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PROCESSI MIGRATORI, CITTADINANZA E PARTECIPAZIONE

Parte prima
a cura di Federica Rampulla PREMESSA La globalizzazione si svolge nello spazio virtuale dei flussi finanziari ed in un altrettanto immateriale sistema internazionale di produzione industriale. La presenza dei migranti internazionali rende tale fenomeno tangibile e ben individuabile geograficamente, con riferimento alle aree interessate, perci, attraverso la migrazione, la globalizzazione diviene una problematica cui approcciarsi da una prospettiva interamente locale1. Sebbene le persone si siano, infatti, da sempre spostate in cerca di un luogo migliore dal punto di vista economico, religioso, sociale o politico, mai prima il fenomeno aveva assunto una tale estensione in termini di volumi e di variet dei territori interessati, in entrata ed in uscita. Ne consegue dunque, naturalmente, che le comunit di arrivo stiano acquisendo una natura sempre pi diversificata e multietnica, determinando, ipso facto, una profonda evoluzione nella composizione del demos negli Stati e ponendo, perci, in tensione le tradizionali strutture statuali, non sempre adeguate a rispondere a queste sollecitazioni esterne. Il tessuto sociale si sta, cos, arricchendo di uno strato significativo di popolazione stabilmente inserita nel processo di produzione della ricchezza, eppure tendenzialmente esclusa dai processi decisionali relativi, in primo luogo, alle scelte in tema di redistribuzione del reddito. Il modello di Stato westfaliano, inteso come comunit nazionale diviene, dunque, oggetto di ripensamento critico e si assume, da ci, come ineludibile una duplice esigenza di rinnovamento, non solo dei concetti di Stato, appartenenza e cittadinanza, ma anche la ricerca di eventuali prospettive di superamento degli stessi in unottica maggiormente inclusiva, che faccia della transnazionalit e dei diritti umani il perno delle attribuzioni positive degli individui politici (gli individui considerati nellambito specifico della politicit, ovvero dellallocazione autoritativa dei valori).

Sullimpatto delle migrazioni nella struttura delle citt, si veda, diffusamente il paper di M. BALBO (2009) Social and Spatial Inclusion of International Migrants: Local Responses to a Global Process, disponibile allURL http://www.unescochair-iuav.it/wp-content/uploads/2009/07/ssiimpsno1_for-web.pdf

MIGRAZIONI: UN APPROCCIO TEORICO

Le migrazioni sono un oggetto fluido non facile da definire. Si caratterizzano, in prima istanza, per la natura processuale, essendo le stesse espressione di una evoluzione dinamica che comporta adattamenti e modificazioni, nonch, al contempo, sistemi di relazioni che coinvolgono pi territori e i gruppi in essi stanziati. Seguendo la definizione di Ambrosini2 possibile qualificare le migrazioni come costruzioni sociali complesse caratterizzate dallintervento compresente di tre attori: a) le societ di origine, che svolgono un ruolo essenziale di propulsione o freno del fenomeno migratorio, in relazione alla loro capacit di offrire benessere, libert e diritti ai propri cittadini e ladozione di policies pi o meno favorevoli allespatrio; b) i migranti attuali e potenziali con i loro legami sociali, progetti e aspettative c) le societ riceventi sotto il profilo della capacit di espressione di una certa domanda di lavoro estero e delle modalit pi o meno istituzionalizzate di accoglimento degli immigrati. Nella teoria sociologica sussistono diversi approcci finalizzati alla individuazione delle ragioni delle migrazioni. La prospettiva macro fa intuitivamente riferimento ai differenziali economici e demografici tra aree diverse del mondo e tende, di conseguenza, a rinvenire gli elementi propulsivi per lavvio e lauto alimentazione dei flussi3 in cause meta individuali come povert, fame, mancanza di lavoro, sovrappopolazione crescente, guerre e regimi oppressivi. La prospettiva micro, tende invece ad individuare e tipizzare le ragioni individuali dei migranti; quella meso, da ultimo, tenta di combinare i due precedenti approcci e partendo dalla teoria delle reti sociali, argomenta lesistenza di specifiche strategie dei migranti che sono finalizzate a utilizzare e riprodurre il capitale sociale (inteso come risorse che provengono da appartenenze e legami sociali e si rendono disponibili per gli individui) tramite la relazione tra societ di partenza (immigrati presenti e futuri) e quelle riceventi 4. Tralasciando di addentrarsi in - pure rilevanti - considerazioni in ordine alle varie ragioni e fasi dei processi migratori, risulta pi interessante, nellottica del presente lavoro, riflettere sul volume e
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M. AMBROSINI Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino, 2005, p.17 Secondo la teoria delle reti migratorie, per auto alimentazione dei flussi migratori si intende il processo di prosecuzione e consolidamento delle migrazioni nel tempo come determinato e sostenuto da fenomeni di coinvolgimento e di interrelazione tra immigrati e potenziali migranti rimasti nelle aree di origine (in particolare amici e parenti). Sul punto si veda AMBROSINI, op.cit., 43s 4 Per una esaustiva panoramica delle teorie, si veda AMBROSINI, op. cit. p.33 e ss

sulle implicazioni che questi imponenti flussi hanno nelle societ riceventi, cosi come precedentemente definite. Consci dellampiezza del concetto di migrante5, ci si limiter, tuttavia, ad analizzare quantitativamente il dato relativo agli immigrati regolari per ragioni di lavoro in relazione alla loro ambivalente condizione di integrazione nel tessuto economico (e soprattutto contributivo) italiano contrapposta alla limitata capacit di incisione dei processi decisionali, tanto a livello nazionale come locale. Si tenter, in questo modo, di definire la portata del mutamento e dellesigenza di rinnovamento dei parametri concettuali tradizionali.

LIMMIGRAZIONE: LE DIMENSIONI DI UN FENOMENO

Volevamo braccia, sono arrivate persone. Questa affermazione dello scrittore svizzero Max Frisch sintetizza il nodo problematico essenziale della questione oggetto di analisi: limpossibilit di considerare le migrazioni come fenomeno transeunte e unidimensionale. Emerge con tutta evidenza linadeguatezza dellatteggiamento di riduzione di queste persone al mero rango di lavoratori ospiti e temporanei; occorre di fatti, acquisire consapevolezza della necessit di integrare e non assimilare gli immigrati trovando vie di contemperamento tra istanze culturali e valoriali spesso contrastanti, in unottica sempre maggiormente inclusiva (da ultimo riflettendo sui temi dei diritti politici e di forme alternative di partecipazione). Allo stato attuale vivono in Italia circa 5 milioni di immigrati regolari6 che costituiscono il 6,5% della popolazione e il 9% degli occupati contribuendo per il 12,1% al PIL, con un apporto contributivo pari al 7,9% dei contribuenti totali. Di questi pi di 3,5 milioni provengono da paesi non UE. Si tratta di ben il 77,4 % del totale della popolazione straniera residente7. Nellarco di poco pi di un decennio, sono pi che triplicati; nel 2010 sono cresciuti del 7,9% (dai 4,24 mln di residenti al 1 gennaio 2010 ai 4,57 mln di residenti al gennaio 2011), bench si sia registrato un ritmo di crescita meno sostenuto rispetto agli anni precedenti, come evidenziato dal secondo grafico.

Ambrosini realizza una accurata differenziazione del termine migrante individuando: a) Immigrati per lavoro; b) immigrati stagionali o lavoratori a contratto; c) gli immigrati qualificati e gli imprenditori ( skilled migrations); d) i familiari al seguito; e) rifugiati e richiedenti asilo (cd. Migrazioni forzate); f) immigrati irregolari, clandestini, vittime del traffico di esseri umani; g) migranti di seconda generazione; h) migranti di ritorno. Op.cit. 6 Al 1 gennaio 2011, 4.570.317 stranieri residenti legalmente (fonte ISTAT) di cui 2.369.106 femmine 2.201.211 maschi, dati ISTAT, 2012. www.istat.it 7 ibidem

POPOLAZIONE STRANIERA RESIDENTE


5 4.5 4 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0

Millions

3.89 3.43 2.40 1.99 1.36 1.55 2.67 2.94

4.24

4.57

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

VARIAZIONE % POPOLAZIONE STRANIERA RESIDENTE


28.4%

20.7% 16.8% 14.2% 11.2% 10.1% 13.4% 8.8% 7.9%

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Risulta altres interessante individuare quale sia la percentuale di stranieri legalmente residenti di cd. lungo periodo. Ai sensi della direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo: appartengono a questa categoria i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente e ininterrottamente da almeno 5 anni nel territorio di uno stato membro. LIstat rileva che siano oltre 1,6 milioni8 di persone, pari al 35,8% del totale della popolazione straniera residente (includendo la popolazione UE ed extra UE) ma pari al 46,3 % dei cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti9. La circostanza della titolarit di un permesso di soggiorno di lungo periodo un indicatore non soltanto di stabilit sul territorio ma anche del livello di
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1 638 734 al 1 gennaio 2011 Riferimento http://www.istat.it/it/files/2012/03/report-stranierinoncomunitari.pdf?title=I+cittadini+non+comunitari+soggiornanti+-+27%2Fmar%2F2012+-+Testo+integrale.pdf

qualit della vita, dal momento che la normativa vigente prescrive che per richiedere detta autorizzazione, oltre ai 5 anni di residenza, si debbano soddisfare alcuni parametri in relazione alla conoscenza della lingua ed al possesso di reddito ed alloggio adeguati. Di conseguenza non risultano differibili oltre le esigenze di integrazione dei cittadini stranieri nel tessuto socioeconomico e politico, specialmente in considerazione dellapporto da essi fornito al sistemapaese. Limmigrazione, si comprende bene, non soltanto una questione di porte aperte e di unione di forze a livello internazionale, bens richiede che limpegno crescente di ciascun Paese per integrare i nuovi arrivati. Gli immigrati devono adattarsi alle nuove societ e le societ devono adattarsi a loro volta - operazione che Benhabib definisce iterazioni democratiche
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; per citare le parole

dell ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan: in questo ventunesimo secolo, gli emigranti hanno bisogno dellEuropa. Ma anche lEuropa ha bisogno degli emigranti. UnEuropa chiusa sarebbe unEuropa pi mediocre, pi povera, pi debole, pi vecchia. UnEuropa aperta sar unEuropa pi equa, pi ricca, pi forte, pi giovane, purch sia unEuropa che gestisce bene limmigrazione11. Nella prospettiva dellanalisi sociologica, gli immigrati lungo - residenti sono in genere inquadrati in una condizione intermedia tra quella del cittadino a pieno titolo e quella dello straniero, condizione che viene a volte etichettata con il termine denizenship12. Esso veniva originariamente utilizzato durante il 600 in Gran Bretagna per individuare lo straniero ammesso alla cittadinanza per concessione della Corona; stato ora recuperato proprio per indicare i cittadini stranieri che, ottenuto lo status di residenti di lungo periodo, godono di quasi tutti i diritti dei cittadini ad eccezione dei diritti di partecipazione politica. La peculiarit di questa condizione si esplica nella precariet (in specie, la revocabilit dei documenti di soggiorno e la possibilit di espulsione) ma anche con riferimento al profilo dellappartenenza, giacch il denizen non parte ne iure sanguinis ne per scelta, della comunit nazionale e si colloca, dunque, in quella che Reiner Baubck ha definito grey zone of transition13 tra cittadini e stranieri

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Sul concetto di iterazione democratica, si veda infra Si riporta la versione originale dellintervento dellallora Segretario Generale delle Nazionu Unite Kofi Annan presso il Parlamento Europeo, 29 gennaio 2004: Migrants need Europe. But Europe also needs migrants. A closed Europe would be a meaner, poorer, weaker, older Europe. An open Europe will be a fairer, richer, stronger, younger Europe - provided you manage migration well http://www.un.org/News/Press/docs/2004/sgsm9134.doc.htm 12 Sul concetto di denizenship si vedano in particolare lo studio di T. HAMMAR Democracy and the Nation-State: Aliens, Denizens and Citizens in a World of International Migration, Aldershot: Gower, 1990 13 R. BAUBCK Expansive Citizenship: Voting beyond Territory and Membership, in PS: Political Science and Politics, American Political Science Association, vol. 38, 4, ottobre 2005, p 683

Da ultimo, i denizens si differenziano dai cittadini comunitari residenti in un altro Stato dellUnione diverso da quello di provenienza, in quanto al possesso di uno specifico ulteriore pacchetto di diritti che si condensa nella cd cittadinanza dellUnione14. La denizenship articola, dunque, una sorta di condizione di semi cittadinanza che tuttavia, non riuscita ancora ad indurre opportuni mutamenti nella definizione del rapporto tra comunit nazionale e comunit politica.

LE SFIDE PER LA DEMOCRAZIA: DEMOS SOCIALE vs DEMOS POLITICO

Uno degli aspetti nei quali si esplicita in maniera pi evidente la problematica dei denizens , appunto, quello della non appartenenza e, di conseguenza della non autorizzazione ad intervenire nei processi decisionali. Occorre, tuttavia, tenere in considerazione - avverte Lanchester che la regolazione dellappartenenza allordinamento e leffettiva partecipazione alla gestione del politico derivano da differenti concezioni del rapporto individuo societ e sono il prodotto della stratificazione e sedimentazione di differenti forme di Stato15. Ne consegue che nelle forme di stato democratiche, lidoneit degli individui a partecipare ai processi decisionali diviene oggetto di analisi principale, se si intende la democrazia come lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare16, nelle parole di Schumpeter. Ponendoci, daltro canto, nella prospettiva della definizione normativa di democrazia data da R. Dahl secondo il quale la democrazia quel regime politico caratterizzato dalla continua capacit di risposta (responsiveness) del governo alle preferenze dei cittadini, considerati politicamente eguali17, emerge come cruciale la questione della cittadinanza quale precondizione per la partecipazione e, di contro, la vetust di tale assetto se confrontato con la realt della crescente internazionalizzazione delle nostre societ. Partecipare implica, come efficacemente sintetizzato da Gallina, la possibilit reale e latto concreto del concorrere a determinare, su un piano di

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La c.d.cittadinanza dellUnione rappresenta uno status che non si sostituisce, bens aggiunge, alla cittadinanza dello Stato e si concretizza in una serie di attribuzioni quali: libert di circolazione e di soggiorno; diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni comunali ed europee nello Stato membro in cui risiede; tutela diplomatica e consolare nei paesi extra-europei nei quali il suo Stato non rappresentato da parte delle autorit degli altri Stati membri; diritto di petizione al Parlamento europeo; diritto di rivolgersi al mediatore europeo; diritto di scrivere alle istituzioni e ad alcuni organi comunitari in una delle lingue ufficiali della stessa e di ricevere risposta nella stessa lingua. 15 F. LANCHESTER La legislazione italiana e il voto ai non cittadini , Relazione al Convegno Participacin poltica e integracin presente y futuro del voto extranjero en espaa, Malaga , Facultad de Derecho ,26 de Octubre,2007, reperibile allURL http://www.parlalex.it/pagina.asp?id=2882 16 J. SCHUMPETER Capitalismo, socialismo e democrazia, ETAS, Milano, 2001 17 R. DAHL, Poliarchia: partecipazione e opposizione nei sistemi politici , Milano, F. Angeli, 1994

relativa uguaglianza con gli altri membri, gli obiettivi principali della vita della collettivit, la destinazione delle risorse di ogni tipo a determinanti impieghi alternativi , il modello di convivenza verso cui tendere, la distribuzione fra tutti dei costi e dei benefici18 . Daltra parte, nella sua accezione strettamente politica, ovvero, relativa allallocazione autoritativa dei valori, la partecipazione democratica coinvolge, illo tempore, solamente il demos politico, denominato nellottica dei giuristi come corpo elettorale. Il demos politico definibile come la parte attiva dellelemento personale dello Stato, cui lordinamento attribuisce lincarico di gestire in modo diretto o indiretto - per via rappresentativa la cosa pubblica. Esso , per consolidata tradizione, linsieme degli individui uniti da un vincolo nazionale identitario e da quello della cittadinanza. Diverso invece il concetto di demos sociale, traducibile con il termine popolazione, che individua linsieme di soggetti residenti in un territorio ma non necessariamente qualificati formalmente come cittadini. Nel tempo, a partire dalla condizione di poltes ateniese, passando per il citoyen francese , venuta ad affermarsi lidentit demos = ethnos (corpo elettorale = popolo, Nazione, e, per estensione, cittadinanza = nazionalit) ovvero una situazione in cui la qualificazione giuridica dellappartenenza derivava da una specifica ascrizione di tipo clanico, culturale ed etnico al gruppo sociale considerato. Risulta con tutta evidenza che tale concetto non poneva problemi fintanto che rimaneva esigua quella parte della popolazione - cio dellinsieme di individui che fanno parte in un momento di un ordinamento giuridico territoriale - che nel popolo non era inclusa19 . Al contrario, come conseguenza del fenomeno migratorio, si vola la rigida equazione tra identit e nazione, quindi la presenza dei non cittadini negli Stati in virt di vincoli non occasionali mette in crisi quello che Caravita di Toritto ha definito vincolo nazionale identitario 20 nonch la rigida dicotomia popolo popolazione. Walzer21, significativamente, ravvisa una tendenziale parit di status tra immigrati e i meteci della polis: stranieri tollerati in quanto lavoratori disposti sobbarcarsi le mansioni pi ingrate i c.d.

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L. GALLINA Partecipazione (voce) in Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1993, 477s. Interessanti le riflessioni sul punto di F. LANCHESTER La legislazione italiana e il voto ai non cittadini, op. cit. 20 B. CARAVITA DI TORITTO I diritti politici dei non cittadini. Relazione al convegno dellAIC Lo statuto costituzionale del non cittadino, Cagliari 16 ottobre 2009. Reperibile allURL http://www.astrid-online.it/Immigrazio/Studi-ric/CARAVITA_AIC_2009.pdf p.5 e 21 Si riportano qui le considerazioni sul pensiero di Walzer di AMBROSINI, Sociologia delle migrazioni, op.cit., p.216s

lavori delle 5 P (precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzanti socialmente)22 eppure esclusi dai processi decisionali. Lautore bolla questa come una tirannia poich alcuni decidono anche per gli altri, che pure risiedono stabilmente nello stesso territorio e sono sottoposti alle medesime leggi. Gli immigrati lungo-residenti si potrebbero dunque definire come nuovi meteci, tanto pi che nelle nostre societ, essi possono accedere ad un pacchetto di diritti (sanit, previdenza, assistenza sanitaria..) che Marshall, in Citizenship and Social Class aveva sinteticamente etichettato come cittadinanza sociale. Tuttavia, mette in guardia Ambrosini, diritti sociali non supportati da una base di diritti politici, rischiano di restare fragili e revocabili, apparendo come una sorta di concessione che la comunit dei cittadini a pieno titolo fa a chi arriva dallesterno e non gode del beneficio dellappartenenza. Il fatto di non poter votare rende deboli e pi difficili da tutelare i diritti degli immigrati a fronte delle pretese di priorit avanzate dai residenti- elettori23. E evidente, in conclusione, che lostinazione alla persistenza di un vincolo di tipo identitario comporti lesclusione di una considerevole parte di individui, pure inseriti pienamente nei circuiti produttivi e culturali dello Stato, dai processi politici e si risolva nellaccrescimento del divario tra demos politico e demos sociale. Questa condizione sottende una sfasatura tra societ civile e circuito politico-decisionale ed capace di tradursi in una sovra-rappresentazione degli appartenenti al popolo e ad una contestuale sottorappresentazione degli individui forzatamente costretti nella categoria di popolazione.

LE VIE PER IL SUPERAMENTO DELLA DIVARICAZIONE TRA DEMOS POLITICO E DEMOS SOCIALE

Dalla prospettiva dellanalisi giuridica, linclusione nel circuito democratico degli immigrati in particolare i lungo residenti - stata perseguita seguendo due strategie: la semplificazione degli strumenti di acquisto della cittadinanza lestensione dei diritti di partecipazione agli stranieri residenti. La prima coinvolge tutto il dibattito dottrinario in materia di acquisto, perdita e riacquisto della cittadinanza, nonch quello relativo alle procedure di naturalizzazione, sul quale, in questa sede non ci si soffermer oltre, assumendolo per consolidato24.

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M. AMBROSINI Unaltra globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2008, p.8 M. AMBROSINI Sociologia delle migrazioni, op.cit. 217s 24 Per una concisa panoramica sulle procedure, si veda http://www.tuttocamere.it/files/stranieri/CNN_Stranieri.pdf

La seconda, su cui ci si soffermer nella seconda parte del presente lavoro, afferisce alla riflessione sulla possibilit e il modus per lintroduzione di modalit di partecipazione tanto il voto, come altre forme di tipo associazionistico essenzialmente nella dimensione locale. Sintende che queste due opzioni non sono necessariamente alternative bens suscettibili di costruire congiuntamente una graduazione tra diversi livelli di partecipazione alla vita della comunit, e di adattarsi in maniera pi flessibile ad una realt mutevole e diversificata. Strade alternative e peculiari oggetto di attenzione in questo elaborato, sono quelle che afferiscono alla riflessione sul cosmopolitismo di Seyla Benhabib e quella sulla cittadinanza transnazionale di Reiner Baubck.

a) IL DIRITTO ALLAPPARTENENZA ALLA COMUNITA COME DIRITTO UMANO. LAPPROCCIO COSMOPOLITICO.

La prima prospettiva di superamento si articolata principalmente nel tentativo di svincolare lappartenenza dalla nozione etnica di identit, abbandonando la pretesa di un rapporto biunivoco tra lo status di cittadino e i diritti ad esso collegati. Nel momento in cui lidentit, perde il suo connotato etnico e di appartenenza necessaria ad una collettivit, essa si tramuta in un carattere acquisibile e modificabile, frutto di una scelta personale di inserzione nella stessa. Da queste premesse muove la riflessione di Seyla Benhabib, che si inserisce allinterno del filone del cosmopolitismo. Questo termine - derivante dal greco ksmos, universo ordinato e poltes, cittadino - individua quella corrente della teoria filosofico politica che argomenta lappartenenza di tutti i differenti gruppi umani ad una sola comunit basata una morale condivisa. Tale comunit dovrebbe costituirsi tramite relazioni e strutture politiche che riescano a superare le divisioni sussistenti tra le diverse nazioni. Ne consegue che per questa teoria una societ cosmopolitica caratterizzata dallinstaurazione di relazioni di rispetto reciproco tra individui di varia provenienza. Nella prospettiva di Seyla Benhabib lelemento aggregante , in particolare rappresentato dai diritti umani. Sostiene infatti, che le migrazioni transnazionali port[i]no alla ribalta il dilemma costitutivo che sta a cuore delle democrazie liberali: quello tra le rivendicazioni del diritto sovrano allautodeterminazione, da una parte, e ladesione ai principi universali dei diritti umani25.

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S. BENHABIB I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, Milano, Raffaello Cortina editore, 2006, p.2

Al centro della sua tesi, Benhabib, colloca una nozione di appartenenza politica, intesa come iscrizione volontaria a una comunit, condizione definita di adesione democratica, postulando che ogni singolo individuo sia in grado di determinare la propria vita attraverso scelte. Le adesioni democratiche dovrebbero fungere da strumento per risolvere il doppio vincolo tra ladesione ai principi universali dei diritti umani e il diritto allautodeterminazione; ci proprio in ragione del fatto che i diritti umani universali si riferiscono alumanit in quanto tale e non possono essere subordinati alla cittadinanza o a qualsiasi altra forma di appartenenza. La questione dellappartenenza e delle molteplici declinazioni della stessa , dunque, centrale nellottica di Benhabib. Dalla affermazione per cui lo status di titolare dei diritti dipende dal riconoscimento dellappartenenza26, lautrice deriva, in prima battuta, che qualora un individuo non appartenga ad alcuno Stato, possa essere logicamente considerato privo di diritti e perci visto come un reietto. Alla luce delle considerazioni precedenti propone, quindi, lideale di una giusta appartenenza, il cui mancato soddisfacimento si traduce in una violazione del diritto di avere diritti, mutuando, in questo senso, la riflessione di Hannah Arendt sullapolida e sullappartenenza come diritto umano inalienabile27. Una condizione di estraneit permanente non solo sarebbe incompatibile con linterpretazione liberaldemocratica della comunit umana, ma rappresenterebbe una violazione dei diritti umani ed dunque da rigettare con forza. Pertanto Benhabib conclude affermando che il diritto di avere diritti trascende le contingenze della nascita che ci differenziano e ci dividono gli uni dagli altri. Il diritto di avere diritti pu realizzarsi solo in una comunit politica allinterno della quale veniamo giudicati non in base alle caratteristiche che ci distinguono alla nascita, ma in base alle nostre azioni, opinioni, a ci che facciamo, diciamo e pensiamo28. La riflessione dellautrice si fonda su una rilettura della filosofia kantiana, in particolare della nozione di diritto di ospitalit ma la trascende, sostenendo che il diritto umano di ospitalit non dovrebbe essere limitato al diritto di semplice visita, ma in alcuni casi anche esteso a permanenza di lungo termine. Nella prospettiva dellautrice, ospitalit significa il diritto di ogni straniero a non essere trattato ostilmente quando arriva in un territorio altrui ed un diritto che appartiene a tutti gli esseri umani in quanto potenziali membri di una repubblica mondiale 29; tuttavia assente unautorit superiore che garantisca in ultima istanza il rispetto dellordine cosmopolitico e di
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Ibidem, p.46 Per H.Arendt, migranti, rifugiati, stranieri privati della legalit perdono lo statuto di persona giuridica che inalienabile. 28 ibidem , p.47 29 Ibidem p.22

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conseguenza, lospitalit rimane frutto d una pretesa morale con [solo] potenziali conseguenze giuridiche rimane unobbligazione volontariamente assunta dal sovrano30. Il diritto ospitalit, in breve, impone un dovere morale imperfetto31 di aiutare ed offrire riparo a chi ne faccia richiesta, ma, pur essendo condizionale (perch permette alcune eccezioni ove lingresso metta in pericolo lintegrit e la sopravvivenza della comunit di arrivo) non pu essere trascurato sulla base di una mera pretesa auto conservativa degli Stati stessi. Daltronde, nellera della globalizzazione e della mondializzazione dei flussi, la teoria politica si trova nella cogente necessit di ridefinire una sovranit post-statuale, ma, argomenta Benhabib, non pu riuscirci se non a patto di mettere in discussione la pretesa degli Stati di mantenere il controllo e la protezione dei confini nazionali e i flussi attraverso gli stessi. Risulta, dunque, preferibile, nellottica dellautrice, un mondo con confini porosi non aperti tout court - ma presenti. Sebbene, infatti, sia cosciente del fatto che le frontiere politiche definiscano alcuni come membri e per ci stesso determino criteri di esclusione32, sostiene che democrazia richiede limiti(boundaries),non confini(borders). I limiti pongono delle limitazioni, ma possono esser flessibili: fanno entrare e uscire. Di essi la democrazia ha bisogno in quanto la rappresentanza ne ha bisogno. Occorre sapere quale entit democratica responsabile verso chi
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. Ci perch la

rappresentanza democratica sottende ladesione dei consociandi ad un progetto di vita comune, rispondente ad alcuni principi validi per ognuno dei membri, il rispetto di leggi uguali per tutti e dunque al contempo ugualmente vincolanti e fattore di libert individuale. Questa condizione il cuore della democrazia ma pu articolarsi in modi differenti, dalle poleis agli Stati-nazione fino a forme diverse di organismi transnazionali (per esempio lUnione Europea); di conseguenza i confini, se pur porosi sono necessari perch forniscono la base per linsistenza di elementi di aggregazione. Pur nellottica di un rafforzamento dei diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e degli immigrati, non vanno, perci, mai perse di vista le esigenze della comunit di accoglienza e deve, dunque, essere comunque rispettata la volont degli organismi democratici territorialmente definiti, di chi cio destinato ad accogliere i nuovi arrivati. Nelle parole dellautrice mentre il demos, inteso come popolo sovrano, deve affermare il proprio controllo su uno specifico ambito

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Ibidem p.24 Ibidem p.29b 32 I criteri di esclusione sono per definizione una tipologia di norme alla cui elaborazione i destinatari delle stesse non sono ammessi in nessuna forma. 33 M. CROCE Diritti, confini e cosmopolitismo: un dialogo tra Daniele Archibudi e Seyla Benhabib, in Reset , n. 112marzo-aprile 2009, reperibile allURL http://www.danielearchibugi.org/downloads/scritti/Diritti_confini_e_cosmopolitismo.pdf

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territoriale, esso pu anche impegnarsi in atti riflessivi di auto costituzione, attraverso i quali possono essere ridefiniti i confini del demos stesso.34 Benhabib individua la soluzione al dilemma tra diritti individuali ed esigenze degli Stati nel riconoscimento del diritto morale al primo ingresso da parte dei rifugiati e dei richiedenti asilo, poich lattraversamento dei confini e la rivendicazione dellaccesso a una comunit politica differente non costituisce un atto criminale, bens lespressione di una libert umana e il perseguimento di condizioni di vita migliori in un mondo che dobbiamo condividere con i nostri simili35. Si agir poi attraverso le iterazioni democratiche per modificare ogni volta il confine accettato dalla comunit in quanto consentono ladattamento reciproco tra societ e migranti e rendono fluide e negoziabili le distinzioni tra cittadini e stranieri.. Il livello di immigrazione accettabile da ogni singola comunit sar, perci, aggiornato dalla democrazia di quella stessa comunit, tramite dei complessi processi pubblici di discussione, deliberazione e apprendimento attraverso i quali le rivendicazioni di diritti universalistici vengono contestate e contestualizzate, invocate e revocate, allinterno delle istituzioni politiche e giuridiche, cos come nella sfera pubblica delle democrazie liberali36. Questo modello di democrazia deliberativa genera una prassi che vede il popolo democratico destinatario e artefice delle proprie leggi. Pi precisamente si d prassi giusgenerativa quando si istituisce un confronto con nuove soggettivit e rivendicazioni inedite, che costringono a riflettere e ripensare le basi stesse dei principi costituzionali, e che in certi casi spingono nella direzione di una nuova e diversa articolazione dei nostri valori fondamentali. Unapertura che altrimenti avverrebbe molto pi lentamente. Quanto esposto non predica lautomatismo della concessione agli stranieri il diritto di appartenenza alla comunit, ma sottolinea la necessit di comprendere che lo straniero non un nemico, bens un essere umano nei cui confronti gli altri uomini hanno un obbligo morale di assistenza e aiuto. Daltra parte, le relazioni e i legami di fedelt multipli e trasversali rispetto ai confini nazionali possono produrre una cittadinanza democratica se, e solo se, sono sorrette da un coinvolgimento attivo e da uneffettiva adesione a istituzioni rappresentative pubblicamente responsabili e trasparenti37. Il carattere transnazionale, dunque, non sufficiente di per s a stabilire una cittadinanza democratica. Affinch questa si affermi, si deve basare su principi democratici, che
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S. BENHABIB I diritti degli altri op.cit., 38 S. BENHABIB I diritti degli altri , op. cit., 142 36 Ibidem, 143 37 Ibidem, 140

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vanno introdotti e consolidati attraverso quei meccanismi come il voto locale e regionale. Lidea che la partecipazione diretta e la garanzia che tutti gli individui possano avere voce in capitolo nelle decisioni che li riguardano siano gli strumenti migliori per renderli degli stakeholders, , nellopinione di chi scrive, pienamente condivisibile. Infatti sollecitando il coinvolgimento nelle questioni pubbliche, integrando a vari livelli, articolando ogni rivendicazione allinterno di un quadro legittimo e trasparente, si raggiunge lobiettivo di far diventare ogni individuo un attore della sfera pubblica a tutti gli effetti e si rafforza lauto-percezione dellindividuo quale membro della comunit. Ad ogni modo, il riconoscimento dei diritti politici a livello locale (come precondizione per una successiva maggiore integrazione) non esclude alcuna soluzione politica innovativa, come listituzione di un parlamento mondiale, ma vincola comunque una rappresentanza del genere a una demarcazione territoriale. In ci lautrice contesta la posizione di Habermas, per il quale il processo di globalizzazione richiederebbe l'istituzione di un governo mondiale, che si faccia garante della pace e giustizia a livello globale, superando lindebolimento della sovranit statale, anzi trascendendo la stessa. Occorre, in sintesi, nellottica di Benhabib aprire una nuova fase dopo quella nazional-statuale della democrazia che, pur non ancora attingendo alla sovranazionalit gi transnazionale poich si salda ad una nuova idea di societ civile non pi interna e sottesa allo stato ma che tendenzialmente sembra quasi oltrepassare questultimo.

b) CITTADINANZA TRANSNAZIONALE E PARTECIPAZIONE ESPANSIVA NELLE RIFLESSIONI DI RAINER BAUBCK

La cittadinanza transnazionale basata sullidea che un nuovo frame work globale, composto da sottogruppi di identit nazionali, prender il posto dellappartenenza ad un solo Stato-Nazione. Nella sua accezione pi ampia, il termine sottende un cambio nellimpostazione metodologica nella ricerca sulle migrazioni: si abbandona, infatti, lapproccio tradizionale che guardava alla migrazione come movimento unidirezionale che si concludeva con lo stabilimento e lassimilazione nella societ di destinazione; si pone enfasi,invece, sul fatto che le migrazioni sono spesso un processo di riattraversamento continuo delle frontiere tra diversi paesi. Dalla seconda considerazione, consegue che persino gli immigrati residenti di lungo periodo possono continuare a mantenere dei forti legami con i paesi di origine e partecipare allo sviluppo di queste comunit, ad esempio tramite le rimesse.
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E opportuno, in primo luogo, evidenziare che la cittadinanza transnazionale ridefinisce le nozioni tradizionali di cittadinanza e sostituisce una singola lealt nazionale dellindividuo con labilit di appartenere a pi Stati-Nazione, tanto nel campo politico, culturale, sociale ed economico. A differenza della cittadinanza nazionale, infatti, in cui gli individui interagiscono in tali ambiti con uno Stato sovrano, la cittadinanza transnazionale trascende i confini territoriali prestabiliti per creare un moderno significato di appartenenza in una societ sempre maggiormente globalizzata. Congruentemente, per questa impostazione, il cittadino dello Stato si definisce a partire da una scelta individuale di appartenenza tramite ladesione ai valori liberal-democratici dello Stato nella sfera pubblica. Applicando il pattern alla cittadinanza transnazionale, pertanto, un individuo avrebbe lopportunit di essere coinvolto civicamente in molteplici comunit o Stati. Similmente alla cittadinanza cosmopolitica, perci, quella transnazionale composta da appartenenze nazionali incrociate e multilivello a determinate societ. In termini di categorie sociali e di forme di appartenenza individuali, i cittadini transnazionali sono segnati da identit e fedelt multiple e viaggiano frequentemente tra due o pi paesi, in tutti i quali hanno creato delle considerevoli reti di interessi. Listituzionalizzazione di questa impostazione, pertanto, allenterebbe i vincoli tra territorio e cittadinanza e condurrebbe, infine, alla costruzione di un ordine globale che cambi per sempre la capacit con cui gli individui interagiscono con le istituzioni di governo. Al limite, in una delle versioni pi ampie, gli Stati vengono ridotti al mero rango di attori intermediari tra il locale e il globale. E opportuno, comunque, tracciare una distinzione tra cittadinanza transnazionale e multiculturalismo. Mentre i cittadini transnazionali portano elementi culturali e sociali dei propri Paesi di provenienza nei Paesi ospiti, e viceversa, il multiculturalismo il risultato della fusione di differenti minoranze etniche o popolazioni indigene a livello micro in un ambiente limitato. Di conseguenza le minoranze etniche e le maggioranze si fondono in uno spazio condiviso. Al contrario, i cittadini transnazionali vivono entro il contesto di due o pi societ che differiscono per ampiezza, finalit, popolazione, leggi, morali e codici culturali e basano la loro interazione in particolare, sul bisogno di riconciliare due localit completamente diverse in un frame pi inclusivo, che travalichi i confini nazionali, la politica e gli stili di vita. Queste considerazioni generali risultano essere particolarmente evidenti nella riflessione sociopolitologica di Reiner Baubck. Le sue ricerche sullintegrazione politica dei migranti si focalizzano, infatti, sulla fase post-migratoria nelle societ riceventi.
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Per lautore, gli individui dovrebbero essere liberi di essere ci che sono, di scegliere le proprie identit e di vivere conformemente ad esse, di conseguenza il riconoscimento di identit multiple e complementari - ad esempio la cittadinanza di uno Stato, lappartenenza a un gruppo etnico, religioso ecc. - deve diventare la pietra angolare della democrazia. Ci naturale conseguenza del fatto per cui, secondo lautore, le identit multiple non vadano concepite come identit in competizione tra loro, ma come identit sovrapponibili in unit. Egli illustra questo concetto tramite il riferimento alla doppia cittadinanza generata dalla migrazione che ha condotto molti Stati a confrontarsi con il tema della lealt o fedelt verso il paese di origine e quello di accoglienza. A tal proposito Baubck osserva che gli Stati hanno elaborato 4 tipi diversi di approcci38: a) un primo gruppo per il quale la cittadinanza dovrebbe essere, in principio, unitaria e quindi la lealt andrebbe concepita come un vincolo esclusivo; b) un secondo gruppo (tra cui gli USA) nei quali si manifesta una forma di tolleranza accondiscendente verso la cittadinanza di origine, che viene ignorata nella sostanza, mentre la lealt nei confronti del paese di accoglienza considerata primaria; c) per un terzo gruppo, la cittadinanza di origine dormiente e si riattiva quando il cittadino avente doppia cittadinanza ritorna nel proprio paese di origine; d) per un quarto gruppo, infine, i doppi cittadini godono simultaneamente dei diritti di due stati potendo, ad esempio, votare dallestero (su cui infra) Per Baubck gli ultimi due approcci sono utili allo sviluppo di identit multiple in quanto riconoscono che per gli immigrati le identit nazionali possono sovrapporsi e non possono essere semplicemente separate, avendo tutte primaria importanza. La costruzione dellidentit andrebbe, pertanto, concepita come un qualcosa di totalmente distinto da un gioco a somma zero, per il quale lacquisizione di una nuova appartenenza ed identit possibile solo se bilanciata dalla perdita delloriginaria; Baubck ritiene, invece,che durante il processo di integrazione a seguito dei processi migratori gli individui si trovino coinvolti in un processo interattivo sfaccettato, in cui i membri dei gruppi maggioritari cosi come i migranti devono essere in grado di integrarsi in una comunit collettiva senza dover rinunciare alle proprie caratteristiche etniche, culturali o religiose e definisce questo processo come di conservazione della precedente appartenenza culturale durante lacquisizione della nuova.

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R. BAUBCK Transnational Citizenship. Membership and Rights in International Migrations, Elgar, Aldershot, 1994 cap. 2

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La cittadinanza transnazionale per Baubck perci, lo ribadiamo, correlata ad allo sviluppo di un senso di appartenenza simultanea, poich migrare tra diverse societ crea nodi sociali multipli ed interessi economici dai quali , per lautore, impossibile e prescindere. Egli la definisce, infatti, come sovrapposizione tra appartenenze a giurisdizioni territoriali diverse che, in certa misura, confondono i loro confini politici39. Questo concetto, ci ricorda lautore, include anche la cd. external citizenship, ovvero linsieme dei diritti di cui continuano a godere i cittadini nel proprio stato di origine, bench residenti allestero (che pu includere anche il diritto elettorale). La cittadinanza esterna oltre a sottendere delle ragioni economiche40, afferisce a considerazioni di tipo culturale e simbolico - lo ius sanguinis ne un esempio e di fatti lAutore sostiene che L'inclusione elettorale dei cittadini che vivono all'estero supportata da concezioni etniche di Nazione che concepiscono della comunit politica non come uno stato territoriale ed i suoi abitanti, ma come una comunit che pu essere dispersa in pi Stati ... Il nazionalismo etnico diventa una giustificazione dominante, quando i diritti elettorali sono estesi non solo agli emigranti, ma anche alle generazioni successive nate all'estero che hanno ereditato la cittadinanza dei genitori41. E possibile ravvisare,daltra parte, nel pensiero di Baubck, una la peculiare attenzione al tema della integrazione politica degli immigrati, che scompone in 4 dimensioni: a)diritti politici, b)identificazione, c)norme e valori, d)partecipazione. Nello specifico, lAutore ritiene che linclusione e lampliamento dei diritti siano fondamentali poich quanto pi numerosi sono i diritti di cui gli immigrati possono godere, tanto pi essi si identificano con la societ in cui vivono e di cui condividono valori politici e norme; e rinviene, al contempo, una relazione positiva tra integrazione e livello di partecipazione e rappresentazione nel sistema politico. Con riferimento a questo tema, che sar poi oggetto di ulteriore trattazione

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Overlapping memberships between separate territorial jurisdictions that blur their political boundaries to a certain extent in BAUBCK R. , KRALER A., MARTINIELLO M., PERCHING B. Migrants Cititzenship: Legal Status, Rights and Political Participation in PENNINX R., BERGER M., KRAAL K. (cur.) The Dynamics of International Migration and Settlement in Europe: a State of the Art, Amsterdam University Press, 2006, p.78 40 In questo senso si pu sostenere che gli emigranti desiderino partecipare perch con le loro rimesse, ad esempio, contribuiscono allo sviluppo del paese e dunque ritengono di avere il diritto di contribuire alle decisioni allocative delle risorse che essi hanno contribuito a creare. 41 The electoral inclusion of citizens living abroad is sup-ported by ethnic conceptions of nationhood that conceive of the polity not as a territorial state and its inhabitants, but as a community that may be dispersed over several state Ethnic nationalism becomes a dominant justification when electoral rights are extended not only to emigrants but also to later generations born abroad who have inherited their parents' citizenship in R. BAUBCK Expansive Citizenship: Voting beyond Territory and Membership, in PS: Political Science and Politics, American Political Science Association, vol. 38, 4, ottobre 2005, p 684

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nella seconda parte del lavoro, risulta interessante riportare le considerazioni di Baubck esposte nel saggio Expansive Citizenship: Voting beyond Territory and Membership. Partendo dalla constatazione della maggiore diffusione del voto dei cittadini residenti allestero rispetto a quello dei non cittadini residenti, lAutore realizza una interessante disamina delle argomentazioni addotte di volta in volta per supportare o rigettare lestensione dei diritti politici oltre il territorio ed oltre la cittadinanza. Tali posizioni sono illustrate sinteticamente dal seguente diagramma:

1)

Il primo approccio cui Baubck fa riferimento il repubblicanesimo civico di tipo classico. Esso pone in peculiare rilievo tanto i confini territoriali come quelli di appartenenza: sono infatti, i soli cittadini presenti nel territorio dello Stato a poter governare ed elaborare le leggi. Evidentemente il diritto di voto un privilegio esclusivo dei cittadini; gli immigrati possono accedere al territorio dello Stato, ma saranno sempre i cittadini, attraverso le proprie leggi, a decidere i criteri di accesso. Ne consegue che non possa essere ammessa tanto la partecipazione dei non cittadini quanto quella dei cittadini allestero.

2)

La seconda impostazione, il nazionalismo etnico, sostiene l'inclusione di espatriati, ma respinge diritti politici per i non-cittadini residenti. Essa concepisce la nazione come una comunit di cultura, discendenza, e valori avente diritto di autodeterminazione. Essa implica, dalla prospettiva giuridica, il criterio dello jus sanguinis; risulta pertanto fondamentale coinvolgere i cittadini allestero nel governo nazionale e altrettanto legittimo, escludere i non cittadini che non sono stati assimilati nella comunit nazionale.

3)

Terzo approccio quello della inclusione territoriale, corrispondente al criterio che Baubck chiama dello jus domicilii. Esso considera il sistema politico democratico come una comunit di individui che sono sottoposti alla stessa autorit politica e le sue leggi e che hanno, quindi, eguali diritti alla rappresentanza e al concorso nella realizzazione delle leggi.
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Secondo questa impostazione , ogni residente permanente in una giurisdizione territoriale dovrebbe quindi beneficiare del diritto di voto. Le due vie per tale obiettivo risiederebbero nella a) naturalizzazione automatica di tutti coloro che hanno risieduto legalmente nel paese per un certo numero di anni b) scollegando le e diritti elettorali dallo status di cittadinanza formale. Al contrario, gli espatriati non potranno essere considerati elettori poich ci comprometterebbe l'integrit del processo democratico, dal momento che coloro che vivono stabilmente all'estero non dovrebbe essere in grado di influenzare la realizzazione di leggi a cui solo i residenti interni saranno sottoposti.
4)

Infine lultima prospettiva, degli interessi in gioco (affected interests) prende spunto dal principio liberale quod omnes tangit ab omnibus approbetur ( ci che coinvolge tutti dovr essere approvato da tutti). Questa visione naturalmente porta a includere i residenti non cittadini nei processi elettorali, ma pu al contempo, essere invocata dagli espatriati se alcuni dei loro interessi vitali sono toccati dalle decisioni politiche prese nei pesi di originaria cittadinanza. Estensivamente, si potrebbe argomentare la giustificabilit del coinvolgimento elettorale anche dei non cittadini non residenti qualora le decisioni di Governi terzi impattassero sugli interessi della popolazione di altri paesi. Tuttavia il limite principale risiede nel fatto che nelle democrazie rappresentative latto elettorale finalizzato alla selezione di rappresentanti titolati del potere di formulazione delle leggi, e dunque non, di norma, orientato al decisioni deliberative su specifiche leggi ( per es. referendum)

Da queste considerazioni Baubck deriva una accezione alternativa, quella della cittadinanza di interessi ( stakeholder citizenship). Essa combina aspetti di tipo repubblicano e aspetti di tipo liberale. Dal primo, mantiene lidea che la cittadinanza sia uno stato di piena appartenenza in un sistema di autogoverno e che i diritti di voto dovrebbero essere in genere legati a tale status. Dalla seconda esso deriva il principio di inclusione, il quale darebbe ai portatori di interesse una pretesa di appartenenza e diritti elettorali . Occorre, tuttavia, rendere meno nebulosa la condizione di stakeholder: trascendendo la mera prospettiva degli interessi in gioco, il principio della stakeholdership richiederebbe linclusione politica degli immigrati ma diversamente da una inclusione basata sul solo dato territoriale potrebbe giustificare una condizione di residenza di lungo periodo e il diffuso requisito che gli immigrati facciano richiesta di naturalizzazione in luogo dellautomatismo.

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Inoltre, esso permetterebbe lestensione del voto agli espatriati ma escluderebbe coloro i quali non hanno mai vissuto nel paese e non consentirebbe laccesso alla cittadinanza a coloro i quali pur avendo interessi (economici) nel paese non vi risiedono permanentemente. La cittadinanza di interessi permette non solo di sovrapporre le appartenenze, collocandosi dunque nellalveo della cittadinanza transnazionale, ma anche di appartenenze nidificate (nested - una dentro laltra) relative a comunit incluse in sistemi di governo pi ampi. Ad esempio le municipalit autonome o le province possono essere considerate come sistemi di autogoverno (bench locale) allinterno di Stati con specifici modelli di cittadinanza subnazionale. LUnione europea in questo senso un esempio evidente di sviluppo di un rudimentale modello di cittadinanza sovranazionale. Daltra parte, sostiene Baubck, non c ragione per cui i diritti di voto debbano essere omogenei tra i livelli e non devono necessariamente imitare le regole che presiedono al governo nazionale. Questa considerazione applicata dallAutore al caso dei non cittadini residenti: non si impone lobbligo dellabbandono della cittadinanza originaria, come precondizione per il voto, ma tutto al contrario, si asserisce una distinta concezione di cittadinanza locale come appartenenza acquisita attraverso la residenza in contrasto con la cittadinanza nazionale acquisita alla nascita o tramite naturalizzazione.

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Parte seconda a cura di Rosangela Marincolo

Nel dibattito scientifico e politico sorto negli ultimi anni in Italia attorno al tema della cittadinanza, da pi parti si afferma la necessit di sostenere ed incentivare la partecipazione politica di immigrati e minoranze. La rappresentanza politica, intesa sia come conquista del diritto di voto nelle varie consultazioni elettorali, che come creazione e funzionamento di organi consultivi in un certo senso paralleli a quelli istituiti per i cittadini, da considerarsi parte integrante del processo di integrazione, uno degli elementi fondamentali dellinclusione nella vita pubblica e sociale del paese di inserimento. Purtroppo, almeno fino a tempi recentissimi, la questione della rappresentanza politica stata sostanzialmente relegata in secondo piano, forse meno sentita di altre conquiste, come quella del diritto al lavoro, allalloggio, alla scuola per i figli e allassistenza sanitaria, ma certamente non meno essenziale anche al fine delleffettivo esercizio dei diritti sociali e di cittadinanza. La rappresentanza, infatti, ha un ruolo fondamentale almeno su due versanti. Da un lato si tratta di un aspetto che riveste un valore simbolico fondamentale nel processo di inclusione nella vita di una comunit territoriale e, a questo proposito, il principio della rivoluzione americana no taxation without representation ben sintetizza linsostenibilit di una situazione in cui una parte rilevante della popolazione, che nel nostro paese vive, lavora, paga le tasse, contribuisce in maniera crescente al benessere generale sia esclusa da ogni forma di partecipazione allamministrazione della cosa pubblica, anche a livello locale. Dallaltro lato, oltre alla valenza simbolica di cui si detto, una qualche forma di partecipazione alle decisioni concernenti la vita pubblica permetterebbe ai cittadini stranieri residenti anche di portare avanti in prima persona (e non sempre e solo per interessamento di altri soggetti) le proprie esigenze di miglioramento delle condizioni di vita nel nostro paese.

DIMENSIONE ISTITUZIONALE

Allinterno dellUnione Europea, esistono due regimi distinti per la concessione di diritti politici agli immigrati, a seconda che questi ultimi siano comunitari o extracomunitari. Nel primo caso, infatti, si affermato da tempo lorientamento che scinde i diritti politici (per quanto solo a livello locale) dallappartenenza alla comunit nazionale: il trattato che istituisce la Comunit europea
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(trattato di Maastricht), infatti, approvato l11 dicembre 1991 e ratificato il 7 febbraio del 1992, ha istituito il diritto di elettorato attivo e passivo, sia a livello di elezioni locali che nel Parlamento europeo, per i cittadini dellUnione residenti in un altro Stato membro (capo II, parte 2, art. 8b). La disposizione stata poi ripresa nel 1999 dal trattato di Amsterdam (art. 19), e, nel 2000, dalla Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (artt. 39 e 40). Per quanto riguarda invece il diritto di voto ai cittadini di paesi terzi, i singoli governi nazionali hanno manifestato decise resistenze a delegare allUnione le proprie prerogative di disciplina in materia di accesso alla cittadinanza e ai diritti elettorali per gli stranieri non comunitari residenti allinterno dei propri confini. La maggioranza degli Stati europei che prevede il diritto di voto per gli immigrati extracomunitari ha istituito infatti questo diritto nel corso degli anni 80, indipendentemente da qualsiasi norma comunitaria. Gli Stati membri che hanno finora concesso il diritto di voto agli stranieri non comunitari sono: Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Repubblica di Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria. La grande eterogeneit del panorama europeo in tema di diritto di voto ai cittadini non comunitari la riprova del fatto che in questo campo gli Stati fanno pieno uso della propria sovranit. A seconda dei casi, infatti, beneficiari possono essere tutti gli stranieri o solo i cittadini di determinati Stati; la partecipazione pu riguardare le elezioni comunali (e le sue sub-articolazioni), le provinciali, le regionali, i referendum e anche quelle politiche; si pu trattare di semplice elettorato attivo o anche della possibilit di essere eletti. Il requisito di residenza va da un minimo di sei mesi ad un massimo di cinque anni 42. Per ci che concerne il nostro paese, lItalia rientra fra quei paesi in cui gli immigrati provenienti da paesi terzi (e quindi non membri dellUnione europea), anche se residenti di lungo periodo e titolari di una carta di soggiorno, non sono ammessi a votare (n, tanto meno, ad essere eletti) in nessuna consultazione elettorale. Soltanto diventando cittadini italiani a tutti gli effetti (essenzialmente attraverso la naturalizzazione, per la quale sono necessari almeno dieci anni di residenza in Italia, o il matrimonio con un/a cittadino/a italiano/a) si accede automaticamente al

42

Limpressione che il diritto di voto agli immigrati si una questione che gli Stati sono restii a delegare ad una disciplina sovranazionale avvalorata anche dal fatto che la sola convenzione internazionale che tratti specificatamente dellintegrazione politica degli immigrati, la Convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, stata finora ratificata solo da sette Statu europei (Danimarca, Finlandia, Islanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia), mentre altri tre (Croazia, Repubblica Ceca e Regno Unito) lhanno firmata ma non ratificata.

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diritto di voto. La legge 5 febbraio 1992, n. 91 ha appunto riformato in questo senso lacquisizione della cittadinanza italiana.43 Con la legge 8 marzo 1994, n. 203, lItalia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, adottata dal Consiglio dEuropa nel 1992, ad eccezione della parte che prevede il diritto di voto per i cittadini stranieri (capitolo C)44. A proposito del capitolo C (di cui da pi parti si richiede attualmente lespressa ratifica da parte dellItalia), va notato che lo stesso T.U. sullimmigrazione (d. lgs. 25 luglio 1998. n. 286) prevede allart. 9 che il titolare di carta di soggiorno pu [] partecipare alla vita pubblica locale esercitando anche lelettorato quando previsto dallordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale. Questa singolare incongruenza viene interpretata da alcuni giuristi addirittura nel senso di costituire ordine di esecuzione del Capitolo C. Il voto amministrativo agli immigrati, a certe condizioni, dunque previsto gi dalla normativa nazionale vigente. Loriginario disegno di legge Turco-Napolitano (legge n.40, 6 marzo 1998) prevedeva invece, allart. 38, lestensione immediata di tale diritto agli immigrati in possesso della carta di soggiorno, ma la norma stata ritirata nel corso del dibattito parlamentare. Il dibattito a livello nazionale sul diritto di voto amministrativo per gli immigrati stato improvvisamente e inaspettatamente rilanciato da una dichiarazione dellallora vice-presidente del Consiglio dei Ministri Fini nellottobre 2003, il quale nel corso di un convegno ha ventilato tale ipotesi. Successivamente il suo partito, Alleanza Nazionale, ha concretizzato liniziativa, presentando una proposta di legge costituzionale per modificare lart. 48. La proposta per giace inerte in parlamento. Sia la destra che la sinistra italiane sono state caratterizzate da un atteggiamento restio ad operare riforme sostanziali. In entrambi i casi la corrente giuridica che si affermata quella che sostiene che, per lattribuzione del diritto di voto agli stranieri, anche solo a livello amministrativo, sia necessaria una riforma costituzionale. Questa idea poggia su uninterpretazione restrittiva della parola cittadini contenuta nellart. 48 della Costituzione italiana, il quale recita: sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore et [..]. Secondo gli esponenti di questo approccio, cittadini da intendersi in senso formale, ossia coloro che godono della cittadinanza italiana.
43

Per una trattazione approfondita dei vari casi, si veda Attanasio P., La rappresentanza politica degli stranieri, Caritas italiana - Dossier statistico immigrazione, 2004, 44 I capitoli approvati sono quelli relativi alla libert di espressione, di riunione e di associazione e agli organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale, mentre quello non ratificato concerne appunto il diritto di voto alle elezioni locali.

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In realt, questa posizione, maggioritaria fino alla fine degli anni 80, a partire dagli anni 90 ha cominciato ad essere progressivamente messa in discussione da una seconda corrente della dottrina giuridica, la quale sostiene che la nostra Costituzione non sia incompatibile con il voto agli stranieri. Tra le principali argomentazioni dei sostenitori di questa posizione c il fatto che la parola cittadini contenuta nellart. 48 non sia da intendere in senso formale, ma in senso sostanziale. La stessa Corte Costituzionale in molteplici pronunce ha riconosciuto gli stranieri titolari di diritti o destinatari di principi che nella Costituzione sono sanciti ad esclusivo favore dei cittadini, ritenendo quindi non rilevante il dato letterale dellutilizzo del termine cittadino, o meglio, dando a tale espressione un significato che va oltre la mera cittadinanza formale. Il fatto che leleggibilit alla carica di parlamentare europeo e il diritto di voto a livello comunale per i cittadini comunitari siano stati istituiti nel nostro paese con due leggi ordinarie sembra porre un ulteriore tassello a favore della legittimit della tesi di chi ritiene non necessaria una riforma costituzionale. Anche le modifiche del Titolo V della Costituzione vanno in questa direzione. Da ultimo, stato lo stesso Consiglio di Stato, nel parere n. 9771/04 del marzo 2005, ad esprimersi favorevolmente circa la possibilit di estendere il suffragio locale agli stranieri senza bisogno di una modifica costituzionale45. A livello locale, da parte di diversi enti italiani, da qualche anno a questa parte stanno partendo significative e crescenti iniziative nella direzione di un rinnovamento della democrazia in generale, e di un allargamento dei diritti politici agli immigrati in particolare. Queste iniziative si inseriscono in un movimento che volto a riscoprire e valorizzare la cittadinanza democratica. Tale movimento ha trovato il suo punto di partenza nellesperienza del bilancio partecipativo in varie aree del Sud America, in particolare nel comune brasiliano di Porte Alegre. Pratiche e teorie di democrazia partecipativa hanno cominciato a diffondersi da qualche anno anche in Italia, in particolare, diversi enti locali che condividono la concezione inclusiva della democrazia stanno portando avanti il progetto della modifica del proprio statuto per includervi il diritto di voto per gli immigrati residenti46.

45

Asgi-Fieri (a cura di), La partecipazione politica degli stranieri a livello locale, Torino, 2005

46

Giovanni Allegretti e Alberto Magnaghi, ricercatori del Laboratorio per la Progettazione Ecologica degli Insediamenti (Lapei) dellUniversit di Firenze, hanno redatto la Carta del Nuovo Municipio, documento in cui vengono tratteggiati i principi a cui una citt realmente inclusiva e partecipativa dovrebbe attenersi. Questo documento ha ispirato nel 2003 la nascita dellAssociazione Rete del Nuovo Municipio (ARNM), che unisce esponenti del mondo accademico, delle amministrazioni e della societ civile interessati a portare avanti questo approccio nei propri territori.

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La maggioranza dei comuni ha optato per un via prudente, prevedendo laccesso degli immigrati al voto solo per i consigli circoscrizionali o di quartiere (o consigli municipali, nel caso in cui le circoscrizioni siano veri e propri municipi) e/o per i referendum consultivi comunali: il caso, ad esempio, dei comuni di Forl, Cesena, Mogliano Veneto (TV), Torino, Ancona, Perugia, Terni, Bologna, Campobasso. Pochi altri si sono spinti oltre e si sono attivati per inserire nei propri statuti norme che prevedono il diritto di voto agli immigrati per le elezioni comunali. Si tratta dei comuni di Brescia, Ragusa, Bassano Romano (VT), Delia (CL), Venezia e Genova. Si sono mosse anche alcune province come Cremona, che nel novembre del 2003 ha approvato una mozione per la modifica del proprio statuto in direzione del riconoscimento del diritto di voto agli immigrati a livello provinciale, e nella stessa direzione andata la provincia di Reggio Emilia. A livello regionale unimportante iniziativa stata avviata dalla Toscana, che, nel nuovo statuto del luglio 2004, si detta favorevole allestensione del diritto di voto agli immigrati. Anche la Regione Friuli-Venezia Giulia e la Regione Emilia-Romagna si sono mosse in questa direzione47. Gli enti locali italiani che stanno intraprendendo queste iniziative legittimano il loro diritto ad intervenire in questo settore con molteplici argomentazioni, tra cui il processo di decentramento amministrativo (Testo Unico sullordinamento degli Enti Locali, D.Lgs 267/2000) e le nuove possibilit aperte dalla riforma delle autonomie locali. Le modifiche effettuate al titolo V della Costituzione nel 2001 attribuendo maggiore autonomia agli enti locali e, in particolare, attribuendo ai comuni potest normativa nel campo della partecipazione democratica, autorizzerebbero gli enti locali ad operare sperimentazioni in questo senso. Oltre al principio di sussidiariet e allinterpretazione espansiva dellart. 48 della Costituzione, inoltre, un riferimento importante per questi enti locali quello sovranazionale. Molti si rifanno infatti a convenzioni e trattati internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti delluomo. Dietro gli accesi dibattiti dottrinali che oppongono chi sostiene che i comuni abbiano la facolt di attribuire il diritto di voto agli immigrati residenti semplicemente modificando il proprio statuto e chi invece sostiene che occorra una modifica della Costituzione e/o una legge ordinaria, la partita che si gioca interamente politica, tra due visioni diverse della democrazia e del ruolo dellente locale. Il governo di centrodestra della legislatura 2001-2006, ha attaccato gli statuti delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, i quali, per, nel dicembre del 2004 sono stati dichiarati validi dalla Corte Costituzionale, che ha affermato che le norme regionali sono di carattere prescrittivo e non
47

Per una lista dettagliata delle iniziative degli enti locali per lestensione del diritto di voto agli stranieri per le elezioni comunali e circoscrizionali/municipali e per i referendum consultivi comunali, si veda Asgi-Fieri (a cura di), La partecipazione politica degli stranieri a livello locale, Torino, 2005

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vincolante, una sorta di enunciato culturale e politico. La legislatura di centrodestra si opposta anche alle modifiche statutarie dei comuni: il 22 gennaio 2004 il Ministero dellInterno ha fatto notificare ai comuni la circolare n. 4, nella quale viene intimato di non intraprendere percorsi contrari allordinamento vigente, come concedere autonomamente lelettorato attivo e passivo agli immigrati alle elezioni amministrative, ma anche alle elezioni degli organi di decentramento comunale (consigli circoscrizionali o di quartiere), in quanto attivit che richiederebbero la titolarit della cittadinanza italiana. In seguito a questa circolare, la Regione Emilia-Romagna, nel cui territorio vi sono diversi comuni che hanno intrapreso iniziative di modifica del proprio statuto, ha chiesto al Consiglio di Stato di pronunciarsi riguardo allammissibilit dellelettorato attivo e passivo dei residenti stranieri non comunitari nelle consultazioni circoscrizionali. Nellestate del 2004, il Consiglio di Stato, smentendo parzialmente il governo allora in carica, ha dichiarato che, per ci che concerne i consigli circoscrizionali, lestensione del diritto di voto spetta agli statuti comunali, perch i consigli circoscrizionali sono considerati organi di decentramento comunale e non di governo. Per lattribuzione del diritto di voto agli stranieri negli organi di governo, come i consigli comunali, provinciali, regionali, invece, secondo il Consiglio di Stato, se non necessaria una riforma costituzionale per indispensabile una legge ordinaria, per tutelare il principio delluniformit giuridica sul territorio nazionale48. La modifica dello statuto del comune di Genova, portata a termine il 27 luglio 2004, infatti stata annullata da un decreto del Presidente della Repubblica, basato sul parere che il Consiglio di Stato ha espresso il 6 luglio 2005, nel quale ha ribadito che le decisioni in materia di attribuzione di diritti politici agli stranieri sono di competenza statale. In tale parere, peraltro, il Consiglio di Stato contraddice quanto aveva affermato un anno prima, sostenendo che anche le circoscrizioni esercitano funzioni di governo, ovvero assolvono a pubbliche funzioni che, in mancanza di una legge nazionale, devono ritenersi precluse ai non cittadini. I due pareri del Consiglio di Stato citati segnano evidentemente una battuta darresto per quel movimento politico avviato dagli enti locali che, anche attraverso ladozione di atti formali la cui legittimit era consapevolmente incerta nellattuale quadro legislativo e costituzionale, ha avuto il merito non indifferente di sollevare un problema che resta irrisolto a livello centrale. Lattivit di lobbying degli enti locali nei confronti del governo continua per in altre forme: la commissione
48

Si segnala comunque lesistenza di una corrente minoritaria, seppur sostenuta da alcuni autorevoli giuristi (tra cui Vittorio Angiolini e Giovanni Palombarini), secondo la quale i comuni avrebbero gi, allo stato attuale, la possibilit di legiferare in materia di diritto di voto agli immigrati.

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immigrazione dellAnci (Associazione nazionale comuni italiani), ad esempio, ha predisposto un progetto di legge sullattribuzione del diritto di voto amministrativo agli stranieri residenti, approvato dal Consiglio nazionale a Terni il 5 dicembre 2005. Non si potr ignorare ancora a lungo la crescente pressione proveniente da una parte degli enti locali e della societ civile per adeguare alla realt la nostra legislazione in tema di diritti politici agli immigrati.

ORGANISMI CONSULTIVI IN ITALIA

Nel nostro paese gli organismi consultivi per stranieri hanno una storia ventennale. La prima legge che in Italia ha regolamentato il fenomeno migratorio, la 943/1986, prevedeva anche listituzione di una Consulta nazionale per i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie (art.2.1), nonch di Consulte regionali (art.2.7). La consulta nazionale era istituita presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, con lo scopo di affrontare i problemi dellimmigrato in quanto lavoratore, ossia prevalentemente accesso al lavoro e prima accoglienza. Questa impostazione era palesata anche dalla composizione della consulta, della quale facevano parte rappresentanti sindacali, dei datori di lavoro, delle autonomie locali, delle associazioni assistenziali operanti a favore degli immigrati, esperti designati dai Ministeri di Pubblica istruzione, Interno, Affari esteri e Finanze. Sia la consulta nazionale che le consulte regionali, inoltre, prevedevano la presenza di rappresentanti degli immigrati, scelti per non su base elettiva, ma per cooptazione e attraverso la mediazione dellassociazionismo straniero. La consulta nazionale, in particolare, prevedeva la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori extracomunitari, designati dalle associazioni di immigrati pi rappresentative in Italia. La vaghezza del criterio di selezione degli stranieri, basato sulla maggiore rappresentativit delle associazioni di provenienza, fu allorigine di difficolt che portarono ad un notevole ritardo nellistituzione della consulta, avvenuta soltanto nel luglio 1989, e alla decisione di triplicare il numero dei rappresentanti stranieri. Il modo in cui si decise di affrontare la spinosa questione della rappresentanza immigrata fu quello di designare i membri stranieri della consulta senza ascoltare minimamente quello che avevano da dire le associazioni dei migranti. Anche le consulte regionali, la cui costituzione era prevista entro sei mesi dallentrata in vigore della legge 943/1986, vennero realizzate con molto ritardo e solo alla met degli anni 90 furono quasi tutte costituite. Per quanto riguarda le caratteristiche di questi organismi, sono costituiti allinizio di ogni legislatura e sono composti in media da una trentina di membri (esclusi i
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rappresentanti degli stranieri), che generalmente includono il Presidente della Giunta regionale o un suo delegato, lAssessore al Lavoro o un funzionario dellUfficio del Lavoro, nonch rappresentanti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali, di amministrazioni provinciali e comunali e delle pi importanti organizzazioni italiane che lavorano nel settore dellimmigrazione. Per ci che concerne i rappresentanti degli stranieri, questi sono designati dalle associazioni di immigrati, con lunica eccezione della consulta sarda, nella quale i 6 membri stranieri sono eletti a suffragio universale dagli immigrati che hanno compiuto 18 anni (legge regionale sarda n.46 del 1990). Spetta alla Giunta regionale decidere in base a quali criteri le associazioni di immigrati sono titolate ad esprimere uno o pi rappresentanti allinterno della consulta. In alcune Regioni la legislazione ambigua, specificando soltanto, analogamente alla consulta nazionale, che si deve trattare delle associazioni pi rappresentative. Altre Regioni stabiliscono invece in modo pi puntuale i requisiti che devono essere soddisfatti dalle associazioni di immigrati, che consistono in primis nellessere legalmente riconosciute e iscritte allalbo regionale. In alcuni casi reso esplicito lo sforzo di garantire adeguata presenza di tutte le aree geografico-culturali (Umbria) o delle maggiori comunit di immigrati extracomunitari residenti nel territorio della Regione (Piemonte) anche attraverso listituto della supplenza, concepito in termini di rotazione periodica dei rappresentanti di diverse associazioni di immigrati affini quanto a base etnica (Lombardia). Alcune legislazioni regionali qualificano ulteriormente la rappresentanza degli immigrati, garantendo formalmente la presenza di particolari categorie allinterno della consulta: le donne (Puglia e Toscana) e gli studenti ( Lombardia e Umbria). Il numero dei rappresentanti immigrati piuttosto variabile, dai 18 dellEmilia-Romagna ai 6 della Sardegna, passando per gli 8 del Lazio. Nel caso di Toscana e Puglia non addirittura previsto alcun limite numerico, della consulta fanno parte rispettivamente uno o due rappresentanti di ciascuna associazione di immigrati che sia iscritta allalbo regionale. Per ci che concerne il ruolo di questo organismo, le consulte regionali non dispongono di poteri decisionali, ma hanno compiti di attivazione e di orientamento del processo decisionale. Tale ruolo consultivo inoltre limitato alle politiche in materia migratoria: le consulte regionali sono infatti tenute ad esprimere il loro parere sui piani annuali e triennali predisposti dalla Regione sulle politiche dimmigrazione, con particolare enfasi sulla promozione socio-economica e lintegrazione culturale degli immigrati. Le consulte sono generalmente concepite come meccanismi per la trasmissione di informazioni alle autorit locali, da cui il particolare rilievo attribuito a iniziative concernenti la conoscenza del fenomeno migratorio.
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Diversi studi mettono in luce come lesperienza delle consulte regionali sia caratterizzata da diversi limiti e criticit. In particolare, la selezione dei membri stranieri attraverso la mediazione associativa invece che per via elettiva mette in dubbio la reale rappresentativit di questi organismi nei confronti degli immigrati. La scelta di questa modalit di reclutamento da parte delle istituzioni italiane, inoltre, evidenzia un approccio etnicizzante alla questione della rappresentanza degli stranieri, e il fatto che nelle consulte regionali siano presenti sia italiani che stranieri impedisce a questi ultimi di avere un ambito riservato di elaborazione interna, necessario per sviluppare unautonoma azione politica. Dato che gli italiani sono quasi sempre la componente maggioritaria49, infatti, giocoforza che il loro peso sia pi rilevante, tanto pi che le associazioni italiane sono in genere pi numerose, meglio integrate e pi forti di quelle straniere. Altri limiti di questi organismi riguardano la loro funzionalit, ossia il loro collegamento con gli organi di governo locale, che risulta molto scarso, e lassenza di dotazioni finanziarie da gestire autonomamente, che configura unindubbia limitatezza sul piano operativo. Con la legge 39/1990 (cd. Legge Martelli) hanno visto la luce i primi organismi consultivi per stranieri a livello comunale e provinciale. La legge, inoltre, ha fornito la base giuridica ai comuni per modificare i propri statuti e prevedere norme specifiche relative alla partecipazione politica degli stranieri, permettendo a citt come Bologna e Torino di aprire agli immigrati la partecipazione ai referendum consultivi comunali. Nel complesso, comunque, la Martelli non ha fornito innovazioni significative per incentivare la rappresentanza politica degli stranieri, n a livello istituzionale, n a livello dellassociazionismo. La legge Turco-Napolitano (l.40/1998), invece, stata il testo pi rilevante anche per ci che riguarda la partecipazione civica degli immigrati. La legge ha introdotto due organismi consultivi a livello nazionale (la Consulta per i problemi degli immigrati e delle loro famiglie e lOrganismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione) e un organismo a livello provinciale (i Consigli territoriali per limmigrazione), i quali privilegiano la partecipazione degli stranieri attraverso la mediazione del tessuto associativo. La Consulta per i problemi degli immigrati e delle loro famiglie (art. 42.4) stata istituita nel 1998 presso il Ministero per il Lavoro e le Politiche sociali, con lobiettivo di verificare gli eventuali ostacoli nellimplementazione della Turco-Napolitano e disseminare le buone pratiche nella

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La legislazione della Toscana lunica a prevedere formalmente che allinterno del comitato esecutivo della consulta sia garantita la maggioranza agli stranier

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realizzazione delle previsioni legislative, soprattutto in relazione alle politiche per lintegrazione locale. Ne facevano parte rappresentanti dei sindacati, dei datori di lavoro, del governo, delle autonomie locali, delle associazioni per e di immigrati. LOrganismo nazionale di coordinamento per le politiche dintegrazione (ONC) (art. 42.3) si insediato allinterno del Consiglio nazionale delleconomia e del lavoro (CNEL) nel dicembre 1998, con il compito di monitorare e supportare i processi locali di integrazione degli stranieri e la loro partecipazione alla vita pubblica, nonch di promuovere il dialogo tra istituzioni e organismi sociali, allo scopo di individuare buone pratiche nella gestione del fenomeno migratorio. DellONC facevano parte esponenti di: enti locali, uffici provinciali del lavoro, INPS, aziende sanitarie locali, sindacati, associazioni di datori di lavoro e associazioni di immigrati. Sia la consulta nazionale che lONC hanno di fatto cessato di esistere con lentrata in vigore della legge 189/2002, la quale, pur senza modificare gli articoli relativi a tali organismi, non li ha pi riconosciuti. I Consigli territoriali per limmigrazione (CTI) (art. 3.2) sono invece tuttora in vigore. Sono presieduti dal prefetto e riuniscono chi nel territorio provinciale si occupa di immigrazione, con lo scopo di coordinare le rispettive attivit e realizzare progetti comuni. Dei CTI fanno parte: rappresentanti delle amministrazioni dello Stato (prefettura, questura), esponenti della Regione, della provincia e dei comuni interessati, il presidente della camera di commercio, rappresentanti delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro, esponenti delle associazioni che si occupano di assistenza agli immigrati e delle associazioni di stranieri. La designazione dei rappresentanti stranieri avviene per lo pi attraverso una nomina discrezionale da parte delle autorit locali che spesso si avvalgono della consulenza di associazioni ed organizzazioni italiane attive sul fronte immigrazione (sindacati, associazioni cattoliche e laiche). Oltre che scarsamente rappresentativi, gli immigrati presenti nel CTI sono spesso pochi, al di sotto della soglia minima prevista dalla legge. I limiti delle esperienze consultive fin qui richiamate hanno portato, dalla prima met degli anni 90 in poi, alla sperimentazione di nuovi organismi partecipativi per stranieri, costituiti non pi attraverso la cooptazione istituzionale e/o la mediazione dellassociazionismo straniero, bens tramite unelezione da parte degli stessi cittadini stranieri. Si tratta di Consulte e dei Consiglieri aggiunti, organismi istituiti prevalentemente a livello comunale e, in maniera minore, provinciale, il pi delle volte eletti dagli immigrati con modalit di iscrizione alle liste elettorali e di presentazione dei candidati simili a quelle utilizzate per le normali elezioni amministrative.

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Il riferimento normativo costituito dalla legge 39/1990 e, soprattutto, dalla ratifica parziale della Convenzione di Strasburgo, con cui la legislazione italiana ha attribuito agli enti locali potere discrezionale in materia di rappresentanza dei residenti stranieri nelle collettivit locali, tramite la legge 203/1994. La vaghezza della disposizione contenuta nella Convenzione di Strasburgo, che prevede che gli Stati firmatari incoraggino e agevolino la costituzione di determinati organi consultivi [] al fine di unadeguata rappresentanza degli stranieri nelle collettivit locali che hanno nel proprio territorio un numero significativo di residenti stranieri ( capitolo B, art. 5, lett. b), ha favorito una diffusione non omogenea sul territorio nazionale delle strutture consultive locali. La Consulta un organo collegiale, formato da un certo numero di persone, rapportate alla consistenza numerica degli stranieri presenti in un dato territorio ed elette dagli stranieri ivi residenti, con la competenza di intervenire presso le istituzioni e su loro richiesta con un parere non vincolante. La consulta non partecipa alle riunioni del consiglio comunale o provinciale, ma tale possibilit riservata al suo presidente. Alcune realt significative in cui sono presenti consulte sono i comuni di Ravenna, Forl, Cesena, Empoli, Firenze, Padova, Bolzano, Merano, Roma, Bergamo, Perugia, La Spezia, Pescara, Caserta, Pompei, nonch le province di Modena, Reggio Emilia, Rimini, Venezia, Pisa, Torino. Il Consigliere aggiunto (o i consiglieri aggiunti, in caso siano pi di uno), eletto anchesso dalla popolazione straniera residente, partecipa di diritto, ma senza poter votare, a tutte le riunioni del consiglio comunale e delle commissioni consiliari. Attualmente, sono pi di 40 i comuni che hanno istituito i consiglieri aggiunti, insieme alla provincia di Ancona. Le consulte, in ragione dellelevato numero di componenti, sono pi rappresentative, possono svolgere una mole di lavoro maggiore e costituiscono anche un momento di integrazione interna fra i diversi immigrati che vi prendono parte. I consiglieri aggiunti sono meno rappresentativi, non sono in grado di svolgere un carico di lavoro molto elevato, ma possono partecipare a tutti i lavori consiliari e hanno una visibilit maggiore. Si tratta inoltre di un organismo non previsto dalla legislazione nazionale, bens introdotto dalle autorit locali, spesso come forma di pressione nei confronti del governo centrale riguardo alla necessit di regolamentare con una legge nazionale la partecipazione politica degli stranieri. Molti studi concordano sul fatto che le consulte e i consiglieri aggiunti istituiti a livello comunale e provinciale sono in genere esperimenti pi riusciti rispetto alle consulte nazionali e regionali precedentemente analizzate. Il carattere elettivo, il maggior coinvolgimento degli immigrati nelle
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questioni riguardanti lintera comunit locale e una maggiore vicinanza tra gli immigrati eletti e la loro base sono alcuni dei fattori che configurano un miglioramento rispetto alle esperienze precedenti50. I limiti per rimangono ancora molti, alcuni dei quali sono: assenza di collegamento tra le esperienze locali in atto; mancanza di adeguato supporto logistico e finanziario; assenza di percorsi di rafforzamento delle competenze dei membri; scarsa chiarezza di ruoli e funzioni e mancanza di uneffettiva e sostanziale interazione con lamministrazione di riferimento; schiacciamento della maggioranza di questi organismi sulla questione dellimmigrazione.

La presa datto dei limiti che caratterizzano anche le esperienze degli organismi elettivi comunali e provinciali alla base della decisione, da parte di molti enti locali, di puntare decisamente sullattribuzione del voto amministrativo agli stranieri, che ha portato alla stagione della modifica degli statuti comunali, inaugurata dal comune di Forl nel 2001. Chi non ha puntato sul voto, ha in alcuni casi ideato progetti innovativi. E il caso della provincia di Lodi, che allinizio del 2006, avvalendosi anche della consulenza di esperti esterni, ha promosso un progetto (denominato Opa, Offerta di Partecipazione) che cerca di avviare un percorso partecipativo con gli immigrati senza imporre loro modalit precostituite di azione. I protagonisti del progetto hanno infatti preferito realizzare una serie di incontri con gli immigrati che inneschino un percorso reciprocamente conoscitivo, il cui esito finale non prevedibile a priori, e auspicabilmente porter allelaborazione di idee e progetti condivisi.

ALTRE FORME DI AUTO-ORGANIZZAZIONE: ASSOCIAZIONISMO E SINDACATI

Negli anni 70 e nei primissimi anni 80, le associazioni degli stranieri erano espressione delle caratteristiche dellimmigrazione italiana di quel periodo, composta prevalentemente da studenti e da rifugiati politici provenienti dal Medio-Oriente, dal Corno dAfrica, dallAsia, dallAmerica Latina. In questa fase le organizzazioni degli immigrati erano per lo pi espressione di collettivi studenteschi (come lUnione degli studenti islamici in Italia) o di partiti politici attivi nel paese di origine, nonch di sezioni dei diversi Fronti di liberazione nazionale che operavano allestero
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Meli A.-Enwereuzor U., Participation of foreigners in public life at the local level, COSPE, National Focal Point of the European Monitoring Centre on Racism and Xenofobia (EUMC), 2003

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(eritreo, palestinese, filippino, iraniano, iracheno, ecc.). Lo scopo delle associazioni di stampo politico era prevalentemente la lotta ai regimi dittatoriali dei paesi dorigine, anche tramite la sensibilizzazione alla propria causa in Italia, dove trovavano lappoggio di partiti, movimenti e sindacati a loro affini. Il periodo compreso tra i primi anni 80 e i primi anni 90 invece caratterizzato dalla nascita e dal decollo dellassociazionismo immigrato costituito per affrontare le condizioni degli immigrati in Italia. Nella prima met degli anni 80, infatti, lincremento dellimmigrazione per lavoro e la presa di coscienza da parte di molti migranti del loro progressivo radicamento nel nostro paese, uniti allinasprimento delle loro condizioni di vita e di lavoro, portarono alla costituzione di associazioni che avevano come scopo il sostegno agli immigrati, sia dal punto di vista materiale (orientamento, pratiche burocratiche, alloggio, ricerca di un lavoro, rivendicazione di diritti) che ricreativoculturale (organizzazione di feste e ritrovi, preservazione cultura dorigine). Molte di queste associazioni erano incoraggiate e sostenute dai sindacati e da associazioni cattoliche. Si costituirono cos le prime alleanze tra organizzazioni immigrate e italiane, con corrispettive piattaforme rivendicative a sfondo politico-sociale, che contribuirono allemanazione della prima legge organica di regolamentazione delle presenze immigrate, la 943/1986.51 La promulgazione della 943 segn linizio di unescalation nellautorganizzazione e nellassociazionismo di e per immigrati in Italia, una sorta di et delloro. Il movimento che si innesc in questa fase svilupp una pressione sociale significativa, che contribu non poco alla promulgazione della legge Martelli, la cui emanazione, a sua volta, aliment questonda di fermento dellassociazionismo, sia nella fase che precedette la sua promulgazione (alla preparazione del testo furono chiamati a partecipare anche i diretti interessati), sia nella fase che la segu. La grande mole di lavoro necessario per la gestione della sanatoria, infatti, assegn un ruolo fondamentale alle associazioni di immigrati, nonch alle associazioni del volontariato laico e cattolico e ai sindacati, che supportarono gli immigrati desiderosi di regolarizzarsi. Risalgono a questi anni anche importanti esperienze di auto-organizzazione, come loccupazione a scopo abitativo dellex-pastificio abbandonato della Pantanella, a Roma, effettuata nella primavera del 1990 da parte di qualche migliaia di lavoratori di diverse nazionalit. Si tratt di unesperienza che vide come protagonisti quasi esclusivamente gli immigrati, organizzatisi anche grazie alliniziativa dei militanti della UAWA (United Asia Workers Association), unassociazione di

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Mantovan C., Immigrazione e cittadinanza, Auto organizzazione e partecipazione dei migranti in Italia, 2007, op. cit. p. 76

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cui facevano parte lavoratori pakistani, bangladesi e asiatici in genere, sorta un anno prima con lobiettivo di difendere i diritti dei lavoratori immigrati, e protagonista di alcune importanti lotte dei primi anni 9052. Un altro importante impulso alla formazione di associazioni e coordinamenti di immigrati di questi anni fu dato dalle prime leggi sullimmigrazione. I nuovi spazi aperti dalla legge 943/1986 in ordine alla partecipazione e alla regolarizzazione, il riconoscimento del diritto alla tutela dellidentit culturale e le nuove provvidenze previste furono infatti allorigine di una rilevante crescita di associazioni di immigrati. La successiva legge 39/1990, attribuendo alle Regioni la possibilit di fornire un supporto economico alle associazioni di immigrate iscritte allalbo regionale, provoc un ulteriore incremento dellassociazionismo formale immigrato. Le istituzioni e le organizzazioni italiane cominciarono a porsi il problema di come individuare dei referenti allinterno del variegato mondo dellimmigrazione. Per ridurre la complessit del mondo che si trovavano davanti, gli italiani non trovarono di meglio che spingerli ad associarsi, preferibilmente in base alla nazionalit dorigine. In questo periodo dunque si assiste alla nascita di un associazionismo indotto, che risponde pi alla mentalit e alle esigenze della societ daccoglienza che a quelle degli immigrati. Gli immigrati spinti a costituire associazioni e reclutati come rappresentanti degli stranieri, inoltre, in mancanza del criterio elettivo erano scelti fra coloro che le istituzioni e organizzazioni italiane riuscivano a raggiungere con pi facilit. Altra caratteristica dellauto-organizzazione dei migranti in questa fase, era la creazione di coordinamenti di immigrati, creati sia a livello locale che nazionale, quasi sempre con il supporto di importanti organizzazioni italiane, come i sindacati o la Caritas. In questa fase vide la luce, ad esempio, la FOCSI (Federazione delle organizzazioni e delle comunit straniere in Italia), un coordinamento nazionale di quattordici organizzazioni di immigrati provenienti da undici paesi diversi, costituito con lobiettivo di porsi come promotore e capofila di un movimento federativo nazionale degli stranieri. Le contraddizioni presenti nella fase doro dellassociazionismo e della mobilitazione degli immigrati, sono in parte responsabili dellavvio di una terza fase, tuttora in corso, dellassociazionismo migrante, la fase del ripiegamento, in cui i grandi progetti di coordinamenti unitari e di lotte collettive per i diritti degli immigrati cedono il passo ad un associazionismo prevalentemente locale, frammentato secondo linee etniche, nazionali e/o religiose, che

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Ibidem, p.77

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abbandona gli obiettivi pi strettamente politici per diventare prevalentemente solidaristico, culturale, ricreativo. Nel corso di tutti gli anni 90 si assiste ad un peggioramento del clima nei confronti degli immigrati; la societ italiana, infatti, dopo le aperture degli anni 70 e 80, si rivela sempre meno ben disposta nei confronti degli immigrati ed emerge una generale caduta di attenzione verso i gruppi organizzati di immigrati. Gli stranieri vedono peggiorare la loro situazione sia dal punto di vista materiale che dal punto di vista simbolico della loro percezione da parte della societ italiana e della loro rappresentazione nel discorso pubblico politico e mediatico. Complici i mass media, si diffonde in questi anni una criminalizzazione del clandestino e dellimmigrato in quanto tale, che porta parte della popolazione italiana, spinta da reali fattoti di disagio, a scaricare sugli immigrati la responsabilit del peggioramento delle proprie condizioni di vita53. Le associazioni di immigrati appaiono attualmente frammentate e scarsamente collegate tra di loro, sia a livello locale che nazionale. La tendenza attuale degli immigrati quella di occupare spazi diversi, meno ingombri e problematici, mettendo mano a gruppi meno pretenziosi, di carattere amicale e settoriale, che si occupano di sport, tempo libero, promozione della cultura dorigine, organizzazione di feste e celebrazioni varie. Chi invece non ha risentito delle contraddizioni dellassociazionismo etnico sono le associazioni di stampo religioso, che hanno anzi consolidato il loro ruolo. Le uniche forme di azione unitaria che gli immigrati hanno messo in campo negli ultimi anni riguardano manifestazioni organizzate in occasione di emergenze particolari, come le mobilitazioni per il permesso di soggiorno nel 2000 e quelle contro la Bossi-Fini, che hanno visto il loro apice nellimportante manifestazione nazionale organizzata a Roma il 19 gennaio 2002. In seguito a queste mobilitazioni si costituito il Comitato Immigrati in Italia, un coordinamento di associazioni di immigrati su scala nazionale, che per non sembra avere particolari rapporti con la FOCSI, tuttora esistente. Solo in parte diversa la vicenda legata al rapporto tra sindacati e mondo dellimmigrazione. Nei primi anni 80 infatti i sindacati si sono di fatto candidati ad un ruolo di supplenza rispetto alla necessit di dar forma ad una politica dellimmigrazione. In assenza di una legge infatti, i sindacati hanno fornito assistenza e supporto agli immigrati, dando prova della propria tradizione storica di solidarismo universalistico. I sindacati di diversa collocazione politica, cattolica e socialista, si sono attivati anche per creare delle strutture ad hoc per immigrati, distinguendosi per le soluzioni
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Ibidem, p.81

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adottate. Cos, ad esempio, la Cgil ha provveduto in particolare a istituire uffici immigrati specifici nellambito delle Camere del Lavoro, mentre la Cisl, accanto alle federazioni di categoria che si occupano di questioni lavorative, ha dato vita ad una specifica struttura per le tematiche connesse alla partecipazione ed alla tematizzazione dellaccoglienza e dellintegrazione degli immigrati (si tratta dellAnolf, lassociazione nazionale oltre le frontiere, istituita nel 1991). Nellambito dei sindacati agli immigrati stato riservato prevalentemente il ruolo di iscritti, ma rivestono altres sempre pi anche ruoli di rappresentanza dei lavoratori; inoltre i sindacati sono riusciti a intercettare una gamma di gruppi etnici pi diversificata, sebbene anche in questo caso, solo alcune nazionalit risultano essere pi rappresentate (si tratta di senegalesi, marocchini, tunisini, ghanesi). Anche in questo caso emergono tuttavia elementi di criticit. In primo luogo la forte diversificazione tra le possibilit offerte dalla partecipazione sindacale al Nord e nel Sud Italia, dove la presenza immigrata nei sindacati pi esigua e gli interventi messi in campo limitata; ancora, la presenza in termini quantitativi di immigrati nei sindacati non sempre si tradotta in presenza di qualit, che avrebbe cio potuto manifestarsi come sviluppo delle capacit di esercitare un ruolo forte e significativo allinterno dellorganizzazione. Soprattutto, anche nel caso dei sindacati si determinata la prassi della cooptazione, prassi che incide in modo negativo sulle effettive possibilit di sviluppo autonomo dellauto-organizzazione dei migranti. Manca poi una specializzazione della domanda di tutela del lavoro immigrato, che presenta caratteristiche specifiche (si tratta spesso di lavori poco pagati, pericolosi, precari, pesanti), tali da non poter essere efficacemente rappresentate e difese nella cornice unica della tutela del mondo del lavoro tout court. Da questo punto di vista, la logica universalistica, predominante nel mondo sindacale, sembra non aver tenuto nel dovuto conto i fattori che rendono molto pi difficile ai migranti lesercizio dei propri diritti di cittadini e di lavoratori nel nostro paese.

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RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Nel corso del presente elaborato si tentato di mettere in evidenza quale sia limpatto che la dimensione personale della globalizzazione abbia sulle comunit di arrivo dei flussi, con peculiare riferimento alle strutture democratiche. Le migrazioni, si cercato di evidenziare, determinano una profonda dicotomia tra demos sociale e demos politico. Di fatti, la variazione della composizione delle societ sfida lo Stato nazione tradizionale e travolge la tenuta dellidentit tradizionale demos = ethnos. Si dato conto, pertanto dellurgenza del ripensamento del paradigma tradizionale dellappartenenza di tipo etnico, come anche dellindividuazione di nuove strategie di inclusione partecipativa. Si affrontata in prima battuta la riflessione cosmopolitica di Seyla Benhabib. Con lautrice si sottolineata limprescindibilit della cd. giusta appartenenza, del diritto ad avere diritti, da considerarsi come portato dellessere uomo. I diritti umani, proprio in quanto scissi da condizionamenti altri, si pongono , infatti, come le sole precondizioni possibili ai fini dellappartenenza ad un ordine cosmopolitico che trascende le divisioni sussistenti tra le diverse nazioni. Esso, pur non essendo sovranazionale segna comunque un superamento del limite statuale, ponendo come contraltare della pretesa degli Stati per il controllo dei propri confini, lidea di un dovere morale, bench imperfetto, di inclusione negli stessi, proprio in funzione della tutela del diritti umani. Si proseguito poi, illustrando le potenzialit della cittadinanza transnazionale per Reiner Baubock, che si posta come ben pi realistica in ragione del principio dellappartenenza multipla. Questultimo riesce a rispondere concretamente alle sollecitazioni che la globalizzazione impone allindividuo poich non predica lobbligo di rinuncia e scelta tra varie appartenenze, bens sottolinea il valore aggiunto delle nested memberships, ovvero delle appartenenze incrociate e multilivello a varie comunit, condizione tipica del cittadino globale. Di seguito si cercato di mettere in luce quale impatto abbiano i mutamenti sociali dovuti ai flussi sui meccanismi partecipativi e si tentato di sottolineare come la teoria politica contemporanea non sia ancora in grado di proporre soluzioni adeguatamente inclusive e realizzabili. Partendo dalla dimensione

istituzionale, si tentato, poi, di costruire una panoramica esaustiva delle sfaccettature nelle quali si estrinseca la partecipazione degli immigrati nelle comunit di arrivo. Si scelto di adottare una
prospettiva di analisi multilivello: da quello comunitario, passando, ovviamente dalla dimensione statuale, alle sue sub articolazione, fino a giungere alle forme di auto-organizzazione le pi variegate.

Associazioni, sindacati, soggetti responsabili nellambito delle reti di policy, hanno intrapreso percorsi di costruzione di relazioni con il mondo degli immigrati (ancorch disegnati su linee etniche) ma tali strategie non hanno ottenuto i risultati auspicati di realizzazione delle dinamiche
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di auto-organizzazione delle reti di immigrati. La mancata sovrapposizione tra associazionismo formale e informale, ha infatti finito con lindebolire le dinamiche spontanee di mobilitazione regredite entro la sfera infra-politica dei diversi gruppi etnici, senza, tuttavia, sostituirvi compiute e autonome vie alternative di mobilitazione. Se vero, come commenta Zincone, che i deboli *+ hanno bisogno di alleanze con una parte dei forti per vincere, e che quindi, nellampliare lo spazio della cittadinanza contano le strategie politiche adottate dalle lite, a tale mossa dallalto, occorre tuttavia che si accompagni, al tempo stesso, una mossa dal basso, da parte degli stessi soggetti deboli. In questo senso quindi, i fenomeni associativi, le dinamiche di produzione del capitale sociale nelle reti di interazione tra soggetti acquistano un particolare rilievo, configurandosi come una delle possibili alleanze tra deboli e forti. Al momento tuttavia lo spazio delle interazioni possibili tra societ ospite e comunit immigrate nel nostro paese, sembra limitare le opportunit per costituire tale alleanza. Sotto questo profilo, la democrazia nel nostro paese sembra soffrire di un deficit di coerenza e di ambizione, rispetto ai suoi principi costitutivi e rispetto alle mete da raggiungere. Le sfide del futuro richiamano dunque i regimi liberal-democratici a rispondere alla domanda di cittadinanza dei nuovi esclusi e poveri di diritti, dentro e fuori dei confini degli Stati.

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