Sei sulla pagina 1di 87

Il libro

V ENT’ANNI E VENTOTTO MILIONI DI COPIE DOPO, È FINALMENTE ARRIVATO IL

SEGUITO DELL’AMATISSIMO CLASSICO CHI HA SPOSTATO IL MIO FORMAGGIO?

Una meravigliosa parabola dal fascino universale, destinata a trasformare ogni


difficoltà in un successo nella vita, nel lavoro, nelle relazioni.
Torna il piccolo Tentenna alle prese con la sfida di trovare un Nuovo Formaggio nel
misterioso Labirinto.
Insieme alla sua amica Speranza, inizia un viaggio pieno di avventure in cui scoprirà
come superare le paure e trovare idee, soluzioni e risorse per ottenere ciò che desidera.

www.whomovedmycheese.com
L’autore

SPENCER JOHNSON è stato un autore di bestseller, un luminare di fama internazionale e


docente di leadership presso la Harvard Business School. Tra i suoi numerosi libri
ricordiamo Chi ha spostato il mio formaggio?e L’One Minute Manager.
Johnson si era laureato in psicologia alla University of Southern California e in
medicina al Royal College of Surgeons, specializzandosi presso la Harvard Medical
School e la Mayo Clinic. Ha lavorato come direttore medico delle comunicazioni per
Medtronic, azienda che ha inventato i pacemaker cardiaci, ed è stato ricercatore presso
l’Institute for Interdisciplinary Studies, docente al Western Behavioral Sciences Institute e
consulente per il Center for Studies of the Person e la University School of Medicine.
I suoi libri sono tradotti in quarantaquattro lingue e sono stati recensiti e presentati più
volte su giornali e network televisivi tra i quali ABC, CBS, CNN, NBC, The New York
Times, The Wall Street Journal, Fortune, Time, Reader’s Digest e Associated Press.
È morto nel 2017.
Visitate il sito www.whomovedmycheese.com
Spencer Johnson

CHI HA SPOSTATO IL MIO


FORMAGGIO? IL SEGUITO
Traduzione di Paolo Lucca
«Questo non posso crederlo!» dichiarò Alice.
«Proprio non puoi?» chiese la Regina in tono compassionevole. «Prova ancora: fai un
respiro lungo e chiudi gli occhi.»
Alice si mise a ridere. «Non serve a nulla provare», disse. «Non si può credere alle cose
impossibili.»
«Oso dire che tu non hai molta pratica», affermò la Regina. «Quando avevo la tua età,
facevo sempre questo esercizio per mezz’ora al giorno. Diamine, certe volte ho creduto fino a
sei cose impossibili prima di colazione!»

Lewis Carroll

L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata,


l’immaginazione abbraccia il mondo.

Albert Einstein
La storia dietro la storia

L’IDEA di Chi ha spostato il mio formaggio? venne a Spencer Johnson in un


periodo difficile della sua vita.
Dopo avere raccontato per anni quella storia e vedendo quanto era stata
d’aiuto agli altri nella vita professionale e in quella privata, decise di farne un
libro.
Nel giro di sei mesi la sua piccola parabola vendette più di un milione di
copie, che in cinque anni sarebbero diventate ventun milioni. Nel 2005, Amazon
riferì che Chi ha spostato il mio formaggio? era il suo titolo più venduto di
sempre.
Con il trascorrere del tempo il bestseller di Spencer, tradotto in moltissime
lingue, ha raggiunto ogni angolo del mondo, entrando in case, aziende, scuole,
chiese, basi militari e centri sportivi.
Facendo tesoro dei saggi consigli di questa favola dal fascino universale, tanti
lettori hanno migliorato il lavoro, le relazioni e la salute.
Eppure, Spencer pensava che alcune domande rimanessero senza risposta.
«Molte persone che hanno letto la storia», scriveva negli appunti per questo
suo seguito, «volevano sapere di più sul perché e sul come.
«Perché a volte riusciamo ad assecondare i momenti di cambiamento
trasformandoli in opportunità e altre no? E come possiamo adattarci più
rapidamente e più facilmente in un mondo che cambia, per essere più felici e
avere più successo, indipendentemente dal significato che attribuiamo a questa
parola?»
Secondo Spencer, per meglio rispondere a questi interrogativi occorreva dare
un seguito alla storia del Formaggio.
Chi ha spostato il mio formaggio? mostrava ai lettori una via per adattarsi al
cambiamento, nel privato e sul lavoro. Chi ha spostato il mio formaggio? Il
seguito vi darà gli strumenti necessari per imboccare questa via, per riuscire non
solo a gestire al meglio i mutamenti ma anche a trasformare il vostro destino.
Prefazione
di Emerson, Austin e Christian Johnson

SIAMO davvero felici che stiate per leggere questo libro.


Fin da quando era molto giovane, nostro padre amava aiutare gli altri. Da
ragazzino aveva organizzato una scuola di nuoto perché i bambini del quartiere
potessero imparare a nuotare. In seguito studiò da chirurgo, prima di scoprire che
la sua vera passione era la scrittura. Scrivendo, aveva l’impressione di poter
essere utile a molte più persone.
Ci manca moltissimo e siamo incredibilmente orgogliosi di quello che ha dato
al mondo.
Le parole e gli insegnamenti di questa storia lo hanno aiutato più volte negli
alti e bassi della vita; da loro ha tratto gli strumenti necessari per accettare con
amore e gratitudine il cambiamento che stava affrontando anche quando gli è
stato diagnosticato un cancro al pancreas, riuscendo a vedere la malattia sotto
una luce diversa.
Alla fine della storia abbiamo voluto condividere una lettera che nostro padre
ha scritto poco prima di morire e che ci sembra illustri bene le idee che lo hanno
ispirato e guidato.
Speriamo che questo libro vi piaccia e vi auguriamo ogni bene.
Un seminario
Chicago

NELL’ARIA frizzante di un bel giorno d’autunno, un gruppo di persone si riunì


per il seminario settimanale di business development.
Era uno degli ultimi incontri e per l’occasione avevano dovuto leggere una
storiella i cui due protagonisti, Tentenna e Ridolino, reagivano in modo molto
diverso al cambiamento. Il titolo della storia era Chi ha spostato il mio
formaggio?
Dennis, che teneva il corso, richiamò tutti all’ordine: «Allora, attenti. Vorrei
cominciare con una domanda: chi diavolo ha spostato il nostro Formaggio e cosa
dobbiamo fare?»
I presenti scoppiarono a ridere. Dennis trovava sempre il modo per metterli a
loro agio, ma sapevano anche che aveva ottime idee quando si trattava di andare
al sodo.
Cominciarono così a parlare del libro. Alcuni dissero che avevano imparato
molto dalla storia, nel lavoro come nella vita privata.
Alcuni, invece, avevano qualche domanda.
«Capisco questa cosa che bisogna adattarsi al cambiamento», disse Alex, che
lavorava nel settore tecnologico, «ma è più facile a dirsi che a farsi. Che cosa
dobbiamo fare per riuscirci?»
Mia, una dottoressa, concordò: «Certi cambiamenti sembrano facili da
affrontare, ma altri sono davvero difficili».
«E il mio lavoro non si è soltanto trasformato», aggiunse Alex. «Sembra che
stia sparendo del tutto.»
«Vero», disse Brooke, che lavorava nell’editoria. «A volte mi sembra di non
riconoscere più il mio settore.»
«A volte non riconosco più nemmeno la mia vita», replicò Alex. Gli altri
scoppiarono a ridere. «Davvero», riprese. «Troppo cambiamento, tutto insieme.
Se potessi mi sposterei con il mio Formaggio, ma il più delle volte non ho
nemmeno idea di dove sia finito il Formaggio!»
Mentre gli altri discutevano, Tim, un ragazzo seduto in fondo alla sala, alzò la
mano e prese la parola.

Dennis sollevò le braccia perché tutti tacessero e quando ci fu silenzio chiese


a Tim di ripetere la domanda, perché anche gli altri potessero sentirla.
Tim si schiarì la voce e disse: «E Tentenna?»
Alex si voltò e squadrò il giovane. «Tentenna?»
Tim ripeté: «Sì, che cosa gli è successo?»
Nella sala calò il silenzio, mentre tutti ripensavano alla storia ponendosi la
stessa domanda.
«Voglio saperlo», proseguì Tim, «perché onestamente Tentenna è il
personaggio della storia in cui mi ritrovo di più. Ridolino sembra riuscire ad
adattarsi e trova la sua strada. Tentenna invece rimane solo e arrabbiato nella sua
casa vuota. Mi pare che anche lui vorrebbe agire, come Ridolino, ma che
davvero sia bloccato. E per quanto odi doverlo ammettere, anch’io mi trovo in
una situazione molto simile.»
Per un poco tutti tacquero, poi Mia prese la parola.
«Capisco quello che vuoi dire, anch’io mi sento più o meno così. Vorrei
andare dove sta il Formaggio ma non so nemmeno da che parte iniziare.»
A uno a uno, tutti i presenti capirono quanto anche per loro valessero le
parole di Tim. Nella storia, Ridolino usciva dal Labirinto e trovava il «Nuovo
Formaggio»; si adattava al cambiamento e risolveva i propri problemi. Ma
Tentenna non sapeva che cosa fare.
Molti di loro si sentivano nella stessa situazione.
Per tutta la settimana, Dennis non fece che ripensare al ragazzo e alla sua
domanda.
Quando la classe si riunì per un’altra lezione, disse: «Ho riflettuto molto su
quello che hai detto la volta scorsa, sul perché Ridolino sia riuscito a cambiare e
Tentenna non ce l’abbia fatta, e su quello che potrebbe essere successo dopo.
Credo che si possa dire ancora qualcosa su questa storia, e vorrei condividerlo
con voi».
Calò un silenzio tale che si sarebbe potuto udire un topo fare l’occhiolino.
Tutti erano ansiosi di sapere che cos’era successo a Tentenna.
«Probabilmente vi ricordate la storia di Chi ha spostato il mio formaggio?»
attaccò Dennis…
La storia di «Chi ha spostato il mio formaggio?»

MOLTO tempo fa, in un Paese lontano, vivevano quattro minuscole creature che
vagavano in un Labirinto alla ricerca del Formaggio necessario per nutrirsi ed
essere felici. Due erano topolini dal nome di Nasofino e Trottolino, e due erano
gnomi che si chiamavano Tentenna e Ridolino.
Il Labirinto era costituito da un intrico di corridoi e stanze, in alcune delle
quali era conservato dell’ottimo Formaggio.
C’erano però anche angoli bui e vicoli ciechi, che non portavano da nessuna
parte.
Un bel giorno ognuno scoprì il proprio tipo di Formaggio preferito in fondo a
uno dei corridoi, nel Deposito di Formaggio F.
Da allora, tornarono tutte le mattine al Deposito per gustare quel cibo
delizioso.
Ben presto il Deposito di Formaggio F divenne il centro della vita di
Tentenna e Ridolino. Non sapevano da dove arrivasse il Formaggio e chi lo
avesse immagazzinato lì. Pensavano solo che non sarebbe mai venuto a mancare.
Finché, un brutto giorno, niente più Formaggio.
Nasofino e Trottolino partirono subito alla ricerca di Nuovo Formaggio. Non
così Tentenna e Ridolino, che rimasero lì impalati. Il Formaggio era sparito!
Com’era possibile? Nessuno li aveva avvertiti! Non era giusto!
Rimasero arrabbiati per giorni.
Alla fine, Ridolino si accorse che Nasofino e Trottolino avevano ricominciato
a perlustrare il Labirinto e decise di seguirli.
«A volte, Tentenna, le cose cambiano e non tornano più come prima», disse.
«Questo sembra proprio uno di quei momenti. La vita va avanti, e anche noi
dovremmo fare lo stesso.»
E con queste parole se ne andò.
Dopo qualche giorno, Ridolino si ripresentò al Deposito di Formaggio F per
offrire a Tentenna qualche scaglia del Nuovo Formaggio.
Lui però non credeva che quel Nuovo Formaggio gli sarebbe piaciuto. Non
era quello cui era abituato: voleva il suo vecchio Formaggio.
Così, a Ridolino non rimase che partire nuovamente alla ricerca di altro
Nuovo Formaggio.
E quella fu l’ultima volta che Tentenna vide il suo amico.
La nuova storia. Cos’è successo dopo…

PER diversi giorni Tentenna rimase chiuso nella sua casa vicino al Deposito di
Formaggio F, continuando a passeggiare nervosamente avanti e indietro,
inquieto e agitato.
Si aspettava ancora che comparisse altro Formaggio e non riusciva a
capacitarsi del perché non accadesse. Era sicuro che se avesse tenuto duro e
avesse continuato ad aspettare, le cose sarebbero cambiate.
Ma non cambiavano.
E perché Ridolino non tornava?
Mentre misurava a grandi passi il pavimento di casa, provò a immaginare
tutte le possibili risposte.
All’inizio si disse: Starà sicuramente rientrando. Uno di questi giorni arriverà
e tutto sarà come prima.
Ma il tempo passava e di Ridolino non si vedeva nemmeno l’ombra.
Tentenna diventava sempre più ansioso, e cominciò ad avere altri pensieri.
Si è dimenticato di me.
Si sta nascondendo.
Lo sta facendo apposta! Amico mio, come puoi tradirmi così?
Quest’ultima possibilità lo mandò su tutte le furie, e più ci pensava, più si
arrabbiava.
Era furioso perché Ridolino lo aveva lasciato solo, furioso perché il
Formaggio era sparito, furioso perché niente di quello che faceva sembrava poter
risolvere o migliorare la situazione.
Si fermò e strillò: «NON È GIUSTO!»
Sfiancato per il troppo camminare e la grande tensione, Tentenna si lasciò
cadere sulla sua poltrona preferita e si mise a rimuginare.
E se Ridolino si fosse perso?
Se si fosse fatto male, o peggio?
Dimenticò la propria rabbia e cominciò a pensare soltanto al suo amico, a
tutte le cose terribili che gli sarebbero potute succedere.
Dopo un po’, gli passò per la mente un’altra domanda. Invece di: Perché
Ridolino non è tornato? iniziò a chiedersi: Perché non sono andato con lui?
Se fossi partito con lui, pensò, forse le cose sarebbero andate diversamente.
Forse Ridolino non si sarebbe perso. Forse non gli sarebbe capitato niente di
male. Forse in quel momento se ne sarebbero stati insieme a mangiare
Formaggio.
Perché non si era spostato con il Formaggio come aveva fatto il suo amico?
Perché non era andato con Ridolino? La domanda lo rodeva come un topo rode
un pezzetto di Formaggio.
E intanto aveva sempre più fame.
Tentenna si alzò dalla poltrona e ricominciò a camminare, finché inciampò
contro qualcosa sul pavimento. Si chinò e lo raccolse. Solo dopo aver soffiato
via la polvere lo riconobbe. Era un vecchio scalpello.
Ricordò il giorno in cui, alla ricerca di nuovo Formaggio, aveva tenuto lo
scalpello mentre Ridolino lo colpiva con un martello per perforare il muro del
Deposito di Formaggio F. Gli sembrava quasi di sentire quel rumore risuonare
ancora tra le pareti della stanza.
Ding! Ding! Ding!
Guardò bene per terra finché trovò anche il martello e pure da quello soffiò
via la polvere. Soltanto allora si rese conto di quanto tempo fosse passato da
quando era partito con Ridolino alla ricerca di Formaggio!
Sentiva la mancanza del suo amico e cominciava a preoccuparsi. Fino a quel
momento non aveva fatto altro che aspettare che comparisse altro Formaggio e
che Ridolino tornasse.
Ma non c’era traccia né dell’uno né dell’altro.
Doveva agire, non poteva più rimanere chiuso in casa ad aspettare. Doveva
entrare nel Labirinto e mettersi alla ricerca di Formaggio.
Rovistò la stanza, scovò le scarpe da ginnastica e le indossò, come lui e Ridolino
facevano sempre quando uscivano a caccia di Formaggio. Mentre le allacciava,
valutò la situazione, riepilogando i fatti.
Sapeva che doveva trovare altro Formaggio e che se non ci fosse riuscito
sarebbe morto.
Sapeva che il Labirinto era un posto pericoloso, pieno di angoli bui e vicoli
ciechi che non portavano da nessuna parte, quindi doveva stare molto attento.
Infine, sapeva che affrontare la realtà, trovare altro Formaggio e sopravvivere
dipendeva esclusivamente da lui.
Era solo.
Scrisse tutto questo su un pezzetto di carta, che mise subito in tasca in modo
da non dimenticarselo.
Riassumere come stavano le cose fece sentire meglio Tentenna. Almeno sapeva
a che punto si trovava.
Lanciò un’occhiata al martello e allo scalpello: forse gli sarebbero serviti nel
viaggio che lo aspettava, per esplorare i più reconditi recessi del Labirinto.
Raccolse gli attrezzi e li infilò in una sacca, che mise a tracolla.
Armato del suo bigliettino, di un robusto martello e di uno scalpello, si
avventurò nel Labirinto.
NEI giorni successivi Tentenna vagò, addentrandosi sempre più nel Labirinto.
Nei corridoi non c’era nulla, se non qualche piccola roccia disseminata qua e là.
Nessuna traccia di Formaggio.
Quando arrivava in una nuova stanza, infilava la testa per vedere se ci fosse
del Formaggio. Ma tutte le stanze erano vuote. Di tanto in tanto finiva in un
angolo buio. Quando accadeva, tornava rapido sui suoi passi e si muoveva nella
direzione opposta. Era deciso a non perdersi. Ogni tanto passava davanti a un
vicolo cieco. Lanciava un’occhiata, giusto per essere sicuro, e quando vedeva
che conduceva a una parete di mattoni immersa nell’oscurità, si rimetteva subito
in marcia.
Qua e là poteva scorgere i segni del passaggio di Ridolino, che aveva
scarabocchiato qualche scritta sulle pareti del Labirinto, inserendola nel disegno
di un pezzo di Formaggio. Tentenna non ne capiva il senso. In ogni caso, era
troppo affamato e stanco per fermarsi a leggere.
Mentre continuava a esplorare, ripensava incessantemente alla domanda che
non smetteva di tormentarlo e non voleva saperne di uscire dalla sua testa.
Perché non era partito con Ridolino?
A dire il vero, lui si era sempre considerato il cervello della coppia. Ridolino
era un bravo gnomo e un caro amico, un tipo con un carattere allegro e un buon
senso dell’umorismo. Ma era più un copilota che un pilota, o almeno questo era
ciò che Tentenna aveva sempre pensato. Ma adesso non ne era più così sicuro.
«Perché non sono andato con lui?» borbottava.
Forse perché era testardo? Oppure era uno sciocco?
O forse perché era un cattivo gnomo?
A tutto questo pensava Tentenna mentre si aggirava per i corridoi. «Magari
questa è una punizione per qualcosa che ho fatto», disse a voce alta.
Quanto peggio si sentiva, tanto più le sue energie si esaurivano, anche se lui
non se ne accorgeva. Non si rendeva nemmeno più conto dei pensieri che gli
correvano per la testa come topolini in un labirinto.
Finché ne ebbe uno così terribile che lo raggelò: Forse il mio destino è vagare
per sempre nel Labirinto.
Sentì le gambe che gli mancavano. Si appoggiò al muro e si lasciò scivolare a
terra.
Sulla parete opposta vide una scritta lasciata da Ridolino:
Tentenna scosse la testa.
«Oh, Ridolino», mormorò. «Che cosa credevi? Il Formaggio o c’è o non c’è.
Le convinzioni non c’entrano nulla!»
Per la prima volta, si domandò se per caso Ridolino fosse diventato troppo
debole per continuare la ricerca e si fosse arreso. Si domandò se per caso stesse
succedendo anche a lui.
All’improvviso fu sopraffatto da una sensazione di solitudine e paura. Niente
era più come prima.
Un tempo il Labirinto era il luogo dove lui e Ridolino lavoravano e avevano
una vita sociale. Erano entrambi cresciuti lì e lì avevano costruito la loro
esistenza. Il Labirinto era il loro mondo.
Ma il Labirinto era cambiato.
Ora sembrava che tutto fosse diverso. Ridolino se n’era andato, Nasofino e
Trottolino non c’erano più, il Formaggio era sparito e lui vagava per quei
corridoi sempre più sfinito. Non capiva perché gli stesse capitando tutto ciò.
Il Labirinto era diventato un luogo oscuro e pauroso.
Si rannicchiò a terra e cadde in un sonno agitato.
QUANDO si svegliò, Tentenna sentì il piede urtare contro qualcosa. Anzi, più di
una cosa. Si sedette e diede un’occhiata. Erano sassi tondi, grandi più o meno
quanto un suo pugno.
Ne raccolse uno e ne accarezzò la superficie liscia, di un colore rosso
brillante. Non era un sasso. Aveva un buon odore.
A dire la verità, era così profumato che gli venne voglia di dargli un morso.
Subito tornò in sé. Che gli passava per la testa? Qualunque cosa fosse, non
era di certo Formaggio!
Poteva essere pericoloso.
Si guardò attorno e poco mancò che gli venisse un colpo.
Seduto vicino a lui c’era un altro gnomo, tutto intento a fissarlo. Non era
Ridolino e nemmeno uno dei loro vecchi amici. Tentenna non lo aveva mai visto
prima.
Non sapeva se sorridere e salutarlo o esserne spaventato.
Lo gnomo – che Ridolino si accorse essere in realtà uno gnomo femmina –
raccolse uno di quei piccoli non sassi rossi e lo tese verso di lui: «Mi sembri
affamato».
«Ma non posso mangiarlo», rispose Tentenna. «Non è Formaggio!»
«Non è cosa?»
«Formaggio», ripeté. «Non è Formaggio.»
Lei gli lanciò un’occhiata perplessa.
«‘Formaggio’ è un altro modo per dire ‘cibo’», le spiegò pazientemente
Tentenna. «Tutti mangiano Formaggio. Anche i topi.»
«Ah», rispose lei. Rimasero zitti per un po’, poi la Straniera disse: «Io no, non
ho mai visto questo ‘Formaggio’».
Per Tentenna era difficile da credere. Uno gnomo che non mangiava
Formaggio? Impossibile! Lei stava ancora tendendo il sasso; Tentenna lo guardò
e scosse la testa.
«Qualunque cosa sia, non posso mangiarla. Io mangio solo Formaggio.»
Disperato, tornò a sdraiarsi. Dopo un po’, gli parve di sentire la Straniera che
diceva: «Scommetto che puoi fare molto più di quanto pensi di saper fare…»
Ma ormai si era già riassopito.
Qualche ora dopo, quando riaprì gli occhi, si sentiva affamato come non mai. Il
suo primo pensiero fu: È tempo di cenare! Ma subito si ricordò della sua
situazione.
Niente Formaggio. Niente cena.
Si sedette. La Straniera se n’era andata, però i sassi rossi erano ancora lì. Ne
raccolse uno e lo annusò: aveva un profumo dolce.
Prima di avere il tempo di pensare a quello che stava facendo, gli diede un
morso.
Era croccante, ma anche succoso! Dolce… ma aspro! Aveva un sapore
diverso da ogni Formaggio che avesse mai mangiato. Non riuscì più a frenarsi e
lo divorò.
Dopodiché, tornò a stendersi e cominciò a lamentarsi. Che cosa ho fatto? si
disse. Ho mangiato un sasso! Sarebbe morto di sicuro.
Si addormentò di nuovo.
Per la prima volta dopo giorni dormì per tutta la notte, senza mai svegliarsi.
Quando si ridestò, il mattino dopo, vide di nuovo la Straniera che lo osservava
accovacciata con le braccia intrecciate attorno alle ginocchia.
«Non sei morto», gli disse.
«No», rispose. «Direi proprio di no.»
In effetti, si sentiva un po’ meglio.
Lei gli passò un altro sasso. Tentenna lo prese e lo addentò. Anche se non era
Formaggio, era saporito, e mangiandolo sentì che gli tornavano un po’ di
energie.
Intanto, la Straniera cominciò a parlare. Si chiamava Speranza e viveva poco
lontano da lì, in un posto chiamato Deposito di Frutta M. «Frutta», gli spiegò,
era il nome di quei sassi, che in realtà si chiamavano «Mele».
A quel punto Tentenna era già alla terza Mela.Speranza gli disse che di
recente la Frutta scarseggiava e negli ultimi giorni aveva esplorato diverse zone
del Labirinto alla ricerca di nuove scorte.
«Una volta, quando mi svegliavo al mattino c’erano più Mele», raccontò.
«Ma ora sono sempre di meno.
«Anzi», aggiunse, indicando quella che Tentenna stava mangiando, «quella
era l’ultima.»
Lui smise immediatamente di masticare e la guardò. «Vuoi dire che non ce ne
sono più?»
Speranza annuì. «Hanno smesso di comparire. Non so perché.»
Tentenna lanciò un’occhiata alla Mela che ormai aveva quasi finito, quindi
guardò ancora Speranza. «E mi hai dato la tua ultima Mela?»
Lei scrollò le spalle: «Mi sembravi affamato».
«Lo ero», convenne lui. «Ma non lo eri anche tu?»
«Un pochino.»
Tentenna ripensò a tutte le Mele che Speranza gli aveva dato e si accorse di
non averla ancora ringraziata.
«Grazie», le disse.
«Non c’è di che», rispose lei.
Tentenna scosse la testa, stupito. «Mangiare questa roba mi ha davvero fatto
sentire meglio», disse. «Non posso crederci!»
Speranza sorrise e rispose: «Certo che puoi. Non è difficile, basta lasciarsi
andare e provare».
Tentenna era confuso. In che senso lasciarsi andare e provare? Non aveva
idea di ciò di cui lei stava parlando.
Una cosa però la sapeva: aveva ancora fame.
Tutto quel discutere di mangiare gli aveva ricordato per quale motivo aveva
deciso di esplorare il Labirinto. E dato che grazie a quello strano e nuovo cibo
gli stavano tornando le forze, era giunto il momento di ripartire alla ricerca di
Formaggio.
Ora sapeva perché la sua missione si era rivelata un fallimento.
«Non mi sono impegnato abbastanza», spiegò. «Quello che devo fare è
cercare nelle zone del Labirinto che non ho ancora esplorato.»
Lei scrollò le spalle. «Vengo anch’io, se per te va bene.»
(Speranza non aveva idea di come sarebbero usciti da quella situazione, ma
non aveva dubbi che ce l’avrebbero fatta.)
Tentenna annuì a malincuore. Non poteva fargli male un po’ di compagnia,
però. Mentre si rialzava, di nuovo gli occhi caddero sulle strane parole che il suo
amico Ridolino aveva scarabocchiato sul muro:
«Forse no», commentò rivolto alla scritta. «Ma ti dico quello che sicuramente mi
farà arrivare al Nuovo Formaggio: devo darci dentro!»
E con questo Tentenna mise a tracolla la sacca degli attrezzi e i due si
incamminarono, avanzando corridoio dopo corridoio, infilando la testa in tutte le
stanze che trovavano, evitando accuratamente gli angoli bui e i vicoli ciechi.
Tutte le stanze erano vuote, però Tentenna era deciso a non arrendersi.
Mentre camminavano, raccontava a Speranza dei vecchi tempi, di come lui e
Ridolino e i loro amici Nasofino e Trottolino uscissero ogni giorno in cerca di
Formaggio e di quanto questo fosse abbondante e facile da trovare, sempre a
disposizione. Tutto quello che dovevano fare era perlustrare qualche corridoio e
il Formaggio saltava fuori.
«Era tutto più semplice allora», disse. E proseguì in silenzio.
I tempi erano cambiati. Tentenna non era più lo stesso gnomo di prima. Una
volta era un tipo forte e orgoglioso, rispettato dagli altri gnomi perché sicuro di
sé.
Ma la scomparsa del Formaggio lo aveva trasformato. Gli eventi avevano
avuto conseguenze e lui non era più così forte, e nemmeno così orgoglioso.
Mentre rifletteva su tutto questo, si accorse di essere meno sicuro di sé, sentì
che la sua fiducia in se stesso era stata minata.
Era una sensazione nuova per lui.
Non aveva mai fatto davvero caso ai suoi pensieri, né si era mai fermato a
riflettere sul suo modo di vedere le cose, che per lui coincideva con la realtà
delle cose.
Vagando per i corridoi, i due trovarono qualche pezzetto di Formaggio sparso
qua e là, abbastanza perché Tentenna potesse mettere qualcosa sotto i denti e
attenuare un poco i morsi della fame.
Anche Speranza assaggiò un po’ di Formaggio, e le piacque.
Ogni tanto trovavano una Mela per terra accanto al muro e se la dividevano.
I bocconi di Formaggio e le sporadiche Mele bastavano per riuscire a tornare
al punto di partenza, dove si riposavano per prepararsi alla ricerca dell’indomani.
Ogni mattina, quando partivano, Tentenna sentiva di avere meno energie del
giorno precedente.
Rientrando dopo ore di infruttuose ricerche, lasciava cadere a terra la sacca
degli attrezzi e crollava contro la parete, sempre più esausto.
Un giorno, mentre stavano tornando, Tentenna era così scoraggiato da temere di
non farcela più a proseguire.
Riusciva a pensare solo alla fatica di portare la sacca.
«Deve pesare molto», gli disse Speranza.
«Non troppo», rispose Tentenna.
Non voleva ammettere che quel fardello era ormai insostenibile e quanto si
sentisse stremato.
«Ma perché te la trascini dietro ogni giorno?» domandò Speranza.
«Ci serve per fare i buchi nel muro», replicò lui. E spiegò che, quando
avessero trovato la parete giusta, le avrebbe chiesto di reggere lo scalpello, come
una volta faceva lui, mentre lui lo avrebbe colpito con il martello, com’era solito
fare Ridolino.
«Ah», commentò Speranza, per poi aggiungere: «E ha mai funzionato?»
«Certo che sì», ribatté Tentenna, ritrovandosi a pensare: Questa fa troppe
domande. «Ho il miglior scalpello che si possa desiderare.»
«Quello che intendevo», chiarì Speranza, «è se fare buchi nel muro ti sia mai
servito per trovare il Formaggio…»
Tentenna, offeso, non rispose. Quelli erano ottimi attrezzi! Lasciò cadere a
terra la sacca, producendo un sonoro dong! e sedette contro il muro.
Quanto gli mancava Ridolino! Non gli piaceva trovarsi lì, nel bel mezzo del
Labirinto, così lontano da casa. Voleva che le cose tornassero com’erano prima.
«Hai nostalgia del tuo amico», osservò Speranza.
Tentenna trovava un po’ fastidioso il fatto che lei sembrasse sempre sapere
quello che stava pensando.
Scrollò le spalle. «Vorrei solo che tutto tornasse com’era.»
Speranza sedette accanto lui, appoggiando anche lei la schiena contro il muro.
«Lo so», ribatté, quindi gli lanciò un’occhiata. «Ma non sono sicura che
funzioni così.»
«Cosa vorresti dire?» Tentenna cominciava a innervosirsi.
«Non penso che le cose tornino mai com’erano prima», rispose Speranza.
«Ma credo che a volte potrebbero migliorare.»
Tentenna non capiva come fosse possibile.
«Il nostro piano di darci dentro non mi pare stia dando frutti, vero?» proseguì
pacatamente Speranza.
Lui non rispose, era troppo giù di morale.
«Forse dovremmo cambiare strategia?» aggiunse Speranza.
Tentenna alzò gli occhi e vide che stava guardando la scritta di Ridolino,
quella che diceva che seguendo le vecchie convinzioni non si poteva arrivare al
Nuovo Formaggio.
«E se provassimo una nuova convinzione?» chiese Speranza.
Lui scosse la testa. «Le convinzioni non si provano. Le convinzioni sono…
insomma, ci sono e basta!»
Speranza drizzò la testa e lo fissò. «Ma se uno decidesse di cambiarne una?»
«Non è così che funziona», le spiegò Tentenna. «E comunque a me le mie
convinzioni vanno benissimo! Se le cambiassi, chi sarei? Non sarei più
Tentenna!»
Non voleva modificare le sue convinzioni, e tantomeno rinunciarci, perché
pensava che fossero ciò che lo rendeva la persona che era.
«Scommetto che cambierai idea», sussurrò Speranza.
«E perché dovrei farlo?» Tentenna stava per arrabbiarsi. «Le mie idee mi
piacciono così come sono!»
Speranza si strinse nelle spalle. «Anche a me piacciono le mie. Solo che non
abbiamo ancora trovato il Formaggio.»
Tentenna non seppe come replicare a questa obiezione.
I due rimasero in silenzio per un poco, poi Speranza si alzò e disse: «Bene,
buona notte e sogni d’oro. A domani».
Sempre seduto con la schiena contro il muro, Tentenna aggrottò la fronte e
ripensò a quello che Speranza gli aveva detto del martello e dello scalpello.
Era evidente che fare buchi nel muro non sarebbe servito a niente. Ma non lo
sapeva già? Allora perché si portava ancora appresso quei vecchi attrezzi?
Perché non sapeva cos’altro fare, ecco perché.
Non sarebbero mai arrivati al Formaggio.
Non avrebbe mai ritrovato il suo amico Ridolino. Sarebbe morto in quel
corridoio, con la sua inutile sacca.
Tentenna emise un lunghissimo sospiro, quindi tornò a porsi la domanda che
lo tormentava da quando si era imbarcato in quella missione: «Perché non sono
partito con Ridolino?»
Si mise a piangere.
Dopo non molto tempo, si addormentò.
QUELLA notte Tentenna fece un sogno.
Si trovava nella sua casa vicino al Deposito di Formaggio F e camminava
nervosamente per la stanza, inquieto e agitato. C’era però qualcosa di diverso.
Ma cosa?
All’improvviso se ne rese conto. C’erano sbarre alle finestre! Sembrava di
essere in una prigione. Guardando se stesso attraverso le sbarre, vide quanto era
infelice. Nel sonno, cominciò a piangere.
Si risvegliò nel cuore della notte, pensando al sogno. Non sapeva come
interpretarlo. Perché appariva come un prigioniero nella sua stessa casa, uno che
si rifiutava di seguire l’amico nonostante ne sentisse così tanto la mancanza?
Rimase sveglio per ore a riflettere. Continuò a rimuginare fino all’alba.
Alle prime luci del mattino, intravide la scritta di Ridolino sulle vecchie
convinzioni e il Nuovo Formaggio.
«Forse aveva ragione», mormorò. (Pensare ad alta voce lo aiutava a chiarirsi
le idee, soprattutto le più complicate, come quelle che in quel momento gli
stavano passando per la testa.)
Ripensò al giorno ormai lontano in cui Ridolino era partito. Il suo amico aveva
provato a spiegargli quello che credeva dovessero fare, ma lui non aveva voluto
ascoltarlo.
«Ero sicuro di avere ragione, ero sicuro che Ridolino si sbagliasse», disse.
«Però forse avevo torto. Non mi sono fidato di lui ma solo del mio modo di
pensare.»
Si mise a sedere.
Vecchie convinzioni. Proprio di quello parlava la scritta di Ridolino. Ma
Tentenna non si era mai fermato a pensare che cosa fosse davvero una
«convinzione».
Ora credeva di saperlo.
Si alzò, raccolse un sasso aguzzo e incise quel suo nuovo pensiero sul muro,
accanto a quello di Ridolino. Poi gli disegnò attorno una delle Mele di Speranza,
per ricordarsi che quelle parole erano state scritte da lui e non dal suo amico.
Ecco che cos’era una convinzione: un pensiero. Ma quanta forza aveva!
Perché non era partito con Ridolino alla ricerca di Nuovo Formaggio? Perché
Ridolino vedeva le cose in modo diverso e Tentenna non riusciva a vedere
quello che vedeva lui. I suoi pensieri, che secondo lui erano corretti, lo avevano
convinto a restare vicino al Deposito di Formaggio F.
Aveva creduto che, se fosse rimasto e avesse tenuto duro, la situazione
sarebbe cambiata. Aveva pensato che Ridolino si stesse lanciando in un’impresa
inutile e di sapere quello che invece bisognava fare.
Le sue convinzioni lo avevano intrappolato nel suo modo di vedere le cose.
Ecco perché non era partito con l’amico.
All’improvviso capì il senso del sogno: le sbarre alle finestre erano la sua
vecchia mentalità, quella che riteneva giusta ma che gli aveva impedito di
avventurarsi nel Labirinto.
Le sue convinzioni lo stavano tenendo prigioniero!
Scrisse un’altra frase sul muro, anche questa inserita nel disegno di una Mela.
Si rivide mentre camminava avanti e indietro nella sua casa vicino al Deposito di
Formaggio F e rifletté su come fosse convinto che, se solo avesse aspettato, il
Formaggio avrebbe ricominciato ad apparire e le cose sarebbero tornate
com’erano prima.
Quello era un altro pensiero di cui era certo, no? Un’altra convinzione che lo
aveva tenuto prigioniero!
Quindi tutte le convinzioni erano così?
Ripensò al giorno in cui si era svegliato e aveva visto Speranza, e lei gli
aveva offerto una Mela. All’inizio aveva avuto paura all’idea di mangiarla, ma
poi lo aveva fatto lo stesso. Si era fidato di Speranza. E lei gli aveva dato la sua
ultima Mela! Si era comportata da vera amica.
Tentenna si disse che quella convinzione gli era tornata utile.
Scrisse un’altra frase sul muro:
Gli tornarono in mente le parole di Speranza: «E se provassimo una nuova
convinzione?»
Che cosa le aveva risposto? «Le convinzioni non si provano. Non è così che
funziona!»
Ma forse lei aveva ragione. Forse era possibile cambiare una vecchia
convinzione e sceglierne una nuova.
Si sforzò di pensare a una vecchia convinzione ma non riuscì a trovarne
nemmeno una. Tutta questa storia era una novità per lui e non era sicuro di come
funzionasse. Diede un’occhiata alle frasi che aveva scritto e inserito nei disegni
delle Mele. Ricordò che quando Speranza gli aveva offerto per la prima volta un
frutto, lui aveva risposto: «Qualunque cosa sia, non posso mangiarla. Io mangio
solo Formaggio».
Questo era ciò che aveva sempre pensato e in cui aveva sempre creduto.
Invece si era rivelato falso, perché aveva mangiato la Mela e si era sentito
meglio! Perciò il Formaggio non era l’unico cibo che potesse mangiare. Dunque
adesso aveva cambiato idea.
Cosa gli aveva detto Speranza? «Scommetto che cambierai idea.» E aveva
ragione, l’aveva cambiata!
Subito tornò a scrivere sul muro:
Tentenna si accorse con sorpresa di sentirsi pieno di energie.
Una volta non gli piaceva che qualcuno mettesse in discussione le sue
convinzioni, non voleva cambiare idea e si offendeva se gli dicevano che quello
che pensava era sbagliato.
Ora però, invece di stare male o arrabbiarsi, era eccitato per quello che stava
scoprendo.
Capì che in passato non aveva voluto cambiare le proprie idee perché si
sentiva minacciato. Non voleva modificare le sue convinzioni perché le sue
convinzioni gli piacevano. Pensava che fossero ciò che lo rendeva la persona che
era.
Ma adesso aveva capito che le cose non stavano così: poteva scegliere una
mentalità diversa, una convinzione diversa.
E rimanere comunque Tentenna!
«Perciò è questa la vera domanda», disse, camminando avanti e indietro mentre
pensava ad alta voce. «Ora che so cos’è una convinzione, quanto sia forte e
come sia facile sceglierne una nuova… cosa dovrei fare?»
Si fermò.
La risposta era ovvia: doveva mettere a frutto quella sua nuova scoperta per
portare a termine la missione. Doveva partire alla ricerca di altre Mele e altro
Formaggio.
Il problema era che lui e Speranza le avevano già provate tutte. Non restavano
altri posti dove cercare, non c’erano più Mele né Formaggio da trovare.
Era una missione impossibile. Ma se davvero lo era, che senso aveva
continuare a provare?
Però… e se l’idea che fosse «impossibile» fosse stata soltanto un’altra
convinzione? Avrebbe potuto cambiarla?
Avvertì un fremito corrergli lungo la schiena.
«Un momento», disse. «Ragioniamo.»
La storia delle convinzioni poteva funzionare solo fino a un certo punto.
Dopo tutto, la situazione in cui si trovava presentava dei limiti, no?
Tentenna si aggrappò a quel pensiero soltanto un momento, quindi fece un
lungo respiro e… sentì che cominciava a cambiare!
Guardò il sasso aguzzo che teneva in mano e scrisse sul muro:
QUANDO sorse il sole, Speranza trovò Tentenna che canticchiava tra sé e sé, tutto
intento a pulire le scarpe da ginnastica.
Riconosceva a stento quel nuovo Tentenna! Quando lo aveva salutato la sera
prima era stanco, deluso, irritato, ma ora gli sembrava più in forma che mai.
Speranza osservò le nuove scritte sul muro, ciascuna delle quali era inserita
nel disegno di una Mela.
«Guarda guarda…» commentò. «Qui c’è stato uno gnomo che si è dato da
fare.»
Tentenna annuì. «Sì.»
«Cos’è successo?»
Lui alzò la testa. «Ho cambiato idea», rispose.
«Bene», replicò Speranza. Rilesse le scritte, poi gli chiese ancora: «E su che
cosa?»
Tentenna depose le scarpe e si rimise lentamente in piedi. (Aveva ancora i
muscoli doloranti e indolenziti per essersi portato in giro la pesante sacca degli
attrezzi.)
«Questo non l’ho ancora capito», disse.

Tentenna sapeva che quello che aveva fatto fino a quel momento non stava
funzionando. Aveva bisogno di qualcosa di completamente diverso, e questo
significava vedere le cose in un’ottica totalmente nuova. Doveva cambiare
mentalità e scegliere un’altra convinzione.
Ma quale convinzione di preciso? Non lo sapeva.
Speranza si avvicinò e sedette accanto a lui.
«Posso farti una domanda?» (Aveva visto che Tentenna era immerso nei suoi
pensieri e non voleva turbare la sua concentrazione, ma c’era qualcosa che aveva
bisogno di sentirgli dire.) «Mi hai raccontato che a un certo punto il tuo
Formaggio ha smesso di apparire, proprio come le mie Mele, vero?»
«Esatto», rispose Tentenna.
«Ecco cosa mi stavo chiedendo: prima, quando il Formaggio arrivava fresco
tutti i giorni, da dove veniva?»
Tentenna cominciava di nuovo a infastidirsi. Speranza faceva davvero troppe
domande! E che importanza aveva da dove veniva il Formaggio? Tanto ormai
non ce n’era più…
Si bloccò.
Lanciò un’occhiata a Speranza, pensando a quello che gli aveva appena detto: da
dove veniva il Formaggio? Se lo era mai domandato? E Ridolino, se l’era mai
chiesto? Frugando tra i ricordi, provò a ripensare a tutto il tempo che lui e il suo
amico avevano passato insieme cercando il Formaggio, mangiando il
Formaggio, gustandosi il Formaggio. Si erano mai posti questa domanda?
No! Ne era certo.
Sentì il cuore battere più veloce. Non sapeva perché, ma questa scoperta gli
sembrava importante.
Tornò a guardare Speranza. Ogni traccia di irritazione in lui era sparita. «Da
dove… veniva… il Formaggio?» ripeté lentamente. «Sai, credo che questa sia
davvero un’ottima domanda.»
Gli occhi di Speranza brillarono. «Intendi dire che conosci la risposta?»
«Beh, no… Ma resta comunque una buona domanda! Se continuiamo a
chiedercelo, forse troveremo una buona risposta!»
Rimasero in silenzio per un po’, quindi Speranza lo guardò e disse: «Chissà
cosa c’è fuori dal Labirinto».
Tentenna la fissò. «Cosa c’è fuori dal Labirinto?» Scosse la testa con aria
incredula. «Non c’è niente fuori dal Labirinto.»
Che idea! Fuori dal Labirinto? Non aveva alcun senso, il Labirinto era l’unica
cosa che esisteva, non c’era niente «fuori».
«Ah», fece Speranza. Tacque per qualche istante, poi lanciò un’occhiata a
Tentenna e gli chiese: «Sei sicuro?»
«Certo che lo sono!»
I due si guardarono, quindi esclamarono all’unisono: «Un pensiero di cui sei
certo!»
Un’altra convinzione! E a Tentenna sembrava che fosse una di quelle che
avrebbero potuto intralciarlo, invece di aiutarlo.
Poteva cambiare idea anche su questa?
Chiuse gli occhi e provò a immaginare un luogo fuori dal Labirinto. Ma nella
sua mente apparve solo il Labirinto, così come lo aveva sempre visto.
Riaprì gli occhi e scosse la testa. «Non va bene. Non riesco a vederlo.»
Guardò Speranza. «Vedo soltanto quello che c’è dentro il Labirinto, non sono
capace di immaginare niente fuori.»
Il Labirinto, dopo tutto, era l’unica cosa che conosceva. Aveva passato tutta la
vita rinchiuso lì dentro.
Speranza lo guardò pensierosa, quindi disse: «E se cominciassi credendo che
esiste? Magari dopo riusciresti a vederlo…»
«Ma questa è…» Ma questa è una follia! era sul punto di esclamare Tentenna.
Invece rispose: «Ma questa è… una splendida idea!»
Se davvero non c’erano limiti a quello che poteva credere, perché non
provarci? Chiuse di nuovo gli occhi e cominciò a pensare: Fuori dal Labirinto
esiste qualcosa di meraviglioso.
Fece un respiro profondo e sentì quel nuovo pensiero riempirgli la testa,
mentre iniziava a crederci.
Riaprì gli occhi e scrisse un’altra frase sul muro:
Guardò Speranza e disse: «Andiamo a vedere cosa c’è fuori dal Labirinto».
Lei sorrise: «Buona idea. Forse scopriremo da dove arriva il tuo Formaggio».
Tentenna annuì, eccitato: «E anche le tue Mele!»
Speranza si alzò: «Ci sto!» disse. «Come facciamo?»
«Non ne ho idea», rispose Tentenna.
E davvero non l’aveva. Dove dovevano guardare? Non riusciva a
immaginarlo. Avevano già esplorato tutto.
Si ricordò di quando lui e Ridolino uscivano alla ricerca di Formaggio: evitavano
sempre gli angoli bui e i vicoli ciechi. Lo disse a Speranza e aspettò, per vedere
se se ne sarebbe uscita con un’altra buona domanda.
Cosa che naturalmente successe.
Speranza gli chiese: «E se gli angoli bui non fossero completamente bui?»
«Ma come potrebbero non esserlo?» ribatté Tentenna. «Dopo tutto, è proprio
per questo che si chiamano ‘bui’!»
Lei allungò la mano e prese una grossa candela da un candelabro a muro.
«Non se portiamo una di queste.»
Tentenna si alzò e si stava già incamminando lungo il corridoio, quando si
accorse che Speranza non si era mossa e stava squadrando la sua sacca.
«Pensi di portarti appresso martello e scalpello?»
Tentenna lanciò un’occhiata ai suoi attrezzi, quindi scosse lentamente la testa.
«Non credo.»
«Bene», disse Speranza, sorridendo. «Non mi pare che possa funzionare
imbarcarsi in una nuova missione con un vecchio bagaglio.»
Ripassarono lungo i corridoi che avevano già esplorato più volte, ma
scandagliando ora gli angoli bui dai quali si erano tenuti alla larga. Per quanto a
Tentenna sembrasse strano andare in cerca di quello che aveva sempre evitato,
decise che probabilmente quella sensazione faceva parte del processo.
Ben presto si imbatterono in una zona incredibilmente buia e si fermarono.
Con Speranza che reggeva la candela per illuminare quel minuscolo passaggio,
si mossero in direzione dell’oscurità.

Tentenna ebbe un tuffo al cuore. La luce della fiamma brillava a sufficienza


per rivelare che quel corridoio non portava da nessuna parte; solo tenebre e un
muro di mattoni. «Un altro vicolo cieco», disse.
Speranza lo guardò pensierosa. «Lo credo anch’io», rispose. «Ma se anche
questo fosse un pensiero di cui non dovremmo essere certi? Dopo tutto»,
aggiunse, «se non tutti gli angoli bui sono bui, forse non tutti i vicoli ciechi sono
ciechi.»
A Tentenna quel pensiero piacque. Decise di provare a trattenerlo e a crederci
abbastanza per trasformarlo in una convinzione.
Chiuse gli occhi e, ancora una volta, provò a usare l’immaginazione. Per un
lungo istante non successe nulla… finché, proprio quando stava per arrendersi,
colse un bagliore alla fine dei suoi pensieri. Era come se vedesse non una luce
ma la possibilità di una luce. Sentì il cuore sobbalzargli nel petto.
Riaprì gli occhi e guardò Speranza.
«Proviamoci», disse.
Si addentrarono lentamente nel corridoio, avanzando con una certa inquietudine.
Tentenna non riuscì a non pensare: il Labirinto è un posto pericoloso. Lo sapeva
da una vita, da quando era ancora un ragazzo. Il Labirinto è un posto
pericoloso… Quel pensiero continuava a ronzargli nella testa.
E se fosse stato un pensiero di cui non doveva essere certo?
Smise di camminare, e così fece anche Speranza, curiosa di ascoltare quello
che Tentenna avrebbe detto.
«Solo perché lo pensi», mormorò lui, «non significa che tu debba crederci.»
Speranza tacque, ma capì quello che stava passando per la testa del suo amico.
Continuarono a camminare. Mentre si avvicinavano, Tentenna si accorse che
davvero una lucina brillava in fondo al corridoio: era quella della loro candela,
che si rifletteva su una minuscola finestrella montata su una porta!
Aprirono la porta e si ritrovarono in una piccola stanza, simile a molte altre
che avevano già visitato. Alla flebile luce della candela, lanciarono un’occhiata
in quella camera spoglia. Quattro angoli, quattro pareti, nient’altro.
Completamente vuota.
Deluso, Tentenna fece per andarsene. Speranza invece non si mosse e lo fissò,
come se stesse aspettando che parlasse.
«Cosa c’è?» chiese lui. «È vuota.»
«A quanto pare», replicò lei, sempre immobile.
Tentenna ci pensò un attimo, quindi si fece una domanda.
Se non tutti gli angoli bui erano bui, e non tutti i vicoli ciechi erano ciechi,
forse allora nemmeno tutte le stanze vuote erano vuote…
«Ripensandoci», aggiunse, «perché non diamo un’altra occhiata?»
Speranza sorrise e lo prese per mano. «Avanti!» disse
Avanzarono lungo la prima parete spoglia, svoltarono l’angolo e
proseguirono lungo la seconda, passarono un altro angolo, arrivarono a metà
della terza… e si fermarono.
«Lo senti anche tu?» sussurrò Tentenna.
«Sì, lo sento», bisbigliò di rimando Speranza.
Un refolo di aria fresca si insinuava tra le loro gambe. Tentenna si chinò e
annusò: aveva un profumo freschissimo.
Si misero carponi e, all’altezza delle ginocchia, videro un passaggio nel muro
abbastanza grande perché uno gnomo potesse passarci.
Tentenna lanciò un’occhiata a Speranza e le fece un cenno con la mano. Dopo
di te.

Speranza si infilò nel tunnel e Tentenna la seguì.


Mentre lei faceva strada, avanzarono a lungo strisciando, finché scorsero una
luce alla fine del tunnel.Una luce che diventava sempre più brillante… e poi,
all’improvviso…
SPERANZA e Tentenna si ritrovarono immersi in una luce sfolgorante, tanto
accecante che all’inizio non riuscirono a vedere più nulla. Rimasero immobili,
strizzando gli occhi e respirando a pieni polmoni l’aria fresca e limpida.
Quando i loro occhi si furono abituati alla luce, si guardarono attorno. Si
trovavano in un meraviglioso prato verde e spirava una leggera brezza.
Tentenna non aveva mai visto né sentito niente del genere prima di allora.
Guardò in direzione del soffitto, se così si poteva chiamare… Era così azzurro, e
così alto! E là in cima c’era una sfavillante luce dorata, più brillante e calda di
qualunque luce avesse mai visto; era così forte che non la si poteva guardare.
Tentenna era senza parole. Fece un profondo respiro, infilò le mani in tasca,
chiuse di nuovo gli occhi e sollevò il volto per godersi quel tepore.
Con la punta delle dita, sentì qualcosa nella tasca. Lo tirò fuori e lo guardò.
Era un pezzetto di carta. In cima c’era scritto: «Come stanno le cose».
Cominciò a leggere.
E poi scoppiò in una risata.
Speranza sorrise, sorpresa. Era la prima volta che lo vedeva ridere. Non le
sembrava di averlo mai visto nemmeno sorridere.
«Che c’è?» gli chiese. «Cosa c’è scritto?»
Tentenna le mostrò il foglietto.
«Dice che devo trovare altro Formaggio, altrimenti morirò.» Guardò
Speranza. «E invece ho trovato delle Mele, le ho mangiate e non sono morto.»
Lei ricambiò lo sguardo: «Non sei morto. Ma io lo sapevo».
«Dice pure che il Labirinto è un posto pericoloso, pieno di angoli bui e vicoli
ciechi.»
Speranza annuì. «Ed è stato un angolo buio che ci ha portati al vicolo cieco
grazie al quale siamo arrivati fino a qui.»
«L’ultima cosa che dice», aggiunse Tentenna, «è che dipende tutto da me.
Che sono solo.»
Speranza sorrise. «Beh, questo di sicuro non è vero, no?» replicò, passandogli
un pezzetto di Formaggio che aveva appena trovato.
Tentenna lo prese e lo sgranocchiò con gratitudine. «No», rispose. «Non lo
è.»
Cominciarono a esplorare quel mondo nuovo che avevano scoperto fuori dal
Labirinto: Mele e Formaggio dappertutto.
Provarono a mangiare Mele e Formaggio insieme, una vera delizia.
Ed era tutto così luminoso! Non avevano mai fatto caso a quanto le cose
fossero scure e sfocate dentro il Labirinto!
Tentenna pensò che uscire dal Labirinto era stato come uscire dalla prigione
delle sue vecchie convinzioni.
Forse il Labirinto era proprio quello.
Di una cosa era sicuro: l’aria lì aveva un profumo molto, molto più dolce.
Lanciò un’ultima occhiata al biglietto. «Come stanno le cose», lesse, e rise di
nuovo. «Come mi sembrava che fossero.»
Speranza annuì. «E invece non erano così.»
«No», disse Tentenna. «Nemmeno una.»
Girò il foglietto e ricapitolò quello che aveva scoperto negli ultimi giorni.
Mentre sedevano sull’erba, godendosi la luce del sole e la brezza fresca,
Tentenna ripensò al suo amico Ridolino. Tutto questo gli sarebbe piaciuto ancora
di più se anche lui fosse stato lì.
«Stai pensando a Ridolino», gli disse Speranza.
Tentenna annuì. Come al solito, lei intuiva i suoi pensieri. Si chiese come ci
riuscisse.
«Andiamo a cercarlo», propose Speranza. «E andiamo a cercare anche i tuoi
amici Nasofino e Trottolino.»
Tentenna la guardò, annuendo ancora. «È proprio quello che stavo
pensando», rispose.
«Bene!» esclamò Speranza con un sorriso. «Andiamo!»
I due si alzarono, Speranza prese ancora una volta per mano Tentenna, e
all’improvviso…
«Tentenna! TENTENNA!!!»
Stupito di sentirsi chiamare in quel luogo sconosciuto, si voltò e squadrò la
figura che si muoveva a grandi passi verso di lui. Era Ridolino!

«Sei qui!» gridò Ridolino, abbracciandolo e dandogli grandi pacche sulla


schiena.
«Anche tu!» disse Tentenna. Poi si guardò attorno: «E Nasofino e
Trottolino?»
Ridolino scoppiò a ridere. «Sai… Loro sono stati i primi ad arrivare qui! Ma
tu, Tentenna… Avevo paura che non avresti mai trovato la strada per uscire dal
Labirinto.»
«C’è mancato poco», ammise lui. «Pensavo di essere intrappolato lì dentro,
credevo che sarei morto.» Sospirò. «Mi sbagliavo, ma non riuscivo a capirlo. Ero
bloccato nelle mie vecchie convinzioni.»
«E poi cos’è successo?» domandò Ridolino con tono gentile.
Tentenna ci pensò un momento.
«All’inizio ero arrabbiato. Poi ero affamato. Poi ho incontrato Speranza.» Si
voltò in direzione dell’amica e le sorrise. «Speranza, questo è…»
«Sono molto felice di fare la tua conoscenza, Ridolino», disse lei, stringendo
la mano allo gnomo.
«Molto piacere!» esclamò Ridolino, accompagnando le parole con una risata e
una riverenza. Quindi domandò a Tentenna: «E dopo avere incontrato
Speranza?»
«Ho cambiato modo di pensare!»
Ridolino gli rivolse un sorriso affettuoso e lo abbracciò ancora una volta.
«Quanto mi sei mancato, amico mio! Sono così felice che tu abbia trovato la
strada per uscire dal Labirinto! E sono ancora più felice che tu abbia scoperto
come cambiare le tue convinzioni!»
«Le convinzioni sono qualcosa di molto potente, vero?» disse Tentenna.
I tre rimasero per un poco in silenzio, riflettendo sulla straordinaria capacità
delle convinzioni di frenare qualcuno o di aiutarlo, e sull’elettrizzante scoperta
che è possibile modificarle rimanendo sempre se stessi.

Un pensiero attraversò la mente di Tentenna. «Un attimo!» se ne uscì. Frugò


in tasca, prese una Mela che aveva raccolto e la offrì a Ridolino. «Ne hai già
assaggiata una?»
Ridolino annuì allegro. «Mele», disse. «Quanto mi piacciono!»
«E quanto sono buone con il Formaggio!» esclamarono i due amici
all’unisono.
Speranza si intromise: «Volete sapere una cosa?»
Loro si voltarono verso di lei.
«Scommetto che qua in giro ci sono un sacco di altre cose buone da
mangiare», disse. «Cose alle quali non abbiamo mai pensato. Cose che non
possiamo nemmeno immaginare.»
Tentenna e Ridolino si guardarono.
Possibile? Certo che sì!
E i tre partirono in esplorazione.
Fine…
o forse è un nuovo inizio?
Una discussione

TERMINATA la storia, Dennis tacque e si guardò attorno. Erano tutti assorti nei
propri pensieri. Aspettò.
«Wow», disse Alex.
Dennis si voltò verso di lui e sorrise. «Wow?»
«E bravo Tentenna», continuò Alex. «Ce l’ha fatta. È uscito dal Labirinto.»
«Proprio come Andy Dufresne in Le ali della libertà», aggiunse Ben. Il resto
del gruppo scoppiò a ridere. Ben era ormai per tutti il mattacchione della classe.
«Il mio ex capo non è stato così fortunato», intervenne Brooke.
«Davvero?» chiese Dennis. «Che cosa gli è successo?»
«Subito dopo avere finito la scuola di giornalismo, ho cominciato a lavorare
per un quotidiano locale. Nessuno riusciva a convincere l’editore che dovevamo
andare online. Credeva che avremmo potuto coprire tutte le spese con la
pubblicità sull’edizione cartacea, anche quando i nostri principali inserzionisti
hanno cominciato a farsi pubblicità solo in rete. Sosteneva che presto le vendite
sarebbero risalite, sebbene sempre più lettori ci stessero abbandonando perché
leggevano le notizie su internet. Un anno dopo il mio arrivo, il giornale ha
chiuso.»
«Non ha capito come uscire dal Labirinto», mormorò Alex.
«Le convinzioni sono molto potenti», disse Dennis. «Una convinzione
particolarmente tenace può mandare in rovina un’azienda. Le persone credono
che le cose non cambieranno mai, ma non è mai così.»
«Sapete cosa diceva Mark Twain?» commentò Ben. «Non sono le cose che
non sai a metterti nei guai. È quello che dai per certo e che invece non lo è.»
Tutti risero di nuovo.
Anche Dennis sorrise e aggiunse: «Twain aveva proprio ragione, come al
solito. Ma ecco un altro esempio: quando fu varato il Titanic, nel 1912, fu
descritto con una sola parola».
«Inaffondabile!» suggerì Brooke.
«Esatto. Inaffondabile. Tutti ne erano convinti. E siccome ne erano convinti,
nessuno pensò di caricare più scialuppe di salvataggio.»
«E così morirono più di millecinquecento persone», disse Brooke.
«Tutto per un pensiero di cui si era certi», aggiunse Mia.
«Perché così è come stavano le cose», mormorò Alex.
La classe rimase per un istante in silenzio.
«Accidenti», commentò Ben.
«Comincio ad avere la sensazione che tutte le convinzioni siano sbagliate»,
disse Mia. «Punti di vista limitati che riescono solo a metterci nei guai. Ma non
può essere così. Insomma, anche Tentenna ha trovato delle convinzioni che gli
sono state utili, no?»
«Infatti», rispose Dennis. «Tutte le convinzioni sono degne di essere valutate.
L’importante è capire quali siano le nostre e metterle alla prova, non dobbiamo
per forza sbarazzarcene. Alcune ci ostacolano e ci impediscono di diventare la
versione migliore di noi stessi, e magari seminano zizzania fra noi e gli altri. Ma
certe convinzioni sono verità molto potenti, fari che ci guidano e ci aiutano ad
andare avanti anche nei periodi più neri.»
«Come l’idea che tutti gli uomini siano stati creati uguali», disse Ben. «E che
siano stati dotati dei diritti inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca della
felicità.»
«O come la convinzione di Tentenna che Speranza fosse una buona amica»,
suggerì Brooke.
«O avere fiducia nei figli», aggiunse Mia.
«O in noi stessi», disse Dennis. «Credere che qualcuno ci abbia messi qui per
una ragione, che abbiamo tutti qualcosa di unico e prezioso da offrire al mondo.
Per esempio, Mia, perché hai scelto di diventare medico?»
«Perché le persone che soffrono soffrissero un po’ meno», rispose lei senza
esitare.
Dennis si rivolse al gruppo: «Capite che questo non è soltanto un pensiero di
cui lei è certa? Questo desiderio di curare le persone è l’essenza stessa di Mia.
Così come la passione di Brooke per la verità e la competenza nel mondo della
stampa. Sono valori fondamentali, cose che sono vere e non cambieranno mai.»
«Ma, accidenti, tutto il resto cambia!» esclamò Ben.
«Anche questo è vero», disse Dennis sorridendo. «Ed è proprio per questo
che Tentenna era rimasto bloccato. Le circostanze cambiano, il mondo cambia, e
le cose che erano vere ieri potrebbero non esserlo più oggi. Blockbuster era
sicuro che tutti avremmo continuato per sempre a guardare i film dalle
videocassette. Polaroid era certa che non avremmo mai smesso di scattare le foto
su rettangolini di carta. Proprio come all’inizio degli anni Novanta le librerie
davano per scontato che la vendita di libri online non si sarebbe mai affermata.
Hanno tutti costruito il proprio futuro basandosi su convinzioni che si sono
rivelate sbagliate. E sono affondati.»
«Come il Titanic», aggiunse Ben.
«Come il Titanic», concordò Dennis.
Si guardò attorno e vide che il ragazzo seduto in ultima fila aveva le
sopracciglia aggrottate. Si rivolse a lui.
«Tim, vuoi dirci qualcosa?»
Tutti gli occhi si fissarono sul giovane che la settimana prima aveva dato il
via alla faccenda con la domanda: «Che cos’è successo a Tentenna?»
«Forse sì», rispose Tim. «Sul lavoro le cose vanno bene. Ha più a che fare
con la vita privata.»
Dennis disse con tono cortese: «Se ti va di parlarne…»
«Certo. Allora, un po’ di tempo fa ho scoperto che i miei genitori volevano
separarsi. Anzi, ormai si sono già separati.»
Tutti guardarono Dennis, che chiese: «Ed è stato duro per te?»
«Duro? È impossibile! Loro sono sempre stati la mia costante, il mio punto di
riferimento, l’unica certezza che avevo. E adesso si sono arresi!»
«Sembri arrabbiato», commentò Dennis.
«Sono furibondo», ribatté Tim. «Cioè, gli voglio ancora bene, ma adesso li
odio anche un po’. Non riesco ad accettare quello che hanno fatto. E la mia
infanzia, allora? È stata tutta una menzogna?»
«Sai», disse Dennis, «le persone cambiano.»
Tim scosse la testa. «Non così.»
Dennis ci pensò su. «Come credi che loro vedano la situazione?» gli
domandò.
Tim parve sorpreso. «Non ne ho idea.»
«Che cosa dicono?»
«Dicono che ce l’hanno messa tutta, che questa era la decisione giusta da
prendere e che con il tempo riuscirò ad accettarla. Ma io non credo proprio…»
Dennis tacque per un istante, poi riprese: «E se provassi a… crederla in modo
diverso?»
«Non funziona così!» sbottò Tim. Silenzio in sala. Quindi Tim esclamò: «Oh,
cavolo!» e di nuovo guardò Dennis. «È esattamente quello che ha detto
Tentenna, vero?» Fece un sorrisetto.
Dennis si strinse nelle spalle e restituì il sorriso: «Più o meno».
«Quindi tu che cosa pensi?» replicò Tim. «Che abbiano fatto la cosa giusta e
che non sarebbe stato meglio per loro rimanere insieme e risolvere i problemi?»
Dennis scosse la testa. «Non spetta a me dirlo. Ma quando penso alle mie
convinzioni, mi chiedo sempre quello che si è chiesto Tentenna: mi stanno
aiutando o mi intralciano? Mi stanno facendo uscire dal Labirinto o mi fanno
continuare a girare a vuoto?»
Tim abbassò la testa, pensieroso.
«Ricorda soltanto questo», aggiunse Dennis. «Cambiare il tuo modo di
pensare non significa cambiare quello che sei.»
Tim sollevò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli di Dennis. «Sì»,
disse, annuendo lentamente. «Va bene. Ci penserò.» Dopo un istante, aggiunse:
«Forse proverò anch’io a entrare nel tunnel di Tentenna, per vedere se là fuori
c’è qualcosa che brilla».
Dennis sorrise. «Fantastico, Tim.»
Diede un’occhiata all’orologio. Il seminario era quasi finito.
«La scorsa settimana», disse, «abbiamo visto quanto possa essere
disorientante quando tutto intorno a noi cambia. E scusate se mi permetto di
interpretare il vostro pensiero, ma mi pare che alcuni di voi abbiano posto
un’eccellente domanda: ‘Da dove cominciamo?’»
Si guardò attorno. «Alex?»
Come tutti avevano notato, Alex, che la settimana prima era intervenuto
parecchio, non aveva praticamente aperto bocca da quando Dennis aveva finito
di raccontare la sua storia.
Tacque ancora un minuto, meditabondo. Poi cominciò a parlare, dapprima
lentamente.
«Mi pare», disse, «che tutto abbia inizio da noi.»
Dennis annuì, come a dire: «Continua pure».
«Ho rimuginato troppo sui miei problemi», proseguì Alex. «Sul mio settore
che sta cambiando, su come questo mi disorienti, su quanto sia difficile tenere il
passo e capire la prossima mossa da fare.»
«Avevi detto che ti sposteresti con il Formaggio, se sapessi come fare»,
intervenne Brooke, leggendo dai suoi appunti. «Solo che il più delle volte non
sai nemmeno dov’è finito il Formaggio.»
«Esatto», confermò Alex. «Ed è proprio quello che cerca di fare anche
Tentenna, no? Vaga per il Labirinto in cerca di una soluzione. Ma il posto da
dove doveva cominciare non era nel Labirinto, era nella sua testa! Quando hai
detto che dobbiamo uscire dal Labirinto mi hai fatto riflettere… Il mio Labirinto
è il mio lavoro, o la mia azienda, o magari anche il mio settore. È il mio
atteggiamento. Il Labirinto da cui devo uscire è il mio modo di pensare.»
«Forse è il momento di rinunciare a qualche vecchia convinzione», disse
Brooke.
«Infatti», rispose Alex. «E sceglierne di nuove!»
Ben sorrise e aggiunse: «Non dimenticate quello che ha pensato Tentenna,
fuori dal Labirinto esiste qualcosa di meraviglioso!»
Tutti scoppiarono a ridere e applaudirono. Ben si alzò e fece un inchino.
«Giusto», concluse Dennis con un sorriso eloquente. «Se vi mettete nelle
condizioni di crederci, un intero mondo di nuove possibilità vi spalancherà le
porte. E questo è davvero qualcosa di meraviglioso. E con ciò, cari amici, il
nostro seminario si chiude. Voglio ringraziare tutti per le utilissime discussioni e
augurarvi il meglio, nel lavoro come nella vita. E voglio lasciarvi andare con
questo pensiero: se credete di avere tratto qualcosa di utile da questa storia,
allora spero che vorrete…
Condividerla
con
gli
altri
QUESTA è la lettera scritta da Spencer poco prima di andarsene, che dimostra
come vivesse secondo i principi esposti in questo libro.
Postfazione
di Ken Blanchard a

ORA che avete letto questo libro, spero abbiate capito la forza delle vostre
convinzioni e l’effetto che hanno sul vostro comportamento e sui risultati che
potete ottenere.
Forse vi domanderete se Spencer Johnson si sia limitato a scrivere
sull’importanza di scegliere le proprie convinzioni o abbia anche vissuto
secondo questo principio. Sono felice di poter dire che Spencer ha messo in
pratica i suoi insegnamenti, per quanto l’esempio che sto per offrirvi mi renda
triste.
Un tumore al pancreas si è portato via il mio amico e coautore nel luglio
2017. Come forse saprete, quando viene diagnosticato un cancro di questo tipo si
tratta in genere di una notizia ferale, perché non sono molti quelli che riescono a
sopravvivere a lungo. Quando Spencer l’ha saputo, ha capito che avrebbe potuto
affrontare il resto della vita affidandosi a un sistema di convinzioni basato sulla
paura o sull’amore. Se avesse scelto la paura, avrebbe finito con il pensare
soltanto a stesso. Se avesse scelto l’amore, avrebbe pensato agli altri.
Sono stato felicissimo quando ha scelto di vivere nell’amore; non solo è
riuscito a stare vicino alla famiglia e agli amici, ma ha anche ripreso i contatti
con persone che, per diverse ragioni, aveva perso di vista e con le quali non
parlava da anni. Quelli che ho incontrato quando andavo a trovarlo erano tutti
sorpresi dal fatto che i pensieri di Spencer fossero rivolti a loro e ai loro
sentimenti, invece che alla propria situazione.
Durante la mia ultima visita era con noi anche Margret McBride, la nostra
agente letteraria per L’One Minute Manager. Abbiamo chiamato Larry Hughes,
ex presidente di William Morrow, che aveva pubblicato i nostri libri, per dirgli
quanto apprezzavamo quello che aveva fatto per noi. È stata una conversazione
toccante, indimenticabile. Prima di andarmene, ho abbracciato Spencer e gli ho
detto quanto fossi orgoglioso di lui e delle convinzioni positive che aveva
abbracciato.
Commossi dal modo in cui la scelta di Spencer aveva reso così dolce la sua
dipartita, i figli – Emerson, Austin e Christian – e io abbiamo fatto di tutto
perché questo testo, per lui così importante, fosse pubblicato. Siamo sicuri che
Spencer ci avrà dedicato per questo un’immensa Lode da Un Minuto.
Se questa storia vi è piaciuta tanto quanto è piaciuta a me, mantenete viva
l’eredità di Spencer condividendo il libro con altri. Io lo farò di sicuro!

a. Coautore dell’One Minute Manager.


Ringraziamenti

CHE contributo unico ha dato Spencer Johnson al mondo! Pur essendo uno degli
autori più apprezzati e influenti del suo tempo, rifuggiva i riflettori, preferendo
che le parole delle sue semplici ed eloquenti favole parlassero da sé. È un onore
potervi offrire questo testo come il suo regalo d’addio a questo mondo, e
vogliamo ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile la sua pubblicazione.
La nostra gratitudine va in modo particolare:
ai figli di Spencer – Emerson, Austin e Christian – per lo speciale ruolo che
hanno avuto nella sua vita e per avere contribuito a fare di questo libro una parte
durevole della sua eredità. Noi e milioni di lettori siamo loro vicini e siamo grati
per i molti doni che il loro padre ci ha fatto.
A Ken Blanchard, caro amico di Spencer e coautore dell’One Minute
Manager. È stato lui a incoraggiare Spencer a mettere per iscritto questa storia
perché anche gli altri potessero trarre beneficio dai suoi semplici insegnamenti, e
dopo l’uscita del libro è stato il suo più convinto sostenitore.
A Hyrum W. Smith, la cui collaborazione e inestimabile assistenza hanno
reso possibile questo libro.
Ai nostri primi lettori, per aver fatto sì che questo libro potesse diventare la
versione migliore di sé.
A Robert Barnett di Williams & Connolly LLP, Kathryn Newnham dello
Spencer Johnson Trust, Angela Rinaldi della Angela Rinaldi Literary Agency e
Nancy Casey, segretaria personale di Spencer, per il preziosissimo aiuto e
sostegno.
A Tom Dussel, Tara Gilbride, Ashley McClay, Madeline Montgomery, Chris
Sergio, Merry Sun, Will Weisser e il resto della squadra di Putnam e Portfolio,
per la fedeltà e l’impegno nei riguardi di questo progetto.
A John David Mann, per il rispetto e l’attenzione profusi nella preparazione
del manoscritto per la stampa, e a Margret McBride della Margret McBride
Literary Agency, per il sostegno.
A voi lettori di questo libro e ai milioni di ammiratori e ambasciatori di Chi
ha spostato il mio formaggio?
Infine, a Spencer. Definirlo «un maestro delle verità più profonde espresse
nella forma più semplice» sarebbe corretto, ma è solo una parte di verità. Non è
un caso che, prima di scrivere favole che avrebbero venduto milioni di copie,
fosse stato medico e autore di libri per bambini. La sua più viva speranza era non
solo scrivere qualcosa di saggio ma anche offrire consigli pratici su come
migliorare la nostra vita, per rendere il mondo un luogo più sano, più felice e
molto più appagante.

IVAN HELD , G.P. Putnam’s Sons


ADRIAN ZACKHEIM , Portfolio
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto,
trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro
modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle
condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile.
Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle
informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e
dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge
633/1941 e successive modifiche.
Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita,
acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di
consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata
pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore
successivo.
La citazione iniziale è tratta da: Lewis Carroll, Attraverso lo specchio, traduzione di A. Valori-
Piperno, Newton-Compton, Roma 2011 (versione digitale).

www.sperling.it
www.facebook.com/sperling.kupfer

Chi ha spostato il mio formaggio? Il seguito


di Spencer Johnson
Proprietà Letteraria Riservata
© 2019 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Titolo originale Out of the Maze
Copyright © 2018 by The P. Spencer Johnson Trust of 2002, dated February 1, 2002
Pubblicato per Sperling & Kupfer da Mondadori Libri S.p.A.
Ebook ISBN 9788893427913

COPERTINA || ART DIRECTOR: FRANCESCO MARANGON

Potrebbero piacerti anche