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Giovanni Ferraro
Via Nazionale, 38 80021 Afragola (NA)
Summary. In this paper, I investigate some aspects of the problem of rigour in mathematical analysis between 1740 and 1770.
During this period, a certain attention was already paid to the rigorous demonstration of theorems although their practical
implementation seems puzzling to modern eyes. Indeed, in mathematical texts, one notices the presence of factors of persuasion
that go beyond the mere logic of Euclidean stringency while examples (both in the form of arbitrary exemplification and of
inductive generalisation) were often used as tools for proving theorems. I also observe that modern and eighteenth century
notions of rigour are, nevertheless, different and this is due to differing conceptions of mathematics.
Sommario. In questarticolo vengono esaminati alcuni aspetti del problema del rigore nellanalisi matematica tra il 1740 e il 1770.
Durante questo periodo, era gi prestata una certa attenzione alla dimostrazione rigorosa dei teoremi, ma essa attuata nella
pratica secondo moladilit che sconcertano i moderni osservatori. Invero, nei testi del tempo, si nota la presenza di fattori di
persuasione che vanno oltre la pura logica euclidea e gli esempi (sia nella veste di esemplificazioni arbitrarie sia in quella di
generalizzazioni induttive) sono spesse usate come strumenti per provare i teoremi. A parte ci, la nozione moderna di rigore e
quella del sec. XVIII differiscono e questo dovuto a differenti concezioni della matematica.
In questo articolo vengono esaminate alcune questioni riguardanti le tecniche dimostrative usate in
analisi matematica tra il 1740 e il 1770. In tali anni fu chiaramente avvertita la necessit di un maggiore
rigore, tuttavia tale esigenza fu attuata in un modo che lascia sconcertato il lettore moderno. Non mia
intenzione affrontare in questa sede una discussione epistemologica generale sul problema del rigore;
mi limiter a rintracciare negli scritti dellepoca materiale utile per uneventuale dibattito e a porre in
evidenza alcune differenze tra la concezione moderna della matematica e quella settecentesca.
Nel tradizionale binomio analisi-sintesi, l'analisi costituiva un metodo per la ricerca della verit,
mentre la corretta dimostrazione delle verit trovate era considerata compito della sintesi geometrica.
L'analisi era subordinata alla geometria, strumento di questa e priva di sostanziale autonomia. Tale
subordinazione permane, almeno in linea di principio, anche di fronte ai successivi sviluppi dell'analisi
dei finiti e degli infiniti e si ritrova ancora in Leibniz.
1
Agli occhi del suo fondatore perfino il nuovo e
fondamentale calcolo differenziale e integrale aveva un carattere ancora subordinato alla geometria e di
ausilio ad essa e alle scienze fisiche, la qual cosa egli giustificava facendo ricorso alla distinzione della
conoscenza in intuitiva e simbolica.
2
Alla geometria era attribuita la forma di conoscenza pi perfetta,
1
Naturalmente, non mia intenzione identificare totalmente lanalisi del Seicento e, anche, del Settecento con lalgebra e il
calcolo. Almeno dalla pubblicazione delle Collezioni matematiche di Pappo ad opera di Commandino, i matematici europei erano
consapevoli dellesistenza di unanalisi geometrica degli Antichi e molti fra loro tentarono di divinarla.
2
"Est [...] cognitio vel obscura vel clara, et clara rursus vel confusa vel distincta, et distincta vel inadaequata vel adaequata, item
vel symbolica vel intuitiva". (G.W.Leibinz, Meditationes de cognitione, veritas et ideis, Acta Eruditorum, Lipsiae mensis
novembris, 1684, pp.537-542).
l'intuizione;
3
l'algebra e il calcolo erano invece caratterizzate dalla conoscenza simbolica la quale era
considerata cieca, meccanica e, in quanto tale, imperfetta.
4
Il calcolo aveva s, per Leibniz, lo status di
una nuova teoria matematica ma era visto principalmente come uno strumento risolutivo di un'ampia
classe di problemi fisici o geometrici. Esso appariva privo di una propria significativit e si configurava
come una teoria delle curve pi che una teoria delle equazioni o delle funzioni.
5
La caratteristica
essenziale della prima fase del calcolo fu, pertanto, il riferimento immediato ed esplicito alla geometria.
Tale esplicito riferimento non fu pi accettato nella fase algebrica del calcolo, che va dal 1740 ai primi
decenni del secolo successivo.
6
In questo periodo prevalse una diversa concezione secondo cui la
scienza dei segni era del tutto autonoma e capace di essere di per s significativa, indipendentemente
da ogni riferimento alla geometria e alla meccanica: anzi, il calcolo, divenuto studio delle funzioni, fu
pensato come disciplina fondante e unificante di tutta la matematica.
7
In questo contesto si pone per la prima volta in modo significativo il problema della rigorosa
dimostrazione analitica di certi risultati. Non mi riferisco tanto a questioni fondazionali ma alla questione
generale di dimostrare i teoremi del calcolo secondo tecniche meramente analitiche. A partire dal terzo-
quarto decennio del sec.XVIII, furono, infatti, pubblicate le prime dimostrazioni di teoremi enunciati da
molto tempo. Valgano i seguenti esempi:
- la regola dei segni, formulata da Cartesio nel 1637, fu dimostrata la prima volta da J.A.Segner nel
1728 e subito dopo da G.Campbell (1729), da F.W.Stbner (1730) e poi da molti altri;
8
- il teorema fondamentale dell'algebra,
9
formulato da A.Girard nel 1629, venne dimostrato la prima
volta da D'Alembert nel 1746;
3
Per Leibniz la conoscenza intuitiva si riferiva alle idee, mentre la conoscenza simbolica riguardava solo i segni che tali idee
rappresentano (cfr. E.Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Berlin, 1923-1929, traduzione italiana Filosofia delle forme
simboliche, Firenze, La nuova Italia, Firenze, 1961-66, vol.III , pp.113-114).
4
Ivi, p. 538. La meccanicit del simbolico era comunque di grande utilit e poteva presentare vantaggi rispetto all'intuizione
geometrica. Ci era dimostrato a parere di Leibniz proprio dal calcolo differenziale: "La raison de l'avantage de ce nouveau Calcul
est encor, qu'il decharge l'imagination dans les problmes, que M. des Cartes avouit exclus de sa Geometrie sous pretexte qu'ils
menoiet au mecanique le plus souvent, mais dans le fond percequ'ils ne convenoient pas son calcul." G.W.Leibniz, Nouveaux
essais sur l'entedement humain, in uvres philosophiques latines et franaises de feu Mr. de Leibnitz, Amsterdam et Leipzig,
J.Schreuder, 1756, pp.1-496, in particolare p.457.
5
M.Panza, La forma della quantit, Cahiers dhistorie et de philosophie des sciences, voll. 38-39, Presses de lUniversit,
Nantes, 1992, pp.62-63.
6
Si veda C.G.Fraser, The Calculus as Algebraic Analysis: Some Observations on Mathematical Analysis in the 18
th
Century,
Archive for History of Exact Science 39, 1989, p.317.
7
M.Panza, La forma della quantit, cit., pp.158-160.
8
Cfr. M.Bartolozzi-R.Franci, La Regola dei Segni dall'enunciato di R.Descartes (1637) alla dimostrazione di C.F.Gauss (1828),
Archive for History of Exact Science, 45, 1993, pp.335-374.
9
Cfr. C.Gilain, Sur l'histoire du thorme fondamental de l'algbre: thorie des quations et calcul intgral, Archive for History of
Exact Science, 42, 1991, pp.91-136.
2
- il teorema del binomio, secondo cui il binomio (1+x)
n
ammette lo sviluppo
... x
3 2 1
) 2 n )( 1 n ( n
x
2 1
) 1 n ( n
nx 1
3 2
+
+
+ .
Ottiene, tra l'altro, gli sviluppi delle funzioni (x+ )
n
, logx, a
x
, cosx, etc. Tali derivazioni sono, per, sono
per lo meno superflue, se non circolari. Infatti, per ottenere lo sviluppo in serie di Taylor di una funzione
elementare occorre conoscerne il rapporto differenziale; ma per ricavare che il rapporto differenziale di
una generica funzione y(x), Euler, nelle Institutiones calculi differentialis, al cap.IV, della parte I, aveva
utilizzato lo sviluppo
(2) y=P +Q
2
+R
3
+S
4
+etc.
ove P, R, S, sono opportune funzioni di x e y=y(x+ )-y(x). Ponendo =dx, ossia considerando
infinitesimo l'incremento finito , e applicando il principio di omissione, egli aveva determinato dy/dx.
Quindi per conoscere il rapporto differenziale di una determinata funzione y(x) occorre dapprima
conoscere lo sviluppo (2) di y. Relativamente alle funzioni elementari, Euler dimostra la (2) nel cap.I
delle Institutiones calculi differentialis utilizzando risultati gi noti dall'Introductio in analysin infinitorum e
che, di fatto, sono nient'altro che opportuni sviluppi in serie di Taylor di tali funzioni.
Per esempio, nelle Institutiones calculi differentialis, al pf.78 della parte II, Euler deriva lo sviluppo in
serie di Taylor di y=log10x, calcolando i successivi rapporti differenziali e ricavando cos
(3) log10(x+ )= ...
x 3
m
x 2
m
x
m
x log
3
3
2
2
10
+
+
ove m=log10e. Ma in precedenza, al pf.180 della parte I delle stesse Institutiones calculi differentialis,
Euler per ottenere il rapporto differenziale del logaritmo, aveva osservato che
dy=log(x+dx)-logx=log(1+ dx/x),
e, utilizzando quindi in maniera determinante lo sviluppo in serie
(4) log(1+x)= ...
4
x
3
x
2
x
x
4 3 2
+
dimostrato nell'Introductio in analisyn infinitorum, parte I, cap.VII, aveva ricavato:
dy= ...
x 4
dx
x 3
dx
x 2
dx
x
dx
4
4
3
3
2
2
+ +
Applicando poi il principio di omissione, ossia trascurando in tale serie gli infinitesimi di ordine superiore,
egli otteneva d(logx)=dy=dx/x .
5
La (3) , per, nient'altro che una banale trasformazione della (4) in quanto
log10(x+ )=
,
_
+ +
,
_
+ +
1
]
1
,
_
+
x
1 log m x log
x
1 log x log
x
1 x log
10 0 1 10 10
In effetti viene utilizzato il teorema di Taylor, il che implica la conoscenza del rapporto differenziale,
per dimostrare la (3), la quale non altro la (4) per x=1 e =x. La formula (4), per, essenziale per
ottenere il rapporto differenziale di log10(x+ ) e quindi lo sviluppo (3).
Siamo di fronte a una costruzione alquanto barocca, ai limiti della circolarit, che va vista nell'ambito
del tentativo di mostrare come i vari tasselli costituenti l'analisi si compongono perfettamente in una
struttura coerente. La facilit con cui si poteva dedurre la (3) direttamente dalla (4), mette in luce che il
vero obiettivo di Euler di convincere il lettore della sostanziale correttezza del calcolo, mostrando
l'univocit e la non contraddizione dei risultati ottenuti.
Questapproccio si ritrova spesso negli scritti euleriani. Ad esso si ricollega l'uso che Euler fa degli
esempi, i quali non hanno solo la moderna finalit di chiarire i risultati e di applicarli a casi particolari ma
svolgono anche ulteriori funzioni. Una di queste funzioni, molto significativa per valutare la struttura
logica dei trattati euleriani, pu essere definita di persuasione del lettore. Euler, infatti, pur in presenza
di una dimostrazione, fa uso, a volte, di esempi come occasione di verifica e di controllo della validit
dei risultati teorici ottenuti ed essi, ben collocati in alcuni punti critici delle sue opere, svolgono anche un
effetto retorico di "propaganda" del calcolo.
21
Nello sforzo di trasformare il calcolo, ancora giovane, in
una teoria organica, gli esempi sono impiegati per raccordarne le varie parti e per mostrarne la
coerenza complessiva anche mediante la concordanza a posteriori dei risultati.
A tal fine di interesse la trattazione euleriana della cosiddetta regola di de l'Hpital. Gi il
Marchese de l'Hpital, nell'Analyse des Infiniment petits, per chiarire la regola che oggi porta il suo
nome l'aveva applicata alla funzione y=
ax a
xx aa
,
2
1 n 2
x 1
x x
+
,
2
2 n 1 n
) x 1 (
nx x ) 1 n ( x
+ +
+ +
,, per x=1. Per meglio
persuadere il lettore, Euler mostra come i risultati ottenuti, n, n, n(n+1)/2,, coincidono con quelli che si
ottengono utilizzando le seguenti relazioni ben note per via elementare:
x 1
x x
n
=x+x
2
++ x
n+1
,
2
1 n 2
x 1
x x
+
= x+x
3
++ x
2n-1
,
2
2 n 1 n
) x 1 (
nx x ) 1 n ( x
+ +
+ +
= x+2x
2
++ nx
n
,
i secondi membri delle quali, per x=1, danno luogo a
1+1+1+...+1=n, 1+1+1+...+1=n, 1+2+3+...+n=n(n+1)/2, ...
Espressamente, Euler nota: "Quoniam vero eaedem summae aliunde constant, ex consensu veritas
huius methodi magis elucebit".
Dopo aver convalidata la "verit" della regola di de l'Hospital mediante l'accordo dei risultati che da
essa derivano con quelli gi noti per via elementare, Euler passa ad illustrarne l'estensione al caso di
rapporto di funzioni trascendenti, mostrandone l'efficacia mediante un'altra serie di esempi, i quali
svolgono ora solo la funzione di chiarire il metodo (e non pi di mostrarne la correttezza):
Eadem methodo erit utendum, si in fractione proposita P/Q vel numerator vel denominator vel uterque fuerit quantitas
trascendens. Quae operationes, quo clarius explicentur, sequentia exempla adiicere visum est.
23
Un'altra conferma di questo particolare modo di usare gli esempi viene fornita nel successivo cap.III
delle Institutiones, ove Euler, subito dopo aver mostrato che una funzione y(x) ammette lo sviluppo (1),
al pf.50, afferma che "veritas huius expressionis comprobari poterit eiusmodi exemplis, quibus
differentialia altiora ipsius y tandem evanescunt: his enim casibus numerus terminorum superioris
espressionis fiet finitus". Euler fornisce tre esempi nei quali si determina il valore delle funzioni x
2
-x,
x
3
+x
2
+x, x
2
++3x+1 quando al posto della x si pone, rispettivamente, x+1, x+2, x-3. Il calcolo viene
eseguito, dapprima, utilizzando la (1), poi per mezzo dell'algebra elementare: poich, in entrambi i casi,
si giunge allo stesso risultato viene ad essere confermata la validit dello sviluppo di Taylor.
Nello stesso capitolo Euler utilizza anche altri esempi per mostrare la "verit" di formule dedotte dal
teorema di Taylor, cio per convincere il lettore della correttezza di un risultato, concernente serie
infinite, applicandolo a casi particolari, in cui la serie si riduce a una somma finita oppure a una serie gi
nota. Cos, al pf.67, egli osserva che se nella (1) si pone =-x, si ottiene l'espressione,
(5) y(0)= ...
dx 24
y d x
dx 6
y d x
dx 2
y d x
dx
xdy
) x ( y
4
4 4
3
3 3
2
2 2
+ + + .
Cartesianae Geometriae Francofurti A. 1695 editae, ad calcem adjectis. Si vero circa tale problema, differentialis calculi usum
experiri quispiam cupiat: In sectione IX Analyseos Infin. parvorum illustriss. supra nominati Dni. Marchionis de l'Hospital Parisiis
editam, hanc materiam egregie pertractatam inveniet."
23
L.Euler, Institutiones calculi differentialis, cit., parte II, pf.361.
7
"cuis veritatem sequentia exempla illustrabunt". Negli esempi Euler mostra, attraverso un calcolo diretto,
che per le funzioni x
2
+ax+ab, x
3
-2x+3, x/(1-x), e
x
, senx il secondo membro della (5) effettivamente
uguale al valore della funzione per x=0. Allo stesso modo Euler si comporta, alla fine dello stesso
capitolo (pf.69), rispetto a un'altra variante della (1)
v= ...
dx 24
y d ) x t (
dx 6
y d ) x t (
dx 2
y d ) x t (
dx
dy ) x t (
) x ( y
4
4 4
3
3 3
2
2 2
+
+
"cuius veritas quibuscunque exemplis comprobari potest" e all'inizio del successivo cap.IV, al pf.72, ove
prima di procedere a varie applicazioni della (1), egli fornisce quella che si pu considerare una sua
ulteriore conferma. In questo senso, infatti, si deve interpretare la derivazione, ivi effettuata, della
"notissima espressione newtoniana"
(6) (1+x)
n
=
... x
3 2 1
) 2 n )( 1 n ( n
x
2 1
) 1 n ( n
nx 1
3 2
+
+
+ +
ossia del teorema del binomio, gi utilizzato in pi occasioni nelle Institutiones calculi differentialis. In
uno scritto successivo,
24
lo stesso Euler riconoscer questa derivazione della (6) affetta da una petitio
principi fornendone una dimostrazione esente da tale vizio.
25
Il teorema del binomio,
26
infatti, interviene
in modo determinante nella dimostrazione stessa della (1) e, ancora prima, della (2). Ma si noti che
nella parte II, pf.73 delle Institutiones calculi differentialis, Euler dopo ritrovato la (6), ne ricava,
mediante la trasformazione
u x
ux
+
uno sviluppo non intero di (x+u)
n
, cio
(7)
...
) u x ( 3 2 1
x u ) 2 n )( 1 n ( n
) u x ( 2 1
u x ) 1 n ( n
) u x ( 1
u nx
x ) u x (
3
n 3
2
2 n n
n n
+
+
+ +
+
+
+
+
+
+ +
Tale sviluppo, utile per le applicazioni numeriche, costituisce, limitatamente a questo argomento e alle
Institutiones, l'obiettivo finale della ricerca di Euler. Subito dopo aver dato la dimostrazione della (7), al
successivo pf.74, Euler ne fornisce una seconda dimostrazione, questa volta, per, senza far uso della
(6), ma derivandola direttamente dalla (5). La dimostrazione del teorema del binomio risulta, pertanto,
superflua all'obiettivo di Euler di giungere alla (7). In realt il vero senso di tale dimostrazione, come
quello di molti degli esempi offerti, di mostrare, ancora una volta, la coerenza interna e il perfetto
24
Si tratta del Demonstratio theorematis newtoniani de evolutione potestatum binomii pro casibus quibus exponentes non sunt
numeri integri, Novi Commentarii academiae scientiarum Petropolitanae19 (1774), pubbl.1775, pp.103-111; in Opera omnia (1)
15, pp.207-216.
25
Un seconda dimostrazione dello stesso teorema verr poi data nella Nova demonstratio quod evolutio potestatum binomii
newtoniana etiam pro exponentibus fractis valeat, Nova acta academiae scientiarum Petropolitanae5 (1787), pubbl.1789
(presentato 1776), pp.52-59.
26
Ivi, pf.45. Per una discussione della questione cfr. M.Pensivy, Jalons historique, cit.
8
incastro di alcuni tasselli costituenti l'analisi degli infiniti.
27
difficile parlare, da questo punto di vista, di
una vera e propria petitio principi
28
e, in effetti, aver dichiarato, nella Demonstratio theorematis
newtoniani, l'esistenza di una circolarit sembra quasi essere il riconoscimento della necessit di
superare certi metodi di persuasione.
Si possono segnalare, al di fuori delle Institutiones calculi differentialis, molti altri casi in cui Euler ha
il medesimo approccio. Un caso sicuramente poco felice si ha nel De usu functionum discontinarum in
Analysi,
29
dove Euler pretende, con un solo esempio, costituito dalla funzione y=ax
2
+bx+c, di risolvere
ogni possibile dubbio su quanto da lui affermato circa il rapporto differenziale delle funzioni discontinue:
Cum plerisque haec differentialum notio, et rationis, quae inter quantitates evanescentes intercedit, investigatio, maxime
suspecta videri soleat, unico exemplo omnio dubia evanescet.
In Dmonstration de la somme de cette suite etc
36
1
25
1
16
1
9
1
4
1
1 + + + + + + .,
30
Euler risponde
alle critiche intorno al modo in cui egli aveva determinato la somma della serie
1 i
k 2
n
1
, per k=1,2,
31
affermando a p.177:
La mthode que jai donne dans les Commentaires de lAcadmie de Ptersbourg pour trouver la somme de cette suite,
lorque lexponant n est un nombre pair
etc
6
1
5
1
4
1
3
1
2
1
1
n n n n n
+ + + + + + .
a quelque chose dextraordinaire, parcequelle est tire dun principe dont on na pas encore fait beaucop dusage dans les
recherches de cette nature. Elle est cependant aussi sre et aussi fonde que toute autre mthode dont on se serve
ordinairement dans la sommation des suites infinies: ce que j'ai fait voir aussi par le parfait accord de quelques cas dj connus
d'ailleurs et par les approximations, qui nous fournissent une manire aise d'examiner la vrit dans la pratique.
In Dmonstration de la somme de cette suite, ma anche altre scritti,
32
Euler "corrobora" il suo
metodo eseguendo le stesse somme con altra metodologia; la coincidenza dei risultati ottenuti in De
27
M.Pensivy afferma: "C'est sans doute pourquoi il a choisi de faire une seconde dmostrantion, ce qui nous incite ne pas le
taxer imprudemment de manque de rigeur" (Jalons historique, cit., p.201). Ma a differenza di quanto sembra pensare Pensivy, la
seconda dimostrazione della (7) fornita da Euler non dovuta a scrupoli sulla validit della prima ma contribuisce a formare
quell'intreccio di risultati che serve a dare spessore alla teoria.
28
Lapproccio al teorema del binomio nelle Institutiones calculi differentialis sostanzialmente lo stesso approccio impiegato nella
determinazione dello sviluppo in serie delle altre funzioni elementari (si veda il caso, sopra esaminato, del logaritmo).
29
Novi Commentarii academiae scientiarum Petropolitanae 11 (1765), pubbl.1767, pp.3-27. Il brano citato a p.12
30
Journal littraire dAllemagne, de Suisse et du Nord (La Haye) 2:1, 1743, pp.115-127, in Opera omnia (1) 14, 176-186.
31
L.Euler, De summis serierum reciprocarum, Commentarii academiae scientiarum Petropolitanae 7, 1734/35, pubbl.1767,
pp.123-134; in Opera omnia (1) 14:73-86.
32
Si veda in particolare L.Euler, De summis serierum reciprocarum ex potestatibus numerorum naturalium ortarum dissertatio
altera in qua eaedem summationes ex fonte maxime diverso derivantur; Miscellanea Berolinensia 7 (1743), pp.172-192; in
Opera omnia (1) 14, 138-159.
9
summis serierum reciprocarum con quelli derivati da altre procedure di calcolo o per approssimazione
viene utilizzata per convincere i suoi interlocutori della correttezza del metodo. Nessuno, in realt,
metteva in dubbio la correttezza delle somme
1 = n
2
2
6
n
1
;
90
n
1
4
1 = n
4
+
3 3
x - ) (x
= 3x
2
+3x +
2
, poniamo =dx e applichiamo il principio di cancellazione degli
infinitesimi, otteniamo il rapporto differenziale dy/dx=3x
2
. In tale procedura il numero '3' non ha alcuna
propriet particolare che sia cogente nella procedura usata ed sostituibile da un qualsiasi numero
naturale n: baster calcolare la potenza n-esima di x+ , usando, ad esempio, il triangolo di Pascal, e
ripetere gli stessi passaggi. Allora il ragionamento fatto si pu considerare come la dimostrazione che il
rapporto differenziale di y=x
n
dy/dx=nx
n-1
, per un qualsiasi numero naturale n. Quando, come in
questo caso, un esempio paradigmatico al posto di una dimostrazione generale, si pu parlare di
esemplificazione arbitraria. Tuttavia, la procedura che trova il rapporto differenziale di y=x
n
quando n
numero naturale non pu essere immediatamente estesa a un numero reale . Se dallesempio
dy/dx=3x
2
vogliamo dedurre che il differenziale di y=x
dy= x
-1
dx, per numero reale, compiamo
un atto sostanzialmente differente dallesemplificazione arbitraria, che possiamo chiamare
generalizzazione induttiva. Questa , in effetti, una forma di induzione simile, in qualche modo, a quella
delle scienze empiriche e consistente nel fare scaturire dall'esame di alcuni casi particolari una regola di
carattere generale.
Un caso di esemplificazione arbitraria si ha, nell' Introductio in analysin infinitorum, quando Euler,
procedendo alla trattazione della decomposizione delle funzioni razionali in somma di fratti semplici,
non fornisce una dimostrazione generale della proposizione iniziale
41
in quanto "rei veritas ex exemplo
clarius quam per ratiocinum perspicietur".
42
L'esempio consiste nel mostrare come la frazione
4
3 2
z 4 1
z 4 z 3 z 2 1
+
+
possa essere scomposta in
2 2
z 2 z 2 1
z
z 2 z 2 1
z
+ +
+
+
+ +
+
,
39
M.Panza, La forma della quantit, cit., p.188.
40
D.H. Fowler, Could the Greeks have used mathematical induction? Did they use it? Physis 31, 1994, p.258.
41
"Si denominator functionis fractae duos habeat factores inter se primos; tum ipsa functio fracta resolvetur in duas fractiones,
quarum denominatores sint illis binis factoribus respective aequales." (L.Euler, Introductio in analisyn infinitorum, cit., p.41).
42
Ibidem.
11
con
4
3
,
2
1
,
4
5
,
2
1
. Le particolari funzioni razionali utilizzate non intervengono
nellesempio per le loro specifiche propriet, ma stanno al posto di funzioni generiche: implicito che il
ragionamento fatto in un caso si possa ripetere in ogni altro caso.
Un caso di generalizzazione induttiva in cui dalla validit di un proposizione P per alcuni valori interi
di n, si deduce la validit di P per ogni intero n, interessante perch riguarda la stima di un errore (e
non, come pi usuale, una relazione d'uguaglianza), dato da Euler nella Consideratio progressionis
cuiusdam ad circuli quadraturam inveniendam idoneae.
43
Ivi, alle pp.357-359, viene calcolato il valore di
, basandosi sulla serie asintotica
(8)
+
+
+
+ +
+
+ +
+
+
+
o h
2 h 4 h 2
2 h 4
h
2 2 2 2
n ) 1 h 2 ( 2
1
B ) 1 (
n
1
n n
n 4
...
4 n
n 4
1 n
n 4
(con Bi si denotano i numeri di Bernoulli) approssimata fino all'indice h
2
n
, ossia h 2n. Attribuendo
a n i valori 1, 3, 5, si nota che il numero delle cifre corrette fornite dalla formula (8) quasi 3n. Da questi
esempi, afferma Euler, sembra che si possa concludere per induzione che il numero delle cifre esatte
di che la (8) fornisce quasi (fere) 3n. Egli poi conferma linduzione mediante gli ulteriori esempi
n=2, 4, 6.
Un caso pi complesso, in cui dalla validit di Pf per alcune funzioni si deduce la validit di Pf per
una generica funzione f, si ha quando, nel cap.I della prima parte delle Institutiones calculi differentialis,
dove Euler studia la variazione a cui una funzione y(x) soggetta quando la variabile indipendente x
aumenta di una quantit finita . Egli mostra che per una qualsiasi funzione y(x), sive algebraica sive
trascendente, valida uno sviluppo del tipo (2). La (2) essenziale nella fondazione euleriana del
calcolo perch su di essa si basa la definizione di rapporto differenziale. A differenza di quanto far
Lagrange in una situazione analoga,
44
Euler deduce la (2) per induzione su casi particolari. Egli, infatti,
dimostra la formula, dapprima, per le funzioni y=x
n
con n intero applicando la formula delle potenze di
Newton. Afferma poi che allo stesso modo il risultato si estende (extenditur) ad n qualsiasi
(probabilmente pensa a un'applicazione del teorema del binomio nel caso non intero, per altro ancora
non dimostrato nel cap.I delle Institutiones calculi differentialis). Egli fa vedere quindi che la (2) valida
per
2 2
x a
1
+
e
2 2
x a
1
+
, lasciando intendere che il procedimento applicato in queste due casi si
43
Commentarii academiae scientiarum Petropolitanae 11, 1739, pubbl.1750, pp.116-127; in Opera omnia, (1), 14, pp.350-365.
44
Cfr.J.L.Lagrange, Thorie des fonctions analytiques, contenant les principes du calcul diffrentiel, dgags de toute
considration d'infiniment petits ou d'vanouissans, de limites ou de fluxions, et rduits l'Analyse algbrique des quantits finies,
Paris, imprimerie de la Rpublique, an. V (1797).
12
possa ripetere per ogni funzione fratta e irrazionale. Da ci deduce (colligimus) che una qualsiasi
funzione algebrica ammette uno sviluppo del tipo (2); la qual cosa poi non esita a ritenere valida anche
per le funzioni trascendenti: "Neque etiam ex hac forma differentiae functionum trascendentium
excluduntur, id quod ex sequentibus exemplis clarius apparebit."
45
Anche se le funzioni settecentesche
si possono ridurre a quelle elementari e alla loro composizione, manca una dimostrazione della (2) per
la composizione delle funzioni elementari. La validit della (2) per una generica funzione basata
sullassunzione che le funzioni negli esempi costituiscano il modello tipico, larchetipo, di ogni altra
funzione.
In una dimostrazione per esempi la validit di una proposizione P(x), xA, dove A un insieme
dato, ricondotta alla prova di P(a
1
), P(a
2
), P(a
3
), ..., P(a
n
) dove a
1
, a
2
, a
3
, ..., a
n
sono esempi tipici
della specie A di oggetti considerati, rimanendo implicito che la stessa prova pu essere estesa a
xA, mutatis mutandis. La problematicit di tale genere di dimostrazione risiede nella vaghezza e
indeterminatezza della nozione di esempio tipico; unindicazione del tipo mutatis mutandis non spiega
realmente ci che pu essere mutato senza cambiare il carattere della prova e, fatta eccezione per casi
molto semplici, rinvia in modo sostanziale allintuizione del matematico.
46
Una tale genericit fa s che si
possa scivolare facilmente dallesemplificazione arbitraria alla generalizzazione induttiva. In effetti si ha
limpressione che certe generalizzazioni induttive fossero basate sulla convinzione che determinati
oggetti (ad esempio, alcune delle funzioni elementari nella prova euleriana della (2)), rappresentassero
in maniera pi soddisfacente di quanto riteniamo oggi unintera classe di enti matematici (ad esempio,
linsieme di tutte le funzioni). Nella seconda met del Settecento la tendenza generale verso un
sostanziale rifiuto della generalizzazione induttiva appare evidente ed probabile che tale tendenza sia
fondata sul riconoscimento della non tipicit di certi oggetti rispetto a intera classe di enti matematici.
questo il caso della formula (6). Nella gi citata Demonstratio theorematis newtoniani, Euler premette
alla dimostrazione
47
della (6) una spiegazione del motivo per cui non ci si pu limitare a considerare il
caso in cui lesponente n un numero naturale ma necessario provare il teorema anche quando n
45
L..Euler, Institutiones calculi differentialis, cit. p.28. Gli esempi riguardano le funzioni logaritmo iperbolico, esponenziale, seno e
coseno.
46
Si pu notare come la tecnica dell'esemplificazione arbitraria agisca su un esempio concreto allo stesso modo in cui nella
geometria sintetica si esibisce una figura concreta sulla quale si opera. Rimanendo legato al concreto tale tecnica dimostrativa
sembra rinunciare alla potenza e alla generalit dei metodi algebrici connesse proprio allo sforzo di liberarsi dallo specifico di casi
particolari. La maggiore complessit della matematica settecentesca sembra essenziale nellabbandono di certi metodi.
47
Come osservato in precedenza, una dimostrazione della (6), per evitare circoli viziosi, (cfr.M.Pensivy, Jalons historique, cit.,
p.106) avrebbe dovuto trovare la sua collocazione naturale nell'Introductio, dove invece Euler lo usa senza dimostrazione,
probabilmente proprio perch lo ritiene valido per induzione. L'averlo dimostrato solo nel 1774 e soprattutto l'aver giustificato la
necessit della dimostrazione , di per s, indicativo dell'estrema lentezza con cui certi procedimenti vengono abbandonati (sul
significato da attribuire alla dimostrazione contenuta nelle Institutiones calculi differentialis si veda supra).
13
un numero reale. Invero una relazione valida per n intero non detto che valga per n reale come
accade per la serie
(9)
...
a 1
) a 1 )( a 1 )( a 1 )( a 1 (
a 1
) a 1 )( a 1 )( a 1 (
a 1
) a 1 )( a 1 (
a 1
a 1
4
3 n 2 n 1 n n
3
2 n 1 n n
2
1 n n n
+
Calcolando la somma f(n) di tale serie per n=0, 1, 2, 3, Euler infatti trova
f(0)=0;
f(1)=
a 1
a 1
=1;
f(2)=
2
2 2
a 1
) a 1 )( a 1 (
a 1
a 1
=1+a+1-a=2
f(3)=
3
2 3
2
2 3 3
a 1
) a 1 )( a 1 )( a 1 (
a 1
) a 1 )( a 1 (
a 1
a 1
=1-a+a
2
+1-a
3
+1-a-a
2
+a
3
=3.
Allo stesso modo, osserva Euler, si potrebbe mostrare che f(n)=n per n intero, ma al contrario f(1/2) non
potr mai essere uguale a 1/2. La serie f(n) mostra la non tipicit degli interi rispetto ai reali.
48
Dopo la met del Settecento, i procedimenti induttivi appaiono usati, nellopera dei maggiori
matematici, principalmente in connessione allo studio di successione numeriche. Nel complesso la
situazione fu sentita come problematica e non del tutto affidabile. Cos nelle Institutiones calculi
differentialis, parte II, cap.V, pf.113-116, volendo ricavare quella che oggi nota come formula
sommatoria di Eulero-Maclaurin della funzione z(x), Euler scrive
49
48
Ad occhi moderni, l'esempio (9) appare inutilmente complicato. Per avere una funzione uguale a n per n intero, ma diversa da n
per n non intero, basta considerare g(n)=n+sen2 n, funzione nota ad Euler gi dai tempi della De serierum determinazione seu
nova methodus inveniendi terminos generales serierum, Novi Commentarii academiae scientiarum Imperialis Petropolitanae 3,
1750-51, pubbl.1753, pp.36-85, Summarium pp.8-10; in Opera omnia, (1), 14, pp.463-515. In quest'articolo Euler, nel contesto del
problema dell'interpolazione, aveva notato che il termine generale y(n) della serie 1+2+3+4+5+... era esprimibile non solo mediante
la funzione y(n)=n, per n intero, ma anche mediante y=n+ n i sin ) n ( F
0 i
i
n
1 i
) i ( f ) n ( f
(2n)!
B
1) ( f(n)
2
1
dx ) x ( f
1) - (2n 2n
1 n
1 n
n
a
+ + , ove i
B2n sono i numeri di Bernoulli.
14
(10) ...
dx
X d
dx
z d
dx
z d
dx
dz
z zdx ) z ( S
4
4
3
3
2
2
+ + + + + +
ove Sz=
x
1 n
z(n)
e, al pf.112, stabilisce una relazione ricorsiva che permette di calcolare i coefficienti
, , , , , . . . della (10).
50
Euler osserva che i primi cinque coefficienti
, , , , sono uguali rispettivamente a
0 ,
720
1
, 0 ,
12
1
,
2
1
,
_
,
_
2
u
2
u
2
u
2
u
e e 2
e e u
u
2
1
V
(ove V=1+ u+ u
2
+ u
3
+ u
4
+ u
5
+) presenta solo potenze pari di u.
Linduzione pu condurre a errori, piuttosto riposti, che potrebbero ingannare anche lintuito di un
esperto matematico e un "exemplum memorabile inductionis fallacis" fu segnalato proprio da Euler, con
meraviglia, nelle Observationes analyticae
51
del 1765. Detto Tn il coefficiente di x
n
in (1+x+x
2
)
n
, egli
facilmente prova che
Tn= ...
3 2 1 3 2 1
) 5 n )( 4 n )( 3 n )( 2 n )( 1 n ( n
2 1 2 1
) 3 n )( 2 n )( 1 n ( n
1 1
) 1 n ( n
nx 1 +
+
+
+ +
Tenuto conto che per n=0, 1, 2, 3, 4, ecc., Tn uguale a 1, 1, 3, 7, 19, ecc., Euler procede a
determinare un legge di ricorrenza che esprima ogni Tn come combinazione lineare dei termini
precedenti Tn-1,,Tn-s. Egli scrive
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 ecc. indici
50
In simboli moderni si ha a1=
2
1
, an=
)! 1 i (
a
) 1 (
i n
n
1 i
1 i
+
,
_
,
_
+
+
,
_
,
_
+
+ + ,
da cui, usando la teoria delle serie ricorrenti, si deduce
Tn=6Tn-1-8Tn-2-8Tn-3+14Tn-4+4Tn-5-3Tn-6
Ma subito dopo nota che "quamtumvis probabili inductione haec lex progressionis inniti videatur, dum
adeo in decem primoribus terminis locum habet, tamen ea fallax deprehenditur, dum iam in termino
undecimo 8953 fallit": infatti 8953-3x3139=464, mentre per la "legge osservata" dovrebbe essere
21
2
+21=462.
53
Riportando tale esempio di induzione sbagliata in Varia artificia in serierum indolem inquirendi
54
Euler, a p.386, commenta:
Hoc [...] exemplum inductionis illicitae eo magis est notatu dignum, quod mihi quidem eiusmodi casus nondum obtigerit, in quo
tam speciosa inductio fefellerit. [...] Repudiata ergo omni inductione progressionis nostrae indolem ex ipsa eius natura scrutari
aggredior.
In effetti egli prova senza sostanziali problemi che Tn=Tn-1+ )
2 - n 1 - n
T 3 T (
n
1 n
+
.
Euler, comunque, pi che rifiutare completamente tale genere di induzione si limita a consigliare
cautela nel suo uso,
55
un atteggiamento che pu essere messo in connessione alla funzione importante
che linduzione svolgeva, ad esempio, in teoria dei numeri.
56
52
Ivi, p.54.
53
Ivi, p.55. La sorprendente constatazione che la relazione 3Tn-Tn+1=Fn-1(F n-1+1) valida solo per n=1,2,...,8 e non per n > 8 ha
attratto lattenzione dei matematici anche in epoca recente. Per una spiegazione e generalizzazione delle osservazioni euleriani si
veda G. Andrews, Euler's `exemplum memorabile inductionis fallacis' and q-trinomial coefficients, Journal of the American
Mathematical Society 3, 1990, pp.653669.
54
L.Euler, Opuscula analytica, 1783, p.48-63; in Opera omnia (1) 15 pp.383-398.
55
Observationes analyticae, cit., p.51.
56
Cfr. L.Euler, Specimen de usu observationum in mathesis pura, Novi Commentarii academiae scientiarum Imperialis
Petropolitanae 6, 1756-57, pubbl.1761, pp.185-230, Summarium pp.19-21; in Opera omnia, (1), 2, pp.459-490,
16
Veniamo a unultima questione concernente linduzione e, pi precisamente, alla relazione che nel
Settecento intercorreva tra generalizzazione induttiva, esemplificazione arbitraria e quella particolare
tecnica dimostrativa che oggi nota come induzione matematica o completa. Consideriamo un teorema
che nella formulazione e nella dimostrazione si presta alluso dellinduzione matematica: data la
frazione continua
(11)
... a
b
a
b
a
b
a
4
3
3
2
2
1
1
+
+
+
+
,
e posto Ck =
k
k
q
p
=
k
1 k
2
2
1
1
a
b
...
b
a
b
a
+
+
+
, allora il numeratore pk e il denominatore qk dei quozienti
incompleti Ck sono definiti dalla relazione ricorsiva
(12)
'
+
+
2 - k 1 - k 1 - k k k
2 - k 1 - k 1 - k k k
q b q a q
p b p a p
, con p1=a1, p0=1, q1=1, q0=0.
Nel 1737, Euler
57
stabil tale teorema calcolando i primi quattro quozienti C1, C2, C3, C4 della frazione
(11), che scrisse (ovviamente Euler non us indici) secondo il seguente schema S
a1, a2 a3 a4. a5,
0
1
,
1
a
1
,
2
1 2 1
a
b a a +
,
2 3 2
2 1 1 3 3 2 1
b a a
b a b a a a a
+
+ +
,
2 3 4 2 4 3 2
3 1 3 2 1 2 4 1 1 4 3 4 3 2 1
a b a b a a a
b b b a a b a a b a a a a a a
+ +
+ + + +
b1, b2 b3 b4. b5,
Sulla base di questo schema, in cui la prima frazione C0=1/0 rappresenta le posizioni iniziali p0=1, q0=0,
Euler formul verbalmente la legge ricorsiva (12): il numeratore (cio pk) di una frazione si ottiene
moltiplicando il numeratore precedente per il numero posto sopra ad esso nello schema ed
aggiungendo il numeratore della penultima frazione moltiplicato per il numero posto sotto ad essa;
57
L.Euler, De fractionibus continuis dissertatio, Commentarii academiae scientiarum Petropolitanae 9, 1737, pubbl.1744, pp.98-
137; in Opera omnia (1) 14, 197-215.
17
analogamente ogni denominatore qk ottenuto moltiplicando il denominatore precedente per il numero
scritto sopra la frazione precedente e aggiungendo il prodotto tra il penultimo denominatore e il numero
scritto sotto la penultima frazione Quindi egli afferm:
Lex quidem haec ex ipsa inspectione harum fractionum, si ulterius continentur, facile observatur; sed eadem ex ipsa fractionum
continuarum natura deduci potest; quam demonstrationem autem hic apponere superfluum iudico.
58
questo il classico atteggiamento euleriano di fronte alla possibilit di una dimostrazione per
induzione completa: egli si limita a constatare la validit della proposizione P(n) nei casi P(1), P(2),
P(3), P(4), ritenendo ci sufficiente per dedurre P(n), n. Laccenno ad una dimostrazione che
superfluo aggiungere sembra indicare che Euler colga la differenza tra un uso formale dellinduzione
matematica e un procedere mediante esemplificazioni arbitrarie generalizzabili. Comunque egli non
fornisce tale dimostrazione neanche quando riporta questo teorema nellIntroductio in analysin
infinitorum, parte I, pp.361-365. Anzi qui non accenna neanche a una dimostrazione da apponere,
ritenendo evidentemente soddisfacente lo schema S.
Linduzione matematica fu di norma applicata nel Settecento tramite ripetute esemplificazioni
arbitrarie. Ci avveniva nonostante che Pascal avesse formulato esplicitamente il principio
dellinduzione matematica nel Trait du triangle arithmtique.
59
Lapproccio euleriano non costituiva
comunque un regresso perch anche Pascal aveva affidato lattuazione pratica dellinduzione
matematica ad esemplificazioni arbitrarie, la qual cosa sorprendente solo se si guarda alla questione
con occhi moderni, estrapolando la formulazione di Pascal dal contesto. Ridotto alla sua forma intuitiva
(un innesco e un succedersi di casi ognuno derivante dal precedente, sempre alla stessa maniera), il
principio di induzione sostanzialmente ovvio (nello stesso senso in cui ovvio, lassioma geometrico
per due punti passa una sola retta). In effetti, luso che Pascal fa di tale principio del tutto intuitivo,
non dissimile dalluso euleriano sopra illustrato e da certi usi che gli storici hanno rintracciato in epoche
precedenti. Il fatto che egli senta la necessit di una formulazione esplicita del principio di induzione
completa dipende, a mio parere, dalla maggiore complessit di certe dimostrazioni connesse al
58
Ivi, p.191.
59
Quoique cette proposition ait une infinit des cas, jen donnerai une dmonstration bien courte, en supposant 2 lemmes.
Le premier, qui est vident de soi-mme, qui cette proportion se rencontre dans la seconde base; car il est bien visible, que
est comme 1 est 1.
Le second, que si cette proportion se trouve dans une base quelconque, elle se trouvera ncessairement dans la base suivante.
Do il se voit quelle est ncessairement dans toutes le bases: car elle est dans la seconde base, par le premier lemme; donc
par le second elle est dans la troisime base, donc dans la quatrime, et linfini.
(B.Pascal, Oeuvres Compltes, Paris,
Gallimard, 1998, p.290).
Con il termine base, Pascal si riferisce non genericamente alla base del ragionamento, ma a una certa linea nel suo triangolo
aritmetico. Anche luso delle lettere e di stampo euclideo (mi sembra del tutto esplicito al riguardo quando scritto da
Pascal, nelle due pi antiche versioni del trattato, Le Triangle arithmtique e Triangulus arithmeticus, e riportato a p.193 della
citata edizione delle Oeuvres Compltes).
18
triangolo aritmetico. In tali dimostrazioni non abbiamo una sequenza semplice di proposizioni P(1), P(2),
P(3), ma una sequenza, per cos dire, stratificata. Ogni singolo passo della dimostrazione, P(n), si
scompone in svariati passi elementari P(n, 1), P(n, 2), , P(n, m). Dimostrare che P(n+1) deriva da
P(n), significava provare che P(n+1, j), per ogni j, deriva da qualche P(n,r) e P(n,s), per una scelta
opportuna di r, s. Pascal, formulando esplicitamente i due lemmi dellinduzione completa, deve avere
ritenuto necessario precisare lordine logico di certi processi induttivi, specificare, cio, quali erano
realmente i passi dellinduzione.
60
giunto il momento di trarre qualche conclusione dai fatti fin qui esposti. Una certa attenzione verso
una rigorosa presentazione degli argomenti risulta evidente alla met del Settecento. Tuttavia
ladesione a quello che era il consolidato modello di conoscenza rigorosa, la geometria euclidea,
ancora parziale. Ci accadeva nonostante che tale modello fosse applicato anche a discipline molto
lontane dalla matematica: si pensi, ad esempio, a trattati etico-filosofici scritti more geometrico come
l'Ethica di Spinoza.
61
I filosofi discussero ampiamente del metodo degli antichi geometri. Ad esempio
Christian Wolff, i cui legami con Leibniz sono noti, asser che il metodo dimostrativo era basato su
definizioni precise, proposizioni determinate e dimostrazioni rigorose e che la sua essenza consisteva
nell'ordine da seguire nelle dimostrazioni; ordine in base al quale si doveva esaminare inizialmente ci
che serviva a comprendere e a spiegare gli argomenti successivi.
62
Un altro filosofo Antonio Genovesi
forn i seguenti precetti per mezzo dei quali si poteva rendere possibile una trattazione conforme al
rigore geometrico di un qualsiasi argomento:
1. Si devono premettere le definizioni sintetiche di quel che si vuol trattare. 2. Piantar delle Massime, o sieno Assiomi, che
servono da principj della Scienza. 3. Se occorre, premettere de' Postulati e delle Ipotesi. 4. La prima proposizione dee sempre
essere quella, che pu servire di base all'altre seguenti. 5. Connettere in modo le proposizioni, che la seconda venga dimostrata
per la prima, la terza per la seconda, la quarta per la terza, ec. 6. Di non mischiarvi proposizioni, le quali non appartengono alla
materia, che si maneggia, o che non servano almeno di Lemmi, o di sostegno alle seguenti.
63
Indubbiamente tale precetti non erano completamente applicati intorno alla met del Settecento,
tuttavia limpressione di scarso rigore che oggi noi abbiamo della matematica dellepoca aumentata
dal fatto che lo standard euclideo di rigore diverge notevolmente da quello moderno; una divergenza
che ha la sua radice in concezioni della matematica del tutto differenti. La matematica settecentesca
era una scienza della natura (si veda ad esempio il discorso preliminare allEncyclopdie, dove invece
dAlembert classifica la logica, come scienze delluomo, a differenza della matematica). Essa
60
Ci spiega il motivo per cui egli non us esplicitamente i due lemmi per provare la conseguenza VIII del Trait du triangle
arithmtique, a result whose inductive proof is so obvious that one simply does not need to refer to it (D.H. Fowler, Could the
Greeks have, cit., p.260). Che la conseguenza VIII sia una vera dimostrazione per induzione matematica, come affermato da
Fowler, emerge anche pi chiaramente se si guardano le prove della stessa proposizione in Le Triangle arithmtique e Triangulus
arithmeticus (cf. Pascal, Oeuvres Compltes , cit., p.183).
61
B.Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata, Amsterdam, 1677.
62
J.cole, La mtaphisique de Cristian Wolff, Hildesheim-Zrich-New York, Georg Olms Verlag, pp.70-71.
63
A.Genovesi, La logica per gli Giovanetti, Napoli, Nella stamperia simoniana, 1766, pp.184-185.
19
descriveva il mondo reale. Secondo dAlembert, le preposizioni della geometria sono il limite
intellettuale delle verit fisiche, il termine a cui ci si pu avvicinare quanto si desidera, senza mai
toccarlo esattamente: il cerchio della matematica lidealizzazione del cerchio reale. La matematica
non si riduce come sostengono les Physiciens ignorans en Mathmatiques regardent les vrits de
Gomtrie comme fondes sur des hypotheses arbitraires, et comme des jeux desprit qui nont point
application
64
e sbagliano coloro che accusano i teoremi matematici di falsit, come supponendo che
essi non esistono affatto.
65
La stessa algebra poggia su nozioni che formiamo per astrazione,
semplificando e generalizzando quanto vi di pi semplice nelle nostre percezioni. La matematica
settecentesca , quindi, contenutisca: ogni teoria matematica si riferiva a oggetti del mondo reale
idealizzati, i quali ne costituivano il contenuto specifico.
66
Tale contenuto interveniva negli assiomi, i
quali non erano interamente ed esplicitamente formulati ed erano concepiti come "verit"
particolarmente semplici ed evidenti, e in ogni punto in cui la struttura sintattica della teoria era
insufficiente ed erano necessari riferimenti semantici. Le stesse definizioni differivano da quelle
moderne di natura puramente sintattica. Esse erano descrittive, fornivano, cio, descrizioni degli
oggetti della teoria, ne delimitavano il significato, ma in nessuno caso potevano nascere dallarbitrio del
matematico.
67
La definizione settecentesca chiariva la natura degli oggetti matematici; invece la
definizione moderna crea tali oggetti che esistono in virt di qualche definizione implicita o esplicita. Se
si vuol fare un paragone, le definizioni settecentesche vanno poste in relazione pi che alle definizioni
delle moderna matematica con quelle delle scienze naturali o quelle che si possono incontrare in un
codice legislativo. Data questa concezione lanalisi poteva presentare al suo interno oggetti non definiti.
Ad esempio, nelle Institutiones calculi differentialis, Euler vuole "trovare" il valore delle frazioni P(x)/Q(x)
che per qualche fissato x danno luogo alla forma indeterminata 0/0. Da un punto di vista moderno il
64
J. Le Rond dAlembert, Mlanges de littrature, d'histoire et de philosophie, Nouvelle dition, Chez Zacherie Chatelain et fils,
1773 (5 voll.), vol IV, p.161.
65
Ad esempio, DAlembert concepisce lanalisi sostanzialmente come unarte che scopriva il reale: L'Analyse fournit les
exemples les plus parfaits de la maniere dont on doit employer l'art du raisonnement, donne l'esprit une merveilleuse promptitude
pour dcouvrir des choses inconnues, au moyen d'un petit nombre de donnes; et en employant des signes abregs et faciles
pour exprimer les ides, elle prsente l'entendement des choses, qui autrement sembleroient tre hors de sa sphere. (si veda la
voce Analyse in Encyclopedie, ou dictionnaire raisonn des sciences, des arts et des mtiers, Paris: Briasson, David l'an, le
Breton, Durand, 1751-80 (35 vols.), vol.I, p.400.
66
Per usare espressioni hilbertiane, possiamo che una teoria contenutistica introduce i concetti basilari con riferimento ad
esperienze dirette e note e le preposizioni basilari o le presenta come situazioni di fatto evidenti di cui ci si possa rendere conto
oppure le formula come un condensato di complessi empirici, e con ci stesso esprime la convinzione di essere sulla tracce di
leggi naturali unitamente al proposito di avvalorare tale convinzione mediante il successo della teoria (D.Hilbert-P.Bernays,
Grundlagen der Mathematik, (2 voll.) Berlin, Springer, 1934-1939. La traduzione italiana di V.Michele Abrusci tratta da D.Hilbert,
Ricerche sui fondamenti della matematica, Bibliopolis, Napoli, 1978, p.342).
67
Cf.G.Ferraro, The first modern definition of the sum of a divergent series. An aspect of the rise of the 20
th
century mathematics,
Archive for History of Exact Sciences.
20
rapporto P(x)/Q(x) per P(x)=Q(x)=0 perde di significato (non essendo definita l'operazione 0/0) e non ha
alcun senso chiederne, come fa Euler, il valore (quaeratur valor) di
(13) y=
2
2 2
x
x b b
per x=0.
Alla (13) possiamo attribuire, attraverso una definizione, un qualsiasi valore, nessuno dei quali
scaturisce dalla (13) in modo necessario. Ci presuppone, per, una mentalit moderna, secondo cui si
attribuisce, mediante un'opportuna definizione, significato a un'operazione o a un simbolo, i quali
esistono tramite la definizione. Invece nel Settecento non si poteva arbitrariamente attribuire un valore
alla (13) ma questo scaturiva necessariamente dalla struttura dell'universo matematico: tali espressioni
hanno un significato intrinseco che il ricercatore deve ritrovare e che dipende dalla "natura" stessa della
funzione. Ad esempio, per determinare il valore di P(x)/Q(x) Euler, nelle Institutiones calculi
differentialis, pf.357, mostra che, se P(x)=Q(x)=0, allora dP/dQ exhibebit valorem P/Q. L'applicazione di
tale regola costituisce, per Euler, l'estrinsecazione del significato implicito che le leggi del calcolo
attribuiscono necessariamente alla forma P/Q (in nessun caso P/Q pu avere un valore diverso da
dP/dQ) e non, come potrebbe essere interpretato modernamente, una definizione adatta a dare, in certi
casi, un significato a P/Q.
68
Nellambito di questa concezione della matematica, va anche sottolineata lassenza di teoremi di
esistenza nellanalisi settecentesca. Oggi dimostrare l'esistenza di un ente soddisfacente a determinate
condizioni significa far vedere che un dato insieme di enti matematici pre-definiti comprende anche un
elemento soddisfacente alle particolari condizioni richieste indipendentemente dalla concreta
determinazione di tale elemento. In una moderna teoria assiomatica si ha a che fare con un sistema
fissato di cose che costituisce il dominio, delimitato in partenza, di soggetti per tutti i predicati
mediante i quali si compongono gli enunciati della teoria.
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Invece la matematica settecentesca non
aveva insiemi di enti arbitrariamente pre-definiti e pre-costituiti ai quali fare riferimento. Lesistenza
matematica non consisteva allora nel soddisfare la condizione di appartenenza a un insieme
arbitrariamente definito, ma nellessere oggetti costruibili in una idealizzazione del mondo reale.
Analogamente a quanto succedeva in geometria dove si costruivano le soluzioni dei problemi, l'analista
settecentesco per dimostrare l'esistenza di un oggetto matematico doveva costruirlo o esibirlo
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Per le espressioni pi complesse del tipo
2 2 2
2 2
) 1 x ( x
x
1
...
3
1
2
1
1 ) 1 x 2 (
) 1 x ( x
x x 2
) 1 x ( 6
x
,
_
+ + + +