Giornalismo, come uscire dal '900: Parlano giovani emergenti, esperti e antichi maestri
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Certo, le istituzioni – come l’Ordine e il sindacato dei giornalisti – sembrano rimaste al ’900 e hanno bisogno di prendere atto dell’avvento dei social, dei video, dei podcast.
In 12 interviste ai direttori emergenti, ai maestri, agli studiosi, da Stefano Feltri a de Bortoli a Cheli, il sito Professione Reporter presenta un’analisi a tutto campo su un settore in crisi, ma vitale e fondamentale per i destini della democrazia.
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Giornalismo, come uscire dal '900 - professionereporter.eu
Colophon
Giornalismo
come uscire dal ’900
Parlano giovani emergenti, esperti e antichi maestri
ISBN 9791259990655
a cura di professionereporter.eu
© 2022 by All Around srl
redazione@edizioniallaround.it
www.edizioniallaround.it
Alberto Ferrigolo ha intervistato: Enzo Cheli, Mario Morcellini, Stefano Feltri, Agnese Pini, Paolo Mancini, Luca Sofri, Giancarlo Tartaglia, Francesco Piccinini, Giulio Gambino, Carlo Bortoli, Beppe Giulietti
Vittorio Roidi ha intervistato: Ferruccio De Bortoli
Premessa
di Vittorio Roidi
Aprire la discussione sul futuro del giornalismo: l’associazione Professione Reporter ha cominciato a farlo con una serie di interviste che ha pubblicato sul proprio sito on line e che ora vengono stampate in un quaderno, all’interno della collana della Fondazione Paolo Murialdi, diretta da Giancarlo Tartaglia. Occorre una legge? È tempo di chiedere al Parlamento di modificare le norme scritte quasi sessanta anni fa, per stabilire chi, al tempo d’oggi, è giornalista, come deve essere addestrato e quali principi deve seguire affinché il Paese abbia un’informazione di qualità?
Le nostre domande non sono dirette solo agli esponenti della categoria, poiché è evidente che la questione riguarda l’interesse dell’intera collettività. Pertanto, il tema viene proposto, non solo ad alcuni giornalisti, ma ad esperti e studiosi che lo esaminano da punti di osservazione differenti, meno corporativi e più specialistici.
Il mercato trascina verso il basso gli strumenti del giornalismo, li coinvolge in un marasma in cui il diritto a informare e a essere informati appare da un lato più semplice da realizzare, dall’altro fortemente influenzato e discutibile. Si mischiano verità e propaganda, fatti avvenuti e opinioni dei singoli, notizie prodotte da professionisti accanto a messaggi che consentono a qualunque persona, in possesso di moderni strumenti tecnologici, di diffondere parole e immagini. Secondo alcuni il giornalismo professionale appare al tramonto, mentre altri sono disposti ad affidarlo alle sole leggi del mercato, ovvero all’anarchia sfrenata provocata da Internet, che ha creato giganteschi imperi commerciali, che lascia impuniti gli imbrogli e le bufale, che si accompagna alla crisi di molte aziende, al declino della carta stampata, alla precarizzazione del lavoro,
Il giornalismo italiano deve uscire dal ’900
, ha scritto nell’introduzione il direttore di professionereporter.eu Andrea Garibaldi. Perché è fermo ai tempi gloriosi di Montanelli, di Bocca, della Cederna, di Ettore Mo. Le porte dell’Ordine devono essere aperte ai nuovi cronisti, a quelli che lavorano muniti di videocamere e di telefoni, autori di postcast e di video montati con i propri computer. Ma quali sono i passaggi che possono far approdare a questo giornalismo moderno e restituire ai cittadini fiducia nei suoi operatori?
Le interviste sono state realizzate dal collega Alberto Ferrigolo che nella seconda parte del quaderno, dopo aver ricordato le ragioni che spinsero il Parlamento a creare l’attuale sistema normativo, tratteggia le scelte fatte da altre nazioni, le quali pur mettendo alla base del giornalismo valori etici simili ai nostri, si trovano come noi a ragionare sulla necessità per le democrazie di difenderlo e rilanciarlo.
L'ordine dei giornalisti va riformato al più presto
di Andrea Garibaldi
Deve uscire dal ’900, dalla Sala Albertini del Corriere , dall’ Espresso di Scalfari e Jannuzzi, dai tempi di Bocca, Cederna, Ettore Mo. Tempi gloriosi, che non ci sono più.
L’Ordine deve aprire le sue porte alle nuove specializzazioni del giornalismo, ai nuovi cronisti con le videocamere e i telefonini, agli autori dei podcast, ai montatori, agli esperti di dati. Deve riformare l’accesso alla professione, oggi legato a un esame rimasto indietro, anch’esso. Deve mirare la formazione sulle esigenze dei nuovi mestieri. Il caso Inpgi, finito, dopo anni di bilanci in rosso, nell’Inps, dimostra che le istituzioni del giornalismo italiano, se si arroccano, rischiano di perdere tutto.
Ma l’Ordine non va abolito.
L’Ordine è necessario per difendere le regole base del giornalismo. Che sono sempre le stesse. Per difendere il giornalismo dalle invasioni. Della pubblicità. Del marketing. Dalle camere dell’eco
, che vogliono dare a ciascuno soltanto le notizie della loro parte, quelle che rafforzano i pregiudizi e non fanno pensare.
Convinzione di tutti è che il giornalismo debba essere salvato, al di là della crisi che attraversa l’editoria, con vendite delle copie di carta sempre più sottili e incertezze su come fare profitti sul web. Il giornalismo va salvato perché è un pilastro della democrazia, un collante per le comunità, un sostegno per le parti più deboli della società.
Con molta sintesi, tutto questo forma il quadro che emerge dalle dieci (più due) interviste che Professione Reporter ha condotto sotto il denominatore Una legge per i giornalisti
. Responsabili dei nuovi mezzi di informazione online di maggior successo, studiosi delle dinamiche dell’informazione, esponenti prestigiosi dell’establishment giornalistico. Più il nuovo presidente dell’Ordine (da novembre), Carlo Bartoli, più il presidente della Federazione della Stampa, Giuseppe Giulietti. Interviste che sono ora raccolte in questo libro.
Solo uno degli intervistati, il professor Paolo Mancini sostiene che l’Ordine vada ormai abolito, vittima del processo generale di deistituzionalizzazione, che interessa anche i partiti, ad esempio. Per quanto riguarda il rispetto della deontologia e dell’etica, bastano le leggi ordinarie, dice Mancini.
Per tutti gli altri, l’Ordine ha un senso, ma la riforma è urgente. "In quindici anni di esperienza l’Ordine mi si è manifestato solo nella sua forma di ostacolo – dice Stefano Feltri, direttore del Domani – Hanno convocato Attilio Bolzoni per le lamentele di un ex agente dei servizi segreti e ci hanno criticato per aver pubblicato i filmati del pestaggio dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere".
La legge del 1963 sull’ordinamento della professione di giornalista e sull’Ordine risulta invecchiata, in molte parti superata
, dice Enzo Cheli che non è un nativo digitale, ma un ex vice presidente della Corte Costituzionale, classe 1934. Sostiene Giancarlo Tartaglia, per molti anni direttore della Fnsi: L’Ordine deve individuare l’esercizio della professione in ogni strumento di comunicazione
. E Francesco Piccinini, già direttore di Fanpage: Ci sono luoghi dove si fa informazione, come Tok Tok, YouTube, Instagram che non sono nei radar dell’Ordine. Ci sono divulgatori che da soli influenzano più dei 30mila iscritti all’Ordine
. Chi lavora sui dati, sulle newsletter, sui social – secondo Feltri – fa spesso un lavoro più giornalistico di chi corregge i titoli delle brevi in un grande giornale
. Ferruccio de Bortoli, direttore due volte del Corriere e una volta del Sole 24 ore, propone una strada innovativa: una commissione che ogni anno scelga mille persone da far diventare giornalista, giovani che hanno meritato e guadagnato sul campo il tesserino. La categoria gli appare aggrappata alla corporazione e al passato
.
Uno dei compiti principali, istituzionali, dell’Ordine – si ripete sempre – è garantire il rispetto delle norme deontologiche della professione. Dare ai cittadini e ai lettori l’assicurazione che chi è iscritto lavora nell’ambito delle regole base del giornalismo. Ma il giudizio su come l’Ordine amministra la giustizia
professionale non è positivo. L’Ordine tutela poco sulle querele temerarie contro i giornalisti. Non alza la voce quando c’è un potente che si fa sentire. Ma sanziona anche poco
, dice Giulio Gambino, direttore di Tpi, un’altra realtà interessante del web e ora anche della carta (un settimanale). L’Ordine non sanziona
, dice Luca Sofri, responsabile del Post. L’idea – risponde, da un’altra epoca, de Bortoli – è che la colleganza vince sempre
. Vale a dire: fra colleghi non ci si fa male.
L’accesso alla professione. Agnese Pini, direttrice della Nazione di Firenze sottolinea come vada delineato un percorso più chiaro, come per altre professioni. Il professor Mario Morcellini, già ordinario di Sociologia della Comunicazione alla Sapienza di Roma, vorrebbe affidare l’accesso alle università, sottrarlo al controllo dei giornalisti.
E poco senso sembra ormai avere la differenza fra professionisti e pubblicisti. Ora che molti pubblicisti non sono più persone che svolgono l’attività giornalistica in via secondaria, ma solo giornalisti che gli editori possono meglio sfruttare.
Poi, ci sono i temi del momento. La trattativa fra Ott, over the top, Google Facebook Amazon ed editori di tutto il mondo sul pagamento da parte dei primi del copyright sugli articoli presi dai media e messi sulle piattaforme. Perché lasciare questo tema solo nelle mani degli editori? Dovrebbe partecipare anche il sindacato. E l’Ordine
, dice Piccinini.
E il problema pubblicità. Dice Sofri che l’Ordine non si occupa dei contenuti pubblicitari non segnalati. E Feltri: Quando un giornalista si sente in difficoltà rispetto alla sua testata, alla sua professione o alla sua condizione dovrebbe poter sentire che l’Ordine è dalla sua parte e non da quella dell’editore o del direttore. Per esempio se l’Ordine dicesse: le pagine redazionali dei giornali che sono ignobili ‘marchette’ non le può firmare un iscritto all’Ordine, ma un responsabile del marketing, dell’Azienda, o altro
.
Resta in tutti gli interventi la certezza del ruolo che il giornalismo può sempre svolgere. Il giornalismo è fatto dai cronisti, non dagli ideologi, sostiene de Bortoli, ci deve essere una linea che separa il racconto della realtà dalle tesi di parte. Il giornalista deve essere, in quest’epoca un selettore di informazioni – secondo Cheli – Deve distinguere l’informazione vera da quella falsa, l’importante dalla secondaria
.
Prendiamo la pandemia: oggi – secondo Feltri – il giornalismo non può più essere quello di Giorgio Bocca alla tragedia del Vajont, che ti porta sul posto con la capacità di descrivere immagini potenti. Oggi sul Vajont si tratta di saper montare un video, fare i tweet, raccontare una storia su Instagram: Sulla pandemia il giornalista contemporaneo è quello che conosce e sa leggere la letteratura scientifica, la sa tradurre e spiegare, sa dire a che punto siamo nel dibattito sulla terza dose e sulla quarta, senza dover fare solo il reggimicrofono di un virologo
. Il valore aggiunto è però sempre lo stesso: scoprire cosa cosa non si sapeva, spiegare una cosa né capita né spiegata: Giornalismo è migliorare qualità del dibattito pubblico, mettere i cittadini nelle condizioni di avere gli strumenti per gestire la vita in modo più consapevole
. Morcellini, proprio per questo, pensa che lo Stato debba sostenere il giornalismo.
L’importante è non ridursi a riprendere notizie dai social, dice Tartaglia, ma controllare le notizie. L’importante è non mettere in difficoltà persone che non lo meritano, non prendere di petto i poveracci, dice Feltri.
Infine, le due interviste ai due vertici della professione. Il presidente dell’Ordine, Bartoli: prima le regole della professione, poi la riforma dell’Ordine. A proposito, quella licenziata dal suo predecessore nel 2018 non va più bene. Il giornalismo? Deve coprire tutta la realtà sociale. Poi, c’è il discorso che riguarda le istituzioni pubbliche: Vogliono un’informazione libera o un’informazione gestita dagli algoritmi?
. Per ora i governi hanno sostenuto gli editori con i prepensionamenti e non hanno favorito le assunzioni. Oggi la gran massa dei giornalisti lavora in miniera o alla catena di montaggio
.
E Giulietti? Sovranismo e populismo sono all’assalto dell’informazione. Il sindacato deve avere tre obiettivi-chiave: equo compenso, querele temerarie, riforma dell’editoria, con la modifica di una legge vecchia di 40 anni. Questo governo sta facendo zero più zero, nel Pnrr non c’è una riga sui mezzi d’informazione. Poi, se lo dice da solo: ci vuole un’iniziativa forte, uno sciopero generale. E conclude: la funzione del giornalismo va esaltata oggi, non attenuata.
L'Ordine si apra agli operatori dei nuovi media
Enzo Cheli
Giurista, costituzionalista e docente universitario, anche nell’ambito del Diritto dell’informazione e della comunicazione, il professor Enzo Cheli, classe 1934, è stato giudice della Corte Costituzionale e presidente dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni dal 1998 al 2005. Abbiamo sentito la sua opinione in merito alla riforma dell’Ordine dei giornalisti e del sistema dell’informazione di cui si è occupato a lungo, anche con interventi e saggi sulla rivista Problemi dell’informazione , fondata