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CORTE COSTITUZIONALE

Sentenza 191/1970
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente BRANCA - Redattore
Udienza Pubblica del 11/11/1970 Decisione del 10/12/1970
Deposito del 16/12/1970 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:
Massime: 5319
Atti decisi:

Massima n. 5319
Titolo
SENT. 191/70. REATI E PENE - PRINCIPIO DI LEGALITA' - INTERPRETAZIONE - NECESSITA' IN
OGNI CASO DI UNA TASSATIVA DESCRIZIONE DELLE FATTISPECIE PENALI - ESCLUSIONE -
CONSENTE IL RICORSO A NOZIONI PROPRIE DELL'INTELLIGENZA COMUNE - COD. PEN.,
ARTT. 527, 528 E 529 - ATTI, PUBBLICAZIONI E SPETTACOLI OSCENI CHE, SECONDO IL
SENTIMENTO COMUNE OFFENDONO IL PUDORE - NON VIOLANO L'ART. 25, SECONDO
COMMA, DELLA COSTITUZIONE - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.

Testo
Gli articoli 527, 528 e 529 c.p., che puniscono gli atti, le pubblicazioni e gli spettacoli osceni, qualificandoli
come quelli che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore, non contrastano con il principio di
legalita', garantito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Detto principio viene rispettato dal
legislatore non solo con la tassativa descrizione delle fattispecie penali, ma, quando appare necessario, come
nel caso di tutela di beni immateriali, altresi' con il ricorso a nozioni proprie dell'intelligenza comune, che
egualmente consentono di individuare con certezza il precetto e di giudicare se una determinata condotta lo
a b b i a o m e n o v i o l a t o .

Parametri costituzionali

Costituzione art. 25 co. 2

Riferimenti normativi

codice penale art. 527

codice penale art. 528

codice penale art. 529

Pronuncia
N. 191

SENTENZA 10 DICEMBRE 1970

Deposito in cancelleria: 16 dicembre 1970.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 324 del 23 dicembre 1970.

Pres. BRANCA - Rel. ROSSI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof.
COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ' - Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI
OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA -
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof.
PAOLO ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 527, 528 e 529 del codice penale, promossi:

1 ) con quattro ordinanze emesse il 27 gennaio 1969 dal tribunale di Monza in altrettanti procedimenti
penali a carico di Battistini Attilio, iscritte ai nn. 136,137,138 e 139 del registro ordinanze 1969 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969;

2) con ordinanza emessa il 5 marzo 1969 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di
Martorelli Norma e Fabrizi Osvaldo, iscritta al n. 180 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1970 il Giudice relatore Paolo Rossi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

Ritenuto in fatto:
1. - Nel corso di quattro procedimenti a carico di Battistini Attilio, imputato del delitto di pubblicazioni
oscene, quale direttore responsabile della rivista "Men", il tribunale di Monza ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 528 e 529 del codice penale, con quattro ordinanze di identico contenuto.

Il giudice a quo, premesso che il principio di legalità ha assunto rilievo costituzionale in virtù del
secondo comma dell'art. 25 della Carta, afferma che le norme impugnate non indicano oggettivamente gli
elementi costitutivi del reato, giacché l'art. 528 del codice penale costituisce una norma in bianco che non
trova integrazione in altra norma di legge, per il carattere fondamentalmente tautologico dell'art. 529 del
codice penale.

Si è costituito innanzi alla Corte costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
dall'Avvocatura generale dello Stato, mediante atto depositato il 3 aprile 1969, chiedendo dichiararsi
l'infondatezza della questione proposta.

L'Avvocatura dello Stato contesta infatti l'asserita illegittimità di una norma la cui interpretazione
comporti un accertamento di elementi richiamati dalla norma medesima; rileva poi come sia la stessa legge
penale - mediante l'art.529 c.p.a dare la definizione degli atti ed oggetti osceni, qualificandoli come quelli
che offendono, secondo il comune sentimento, il pudore.

2. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Martorelli Norma e Fabrizi Osvaldo, imputati del
delitto di atti osceni per essersi congiunti carnalmente in luogo esposto al pubblico, il pretore di Roma ha
sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 527 e 529 del codice penale, in riferimento al
principio di legalità di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Nell'ordinanza di rimessione si afferma che la definizione contenuta nell'art. 529 del codice penale
avrebbe carattere tautologico talché la punizione degli atti osceni realizzerebbe una previsione normativa
troppo generica, variamente valutabile a seconda della diversa sensibilità del giudicante, e quindi in
contrasto con il principio costituzionale secondo cui "nessuno può essere punito se non in forza di una legge
che sia entrata in vigore prima del fatto commesso" (art. 25, secondo comma, della Costituzione).

Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, mediante atto depositato il 28 giugno 1969, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della
questione proposta.

L'Avvocatura dello Stato svolge un duplice ordine di considerazioni.

Rileva innanzitutto che dagli indiscutibili caratteri della generalità e della astrattezza, propri della norma
giuridica penale, consegue necessariamente che il legislatore, nella descrizione della fattispecie, si attenga
agli elementi costanti e generali conformi ai caratteri suddetti.

In secondo luogo la difesa dello Stato nega il carattere tautologico dell'art. 529 c.p. osservando come il
riferimento al "comune sentimento" costituisca elemento idoneo alla migliore determinazione dell'offesa al
pudore, discriminando la condotta criminosa da quella lecita.

Considerato in diritto:

I giudizi, avendo ad oggetto un'unica questione, pur prospettata con riferimento a due distinte previsioni
normative, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

La questione sollevata investe la corrispondenza delle norme che puniscono gli atti e le manifestazioni
oscene al principio di legalità garantito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
Si assume che gli elementi costitutivi dei reati previsti dagli artt. 527 e 528 del codice penale non siano
adeguatamente precisati, nonostante la specificazione contenuta nel successivo art. 529, secondo cui si
reputano osceni gli atti e gli oggetti che secondo il comune sentimento offendono il pudore.

Occorre, anzitutto, ricordare che questa Corte ha riconosciuto (sentenze n. 27 del 1961, n. 120 del 1963,
n. 44 del 1964, n. 7 del 1965) che il principio di legalità si attua non soltanto con la rigorosa e tassativa
descrizione di una fattispecie, ma, in talune ipotesi, con l'uso di espressioni sufficienti per individuare con
certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta lo abbia, o meno, violato.

Quando la legge penale prevede la tutela di beni immateriali (come il decoro, l'onore, la reputazione, il
prestigio, la decenza ed altri) il ricorso a nozioni proprie del linguaggio e dell'intelligenza comuni, è
inevitabile, né si è pensato, finora, a lamentare in proposito la violazione del principio di legalità.

Per quanto attiene, in particolare, alla difesa del pudore, il rinvio alla morale, al buon costume, e
nominativamente al "comune sentimento" (art. 529 c.p.) è legittimo, trattandosi di concetti diffusi e
generalmente compresi, sebbene non suscettibili di una categorica definizione.

La Costituzione stessa usa locuzioni come "senso di umanità", "buon costume", "dignità sociale", né si
può dire che le relative norme manchino di un identificabile valore positivo.

Il costume varia notevolmente secondo le condizioni storiche d'ambiente e di cultura, ma non vi è


momento in cui il cittadino, e tanto più il giudice, non siano in grado di valutare quali comportamenti
debbano considerarsi osceni secondo il comune senso del pudore, nel tempo e nelle circostanze in cui essi si
realizzano.

Gli artt. 527, 528 e 529 del codice penale rispettano, quindi, il principio di legalità costituzionalmente
garantito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 527, 528 e 529 del codice
penale, sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe
indicate.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE
CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO
CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE -
PAOLO ROSSI.

Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma dell'art. 29 delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956).

Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale in caso di divergenza.

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