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IL DONO NELLA RETE di Antonio Maccioni

L’evoluzione della rete sollecita la riflessione di economisti, filosofi, antropologi, sociologi, psicologi,
e il lavoro fatto da Marco Aime e Anna Cossetta è nato in questo tempo e lo vive appieno. Il dono al
tempo di Internet (Einaudi, 2010) ha il merito – certamente indubbio – di aver posto l’accento della
riflessione sul dono tradizionale altrimenti riferibile in questo caso alla condivisione e alla costruzione
ed edificazione partecipata. In 120 pagine il lavoro di Aime e Cossetta solleva questioni enormi, ma lo
fa senza dubbio in modo stimolante e con intento propositivo.
Fatta questa premessa andiamo al dunque: sarà difficile ripercorrere queste pagine in poche battute e
ci si dovrà dilungare. La tesi sostenuta dagli autori – ripresa in questi termini anche in ultima battuta –
è che una delle caratteristiche principali della Rete sia quella di dare vita a comunità immaginate, che
non sempre necessitano di relazioni tra gli individui. Parole chiave nell’analisi di Aime e Cossetta
sono infatti: comunità, relazione; ma soprattutto: condivisione, dono.
Ci si chiede dunque cosa possa spingere tante persone a dedicare una parte consistente del proprio
tempo e della propria vita alla condivisione di saperi ed esperienze, mettendo a disposizione tutto ciò
senza un ritorno di tipo materiale, almeno nell’apparenza e nell’immediato. Tale processo potrebbe
essere riletto – ci si chiede ancora – attraverso categorie analitiche e concetti mutuati dallo studio delle
società umane e delle loro relazioni interne ed esterne? Ovvero: la forma di reciprocità tipica dello
scambio peer to peer è vera reciprocità – intesa in senso tradizionale – o ci si trova piuttosto di fronte a
qualcosa che avrebbe a che fare con la redistribuzione delle società già conosciute? Così ad esempio:
il meticoloso lavoro di sottofondo di Wikipedia potrebbe essere assimilato al volontariato?
L’indagine tenta di tracciare una sorta di etnografia della Rete, analizzando i nuovi fenomeni
relazionali e comparandoli con altri più tradizionali per evidenziarne analogie e differenze: il web
(così come lo scambio, ovvero la condivisione, che sostanzialmente lo caratterizza) potrebbe essere
considerato come una società dagli schemi simili a quelli della società tradizionale, o starebbe
piuttosto alla base di nuovi ed originali modelli relazionali? Se si trattasse di un’innovazione radicale
– secondo gli autori – andrebbero indagate ed analizzate le ripercussioni sulle dinamiche tradizionali,
con cui continuiamo ad ogni modo a convivere, valutandone gli impulsi iniziali e il definitivo impatto.
Anna Cossetta – senza tralasciare riferimenti e citazioni che vanno da Mauss a Polanyj a Derrida –
sembra dunque sostenere che dalla famiglia alla società, a tenere assieme un gruppo di persone
sarebbero le relazioni di scambio, dato che l’uomo è animale relazionale e la sua incompletezza lo
renderebbe sociale ma soltanto per necessità. Ovvero: l’uomo a differenza degli altri animali non
sarebbe stato fornito di specializzazioni, né di una pelliccia per ripararsi dal freddo, né di artigli per
aggredire, né di ali per volare, né di velocità particolare e nemmeno di particolare potenza. La cultura
sarebbe dunque un espediente col quale l’essere umano vorrebbe colmare le sue lacune originarie, e
potrebbe essere questa una definizione e una considerazione interessante. Non trovo però
particolarmente fondati i riferimenti offerti al riguardo: se non altro, perché l’uomo – quanto è vero –
non ha le ali per volare ma ha le ciglia per difendere gli occhi, non ha pelliccia per ripararsi dal freddo
ma ha i piedi per sostenersi in posizione eretta. Verissimo: a ciò che manca è possibile sopperire con la
cultura. Ed è altrettanto vero: le difese naturali non sono sufficienti e l’uomo ha dunque bisogno
necessariamente – supponiamo noi – di una sciarpa. Ma in che senso la pelliccia può avere a che fare
con la cultura? È vero che l’uomo è privo di specializzazioni? E se la pelliccia ha a che fare con la
cultura, la sciarpa sopperisce a un bisogno naturale o a un bisogno culturale assimilato e – per così
dire, sempre che si possa passare il termine – a un bisogno genetizzato? I riferimenti di Cossetta sono
interessanti, ma pongono problemi e questioni decisamente più grandi.
Tornando al tema centrale, con Marcel Mauss si sostiene allora che il dono risponda a una logica fatta
di tre gesti: donare, ricevere, contraccambiare. In termini economici, al valore d’uso e al valore di
scambio dell’oggetto-bene si potrebbe aggiungere il valore di legame, quando il legame diventa più
importante del bene stesso. Si farebbe un dono per avviare o consolidare una relazione con qualcuno,
e se il regalo verrà gradito allora la persona coinvolta ricompenserà a sua volta con un altro dono. La
differenza tra l’atto del dono e lo scambio mercantile potrebbe essere riassunta – secondo tale percorso
– nella presenza della libertà. La libertà sarebbe forza e chiave del dono, e lo escluderebbe da uno
scambio di tipo lucrativo rendendolo piuttosto un ibrido al di fuori della coercizione: è il donatore
iniziale a rischiare sfidando la sorte, tentando di stabilire un legame che verrà consolidato inizialmente
col contraccambio. La speranza finale del dono sarebbe appunto questa: la relazione. Secondo lo
stesso percorso, considerando le posizioni di Jean Luc Marion, però, tra donatore e ricevente non
dovrebbe esserci alcun rapporto di conoscenza, affinché l’attenzione si sposti sul gesto e sull’atto del
donare, la donazione. Si considera ad esempio l’associazionismo con Jacques Godbout, o la filantropia
diffusa nel mondo anglosassone. In modo simile, come nel caso del dono perfetto di Jean Luc Marion,
nello scambio peer to peer si avrebbe sempre a che fare con sconosciuti, appartenenti però alla stessa
comunità online che si aggrega con l’obiettivo di condividere delle informazioni.
La Rete sembrerebbe dunque aver a che fare in qualche misura con categorie preesistenti. Al di là dei
critici che la accusano di spingere gli utenti verso un isolamento sociale e fisico spezzando i
tradizionali canali di comunicazione, Internet mostrerebbe per altri versi come il proprio
comportamento non venga influenzato dalla tecnologia ma piuttosto viceversa. Internet si adatterebbe
– davvero in soldoni – alle esigenze di ognuno. Che poi è un argomento interessante. Ed è un
argomento discutibile? È un argomento discutibile.
Però individui con problemi di ogni tipo (informatici, sanitari, personali e così via) possono trovare
nel web un luogo per aiutarsi anonimamente: ed è vero come ricorda Cossetta che nell’era del pieno
dei consumi, Internet fornisce spazi che travalicano la deriva consumistica e ripropone – in modo
nuovo ma su basi antiche – la stessa logica del dono.
Tentando di individuare alcune principali forme di dono e di scambio in rete, Marco Aime si occupa
con taglio storico-descrittivo di Wikipedia, free software, open source, file sharing, forum, social
network e blog. Si chiarisce ad esempio come il dono – secondo i canoni di Wikipedia – come in Jean
Luc Marion non abbia a che fare con un ricevente conosciuto e non vi sia dunque una relazione tra
donatore e ricevente. Nel caso dell’open source, si analizza l’incidenza del programma alternativo e
mirato – come chiarisce Aime – a minare il mercato dominante: ma si potrebbe essere notati da
qualche grossa azienda e venire assunti, dato che il mercato ingloba spesso i propri nemici anche
lusingandoli. In questo caso il dono potrebbe essere inteso solamente in ottica maussiana: non è un
atto gratuito ma comporta una certa aspettativa; donando qualcosa, il donatore non può sapere con
certezza se verrà ricambiato, ma potrà comunque averne un beneficio in termini di reputazione.
In riferimento particolare al file sharing allora la questione sostanziale sembrerebbe essere questa:
nello scambiare si cede qualcosa ottenendo qualcos’altro, ma quando l’oggetto di scambio è
riproducibile non vi è nulla da perdere e si otterrebbe comunque una disponibilità analoga dagli altri
attori. Verrebbe in ogni caso da chiedere – per quanto gli autori del volume lascino emergere la
questione in modo più velato del resto: e il tempo? Che tipo di bene (immateriale?) è il tempo? Che
tipo di bene è la perdita di diritti economici nel caso di un testo messo liberamente a disposizione in
rete?
Però social network, chat, newsgroup, forum – si chiedono piuttosto Aime e Cossetta – potrebbero
essere considerati in modo analogo alle comunità tradizionali? La comunità tradizionale – secondo
una visione funzionalistica vicina a Simmel – avrebbe a che fare con uno spazio fisico ben definito e
condiviso (posizione evolutasi con Cohen che spostava l’attenzione dall’osservatore esterno
all’osservatore interno, rivalutando la sua funzione simbolica). Con la rete come nella modernità
saltano i confini che determinavano territori, culture, società: i riferimenti a Bauman sono frequenti.
Se il paradigma del dono viene dunque assunto come centrale nella costruzione di una rete di relazioni
e di una comunità, la sua forza starebbe nel suo valore di legame, nella capacità di dare vita a relazioni
tra le persone. Ma la condivisione, spesso anonima, non produce legami. La socialità della rete
sembrerebbe escludere gesti, movimenti del corpo, comunicazione gestuale e teatrale. Secondo Aime
e Cossetta l’atteggiamento dell’utente in rete potrebbe essere più simile a quello di un consumatore
che non a quello del membro di una vera comunità; per il resto si accumulano contatti dal valore
simile a quello degli indirizzi di un elenco telefonico. Allora la discutibilissima ma davvero
affascinante soluzione all’enigma degli autori del saggio Il dono al tempo di Internet sembrerebbe
rivelarsi davvero questa:
L’aspetto sociale del dono viene a sfumarsi, in quanto manca la perdita, che crea quel vuoto in cui, se
il ricevente contraccambia perdendo anch’egli qualcosa, si inserisce il rapporto, durevole nel tempo,
tra donatore e ricevente.
Ma si potrebbero assimilare – solo per fare un esempio – categorie adatte alla lettura del file sharing
trasferendole per via di interpretazione alla rete tutta intera? Per dirla pure altrimenti: la rete è una rete
o è una rete di reti?

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