Sei sulla pagina 1di 25

la cura

Le canzoni
della nostra
vita

anche tu sei un essere speciale

Š
Z3NA di Giuseppe Pulina

© 2010 Editrice ZONA


È VIETATA
ogni riproduzione e condivisione
totale o parziale di questo file
senza formale autorizzazione dell’editore
Le canzoni della nostra vita
Una collana dedicata alle canzoni che hanno segnato
la nostra vita e le trasformazioni di un’epoca.

La cura
Anche tu sei un essere speciale
di Giuseppe Pulina
ISBN 978-88-6438-086-5

© 2010 Editrice ZONA


via dei Boschi 244/4 – loc. Pieve al Toppo
52040 Civitella in Val di Chiana – Arezzo
tel/fax 0575.411049
www.editricezona.it – info@editricezona.it
ufficio stampa: Silvia Tessitore – sitessi@tin.it

progetto grafico: Serafina - serafina.serafina@alice.it


in copertina e interni: Serafina, Il sorriso del profeta

Stampa: Digital Team - Fano (PU)


Finito di stampare nel mese di maggio 2010
.
ti proteggero
dalle paure
e dalle
ipocondrie...
INTRO
Ci sono canzoni che solo canzoni non possono dirsi. Ci
sono canzoni che si vorrebbero lanciare nell’etere, oltre
l’atmosfera, perché – non si sa mai – extraterrestri in
missione possano assaporarne il gusto e, prima di tocca-
re terra, farsi una buona idea degli esseri che la abitano.
Se non è ancora accaduto (e c’è chi ci pensa da tempo),
capiterà che Imagine di John Lennon, What a wonderfull
world di Satchmo o una delle nove sinfonie di Beethoven
finiscano per davvero nel cielo, a gravitare, dentro cap-
sule speciali, intorno al pianeta. Dovranno essere canzoni
di amore e di pace, e dovranno venire selezionate attra-
verso un repertorio sterminato, perché non c’è stata
epoca e non c’è stato popolo della storia che non abbiano
avuto la loro bella canzone d’amore. Confesso di non
sapere (ma chi potrà mai smentirmi?) se gli abitanti di
altri ipotetici mondi siano dotati di orecchie e abbiano,
quindi, mezzi adatti per intendere la musica. Ho però la
certezza che tra le tante belle canzoni d’amore del no-
stro tempo saprei, senza tanti indugi, sceglierne una. È
la canzone che sin dal primo ascolto mi ha lasciato dentro
una traccia profonda. Eppure è stato un primo ascolto
occasionale e distratto, proprio come succede tutte le
prime volte in cui l’involontarietà dell’atto è garanzia
della sua eccezionalità. Il primo ascolto che non si scorda
mai, perché non lascia memoria palpabile di sé, ma solo
uno sfuggente retrogusto di vita. È La cura di Franco
Battiato. Canzone superba, unica, rapsodica e cerebrale,
che non potrà mai venirmi a noia. Una chanson d’amour
che, come si cercherà di spiegare in questo libro, non
parla solo di amore.
Come tutte le belle cose del mondo, avrei voluto cu-
stodirla tutta per me. Mi costa ammetterlo, ma devo
confessare che quando scopro qualcosa di nuovo e di estre-
mamente bello, mi assale il timore che altri possano go-
derne. Misantropo e presuntuoso, inciampo allora nel cat-
tivo pensiero che non tutti siano degni della bellezza.
Nello stesso tempo, fortunatamente, vorrei però che la
bellezza che mi ha rapito venisse riconosciuta anche dagli
altri, e che ciò che è bello per me lo fosse per tutti. Per
La cura di Battiato questo poco nobile meccanismo pro-
tettivo non ha avuto tempo sufficiente per innescarsi.
Quando le note della canzone hanno intrapreso il loro
primo viaggio nell’etere della radiofonia, non c’è stato
tempo e modo per evitare che il contagio si diffondesse
rapidamente. È vero, c’è chi da quel contagio è rimasto
immune, perché considera La cura una canzone come
tante altre, se non addirittura spocchiosamente ruffiana
per quel suo modo di parlare d’amore, facendo leva sui
più nobili sentimenti dell’uomo. Resistere alla seduzione
dell’ascolto de La cura non deve essere stato però facile,
come dimostra il caso di tutte quelle persone che, non
amando in modo particolare Battiato, hanno dovuto fare
un’eccezione per questa canzone. Come si fa, d’altron-
de, a resistere al richiamo di chi dice di considerarti un
essere speciale? Sapevamo di esserlo, speciali, ma nessu-
no ce lo aveva mai detto prima. Basterebbe questo per
farci vacillare, per indurci a cambiare idea.
Ma in che cosa consisterebbe la bellezza de La cura? È
bella perché è piacevole all’ascolto, perché sembra vera-
mente poterti ristorare dalle fatiche, perché è una can-
zone di pace e perché contiene una raccomandabile isti-
gazione alla felicità.
A chi avrà la ventura di seguirmi suggerisco di alterna-
re di tanto in tanto la lettura di queste pagine con l’ascolto
della canzone e, quando riterrà utile farlo, di ripassarne
anche il testo. Se poi volesse farne tesoro, sarebbe il
lettore a prendersi cura delle mie attese e del piccolo
libro a cui sono state affidate.

TI PROTEGGERÒ DALLE PAURE DELLE IPOCONDRIE,


DAI TURBAMENTI CHE DA OGGI INCONTRERAI PER LA TUA VIA.
DALLE INGIUSTIZIE E DAGLI INGANNI DEL TUO TEMPO,
DAI FALLIMENTI CHE PER TUA NATURA NORMALMENTE ATTIRERAI.
dai turbamenti
che da oggi
incontrerai
sulla tua via...
LA CURA. LA RICETTA
“… che dolore l’esistenza che vede nero dove nero non ce n’è”
Battiato, Stage door

C’è un’arcana geometria nel testo de La cura in grado


di spiegare la sua capacità di rapire, sin dalle prime note,
chi l’ascolta? Definirla arcana e segreta è forse un erro-
re, ma una geometria, un ordine testuale, c’è. Baste-
rebbe invertire la sequenza di alcune parole o provare
addirittura a sostituirle con altre (cosa che il lettore po-
trebbe divertirsi a fare ingaggiando una sorta di gioco
agli incastri) per scoprire che una manipolazione del te-
sto, per quanto ben congegnata, sarebbe un’interferen-
za sgradita e che il filo che avvolge l’intera canzone si
sgranerebbe come una cattiva stoffa mal tessuta. Se, ad
esempio, l’essere della decima riga non fosse “speciale”,
ma “mirabile” o “lodevole”, il flusso del cantato s’incep-
perebbe e l’eccezionalità di quell’essere al quale ci rivol-
giamo verrebbe drasticamente declassata. A nessun “es-
sere speciale” piacerebbe venire retrocesso al rango di
entità degne “solo” di ammirazione e lode. Non che ci
sia qualcosa di biasimevole nel venire lodati o ammirati,
ma non di rado ammirazione e lode ricadono nella sfera
delle dinamiche clientelari dei rapporti umani, perché si
loda e si ammira un potente, un modello, un eroe, un
divo, qualcuno, insomma, la cui emulazione o strumen-
tale esaltazione può esserci d’aiuto per elevarci o, nel
meno nobile dei casi, per farci strada nella vita. L’essere
speciale di Battiato non ha ovviamente a che fare con
tutto questo, perché la cura promessa non mira a riscuo-
tere subdole contropartite e la ricetta che la prescrive,
impossibile da brevettare, non può mai essere la stessa.
Lasciamo allora le parole nel solco che per loro hanno
tracciato Franco Battiato e Manlio Sgalambro e limitia-
moci ad interrogare il testo. Queste le domande alle quali
si cercherà di rispondere: 1. come è nata La cura? 2. A
chi si rivolge? 3. Che cosa promette? 4. Quale amore
vagheggia? Etereo, cerebrale, spirituale o anche sensuale
e carnale? 5. Quante sono poi le chances perché funzioni
veramente?

Perché sei un essere speciale…


L’essere speciale destinatario della canzone è un esse-
re che ha bisogno di cure. I disturbi di cui soffre sono così
seri che l’effetto placebo delle parole potrà incidere poco
sull’efficacia della terapia. Ci sono storie, racconti, che,
come insegna James Hillman, hanno un valore terapeutico,
ma non tutte le storie possono sortire sempre gli effetti
desiderati. Molto dipende dalla complessità del “quadro
clinico”. Nel nostro caso, la persona da curare presenta
l’anamnesi (la storia clinica resa attraverso la forma di
un racconto personale e familiare) di un soggetto che si
trova sull’orlo di un precipizio, pronto a cadere se qual-
cuno non interviene rapidamente e con decisione a trarlo
in salvo. Sembra anzi la storia di una caduta già in corso,
entro il cui vorticoso precipitare una mano si protende
per tentare un estremo salvataggio. Questo può spiegare
il tono grave delle parole e la solennità della promessa. È
la promessa di una protezione e di una guarigione. Prote-
zione dalle minacce future, guarigione dagli affanni del
presente e dalle turbe del passato.
Sin dai primi versi prende corpo l’identikit della perso-
na da curare. Ipocondriaca, fragile, destinata a coltivare
cattivi pensieri (i “turbamenti che da oggi incontrerai”),
malinconica, umorale e lunatica, eppure capace di un’av-
venenza ammaliatrice e seducente. Le due parti che la
compongono, facce della stessa medaglia, non comba-
ciano perfettamente. La mancanza di equilibrio la espo-
ne ai soprusi e alle offese del tempo; come un pesce fuor
d’acqua, boccheggia e annaspa in una dimensione che
sente estranea. Come a tante altre persone, è accaduto
anche a lei di sentirsi sradicata, fuori del tempo. Questa
può essere un’eccitante condizione sperimentale, un modo
per sentirsi costretti a vivere la vita con intensità, a
gettarsi nella mischia, a tentare l’estremo azzardo con
audacia mai prima provata, ma il rischio che si corre è
grosso, perché non c’è identità tanto forte da resistere
allo sradicamento e vivere senza legami.
La malattia da curare può essere allora uno schermo
contro tutte le avversità. Non dalle ipocondrie, ma “dalle
paure delle ipocondrie” si promette la guarigione. La pa-
ura della paura può essere più temibile della semplice e
cruda paura, e l’ipocondria, giusto per tenerlo presente,
ne è una stretta parente. Parliamo di una canzone, che si
presume essere d’amore, e ci ritroviamo nel bel mezzo
di una questione psichiatrica. Converrà, a questo punto,
affidarsi alle parole di un esperto. Con un linguaggio tec-
nico, ma di facile comprensione, veniamo informati che
«ci sono forme depressive tematizzate dal timore
infondato, dalla certezza immodificabile anzi, di avverti-
re in sé i segni di una malattia organica (che non c’è)
vissuta non di rado come insanabile, e chiamate in psi-
chiatria “ipocondriache”»1. La definizione è quella che
cercavamo. Le nostre paure covate senza fondamento
hanno un nome. È un nome antico, perché a coniare la
parola “ipocondria” sono stati i greci che ne avevano
localizzato la regione anatomica di gestazione nella mil-
za, ben comprendendone probabilmente la natura
psicosomatica dei sintomi.
Congediamo per ora le nostre riflessioni sull’ipocondria.
Come si scoprirà nelle righe che seguono, se ne parlerà
ancora, ma sulla scorta di un’accezione non poi così ne-
gativa, perché anche un ipocondriaco può essere fonte di
sorprendenti rivelazioni.

Gli inganni del tempo


La cura promette un riparo sicuro contro le ingiustizie
e gli inganni del tempo. Non è il tempo in senso astratto;
è, più concretamente, la dimensione finita della nostra
temporalità. Il tempo delle ore che scorrono e dell’era
nella quale viviamo e che, ancorandoci in modo effimero
al presente, ci rende sempre contemporanei di qualcuno
o di qualcosa. Ma perché mai La cura dovrebbe contene-
re una simile promessa? Che cosa c’è di ingannevole nel
nostro tempo?
Non c’è solo la dimensione per così dire metafisica del
tempo a rendere difficile la vita. C’è anche quella este-
riore e sociale che mina la nostra resistenza. Fare la
spesa, mettersi in fila, pagare le bollette del gas, accom-
pagnare i figli a scuola o metterli al mondo, vestirsi come
stagione comanda, guardarsi allo specchio e sforzarsi in
modo convincente di piacersi per ricavare una bella im-
pressione di sé, cercare lavoro, sorridere sempre e so-
prattutto quando conviene, tutte queste possono essere,
oltre che ordinarie mansioni della nostra quotidianità,
anche penose occupazioni. A rincarare la misura delle
cose che non vanno e che, comunque, potrebbero fare la
felicità del nostro vicino di casa (nei confronti del quale,
chissà perché, avvertiamo sempre una discutibile supe-
riorità morale), c’è poi il mondo di fuori, che non si può
tenere distante perché irromperebbe ugualmente nella
sfera del privato. Potremmo bendarci gli occhi, non leg-
gere i giornali e tapparci le orecchie per continuare a
vivere (o sopravvivere) evitando condizionamenti di que-
sto tipo. Si potrebbe fare (e c’è chi lo fa), ma non baste-
rebbe, perché il disagio che canta e denuncia Battiato
non è solo questa esperienza estraniante del quotidiano.
È la malattia del tempo toccata in sorte a «esseri immor-
tali caduti nelle tenebre, destinati a errare; nei secoli dei
secoli, fino a completa guarigione»2. Per dirla con tanti
filosofi del nostro tempo e, in particolare, con Nietzsche,
che tanto piace a Sgalambro, siamo contemporanei della
fine del mondo3 e, per quanto in realtà ci si provi, non
possiamo far finta di niente. La vita è un esorcismo
insufficiente contro l’usura del tempo, ma è la sola cura
possibile. Alla determinazione di chi, forte di mille ragio-
ni, vorrebbe farla finita e “togliersi il pensiero”, si può
sempre rispondere con un invito, breve perché di poche
parole, a rinviare il suicidio. Vivere è questo, d’altronde;
vivere è «un’offesa che desta indignazione»4 o, come
direbbe Pessoa, «un viaggio sperimentale fatto involon-
tariamente»5. Varrà perciò la pena di trovare una ragio-
ne per desiderare di non morire e una cura che possa
lenire i nostri dolori.

E guarirai da tutte le malattie…


Non sarà mai credibile la guarigione promessa da chi
non crede realmente nei suoi benefici effetti e non con-
centra tutte le energie sul raggiungimento dello scopo. A
questo serve dichiarare che le correnti gravitazionali non
saranno d’ostacolo. Le montagne, all’occorrenza, sono
fatte anche per essere spaccate. Se necessario, si dovrà
risalire la vita (non a caso nella canzone viene evocata
l’immagine del mare che si presenta in sogno come una
sterminata distesa liquida) procedendo contro la sua na-
turale direzione, avendo cioè la forza e la determinazio-
ne di un aquila, uccello che, come erano soliti ricordare
Blake e Nietzsche, ripudia la logica gregaria dello stormo
per vivere in solitudine6. Le aquile possono vedere il mon-
do dall’alto come un piano inclinato. Insegnano che serve
assumere una certa distanza per avere la giusta prospet-
tiva delle cose. [conti-
AMICA BIBLIO
Nel prenderci cura de La cura alcuni libri si sono rivela-
ti particolarmente utili e stimolanti. La bussola che, dopo
mille sortite in tanti campi, ci ha consentito di ritrovare
l’orizzonte perduto è stato il lavoro di Vanna Lovato,
Franco Battiato 1965-2007. L’interminabile cammino del
Musikante (Roma, Editori Riuniti, 2007), piacevole per la
lucidità delle analisi e la ricchezza delle informazioni. Il
Battiato che si racconta e che aiuta a fare chiarezza sul
suo modo d’intendere la musica e non solo è ben presen-
te in alcuni lavori di Franco Pulcini (Franco Battiato. Tec-
nica mista su tappeto, Torino, EDT, 1992) e Guido Guidi
Guerrera (Franco Battiato. Un sufi e la sua musica, Fi-
renze, Shakespeare And Company Florentia, 1994, e, so-
prattutto, Battiato. Another link, Baiso, Verdechiaro,
2006). Del libro di Luca Cozzari, Franco Battiato. Proni-
pote dei padri del deserto (Civitella in Val di Chiana,
Zona, 2005) sono state istruttive le pagine dedicate allo
stile di Battiato e all’approccio del musicista catanese
alla scelta delle parole, mai casuale e mai fuori luogo.
Tra i contributi più recenti non si può non citare il
libro-intervista di Daniele Bossari, in cui Battiato figura
come coautore (Io chi sono? Dialoghi sulla musica e
sullo spirito, Milano, Mondadori, 2009). Il testo di Bossari
è in grado di soddisfare tante curiosità sull’interesse di
Battiato per le filosofie orientali e la mistica. Sorta di
summa ragionata della produzione artistica di Battiato è,
invece, il libro di Annino La Posta (Franco Battiato.
Soprattutto il silenzio, Firenze, Giunti, 2010), risultato
di una lunga e approfondita ricerca, in cui biografia arti-
stica e discografia raggiungono un elevato e apprezzabile
grado di fusione.
Le note che corredano in calce i diversi capitoli del
libro rimandano a tanti altri libri che si sono dimostrati
più o meno utili. Quando è stato possibile, si è preferito
ricorrere alla citazione diretta, attingendo a piene mani
dalle tante interviste che Battiato ha rilasciato negli anni.
Non saremo mai grati abbastanza ai tanti internauti che
nella rete hanno aperto e animato i forum su Battiato.
Ce n’è davvero per tutti i gusti. Nel web si trovano non
pochi siti che vale la pena visitare. Il primo di questi, e
non solo perché può fregiarsi del benemerito titolo di sito
ufficiale, è quello che viene puntualmente aggiornato (cu-
rato?) da Angelo Privitera e al quale in prima battuta
giustamente rimandano tutti i motori di ricerca:
www.battiato.it. Sondaggi, test e tante curiosità si tro-
vano in www.battiatovirtual.it. La grande passione per
l’opera di Battiato rivive anche in www.fenice.info/
battiato e in solitarybeach.altervista-com. Sono solo po-
che indicazioni per una prima navigazione da fare assolu-
tamente a vele spiegate.
CREDITS
Per avere spunti, informazioni e materiali ho arruola-
to un autentico brain trust. Tutti hanno prestato le cure
necessarie alle mie richieste. E anche quando si sono
limitati ad ascoltarmi, per me è stato comunque tanto.
Nella vita, si sa, niente ci è dovuto.
Grazie allora a Valentina Balata (la mia “arabista” di
fiducia), Patrizia Beccari (la prima ad aver risposto alla
chiamata con la solita generosità), Mario Saragato (che,
insieme a me, ha passato al setaccio un bel numero di
discografie), Mario Gerolamo Mossa e Fabio Brunzu (stu-
denti che sanno come cantarsela) e, last but not least,
Paolo Lisca (che si è dovuto sorbire in anteprima la lettu-
ra del testo mentre iniziava a prendere corpo).
Super partes e first reader mia moglie Rita, alla quale
questo libro è espressamente dedicato.
Sommario

Intro 7

La cura. La ricetta 11

Perché mai il Tennessee?


Bugiardo bugiardino? 25

La cura. Il rimedio? 33

Cosa succede in città?


Nosocomio Italia 49

Il filosofo. Il musicista
La degenza 55

La cura del filosofo


Affezioni 69

Le altre cure di Battiato


L’anamnesi 75

La cura. Le cure
Fuori corsia 85

Incurabile cura
Contagio 95

L’ermeneutica corre nel web


Il gran consulto 101

Amica biblio 111

Credits 113
Vota la canzone della tua vita su
www.editricezona.it

Potrebbero piacerti anche