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SERGIO CRIPPA

HOMO
SCEMENS
CRONACHE DI LUCIDA
CRIMINALITÀ AMBIENTALE
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© 2006 Sergio Crippa


© 2006 Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri

Quest'opera è rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione-Non


commerciale-Non opere derivate.
Per il testo integrale della licenza si veda:
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http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/ (originale inglese)

direttore editoriale: Marcello Baraghini


www.stampalternativa.it
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Ecoalfabeto
collana diretta da Stefano Carnazzi

Grafica: Nicola Ventura

Stampa: Graffiti – Roma

Ecoalfabeto – i libri di Gaia


Per leggere la natura, diffondere nuove idee, spunti inediti e originali. Spie-
gare in modo accattivante, convincente. Offrire stimoli per la crescita perso-
nale. Trattare i temi della consapevolezza, dell’educazione, della tutela della
salute, del nuovo rapporto con gli animali e l’ambiente.

i libri di con il contributo di

Le emissioni di CO2 conseguenti


alla produzione di questo libro sono
state compensate dal processo
Gaia Animali & Ambiente di riforestazione certificato
Impatto Zero®
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Sergio Crippa, 50enne illustratore, designer e vignettista satirico da molti


anni. Collabora con agenzie pubblicitarie e studi di design, si è occupato con
una vignetta satirica di temi ecomici sul sito Bluinvest.com, di ecologia sul
quotidiano “La Stampa”. Ha una rubrica settimanale sul sito di eco-cultura
LifeGate.it e una sul mensile di nuova economia “Millionaire”. Ha parteci-
pato a mostre a Forte dei Marmi, Tolentino, Comix for help; e vinto diversi
premi: Olio di satira 2003 e 2004 e Spotorno Comics 2002.
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Vignette, satira
e ambientalismo
Dall’ Homo sapiens all’ Homo scemens: questa, ahinoi,
sembra essere l’attuale traiettoria evolutiva dell’essere umano;
con il risultato che il suo modello di sviluppo dominante, di
cui orgogliosamente si vanta, lo sta portando dritto sparato
verso la futura estinzione.
Informare, far riflettere su questo, ma anche sorridere e di-
vertire, è lo scopo di Sergio Crippa in questo delizioso volu-
metto. Usando lo strumento immediato e diretto delle vi-
gnette – graffianti, pungenti, illuminanti, sempre abbinate e
affiancate da verificate informazioni e dati scientifici –
l’autore prova a evitare, in modo spiritoso ma documentato,
che le conseguenze degli orrori quotidiani della razza uma-
na su sé stessa, sull’ambiente e sul pianeta passino inosserva-
te: perché volutamente oscurate da chi ha interessi economici
in gioco o perché sommerse dalla “fuffa” di pseudo-notizie che
ci sfiniscono.
Crippa, utilizzando un altro media, fa ciò che con gran suc-
cesso esprime Beppe Grillo: satira (ma anche controinforma-
zione) sul rapporto malato tra ambiente ed economia e pro-
duzione industriale. Le vignette qui presentate fanno venire

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in mente alcuni passaggi dello spettacolo Rai del ‘93, quello


per il quale il comico genovese si guadagnò l’esautoramento
dalla tv. Diceva Grillo:

“Io voglio veramente che le cose prodotte siano conve-


nienti per me che le compro. Non è più così… Scusate
un po’: rompo un tergicristallo… sarà successo a tutti, il
gommino… rompo il gommino… vado dal distributo-
re e dico: “Buongiorno…”, giuro è vera, eh? Dico:
“Buongiorno… guardi, ho rotto il gommino, mi dà un
gommino?”. L’addetto agli autoricambi fa la faccia in-
nervosita. “Abbia pazienza, ho rotto solo questo. Io… se
vuole mi do due martellate sul cofano…”, cosa dovevo
dire? Questo qui mi ha detto: “Voi comici venite a pren-
dere per il culo noi che lavoriamo”, “Ma no! Volevo so-
lo questo, va be’, mi dia tutto il tergicristallo”, “Uno?
Due gliene dobbiamo dare”. Due? 40.000 lire, perché
li vendono a due a due. Allora io ho dovuto spendere
quaranta sacchi, 40.000 lire, per un gommino da mil-
le lire. Mi tocca lavorare un giorno di più, perché le co-
se che compro non le trovo. Ma cacchio, lo specchietto…
avete mai rotto uno specchietto? Lo specchietto… cosa ti
cambiano, lo specchietto? Ti cambiano tutto il braccio
elettrico, il piantone della macchina, il seggiolino e il
passeggero se gli sta sulle balle. E allora dico ma… do-
ve le faranno queste cose, amici? Dove le faranno? Do-
ve le faranno? Il gommino da mille lire, sapete dove l’ho

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trovato io? In Svizzera, dove sono miliardari proprio


perché hanno un gommino da mille lire. E allora noi
facciamo queste cose per buttarle via, per rifarle… io ho
un orologio, ho un orologio giapponese… che è pro-
grammato il cinturino per rompersi dopo ottanta volte
che lo piego: è la cosa più precisa dell’orologio… Noi vi-
viamo immersi in questa economia… e buttiamo via le
cose per rifarle, va bene?… e le rifacciamo sempre così.
Lo spazzolino, addirittura, lo devi buttare via perché ti
avvisa, lo spazzolino: quelli che li hanno costruiti sono
gentilissimi, quando devi buttarlo via ti avvisano per-
ché si decolora… che gentili che sono, no? Rischiavi di
usarlo magari una mezz’oretta di più: non vogliono,
non vogliono. E allora prendi e butti via… butti via. E
quando butti via… quando buttiamo via, noi non ci
interessa più: buttiamo via, qualcuno ci pensa… chi lo
sa chi sarà, non m’interessa, non è mica più mio, l’ho
buttato via. E allora noi buttiamo via lo spazzolino, e
chi se ne frega, son dieci grammi di plastica… ma la
plastica si fa col petrolio: dieci grammi, butti via. Se
moltiplichiamo cinquanta milioni di spazzolini è già
una petroliera piccola… e la buttiamo via. Questo qui
va in un fornetto, questa plastica qui… nel PVC c’è il
cluoruro, e a 650 gradi il cluoruro reagisce!… perché
non è un vigliacco!, reagisce. E diventa diossina, che
non è una bestemmia… è un gas... e la diossina va in
cielo… e c’è l’aria che la trasporta per i prati, i campi,

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i mari: va sull’oceano, piove, la diossina va in mare, in


mare c’è il plancton, i pesci mangiano il plancton, tu
vai al ristorante, spendi 80.000 lire per un branzino e
ti sei mangiato il tuo cazzo di spazzolino, eccolo qua! E
allora… allora la tecnica… allora io non devo lavora-
re di più, non posso. Io voglio lavarmi i denti con uno
spazzolino concepito e costruito in un altro modo. Ci
sarà, abbiamo la tecnica. Allora, la tecnica c’è: faccia-
mo un altro spazzolino fatto in un altro modo, per la-
vorare un po’ meno, per non comprarne dieci all’anno.
C’è??? Sì che c’è! Dove l’ho comperato? In Svizzera. Ec-
co perché son tutti miliardari in Svizzera… perché lo
spazzolino lo fanno così: ogni due mesi non buttano via
tutto, ogni due mesi quando è consumato, tac, tengono
il manico e buttano via la testa, con le setole per la pu-
lizia dei denti… non ve l’aspettavate questa! Vado a ve-
dere la marca: “Monte Bianco”, made in Italy; lo fac-
ciamo noi e lo diamo agli svizzeri, pensa come siamo…
una cosa geniale! Abbiamo la tecnica e non sappiamo
usarla”.

Il problema, allora, è l’informazione ecologica. Se ne dovreb-


bero occupare i media. Peccato lo facciano poco e male. La
stampa italiana è poco sensibile all’andamento delle grandi
questioni ambientali ed è attirata, più che altro, dalle noti-
zie che possono offrire il pretesto per usare toni allarmistici e
sensazionalistici.

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È significativa una ricerca pubblicata solo pochi anni fa dal-


la newsletter Ecotrend (si tratta di un’indagine eseguita dal-
la società di comunicazione Gaia in collaborazione con Aiga
– Associazione Italiana Giornalisti Ambientalisti) analiz-
zando per tre anni i principali quotidiani italiani: le tema-
tiche ambientali trovano sempre minore spazio sui giornali,
nonostante aumenti l’interesse del pubblico per questi temi.
Il culto della notizia porta a dare spazio ai temi ambientali
solo in occasione di eventi catastrofici o luttuosi. Perché l’am-
biente faccia notizia ci vuole insomma un’altra Chernobyl, o
un’altra Seveso, o una bella alluvione. Si parla d’ambiente
solo quando da esso provengono delle minacce: gli incendi
estivi, l’inquinamento delle città, l’incidente della petroliera,
le varie emergenze rifiuti.
Il fatto stesso che i temi ambientali siano relegati in cronaca
lascia intuire quanto per trovare spazio sia necessario rap-
presentare situazioni drammatiche. I rifiuti si trattano solo
se c’è l’emergenza, l’inquinamento atmosferico nelle città vie-
ne trattato solo nei mesi invernali quando si riaccendono i
riscaldamenti, l’inquinamento del mare solo in estate. In
questo modo va a farsi benedire una delle funzioni del gior-
nalismo che, informando, svolge indirettamente un ruolo di
formazione, orientamento, educazione dell’opinione pubbli-
ca, stimolo verso gli amministratori e i politici. Un compito,
questo, che per essere svolto ha bisogno di un’informazione
costante su questi temi che dovrebbe lasciare la nicchia della
cronaca e diventare una presenza costante nei media, aven-

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do come obiettivo la creazione di una cultura ambientale in


linea con i grandi quotidiani stranieri.
E allora ben vengano, per promuovere l’alfabetizzazione eco-
logica, le vignette satireggianti, amare, un po’ sarcastiche e
velenose di Crippa, che ci fanno riflettere sulla qualità del
nostro ambiente e della società. Crippa ci offre una grandio-
sa opportunità: il contrasto tra la “pesantezza” delle notizie
di cronaca ambientale (che però passano semi-inosservate) e
la “volatilità” delle vignette (che però rimangono impresse in
mente) ancorano questo libro nella memoria dei lettori am-
bientalisti. Epperò questo mix testo-vignetta aggiunge inte-
ressi e addentellati di riflessione anche ai fruitori della sola
satira, che s’aspettano magari solo di sorridere, e invece do-
vranno pensare.
Crippa mette alla berlina la moderna società dei consumi,
portatrice (mal-sana) del trionfo dell’inessenziale sull’essen-
ziale, dell’artificiale sul naturale, del superfluo sul necessario:
è il sottile filo di divertimento angoscioso, di stralunato hu-
mour che attraversa questo libro.
Scriveva beffardo Michele Serra in Il nuovo che avanza:
“Un tempo i negozi erano come certe chiese protestanti del
Nord. Che sono disadorne e silenziose, e proprio perché nien-
te ti costringe a pregare hai voglia di farlo… I negozi erano
al servizio delle merci, e non viceversa. Come le chiese esisto-
no per le persone, e non le persone per le chiese… Poi c’è sta-
ta una specie di controriforma. Insegne chiassose, luminarie,
filodiffusione, vetrine piene di piante, sassi, rami e fronzoli

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che non c’entrano niente con la merce. Un barocco, un baroc-


co dell’altro mondo. Per impressionare, per stordire, imbroglia-
re… Poesia? Realtà? Satira? Un po’ tutte e tre le cose…”.
Oggi contro la libertà di satira è in atto una intimidazione
supportata da legioni di avvocati del cavillo e dai loro man-
danti. Il diritto di satira è la democrazia stessa, dà la possi-
bilità di mettere in discussione il potere. E allora godiamoci
le vignette di Crippa, tra gli autori più sensibili e attenti agli
sviluppi che la realtà del nostro paese produce nell’eterogeneo
universo delle “questioni ambientali”. Buon sorriso. Amaro.

Edgar Meyer e Stefano Apuzzo

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Il 3 dicembre 2002, nel corso della presentazione di un li-


bro di Bruno Vespa, il premier Silvio Berlusconi lancia pe-
santi critiche al management dell’azienda automobilistica
torinese dando un’originale ricetta anti-crisi: «Cancellia-
mo il nome Fiat; cambiamo con un restyling tutti i modelli,
li facciamo uscire dagli uffici della Ferrari e li lanciamo nel
mondo col prestigioso marchio Ferrari».

Nel giugno 2003 il Consiglio dei Ministri individua in un co-


mune lucano, Scanzano Jonico, il sito ove costruire il deposito
nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari italiane, oggi spar-
se in mezza Italia. Dopo mesi di tumulti in Basilicata, nel di-
cembre 2003 il decreto viene ritirato.
Le operazioni di stoccaggio delle scorie radioattive rappresen-
tano un problema irrisolto del ciclo di produzione di energia
nucleare. La ricerca della soluzione ha goduto per oltre 50 an-
ni di investimenti più massicci di qualunque altra tecnologia
nel mondo. James Clarke, docente di ingegneria a Nashville,
parla d’un progetto per un deposito di 20 ettari a mille metri
di profondità nel Nevada.
Alcuni isotopi del plutonio rimangono fortemente tossici e ra-
dioattivi per oltre 100.000 anni. Nessuna attività umana do-
vrebbe essere intrapresa senza aver risolto il problema della
chiusura del suo ciclo produttivo, sia in termini tecnici che
economici. Lo postula la disciplina scientifica emergente del-
l’LCA – Life Cycle Assessment.

• Nessuno è stato in grado di quantificare i costi. Unico dato certo: i 170


miliardi di dollari che gli Usa spenderanno per stoccare «temporanea-
mente» le loro scorie nucleari fin qui prodotte.

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Gli americani presto potranno sedersi a tavola e mangiare


un hamburger clonato.

La Food and drug administration (Fda), l’agenzia statunitense


di controllo su cibi e farmaci, è propensa a dare l’ok alla com-
mercializzazione e al consumo di carne e latte provenienti da
animali clonati perché sembra che non presentino alcun rischio
per la salute. L’agenzia sanitaria non rilascia interviste ma il
“Washington Post” affermava, nell’ottobre 2005, che si stava
muovendo in questa direzione.
Pare che nelle fattorie americane centinaia di maiali e vitelli
clonati siano in attesa di conoscere la loro sorte. Molte aziende
produttrici hanno sperimentato, in questi anni, la clonazione
dei propri animali e aspettano soltanto il sì dell’agenzia sanita-
ria. Sono passati i tempi in cui fattori e agricoltori si scandaliz-
zavano per la pecora Dolly, il primo animale clonato da una
cellula adulta nel 1997. Molte imprese agricole stanno facendo
pratica con la nuova tecnica scientifica.

• Ma gli americani stessi sembrano non gradire molto la possibilità. Al-


cuni sondaggi rivelano che il 63% non comprerebbe uova, latte o carne
proveniente da animali clonati. La maggior parte delle mamme non si
fiderebbe a dare latte clonato ai propri figli e molti si sono dichiarati di-
sgustati all’idea di servire in tavola bistecche di vitelli «replicanti».

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Gli Ogm sono piante il cui Dna, con operazioni di “taglia e


cuci genetico”, viene interpolato con tratti genetici di altre
specie, di batteri, di altri vegetali, di animali.

Gli effetti sull’ambiente della semina in tutto il mondo di mi-


liardi di organismi mai visti in natura non sono noti. La poli-
tica di alcune multinazionali biotech è stata definita arrogante.
Anche gli effetti sulla salute non sono chiari. Molte ricerche so-
no in corso. Si è scoperto che le piante transgeniche avvelena-
vano le farfalle (mais Bt176 su “Nature”, 1999), che avvelena-
no il suolo dalle radici, che sono potenzialmente allergeniche e
non si sa quali e quanti frammenti di Dna mutato o proteine
potrebbero avere effetti nel nostro intestino.
Secondo l’attuale normativa italiana, tutti gli alimenti che con-
tengono ingredienti geneticamente modificati in quantità su-
periore allo 0,9% devono riportare in etichetta la dicitura
“contiene Ogm”.
L’obbligo d’etichettatura non riguarda però carne, latte e uova,
che quindi potrebbero provenire da mucche, maiali e galline
allevati con soia, mais e sottoprodotti transgenici senza che
nulla venga detto.

• In una fattoria olandese un agricoltore lasciò due serbatoi di mais in


magazzino, uno normale, l’altro Ogm. Uno fu saccheggiato e divorato
dai topini. Quello pieno di Ogm rimase intoccato (Institute for Science
in Society, 2002).

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Nucleare, una scelta “intelligente”? L’ambasciatore in Ita-


lia di The Natural Step, Eric Ezechieli, risponde così:

«1. Il nucleare è economicamente sconveniente e non compe-


titivo rispetto a investimenti in efficienza energetica e alle mo-
derne fonti rinnovabili.
2. L’uranio si sta esaurendo.
3. Non è risolta la questione dello stoccaggio delle scorie e del-
la radioattività da estrazione, movimentazione, utilizzo.
4. Le centrali vecchie non sono sicure. La centrale media al
mondo ha oltre 21 anni, è già prossima alla dismissione o oltre
la soglia di uso sicuro.
5. Le centrali nucleari e i luoghi di stoccaggio delle scorie sono
obiettivi dei terroristi.
6. Trend d’investimento in declino: chi non ha centrali non ne
sta costruendo, chi ce le ha le dismette (eccezioni: una nuova
centrale in Finlandia, la Cina, l’Iran, forse la Turchia).
7. Trascurabili i vantaggi in termini di riduzione delle emissio-
ni di CO2 in ottica di Life Cycle Assessment.
8. Tempi lunghi dalle decisioni all’operatività, nell’ordine dei
decenni.
9. Difficoltà in regimi democratici nell’individuare luoghi
adatti per nuove centrali.

• 10. Il nucleare viola tutte le 4 System Condition di sostenibilità di The


Natural Step. 15 anni di esperienza indicano che ciascuna di queste vio-
lazioni porta a un sistematico e inevitabile aumento dei costi e dei rischi
dell’attività svolta».

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Nascono, a Taiwan, tre maialini fosforescenti. Una nuova


pietra miliare nel filone di ricerca sugli xenotrapianti, gli
studi che vorrebbero ingegnerizzare animali transgenici
che possan fungere da serbatoi di organi di riserva per
l’uomo.

I ricercatori del Dipartimento di Scienze Animali dell’Univer-


sità di Taiwan hanno iniettato tratti genetici di medusa in cir-
ca 265 embrioni di maiale, impiantati in 8 maialine “madri”, 4
delle quali rimasero incinte, e 3 ne sono nati (ma s’è saputo so-
lo tre mesi dopo, nel gennaio 2006). Non è la prima volta che
si fa, nel mondo. L’hanno fatto ai conigli.
Perfino il loro cuore e gli organi interni, oltre a occhi, denti e
unghie, emanano una diffusa luce bluette-verdognola.
Una cosa è sicura secondo Roberta Bartocci, Lav: «Esistono ri-
getti nei trapianti tra individui della stessa specie, figurarsi tra
specie diverse; il recente allarme dell’influenza aviaria ci am-
monisce sui rischi di passaggio di virus tra animali e uomo, ri-
schi che con uno xenotrapianto sarebbero esponenzialmente
maggiori. Questi studi non giovano agli animali ma neanche ai
malati e alle loro famiglie». Dopo il cane clonato Snuppy del-
l’estate 2005 e ora i maiali fluorescenti, è preoccupante che i
Paesi asiatici possano diventare la frontiera della ricerca senza
limiti etici.

• Una ricerca, quella sugli xenotrapianti, su cui l’OMS ha imposto una


moratoria nel 1999 per il rischio, definito «incontrollabile», di creazio-
ne e trasmissione di retrovirus da un’altra specie animale all’uomo.

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Quella italiana, nonostante il carico sia in calo, resta un’a-


gricoltura fortemente dipendente dai pesticidi.

Si calcola che ogni anno nel mondo vengano immesse nella


biosfera 2.000.000 di tonnellate di pesticidi.
Il quantitativo di sostanze chimiche utilizzate in agricoltura nel
nostro Paese rimane uno dei più alti in Europa: si stima che
ogni anno da 60 a 70mila tonnellate di pesticidi (fra erbicidi,
battericidi, fungicidi, insetticidi) vengano sparse nei campi col-
tivati (più di quante ne siano state usate in Germania e Regno
Unito insieme). Qualcosa come 450 kg per chilometro qua-
drato di superficie agricola, all’anno.
Un quantitativo impressionante, specialmente considerando
che per ogni chilogrammo di principio attivo utilizzato, solo
10 grammi vengono assimilati dagli insetti “bersaglio” del trat-
tamento: i restanti 990 rimangono nell’ambiente, sui frutti, nel
terreno, nell’acqua.

• È necessario rivolgersi a soluzioni alternative come l’agricoltura biolo-


gica: ritrovare piante rustiche e resistenti, distogliersi dall’agricoltura
standardizzata e ibridata, promuovere un’alimentazione che usi frutta e
verdura anche non immacolata ma senza pesticidi, aiutare le aziende di
agricoltura biologica.

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Alcuni gravi casi hanno scosso il mercato farmaceutico, a


partire dal talidomide, molecola d’un tranquillante che
causò, a partire dal 1961, tra gli 8 e 10 mila casi di nascite
con malformazioni in Europa.

Ben più recentemente (2001) un farmaco anticolesterolo della


famiglia delle statine è stato ritirato dopo le prime 54 persone
morte e 10.000 cause contro il produttore (che per chiudere le
prime 3.000 ha già sborsato 1,1 miliardi di dollari). Tra i far-
maci “di sostituzione ormonale” che promettono alle donne di
ritardare la menopausa e di sconfiggere l’osteoporosi s’è sco-
perto che due, molto diffusi, provocano cancro, embolia pol-
monare, infarto e demenza: in Usa almeno 14 milioni di don-
ne se le sono viste prescrivere. Recente anche il caso del tolca-
pone, farmaco antiparkinson lanciato sul mercato e ritirato po-
co dopo perché provocava casi di epatite fulminante, o della ci-
sapride, venduta in milioni di pezzi per migliorare la digestio-
ne e poi relegata alla prescrizione specialistica perché tossica per
il cuore. Per non citare l’antinfiammatorio Vioxx, al quale sa-
rebbero attribuibili secondo stime Fda quasi 28mila tra infarti
e morte cardiaca improvvisa...
Altri problemi emergono in caso di interazione tra differenti
farmaci, quando si avviano terapie con trattamenti già in atto,
o di interazione tra farmaci e alimenti.

• Solo un errore di metodo nella filiera del farmaco può spiegare l’alta per-
centuale di medicinali ritirati, per danni gravi, dopo la loro commercia-
lizzazione (negli USA, in un recente studio del General Accounting Offi-
ce, sono il 51%). E spiegare il fatto che le malattie iatrogene (procurate dai
farmaci) costituiscono la quarta causa di morte nei paesi industrializzati.

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Oggi, gran parte dell’energia elettrica in Italia è fatta con


petrolio, nafta, pet coke, catrame, carbone... Di questo è
fatta l’energia elettrica per l’83%: proviene da centrali ter-
moelettriche che bruciano fonti fossili e producono elettri-
cità e fumi di combustione, gas inquinanti, tonnellate di
CO2 e scarichi d’acqua bollente.

La soluzione c’è.
Si chiama energia rinnovabile.
È l’energia elettrica che si produce dalle fonti rinnovabili con
impianti idroelettrici, solari e fotovoltaici, eolici, non è causa di
emissioni di CO2 e di inquinamento, non danneggia il clima.
Il petrolio:
– è limitato (le risorse presenti nel mondo stanno per esaurirsi);
– causa inquinamento atmosferico ed emissioni di CO2 e gas
serra;
– è localizzato solo in pochi Paesi (tensioni geopolitiche e con-
flitti);
– è rischioso nel trasporto (petroliere, oleodotti...);
– è una risorsa del passato.
Il sole:
– è illimitato (il sole, come l’acqua e il vento, è fonte perpetua);
– non inquina, non emette anidride carbonica/gas a effetto ser-
ra;
– è ovunque («il sole splende in tutto il mondo» dichiarò l’ar-
tefice della politica energetica tedesca, Hermann Scheer);
– incentiva tecnologie del futuro.

• “L’era dei combustibili fossili è al tramonto – secondo Jeremy Rifkin –


e sta nascendo un regime energetico capace di incanalare la civiltà verso
una strada radicalmente nuova”.

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Stiamo consumando il 20% in più delle risorse naturali che


il nostro Pianeta può produrre, le specie animali sono di-
minuite in media del 40% tra il 1970 e il 2000, del 30% le
specie terrestri e marine, del 50% quelle d’acqua dolce.

Tutto ciò è la conseguenza della domanda umana di risorse ali-


mentari, di energia e acqua. In particolare lo sfruttamento del-
le risorse energetiche è aumentato di circa il 700% tra 1961 e
2001! Sono queste le principali conclusioni cui giunge il Living
Planet Report 2004, il rapporto sull’impatto dell’uomo sul Pia-
neta presentato il 21 ottobre 2004 dal Wwf Italia in contem-
poranea con il lancio internazionale presso il Palazzo delle Na-
zioni Unite a Ginevra.
Gli fa eco il rapporto presentato quasi in contemporanea dal
gruppo di lavoro internazionale sul cambiamento climatico
“Up in smoke”, che ribadisce che il riscaldamento globale ha
un’origine dovuta all’azione umana, ed è inarrestabile. “Up in
smoke” significa che il mondo rischia di andare in fumo. Si-
gnifica che il cambiamento climatico manda in fumo le ric-
chezze delle nazioni, agisce sulla capacità di sopravvivenza del-
le popolazioni, delle persone in povertà. Le popolazioni e le
persone in difficoltà saranno sempre più colpite, e le loro terre
si impoveriranno.

• Le nazioni più ricche, che producono la maggior parte delle emissioni


e consumano le risorse naturali, dovrebbero risarcire quelle più povere,
che patiscono prima e più gravemente le conseguenze dell’effetto serra.
Nel leggere questi rapporti viene da domandarsi quanto tempo resta.

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A chi sta bene pagare 100 euro all’anno in più di bolletta


della luce, 200 euro in più la benzina, dissanguando l’Italia
con 4 miliardi di euro in più all’anno in petrolio continuan-
do a pagare il greggio oltre 70 dollari al barile, queste do-
mande non interessano. Noi le facciamo.

Con il prezzo del greggio in impennata, i grandi mezzi d’infor-


mazione avanzano timori di gravi conseguenze sull’economia
di molti Paesi.
Sono quasi 3mila milioni le tonnellate di petrolio bruciate nel
mondo per energia e trasporti, e 23.000 milioni di tonnellate
di CO2 emesse in atmosfera ogni anno. La CO2 causa effetto
serra.
Quali sono i costi dei disastri ambientali e sulla salute correla-
ti a inquinamento all’effetto serra?
Quanto petrolio c’è ancora nel mondo?

• Salute e petrolio: l’allarme è contenuto nel Rapporto “Environment


Matters 2005” realizzato dalla World Bank in collaborazione con l’Or-
ganizzazione Mondiale della Sanità delle Nazioni Unite. I Paesi poveri
del pianeta sono i più a rischio per inquinamento ed effetto serra. 2 mi-
lioni di decessi l’anno per inquinamento atmosferico, milioni di morti (il
numero è imprecisato) per l’uso di pesticidi petrolchimici. I cambiamen-
ti climatici si stanno rivelando, come causa diretta o indiretta, il fattore
principale dello stato di salute delle popolazioni.

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La Cites è la Convenzione di Washington sul commercio in-


ternazionale delle specie di fauna e flora minacciate di
estinzione, siglata a Washington nel 1973 con la firma di
oltre 130 Paesi.

L’ultimo meeting Cites (svoltosi a Bangkok) ha rafforzato la pro-


tezione di 100 nuove specie che s’aggiungono alla lista di 34.000
in pericolo d’estinzione, ma indebolito la protezione di altre.
Buone notizie per gli oranghi e le tigri di Sumatra: la deforesta-
zione del loro habitat sarà fermata grazie al divieto di esportare il
legno tropicale il cui commercio metteva a rischio. Buone noti-
zie anche per alcuni pesci sempre più rari negli oceani, dal mer-
luzzo antartico al ‘pesce Napoleone’, e per lo squalo bianco. An-
che i delfini di Irrawaddy sono ora più protetti.
Pessime per i rinoceronti. Presa la decisione di riaprire la cac-
cia del rinoceronte, uno degli animali più a rischio della Terra.
È vero, sarà consentita l’uccisione di 10 esemplari all’anno, in
Sudafrica e in Namibia. Ma, secondo le stime, proprio in quel-
le zone sopravvivono solo 300 esemplari di questa specie! Le
preoccupazioni sono fortissime: chi li conterà, su tutto il terri-
torio sudafricano? Chi sorveglierà?
In tutta l’Africa, negli anni ‘70 vivevano 65.000 rinoceronti
neri. Oggi sono 2.000. Domani?...

• Il primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra ha affermato all’a-


pertura del meeting di Bangkok che nessun Paese, da solo, può sconfiggere i
traffici illeciti, che vanno dall’avorio degli elefanti al corno di rinoceronte,
dal legno tropicale alle più rare tartarughe. «Globalmente, solo il traffico di
droga e armi supera il commercio illegale di animali e piante selvagge, le-
gno e altre risorse naturali. Sono dati scioccanti». Il commercio di specie sel-
vagge ha un valore stimato, globalmente, di 4 miliardi di dollari.

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Sempre di più, ciò che mangiamo, gli alimenti, fanno incre-


mentare la nostra resistenza ai trattamenti antibiotici, cioè
al rischio di contrarre infezioni difficilmente trattabili.

Si stima che il 70% degli antibiotici (e farmaci correlati) pro-


dotti dalle industrie farmaceutiche Usa si riversino nel cibo de-
gli animali, per accelerarne la crescita, per tentare di prevenire
le malattie causate dal sovraffollamento e dalle malsane condi-
zioni degli allevamenti industriali.
Recenti studi, tra cui uno del “New England Journal of Medi-
cine”, lo confermano: l’abuso di antibiotici negli allevamenti è
collegato allo sviluppo di batteri che resistono a spettri sempre
più ampi di agenti antibiotici; batteri che si possono ritrovare
nella carne in vendita nei banconi del supermarket.
Rimedio?
Comprare biologico. La scelta bio promuove un allevamento
più sano e sostenibile. Nelle carni biologiche, infatti, sia in Usa
che in Europa, non sono ammessi usi né residui di antibiotici.

• Il fenomeno della resistenza agli antibiotici è in crescita. Il numero di


pazienti che si ammalano per infezioni resistenti all’intero spettro di an-
tibiotici conosciuti è decuplicato negli ultimi anni.

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«Gli Stati Uniti sono stati colpiti dall’effetto serra e non da


un semplice uragano. In queste ore la Casa Bianca sta na-
scondendo all’opinione pubblica mondiale ciò che la comu-
nità scientifica internazionale ha previsto da anni».
– Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic
Trends – conferenza “Sbilanciamoci”, Roma 3-9-‘05

«Un ulteriore surriscaldamento del globo potrebbe accrescere la


potenza distruttiva degli uragani tropicali e aumentare le per-
dite di vite umane nel ventunesimo secolo».
– Kerry Emanuel, meteorologo del MIT – “Nature” sett. ‘05

«L’uragano Katrina deve ricordare alle compagnie assicurative,


ai governi e al pubblico che tutti sono a rischio per l’escalation
della gravità dei danni da uragani e altri eventi meteo estremi
causati dal cambiamento climatico. Gravità moltiplicata di 15
volte in trent’anni».
– Rapporto della coalizione finanziaria d’investitori Ceres

«Il clima è cambiato a causa del mutamento della composizio-


ne dell’atmosfera. Negli ultimi 400 mila anni non c’è mai sta-
ta una concentrazione di anidride carbonica così elevata».
– Vincenzo Ferrara, direttore del Centro di climatologia Enea
e referente italiano nell’IPCC; intervista a “Famiglia Cristiana”
3-7-‘05

• «Bush chiede un’inchiesta. Da anni si sapeva che sarebbe potuto succedere


questo disastro. Chi non ha firmato a Kyoto? Chi non ha fatto nulla per
l’ambiente? A cosa serve un’inchiesta? Forse si metterà sotto processo da solo».
– Beppe Grillo; blog, 7-9-‘05

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Mercurio, benzina e derivati, pesticidi, ritardanti di fiam-


ma, composti del Teflon: queste sono alcune delle 287 so-
stanze chimiche ritrovate nel cordone ombelicale delle
mamme americane secondo una ricerca effettuata dall’En-
vironmental Working Group e Croce Rossa Americana.

Un altro studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato dalla ri-


vista “Psychiatric Times” ha accertato che un milione di bam-
bini americani hanno livelli superiori a 10 microgrammi/dl di
residui di pesticidi e sostanze tossiche dannose per il sistema
nervoso in circolo, mentre il 90% dei bambini ne mostrava
tracce nelle urine. Ben un milione di donne in età fertile, infi-
ne, mangia dosi di pesce contaminato da mercurio sufficienti a
mettere a rischio i nascituri.
La rivista “Environmental Health Perspectives” ha pubblicato i
risultati di una ricerca condotta dalle Università di Standford e
Berkeley con il sostegno del WWF. Lo studio, durato 4 anni e
condotto su 324 bambini tra 0 e 14 anni (metà dei quali affet-
ti da leucemia) dimostra inequivocabilmente la relazione tra
leucemia e sostanze chimiche di sintesi.

• «I nostri bambini nascono inquinati – ha dichiarato la deputata ame-


ricana Louise Slaughter alla presentazione dell’inchiesta Ewg-Croce ros-
sa Usa –. Se mai avessimo voluto una prova di come funzionano le leggi
a difesa dell’ambiente, leggendo la lista dei 287 composti chimici indu-
striali trovati nel corpo dei bambini non ancora usciti dal grembo... ce ne
possiamo fare un’idea».

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A pagina 101 di un media text di un’emittente tv nazionale


si leggevano i seguenti titoli, nell’ordine, in una giornata
del dicembre 2005:
– Influenza aviaria, nuovi focolai
– Influenza aviaria, virus per via respiratoria
– Influenza aviaria, casi sospetti in Turchia
– Influenza, a rischio 6 milioni di italiani.
Secondo alcuni, i media avrebbero colpevolmente ingene-
rato una confusione tra l’influenza aviaria da virus H5N1 e
la normale, ricorrente influenza stagionale, cosa che
avrebbe spinto a un consumo straordinario di vaccini.

Invece... Il virus non è arrivato. Nei Paesi occidentali i norma-


li regimi alimentari e le condizioni igieniche medie fanno sì che
il nostro organismo sia inattaccabile da agenti patogeni che
in aree depresse del Sud del mondo sono pericolosi. Il temutis-
simo virus Ebola, causa di sfracelli in Africa, non è mai nem-
meno approdato sulle coste europee.
L’immunologo Attilio Speciani aveva suggerito ai microfoni di
LifeGate Radio: «L’aviaria è un’emergenza commerciale. Non
sanitaria».

• Quindi, «ci si può ammalare di aviaria solo in cinque modi – ram-


menta sarcasticamente dalle colonne de “L’Espresso” Michele Serra – 1.
leccare un cigno morto; 2. andare appositamente in Asia e rotolarsi nu-
di nella cacca di pollo per un’ora; 3. inghiottire al volo un tordo crudo;
4. pulire con la lingua un cornicione imbrattato dai piccioni; 5. limo-
nare con un barbagianni».

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In Brasile è già record per il consumo di alcool, India e Ci-


na seguono... a ruota. Ma parliamo... di motori!

In questa èra di febbre dei prezzi del petrolio, tutti sono alla ri-
cerca di carburanti alternativi. In Brasile, da sempre molte au-
tomobili vanno ad alcool, cioè a etanolo, derivato da raccolti
agricoli, per esempio dalla canna da zucchero.
Ora è boom. Secondo uno studio privato cofinanziato dal go-
verno brasiliano, i “flex-fuel vehicles”, che vanno anche ad al-
cool, saranno presto in Brasile i due terzi delle vendite di auto,
comparato al 28% del 2004.
E il Brasile esporterà ogni anno ben 2 miliardi di litri di alcool
combustibile, contro i “soli” 700 milioni di qualche anno fa.
Un alto dirigente della più grande casa automobilistica mon-
diale (GM) ha dichiarato: “La Cina, enorme mercato, si è ri-
volta a noi per avere auto che vanno a alcool, l’India vuole usa-
re lo stesso sistema. E anche il Giappone e la California si stan-
no interessando”.
Secondo gli studi dell’EPA, Agenzia Protezione Ambiente ame-
ricana, i veicoli ad alcool hanno minori emissioni e più alta ef-
ficienza energetica.

• Il bioetanolo è un combustibile già disponibile, economico (in Brasile


costa un terzo rispetto al gasolio), non occorrono tecnologie rivoluziona-
rie per impiegarlo: ha tutte le carte in regola per essere incentivato e spic-
care il volo. È il caso di dirlo: la Embraer, il quarto più grande produt-
tore di aerei del mondo, ha presentato il Neiva Ipanema, il primo aero-
plano di serie progettato specificamente per andare ad alcool.

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Grazie all’Energy Bill statunitense, ingenti contributi ven-


gono erogati a favore delle grandi industrie petrolifere ed
energetiche. Secondo “U.S. Pirg, Aug. 3, 2005” si tratta di
almeno 4 miliardi di dollari tra sussidi e sgravi fiscali a fa-
vore dell’industria petrolifera.

Exxon Mobil (Usa) l’anno scorso ha realizzato profitti pari a


25,3 miliardi di dollari con un incremento del 17% rispetto al-
l’anno prima; Shell (Inghilterra-Olanda) 18,5 e +48%; BP (In-
ghilterra) 16 e +26%; Total (Francia) 11,2 e +23%, Chevron
(Usa) con 13,3 miliardi di utili netti realizza addirittura un in-
cremento dell’85%, mai ottenuto nei centoventicinque anni
della sua fondazione, Conoco Phillips 3.1 miliardi (U.S. Pirg
Education Fund, Aug. 2005). «Sembra il caso di un settore in-
dustriale che ha bisogno di aiuti dal governo?» si chiede Ann
Aurilio, responsabile legislativo di U.S. Pirg.
Le sette sorelle guadagnano ogni ora 18 milioni di dollari (10
milioni di vecchie lire al secondo). Gli utili del 2005 ammon-
tano a 140 miliardi di dollari, la sola BP distribuisce dividendi
per 23 miliardi.
Oltre agli aiuti forniti direttamente dal governo federale, le
compagnie petrolifere hanno ricevuto altri vantaggi dall’E-
nergy Bill. Il complesso di norme allenta i vincoli ambientali,
pone limiti ai diritti degli Stati nel localizzare e costruire infra-
strutture e tubazioni per il gas naturale liquido, diminuisce le
possibilità legali per le comunità locali di opporsi a nuovi pro-
getti di trivellazione.

• La crescita dei profitti dell’industria petrolifera pare originata in mas-


sima parte dall’impennata delle quotazioni del greggio.

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Dal 5 all’8% dei bambini italiani sono obesi, cioè superano


il peso forma almeno del 20% (30 chili invece di 24, 42 an-
ziché 35), mentre il 20-24% è in sovrappeso. Ogni anno la
popolazione infantile oltre il peso forma cresce dell’8%. Un
piccolo italiano su quattro deve, in sostanza, dimagrire.

Sul totale dei bimbi sovrappeso, solo il 2-3% lo è a causa di di-


sfunzioni ormonali o metaboliche. Gli altri perché mangiano
troppo e male. I chili di troppo rappresentano un problema,
oltreché per la forma fisica e la socialità, anche per la salute –
che si trascina negli anni. Secondo gli esperti dall’Istituto
Auxologico di Milano 85 piccoli obesi su 100 sono destinati a
divenire adulti con seri problemi di alimentazione.

• Ecco i capisaldi di un decalogo proposto nell’ottobre 2005 dalla Società


Italiana di Pediatria contro l’obesità nei bambini:
1. controllare peso e statura almeno ogni sei mesi;
2. cinque pasti al giorno (colazione, merenda a metà mattina, pranzo,
merenda, cena), no ai “fuoripasto”;
3. consumare almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno;
4. bere più acqua, meno bibite zuccherate;
5. ridurre i grassi, in particolare salumi, fritti, condimenti, dolci;
6. non utilizzare il cibo come “premio”;
7. favorire il gioco all’aperto, possibilmente almeno un’ora al giorno;
8. camminare a piedi in tutte le occasioni possibili;
9. praticare uno sport con regolarità, facendo esercizio fisico e divertirsi;
10. limitare la ‘video dipendenza’ (TV, computer, videogiochi) durante il
tempo libero. I bambini che guardano più TV, ingrassano di più.

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Disastro doloso: è il reato, punito con il carcere fino a dodi-


ci anni, contestato nei tre avvisi di garanzia per disastro
doloso notificati nel luglio 2005 ai proprietari della Eternit
per quasi 1.300 decessi dovuti a esposizione all’amianto.

La Procura di Torino indaga sulle morti avvenute negli stabili-


menti italiani di Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Ales-
sandria), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli). Indagati i
vertici d’allora della multinazionale svizzera Eternit, i fratelli
Thomas e Stephan Schmidheiny, membri di una delle più no-
te e ricche famiglie elvetiche, e un belga, il barone Louis de
Cartier de Marchienne.
I legali delle vittime dell’amianto in Italia hanno chiesto alla se-
de italiana di Eternit il sequestro conservativo di 60 milioni di
euro, cioè il patrimonio di Stephan Schmidheiny, per risarcire
i lavoratori e i familiari colpiti dal mesotelioma. È la prima vol-
ta che i fratelli Schmidheiny, imprenditori svizzeri ben piazza-
ti nella classifica Forbes dei più ricchi del mondo, vengono
chiamati a rispondere in un interrogatorio.
Secondo il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, l’amian-
to veniva impiegato anche al di fuori degli stabilimenti: per la
lavorazione di strade, tetti, opere murarie nei cortili, spesso
servendosi di materiale di scarto. Questo ha portato a una si-
tuazione di pericolo per la “pubblica incolumità”: gli abitanti,
infatti, sempre secondo la Procura, non erano stati avvertiti dei
rischi derivanti dall’esposizione al minerale-tossico.

• Il procedimento, avviato nel 2003 per chiarire le cause della morte di


alcune decine di operai italiani, ha subito una svolta: si è arrivati a stu-
diare i casi di 1.300 persone morte a partire dal 1970.

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Conoscere i ritmi della natura significa rispettarli. E gode-


re di sapori che i frutti di serra non potranno mai regalar-
ci. Mese per mese, sono diversi i frutti della terra da cer-
care, o quelli da affrettarsi a rincorrere perché tra poco
non saranno più... “di stagione”.

Tra gennaio e febbraio sono di stagione: barbabietole, erbette,


finocchi, lattuga, ancora i porri, il radicchio, spinaci; e tutti gli
agrumi, mela, pera, frutta secca (fichi, prugne, uvetta, datte-
ri…).
Marzo/aprile: broccoli, carciofi, cavoli, cipollotti, coste, crauti,
erbette, poi asparagi, barba di frate, cavolini di Bruxelles.
Maggio/giugno: ortica ed erbe spontanee; le fragole!
Luglio/agosto: aglio, cetrioli, cipolle, fagiolini, fave, fiori di
zucca, tutte le insalatine da taglio, patate novelle, tutte le ver-
dure mediterranee dell’estate, melanzane, pomodori, peperoni
zucchine; poi pesche, pesche noci e albicocche, prugne, lam-
poni, ribes, uva spina, angurie.
Settembre/ottobre: carote, uva, verso ottobre le zucche...
Novembre/dicembre: porri, le radici (sedano rapa, scorzobian-
ca e scorzonera), melograno...

• Pensare “che bello, tra poco è il tempo delle fragole”... è un piacere. Ri-
scopriamolo!

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Le risorse necessarie per combattere la fame nel mondo ci


sono. Oggi, però, sono malamente impiegate. L’allevamen-
to animale è insostenibile. L’agricoltura è la soluzione.

Secondo i dati della Global Hunger Alliance (una coalizione


internazionale che promuove soluzioni ecologiche ed equo-so-
lidali sul problema della fame nel mondo) per produrre 1 kg.
di patate si consumano 500 litri d’acqua; 1 kg. di carne di pol-
lo, 3.500 litri d’acqua; 1 kg. di carne bovina, da 25.000 a
100.000 litri d’acqua.
Un altro esempio. Abbiamo un ettaro di terreno agricolo. Se lo
coltiviamo a patate possiamo produrne in un anno 25 tonnel-
late. A fagioli e soia, avremo un raccolto di 2 tonnellate. Se lo
destiniamo a foraggio da dare agli animali, alla fine otterremo
solo 60 kg di carne.
Quante persone possiamo sfamare? Un ettaro di terra coltivato
a patate sfama 22 persone; a riso, 19; a grano, 15; per foraggio
e carne, 1 persona. Non solo: “Per produrre una bistecca da
500 calorie – spiegano Sandro Pignatti e Bruno Trezza, autori
di Assalto al pianeta. Attività produttiva e crollo della biosfera –
il manzo deve ricavare 5mila calorie. Il che vuol dire mangiare
una quantità d’erba che ne contenga 50 mila. Solo un centesi-
mo di quest’energia arriva al nostro organismo: il 99% viene
dissipata”. Il bestiame è dunque una fonte di cibo idrovora ed
energivora. Se invece di coltivare terreni per cereali destinati a
bovini li si dessero “direttamente” alle persone...

• Aveva visto giusto Gandhi: “Nel mondo c’è abbastanza per i bisogni di
tutti, ma non per l’ingordigia di alcuni”...

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La questione della coesistenza tra colture convenzionali e


colture transgeniche è molto dibattuta, in Italia e in Euro-
pa. Mentre illustri scienziati decidono di schierarsi a favo-
re degli Ogm, le associazioni dei consumatori, Coldiretti e
Confederazione Italiana Agricoltori, guardano con aperta
ostilità al transgenico.

Il problema della coesistenza è questo: se si ammette la coltiva-


zione di piante Ogm in campo aperto è inevitabile che tutte le
coltivazioni di quella zona vengano contaminate da semi Ogm,
perché per natura spore e semi si propagano col vento, con le
acque, nel suolo. La conseguenza è che chi non vuole coltivare
Ogm ma vuole continuare le sue coltivazioni con agricoltura
convenzionale o biologica non potrà più farlo, perché comun-
que nei suoi campi inevitabilmente ci saranno tracce di Ogm,
e quindi non si potranno più avere prodotti “non Ogm” con
certezza.
Federica Ferrario, campaigner Greenpeace, ha chiosato: “Non
esiste il problema ‘coesistenza’. Esiste il problema ‘contamina-
zione’. ‘Coesistenza’ significa ‘contaminazione’”.
Proprio per questo motivo, al momento in Italia vige una mo-
ratoria che vieta di coltivare Ogm in campo aperto ma lo per-
mette solo in serra o laboratorio.

• In estrema sintesi, lo spirito che sembra animare le politiche sulla coe-


sistenza sembra essere: fate quello che volete con le piante in laboratorio
ma in campo aperto non si pianta niente finché non garantite che i semi
Ogm non si spargano negli altri campi. E chi contamina paga gli even-
tuali danni.

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Nonostante una moratoria internazionale sancita dalla In-


ternational Whaling Commission (Iwc), entrata in vigore
nel 1986 a fronte del tremendo declino del loro numero e
del dissenso internazionale, Giappone, Norvegia e Islanda
cacciano balene per scopi commerciali, spacciandola come
“ricerca scientifica”.

Due opposte fazioni si scontrano da tempo tra loro. Il partito


dei Paesi balenieri, il Giappone, la Norvegia e, da poco tempo,
l’Islanda (seguiti da “alleati”, Paesi i cui voti in seno Iwc ven-
gono “comprati” con aiuti economici); e il resto del mondo.
Ma la minaccia di estinzione dei cetacei non è solo la caccia di-
retta, anzi, la “raccolta di materiale per scopi di ricerca scienti-
fica”. A questo si aggiunge anche il pericolo del by-catch, cioè
delle catture accidentali che avvengono a causa dell’uso delle
reti da pesca. Gli studiosi stimano che in tutto il mondo siano
almeno 30 mila i cetacei che finiscono uccisi nelle reti ogni an-
no. Inoltre, studi scientifici suggeriscono un collegamento tra
il rumore prodotto dai sonar navali e gli spiaggiamenti di ceta-
cei. Quando balene, delfini o altri mammiferi marini si arena-
no sulle spiagge è possibile che stiano fuggendo dal rumore, o
che siano stati frastornati fino a impazzire.

• La caccia su larga scala alle balene raggiunge tra Otto e Novecento il


picco, quando si traeva da loro olio per lampade, candele, saponi e pro-
fumi, pelle di balena per corsetti, lacci e altri indumenti. Ma, dal ro-
manzo di Herman Melville Moby Dick ai film di Hollywood Free Wil-
ly, la caccia ha sempre provocato fortissime discussioni. La World Society
for the Protection of Animals afferma che le 1.400 balene cacciate ogni
anno impiegano molti minuti per morire, altre più di un’ora dopo che
l’arpione esplosivo deflagra.

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“A manifestare – scrive Marcella Danon, della scuola di


Ecopsicologia, nel dicembre 2005 – sono anziane signore
col crocifisso in mano e giovani studenti, sono donne e
bambini, sono veterani orgogliosi di sfoggiare le loro me-
daglie guadagnate lottando per la libertà, sono pacifici in-
segnanti quelli che si sono attivati per la Val di Susa”...

“...Certo ora arrivano anche i facinorosi, quelli che amano far


casino e non cercano altro che l’occasione di fare a botte, ma
non sono stati questi i primi, questo dovrebbe essere evidente
a tutti”. Secondo il Comitato No Tav, non è vero che “senza la
Torino-Lyon il Piemonte sarebbe isolato dall’Europa, che è in-
dispensabile al rilancio economico della regione, che toglierà i
Tir dalle strade”. E si teme questo: “Il tracciato prevede una
galleria di 23 km all’interno del Musinè, montagna molto
amiantifera. La talpa che perforerà la roccia immetterà nell’aria
un bel po’ di fibre di amianto”. Dall’altro lato, la presidente
della Regione Piemonte, l’ambientalista Mercedes Bresso: “Si
sopravvalutano i rischi e si sottovalutano i vantaggi”.

• Secondo il ministro dell’Ambiente del ‘99, Edo Ronchi, l’alta velocità,


o meglio l’alta capacità ferroviaria si poteva fare senza danni per il ter-
ritorio. “Come? – si legge su “La Valsusa” 11-3-‘99 – Ammodernando la
linea attuale. Che poi è la decisione che il vertice intergovernativo italo-
francese aveva preso a Chambery nell’ottobre del ‘97. Il 6 marzo 1999 a
Bussoleno, incontrando gli amministratori valsusini su iniziativa della
Comunità Montana Bassa Valle, il ministro era stato chiaro: ‘I lavori
possono essere ‘cantierati’ immediatamente. Migliorare le prestazioni del-
la ‘linea storica’ – intervendo sulla sagoma delle gallerie (Frejus compre-
so), razionalizzando i binari e sostituendo i vecchi locomotori e il mate-
riale obsoleto – per un costo complessivo di 9600 miliardi”.

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L’Italia è il primo paese al mondo per consumo di acqua mi-


nerale in bottiglia: ogni italiano ne beve all’anno 190 litri,
spendendo in media quasi 300 euro. Il giro d’affari annuo
pare nell’orbita dei 2.500 miliardi di euro, 1/4 dei quali
reinvestiti in pubblicità. Ogni anno, in Italia, si gettano
150.000 tonnellate di bottiglie di plastica tra i rifiuti.

In effetti, l’acqua di rubinetto costa dalle 600 alle 5000 volte


in meno. Ma è buona? È vero che in alcuni casi l’acqua imbot-
tigliata può contenere più contaminanti di quella di casa e che
le etichette possono omettere alcune voci “scomode” (fluoro e
fluoruri, o metalli pesanti indicatori dell’inquinamento dell’ac-
qua), ma è anche vero che l’acqua di rubinetto può contenere
residui dei disinfettanti impiegati per renderla più sicura, il clo-
ro. L’acqua di rubinetto, meglio e più controllata di quella in
bottiglia, in alcune zone d’Italia non ha un buon sapore, ha
cattivo odore, è calcarea e potrebbe passare attraverso tubature
vetuste e rugginose.
Insomma, liscia, gassata o... minerale o di rubinetto? Non è fa-
cile come bere un bicchier d’acqua dettare una regola valida per
tutti.

• L’acqua di rubinetto, anche delle città, è più buona di quello che si pen-
sa (lo conferma un’inchiesta di “Altroconsumo” del maggio ‘03), e costa
poco. Ma concedersi un bicchiere d’acqua cristallina, una “cara” bevuta
di acqua minerale d’alta quota, con un basso residuo fisso e zero nitra-
ti... si può, senza sensi di colpa. Forse la miglior soluzione, per noi e per
il nostro portafoglio, è berne un po’ e un po’.

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“Un milione e trecentomila pizze al giorno escono dal for-


no, entrano in un astuccio di cartone, pronte per essere
portate a casa. Vi restano per molti minuti, il tempo di es-
sere trasportate a destinazione, e, una volta giunte, di es-
sere mangiate nello stesso contenitore. Sempre che non fi-
niscano nei forni di casa per essere riscaldate, sempre ne-
gli stessi cartoni, prima di finire in tavola...”.

Così s’apriva l’indagine pubblicata dal settimanale “Il Salva-


gente” nell’aprile 2006 che attraverso due studi specialistici ha
rilevato la presenza di sostanze potenzialmente pericolose per la
salute umana all’interno dei cartoni per la pizza da asporto. Si
tratta di benzene, naftalene, ftalati, fenoli, Dibp, sostanze che
passerebbero dal cartone alla pizza attraverso il calore di que-
st’ultima. Molecole vietate dalla legge italiana, e che derivereb-
bero – dicono gli esperti – da collanti e sbiancanti usati per far
assomigliare la carta riciclata a quella vergine.

• Secondo le analisi condotte nei Laboratori di Ricerche Analitiche (Ali-


menti ed Ambiente) dell’Università degli Studi di Milano volte all’iden-
tificazione di ftalati nei materiali destinati al contatto con alimenti,
analizzando diversi contenitori di materiale cellulosico destinati al tra-
sporto di pizza comunemente utilizzati su tutto il territorio nazionale,
sarebbe stata identificata la presenza di una sostanza (il di-isobutilftala-
to) “in quantità altamente preponderante rispetto a tutti gli altri com-
ponenti della frazione volatile evidenziabile (…) già alla temperatura di
60°C (…) simulante la condizione meno drastica di stoccaggio della piz-
za in fase di ‘home delivery’”. La direttiva 2004/14/CE, infatti, non con-
templa questa sostanza tra quelle ammesse per la fabbricazione di conte-
nitori di cartone destinati a venire a contatto con gli alimenti.

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Chi ricorda l’atrazina? A fine anni ’80 a Casale Monferrato


fece chiudere tutti i rubinetti e arrivare le autobotti. Ebbe-
ne, è ritornata, nel 2003, a inquinare le falde acquifere del
Piemonte insieme ad altri fitofarmaci nocivi per la salute e
l’ambiente, come il betazone. Eppure, è un diserbante can-
cerogeno proibito in Italia dal 1996…

Gli ultimi dossier Legambiente dicono che metà della frutta e


verdura in commercio è contaminata da uno oppure più resi-
dui di pesticidi (in misura comunque inferiore ai valori limite
della legge); mentre il 2% ha residui superiori a quelli consen-
titi.
Tra gli alimenti controllati, è soprattutto l’uva quella che ha
fatto la figura peggiore, ma valori preoccupanti hanno riguar-
dato anche prezzemolo, sedano, pere, mele e agrumi.

• L’impiego di pesticidi in agricoltura causa problemi all’ambiente, alla


fauna, agli organismi acquatici, ai microrganismi e alla fertilità del suo-
lo, alle falde acquifere. L’esposizione a pesticidi è correlata a gravi pato-
logie, specialmente per i bambini. Per loro è importante segnalare che
poiché il residuo di pesticidi definito tollerabile dalla legge dev’essere pros-
simo allo zero strumentale, metà della frutta e della verdura normal-
mente in commercio in Italia non è adatta all’alimentazione dei neona-
ti. D’obbligo quindi scegliere frutta e verdura bio a casa, d’obbligo chie-
derlo a gran voce anche ai sindaci per le mense dell’asilo e delle scuole pri-
marie.

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“I raggi gamma – si legge in Quattro sberle in padella di


Stefano Carnazzi e Stefano Apuzzo – non sono solo una
delle formidabili armi del robot Mazinga, ma anche un me-
todo, permesso dalla legge italiana, per impedire a patate,
aglio e cipolle di germogliare dopo la raccolta”.

“Gli ortaggi possono essere sottoposti a sorgenti radioattive di


Cobalto 60 o, peggio, di Cesio 137 (il contaminante che si tro-
va ancora nel liquido amniotico delle donne intorno a Cher-
nobyl)!
È falso che le radiazioni attraversino i prodotti senza lasciar
traccia di sé: prima di tutto, se così fosse, a cosa servirebbe il
trattamento radioattivo? Poi, le ricerche 1) su vegetali, 2) su di-
sgraziatissimi animali e 3) nell’area di Chernobyl parlano di
“rottura del DNA”, “proteine mutanti” e così via…
Per legge, le verdure radioattive devono recare sulle confezioni
la dicitura “a caratteri chiaramente visibili e indelebili” “patate
(o cipolle o agli) irradiate a scopo antigermogliativo”.

• In America si sta inaugurando la pratica di sottoporre anche la carne


alle radiazioni, per “pastorizzarla”. Ciò significa che la fettina di carne,
prima di arrivare sulla tavola del consumatore americano, viene 1) gon-
fiata con ormoni naturali, sintetici e/o geneticamente modificati; 2) si
impregna dell’adrenalina e delle tossine prodotte dall’animale malato,
stressato e debilitato nei feedlot; 3) assorbe i residui degli antibiotici, dei
farmaci; 4) al macello, si espone alle possibili infezioni; 5) viene irra-
diata con materiali radioattivi.

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Lo spazio a disposizione per le galline “da produzione”,


negli allevamenti “in batteria” è di 450 centimetri quadra-
ti: un foglio di quadernone.

In Italia ogni anno 40 milioni di galline sono detenute in gab-


bie di batteria per produrre 12 miliardi di uova, e 400 milioni
di polli finiscono sulle tavole imbandite. Ma negli allevamenti
intensivi si usano becchimi poco adatti all’alimentazione degli
animali (le famigerate “farine animali”) e prodotti di scarto.
Nel loro cibo si reimmette il loro stesso guano, c’è dentro an-
cora qualcosa di “nutriente”. Per correggere il colore dei tuorli,
troppo “pallido”, e rendere l’uovo più appetitoso, spesso si ag-
giungono alla dieta delle galline coloranti, antibiotici e residui
di pesticidi. Gli animali allevati, chiusi in gabbie strettissime, si
strappano le piume e si beccano a vicenda in accessi furiosi.
Trattamenti per galline: irradiate con infrarossi, sottoposte alla
ghigliottina dello “sbeccamento” (taglio del becco), bioritmi al-
terati da cicli notte/giorno artificiali, alimentazione forzata con
pastoni, con scarti alimentari, residui d’ogni genere e di prove-
nienza incontrollabile. Nei mangimi dei polli e dei maiali bel-
gi sono stati trovati PCB (bifenile policlorurato) – come man-
giare insalata di pollo condita con olio di macchina usato! Gli
animali sono così malati che devono essere praticate ininter-
rotte terapie antibiotiche.

• L’Unione Europea sta disincentivando l’uso delle gabbie metalliche “da


batteria” per giungere, forse entro dieci anni, alla totale abolizione di
questo cruento modo di allevare. Fin da ora però si possono scegliere uo-
va “da agricoltura biologica”: per legge, sono di galline allevate all’aper-
to nel pieno rispetto delle loro caratteristiche naturali.

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Orca batte orso polare nella classifica dei mammiferi mag-


giormente contaminati. E l’Artico è un serbatoio tossico.

L’orca norvegese si aggiudica il primato dei mammiferi mag-


giormente contaminati dell’Artico. Questi i risultati della ri-
cerca condotta dall’Istituto Norvegese Polare (Npi) e finanzia-
ta dal governo norvegese. Ricerche precedenti avevano conferi-
to questo “primato” all’orso polare, ma oggi le orche hanno
persino livelli più alti di Pcb, pesticidi e di ritardante di fiam-
ma bromurato. “Le orche norvegesi – spiega Hans Wolkers, ri-
cercatore del Npi – possono essere considerate come indicato-
ri dello stato di salute del nostro ambiente marino. Gli elevati
livelli di contaminanti sono allarmanti e mostrano chiaramen-
te che i mari artici non sono puliti quanto dovrebbero essere. I
livelli di sostanze chimiche tossiche aumentano lungo la cate-
na alimentare, quindi sono più elevati per i predatori al verti-
ce: il processo è chiamato bioaccumulo”.

• I campioni di grasso prelevati da individui maschi di orca in Norve-


gia, a Tysfjord, sono stati testati per il Pcb 153, il toxafene, il clordano,
Dde e Pbde 47. Il Pbde (difeniletere polibromurato), classe di ritardan-
ti di fiamma bromurati, è simile strutturalmente ai Pcb; aumenti espo-
nenziali di Pbde sono stati documentati in natura – e, recentemente, per
l’uomo. I Pbde vengono adoperati per apparecchiature elettriche, mate-
riali da costruzione, rivestimenti, prodotti in poliuretano e fibre tessili.
Molti inquinanti che interessano l’Artico non sono stati prodotti o uti-
lizzati lì, ma sono sostanze chimiche di uso domestico quotidiano, indu-
striale e agricolo, da altre aree del pianeta, che percorrono lunghe distan-
ze trasportate dalle correnti aeree e marine per finire nell’Artico.

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“Niente scuse”.

È la campagna interrnazionale di tv-ads promossa da Bono,


U2. Uno schiocco di dita ogni tre secondi, con cui musicisti,
attori, testimonial invitano alla riflessione sulla sorte di un
bimbo che scompare ogni tre secondi per povertà.
“Oltre un miliardo di persone condannate alla povertà estrema.
– 104 milioni di bambini non possono andare a scuola.
– 860 milioni di adulti non sanno né leggere né scrivere.
– La fame è una realtà quotidiana per 852 milioni di persone.
– 1.400 milioni di persone non hanno un lavoro dignitoso.
– Altrettante non hanno accesso all’acqua potabile.
– L’Aids ha già contagiato 40 milioni di persone.

• La povertà è la più grande violazione dei diritti umani”.

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Arriverà o no il pop-corn transgenico?

Il Comitato europeo sugli Ogm, infatti, composto da tecnici,


scienziati ed esperti ambientali dei diversi Paesi europei, si è
più volte spaccato, senza riuscire a decidere sulla proposta pre-
sentata dalla Commissione UE di importare il nuovo mais.
L’Italia ha votato contro l’importazione, in buona compagnia
di Austria, Danimarca, Grecia e Lussemburgo.
Quella sul mais transgenico si configura quindi come il primo,
grande scontro tra istituzioni internazionali e industrie biotech
dopo una moratoria di cinque anni.

• Tre indicazioni per la scelta del popcorn:


– il popcorn “made in Usa” può esser fatto con mais transgenico, poiché
nel continente americano se ne coltivano diverse varietà, dal NK603 al
Bt11;
– alcuni tipi di popcorn preconfezionati e/o da microonde impiegano, al
posto del burro, poco pregevoli grassi vegetali, e vengono poi addizionati
di un “aroma burro” artificiale;
– perché non riscoprire, quindi, il piacere festoso di comprare una sana
pannocchia di mais, ancor meglio se proveniente da agricoltura biologi-
ca, e riempir di chicchi una sfrigolante padella?

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“La ‘settimana della grande caccia all’orso nero’ – scrive il


corrispondente Alberto Flores D’Arcais su “La Repubblica”
7-12-05 – è stata inaugurata il 5 dicembre 2005, tra gli evvi-
va di quasi cinquemila cacciatori che hanno invaso il piccolo
Stato che fiancheggia New York e le proteste degli ambien-
talisti contro il governo locale. In quel solo giorno ben 136
orsi neri sono stati uccisi: il più grosso pesava 329 chili”.

In New Jersey la caccia all’orso è una “tradizione”, vietata negli


anni Settanta (l’orso era in via d’estinzione, ve n’erano rimasti
cento esemplari). Piano piano, l’orso ha ripopolato le monta-
gne del nord-ovest e i grandi parchi... dove anche migliaia di
newyorchesi vanno a passare i week-end. Ha iniziato con lo
scendere a valle e ha finito per compiere “incursioni” prima in
case isolate, poi nelle placide periferie... a meno di un’ora d’au-
to dai grattacieli di Manhattan.

• Anche in Italia sono sempre più i casi di “clandestini in città” (per ci-
tare un delizioso libro di Fulco Pratesi). Nelle nostre città si sono regi-
strati avvistamenti di scoiattoli, istrici, moscardini, tassi, conigli selvati-
ci; volpi (Monte Mario, a Roma) e gufo reale, falchetti, martin pescato-
re e rospo smeraldino (Milano), picchio (Trieste), faina (Gubbio e Sie-
na), airone cinerino (Venezia)... E c’è stata anche l’orsetta Bubu, che raz-
zolava tra pollai e alveari di Villetta Barrea, paesone dell’Abruzzo. Nes-
suno, però, s’è sognato di imbracciare il fucile.

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I numeri del Rapporto del Ministero della Salute sullo sta-


to delle acque costiere italiane. Sono 430 i km proibiti, il
7% in più rispetto al 2004.

Il rapporto ha raccolto i dati provenienti da Regioni e Comuni.


Le spiagge inquinate sono cresciute di circa il 7%. Mentre quel-
le non controllate, assolte cioè per “insufficienza di prove”, ri-
mangono grosso modo le stesse dello scorso anno, passando da
1.057 a 1.060 km. Come invariati rispetto allo scorso anno ri-
mangono i km di costa vietati per motivi diversi dall’inquina-
mento, dalla presenza di porti alle servitù militari, passati da 877
a 874. Per quanto riguarda l’aumento della costa off limits ai ba-
gnanti per l’inquinamento, in cima alla top ten quattro regioni
del Sud: Campania (dal 17,5 al 19,8% su un totale di 469,7 km
di costa), Calabria (dal 7,2 all’8,3%), Basilicata (dal 2,6 al 3,8%)
e Sicilia (dal 4,7 al 5%). Segue il Nord-est con il Veneto (dal 2,6
al 4,4%) e per la prima volta entrano nell’elenco delle coste “in-
criminate” quelle del Friuli-Venezia Giulia (0,4%). Leggero mi-
glioramento in Abruzzo (dal 7,9 al 7,6%), Emilia-Romagna (dal
2,3 al 2,2%) e Lazio (dal 12,5 al 12%). La classifica si inverte se
si considera la presenza del batterio della salmonella nel campio-
ne rilevato: la regione più a rischio è in questo caso il Lazio
(8,2%). La presenza in mare di questo microrganismo deriva
dalla presenza di scarichi non depurati sufficientemente.

• Ma vi sono anche le perle ambientali. Secondo lo stesso Ministero, vi


sono aree con acque completamente incontaminate, senza alcuna altera-
zione dovuta all’uomo o minaccia di eutrofizzazione: Punta Sottile e
Miramare in Friuli Venezia Giulia, il nord dell’isola d’Elba, Punta Li-
cosa e Punta Tresino in Campania, l’Asinara e Sant’Antioco in Sardegna
e la Foce del Piave in Veneto.

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17.500 tonnellate annue di piombo. 150 milioni di uccelli


migratori massacrati ogni anno. 300 milioni di altri anima-
li per 800mila cacciatori. Alcune cifre dell’attività venato-
ria analizzate da Edgar H. Meyer, storico dell’ambientali-
smo.

In un solo anno i fucili dei cacciatori italiani sparano sul terri-


torio del Belpaese 500 milioni di cartucce. A raccoglierle tutte
se ne farebbe un mucchio di 11.000 metri cubi. Vengono così
disperse nell’ambiente 17.500 tonnellate annue di piombo sot-
to forma di pallini: un diluvio di frammenti velenosi che si ac-
cumula sul fondo di laghi, fiumi, stagni e boschi italiani, che
già non godono di salute eccelsa.
E senza contare l’altra conseguenza: quei colpi raggiungono il
bersaglio, a volte. Questa gragnuola di piombo serve infatti a
far fuori centinaia di migliaia di lepri, fagiani, cornacchie, allo-
dole, merli...
Solo gli uccelli migratori abbattuti ogni anno dai cacciatori ita-
liani assommano a 150 milioni. Lo sterminio dei migratori, tra
l’altro, fa ribollire di rabbia quei Paesi europei ed extraeuropei
che, invece, si sforzano di tutelare concretamente gli animali di
passaggio, considerati beni di tutta l’umanità. Per questo il Bel-
paese è stato definito “il cimitero della fauna d’Europa”. Esclu-
si gli uccelli migratori, il totale degli animali uccisi dai caccia-
tori italiani raggiunge i 300 milioni di capi!

• L’attività venatoria non è uno sport: il CONI ha escluso infatti la Fe-


dercaccia dal proprio ambito, in quanto non coerente con alcun tipo di
attività sportiva.

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“El rockash es toxico e ilegal”. Con questi cartelli, gli abi-


tanti sfilavano in cortei di protesta per le strade di Samanà.
Proprio laddove, nel 2005, si è svolta l’edizione di un famo-
so reality show.

Nel novembre del 2003 due navi provenienti da Puerto Rico


scaricarono ceneri tossiche prodotte da centrali termoelettriche
portoricane nella baia di Samanà e Manzanillo, sulla costa do-
minicana.
L’Istituto degli avvocati per la protezione ambientale e l’asso-
ciazione Mundo ecologico hanno chiesto alla Corte suprema
dominicana che la Compagnia Transdominicana che accon-
sentì al trasferimento delle scorie fosse condannata a pagare
una multa di 500 milioni di pesos dominicani come indennità
per i danni umani e ambientali causati a Manzanillo e Samanà,
da destinare alla comunità.

• Alla fine degli anni ‘80 è emerso lo scandalo delle “navi dei veleni”: le
note Zanoobia, Deepsea Carrier e Karin B trasportavano rifiuti tossici
dalle industrie chimiche italiane verso l’Africa e il Sud America. Un al-
tro caso tuttora irrisolto è quello del ritrovamento sulle coste turche del
Mar Nero di bidoni pieni di rifiuti tossici di origine italiana. Centinaia
di contenitori, recuperati sulle spiagge, che giacciono dal 1988 in via
“temporanea” in due magazzini nelle località di Sinop e Samsun. Secon-
do le analisi condotte da Greenpeace, il contenuto dei bidoni è tracima-
to e s’è disperso nella falda acquifera a cui attingono le popolazioni loca-
li per i propri fabbisogni.

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L’Environmental Protection Agency (Epa) ha cancellato dal


proprio Rapporto sullo stato dell’ambiente ogni riferimen-
to alla questione del cambiamento climatico e dei suoi pos-
sibili effetti sanitari e ambientali, dopo che la Casa Bianca
era intervenuta pesantemente sul capitolo dedicato all’ar-
gomento.

Quando le bozze del rapporto originale e di quello “riveduto e


corretto” sono state consegnate al “New York Times” da ano-
nimi funzionari dell’Epa la polemica è esplosa. Il rapporto ori-
ginale affermava: “Il cambiamento climatico ha conseguenze
globali per la salute umana e l’ambiente”. La revisione ha tra-
sformato questa categorica affermazione in un vago riferimen-
to alla “complessità del sistema Terra”. Spariti i riferimenti a
tanti studi sul collegamento tra le attività umane e il cambia-
mento climatico e sul rapido e notevole aumento delle tem-
perature nell’ultimo decennio rispetto ai precedenti mille anni.
Aggiunta invece una nuova ricerca, finanziata in parte dall’A-
merican Petroleum Institute, che contesta le conclusioni degli
studi precedenti. Perché più recente...
I funzionari Epa decisero di eliminare completamente il capi-
tolo dedicato al cambiamento climatico, per evitare le critiche
del mondo scientifico e dell’opinione pubblica.

• La vicenda di Phil Cooney è esemplificativa. Come responsabile per il


Presidente Usa delle analisi ambientali rimuoveva, aggiustava, cambia-
va dati scientifici e taceva allarmi. Scoperto dal “New York Times”, si è
dimesso il 10 giugno 2005. Una settimana dopo è stato assunto dalla
ExxonMobil, il più grande colosso petrolifero del mondo.

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Reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl.


Ora dell’incidente: 1 e 23. Data dell’incidente: 26-04-1986

Conseguenza dell’esplosione: proiezione all’esterno di 35 ton-


nellate di combustibile nucleare. La colonna degli elementi ra-
dioattivi dispersi si è alzata a due chilometri d’altezza e si è di-
spersa per un raggio di 1.200 Km.
Livello di radiazioni: pari a 20 milioni di curie equivalente a un
miliardo di Giga Beckerel (200 volte superiore a Hiroshima e
Nagasaki).
Area contaminata: 155.000 kmq (un’area grande due volte l’Ir-
landa fra Bielorussia, Russia, Ucraina).
Paese più coinvolto: Bielorussia (70% di ricaduta radioattiva;
23% del territorio contaminato, fra cui il 20% del territorio bo-
schivo e 3.000 kmq di terreno agricolo; danno economico valu-
tato in 200 miliardi di dollari).
Persone coinvolte: 10.000.000.
Persone evacuate definitivamente: 400.000 (l’area compresa in
un raggio di 30 Km dalla centrale è completamente inabitabile)
Liquidatori (addetti al controllo degli effetti dell’esplosione)
impegnati: 800.000 (10.000 morti, 400.000 affetti da patolo-
gia tumorale).
Decessi previsti a causa dell’incidente: 200.000.
Durata degli effetti dell’esplosione: centinaia di anni a causa del-
l’azione del Cesio, dello Stronzio, del Plutonio (il Plutonio ha
un’emivita di 14.000 anni; il ritorno all’originaria situazione dei
terreni contaminati dal Cesio 137 è prevista fra 300 anni).
(scheda a cura di Massimo Bonfatti, Progetto Humus)
• “Chernobyl è una parola che vorremmo cancellare dalla nostra memoria,
ma questo sogno ci è precluso” (Kofi Annan, segretario generale Onu).

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Si ritiene che l’acqua dolce disponibile per il consumo uma-


no vari tra i 12.500 km cubi e i 14.000 km cubi per anno. A
causa della rapida crescita della popolazione, la disponibi-
lità pro capite è diminuita da 12.900 metri cubi per anno nel
1970 a 9.000 mc nel 1990 e a meno di 7.000 mc nel 2000.

Si prevede che la disponibilità di acqua dolce continuerà a di-


minuire arrivando a 5.100 mc pro capite per anno nel 2025.
Questa quantità potrebbe risultare sufficiente a soddisfare i bi-
sogni dell’intera popolazione mondiale... se fosse distribuita
equamente. Ma molti Paesi dell’Africa, del Medio Oriente, del-
l’Asia orientale e alcuni Paesi dell’Europa dell’est hanno una di-
sponibilità d’acqua molto più bassa della media e dei livelli di
sussistenza. Si stima che per il 2025 circa 3,5 miliardi di per-
sone rientreranno nella categoria di “water scarcity” con una
disponibilità media annua di 1.700 mc. Sfruttata fino all’abu-
so in agricoltura, imprigionata dalle grandi dighe, sporcata dal-
l’inquinamento: è la situazione dell’acqua sul nostro pianeta.

• Spiega il professor Gotthilf Hempel, biologo marino dell’Università di


Kiel, in Germania, coordinatore della ricerca Onu Global International
Waters Assessment (2006): “Se le risorse idriche dovessero diminuire an-
cora, il futuro potrebbe offrirci un mondo in cui i conflitti per l’acqua
prendono il sopravvento su tutti gli altri. A lungo termine la lotta per
l’acqua sarà più drammatica di quella per il petrolio. Per il petrolio ci so-
no dei sostituti, ma per l’acqua non ce ne sono”.

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L’Unicef, United Nations Children’s Fund, ha lanciato nel


2002 il primo World Children’s Day accanto a McDonald’s.

Per la festa di Halloween nel 2002, 20 milioni di scatole “trick-


or-treat” Unicef sono state distribuite presso i ristoranti Mc-
Donald’s Usa. Altri eventi promozionali si sono svolti in Asia.
Un gruppo di medici, avvocati e organizzazioni per la tutela dei
bambini ha inviato nel 2003 una lettera al direttore Unicef,
Carol Bellamy, in cui si legge: “Il vostro partner è leader glo-
bale nella commercializzazione di cibo che innalza i tassi di
obesità infantile e di diabete tipo 2, e disintegra i tradizionali
modi di preparare il cibo nelle famiglie e le diverse culture. È
difficile comprendere come una simile partnership possa ‘pro-
muovere la buona nutrizione per i ragazzi’. Come saprà, i cibi
commercializzati sono precisamente quelli altamente addizio-
nati di grassi e zuccheri, che minano la buona nutrizione dei
ragazzi”.

• Il Big Mac fa ingrassare? McDonald’s non ne ha colpa. Il giudice federa-


le di Manhattan Robert W. Sweet ha respinto nel gennaio ‘03 un ricorso
che mirava a riconoscere McDonald’s colpevole di causare obesità nei tee-
nager. La sentenza: “Non è provato che McDonald’s abbia nascosto infor-
mazioni sugli ingredienti, ed è ampiamente risaputo che i fast-food, e i pro-
dotti McDonald’s in particolare, contengono alti livelli di ingredienti po-
tenzialmente dannosi. La gente sa, o dovrebbe sapere, che mangiare ab-
bondanti porzioni di prodotti McDonald’s non è salutare e può causare un
aumento di peso corporeo – scrive il giudice stesso – e non è compito della
legge proteggerla dai propri stessi eccessi”. Il caso poteva potenzialmente far
esplodere una cascata di altri ricorsi simili, considerando che gli americani
spendono più di 110 miliardi di dollari all’anno nei fast food.

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Oltre il 23% degli stabilimenti industriali inquinanti (obbli-


gati a effettuare la notifica ex art. 6/7 e art. 8 del D. lgs.
334/99) sono concentrati in Lombardia, in particolare nel-
le Province di Milano, Bergamo, Brescia e Varese.

Ma anche il Piemonte, l’Emilia Romagna (con circa il 10% cia-


scuno), e il Veneto (circa 8%) hanno un’elevata presenza di in-
dustrie a rischio. S’evidenziano alcune aree di particolare con-
centrazione quali Trecate (nel Novarese), Porto Marghera, Fer-
rara e Ravenna, in corrispondenza dei tradizionali poli di raffi-
nazione o petrolchimici; altre nelle Province di Torino, Ales-
sandria e Bologna.
Al centro-sud le Regioni con maggior presenza di attività “ne-
re” risultano essere il Lazio (circa 7%), la Sicilia (circa 6%), la
Campania (circa 6%), la Puglia (circa 4%) e la Sardegna (circa
4%), in relazione alla presenza degli insediamenti petroliferi e
petrolchimici nelle aree di Gela, Priolo, Brindisi, Porto Torres
e Sarroch e alla concentrazione di attività industriali nelle Pro-
vince di Roma, Napoli e Bari.
C’è una concentrazione di stabilimenti chimici e petrolchimi-
ci in Lombardia (36% del totale nazionale), poi Piemonte,
Emilia Romagna e Veneto. L’industria della raffinazione, 17
impianti in Italia, risulta invece piuttosto distribuita sul terri-
torio nazionale.

• In Italia vi sono (dati Apat 2004): 288 stabilimenti petrolchimici; 247


depositi di gas liquefatti; 17 impianti di raffinazione del petrolio; 2987
depositi di oli minerali; 27 depositi di pesticidi; 40 depositi di sostanze
tossiche; 21 impianti di distillazione; 52 industrie di produzione esplo-
sivi; 15 centrali termoelettriche; 21 galvanotecniche, 43 depositi di gas
tecnici; 14 acciaierie; 40 vari altri stabilimenti a rischio inquinamento.

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Rifiuti, numeri da record: 40 le inchieste che dal 2002 a og-


gi hanno contestato il delitto di organizzazione di traffico
illecito di rifiuti previsto dall’articolo 53 bis del decreto
Ronchi, 251 le persone arrestate, 817 quelle denunciate,
mentre sono 247 le aziende e 19 le Regioni coinvolte.

Delle 40 inchieste, 20 sono state compiute soltanto negli ulti-


mi 15 mesi. A queste cifre si affiancano poi le statistiche sui ri-
sultati ottenuti dalle forze dell’ordine su tutto il ciclo illegale:
nel 2004 sono state accertate 4.073 infrazioni, più di 11 al
giorno, mentre sono stati effettuati 1.702 sequestri, quasi 5 al
giorno. Il 38,3% delle violazioni è stato riscontrato nelle quat-
tro Regioni a tradizionale presenza mafiosa, e cioè Campania
(che guida la classifica delle Regioni con 550 reati, pari al
13,5% del totale nazionale), Puglia (seconda con 498 infrazio-
ni, il 12,2% del totale), Calabria e Sicilia.
Questi dati, elaborati da Legambiente nell’edizione 2005 del-
l’annuale Rapporto Ecomafia, dimostrano per l’ennesima volta
in modo inequivocabile come l’ambiente, e nello specifico la ge-
stione illegale dei rifiuti, costituisca un affare redditizio per le
organizzazioni criminali: si parla di oltre 3,2 miliardi di euro.

• Secondo il Wüppertal Institut, istituto tedesco di ricerche ambientali di


fama mondiale, i rifiuti non sono altro che “la risorsa giusta, nel posto
sbagliato”.

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A Sellafield fin dagli anni Sessanta si svolge il riprocessa-


mento dei combustibili usati nella fusione nucleare.

È in Cumbria, litorale nord ovest inglese. Vi sbarcano scorie ra-


dioattive il cui traffico è gestito dalla British Nuclear Fuels, che
ha contratti per 18 miliardi in euro con clienti europei, in ag-
giunta alle commesse australiane e giapponesi. I dirigenti della
compagnia hanno ammesso alcuni episodi (1995, 1999,
2003...) di trasudamenti e contaminazioni esterne. Nel 1998
Greenpeace attesta pubblicamente una contaminazione nel
Mare d’Irlanda: la fauna marina presenta livelli di radiazioni 42
volte più alti degli standard Ue. Quattro anni prima il governo
britannico aveva concesso alla Bnfl d’incrementare del 1100%
gli scarichi liquidi e gassosi in mare e in atmosfera.
C’entra anche l’Italia. Il passaggio di materiale nucleare avvie-
ne tra la centrale di Sellafield al Deposito Avogadro di Fiat Avio
di Saluggia (VC) e viceversa: si compie con i tir da Saluggia a
Vercelli, su ferrovia da Vercelli a Modane, al porto di Dun-
querque, in Francia, poi via mare fino a Barrow, in Gran Bre-
tagna e da qui all’impianto di Sellafield.

• In Germania vengono usualmente utilizzati carri speciali, con ruote di


circa due metri di diametro in modo da prevenire l’uscita dai binari, una
velocità di 13 km orari, super scortati e con chiusura delle lineee ferro-
viarie ad altri trasporti. In Italia prima di proteste, interrogazioni par-
lamentari, appelli di importanti scienziati, l’invio delle scorte era previ-
sto su carri tradizionali (rossi-marroni e apertura laterale) con un vago-
ne vuoto davanti e dietro come unico cuscinetto in caso di incidenti.
L’ultimo viaggio, il 14 febbraio ‘05, è stato bloccato da attivisti di Green-
peace per una intera notte.

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Data 1972 la stipula di un accordo segreto tra il governo


degli Stati Uniti e quello italiano, presieduto da Giulio An-
dreotti, per aprire a Santo Stefano una base per sottoma-
rini nucleari della Marina Usa (sistema di difesa Nato). La
base militare godrà di extraterritorialità.
Sette anni dopo l’apertura della base si predispongono i piani
di emergenza. Quando, anni dopo, il prefetto di Sassari li illu-
stra all’amministrazione comunale, le polemiche divampano:
evacuare 15mila persone in un’ora era impensabile. Negli ulti-
mi anni, un sottomarino (Uss Oklahoma City) urta col peri-
scopio una petroliera norvegese, un altro (Uss Hartford) tocca
il fondale nei pressi di Caprera. L’Us Navy sostiene “nulla di
grave”; il comandante Greg Parker e il commodoro R. Van Me-
tre vengono rimossi. Agli inizi del 2004 un istituto di ricerca
francese, il Criirad, diffonde i dati di una campionatura sulle
alghe tra La Maddalena e Bonifacio, segnalando radioattività
400 volte superiore alla norma. La Maddalena è una città mi-
litarizzata. La presenza di sottomarini a propulsione nucleare
che circolano nel Mediterraneo è avvertita come una minaccia
per la salute e l’ambiente della comunità maddalenina, dei sar-
di, degli italiani e di tutti i popoli del Mediterraneo.
Nel 2003 parte l’iter amministrativo per un suo ampliamento.
Si parla di raddoppio delle volumetrie. Dopo un primo sì, con
un colpo di scena il Consiglio regionale della Sardegna appro-
va un ordine del giorno per il monitoraggio nell’arcipelago del-
la Maddalena che affida a istituti di ricerca indipendenti il ri-
levamento di radioattività nell’aria e nell’acqua e chiede lo
smantellamento della base Usa di Santo Stefano “entro un pe-
riodo di tempo prestabilito”.
• Infine, il 24 novembre 2005 il presidente della Regione Sardegna Re-
nato Soru annuncia: “Entro dodici mesi, gli Usa via dalla Maddalena”:
il motto, annunciato in campagna elettorale, era “siamo amici degli ame-
ricani, ma in futuro vogliamo che tornino da noi come turisti”.

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La ricercatrice Manuela Malatesta ha rilevato “modifica-


zioni” a carico di fegato, pancreas e testicoli nei topi ali-
mentati con soia Ogm. Le sono stati tagliati i fondi – per le
stesse ricerche per cui fu convocata dalla Fao per far par-
te della commissione di valutazione Ogm. LifeGate Radio
l’ha intervistata, il 19-1-2006.

– Cosa ha scoperto, nelle sue ricerche?


– Abbiamo trovato modificazioni a carico dei nuclei degli epa-
tociti – le cellule principali del fegato. Potrebbero essere indice
di cattivo o di diverso funzionamento, avremmo avuto bisogno
di più tempo, ma non è stato possibile. Abbiamo rivolto la no-
stra attenzione al pancreas esocrino – che produce gli enzimi
digestivi – e ai testicoli. E anche in questi organi abbiamo ri-
scontrato modificazioni, visibili solo usando particolari stru-
mentazioni. Non stupisce che queste modificazioni non siano
state rilevate in indagini di routine come posso supporre siano
state fatte dal produttore di soia Ogm.
– Senta, lei (personalmente), fino adesso, che idea si è fatta de-
gli Ogm?
– Quando cominciai, non avevo preconcetti. Ho sempre cercato di
mantenere un atteggiamento di onestà intellettuale. Ma tutto que-
sto accanimento, questa opposizione, questo silenzio, la sparizione
di molti colleghi intorno a me in seguito all’interesse dei mass-me-
dia... mi ha fatto aprire gli occhi. La mia opinione è che ciò che
non va in tutta la storia degli Ogm, è che siano stati messi in com-
mercio, prima fatti coltivare poi immessi nella catena alimentare,
senza controlli di autorità indipendenti. La ditta produttrice dice
‘il prodotto è buono’; è ovvio, non immetterà mai sul mercato
qualcosa di immediatamente dannoso alla salute. Ma gli effetti a
lungo termine, sulla salute, sull’ambiente, sono stati valutati?
• – Ma lei... ora come ora, li mangerebbe, gli Ogm?
(ride) – Temo di mangiarli quotidianamente. E inconsapevolmente! Sin-
ceramente, vorrei evitarlo.
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Uno dei più grandi scandali alimentari europei riguardava


proprio le diossine.

Nel ‘98 si è scoperto che prosciutti, polli e uova provenienti dal


Belgio contenevano livelli pericolosi di Pcb, policloruro bifeni-
le. Li foraggiavano con mangimi contenenti olii minerali e re-
sidui di carburanti. A seguito dello scandalo, l’Unione Europea
è stata sollecitata a mettere al bando i mangimi ottenuti dagli
scarti della macellazione e dagli oli esausti. Tuttavia il Comita-
to veterinario dell’Unione Europea nell’agosto ‘99 ha deciso di
portare da 100 a 200 nanogrammi la quantità di diossina per
grammo di grasso consentita nei prodotti alimentari di origine
animale. Le industrie zootecniche hanno ringraziato, ma a tan-
ti è passata la voglia di mangiar bistecche.
Di recente in Italia s’è saputo pure di latte alla diossina: un al-
larme che ha colpito diversi allevamenti della Campania (dove
si produce la mozzarella più rinomata d’Italia). Centinaia di
analisi sugli allevamenti predisposte dai magistrati rilevarono
alti livelli di diossina nel latte: 27 picogrammi, dieci volte oltre
quello consentito. Cause probabili: gli inceneritori di rifiuti, le
attività industriali, forse i mangimi non in regola.

• Il cibo conta per circa il 90% dell’esposizione umana alle diossine che,
anche in basse concentrazioni, possono causare tumori, disturbi comporta-
mentali, indebolimento delle difese immunitarie, riduzione degli ormoni
maschili e dello sperma, diabete, una malattia della pelle (cloracne), un’af-
fezione uterina (endometriosi). Il nostro organismo impiega sette anni per
eliminare almeno una parte delle diossine assimilate. Come ridurre l’espo-
sizione? Aumentando il consumo di frutta e verdura, riducendo i piatti a
base di grassi animali (proprio nel grasso si concentrano le sostanze conta-
minanti assimilate dall’animale). Prediligere gli alimenti biologici: gli ani-
mali allevati con metodo bio non possono essere nutriti se non con mangi-
mi controllati. Insomma, sette anni di dieta bio e... addio diossine.

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“Esiste una teorizzazione sul congresso come arma di fi-


delizzazione del medico, per renderlo riconoscente a chi
l’ha mandato a farsi una bella vacanza con la scusa dell’ag-
giornamento. All’inizio dell’anno ogni informatore ha una
lista di posti disponibili per congressi in giro per il mondo,
cui mandare i medici interessanti, quelli che prescrivono
tante scatolette. Qui ho una lista curata da me dove si vede
il congresso al Cairo, naturalmente a febbraio, quello a
Salvador de Bahia, a dicembre, e poi in Sardegna a giugno,
a Ischia a maggio e così via. Qui ce n’è anche uno a Wa-
shington, uno serio, ma qui c’è un solo posto ovviamente,
per gli altri ce ne sono diversi”.

Questo è il racconto di un vero testimone, l’informatore scien-


tifico del farmaco, mandato in onda da “Report” di Milena Ga-
banelli (11-10-2001, Rai 3). L’autore, Paolo Barnard, prosegue:
“Quest’uomo faceva parte di quella schiera di giovani incravat-
tati che troviamo spesso negli studi dei medici e che si chiama-
no informatori scientifici: alle dipendenze delle case farmaceu-
tiche, questi avrebbero il compito di informare i dottori sui
nuovi farmaci, ma purtroppo sembra che la loro specialità sia
quella di corromperli per ottenere più prescrizioni. Il mio testi-
mone ha deciso di raccontare quello che sa su questo fenome-
no, che prende il nome di comparaggio... Come fate a coccola-
re i medici affinché prescrivano i vostri farmaci anziché altri?”.

• Informatore: “Dipende dal medico. Alcuni arrivano a prendere le maz-


zette, altri si accontentano di gadget, di congressi-vacanza, di un appa-
recchio per la pressione, di una bilancia. Poi ci sono i gadget che non si
vedono, come il telefonino, il programma computer, per i quali si chiede
qualcosa in cambio”.

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Uno studio promosso dal Ministero dell’Ambiente ha ana-


lizzato i cambiamenti nella distribuzione della fauna ittica
del Mediterraneo.

Dal 1995 l’Icram, Istituto centrale per la ricerca scientifica e


tecnologica applicata al mare osserva i primi cambiamenti e l’i-
niziale diffusione di specie tipiche dei mari tropicali nel Medi-
terraneo. Le specie mediterranee sono circa 550, contro le
1800 indopacifiche, più competitive e più adattabili. Grande
attenzione è rivolta al fenomeno e alle specie aliene, tema cen-
trale della convenzione internazionale sulla biodiversità.
Le specie marine nuove per il Mediterraneo sono circa 250. Al-
cune provengono dal Mar Rosso. Nelle acque intorno alla Sici-
lia vivono ora nuove specie di triglie, un nuovo tipo di cernia,
di tonnetto, e il barracuda del Mar Rosso, fino a qualche tem-
po fa del tutto assenti nel Mediterraneo. La tropicalizzazione
del Mediterraneo non va considerata come qualcosa di irrever-
sibile; è tipico degli ambienti marini cambiare in relazione a
oscillazioni climatiche.

• Quel che preoccupa sono le conseguenze del cambiamento climatico glo-


bale. La proporzione dei gas serra in atmosfera è aumentata di un terzo,
da quando è cominciata ai primi dell’800 l’industrializzazione. Da al-
lora, la massa di tutti i ghiacciai si è dimezzata. Gli 8 anni più caldi de-
gli ultimi 130 si registrano negli ultimi 11.
E tutta la CO2 riversata in atmosfera potrebbe reagire con la superficie
degli oceani: secondo uno studio della Royal Society (2005) l’anidride
carbonica sciogliendosi nell’acqua ne aumenta l’acidità, il cui livello cre-
scerà del 300% in questo secolo. I gas serra avvelenano gli oceani...

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Un’enorme nube inquinante copre la Cina orientale, esten-


dendosi nella pianura costiera che circonda il Fiume Gial-
lo, alle rive del Mar Giallo e a nord fino alla capitale Pechi-
no. Lo rivelano le immagini inviate nel novembre 2004 dai
satelliti Nasa Aqua e Terra. Gli stessi satelliti mostrano un
analogo fenomeno sulla penisola indiana.

Per quanto riguarda la Cina, gli scienziati del Nasa Earth Obser-
vatory ritengono che la nube fotografata dal Moderate Resolution
Imaging Spectroradiometer (Modis) sia il risultato delle emissio-
ni di centrali a carbone, autoveicoli e fonti di inquinamento dal-
le grandi città come Pechino e Shenzhen. Impressionante anche
l’immagine della penisola indiana. Una grande nube ai piedi del-
l’Himalaya, mentre gli altipiani del Tibet sono completamente
sgombri. “L’Himalaya fa da barriera naturale – spiegano alla Na-
sa – e trattiene il fumo e l’inquinamento in quella zona”.

• Agli inizi degli anni Sessanta il chimico inglese James Lovelock elabo-
ra una visione del pianeta Terra come entità vivente, l’ipotesi Gaia (an-
tica dea greca, madre dei viventi). Nel 2006 Lovelock pubblica il saggio
The revenge of Gaia, e per lanciarlo, su “Independent” scrive: “...Le ab-
biamo fatto venire la febbre, e presto le sue condizioni peggioreranno fi-
no a farla andare in coma. Per guarire impiegherà più di 100.000 an-
ni... Forse la cosa più triste è che Gaia perderà molto più di quanto per-
deremo noi soli. La vita selvaggia e gli ecosistemi soffriranno, ma... nella
civilizzazione umana, il pianeta ha una preziosa risorsa. Non siamo so-
lo la malattia. Siamo, con la nostra intelligenza e la comunicazione, il
sistema nervoso del pianeta. Attraverso questo, Gaia si vede dallo spazio,
e conosce il suo posto nell’universo. Noi dovremmo essere il cuore e la
mente della Terra, non la sua malattia. Quindi, dobbiamo essere forti e
smettere di pensare solo ai bisogni e ai diritti umani; capire che abbiamo
danneggiato la Terra vivente, e che ora dobbiamo fare la pace con lei”.

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Da Marconi a oggi, con l’applicazione su larga scala dell’e-


nergia elettrica e delle telecomunicazioni, la dose quoti-
diana di elettromagnetismo artificiale (CEM) assorbita dal
corpo umano si è moltiplicata di migliaia di volte e tende a
salire, con lo sviluppo di tecnologie sempre più potenti e
sofisticate ad alta frequenza: ripetitori RadioTV e ponti ra-
dio di telefonia cellulare, video, satellitare, wireless ecc.

In questa realtà fuori controllo, è la potenza condizionante del


business telefonico (2,6 miliardi di utenti, 130 miliardi di dolla-
ri annui solo i produttori) a contrastare la diffusione dei dati
sempre più preoccupati delle indagini epidemiologiche indipen-
denti (non finanziate dalle aziende) sulla possibile relazione a
lungo termine tra CEM e malattie degenerative del sangue (leu-
cemie infantili), dell’encefalo, del sistema neuro-vegetativo, ner-
voso e linfatico. Analisi che rilevano anche il collegamento con
l’inquinamento atmosferico, che diventa acceleratore dello squi-
librio nel delicato sistema di bio-hertz dell’organismo. Illumi-
nante sul tema elettrosmog, è la relazione di Angelo Gino Lewis,
biologo internazionale, membro permanente dell’Istituto Supe-
riore di Sanità, consultabile sul sito: www.elettrosensibili.it, sito
dei malati di elettrosensibilità (electrical sensivity), sindrome
neurovegetativa (in espansione mondiale) direttamente o indi-
rettamente causata dall’esposizione ai campi elettromagnetici.

• Negli anni ‘70 a Milano, era famoso un burbero anarchico che arrin-
gava la folla del Parco Sempione sul pericolo dell’onda. “L’onda ci ucci-
de” scriveva tra il dileggio e la compassione dei passanti, in mille scritte
sui marciapiedi. Si chiamava C.T. e forse aveva ragione.

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Sono state le maggiori aziende dei settori agricoltura e


biotecnologia, della difesa, dell’energia, della sanità, dei
trasporti e del tabacco i finanziatori (fino a otto volte di più)
del candidato Bush.

Sono i loro finanziamenti (vedi scandalo Abramoff) e la capa-


cità di lobbyng ad aver contribuito in modo decisivo al secondo
mandato di George Bush. Sono loro la squadra di governo, i po-
teri forti dell’amministrazione (il vicepresidente Dick Cheney
era capo esecutivo dell’indagata Halliburton Oil), la mente stra-
tegica e il motore economico della “militarizzazione della poli-
tica energetica” americana. Le guerre del petrolio: cioè trasfor-
mare l’esercito in un servizio globale di approvvigionamento,
protezione, del greggio e delle sue rotte. In Iraq, ma anche in
Colombia, Arabia Saudita, Georgia, Golfo Persico, Mar Cinese
Meridionale ecc. Del resto la dipendenza americana dal petrolio
importato è cresciuta fino ai 20 mbg nel 2005 (69% del consu-
mo) e Bush con la legge ENERGY BILL si è subito dimostrato
riconoscente, con 4 miliardi di dollari tra sussidi e sgravi fisca-
li nel solo 2005, ma soprattutto allentando vincoli ambientali e
il potere di interdizione dei poteri locali contro il proliferare di
infrastrutture petrolifere. Non si può dimenticare tra i fedeli fi-
nanziatori del candidato Bush, infine, i produttori di tabacco.
Ricompensati con la nomina di personaggi benevoli verso Big
Tobaco in posizioni cruciali, col preciso intento di sgonfiare i
programmi di prevenzione, e soprattutto complicare ricorsi e
cause miliardarie (in dollari) delle Associazioni dei consumato-
ri favorendo le archiviazioni (Class action faimess doctrine act).

• Le presidenziali 2004 e le elezioni per il Congresso sono costate in to-


tale la cifra record di 4 miliardi di dollari.

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L’acqua è vita. Ed è uno dei settori su cui i gruppi mafiosi


hanno esercitato da sempre il proprio dominio in Sicilia.

La mafia non è solo una organizzazione criminale ma è un’en-


tità più articolata. Ha rapporti con il contesto sociale, con l’e-
conomia, la politica e le istituzioni, mischia attività illegali con
attività legali, non sempre con il solo obiettivo di arricchimen-
to, ma anche con precise mire di spartizione del potere, di con-
trollo sociale e politico. Inevitabile quindi che il crimine ma-
fioso abbia considerato il controllo sull’acqua, da secoli una ri-
sorsa fondamentale per la coltivazione degli agrumi e quindi
per l’economia isolana, un obiettivo mirato da raggiungere.
Riuscendoci perfettamente. Questo anche per la mancanza da
parte dello Stato italiano (fin dalle origini) di una precisa poli-
tica delle acque che ha favorito la pratica del controllo privato
esercitata in Sicilia dai “fontanieri” (guardiani legati alla mafia)
anche con clamorosi omicidi e cicliche sanguinose faide inter-
ne.

• Ogni anno piovono in Sicilia circa 7 miliardi di metri cubi d’acqua,


quasi il triplo del fabbisogno civile e industriale. La decina di dighe co-
struite dagli anni ‘30 ad oggi sarebbero ampiamente in grado di fornire
risorse idriche alla regione, ma vengono sistematicamente costrette a fun-
zionare a regimi ridotti. Gli stanziamenti statali (54 miliardi nel 2000)
si disperdono nei rivoli del clientelismo (scandalo depuratori) e del con-
trollo mafioso sulle amministrazioni locali. Intanto la rete idrica cola-
brodo perde il 50% d’acqua, la Sicilia soffre la sete ed è in emergenza
permanente.

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2006

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