio di passo: leconomia deve esser sempre pi una scienza complessa, che osserva non solo il mercato ma anche il territorio, e proprio del territorio deve conoscere le innumerevoli sfaccettature di matrice sociale. In caso contrario, si rischia di tralasciare punti di forza e problemi del presente, cos come le prospettive del futuro. Proprio perch convinto della necessit di quel cambio di passo nellanalisi sociale ed economica, Trigilia ribadisce linteresse per le piccole e medie imprese e le zone in cui esse si sviluppano. Aree che, secondo lautore, vanno viste come nuove frontiere dove si sviluppano soluzioni per il futuro (Trigilia, 1986, p. 8). Conviene a questo punto dare una definizione del concetto di subcultura politica. In Italia (cos come in tanti altri paesi occidentali) gli orientamenti e i comportamenti politici sono caratterizzati da rilevanti variazioni territoriali. A territori diversi corrispondono, tendenzialmente, tradizioni politiche diverse. Se in una certa area di riferimento presente una particolare tradizione politica, ben radicata, strutturata in partiti, gruppi di interesse, agenzie capaci di creare cultura o assistenza, allora si crea una situazione tale per cui si pu parlare di subcultura politica (Trigilia, 1986, p. 13): il centro rosso ed il nord-est bianco ne sono due fulgidi esempi. Allautore non sfuggiva una sempre crescente attenzione nei confronti della dimensione territoriale: il territorio si affermava via via come uninteressante e variegato oggetto di studio. Certo gi allora la disciplina aveva prodotto ricerche che ne avevano valutato il quadro economico; difficilmente per esso veniva
34 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

sovrapposto con quello politico. In altre parole mentre la piccola e la media impresa vivevano il loro boom, lanalisi economica ne seguiva levoluzione. Non si pu dire che esse non fossero per nulla presenti al nord o al sud: esistevano, eccome, anche se con forme e capacit di sviluppo diametralmente opposte. Tuttavia, al nord come al sud, piccola e media impresa e distretti industriali non costituivano lasse portante della struttura economico-sociale. Nella Terza Italia, invece, s. per questo, per questa compresenza di sistemi produttivi forti ed innovativi e di tradizioni politiche solide e radicate, che livello economico e livello politico meritavano di essere sovrapposti. Il tutto per dare risposte a nuove domande: che rapporto intercorre tra piccola e media impresa e subculture politiche? Sono due mondi totalmente autonomi o sono in correlazione? Che ruolo giocano le subculture rosse e bianche? Come si differenziano, fra di loro, queste due subculture? Sono questi i problemi posti al centro dellanalisi di Trigilia (1986, pp. 13-14). Lassunto di base dunque quello che il successo dellindustrializzazione diffusa non potesse avere spiegazioni di matrice meramente economica, ma che in realt occorresse osservare la realt anche dal punto di vista politico, livello questo sostanziosamente innervato di subculture. Certo: tanto i sistemi produttivi quanto le stesse subculture non erano allora n rappresentano oggi qualcosa di granitico: subiscono mutamenti, processi di adattamento, cambiano col cambiare delle variabili che li circondano. Le stesse subculture, fa notare lautore, si trasformano, subiscono processi di laicizzazione, diventano ora meno granitiche (come nel caso di quella bianca), ora capaci di tenui rafforzamenti (come quella rossa, alla fine degli anni 70). Di una cosa Trigilia era certo: tanto la DC quanto il PCI non sarebbero cresciuti ma avrebbero dovuto spendersi per mantenere vivo un consenso che gi allora iniziava a non essere pi cos forte come in passato (Trigilia, 1986, p. 35). Una previsione azzeccatissima, di cui si avr conferma nelle opere di Diamanti e Ramella. Gi questa stringata descrizione dellopera basterebbe a far emergere tutta limportanza e lutilit della stessa. Ma ancor pi utile ed aderente ai temi trattati da questo elaborato il capitolo dedicato alle origini delle subculture: come si formano? Da cosa derivano? Quali sono le loro radici? Domande cui lautore da una risposta molto articolata e che, indirettamente, forniscono un quadro di riferimento anche per capire il contesto dellItalia centrale, della zona settentrionale delle Marche, e della provincia in cui la citt di Fano inserita. Per ora il fuoco rimane sulla trattazione di Trigilia, ma lesplorazione del contesto fanese trover ampio spazio nel capitolo successivo. Nel delineare le origini, le fondamenta storiche su cui poggiano le subculture, occorre innanzi tutto ricordare che questo concetto posto a met strada tra una sociologia dei valori, che sottolinea il ruolo integrativo, inclusivo del sistema di valori, ed una sociologia delle tradizioni, che punta pi sullimportanza dei negoziati e degli scambi tra i diversi gruppi di interesse per lintegrazione dellintera societ. Pertanto, le subculture svolgono contemporaneamente un duplice ruolo: soddisfano una domanda di identit proveniente da una certa comunit, e a tempo stesso forniscono le risorse per la mediazione di interessi materiali e concreti (Trigilia, 1986, p. 43): per rendere pi evidenti e radicate tali necessit, occorrono sul piano politico partiti molto forti e strutturati, capaci di sostenere queste istanze.
35 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Va ricordato che oltre a questo ruolo dinamico, le subculture hanno in qualche misura anche il compito auto-preservarsi, di mantenersi in vita assieme alle societ, alle comunit, ai territori che le esprimono: la sopravvivenza dipende dunque anche da un certo grado di chiusura verso lesterno, al fine di mantenere tratti caratteristici, punti di forza e privilegi maturati via via nel tempo (Sivini). Per tanto, le subculture presuppongono un certo grado di isolamento, una forma di chiusura che tuttavia non si pone radicalmente in contrapposizione col sistema valoriale, economico, politico proprio di una nazione: si pu parlare piuttosto di una sorta di compromesso, un reciproco adattamento tra livello nazionale e locale: in cambio di una relativa capacit di regolazione politica decentrata esercitata dalle subculture, il sistema politico nazionale non vede messa radicalmente in discussione la sua legittimit (Trigilia, 1986, p. 48)13. Per riassumere, lidea di subcultura diventa un utilissimo strumento dindagine (utilizzato anche in questo lavoro) nella misura in cui viene considerata come un particolare sistema politico locale, caratterizzato da un elevato grado di consenso per una determinata forza e da una elevata capacit di aggregazione e mediazione di interessi differenti (ibidem, pp. 47-48). A ci si connette la necessaria presenza di elementi quali una fitta rete istituzionale (partiti, chiesa, gruppi di interesse, strutture assistenziali, culturali, ricreative) coordinata dalla forza dominante, che controlla anche il governo locale e tiene i rapporti con il sistema politico centrale (ivi). In questo modo, mediante questa rete, non solo si riproduce unidentit politica, ma si contribuisce anche allaccordo locale tra i diversi interessi. Centrale per lanalisi della subcultura anche il concetto di emarginazione: si tratta di un processo percepito prima a livello individuale, e solo successivamente sul piano sociale; pu esser visto come un deprivilegiamento, una perdita, una perdita di qualit nel proprio tenore di vita. Esso pu fungere da molla verso unazione comune, una mobilitazione che anzich disgregare il sistema (in questo caso il territorio), crea unazione collettiva che lo compatta (ibidem, p. 52). Da qui, dal rapporto tra grado di emarginazione e quantit di risorse di identit a disposizione, possono emergere nuove identit collettive. Lemarginazione pi forte vissuta nellItalia post-unitaria stata la progressiva, critica crescita della proletarizzazione: essa, da nord a sud, stata combattuta e contrastata con modalit differenti. Proprio da queste differenze sono emerse subculture molto lontane fra loro, pi o meno forti, pi o meno radicate. Ritornano dunque le domande poste sopra: come si formano le subculture territoriali? Perch nascono in particolari regioni? Quali conseguenze comportano per la societ locale? In altre parole: quali sono le origini delle subculture? Domande cui ora possibile rispondere. Anche in questo caso, ritornano come primo ambito di indagine le dinamiche che hanno investito il settentrione ed il meridione; nel primo caso la grande industria ad accrescere la proletarizzazione: tale processo ha s portato alla creazione di una subcultura (nello specifico di matrice prettamente socialista) ma che, al contrario di altri contesti, gioca la sua partita per cos dire in un contesto urbano (le tre grandi citt del triangolo industriale e relativi satelliti, per esempio) e di scontro
13

Sar questo elemento ad entrare in crisi, a partire dalla fine degli anni 80, nella subcultura bianca del nord-est. Come si vedr in Diamanti, il forte radicamento della Democrazia Cristiana verr sostituito dalla subcultura verde, di stampo leghista.

36 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

fra classi (capitale contro proletariato) (Trigilia, 1986, p. 55). Per contro, come gi visto in Bagnasco, nel sud si era sviluppato un sistema clientelare che, tentando di dare risposte ai bisogni reali, ha finito per creare solo disarmonie e sottosviluppo in una situazione profondamente bloccata, arretrata. Occorre uscire dalla dicotomia nord-sud per trovare nella terza Italia un processo dai caratteri differenti, non assimilabili n al primo n al secondo caso: qui il processo di emarginazione ha riguardato il contesto agricolo, come nel mezzogiorno, ma con esiti meno disgreganti: non ci si affidati a cricche, clientele e mafie varie per la risoluzione dei problemi, ma si fatto leva su quelle risorse collettive di cui si parlava prima (ibidem, p. 56). La proletarizzazione passa, ad esempio nel contesto emiliano, dalluso intensivo di forza lavoro, specialmente per la realizzazione di grandi opere, infrastrutture, bonifiche; si era costituito cos un ampio proletariato bracciantile. Il lavoro agricolo autonomo, pur presente in Emilia, aveva creato pi emarginazione in Toscana, Umbria e Marche (ibidem, p. 57). Al di l delle specificit, si pu affermare che la creazione delle subculture nel centro e nel nord-est italiano non sono legate direttamente alla crescita del proletariato industriale, n alle forme di disgregazione tipiche del sud: nella terza Italia c un profondo compenetrarsi tanto di risposte collettive quanto di quelle individualistiche nel far fronte alla emarginazione (ibidem, p. 59). La mezzadria e la piccola propriet terriera ebbero in queste dinamiche un ruolo decisivo: furono in grado di stimolare lappoderamento in ampie zone del centro e del nord-est,; le famiglie tendenzialmente ampie, allargate, con un numero di componenti pi alto rispetto alla media nazionale venivano maggiormente coinvolte nei processi produttivi: esse si affrancano dalle evoluzioni del mercato, produce anche per lautoconsumo. Godevano di un tenore di vita che le metteva nelle condizioni di concentrarsi su strategie votate allo sviluppo: non solo in campo agricolo, ma magari specializzandosi in una determinata produzione, anche di stampo artigianale (ibidem, p. 61). Ogni famiglia, per cos dire, sviluppa una propria specificit; lo fa anche grazie alla possibilit di operare in centri di ristretta estensione, dove vive una piccola e media borghesia agraria, votata talvolta a mestieri, professioni, saperi di antica tradizione: queste potrebbero essere spiegazioni (almeno parziali) dellalta competitivit delle piccole e medie imprese. Quanto affermato fin ora fornisce anche una risposta sui quesiti legati allassenza, sempre nel contesto della terza Italia, di una mobilitazione di classe: lintento era quello di preservare un sapere in quanto caratteristico di una comunit; al contrario, si sentiva in maniera pi flebile la necessit di rivendicazioni in quanto classe sociale. Il territorio, la comunit, la societ locale vengono difese contro la penetrazione del mercato ed in qualche misura dello stato (ibidem, p. 64). Come detto, lanalisi di Trigilia torna utile in questo lavoro come base analitica per osservare il concetto di subcultura. Ma, come suggerisce il titolo dellopera presa in considerazione, parlare di subcultura politica significa anche parlare di grandi partiti: anche se le tematiche relative al voto saranno riprese con Diamanti e Ramella, pu esser per ora sufficiente ricordare le differenze tra subcultura bianca e rossa: perch queste due colorazioni? Le dottrine socialiste attecchirono con grande fortuna nelle regioni centrali: nellopera si fa riferimento allaltissima crescita nel numero degli iscritti al partito
37 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

socialista tra 1914 e 1920 (sino, pertanto, allavvento del fascismo). In seguito, fu decisivo il ruolo svolto da un partito di massa, ampio, strutturato e radicato come il PCI: uno di quei partiti che, per dirla con una definizione classica, ricopriva ed in quale misura dava senso alla vita dei militanti dalla culla alla tomba. Per quanto concerne la subcultura bianca, un importante ruolo lo giocarono le parrocchie, con la loro presenza capillare sul territorio: va ricordato innanzi tutto che il basso clero era molto spesso di origine umile, veniva dalle campagne, il prete era contadino fra contadini e veniva vissuto come un aggregatore di necessit simili a quelle dei suoi parrocchiani. La parrocchia era assistenza, educazione, agenzia culturale, costruttrice della comunit locale (Trigilia, 1986, p. 110). Come si vedr in Diamanti (2003), in questo contesto la DC ha s un ruolo importante, ma non ha lo stesso grado di radicamento del PCI: la Democrazia Cristiana votata quasi per riflesso di un pi profondo, convinto, intimo credo religioso, quello cattolico. Sono dunque le associazioni, come le gi citate parrocchie, come quelle votate alla solidariet, alla diffusione della cultura sportiva e via dicendo a fungere da base sicura per il voto bianco14. Entrambe le subculture vennero ridimensionate, per non dire annientate, dal ventennio fascista. Ma, come ricorda Trigilia, seppero riemergere e riaffermarsi: negli anni 50 come risposta alla dittatura; negli anni 60 si radicano perch espressione di una risposta concreta allemergere di un nuovo sistema produttivo, quello postfordista, declinato sul piano pratico dai distretti e dalle aziende mediopiccole (Trigilia, 1986, p. 200). Lautore ha avuto modo di studiare due casi concreti, presi come campione rappresentativo delle due subculture: la zona di Bassano del Grappa per quella bianca, e la Valdelsa per la Toscana rossa. Bastano pochi dati per capire la pregnanza di tali tradizioni politiche: per quanto concerne il contesto toscano, Trigilia not che il 42,2% degli operai presi a campione erano iscritti al PCI (ibidem, p. 256). A Bassano invece, la DC, nel 1958, raccoglieva il 64% dei consensi. Ma su questo contesto che si iniziano a cogliere i prodromi di quello scongelamento di cui parler circa ventanni pi tardi Ramella: la classe operaia era in crescita, e stava divenendo la struttura portante della societ. Dallalto dato del 1958, si scende al 48% del 1983 (anno in cui la ricerca si ferma): unemorragia di voti e di consenso che la DC non sapr contenere negli anni successivi. La tradizione cattolica rester, ma il voto alla DC sar sempre meno compatto e convinto e finir per dissolversi, nelle urne, con larrivo di nuovi protagonisti politici. Volendo riassumere: nelle subculture due aspetti sono fondamentali, lesistenza di un serbatoio di risorse culturali ed istituzionali che facilitano lorganizzazione degli interessi da un lato, ed un modello di rappresentanza sensibilmente orientato dai vincoli economici e politici locali dallaltro. Il combinarsi di questi aspetti ha realizzato una regolazione armonica dellindustrializzazione diffusa; inoltre, la ridefinizione della delega politica sempre stata, secondo Trigilia, armonica e graduale (ibidem, p. 311). Si tratta di unanalisi, questa, che si ferma al 1986. s di importanza decisiva ma, per ovvie ragioni cronologiche, non riuscita ad osservare quel turning point
14

Un ruolo non meno importante, fu ricoperto dalla stampa cattolica, diffusissima (come ricorda lo stesso Trigilia) in Veneto ed in Trentino.

38 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

rappresentato dagli anni 80. Anni in cui i sistemi produttivi, il mercato del lavoro, leconomia, ma anche la partecipazione politica ed il voto hanno compiuto cambi di passo degni di nota. Tanti sono stati gli autori che ne hanno fornito una descrizione (compreso lo stesso Trigilia): dovendo sceglierne alcuni fra i pi rilevanti, in questo lavoro si deciso di ricordare i lavori di Diamanti e Ramella proprio perch, sebbene incentrati su quella sovrapposizione fra livello economico e quello politico di cui si parlava prima, hanno messo in risalto il piano politico e ne hanno analizzato caratteristiche e mutamenti con particolare attenzione alle vicende pi recenti, successive allo spartiacque del 1989, alla caduta del muro di Berlino, allo scongelamento delle tradizioni politiche ed alle relative ricadute su base territoriale.

2.3. Identit, territorio, mappe, voto Si pu dire che Diamanti sia un sociologo appartenente ad una generazione successiva, sia anagraficamente parlando che sul piano degli studi effettuati, rispetto agli autori sin qui passati in rassegna. Uscito dalla stringete dicotomia nord vs. sud, ha sempre mostrato interesse per i territori e per le relative dimensioni politiche. Le sue sono analisi compiute in anni in cui limportanza delle realt territoriali era gi emersa con forza: lavori come Il male del nord (Diamanti, 1996) sottolineano ed analizzano i mutamenti avvenuti su contesti pi ristretti, focalizzando su determinate regioni, talvolta solo su alcune, particolari province. La necessit di fotografare realt pi circoscritte nasceva soprattutto dallirrompere sulla scena politica di attori nuovi, che scompaginavano il quadro, che riuscivano ad imporsi proprio perch i vecchi protagonisti non erano pi capaci di svolgere quel ruolo di raccolta delle istanze, di rappresentanza, di difesa del territorio che avevano giocato per quasi cinquantanni. Il riferimento, in questo caso, alla crescita vertiginosa (prima, ed allassestamento, poi) della Lega Nord: un partito capace di cambiare colore a quella subcultura del nord-est, la quale nel giro di pochi anni smette di esser bianca per diventare verde. Molto interessanti, dunque, sono le sua analisi sul territorio, sulla sua capacit di esprimere una particolare identit ed assegnare un certo tipo di voto. E di grande utilit per lo sviluppo di questo lavoro sono le definizioni del concetto di territorio in rapporto alle sue dimensioni politiche. Il punto di partenza la necessit di comprendere come i partiti utilizzino il territorio per la loro attivit; e, reciprocamente, che tipo di rapporti il territorio riesca ad instaurare con la politica in merito allaggregazione di istanze e risoluzione di problemi. In questo senso, il territorio espressione di tre dimensioni, che sono poi le tre dimensioni della politica: politics, policy e polity. Il primo ambito ha caratteri integrativi, in cui il territorio luogo di presenza, partecipazione e organizzazione, azione in prima persona dei partiti: qui svolgono funzioni di reclutamento, di costruzione dellidentit, di dialogo con le persone; tali funzioni passano attraverso le sedi di partito, le associazioni ad esse collegate, gli attori politici, le varie forme di potere, attraverso tutti quei luoghi che creano
39 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

consenso, legittimit, capacit di rappresentanza degli interessi (Diamanti, 2003, p. 15). Nel caso della policy, il territorio visto come sede dellamministrazione e del governo della comunit: in questa dimensione che la politica prende decisioni, offre risposte ai problemi della comunit, promuove iniziative e programmi volti alla crescita della stessa (ibidem, pp. 15-16). In ultima battuta, giungendo al concetto di polity, il territorio esprime anche il bisogno dei cittadini di possedere unidentit, di costruirla e radicarla mediante confini (a volte fisici, a volte simbolici) (ibidem, p. 16). Si pu gi notare come il fuoco dellanalisi di Diamanti sia dunque pi marcatamente politologico, essa pi incentrata sullazione dei partiti. I quali, ovviamente, non si muovono nel vuoto, ma hanno attorno un contesto, spesso mutevole, rispetto al quale si adattano o che tentano di modificare. Contesto che, come stato possibile vedere passando in rassegna gli autori precedenti, di fondamentale importanza, specie sul piano economico. Si tratta di elementi che anche Diamanti tiene inevitabilmente in conto; ma, come detto, nei suoi lavori si sottolinea pi il ruolo dei partiti, della politica, del territorio in cui il confronto politico viene giocato. Proprio a tale proposito, utile per lo sviluppo del presente lavoro lo schematico riassunto delle stagioni politiche vissute dallItalia repubblicana. Lautore delinea un percorso in tre fasi, in tre tappe: la prima quella dei partiti di massa, attori di politics e di policy, portatori di tradizioni ideologiche (come nel caso del centrorosso) o religiose (come per il nord-est-bianco) fortemente condivise. questa la lunga fase gi vista in Bagnasco e Trigilia, che inizia nel dopoguerra, attraversa lera del boom economico e dunque di quellepoca definita precedentemente come fordista, e si stempera con la crisi del fordismo (ivi). Nella seconda fase, cui Diamanti ha dedicato grande attenzione, si nota laffermazione di formazioni autonomiste, delle leghe, di movimenti che enfatizzano con forza la specificit del territorio. Il riferimento alla Lega Nord chiaro, ma questa fase risulta interessante per la generale perdita di importanza, consenso e capacit di radicamento dei partiti (ivi). Vi poi la fase pi recente, quella contemporanea, dove i partiti sono cartellizzati, parcellizzati nella necessit di rappresentare istanze di varia natura, mutevoli, complesse. Si tratta di partiti personalizzati, dove forte limportanza del leader, partiti che comunicano tanto ma che si dimostrano incapaci di mantenere alta la partecipazione. Decisivo il ruolo della fiducia, sempre minore quello dellideologia in senso stretto (ivi). Il territorio perde cos importanza, diventa anzi una variabile dipendente, spesso ininfluente: esso spesso invisibile. Queste tre fasi corrisponderebbero cos a tre modelli in cui si manifesta il rapporto tra territorio e politica. In un primo momento, quello dominato dal bianco e dal rosso dellItalia centrale e nord-orientale, si sottolinea limportanza della politica nel territorio. Lemergere della Lega Nord dipinge di verde non solo un territorio (quello del Veneto) ma lintero quadro delle analisi socio-politiche: si parla in questa fase di territorio contro la politica. In ultima battuta, con i partiti che diventano network, che giocano la loro partita sempre pi sugli schermi televisivi e sempre meno nelle piazze: questa fase colorata di azzurro, il colore di Forza Italia, partito politico

40 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

affermatosi a cavallo tra anni 90 ed il giro di boa del nuovo millennio; la fase della politica senza territorio (Diamanti, 2003, pp. 18-22)15. Nellelaborazione di questa tesi non troveranno spazio le pur interessanti riflessioni sullaffermazione della Lega Nord prima e di Forza Italia poi. Pur escludendo da questa ricerca losservazione dellItalia verde e azzurra, lanalisi di Diamanti fortemente utile quando si concentra sulle regioni centrali, sullorientamento politico che hanno espresso, sui motivi della loro sostanziale tenuta e stabilit sul piano politico in confronto ad un nord-est che, nellultimo quarto di secolo, non ha dimostrato la stessa continuit. Ritorna dunque sotto la lente dingrandimento la terza Italia, e nello specifico la zona rossa, pi compatta e sagomata rispetto a quella bianca: essa racchiusa fra Emilia-Romagna, Toscana (con le storiche eccezioni di Lucca e Massa Carrara), lUmbria, le Marche (principalmente nella zona settentrionale) (ibidem, p. 31). Figura 2.1 Zone di forza della DC e del PCI nella prima repubblica

15

Sviluppi recenti (Diamanti, 2009) hanno reso il quadro ancor pi scompaginato e la mappa della politica italiana ancor pi difficile da colorare.

41 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Fonte: Diamanti, 2003, p. 30, dati del Ministero dellInterno La forma e le caratteristiche dellItalia centrale sono note: lestesa rete di piccole e piccolissime imprese industriali, per lo pi di carattere manifatturiero, la presenza di centri urbani di dimensioni ridotte, limportanza di istituzioni tradizionali quali la famiglia, la comunit locale e soprattutto il lavoro, che costituisce un riferimento centrale sotto il profilo dellorganizzazione sociale (ibidem, p. 32). Il rapporto fra partiti di orientamento progressista, primo fra tutti il Partito Comunista, e la comunit locale stretto e direttivo. Vale la pena sottolineare che il PCI non era gregario, ma guida e riferimento della comunit. Tale orientamento trova sbocco soprattutto nel governo locale perch, perdurando la guerra fredda ed essendo in qualche modo necessario dotarsi a livello nazionale di uno scudo contro le possibile derive comuniste di tale confronto, il PCI era continuamente escluso dal governo centrale (ibidem, pp. 38-39). Nelle zone rosse, dunque, il PCI ha rappresentato una parte importante dellorganizzazione e dellidentit del territorio. Ha contribuito a riprodurle attraverso la propria organizzazione e la propria identit. Ha reso possibile uno stile amministrativo di tipo integrativo, per certi versi interventista, visibile e attivo. (ibidem, pp. 39-40). Se la DC, specialmente in Veneto si rivelato strumento inefficiente per rappresentare il territorio (ibidem, p. 49 e segg.), il PCI non ha subito crolli cos rovinosi: la DC entra in crisi perch si rivela esser sempre meno un partito sponsorizzato dal territorio e sempre pi sponsorizzato dallo Stato (ibidem, p. 38), non pi riflesso della comunit locale (ibidem, p. 39), il territorio cerca risposte di fronte al cambiamento (soprattutto di stampo economico), entra in rotta con lo Stato ma rivolgendosi alla stessa DC dietro di essa vi ritrova di nuovo lo Stato (ibidem, p. 49). Si tratta di un corto circuito, alimentato anche da altre cause (crescita della piccola borghesia, tessuto sociale logoro, pi complessit e meno valori, globalizzazione, europeizzazione) (ibidem, pp. 47 e segg.) destinato a mandare in tilt ogni tradizione, ogni forma di continuit ritenuta immutabile. Al contrario, il PCI, pur non essendo esente mutamenti come quelli citati sopra, tiene perch il partito delle amministrazioni locali, risente meno della disaffezione nei confronti dello stato, non bersaglio del conflitto fra centro e periferia. Continua inoltre ad avere una certa persistenza organizzativa, un impegno attivo e visibile mediante sezioni, militanti, iniziative. Tramite i governi locali, per anni il PCI stato posto a presidio dellItalia centrale. Essi fanno largo uso di un intervento di tipo autonomo, scarsamente mediato dal livello centrale: figure attive sul territorio come i sindaci e gli amministratori rendono pi vicine, meno astratte le istituzioni (Diamanti, 2003, pp. 51 e segg.).

2.4. LItalia di mezzo: ancora un Cuore rosso? In qualche misura, dunque, Diamanti ha colto gli aspetti pi statici ed improntati ad una certa forma di continuit dei territori dellItalia centrale e della relativa

42 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

subcultura rossa. La quale comunque se da una parte, come detto, non ha subito crolli rovinosi, comunque cambiata nel tempo, specie negli ultimi ventanni. Centro dellanalisi di Francesco Ramella in Cuore rosso? sar la cosiddetta Italia di mezzo, unitamente alle trasformazioni sopraggiunte sul piano politico in questi territori. Unanalisi che sottolinea i caratteri sociali ed economici del centro Italia e che successivamente ne descrive i fattori di stabilit e mutamento, anche sotto il profilo politico. Il solco tracciato da questa ricerca (tanto sotto il profilo analitico quanto sotto quello contenutistico) sar utile per sviluppare una trattazione inerente al contesto della citt di Fano, protagonista del terzo capitolo. Non solo: lanalisi di Ramella si ferma al 2004, e sar dunque interessante capire se le sue ipotesi e teorie (specie quella riguardante lo scongelamento nel voto espresso agli eredi del PCI) trovino un riscontro anche nelle pi recenti vicende del contesto fanese. Le tesi sviluppate nel lavoro di Ramella prendono le mosse dalla necessit di osservare e dare una spiegazione ai forti mutamenti politici succedutisi a livello nazionale, dal dopoguerra ai primi anni 2000; nello specifico, osservando un quadro generale fortemente cangiante, torna ad essere centrale linteresse per quella zona rossa gi vista precedentemente: essa stata spesso descritta come un ambiente economico e politico dalle caratteristiche ben marcate ed in qualche misura immodificabili, capaci di riprodursi nel tempo. Lidea di compiere un viaggio politico nellItalia di mezzo serve proprio a questo: a sfatare il mito di una zona che graniticamente esprime sempre la stessa tradizione politica, quella comunista prima e le successive eredit poi, con la stessa convinzione. Al contrario, essa va vista come una realt composita, con una sua complessit; una realt che, pur esposta a crisi economiche, a profonde trasformazioni della societ, a processi di secolarizzazione delle ideologie, alla modernizzazione culturale, allerosione delle reti sociali tradizionali, alla prorompente ideologia votata allindividualismo (Ramella, 2005, p. 7), ha saputo far fronte a queste sfide esprimendo caratteri di stabilit, votati alla continuit di una tradizione consolidata, e a tempo stesso anche elementi di mutamento, in contrasto con quella stessa tradizione. I fattori portatori di stabilit e quelli capaci di creare mutamento saranno pertanto il centro dellanalisi, e verranno osservati alla luce dei dati elettorali, in merito ai quali lo stesso Ramella propone tesi interessanti. La subcultura politica viene descritta, innanzi tutto, nelle sue caratteristiche pi visibili e marcate, sul solco gi aperto da Bagnasco (1977) e da Trigilia (1986) 16 e riprendendo da questi gli spunti pi interessanti. Di quella stessa subcultura si analizza quindi la sua prima fase critica, apertasi negli anni 80 e culminata nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, anni in cui il consenso al PCI si ridimensiona, non esprimendo pi quellegemonia compatta che si era radicata sin dal secondo dopoguerra. Si tratta tuttavia di una fase superata non con un crollo verticale dello stesso PCI ma, anzi, con un ricompattamento. Le fasi pi recenti, quelle che lautore coglie tra il 1999 ed il 2004, parlano invece di uno scongelamento subculturale: i partiti, sempre pi liquidi e sempre meno
16

Cfr. capitolo 2, paragrafi 1 e 2.

43 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

radicati, creano meno partecipazione e a tempo stesso si organizzano in coalizioni che poco o nulla hanno a che fare con gli orientamenti tradizionali. Per contro, gli elettori si mostrano sempre pi disposti a cambiare opinione e meno ad esprimere un voto frutto di una tradizione, quasi fosse un riflesso incondizionato. Landamento alternante delle ultime consultazioni osservate (quelle del 99, 2001 e 2004) un segno evidente di questo progressivo scongelamento (Ramella, 2005, p. 56). Le tabelle seguenti saranno utili per iniziare ad osservare il tema del voto nelle regioni rosse pi da vicino: Tabella 2.1 Voto per il PCI e i partiti postcomunisti nelle quattro regioni di centro, 1946-2001 (% voti validi)

Fonte: Ramella, 2005, p. 58, dati del ministero dellInterno Tabella 2.2 Forza elettorale del PCI e dei partiti postcomunisti secondo le varie fasi, 1946-2001 (Camera dei Deputati, % voti validi)

Fonte: Ramella, 2005, p. 57, dati del ministero dellInterno

44 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

La tabella 2.1 fa emergere con chiarezza, specie nel tratto finale, quello relativo alle elezioni avvenute negli anni 90 e 2000, quanto mutevole ed altalenante appaia la tenuta della subcultura rossa. Confrontandola con la tabella 2.2, inoltre, si pu notare come la stessa subcultura possieda dei confini temporali e si presenti con uno sviluppo strutturato in tappe. Lanalisi di Cuore rosso? ne conta cinque: il momento del radicamento della tradizione comunista (tra 1946 e 1958), quello della crescita (1958-1976), quello del declino (1976-1992), quello del ricompattamento (1992-1996) ed infine quello dello scongelamento (articolato tra 1996, 2001 ed anni successivi) (Ramella, 2005, p. 50-52). Gli ultimi tre momenti sono i pi interessanti: nella fase del declino, il PCI locale risente della crisi del partito a livello nazionale (frutto della crisi seguita al compromesso storico, allinasprimento nei rapporti col Partito Socialista e, pi in generale, al gi citato rallentamento nello sviluppo industriale); tuttavia, pur in un calo generalizzato dei consensi, il PCI nellItalia centrale non subisce un vero e proprio tracollo: il passivo elettorale notevole (in media, si segnano 8 punti percentuali in meno) ma pi contenuto rispetto al resto del paese (ibidem, p. 53). Se la tenuta appare comunque buona, daltra parte si inizia ad intravedere un indebolimento della fedelt elettorale, una strisciante disaffezione verso la tradizione comunista, una tendenziale omologazione ai comportamenti di voto osservabili nel resto dItalia. Il quadro politico nazionale, nei primi anni 90, cambia totalmente: spazzati via dallinchiesta Mani Pulite, i partiti di governo (DC e soprattutto PSI) entrano in crisi ed in breve tempo scompaiono; emergono nuove formazioni di centro-destra (Forza Italia ed Alleanza Nazionale, unitamente alla Lega); lo stesso PCI si era sciolto per ricomporsi in una formazione di tipo social-democratico come il Partito Democratico della Sinistra (PDS)17. Da tale quadro, lintera area di sinistra esce fortemente ridimensionata, specialmente dopo le elezioni politiche del 1994. Nelle regioni rosse, tuttavia, malgrado le lacerazioni nel tessuto della subcultura politica, si nota un considerevole ricompattamento dellelettorato progressista (Ramella, 2005, p. 54). Non solo: pochi anni pi tardi, nel 1996, le regioni rosse forniranno unottima spinta propulsiva alla vittoria di Romano Prodi alle elezioni politiche; una vittoria che vedr protagonisti soprattutto i partiti derivati dalla tradizione comunista e post-comunista, i quali (per la prima volta nella storia repubblicana) occuperanno i banchi del Governo nazionale. Lesperienza dellUlivo, tuttavia, si rivela fallimentare: nel 1998 il Governo Prodi cade, gli succede il Governo DAlema, i partiti della coalizione di centro-sinistra lasciano emergere tutte le profonde spaccature interne e nellelettorato serpeggia un forte senso di delusione (ibidem, p. 55). a questo punto che nellanalisi di Ramella viene posto lultimo spartiacque, quello che segna lapertura dello scongelamento: la perdita di Bologna, la sconfitta elettorale a livello amministrativo nella pi solida roccaforte della sinistra, datata 1999. A questa sconfitta (intervallata da una ripresa alle regionali del 2000) seguiranno quella alle elezioni politiche del 2001 (che riporter il centro-destra e Silvio Berlusconi al Governo), le interlocutorie elezioni europee del 2004, la striminzita vittoria nel 2006 di Romano Prodi, a capo di un Governo instabile,
17

Partito che poi muter il suo nome in DS, vivr due stagioni al governo nellUlivo prima e nellUnione poi, sino a confluire poi nellattuale Partito Democratico.

45 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

caduto due anni e mezzo dopo; dalla successiva tornata elettorale uscir vincitore di nuovo il centro-destra e vedr sconfitto un centrosinistra sempre pi in difficolt, sempre meno egemone nelle zone rosse, sempre meno radicato, organizzato, incapace di incapsulare il voto (ivi). Di tutte queste vicende, al fine di sviluppare questo lavoro, due sono i dati da estrapolare e da utilizzare come strumento per osservare il contesto politico. In primis, le ragioni del ricompattamento; in secondo luogo, le cause dello scongelamento e quali possano essere gli scenari che sia aprono nel postscongelamento. Nel primo caso, il risultato ottenuto nelle zone rosse nel 1994 e nel 1996 in parte spiegabile con la forza dellinsediamento elettorale precedente (Ramella, 2005, p. 77): segno che la tradizione progressista continua ad avere il suo peso. Tuttavia, si tratterebbe di una spiegazione insufficiente se non si considerasse con particolare attenzione il forte indebolimento della connotazione ideologica del voto: il proprio voto non veniva espresso allora con la stessa forza, con la stessa convinzione, con le stesse motivazioni del passato. Lelettorato che fa riferimento al centrosinistra cerca di fare fronte comune contro unopzione politico-sociale (quella proposta da Berlusconi) radicalmente differente, antagonista delle prassi politico-amministrative di Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche (ibidem, p. 79). La presenza di un avversario percepito cos distante (anche per il suo modo di concepire la politica in chiave opportunistica e strumentale) urta le sensibilit fortemente radicate, costringe a recuperare unidentit ed unidea comune. Tornando a focalizzare sullo scongelamento, invece, il primo dato che emerge con chiarezza il seguente: la subcultura rossa non aderisce, non combacia pi con il modello di sviluppo locale caratterizzato da sistemi produttivi fortemente industrializzati, ricchi di piccole e medie imprese (ibidem, p. 105). Si nota inoltre una maggiore trasversalit nelle simpatie politiche, e la flessione in termini di voti che ne deriva palese: basti pensare che alle elezioni politiche del 1994, nelle zone rosse, i partiti postcomunisti hanno raccolto ben l84% dei consensi; nel 2001, poco meno del 65% (ibidem, p. 107). Lo scongelamento meglio osservabile sul lungo periodo, cos da far emergere alcune cause degne di nota: i comportamenti di voto cambiano perch cambiano le precondizioni sociali, si riducono i gruppi sociali che avevano costituito la base del PCI mentre ne crescono altri meno disposti ad esprimere un voto solo per confermare unappartenenza. Tuttavia, al pari di tali precondizioni di stampo sociale, ne emergono altre tutte politiche: i partiti di massa declinano, non sono pi in grado di aggregare istanze organizzare risposte, si orientano sempre meno agli iscritti (che, inevitabilmente, calano) e sempre pi allintero elettorato. Essi colgono sempre pi la necessit di tenere insieme tante cose, cercano di trasformarsi (come direbbe Kirchheimer) in partiti pigliatutto (ibidem, pp. 110-111). In definitiva, il mercato politico si fa pi aperto, ma ci non deve dare lillusione n di un crollo verticale n di una granitica stabilit della subcultura rossa. Semplicemente, come detto in precedenza, vanno colti tanto i motivi della stabilit (quelli che continuano a far vivere la subcultura) quanto quelli del mutamento (capaci di cambiarne alcune particolarit). Fra i fattori di stabilit, Ramella non pu non citare il sistema economico saldamente basato sulla piccola e media impresa (ibidem, p. 126): nel 2001, pur in
46 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

una iniziale fase di ridimensionamento, lindustria raccoglieva un terzo della popolazione occupata e, anche grazie ai suoi fatturati, ben 7 delle 25 province delle regioni rosse figuravano nelle prime dieci posizioni della graduatoria provinciale del reddito pro capite. Altro ambito interessante quello dellorganizzazione degli interessi, un sistema che rimane forte nel comparto industriale e pi debole nel terziario privato: lorganizzazione collettiva degli interessi constatabile anche dallalto tasso di adesione, nelle zone rosse, ai sindacati confederati e a tutte quelle organizzazioni (ad esempio, quella degli artigiani) che strutturano la rappresentanza (Ramella, 2005, p. 132). In questo modo i ceti popolari rimangono fortemente coinvolti, inclusi nella sfera politica (coinvolgimento che invece risulta difficile con quegli strati di popolazione pi elevati, impiegati nei servizi, con titoli di studio e qualifiche pi alti). Altro terreno su cui si fondano i motivi di stabilit quello della mobilitazione collettiva: il mondo del lavoro nelle zone rosse fortemente strutturato e carico di istanze; tuttavia, il grado di conflittualit sempre stato basso: si sempre potuto fare affidamento su un clima politico-ideologico pro-labour (ibidem, p. 134), sulla legittimazione delle rivendicazioni sindacali e sulla ridotta conflittualit sul piano distributivo. Ultimo ma non meno importante elemento degno di nota il welfare: nellItalia centrale le istituzioni pubbliche hanno avuto il grande merito di allargare e rendere pi fruibili i servizi sociali, culturali, legati allistruzione. La spesa pubblica per lo sviluppo, dunque, sempre stata alta. In conclusione, le regioni rosse hanno sempre disposto di risorse istituzionali, ricchezza che ha offerto una buona base di partenza per governare la complessit delle trasformazioni in corso, nel tentativo di sviluppare di pari passo la crescita economica e lintegrazione sociale. Si faceva poco fa riferimento alla terziarizzazione, alla difficolt per il sistema politico di rappresentare i bisogni di quellampio strato sociale impiegato nei servizi: proprio levoluzione della struttura portante della societ che ha iniziato ad erodere le basi sociali della subcultura rossa. Tutto ci ha contribuito ad accelerare nella subcultura stessa delle trasformazioni profonde e a mettere in risalto una serie di fattori di mutamento che fanno da sfondo allo scongelamento (ibidem, p. 163). Le regioni rosse sono pertanto coinvolte, al pari di altre realt, in una grande trasformazione che vede mutare il profilo della stratificazione sociale: ad esempio, ad inizio degli anni 2000 il numero di operai in declino, mentre crescono i colletti bianchi che arrivano a rappresentare un terzo della popolazione occupata (ibidem, pp. 165-166). Non pertanto difficile intuire il drastico ridimensionamento subito dai gruppi sociali che per anni hanno costituito la base su cui poggiava il consenso del PCI (agricoltori, specie i mezzadri, la classe operaia protagonista dello sviluppo industriale). Si allargano, al contrario, quei settori che dimostrano pi autonomia nei comportamenti di voto, e minori legami con valori, organizzazioni, tradizioni legate alla sinistra (ibidem, p. 166). Questo porta a citare, di nuovo, le trasformazioni avvenute allinterno del mondo del lavoro, che si flessibilizza, che si femminilizza, che vede lespansione di figure professionali atipiche e spesso precarie. Un mercato del lavoro in cui si riducono gli occupati dipendenti con un lavoro stabile, in cui si affermano nuovi soggetti
47 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

sociali: aumenta il peso dei liberi professionisti e dalla borghesia imprenditoriale (Ramella, 2005, p. 172). Da queste trasformazioni, i vincoli politici tra societ e PCI (e suoi eredi) risultano allentati; si coglie una maggiore disponibilit verso soggetti politici nuovi, in grado di fornire unidea di rappresentanza politica nuova. Le granitiche ideologie di massa vengono pertanto, a poco a poco, erose: esse non sono pi in grado di gestire laumento della complessit sociale. Tutto ci, come detto, non implica che la sinistra sia destinata al declino o peggio a scomparire. Implica semmai una minore stabilit elettorale, dovuta a sua volta dal fatto che il consenso verso i partiti di sinistra non pi incondizionato (ibidem, p. 175). Interessanti divengono dunque, in un panorama cos cangiante, le nuove fratture sociali attorno alle quali si muove oggi la competizione politica: si tratta dei cleavage che ridefiniscono le variabili del mercato elettorale. Di particolare rilievo quello di tipo generazionale: si creata una frattura di tipo anagrafico tra tradizioni politiche ed espressioni elettorali; i nati dopo gli anni 60, o per meglio dire gli individui divenuti adulti negli anni 80 o 90, sentono con molto meno forza la tradizione subculturale, non sono legati a doppio filo ad essa (come potevano esserlo i padri o i nonni), non vivono nello stesso mondo, con le stesse risorse economico-culturali. Una parte sempre minore di elettorato considerato giovane, secondo Ramella, disposta a votare per i partiti post-comunisti; di rimando, lelettorato degli stessi invecchia molto rapidamente, dato che non permette di proporre un offerta politica trasversalmente appetibile (ibidem, pp. 195 e segg.). Da questa analisi deriva dunque uno scenario incerto (confermato da quel punto interrogativo nel titolo dellopera di Ramella) in cui la specificit subculturale perde forza e vigore. Sar interessante ora capire che cosa c oltre lo scongelamento, cos accaduto negli anni intercorsi tra lanalisi di Cuore rosso? e la recente attualit, se questa liquefazione ancora in atto oppure ha trovato un argine. Per farlo, questo lavoro cala le tesi di Cuore rosso? nel contesto della citt di Fano, prendendolo come punto di osservazione per cogliere mutamenti e stabilit tanto del sistema produttivo quanto della subcultura politica.

48 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

3. SUBCULTURA E SISTEMI PRODUTTIVI: IL CASO DI FANO


Lattenzione si sposta ora sulla citt di Fano, di cui verr fornita una descrizione che segue sia la direttrice economica che quella politica. Due ambiti di ricerca che presentano, come nella trattazione di Ramella, elementi ora in continuit rispetto alle tradizioni consolidate, ora in opposizione ad esse. Lobiettivo di questa tesi sar quello di riprendere le ipotesi formulate dallo stesso Ramella, calarle sul contesto fanese e verificarne lattendibilit nellimmediata attualit. Negli anni, cio, che vanno dalluscita di Cuore Rosso? (2005) ad oggi.

Di Fano, citt di origine romana, non sar ovviamente possibile allinterno di questo lavoro ripercorrere la storia plurimillenaria. Baster ricordare che si tratta di uno dei tanti piccoli centri che ricoprono la cartina dellItalia centrale, un primo elemento che pertanto la pone in continuit con le caratteristiche delle citt della terza Italia, gi descritte nei capitoli precedenti: incastonato tra le mura romane ed il mare Adriatico, per lungo tempo il centro storico non ha avuto possibilit di espansione. Tuttavia sempre stato un importante crocevia per il commercio marittimo e soprattutto via terra: qui, infatti, che lantica via Flaminia, partendo da Roma, incontra lo stesso Adriatico e poi vira verso nord, verso Rimini. Il centro di pi antica origine posto nella parte terminale di una pianura (derivante dallo scorrere del fiume Metauro) che ha reso possibile, un tempo, lo sviluppo di una fiorente economia basata sullagricoltura (prevalentemente mezzadrile); in quella stessa pianura, dal secondo dopoguerra, la citt cresciuta e si sviluppata. I dati demografici parlano di una citt che, al primo censimento (datato 1861), contava poco pi di 19.000 abitanti. Un tasso di crescita grosso modo conforme alla media nazionale, lha portata ad averne 57.000 nellanno 2001 (fonte Istat). In attesa dei risultati dellultimo censimento, elaborazioni recenti hanno contato nel comune circa 64.000 persone. Interesse di questo capitolo sar ora capire come si suddivide questa popolazione, sia per occupazione sia in merito ad un dato socialmente caratterizzante come il voto. Di rimando, verranno descritti i sistemi produttivi che caratterizzano, in generale, la provincia di Pesaro e Urbino e, pi in particolare, la citt stessa. Le trasformazioni, gi ampiamente descritte in precedenza, che hanno caratterizzato levoluzione del contesto economico hanno inevitabilmente condizionato anche quello politico: il tema dello scongelamento visto in Ramella e la fine delle fine delle egemonie elettorali consolidate sono caratteristiche ben visibili nellambito politico fanese, con alcune particolarit. Questi argomenti, pi marcatamente politici, verranno affrontati in chiusura dellelaborato e costituiranno il centro nevralgico della trattazione.

3.1. Il quadro di riferimento economico Per brevit e soprattutto per focalizzare da subito linteresse sulla storia recente, i confini temporali in cui si esplicher la descrizione del livello economico vanno dal
49 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

secondo dopoguerra ad oggi. Anni di profonde trasformazioni per leconomia, i sistemi produttivi, il mercato del lavoro e dunque per la composizione della societ. La citt di Fano e pi in generale la provincia di Pesaro e Urbino non ne sono stati esenti: dopo la seconda guerra mondiale, la provincia era in ginocchio e, nella speranza di rilanciarsi, tentava di affrancarsi dal lavoro agricolo. Mettersi in cammino verso il progresso, per, era impresa assai complicata. Lindustria marchigiana e del pesarese non erano sviluppate, ed anzi soffrivano il confronto col gi florido triangolo industriale: prima della guerra (nello specifico nel 1939), infatti, solo il 16,6% della popolazione attiva in provincia era impiegata nel settore industriale; carente di manodopera, esso risultava pertanto fortemente sottosviluppato (Zamagni, 1993). Non solo: le infrastrutture, elemento di primaria importanza per far veicolare materie prime e conoscenze, erano spesso insufficienti18, se non assenti, o comunque da ricostruire dopo il passaggio del fronte19. Il passaggio verso lindustria (fra le varie cause) stato possibile grazie ad exmezzadri, ai piccoli proprietari terrieri che decidono di abbandonare le campagne e le zone pi scomode per giungere nei centri pi grandi: compiendo questa discesa a valle, essi cercavano di darsi da fare, di sbancare il lunario (Zamagni, 1993), sfruttando le conoscenze extra-agricole maturate nel tempo ed investendo, laddove possibile, i capitali accumulati nel tempo (Anselmi, 1995, p. 11). Importanti furono anche le tradizioni artigianali, le cosiddette botteghe che, ampliandosi, portano i loro saperi in un contesto industriale, seppur di ridotte dimensioni. Si legge in una relazione della Camera di commercio sullandamento economico della provincia, datata 1949, che le ditte presenti sul territorio erano cos ripartite: 755 imprese operavano nel campo delle costruzioni, 744 nel settore meccanico, 724 nella lavorazione di legno e affini, 709 nellagricoltura, 510 nel vestiario, 236 nel settore agroalimentare, 74 nella siderurgia e metallurgia, 85 nel campo chimico, 56 nel tessile. Con questo assetto, la provincia si presenta al turning point degli anni 50, prossimi al deflagrare del boom economico. Inevitabilmente, allepoca, il mercato e la ripresa economica riponevano le loro speranze nella grande industria fordista, che aveva attecchito nel nord-ovest. Lindustria marchigiana e quella del pesarese scelsero tuttavia il modello della piccola impresa: come gi detto, essa era spesso confinante con lartigianato tecnologicamente avanzato, tanto che spesso apparso pi opportuno parlare di microimpresa (Anselmi, 1995, p. 27). La possibilit di credere, investire ed impegnarsi nelle piccole imprese sospinta da pi fattori: in un modo che gi viveva i prodromi della globalizzazione, gli influssi provenienti dallAmerica hanno sicuramente giocato un ruolo importante; essi erano improntati allesaltazione delle capacit individuali, alla cultura della ricerca del benessere e della felicit, allemulazione di un certo stile di vita. Non solo: gli echi provenienti dagli Stati Uniti hanno portato nel centro Italia, e dunque anche nella provincia in questione, linee guida per quel che riguarda le strategie aziendali,
18

Risale allimmediato dopoguerra il dibattito circa lopportunit di costruire la Strada dei due mari, la Fano-Grosseto (Del Bene, 2003), tuttora incompiuta. 19 Ingenti a Fano furono i danni causati dalla ritirata delle truppe tedesche, che minarono e fecero crollare i campanili del centro, il ponte sul Metauro (isolando cos la citt), il porto: tutte strutture strategiche che dovettero essere ricostruite ex-novo.

50 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

di fabbrica, di massimizzazione dei profitti (Crepax, 2002, Del Bene, 2003). In estrema sintesi: lindustrializzazione, e nello specifico la sua declinazione su base ridotta, minimale, appariva come un percorso rapido verso il benessere economico, come la via pi breve e redditizia per rompere con la tradizione rurale e contadina (Del Bene, 2003). Il contesto fanese, privo di una sua particolare, eclatante specificit, inizia a ritrovarsi schiacciato tra realt emergenti come ad esempio: il distretto del mobile pesarese, la cui importanza per il territorio crebbe in pochi anni, assieme alla grandezza degli stabilimenti, al relativo indotto ed ai buoni fatturati; le imprese dellentroterra, impegnate nel campo estrattivo, minerario e siderurgico ma anche, come nei casi di Fossombrone, Fermignano o Urbania, nella lavorazione della seta, nella maglieria, nella confezioni tessuti, jeans da lavoro e abbigliamento informale20 (Anselmi, 1995, p. 87); la poco definita microimpresa artigianale propria del sud delle Marche, specializzata anchessa in ambito tessile e, nello specifico, nel calzaturiero (ibidem, p. 27). La bibliografia inerente alle aziende fanesi di met 900, inoltre, tuttaltro che ricca: difficile pertanto ricostruire un quadro dellepoca. Tuttavia, nel lavoro di Del Bene (2003) presente uno stralcio de la Gazzetta Commerciale (pubblicazione informativa sul mondo del lavoro in ambito provinciale) del 1966, in cui sono riportati i dati delle principali ditte esportatrici del comune di Fano: venivano citate la ditta Pedini (lavorazione del legno, poi passata alla produzione di cucine), la Jacucci (macchine calibratrici, carrelli, spazzolatrici), la marmifera Tecchi, la Pucci (produttrice di macchine da falegnameria), la I.Co.Mas (maglieria), la De Blasi (azienda partita lavorando il legno, ampliata con la produzione di biliardi e successivamente riconvertita allarredamento per bar), la C.E.A. (tuttora operante nelledilizia e nelle costruzioni elettromeccaniche). Questa fotografia scattata nel 1966, pur nella sua limitatezza, ci tramanda lidea di un contesto dotato di molteplici sfaccettature e specificit, pur incardinato sul modello della piccola impresa. La necessit di sviluppare il settore micro-industriale cambi profondamente la morfologia del territorio: le campagne attorno alla citt da verdi diventarono via via sempre pi grigie, con i piccoli proprietari terrieri che vendevano i propri appezzamenti anche in funzione di piani regolatori che premiavano lo sviluppo del settore secondario. Fu cos possibile innalzare (distese di) capannoni per aziende in espansione o come gi visto parlando di flessibilit imprese pi grandi che iniziavano a delocalizzare parti di processi produttivi, spostandoli a Fano e comuni limitrofi come Mondolfo21 o Fossombrone. Relazioni di qualche anno pi tardi (Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura Pesaro, 1972, p. 42) colgono i primi segni della crisi degli anni 70 (gi visti al capitolo 1, paragrafo 4), ma sottolineano a tempo stesso la fiducia nella
20

Marchi operanti in questo settore, ampiamente presenti sul mercato tuttora, hanno la propria base ancora in quelle stesse cittadine dellentroterra metaurense: segno evidente che, nonostante il passare degli anni ed il mutare dei gusti, la piccola e piccolissima impresa ha saputo adattare i propri saperi e le proprie tradizioni in funzione di una domanda fortemente differenziata, globalizzata. 21 Emblematici sono i casi dei comuni di Mondolfo o Mondavio, categorizzati negli anni 60 come comuni depressi, cio in recessione. Per combatterla, lamministrazione diede il via alla pratica di cedere gratuitamente terreni per istallarvi nuove aziende, nuove industrie. Unimpresa come lAluflon (produttrice di pentole ed altri utensili da cucina) deve gran parte della sua fortunata storia a questa pratica.

51 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

piccola e nella media impresa, struttura capace di supportare con maggiore elasticit gli effetti e le conseguenze di una recessione economica, problematica si afferma in quelle stesse relazioni che era gi stata superata brillantemente a cavallo tra 1963 e 1964. A tale proposito, venivano posti sugli scudi settori quali mobile, abbigliamento e meccanica, realt in costante crescita, capaci di fare da traino per lintera provincia (ibidem, pp. 40-41). Il saldo, alla vigilia del periodo congiunturale degli anni 70, rimaneva fortemente attivo: la provincia fatturava, nel 1971, 14 milioni di dollari in esportazioni e ne spendeva 5 milioni e mezzo per acquistare materie prime (ibidem, p. 125). Da un periodo di crisi generalizzata, il modello dei distretti e della piccola impresa, cui la provincia di Pesaro e Urbino si era affidato, esce fortemente ridimensionato, specialmente per quanto riguarda il dato della forza lavoro ivi occupata: pur dimostrando una tenuta, la progressiva terziarizzazione del mercato del lavoro lo rende sempre meno struttura portante delle economia locale e sempre pi attore economico di un quadro multiforme. Senza ripetere la frammentazione del mercato del lavoro prodottasi fra anni 70 e 80, possono esser ricordate delle analisi condotte su base provinciale inerenti alle trasformazioni delleconomia italiana ed ai relativi riflessi sul territorio: alla fine degli anni 80, tutti i valori (produzione, capacit produttiva e innovazione) dei settori classici (legno e mobile, abbigliamento) erano in calo: cresceva solo il settore dei servizi (Robotti, Calcagnini, 1988). Il quadro sin qui descritto stato prevalentemente declinato al passato. Pu essere ora utile scattare una fotografia del contesto attuale, profondamente mutato negli ultimi anni. Innanzi tutto interessante osservare la segmentazione delle imprese, ripartite fra i vari settori. La tabella seguente, relativa allanno 2010, fa emergere subito qualche dato interessante: Tabella 3.1 Segmentazione percentuale delle imprese fanesi per settore e confronto col dato nazionale, 2010

52 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Fonte: dati delle Camere di Commercio; Elaborazione: urbistat.it Commercio e servizi, e pi in generale tutto il settore terziario, rappresentano la fetta principale delle imprese fanesi (ben oltre la met). In entrambi i casi il differenziale col dato italiano si attesta tra il 30 ed il 34%: terziario, servizi, attivit commerciali e di produzione di opere immateriali sono sovrarappresentate rispetto alla media, gi alta, rilevata nel resto del paese Le attivit manifatturiere, il cui dato risulta ben al di sopra della media nazionale, si attestano al 21% del totale. Proprio in riferimento al manifatturiero, vale la pena fare qualche confronto rispetto al contesto provinciale o, pi nello specifico, dei comuni pi prossimi a quello fanese. Tabella 3.2 Segmentazione percentuale delle imprese della provincia di Pesaro e Urbino per settore e confronto col dato nazionale, 2010

Fonte: dati delle Camere di Commercio; Elaborazione: urbistat.it Mettendo a confronto la tabella 3.1 e la tabella 3.2, emerge a colpo docchio una certa continuit fra la realt fanese e quella pi ampia della provincia: la segmentazione imprenditoriale ha una graduatoria simile (commercio al primo posto, seguito da attivit manifatturiere e poi servizi). Tuttavia, allinterno della stessa cambiano, e non di poco, i valori delle singole voci. Si nota cos che il terziario (commercio pi servizi) pi rappresentato a Fano che non nellintera provincia. Conseguentemente, il settore manifatturiero (strutturato in piccole e piccolissime imprese, e solo raramente basato su quelle medie) maggiormente rappresentato nellintera provincia (25,3%) che non allinterno del contesto fanese (21%). Sotto questo profilo, la stessa provincia esprime un dato fortemente sorprendente: il manifatturiero presente in maniera praticamente doppia (90,39% in pi) rispetto alla media nazionale.

53 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Altro discorso pu esser fatto in merito al confronto coi comuni della cintura fanese, attigui alla citt di Fano, i quali contribuiscono a creare un paesaggio costellato di piccole aziende, stabilimenti, capannoni praticamente continuo, unificato: i dati presi nella tabella 1 riguardavano statistiche incentrate su una base strettamente comunale; il quadro tuttavia potrebbe essere ampliato considerando Fano come comune capofila non solo della vallata del Metauro, ma di una zona industriale pi ampia. Per questo, diventa interessante il confronto con la tabella 3.3: Tabella 3.3 Percentuale di imprese manifatturiere nei comuni di Mombaroccio, Cartoceto, Saltara, Montemaggiore al Metauro, Piagge, San Giorgio di Pesaro, e Serrungarina (comuni pi prossimi a Fano) e confronto col dato nazionale, 2010
Comune Piagge Saltara Cartoceto Serrungarina Mombaroccio Montemaggiore al Metauro (*) % 45,8 37,8 34,8 34,2 32,1 27 (**) % 207,07 185,11 161,04 142,62 138,46 101,6

+ + + + + +

* percentuale di imprese manifatturiere sul totale delle imprese presenti nel comune ** differenza con la media nazionale Fonte: dati delle Camere di Commercio Mentre la percentuale di imprese manifatturiere rispetto al totale, nel comune di Fano, si attesta sul 21%, facile notare come comuni pi piccoli della cintura circostante abbiano una ben pi alta concentrazione di piccole, talvolta piccolissime imprese: questo contribuisce a creare una zona industriale apparentemente compatta22, ma tuttavia eterogenea per quel che riguarda le produzioni. pertanto facile che lentroterra fanese sia vissuto come un piccolo hinterland, e spesso cittadini residenti a Fano si spostano di qualche chilometro verso linterno per raggiungere il posto di lavoro. La tabella 3.3 sottolinea anche lo straordinario radicamento del comparto manifatturiero nel territorio, fornendo dati che sono ben al di sopra della media nazionale: limpresa presente in maniera pi che doppia rispetto al resto del paese; nel caso del comune di Piagge, addirittura pi che quadrupla. Tornando a stringere sul contesto fanese, appaiono sottorappresentate in confronto al dato nazionale il comparto delledilizia (che pi di altri ha subito una contrazione, dovuta al recente periodo di crisi), quello alberghiero e della ristorazione (pur trattandosi di una meta turistica, affacciata sul mare) e quello legato ad agricoltura e pesca (dato anchesso anomalo, viste le antiche tradizioni

22

Basta percorrere la via Flaminia, o meglio ancora la superstrada, da Fano verso linterno: ci si render conto di quanto il paesaggio fatto di stabilimenti e capannoni si sviluppi in maniera continuativa, senza interruzioni.

54 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

marinare, tuttavia anchesso giustificabile visto il momento di crisi generale vissuto dal settore)23. Il contesto dunque in linea con le trasformazioni gi osservate nei capitoli precedenti: la crescente preponderanza del settore dei servizi non cancella dalla mappa delleconomia la piccola impresa, che tuttavia si riduce o cambia forma. Nel contesto fanese, interessante il caso della cantieristica, settore che ha vissuto molteplici evoluzioni ed ora sta inevitabilmente scomparendo: le aziende fanesi produttrici di yatch ed imbarcazioni di lusso erano state fondate da abilissimi maestri dascia o, in alcuni casi, da artigiani abituati a lavorare il legno per produrre mobili (i quali avevano riconvertito la loro produzione in un settore emergente e pi redditizio). Ad ogni modo, si trattava comunque di soggetti fortemente legati al territorio, allazienda ed in particolare agli operai. Processi di globalizzazione e crisi economica, tuttavia, hanno fatto s che queste aziende venissero acquistate da gruppi pi grandi, che hanno successivamente ridimensionato e delocalizzato, ma contemporaneamente, in altre casi, queste piccole imprese si sono rimpicciolite fino a scomparire. I dati relativi alloccupazione (presi dallIstat) ricalcano quelli della segmentazione imprenditoriale. Le statiche economiche riguardanti i cittadini fanesi riportano dati (anchessi aggiornati al 2010) positivi per quel che riguarda redditi e consumi, leggermente al di sopra della media nazionale. La popolazione sta per subendo un progressivo, celere processo di invecchiamento: la forza non lavorativa, il 55%, in larga parte composta da individui al di sopra dei 64 anni 24. Della restante forza lavoro, il 45%, solo il 2,3% sono disoccupati (dato anchesso inferiore alla media nazionale) mentre il restante 42,7% cos ripartito: 0,9% agricoltura, 13,7% industria, 28% servizi. Il mercato del lavoro nella provincia di Pesaro e Urbino, gi osservato in precedenza (Robotti, Calcagnini, 1988), ha seguito il trend nazionale, rispecchiandone le caratteristiche e mutamenti: maggior presenza femminile del mondo delle donne, le quali vanno ad incrementare il gi crescente settore dei servizi; lavoro pi frammentato, sia in termini di ore lavorative (si torna a far rifermento al part time) sia in termini di continuativit della prestazione lavorativa (sempre pi largo uso di contratti a tempo determinato, relativo allargamento della zona di precariet). La crescente scolarizzazione (superiore alla media nazionale il livello distruzione espresso sia dalla regione Marche che dalla provincia) ha poi creato forza lavoro adatta al terziario. Questo in estrema sintesi il puzzle che compone la realt fanese: limmagine che ne emerge torner utile pi tardi, nel paragrafo in cui verranno descritti i fattori di stabilit della subcultura e quelli che ne hanno influenzato il repentino mutamento.

3.2. Il quadro politico di riferimento


23

Molte imprese legate al mondo della pesca sono state costrette a chiudere, schiacciate dal peso della crisi ma anche dalle non ottimali condizioni in cui versa il porto della citt. 24 Cfr. le statistiche riportate su http://statistica.regione.marche.it/LinkClick.aspx?fileticket=Nj3sJUFOILM%3d&tabid=58&mid=649&f orcedownload=true

55 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Come per il livello economico, anche dal punto di vista politico Fano presenta caratteristiche complesse ed eterogenee. Se tuttavia reperire dati sulla storia economica della citt risultato non semplice, per quel che riguarda il voto il compito stato pi agevole: si far riferimento in questo paragrafo ai risultati elettorali su base comunale dal secondo dopoguerra ad oggi. Il lavoro stato poi portato avanti con lappoggio non solo di cifre e percentuali, ma anche sul racconto in prima persona dellex sindaco di Fano Carnaroli, intervistato proprio per riuscire a cogliere meglio le sfaccettature della subcultura politica presente sul territorio e sui risvolti degli ultimi trentanni di politica a Fano. Dalle sue parole e dai dati elettorali emerge subito una caratteristica: Fano non ha mai avuto una subcultura di sinistra classica, dotata dei tratti tipici tratteggiati da Trigilia e Ramella. Per meglio dire: pur essendo la citt di Fano incardinata nel cuore rosso dItalia, qui il PCI non ha mai dimostrato un egemonia forte, come nei comuni della vicina Romagna n come per le vicine Pesaro o Urbino; al contrario, pur essendo per tanto tempo il primo partito, si spesso ritrovato a dividere il mercato politico (specie a livello di amministrazione comunale) con la DC e con i partiti dispirazione socialista (PSI e PSDI). Per dirla con Diamanti, in unipotetica mappa colorata a seconda delle zone di forza dei vari partiti, i confini fanesi apparirebbero forse dipinti di rosa anzich di rosso. Pu essere utile al fine di sostenere questa idea osservare i dati elettorali meno recenti, raccolti nelle tabelle seguenti tenendo a mente i confini proposti da Ramella: radicamento, crescita e declino25. Tabella 3.1 Percentuale di voti validi assegnati a PCI, DC e PSI su base comunale, Camera dei Deputati, 1946-1992
radicamento part/anno

1946

1948

1953

1958

PCI DC PSI
part/anno

37,8 29

41,5 45,44 8,06


crescita

28,64 40,43 14,75


1972

28,64 39,6 17,12


1976

1963

1968

PCI DC PSI
part/anno

36,03 31,19 14,38


1979

36,94 31,61 17,01


declino

36,69 32,92 9,56


1987

43,1 34,07 10,74


1992

1983

PCI DC PSI

40,82 32,13 9,75

39 27,81 12,2

36,38 29,07 13,61

25,8 25,69 14,33

25

Tre momenti che si snodano tra 1945 e 1992, in cui i competitors politici pi importanti sono sempre gli stessi (PCI, DC e PSI). La fase del ricompattamento e quella dello scongelamento verranno descritte pi avanti: lemersione di formazioni politiche nuove non permetterebbe di confrontare in maniera chiara i dati.

56 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Fonte: Ministero dellInterno Tabella 3.2 Andamento dei voti a PCI, DC e PSI su base comunale, Camera dei Deputati, 1946-1992
50 45 40 35 30 PCI 25 20 15 10 DC PSI

5
0 1946 1948 1953 1958 1963 1968 1972 1976 1979 1983 1987 1992

Fonte: Ministero dellInterno Come facile notare, lungo tutta la fase del radicamento, il PCI non stato a Fano il partito pi forte, n si pu dire che abbia svolto un ruolo egemone allinterno della subcultura politica, la quale, come gi accennato, sempre apparsa multiforme e cangiante. Basta fare qualche raffronto con le realt limitrofe per cogliere lanomalia del contesto fanese: alle elezioni politiche del 1958 il PCI a Fano si ferma al 28,63%, superato di oltre 11 punti dalla DC. Sempre in riferimento a quelle elezioni, se si sposta lattenzione su altri comuni il dato completamente diverso: a Pesaro il PCI arriv al 35,32% dei consensi, ad Urbino addirittura al 45,3%. Riprendendo la tabella 2.126, e confrontandola con la 3.1 si nota tuttavia come il PCI a Fano, abbia poi intrapreso un percorso con oscillazioni tutto sommato similari a quelle nazionali: la percentuale di voti espressi in favore della falce e martello sono superiori sia alla media italiana che a quella della regione Marche 27. La fase della crescita, protrattasi tra 1958 e 1976, riscontrabile anche entro i confini fanesi; pur rappresentando la prima forza elettorale, per il PCI il confronto
26 27

Cfr. capitolo 2, paragrafo 4. Una regione che, pur inserita nel cuore rosso del paese, ha sempre espresso un grado di affezione tendenzialmente tiepido nei confronti del PCI. Se si osservano le mappe di Diamanti (cfr. capitolo 2, paragrafo 3), si pu vedere come solo la Provincia di Pesaro e Urbino ed in parte quella di Ancona abbiano una subcultura pi solidamente di sinistra. Il maceratese, il fermano e lascolano hanno orientamenti tendenzialmente pi di centro-destra ed hanno espresso maggior fiducia alla DC prima e allasse Forza Italia-An poi.

57 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

con la DC rimane serrato e aperto. Si prendano ad esempio le elezioni politiche del 1972: appena 4 punti percentuali dividevano, a Fano, il PCI dalla DC. A Pesaro questo distacco era quasi triplicato, visto che 11 punti dividevano i rossi dai bianchi; a Urbino si sale addirittura a 15. Un divario simile lo si poteva riscontrare nella vicina provincia di Forl (che allora inglobava anche quella attuale di Rimini), un provincia ancor pi marcatamente inserita nel cuore rosso dellItalia centrale. Com spiegabile questa difficolt propria del PCI fanese nellimporsi sul panorama politico? O meglio: perch nel dopoguerra il PCI non si impone a Fano con la stessa forza mostrata in altre realt? Occorre nuovamente fare riferimento alla composizione della popolazione fanese, alla sua segmentazione allinterno del mondo del lavoro, ma esistono al contempo anche spiegazioni politiche: la base sociale che fungeva da bacino elettorale per il PCI, a Fano, non mai stata ampia come in altri contesti. Come detto nel paragrafo precedente, anche se il sistema produttivo era prevalentemente basato sulla piccola e media impresa, queste non erano le uniche protagoniste del panorama economico: artigiani e commercianti hanno costituito, tra il dopoguerra e gli anni 70, una fetta importante di popolazione, con tradizioni pi ancorate alla dottrina cristiana che non a quelle progressiste. La chiesa, le parrocchie, e pi in generale il mondo ecclesiale era ben radicato28, con caratteristiche gi osservate nel nord-est (Diamanti, 2003, p. 31 e segg.), cos come di grande importanza fu lassociazionismo cattolico (Moroni, 2005). Anche se i tratti comuni sul piano socio-economico con la vicina Romagna sono molteplici (specie per quel che riguarda il passaggio dallagricoltura mezzadrile alla prima, embrionale fase di industrializzazione), vi furono poi esiti diversi dal punto di vista politico: la DC era forte e, pur non potendo contare su percentuali eccezionali, anche il PSI contribuiva a dare un indirizzo al contesto politico. Il PCI, racconta lex sindaco Carnaroli nellintervista, stato forte, di tipo emiliano-romagnolo nellasse Pesaro-Urbino; una possibile spiegazione di questa affermazione di tipo storico, risalente al secondo conflitto mondiale: gli esponenti pi importanti dellanti-fascismo e della resistenza locale provenivano appunto da quei due centri. Vi sono poi spiegazioni di natura politica: i dirigenti provinciali di PCI e PSI, sin dal dopoguerra, si sono spartiti la provincia frazionandola in due, col suddetto asse Pesaro-Urbino saldamente in mano ai comunisti e col comune di Fano (pi il governo della provincia) che va ai socialisti. Una spartizione che ha contribuito a riprodurre, dar forza, ed in qualche modo cristallizzare nel tempo i comportanti elettorali descritti sopra. Si osservi ora la fase del declino, fra il 1979 ed il 1992: a Fano, dopo lexploit del 1976 (43,1%)29, il PCI perde terreno ma assieme ad esso arretra anche la DC e tutto il quadro finisce per esser rimesso in discussione: la minor ideologizzazione dei nuovi elettori, i legami sempre pi flebili con le tradizioni elettorali precedenti, lo strutturarsi di istanze nuove, proprie di un mondo che vira velocemente verso la terziarizzazione e la globalizzazione, sono concause che spiegano questo indebolimento subculturale, verificato gi da Ramella sul pi ampio contesto delle quattro regioni rosse.
28

Conviene non dimenticare che Fano stata per almeno quattrocento anni, sino allUnit, sotto il dominio dello Stato Pontificio. 29 Di nuovo, i dati di Fano rimangono comunque molto pi bassi rispetto a quelli di Pesaro (48,19%), di Urbino (52,18%) o Riccione (57,72%) in termini di consenso al PCI.

58 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Le tabelle riportate sopra fanno registrare, nelle elezioni del 1992, una caduta pi marcata del PCI: questa coincide col cambio di nome e di orientamento del partito, che smette di chiamarsi comunista e diventa dei Democratici di Sinistra, pi votato alla socialdemocrazia ed al superamento stesso delle dottrine comuniste in senso stretto. Il panorama politico della sinistra si fa variegato, meno legato allegemonia di un partito solo ma strutturato su pi formazioni: ad esempio, non tutti gli ex-PCI confluiscono nel PDS. Nasce cos il Partito della Rifondazione Comunista, che a Fano, allesordio elettorale del 1992, ruber un 6% di voti al PDS. Che crolla sino ad un quasi pareggio con la DC, staccata di appena 44 voti 30. Interessante, per osservare larretramento generale della partecipazione politica, il dato riguardante laffluenza alle urne, un dato rimasto tendenzialmente alto (come accade quasi sempre, trattandosi di elezioni politiche) ma che inizia a segnare una costante crescita dellastensionismo. Tabella 3.3 Percentuale votanti su base comunale, Camera dei Deputati, 19461992
radicamento anno votanti

1946

1948

1953

1958

92,26
1963

94,67
crescita

95,07
1972

93,38
1976

anno votanti

1968

94,56
1979

93,32
declino

95,05
1987

96,18
1992

anno votanti

1983

91,28

87,83

91,35

88,57

Fonte: Ministero dellInterno Tabella 3.4 Andamento della percentuale votanti su base comunale, Camera dei Deputati, 1946-1992

30

Pesaro e Urbino, sempre in riferimento alle elezioni politiche del 1992, fanno nuovamente segnare distacchi pi marcati con la DC. Nel primo caso il PDS si attesta al 30%, staccando di 8 punti i rivali democristiani; nel secondo supera il 35%, con un distacco di circa 9 punti.

59 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

100

95

90 votanti 85

80

75 1946 1948 1953 1958 1963 1968 1972 1976 1979 1983 1987 1992

Fonte: Ministero dellInterno La partecipazione alle urne, a Fano, sempre stata tendenzialmente pi alta rispetto al dato nazionale, sostanzialmente in linea con quello provinciale e dellintera zona rossa: quasi sempre tra il 90% ed il 95%. Tuttavia, dalle tabelle 3.3 e, soprattutto, 3.4 evidenziano un progressivo calo nellaffluenza che coincide col periodo di lento declino del PCI. Dati, allepoca, non allarmanti (decisamente straordinari, se confrontati col dato odierno) ma che tuttavia lasciavano presagire quello scongelamento subculturale che emerger pi avanti. Ci siamo fino ad ora concentrati su dati inerenti alle elezioni politiche ed il tema del governo locale stato appena sfiorato. Anche in questo caso, quella subcultura di sinistra che ci si aspetterebbe fortemente incardinata attorno al PCI non poi cos forte, n colorata di rosso. Il sistema elettorale per le elezioni comunali, mutato allo stato attuale solo nel 1993 (Ramella, 2006), ha raramente premiato sindaci comunisti: successo solo una volta, nella prima met degli anni 60; successivamente il colore predominante delle giunte fanesi stato il rosa, quello di un centrosinistra che ha messo insieme, al fine di costruire la maggioranza di governo, DC e PSI. Ecco riemergere, dunque, limportanza del garofano: un partito dal peso specifico relativamente limitato, ma che nel contesto fanese ha sempre giocato il ruolo di ago della bilancia, indirizzando dalla fine degli anni 60 sino a met anni 80 le sorti delle varie amministrazioni. I voti del PSI (oscillanti attorno al 1015%) sono stati talmente decisivi da permettere a questo partito di esprimere un numero consistente di primi cittadini socialisti (ben 4 solo negli anni 80). Superato lo spartiacque del 1992 (ritenuto allepoca un pericoloso burrone in cui gli orientamenti comunisti e postcomunisti sarebbero dovuti precipitare), veniamo ora al momento del ricompattamento: quel periodo che Francesco Ramella posiziona fra 1994 e 1996, due elezioni in cui la subcultura rossa nel centro Italia si dimostra rafforzata, anche se profondamente trasformata. Tabella 3.5 Percentuale di voti validi assegnati ai partiti maggiori su base comunale, Camera dei Deputati, 1994-1996
60 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

radicamento part/anno

1994

1996

PDS Forza Italia AN PPI/CCD/CDU Rif. Com. Verdi Popolari

31,51 21,13 13,92 14,56 6,78 5,02

30,82 18,14 15,34 6,36 8,53 3,64 6,01

Fonte: Ministero dellInterno Tabella 3.6 Andamento dei voti assegnati ai partiti maggiori su base comunale, Camera dei Deputati, 1994-1996
35 30 25 20 15 10 5 0 1994 1996

PDS
Forza Italia

AN
PPI/CCD/CDU Rif. Com. Verdi Popolari

Fonte: Ministero dellInterno Si nota subito un panorama politico rinnovato, ricco di formazioni nuove, che spostano gli equilibri dellintero arco parlamentare. Le formazioni di sinistra, private del cardine centrale del PCI, si moltiplicano, frazionando cos i consensi. Tuttavia, il PDS, proveniente da un magro 25% del 1992, trova nuovo slancio a Fano superando il 30% dei consensi31: nel primo caso non sar sufficiente ad evitare la prima vittoria elettorale del centro-destra capitanato da Berlusconi; nel 1996 vedr invece la vittoria del centro-sinistra e dellUlivo di Romano Prodi. Ad ogni modo, emergono dati confortanti, di una subcultura che si rafforza. Si tratta tuttavia solo di unillusione: come ha potuto notare Ramella, il ricompattamento c stato solo
31

Il confronto con Pesaro e Urbino, anche nel 1994 e nel 1996 in passivo: nelle due tornate elettorali, a Pesaro, il PDS raggiunge prima il 34,2% e poi il 34,82; a Urbino 41,41% e poi 42,45%.

61 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

perch funzionale a marcare una differenza identitaria con avversari politici, portatori di un pacchetto di valori non condivisi dallelettorato del centro Italia. Il peso della tradizione c sempre, tuttavia questa si sgretola, non ha pi la stessa compattezza, ritrova s stessa solo se posta di fronte a qualcosa di totalmente nuovo e diverso. In un panorama che mostra segni di cambiamento, il dato dellaffluenza alle urne su base comunale continua a calare32: 87,17% nel 1994 e 86,03% nel 1996. A cavallo tra le due elezioni politiche, accade nel 1995 un fatto, pur di limitata entit, capace di rafforzare il ricompattamento della sinistra locale. Si svolgono a Fano le prime elezioni amministrative con la nuova legge elettorale, che prevede lelezione diretta del sindaco: per la prima volta, e con ampio vantaggio, viene eletto direttamente dal popolo un sindaco di provenienza comunista, a capo di una giunta di centro-sinistra. Le neonate formazioni di centro-destra apparivano forti e riconoscibili a livello nazionale, ma ancora poco strutturate e radicate a livello locale. La tradizione rossa, pur mutata, pur sotto nomi ed insegne nuove, era invece capace di creare interesse attorno a s e attorno alla sua offerta politica. Figura 3.1 Dal Corriere Adriatico di marted 25 aprile 1995

Questo il quadro politico di riferimento, nel quale stato possibile ritrovare una subcultura politica frammentata, spezzettata, dove i partiti di area comunista e
32

E con esso quello delle schede bianche e/o nulle.

62 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

postcomunista hanno un ruolo importante ma la cui presenza tuttavia non stata n granitica n egemone come in altri contesti. Sar interessante ora osservare pi da vicino gli ultimi 15 anni di storia politica, alla ricerca di segni visibili e concreti di quello scongelamento tratteggiato da Ramella gi nel 2005 e di eventuali conferme negli anni successivi.

3.3. Tra trasformazioni economiche e scongelamento subculturale: conseguenze nel contesto fanese La tesi dello scongelamento particolarmente interessante, e particolarmente utile dal punto di vista analitico: prendendola in considerazione si evita di pensare alle zone rosse come un unicum, un ambiente vasto ed internamente indifferenziato; a tempo stesso, essa permette di schivare due ordini di stereotipi: il primo, che vede la subcultura politica dellItalia di mezzo talmente logora e sfilacciata da ritenerla superata, crollata sotto il peso dellincapacit di saper rappresentare istanze e bisogni di un mondo segmentato, flessibile, globalizzato; il secondo stereotipo, invece, si illude di considerare questi territori come immutabili, ancorati in maniera ferrea ad una tradizione postcomunista. evidente che si tratta di osservazioni estremamente deboli, che non colgono il nocciolo della questione: la subcultura politica, come affermato gi in precedenza, presenta piuttosto motivi di continuit e fattori di trasformazione. Linteresse pertanto devessere casomai concentrato su un altro obiettivo: capire se prevalgano motivi i fattori di mutamento su quelli di stabilit (o viceversa). Cos facendo, si potr cogliere lentit, la portata di quello scongelamento: se si tratti di un processo gi chiuso o al contrario tuttora in atto. Il percorso compiuto da questa trattazione vuol giungere proprio a questo traguardo: sviluppare la tesi dello scongelamento, calarla su un contesto gi di suo cangiante come quello fanese e valutarne la portata. Lanno capace di storicizzare, di dare un limite temporale allo scongelamento il 1999. Alle amministrative, il centro-sinistra perde la sua roccaforte, Bologna, che per la prima volta nella storia repubblicana avr un sindaco di centro-destra. Pi in generale, il contesto politico di quellanno vedeva un centro-sinistra in difficolt, e il suo elettorato costretto a riporre troppo presto le speranze per un Governo Prodi caduto troppo presto. La legislatura proseguir (con lalternasi di due primi ministri di sinistra, DAlema ed Amato) poi stancamente verso la sua conclusione naturale, intanto per le speranze erano state disattese. La sconfitta di Bologna (anche) frutto di questa sfortunata esperienza di governo. Nel 1999 la tornata elettorale tocca anche Fano, con esiti per certi versi sorprendenti: pur notando una costante avanzata dei partiti di centro-destra, il centro-sinistra tiene, e si conferma primo partito tanto nella consultazione riguardante le elezioni europee che in quella provinciale. Soprattutto, il centrosinistra continua ad imporsi a livello comunale: anche se con un consenso pi modesto rispetto a quello ottenuto nel 1995, Cesare Carnaroli rieletto sindaco per la seconda volta.

63 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Le analisi del voto, ovviamente focalizzate sulla riconferma del centro-sinistra, si aprivano tuttavia a considerazioni dubbiose: i giornali33 parlavano di una crepa che iniziava ad allargarsi, di una breccia aperta in una fortezza apparentemente inespugnabile. Non erano che i prodromi dellavanzata del centro-destra, la cui esplosione elettorale sarebbe deflagrata con forza di l a poco. Tabella 3.7 Percentuale di voti validi assegnati ai partiti maggiori su base comunale, Camera dei Deputati, 2001-2008
scongelamento part/anno

2001

2006

2008

DS/PD Forza Italia AN** La Margherita* Rif. Com. IdV CCD/CDU/UDC

21,43 26,32 13,39 16,36 5,96 3,96 2,63

39,48 20,71 14,78 5,35 2,27 6,49

41,5 35,56

2,45 4,37 4,88

* La Margherita nel 2006 compresa allinterno della coalizione lUlivo, nel 2008 confluita nel Partito Democratico; ** Alleanza Nazionale dal 2008 confluita nel Popolo della Libert. Fonte: Ministero dellInterno Tabella 3.8 Andamento dei voti assegnati ai partiti maggiori su base comunale, Camera dei Deputati, 1994-1996
45 40 35 30 25 20 15 10 5 DS/PD Forza Italia AN** La Margherita* Rif. Com. IdV CCD/CDU/UDC

0
2001 2006 2008

33

Cfr. il Resto del Carlino di mercoled 16 giugno 1999, p. 6.

64 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

* La Margherita nel 2006 compresa allinterno della coalizione lUlivo, nel 2008 confluita nel Partito Democratico; ** Alleanza Nazionale dal 2008 confluita nel Popolo della Libert. Fonte: Ministero dellInterno Tabella 3.9 Percentuale votanti su base comunale, Camera dei Deputati, elezioni regionali, elezioni europee, 2001-2010
scongelamento anno votanti

pol . 2001

eur. 2004

reg. 2005

pol . 2006

pol . 2008

eur. 2009

reg. 2010

84,36

78,82

70,69

86,53

83,22

78,85

63,19

Fonte: Ministero dellInterno Tabella 3.10 Andamento della percentuale votanti su base comunale, Camera dei Deputati, elezioni regionali, elezioni europee, 2001-2010
100 95 90

85
80 75 70 65 60 55 50 pol. 2001 eur. 2004 reg. 2005 pol. 2006 pol. 2008 eur. 2009 reg. 2010 votanti

Fonte: Ministero dellInterno Le tabelle sopra riportate, costruite attorno ai dati elettorali della citt di Fano, sottolineano anche su base comunale lo scongelamento in atto nella subcultura della zona rossa e, pi in generale, la crisi dellintero centro-sinistra. Il primo dato a saltare allocchio, espresso nelle tabelle 3.7 e 3.8, il sorpasso avvenuto a Fano da Forza Italia ai danni dei DS. Un sorpasso dovuto a cause gi note ma che, al volgere del nuovo millennio, si palesano tanto nella societ, quanto nelleconomia, quanto come abbiamo visto nelle urne. Il grande partito di massa che era il PCI non esiste pi, la sua organizzazione molto pi leggera, molto meno strutturato e radicato, smarcato dal lavoro prezioso svolto sul territorio dalle sezioni e sempre pi aggrappato alla comunicazione politica per apparire appetibile e
65 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

trasversale agli occhi dellintero elettorato. Ma proprio in un contesto mutevole e complesso come quello del nuovo millennio globale che queste strategie si rivelano inefficaci. Risultano al contrario vincenti i partiti senza territorio (Diamanti, 2003), che espongono le loro proposte non nelle piazze ma in tv, che non hanno una zona di riferimento ma si propongono come partito-network. Forza Italia, Alleanza Nazionale, in parte la Lega: partiti che si propongono di dare risposte agli individui e sempre meno alla societ nel suo complesso. Ne percepiscono linsicurezza rispondendo con continui richiami alla sicurezza, fornendo in cambio protezione (dagli stranieri, dallEuropa, dalla moneta unica, dallo straniamento connesso alla globalizzazione e via dicendo). questa segmentazione sociale a favorire lavanzata del centro-destra e a fornire motivi che spiegano lo scongelamento: la base sociale dei partiti di centro-sinistra erosa, il mercato del lavoro vede sempre meno impiegati nellindustria, sempre pi terziarizzazione, sempre pi precarizzazione, sempre pi femminilizzazione; un fenomeno, lultimo citato, che se da una parte rende maggiormente libere le donne lavoratrici di auto-realizzarsi, dallaltro lascia aperti interrogativi e spinge le famiglie alla ricerca di nuovi equilibri nellorganizzazione dei tempi, nelle dinamiche interne alla famiglia stessa (Amministrazione comunale di Fano, 1995; Ceccarini, 2004). Sono questi, in estrema sintesi i fattori di mutamento, capaci di accelerare lo scongelamento. Elementi che, vista la sua composizione sociale34, sono tutti ampiamente presenti nel contesto fanese. Le impressioni raccolte nellintervista allex sindaco (che fu primo cittadino di Fano proprio allapertura di questa crisi della sinistra) raccontano anche un altro dato, anchesso di matrice sociale ed insieme economica: le origini contadine, mezzadrili si perdono, scompaiono, probabilmente gi molto prima del giro di boa del nuovo millennio. I nuovi imprenditori, appartenenti ad una nuova generazione, sono profondamente diversi dai padri, sia in rapporto al lavoro, sia in rapporto alle tradizioni politiche: non ne percepiscono limportanza, non ne colgono linflusso, non indirizzano le scelte di vita come facevano nelle generazioni precedenti. Altro dato non di poco conto lesplosione della rendita immobiliare nella citt di Fano, un ulteriore fattore capace di creare una seria frattura generazionale: non di rado i nuovi adulti, proprietari di una seconda o di una terza casa, o magari di uno spazio da affittare per nuovi esercizi commerciali, si sono sentiti dimprovviso ricchi. Dei piccoli imprenditori bisognosi di veder protetto un patrimonio non direttamente derivante dal loro lavoro, ma dai sacrifici dei genitori. In tanti, si son sentiti dei piccoli Berlusconi. Imprenditori che si affidavano ad un imprenditore: questa, in estrema sintesi, una delle chiavi di lettura pi interessanti derivate dal colloquio con Cesare Carnaroli. In contrasto a questa visione piuttosto individualista e materialista propria di ampi settori della societ, lamministrazione di centro-sinistra dellepoca mise in campo delle strategie mirate a scardinare questo meccanismo: punt molto sulla cultura, sulla rivalutazione dellantichissimo patrimonio artistico della citt (riusc finalmente a ristrutturare e riaprire il vecchio Teatro della Fortuna, chiuso dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale), punt sullo sviluppo, strinse accordi con lUniversit di Urbino, ampli il porto. Politiche che lex sindaco descrive
34

Cfr. capitolo 3, paragrafo 1.

66 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

come di altro profilo, e che tuttavia non vennero colte: Fano (come sar possibile vedere in seguito) si stava orientando da tuttaltra parte. Non illuda la ripresa (fotografata nella tabella 3.8) che la coalizione dellUlivo prima ed il Partito Democratico poi dimostrano nelle elezioni politiche del 2006 e del 2008 (formazioni che, comunque, non senza fatica, si classificano al primo posto su base comunale): il solo fatto di aver fatto confluire la subcultura di sinistra in una coalizione socialdemocratica, e successivamente in un partito che tende con crescente convinzione a tagliare i ponti col proprio passato, una spia piuttosto allarmante di uno scongelamento che assume sempre pi i tratti di una liquefazione. E che emerge anche nei territori che pi di altri si erano dimostrati fedeli a quella stessa subcultura. Proprio osservando i dati delle elezioni politiche, affiora dallo scongelamento un dato interessante: quello riguardante il crescente astensionismo. Disertano le urne sempre pi italiani, e lelettorato fanese non esente da questa deriva: se si osservano le tabelle 3.9 e 3.10 si intuisce al volo la progressiva diminuzione della percentuale dei votanti. Diminuzione che investe le elezioni politiche (solitamente le pi sentite e partecipate) e che, evidentemente, non meno tenera con tornate elettorali di altra natura: le tabelle riportano ad esempio le europee e le regionali, votazioni che fanno toccare i picchi di astensione pi alti (nel 2010, solo 63% dellelettorato fanese si recato alle urne). Emerge dunque, per la subcultura di sinistra, la necessit di far fronte a un problema nel problema: la disaffezione non investe solo le vecchie tradizioni, ma pi in generale erode limportanza del semplice gesto di andare a votare, del partecipare, dellinformarsi. possibile che in una societ che diventa tendenzialmente sempre pi vecchia, solo i pi anziani colgano ancora con forza il valore del voto, un diritto conquistato e meritevole di esser difeso: la popolazione pi anziana nata e cresciuta sotto la dittatura fascista e la guerra, e forse per questo riesce ancora a percepire limportanza di quel diritto/dovere, ovviamente anche grazie ad una propria storia, un proprio percorso, unadesione ad una tradizione politica forte. Non si pu dire la stessa cosa per le nuove generazioni, le quali non percepiscono lo stesso bisogno: non che le urne vengano disertate in massa, ma di certo lasticella dellastinenza ritenuta fisiologica si sta abbassando di anno in anno35. Per pezzi relativamente considerevoli di societ, il voto sempre pi percepito come qualcosa di inutile, di non decisivo; in alcuni casi, c un crollo della propria autostima politica, si ha la percezione di non essere efficaci, che il proprio voto non conti nulla. Se ci si sposta con lo sguardo alla pi recente attualit, dove la quotidianit di ampie fasce di popolazione tutta giocata in funzione di resistere alla crisi apertasi nel 2008 e dove sempre pi spesso si sente parlare di nuovi poveri, si capisce come la possibilit di partecipare al voto, per le fasce sociali pi deboli, sia decisamente poco importante, spesso non neppure presa in considerazione. Fano, nel suo piccolo, non esente da processi di questo tipo. Torniamo a concentrarci sulla recente storia elettorale di Fano. Nello specifico su due tornate elettorali, entrambe successive alluscita di Cuore rosso?: quella del 2004 e quella del 2009. Votazioni amministrative che hanno segnato e continuano a segnare uno spartiacque nella storia politica fanese: nel primo caso si tratt delle prime elezioni comunali vinte da uno schieramento di centro-destra. A chiusura
35

Ritorna cos limportanza dei cleavage generazionali, gi visti in Ramella (2005, pp. 185 e segg.).

67 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

della relativa legislatura, cinque anni dopo, lo stesso schieramento rivinse e riconferm lo stesso sindaco. Due eventi che, dunque, rappresentano due solide conferme alle tesi proposte da Ramella, ed anzi ne allargano la portata anche agli anni successivi alla stesura di Cuore rosso?. Si tratta inoltre di due elezioni paradigmatiche per quel che riguarda la maggior disponibilit da parte dellelettorato a scegliere realt pi sfumate, coalizioni percepite come solide ma tuttavia prive di un percorso politico comune; per quel che riguarda, soprattutto, la mutevolezza della subcultura politica, di cui rimane poco pi di un solco, sul quale poi sono stati piantati nuove istanze e fatte crescere realt politiche del tutto inedite. Necessaria, per destreggiarsi in questultimo tratto del percorso, la descrizione di un antefatto: dissidi politici (e personali) col sindaco e la giunta di centro-sinistra, portano sul finire della legislatura 1999-2004 un ex assessore nonch ex presidente della municipalizzata del comune a rompere con luno e con laltra. Stefano Aguzzi, ex operaio di solida provenienza comunista e postcomunista, decide di scendere in campo mettendosi in proprio, costruendo una fortunata lista civica alleata alle amministrative del 2004 col centro-destra. Sul fronte opposto emerge tutta la frammentazione di una coalizione che poco o nulla ha a che vedere con una subcultura di sinistra che, come abbiamo gi avuto modo di sottolineare, gi di suo appariva molto pi debole rispetto a quelle rosse, tout court: per rispondere al gi segmentato elettorato, venne scelto come candidato un ex democristiano, aderente alla formazione di centro-sinistra de La Margherita. Risultato: il centrosinistra batte il centrodestra per una manciata di voti; i DS si confermano timidamente primo partito col 24,21%, ma il centro-sinistra arranca nel confronto con la coalizione di centro-destra. Ad ogni modo si rende necessario, dopo il primo turno, andare il ballottaggio, visto che nessuna delle due coalizioni ha la maggioranza assoluta. Il dato della seconda tornata per quel che riguarda laffluenza alle urne (in parte fisiologicamente) basso: poco pi del 70% contro il 78% del primo turno. Dati che continuano a segnalare una flessione, una disaffezione. Al secondo turno, il centrodestra conquista Fano per la prima volta. Da allora, la politica fanese vive una sorta di schizofrenia: capace di esprimere un sempre pi contenuto sostegno ai partiti della tradizione postcomunista quando si tratta di elezioni riguardanti il governo nazionale, regionale o provinciale; legata invece sul piano dellamministrazione locale ad un riuscito esperimento politico, ad una fusione fredda che ha suscitato (e continua a suscitare) interesse. Va sottolineato che, sia nel 2004 che nel 2009, assieme alle elezioni comunali si sono svolte anche quelle provinciali: ebbene, parte dellelettorato che su base provinciale vota a sinistra disposta a votare a destra su base comunale. Il riferimento torna, tanto per fare un esempio, a quel 24,21% ottenuto dai DS alle comunali che lievita sino al 30% circa su base provinciale. Il tutto nello stesse giornate di voto. Si tratta probabilmente di un fattore di mutamento della subcultura politica visto gi in Diamanti (2003), Ramella (2006) ed altri autori (Catanzaro et al., 2002): limportanza decisiva del leader, della figura riconoscibile, trasversale, pigliatutto, al quale si da fiducia non sulla base n delle sue origini politiche n di quelle dellelettorato, ma piuttosto su quel che comunica, su quel che riesce a
68 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

trasmettere. Il caso degli amministratori locali (sindaci, presidenti di provincia e regione) ha sicuramente delle particolarit, giacch non si tratta dalla lontana e fumosa politica romana, ma del livello politico pi prossimo allelettorato. Ad ogni modo, il leader gioca un ruolo fondamentale: pu essere egli stesso motivo di partecipazione, un aggregatore di consenso al di l della tradizione politica da cui proviene. Le amministrative 2009, infine, fanno segnare lennesimo dato anomalo, difficile da spiegare se non si tiene in considerazione quella disponibilit dellelettorato a muoversi tra proposte anche molto diverse fra loro: si tratta di una tornata elettorale confermativa, in cui il sindaco Aguzzi mantiene la carica di primo cittadino per un secondo mandato. Non si rende necessario il ballottaggio: rispetto a cinque anni prima, quello del 2009 un plebiscito, con la coalizione di centrodestra che vola su percentuali mai viste, 62% contro il misero 29% dellintero centro-sinistra. Queste percentuali altissime non sono lunica novit: vince la sfida delle preferenze non un partito erede di una lunga tradizione politica, ma la stessa lista civica capitanata dal sindaco, denominata La Tua Fano; essa ottiene pi del 26% ed un eccezionale numero di consiglieri. Della subcultura di sinistra, si perdono ormai le tracce: il Partito Democratico fermo al 22,36%, il Popolo della Libert al 21,66%, neanche un punto dietro. Lo stesso giorno delle amministrative si svolgono, di nuovo, anche le provinciali e le europee: impossibile non tornare a evidenziare quella schizofrenia denunciata poco sopra, visto che il dato europeo del PD sale al 30,64%. Segno evidente di uno scongelamento che non accenna ad arrestarsi poi il dato del PdL, sempre alle europee del 2009: 37,33%, primo partito cittadino. La fotografia politica scattata nel 2009 (istantanea fra le ultime disponibili, fra le pi aggiornate visto che da allora Fano tornata alle urne solo per le regionali 2010) mostra spaccature gi di per s profonde, ed resa ancor pi variopinta dallemersione di attori politici che rompono col passato: questo il caso della Lega, mai troppo in vista, sino ad allora; il caso soprattutto della buona affermazione di altre due liste: due esperienze che nate, evidentemente, dallesigenza di offrire partecipazione al di fuori dagli schemi classici di partito. Una di queste il Movimento 5 Stelle, balzato recentemente agli onori della cronaca: non saranno qui esposti i tratti salienti di questo nuovo soggetto; baster far notare come tale realt si configuri in perfetta continuit con le tesi di Diamanti (2003), in riferimento alla politica senza territorio, privata di un ancoraggio solido in una determinata zona del paese. Diamanti vedeva la tv come nuovo territorio di confronto politico: nel caso del Movimento 5 Stelle, internet lambiente di riferimento. Media, televisione, la rete di internet: tutti strumenti in grado di cristallizzare appartenenze politiche nuove, non solide come in passato ma al contrario piuttosto liquide, valide per un po, qualche anno o qualche mese, e poi rimesse in discussione36.
36

Non c dubbio che la tele-politica e la web-politica abbiano influenzato il contesto locale. Centrale per sostenere tale affermazione pu essere un episodio avvenuto a Fano nel 2005 e che mostra i suoi strascichi tuttora: in quellanno venne inaugurata la fortunata emittente televisiva locale Fano TV, cui va il merito di aver aperto ai cittadini le porte della politica locale, di averne reso riconoscibili le facce dei protagonisti. Tuttavia, essa stata anche un ottimo mezzo per cristallizzare nuovi orientamenti. Opportunit ampiamente sfruttata dallattuale amministrazione.

69 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Alla luce di quanto detto sinora, sarebbe interessante poter scattare una nuova fotografia dellelettorato fanese, ancor pi recente. Alla luce della perdurante crisi economica e della crescente sfiducia nella politica e (ancor di pi) nei partiti, emergerebbero sicuramente dati ancor pi complessi, probabilmente capaci di raccontare un ancor pi marcato scongelamento subculturale. Giunti al termine di questo percorso intervallato tra livello economico ed il piano politico, ora possibile riassumere conclusioni di pi ordini. Innanzi tutto, si pu dire che lo scongelamento della subcultura politica nelle zone rosse tuttora in atto: le ipotesi di Ramella, calate nel contesto fanese, hanno avuto piena conferma. Ma si pu dire di pi: ad entrare in crisi non tanto e non solo un orientamento politico, ma la politica in toto: se negli anni 60 e 70 lappartenenza ad una subcultura e ladesione al fortunato sistema fondato su piccole e medie imprese rappresentava una valida via duscita, una strada da intraprendere su base locale per non rimanere schiacciati dallincerto quadro nazionale, oggi non pi cos. Crisi economica ed un montante senso di sfiducia nelleconomia, nella politica, nelle istituzioni hanno ostruito quelle vie duscita percorribili in passato ed ora non pi. Si tratta di un discorso ampio, impossibile da trattare in questa sede perch inerente alla stringente attualit. Tornando a focalizzare sulla subcultura politica, abbiamo visto come, su base fanese, essa non abbia mai presentato i caratteri tipici, ortodossi, di unappartenenza vissuta come in Emilia-Romagna o in Toscana. Tuttavia, esistono (pochi) fattori che continuano a segnalarne una seppur flebile vitalit: la pur logora, sfilacciata tradizione di sinistra e la possibilit di far ad essa riferimento permette ancor oggi agli eredi del PCI di raccogliere consenso. I fattori di stabilit, tuttavia, non saranno mai numerosi e rilevanti quanto quelli capaci di trasformare la stessa subcultura: vocazioni individualiste, terziarizzazione, flessibilizzazione del mercato del lavoro, una politica che si fa liquida, una globalizzazione di fronte alla quale non si mai sufficientemente pronti, la crisi economica. Tutti fattori che, pur non decretando il crollo e la dissoluzione definitiva delle appartenenze tradizionali, segnalano uno scongelamento subculturale tuttora in atto.

70 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

BIBLIOGRAFIA Amministrazione comunale di Fano 1995 Governare il tempo: una ricerca sugli orari e la vita quotidiana a Fano, Comune di Fano, Fano. Amministrazione comunale di Fano, Ufficio elettorale del comune di Fano, Ufficio stampa del comune di Fano (a cura di) 1984 Elezioni a Fano dal 1945 al 1984, Comune di Fano, Fano. Anselmi, S. 1995 L'industria nella provincia di Pesaro e Urbino, Assindustria Pesaro e Urbino, Pesaro. Baglioni, G. 1967 Il problema del lavoro operaio: teorie del conflitto industriale e dell'esperienza sindacale, Franco Angeli, Milano Bagnasco, A. 1977 Tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano, il Mulino, Bologna. Bagnasco, A. 1988 La costruzione sociale del mercato: studi sullo sviluppo di piccola impresa in Italia, il Mulino, Bologna. Bagnasco, A. (a cura di) 1990 La citt dopo Ford: il caso di Torino, Bollati Boringhieri, Torino. Baldini, G., Legnante, G. 2001 Citt al voto: i sindaci e le elezioni comunali, il Mulino, Bologna. Baraldi, C., Ramella, F. 1999 Politiche per i giovani: l'esperienza delle Marche, Meridiana, Corigliano Calabro. Becattini, G. 2000 Il distretto industriale, Rosenberg & Sellier, Torino. Becattini, G. 2004 Per un capitalismo dal volto umano. Critica delleconomia apolitica, Bollati Boringhieri, Torino. Bellandi, M., Russo, M. (a cura di) 1994 Distretti industriali e cambiamento economico locale, Rosenberg & Sellier, Torino. Benenati, A. 2002 Politica e societ civile in Italia dal 1860 al 1960, Harmattan Italia, Torino. Bianchini, A., Pedrocco, G. 1995 Dal tramonto all'alba: la provincia di Pesaro e Urbino tra fascismo, guerra e ricostruzione, CLUEB, Bologna. Bianchini, A., Del Bene, L., Girometti, A. 2008 CNA 60: una lunga storia di lavoro e associazionismo artigiano nella provincia di Pesaro e Urbino, CNAF, Pesaro. Bonazzi, G. 2008 Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano. Brusco, S. 1989 Piccole imprese e distretti industriali, Rosenberg & Sellier, Torino.
71 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura Pesaro 1972 L'economia della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro. Campus, D. 2000 L'elettore pigro: informazione politica e scelte di voto, il Mulino, Bologna. Castronovo, S. 1990 Lindustria italiana dallottocento a oggi, Mondadori, Milano. Catanzaro, R., Piselli, F., Ramella, F., Trigilia, C. 2002 Comuni nuovi: il cambiamento nei governi locali, il Mulino, Bologna. Ceccarini, L. 2004 Avere un figlio: giovani coppie e comportamenti riproduttivi a Pesaro, Goliardiche, Urbino. Censis, 2011 Rapporto sulla situazione sociale del paese 2011, Franco Angeli, Milano. Cerruti, C., Musso, F. 2004 L'integrazione dei distretti industriali fra ITC e logistica: esperienze di imprese marchigiane eccellenti, Goliardica, Trieste. Chiaramonte, A., DAlimonte, R. (a cura di) 2000 Il maggioritario regionale: le elezioni del 16 aprile 2000, il Mulino, Bologna. Cohen, D. 2007 Tre lezioni sulla societ postindustriale, Garzanti, Milano. Cossentino, F. Pyke F., Sengenberger, W. (a cura di) 1997 Le risposte locali e regionali alla pressione globale: il caso dell'Italia e dei suoi distretti industriali, il Mulino, Bologna. Corbetta, P., Parisi, A. 1997 A domanda risponde: il cambiamento del voto degli italiani nelle elezioni del 1994 e del 1996, il Mulino, Bologna. Cor, G., Miceli, S. 2006 I nuovi distretti produttivi: innovazione, internazionalizzazione e competitivit dei territori, Marsilio, Venezia. Crepax, N. 2002 Storia dellindustria in Italia, il Mulino, Bologna. Cucculelli, M. 2004 Il passaggio generazionale nelle piccole e medie imprese nelle Marche, Armal, Ancona. DAlimonte, R., Bartolini, S. (a cura di) 1995 Maggioritario ma non troppo: le elezioni politiche del 1994, il Mulino, Bologna. DAlimonte, R., Bartolini, S. (a cura di) 1997 Maggioritario per caso: le elezioni politiche del 1996, il Mulino, Bologna. Del Bene, L. 2003 Lo sviluppo della piccola e media impresa nel pesarese dal secondo dopoguerra ad oggi, Universit di Milano, Milano. Deli, A. 1989 Fano nel seicento, Cassa di Risparmio di Fano, Fano. Deli, A. 1993 Fano: immagini del porto, Cassa di Risparmio di Fano, Fano. De Marchi, E., La Grassa, G., Turchetto, M. 1999
72 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Oltre il fordismo, Unicopli, Milano. Diamanti, I. 1996 Il male del nord: Lega, localismo, secessione, Donzelli, Roma. Diamanti, I. 2003 Bianco, rosso, verde e azzurro. Mappe e colori dellItalia politica, il Mulino, Bologna. Diamanti, I. 2009 Mappe dell'Italia politica: bianco, rosso, verde, azzurro... e tricolore, il Mulino, Bologna. Diamanti, I., Ceccarini, L. 2004 Marche 2004: mappe e scenari della societ regionale, Liguori, Napoli. Di Caro, A. 2002 I colori della politica: un viaggio inconsueto nelle scienze sociali, Goliardiche, Trieste. Feltrin, P., Natale, P., Ricolfi, L. (a cura di) 2007 Nel segreto dell'urna: un'analisi delle elezioni politiche del 2006, UTET, Torino. Ford, H. 1925 La mia vita e la mia opera (1922), Apollo, Bologna. Gallino, L. 2001, Il costo umano della flessibilit, Laterza, Roma. Genova, A., Palazzo, F. (a cura di) 2008 Welfare nelle Marche: attori, strumenti, politiche, Carocci, Roma. Giannotti, P. (a cura di) 1999 La soglia della modernit: Fano antigiolittiana (1900-1914), Biblioteca comunale Federiciana, Fano. Harrison, B. 1999 Agile e snella: come cambia limpresa nellera della flessibilit, Lavoro, Roma. Itanes (a cura di) 2001 Perch ha vinto il centro-destra, il Mulino, Bologna. Itanes (a cura di) 2006 Sinistra e destra: le radici psicologiche della differenza politica, il Mulino, Bologna. Itanes (a cura di) 2006 Dov la vittoria?, il Mulino, Bologna. Itanes (a cura di) 2008 Il ritorno di Berlusconi, il Mulino, Bologna. Kumar, K. 1995 From post-industrial to post-modern society: new theories of the contemporary world, Blackwell, Oxford. Maggioli, S. 1999 Fano nel ventesimo secolo, Grapho 5, Fano. Mangiabosco, M. 1997 Fordismo, toyotismo, fabbrica integrata, Centro Studi P. Calamandrei, Jesi. Mazzanti, G. 1995 Dalle vie del cielo a quelle della citt: Fano nella guerra 1939/45, Comune di Fano, Fano.
73 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Mondem Y. 1986 Produzione just-in-time: come si progetta e si realizza, ISEDI, Torino. Moretti, E., Vicarelli G. 1997 Una regione al bivio: immigrati e mercato del lavoro nelle Marche, Fortuna, Fano. Moroni, M. (a cura di) 2005 Le Acli nelle Marche: materiali per una storia, Affinit elettive, Ancona. Mutti, A. 1998 Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, il Mulino, Bologna. Negrelli, S. 2005 Sociologia del lavoro, Laterza, Roma. Nelson, D. 1988 Taylor e la rivoluzione manageriale: la nascita dello scientific management, Einaudi, Torino. Nuti, F. 1992 I distretti dellindustria manifatturiera in Italia, Franco Angeli, Milano. Ohno, T. 1993 Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino. Poli, E. 2001 Forza Italia: strutture, leadership e radicamento territoriale, il Mulino, Bologna. Polverari, L. 2006 Il Mutuo Soccorso nella Fano dellOttocento, lica, Fano. Preziosi, E. 2000 Tra competizione e autonomia: il radicarsi della CISL nella provincia di Pesaro, Lavoro, Roma. Pucci, A. 2005 La nascita del welfare a Fano, 1872-1898, Biblioteca Federiciana, Fano. Putnam, R. 1993 La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano. Ramella, F. 2005 Cuore rosso? Viaggio politico nellItalia di mezzo, Donzelli, Roma. Ramella, F. 2006 Democrazia plebiscitaria, democrazia deliberativa: la governance municipale nella Marche, Rubbettino, Roma. Raniolo, F. 2002 La partecipazione politica, il Mulino, Bologna. Robotti, L., Calcagnini, G. (a cura di) 1988 Il mercato del lavoro nella provincia di Pesaro e Urbino. Riccamboni, G. 1992 L'identit esclusa: comunisti in una subcultura bianca, Lavitana, Padova. Ricolfi, L. 2002 La frattura etica. La ragionevole sconfitta della sinistra, LAncora del Mediterraneo, Napoli. Ricolfi, L. 2007 Le tre societ: ancora possibile salvare l'unit dell'Italia?, Guerini e associati, Milano.
74 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Rullani, E. 1995 Distretti industriali ed economia globale, in Oltre il ponte, n. 50. Rullani, E., Romano, L. (a cura di) 1998 Il postfordismo: idee per il capitalismo prossimo venturo, Etas Libri, Milano. Saba, A. 1995 Il modello italiano: la specializzazione flessibile e i distretti industriali, Franco Angeli, Milano. Sani, G. (a cura di) 2001 Mass media ed elezioni, il Mulino, Bologna. Santambrogio, A. 1998 Destra e sinistra: unanalisi sociologica, Laterza, Roma. Santarelli, E. 1964 Le Marche dall'unit al fascismo: democrazia repubblicana e movimento socialista, Editori Riuniti, Roma. Sapelli, G. 1997 Storia economica dellItalia contemporanea, Mondadori, Milano. Sforza, G. 2005 Il male di lavorare tra isolamento e solitudine, Franco Angeli, Milano. Tarchi, M. 2003 L'Italia populista: dal qualunquismo ai girotondi, il Mulino, Bologna. Taylor, F. W. 1975 Principi di organizzazione scientifica del lavoro (1911), Franco Angeli, Milano. Tommaso, S. 2009 Distretti e reti di imprese: evoluzione organizzativa, finanza innovativa, valutazione mediante rating, Franco Angeli, Milano. Tonelli, G. 2010 Fano attraverso le inserzioni pubblicitarie: storie di imprese e imprenditori, Grapho 5, Fano. Tortorella, W. (a cura di) 2010 Citt d'Italia: le aree urbane tra crescita, innovazione ed emergenze, il Mulino, Bologna. Tosi, S. (a cura di) 2006 Consumi e partecipazione politica: tra azione individuale e mobilitazione collettiva, Franco Angeli, Milano. Trigilia, C. 1986 Grandi partiti e piccole imprese. Comunisti e democristiani nelle regioni a economia diffusa, il Mulino, Bologna. Trigilia, C., Burroni, L. 2004 Crescita economica e percorsi di sviluppo locale: il caso italiano, in Crouch, C. et al., I sistemi di produzione locale in Europa, il Mulino, Bologna. Trigilia, C. 2009 Sociologia economica, il Mulino, Bologna. Valentini, V. 2007 Mestieri di ieri e di oggi nella provincia di Pesaro e Urbino, Grapho 5, Fano. Varni, A. (a cura di) 2003 La provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento: caratteri, trasformazioni, identit, Marsilio, Venezia.
75 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Viesti, G. 2001 Come nascono i distretti industriali, Laterza, Roma. Zamagni, V. 1993 Dalla periferia al centro: la seconda rinascita economica dellItalia, il Mulino, Bologna.

76 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

SITOGRAFIA http://www.istat.it Sito internet dellIstituto nazionale di statistica. http://elezionistorico.interno.it Archivio storico delle elezioni del Ministero dellInterno. http://www.cattaneo.org Sito internet dellIstituto Carlo Cattaneo. http://www.tuttitalia.it - http://www.urbistat.it - http://www.comuni-italiani.it Raccolte di elaborazioni su dati Istat inerenti ai comuni italiani. http://statistica.regione.marche.it Raccolta di dati statistici della Regione Marche. http://www.economiamarche.it Sito internet della rivista Economia Marche. http://www.confindustria.pu.it Sito internet della Confindustria della Provincia di Pesaro e Urbino. http://www.confartps.it Sito internet della Confartigianato della Provincia di Pesaro e Urbino. http://www.cnapesaro.it Sito internet della CNA della Provincia di Pesaro e Urbino. http://www.fondazione-merloni.it Sito internet della fondazione Aristide Merloni . http://www.comune.fano.ps.it Sito internet del Comune di Fano. http://www.infofano.it/fanoimpresa_profilo_economico.htm Un profilo delleconomia e dellimpresa, dellindustria e dellartigianato fanese.

77 Sistemi produttivi e subcultura politica: il cuore rosso di Fano?

Potrebbero piacerti anche