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bilite. Vespucci più di Colombo, perché fin dal nome Amerigo Vespucci
richiama insieme America e Italia, e perché le terre del Sudamerica da lui
raggiunte sono tra quelle in cui è stata più intensa l’emigrazione italiana,
ma anche perché una tradizione agiografica che stenta ad essere superata
ne fa l’eroe di una avventura odeporica straordinaria, ben più eccezionale
di quella, pur notevolissima, che egli effettivamente visse insieme ai suoi
compagni spagnoli e portoghesi.
Nell’assumere la responsabilità di ricordarlo nell’occasione del suo
viaggio transoceanico più importante, il Comitato Nazionale che mi onoro
di rappresentare si propone ora soprattutto di diffonderne un’immagine
storicamente corretta e libera da pregiudizi di parte. Come Cristoforo Co-
lombo, il fiorentino Amerigo Vespucci è patrimonio dell’Umanità e frutto
dell’incontro tra culture diverse: quella splendida della sua città natale,
quella vivacissima dell’ambiente nautico e mercantile della Penisola Iberica
e quella del Nuovo Mondo, di cui egli per primo comprese la peculiarità.
Ognuna di queste culture incise sulla sua formazione e sulla sua esperien-
za, contribuendo a determinare la sua attività di navigatore e a plasmare le
sue concezioni geografiche e cosmografiche. Ma al di là del personaggio,
questo Comitato Nazionale ritiene di dover promuovere anche una rifles-
sione più ampia, sull’orizzonte complesso delle vicende di un momento
particolarmente significativo della storia dell’espansione transoceanica dei
popoli dell’Europa occidentale e delle sue conseguenze, che a tutt’oggi
rappresentano una forte e spesso anche pesante eredità.
anche se sotto il peso di altri tristi avvenimenti più recenti le nostre co-
scienze lo hanno facilmente rimosso. In mancanza di meglio, credo quin-
di che sia più corretto, oltre che più semplice, continuare ad utilizzare il
vecchio termine di «scoperta», beninteso nell’accezione che esso ha per
la storia delle esplorazioni, vale a dire di acquisizione stabile e duratura
di conoscenze geografiche realizzata attraverso una o più esperienze di
viaggio. In questa prospettiva, nella storia della scoperta dell’America, la
figura e l’opera di Amerigo Vespucci assumono una rilevanza ben mag-
giore di quella che tradizionalmente era stata loro conferita. Spetta infat-
ti a Vespucci il merito di aver divulgato e fatto conoscere largamente in
Europa l’idea della continentalità del Nuovo Mondo, un’intuizione che
aveva probabilmente maturato insieme ai sui compagni, ma che, come
dimostrano i suoi scritti, fu innanzi tutto il frutto delle sue personali de-
duzioni logiche.
Come tutte le grandi scoperte geografiche – che tali sono proprio in
quanto fonti di nuovi saperi, recepiti e tramandati all’interno di un siste-
ma coerente – la scoperta dell’America apportò molti contributi alle
scienze della natura e a quelle dell’uomo. Ma il suo impatto sulla cultura
europea fu assai più forte di quello di qualsiasi altra grande scoperta geo-
grafica, anche della epica apertura della Via Orientale alle Indie. Questa
infatti permise di arrivare direttamente a paesi altrettanto lontani, ma già
noti, almeno indirettamente, mentre la traversata dell’Atlantico alle lati-
tudini medie aprì le porte di un mondo completamente sconosciuto. La
scoperta infranse perciò una serie di dogmi radicati nella scienza, nel co-
stume e nella religione, dimostrando che non era più possibile accettare
acriticamente le nozioni tramandate dall’Antichità classica e dal Medioe-
vo, ma che era invece necessario costruire un nuovo sistema di conoscen-
ze, che tenesse conto anche dei dati dell’esperienza, preparando così il
terreno alla rivoluzione galileiana.
Da un punto di vista strettamente geografico, le esplorazioni ameri-
cane della fine del XV e dell’inizio del XVI secolo ebbero un effetto di-
rompente, perché rivoluzionarono l’immagine del globo, aggiungendo al-
l’interno dell’emisfero opposto a quello noto all’Antichità classica addi-
rittura un nuovo continente. Anche il concetto di oceano ne risultò
profondamente modificato, perché da limite delle conoscenze geografi-
che si trasformò progressivamente in uno spazio aperto e navigabile in
tutte le direzioni, quel mare liberum destinato a divenire la più importan-
te via di comunicazione dei nostri tempi. In luogo di una ecumene unica,
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dia. Per il Portogallo era infatti essenziale sapere se quella terra si trovas-
se a est o a ovest della linea di Tordesillas, perché nel primo caso dom
Manuel avrebbe avuto pieno diritto al suo possesso, mentre nel secondo
la Vera Cruz sarebbe passata alla Spagna.
Vespucci si imbarcò dunque nella tarda primavera del 1501 in una
piccola flotta portoghese diretta in America. Che questa spedizione avesse
scopi essenzialmente esplorativi è dimostrato dall’esiguo numero delle na-
vi: solo tre, un numero molto piccolo rispetto a quelle che erano ormai le
dimensioni delle flotte lusitane che navigavano l’oceano. È probabile an-
che che la spedizione fosse stata organizzata molto in fretta, per verificare
posizione e risorse della terra scoperta da Cabral prima che vi arrivassero
gli spagnoli, che stavano allora attivamente perlustrando le coste orientali
del Sudamerica.
Non conosciamo il nome del comandante della spedizione. Di sicu-
ro però possiamo dire che non era Vespucci, e nemmeno quel Gonzalo
Coelho che comandò il successivo viaggio in Brasile del 1502-1503 e che
con questa spedizione non ha nulla a che fare. È certo però che doveva
essere un navigatore esperto, come abilissimi si dimostrarono i membri
dell’intero equipaggio, che portarono a termine senza grosse perdite
un’impresa per i tempi davvero eccezionale dal punto di vista nautico.
La cosa non meraviglia: nel 1501 il Portogallo aveva maturato una otti-
ma esperienza di navigazioni oceaniche, in particolare proprio nell’A-
tlantico Meridionale.
Il viaggio fu lunghissimo, faticoso, pieno di imprevisti e di scoperte.
Per effetto della corrente equatoriale la spedizione approdò sulle coste su-
damericane molto più a nord di dove presumibilmente era diretta e dovet-
te quindi affrontare una difficilissima navigazione per raggiungere e supe-
rare la cuspide orientale del Brasile, prima di poter iniziare la sistematica
esplorazione del litorale dal Capo Sant’Agostino fino a Porto Seguro – do-
ve furono recuperati i due uomini che vi aveva lasciato l’anno prima Ca-
bral – alla Angra dos Reis e al Rio de Cananor, dove fu deciso di prosegui-
re verso sud-est in mare aperto.
Dal punto di vista economico, i risultati furono modesti: molto legno
brasil, qualcosa che sembrava cassia fistola, ramoscelli e frutti profumati
che si presumeva fossero spezie sconosciute, le cui virtù medicamentose e
alimentari erano però ancora tutte da dimostrare.
Anche dal punto di vista dell’itinerario, la spedizione non fu conside-
rata un successo. L’esplorazione della costa sudamericana, dai 5°S del
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punto del primo approdo fino a 28, o anche 35°S aveva dimostrato che es-
sa si estendeva per miglia e miglia senza soluzione di continuità, volgendo
inesorabilmente a SW, cioè nell’area che il Trattato di Tordesillas assegna-
va alla Spagna. Sarebbe stato quindi impossibile per il Portogallo rivendi-
care il diritto al suo possesso. In più, lungo quella interminabile linea di
costa sconosciuta erano stati trovati scogli, isole, promontori, insenature
anche molto grandi e accoglienti, ma nessuna traccia di un braccio di mare
che insinuandosi nella massa compatta delle terre permettesse un rapido
passaggio verso l’Oriente.
L’America Meridionale si era rivelata per la prima volta, inequivoca-
bilmente, quello che è in realtà: non le Indie tanto cercate e nemmeno il
loro margine più orientale, come aveva sperato Colombo, ma una «terra-
ferma grandissima» – come la definisce Vespucci –, un vero e proprio con-
tinente fino a quel momento ignorato dalla cultura geografica occidentale.
Paradossalmente, questo che per noi rappresenta il vero, grande risul-
tato del viaggio, fu considerato allora solo una iattura: quella massa di terra
era un enorme ostacolo sulla rotta occidentale ai paesi delle spezie. Né l’e-
splorazione dell’Atlantico Meridionale, tentata in extremis dalla spedizione
prima di prendere la via del ritorno, aveva portato ad alcun risultato con-
creto. Tutto quello che era stato possibile appurare era stata solo la vastità
dell’oceano anche a latitudini più alte di quelle fino ad allora conosciute.
I risultati geografici e cosmografici della spedizione, l’acquisizione di
una mole considerevole di conoscenze sulla vita vegetale e animale di
quelle regioni, sulle loro possibili risorse e sui loro inattesi abitanti passa-
rono in secondo piano rispetto alla delusione dei mercanti e della Corte.
Della spedizione non si parlò più. L’esplorazione della Terra de la Vera
Cruz non venne abbandonata del tutto, ma continuò quasi in sordina e
senza troppe speranze.
Il ricordo di quel viaggio e della sistematica esplorazione delle coste
sudamericane condotta da un manipolo di uomini determinati e tecnica-
mente assai preparati rimase così affidato quasi esclusivamente al racconto
delle lettere che Amerigo Vespucci aveva scritto durante il viaggio e poco
dopo il ritorno. Da queste lettere, e forse anche da appunti rimaneggiati,
fu tratto poco dopo il Mundus Novus e poi la Lettera al Soderini di cui si è
detto, che registrarono entrambi un successo senza precedenti. Così, con il
racconto delle peripezie di quel viaggio, più o meno fantasiosamente inter-
pretate per la gioia dei lettori, Vespucci diffuse in tutta l’Europa colta an-
che l’immagine rivoluzionaria di un «mondo nuovo», una terra di dimen-
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cui il suo tempo aveva bisogno per guardare con serenità a ciò che stava
avvenendo. Le tensioni di Colombo, le aspirazioni confuse e contraddito-
rie di tutti coloro che cercavano di farsi una ragione dell’esistenza e della
inconsueta natura del Muovo Mondo trovano in lui il primo tentativo di si-
stematizzazione concreta, basata non più sull’autorità delle scienze codifi-
cate dalla tradizione, ma sui valori, per la prima volta rivendicati con forza,
dell’esperienza, fonte primaria e insostituibile di conoscenza.