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nomi

Enciclopedia dell'Italiano (2011)


di Raffaele Simone

nomi

http://www.treccani.it/enciclopedia/nomi_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/

1. Definizione

In italiano i nomi (chiamati anche, con termine tradizionale, sostantivi) sono una
delle ➔ parti del discorso variabili (anche se esistono nomi invariabili) e, come
accade in tutte le lingue, occupano, insieme ai verbi, una posizione centrale
nell’organizzazione lessicale e grammaticale della lingua.

Nella definizione elaborata dalla tradizione (che s’è trasferita, attraverso un


percorso secolare, nell’insegnamento scolastico e nella cultura di base;
➔ analisi logica) il nome è la parte del discorso specializzata per designare
«persone, oggetti o cose» (in alcune definizioni scolastiche, a questa lista si
aggiungono «gli animali»). La linguistica moderna ha accantonato tale
definizione, basata su un criterio rudemente referenziale, anche se non è
venuta interamente a capo della questione di definire in generale che cosa sia
un nome.

In tutte le definizioni proposte si adotta comunque l’idea che una classe dei
nomi, al pari di altre classi di parole, comprende una varietà di sottoclassi,
talvolta così variegate da avere poco in comune, e pertanto richiede una
classificazione complessa.

In generale, tutti i componenti della classe dei nomi in italiano hanno alcune
proprietà in comune:

(a) alcuni di essi sono variabili per ➔ genere; quasi tutti, per ➔ numero (salvo i
nomi invariabili: caffè, città, virtù, cinema, ecc.);
(b) possono essere testa di un ➔ sintagma nominale; in questo caso,
comportano l’➔ accordo dell’aggettivo e dei determinanti (articolo, ecc.) che
con essi formano il sintagma: una bella casa;

(c) entro il sintagma nominale, a differenza di altre parti del discorso, possono
combinarsi con determinanti (principalmente articoli; ➔ articolo) e specificatori
(aggettivi possessivi, dimostrativi, ecc.);

(d) se fanno parte del sintagma ➔ soggetto, impongono l’accordo al verbo;

(e) possono avere ➔ prefissi e ➔ suffissi: anti-furto, matt-oide;

(f) possono costituire il tema di un enunciato (➔ tematica, struttura;


➔ nominalizzazioni).

In questa chiave, non ci sono grandi differenze tra nomi


come gatto, operatore, messa in
piega, partenza, bellezza, ringiovanimento, sindaco e tipo, nomi che – come si
vedrà più sotto – appartengono a classi distinte da altri punti di vista. Se però ci
si sposta a livelli diversi da quelli superficiali accennati prima, tra i nomi esistono
sottoclassi, alcune formate da pochi elementi.

La classificazione dei nomi può essere fatta su diverse basi. Riferendosi solo
alle principali, va menzionato che i nomi si distinguono:

(a) per forma morfologica (si hanno allora nomi variabili e invariabili, nomi
derivati, di varia natura, nomi composti, nomi sintagmatici, ecc.); questa
classificazione interessa alla ➔ morfologia e alla lessicologia (➔ lessico);

(b) per tipo di significato; si distinguono allora, per es., nomi di agente
(➔ agente, nome di), nomi di azione (➔ azione, nomi di), nomi di strumento
(➔ strumento, nomi di), nomi di risultato (➔ risultato, nomi di) o di stato, nomi di
processo, nomi collettivi (➔ collettivi, nomi), nomi di massa (➔ massa, nomi di),
nomi supporto, ecc. (alcune di queste categorie sono illustrate in voci apposite,
per le altre vedi oltre; le sottocategorie dei nomi identificate mediante criteri
semantici sono numerose e non tutte ben note);

(c) in taluni casi c’è una relazione tra forma morfologica e significato di un
nome: per es., spesso le nominalizzazioni sono nomi di processo o di risultato,
ecc. (per altri dettagli, ➔ derivazione).

In questa voce si presentano le categorie principali: in particolare si


esamineranno alcune classi di nomi distinte per tipo di significato (§ 2), poi dal
punto di vista del comportamento sintattico (§ 3) e infine alcuni aspetti tipici
dell’italiano per quanto attiene alla categoria dei nomi (§ 4).

2. Classi di nomi per significato

In italiano le categorie semantiche di nomi sono scarsamente riconoscibili in


base alla forma e alla struttura morfologica. In alcuni casi, l’aspetto morfologico
dà sì qualche informazione: per es., i nomi di agente in -ino designano persone
che fanno lavori umili (stagnino, vetturino, attacchino), i collettivi in -
ame designano entità considerate negativamente (ciarpame, culturame), i nomi
in -aglia indicano insiemi di entità e persone viste negativamente
(ragazzaglia, soldataglia, ciurmaglia), i nomi in -ata (e in generale quelli ottenuti
per ➔ conversione da un participio passato femminile,
come guardata, bevuta, mangiata, pisciata, risata, letta, scorsa, ma
anche bracciata, videata,cucchiaiata, forchettata, ecc., che non derivano da
verbi) indicano processi brevissimi oppure piccole quantità di qualcosa (v. oltre).

Tale relativa trasparenza è però, data la natura della lingua (e in generale delle
lingue romanze; ➔ lingue romanze e italiano), limitata a poche classi e non è
neanche sempre coerente. In effetti, in italiano solo di rado la categoria
semantica del nome si dichiara in base alla forma.

2.1 Nomi numerabili, di massa e collettivi

Una distinzione ampiamente riconosciuta è quella tra nomi numerabili, nomi di


massa e nomi collettivi. L’etichetta che designa queste categorie non è del tutto
precisa, perché «numerabili», «collettivi» o «di massa» non sono i nomi come
forme linguistiche, ma i referenti che essi hanno.

2.1.1 Nomi numerabili. I nomi numerabili designano oggetti discreti, che


possono essere cioè separati l’uno dall’altro e numerati (da qui il
termine): penna, occhio, libro, lampada, ecc. Non tutti i nomi numerabili
designano però entità così materiali: possono far parte della classe anche nomi
dai referenti astratti o immateriali, oppure designanti eventi
(speranza, illusione, imbroglio, ecc.).

Dal punto di vista formale, la peculiarità dei nomi numerabili sta nel fatto che
possono avere un plurale e combinarsi con ➔ quantificatori, sia definiti che
indefiniti (➔ numerali; ➔ indefiniti, aggettivi e pronomi): due libri, qualche
libro, parecchi libri.

2.1.2 Nomi di massa. I nomi di massa, per contro, designano entità non discrete
ma continue, che vanno prese come insiemi indistinti e, appunto,
‘massivi’: mare, latte, vino, acqua, cibo, studio, fogliame, bestiame, ecc.
Quando un nome di massa è al plurale (non tutti i nomi di massa lo
ammettono: i vini ma non i bestiami), perde il suo valore di massa per
assumerne uno di tipo. Si osservi la differenza:

(1) beve molto vino [= beve una grande quantità di vino, quale che ne sia il
tipo»]

(2) beve molti vini [= beve molti tipi diversi di vino, quale che ne sia la quantità,
anche poco»]

Ai nomi di massa possono essere ascritti anche alcuni nomi morfologicamente


omogenei, che aggiungono al significato di massa una sfumatura
valutativa: ciarpame, letame, bullettame, o anche lo
spregiativo culturame,oggettistica, regalistica, ecc.

Jackendoff (1990; 1991) ha utilmente distinto i referenti dei nomi di massa in


«sostanze» e «aggregati»: le prime sono prive di articolazione interna
(latte, acqua, farina, ecc.), i secondi sono costituiti da elementi separabili e
delimitati (erba,sabbia, ecc.). Mentre il plurale dei nomi di massa del primo
gruppo fa riferimento, come si è accennato, a tipi (prendi due farine significa
infatti «due tipi di farina»), per operare una pluralizzazione dei secondi occorre
utilizzare nomi specializzati, i cosiddetti singolativi (alcuni li chiamano
anche classificatori): un chicco di grano, un acino di uva, uno spicchio di
arancia, ecc. Lo stesso fenomeno si ha con collettivi come personale (nel senso
di «insieme dei dipendenti di un’azienda»), che non ha plurale (*i personali) e
per essere reso discreto ha bisogno di un nome di appoggio: abbiamo acquisito
due elementi [o unità] di personale.

Ai nomi di massa possono essere assimilati anche quei nomi astratti (designanti
virtù, passioni, ideali, ecc.) che non hanno plurale (coraggio, eroismo, viltà,
ecc.) oppure, se messi al plurale, non hanno più il significato generale del
singolare ma indicano i singoli ‘atti’ o ‘gesti’ in cui quella nozione astratta si è
manifestata: le miserie indica i fatti o gli aspetti in cui la miseria si manifesta, le
viltà indica i gesti o i comportamenti caratterizzati da viltà, ecc. Il rapporto tra
singolare e plurale di questi nomi è però ambiguo: alcuni di essi, al plurale,
indicano «atti di X», altri no: vedi le sue bassezze «atti di bassezza» rispetto a *i
suoi coraggi.

2.1.3 Nomi collettivi. I nomi collettivi infine, ben noti anche nella pratica
scolastica, designano collettività, cioè insiemi composti da membri
discreti: gregge, mandria, gruppo, comitiva, completo, mazzo, ecc.

I nomi collettivi possono essere pluralizzati, nel qual caso indicano più di uno
degli insiemi che designano:

(3) c’erano comitive di ragazzi e di ragazze

(4) due bande di delinquenti

(5) le mandrie si sono disperse.

2.2 Nomi di agente, di strumento, di luogo


Tra i nomi numerabili si possono distinguere altre sottocategorie, alcune delle
quali erano già state identificate dall’analisi grammaticale tradizionale.

I nomi di agente hanno per referente un individuo umano la cui descrizione è


«qualcuno che fa X o che usa X»: per
es., saldatore, montatore, conciatore, guidatore, ecc. Non sempre i nomi
d’agente sono così riconoscibili dal punto di vista morfologico: vari nomi di
agente hanno infatti una struttura
inanalizzabile: medico, poeta, astronauta, informatico, ladro,sindaco, ecc.

Alcuni hanno preso col tempo un significato di strumento: saldatore, ad es.,


indica tanto la persona che usa lo strumento per saldare quanto lo strumento
stesso; così ripetitore, trasportatore, friggitrice, lavatrice, fotocopiatrice, ecc. Per
questo, secondo alcuni, il nome di strumento è un nome d’agente a cui si sia
sottratto il coefficiente di ‘animatezza’.

In alcune varietà locali, poi, la stessa parola che si usa per l’agente si usa
anche per il luogo: in romanesco antico, ad es., il pisciatore è il luogo pubblico
dove si orinava, il lavatore è il lavatoio pubblico, lo spicciatore è il pettine, che
‘spiccia’ i capelli, ecc.

2.3 Nomi di processo, di stato, di attività

Si tratta di una famiglia di nomi tra di loro correlati, in quanto codificano modi di
presentare l’evento designato (➔ aspetto).

2.3.1Nomi di processo. I nomi di processo (o eventivi) indicano il processo, cioè


un’azione che ha una durata nel tempo e che può essere completata o no.
Incrociando queste proprietà, tra i nomi di processo è stato proposto di
distinguerne alcuni (Simone 2003).

(a) Nomi di processo indefinito: designano processi sul cui compimento nulla è
detto: obnubilamento, invecchiamento, ringiovanimento, rimbambimento, ecc.
Questi nomi non hanno normalmente plurale (*gli invecchiamenti, *i
rimbambimenti), sono per lo più deverbali o deaggettivali (➔ deverbali, nomi;
➔ deaggettivali, nomi) e hanno desinenze costituite da suffissi tipici (-mento, -
zione, ecc.). È interessante notare che l’italiano, in tutti i casi in cui non dispone
di un nome di processo definito dedicato, o quando vuole sottolineare il
carattere durativo e continuo di un evento, impieghi spessissimo l’infinito
sostantivato (➔ sostantivato, infinito): il tuo continuo fischiare mi
disturba. Questa proprietà, condivisa dallo spagnolo, è un tratto essenziale per
identificare l’italiano (v. oltre; Simone 2004; Vanvolsem 1982).

(b) Nomi di processo definito: designano processi che vengono presentati come
completati: bevuta, passeggiata, camminata, sudata, inoltro, ecc. Questi nomi
hanno ovviamente il plurale, sono anch’essi per lo più deverbali a suffisso zero
o hanno spesso finale in -ata. Va sottolineato che questi nomi, molto numerosi,
costituiscono una spiccata peculiarità italiana rispetto alle altre lingue romanze.

(c) Nomi ‘di una volta’: questi nomi indicano un processo la cui durata è
contratta in un punto, cioè brevissima o irrilevante. Possono essere deverbali
(anche se non sempre lo sono), sono pluralizzabili, in parte hanno la stessa
forma dei precedenti: bracciata, sospiro, sguardo, guardata, ecc.

Per alcuni verbi esiste tutta la serie di nomi di processo (nomi di processo
indefinito, definito, e nomi di una volta), per altri si registrano invece lacune.

Per es., per nuotare abbiamo:

(6) a. Nome di processo indefinito: nuoto

b. Nome di processo definito: nuotata

c. Nome di una volta: bracciata

Per dimenticare, questa successione non si ha:

(7) a. Nome di processo indefinito: oblio (lett.)

b. Nome di processo definito: –

c. Nome di una volta: dimenticanza


(d) Nomi di stato: indicano una condizione duratura di qualcosa o
qualcuno: ubriachezza è lo «stato in cui si trova una persona
ubriaca», debolezza è «lo stato in cui si trova una persona
debole», nervosismo, stanchezza, lucidità, opacità, trasparenza, ecc. I nomi di
stato non si combinano con aggettivi indicanti durata o progressione: *la
continua trasparenza.

2.4 Nomi di attività

Per eredità latina, una parte dei nomi di attività hanno il suffisso -ura:
mercatura, avvocatura, agricoltura, magistratura, ecc. Altri nomi di attività non
hanno contrassegni visibili: dedicarsi al commercio, al canto, alla medicina,
ecc., dato che derivano da altri significati per trasposizione.

2.5 Passaggi da una categoria all’altra

Possono darsi passaggi da una categoria di nomi all’altra, e ciò può creare
anche forti asimmetrie. Per es., bontà e cattiveria, pur essendo allo stesso
modo nomi di stato, hanno comportamenti diversi: il primo non ha plurale (*le
bontà che mi hai fatto) e quindi non può significare «singoli atti di ...», il secondo
sì (le cattiverie che mi hai fatto). Del pari, alcuni nomi di processo si sono
spostati di significato per indicare nomi di stato o di oggetto:

(8) trasmissione

a. occuparsi della trasmissione di un messaggio

b. in questa macchina si è rotta la trasmissione

Del pari, come si è visto prima, nomi di cosa (per es., nomi collettivi) possono
essere trasposti a nomi di attività o viceversa:

(9) dedicarsi alla magistratura ~ fare parte della magistratura

In questo caso magistratura è prima nome di attività, poi nome indicante


l’insieme dei magistrati.
3. Classi di nomi per comportamento sintattico

I nomi si distinguono anche secondo il comportamento sintattico.

3.1 Nomi con reggenza

Una varietà di nomi hanno una ➔ reggenza, cioè impongono un connettore


specifico (sotto forma di preposizione; ➔ preposizioni) ai nomi e alle frasi
completive che con essi formano sintagma (➔ completive, frasi).

I nomi con reggenza sono soprattutto deverbali, i quali contengono una struttura
argomentale (➔ argomenti), più o alla stessa maniera dei verbi da cui derivano:

(10) la partenza da casa ha scombussolato tutti

(11) l’arrivo a casa è avvenuto in ritardo

(12) la separazione dai parenti

(13) la sensibilità verso i bambini

In taluni casi, i nomi con reggenza possono creare ambiguità:

(14) la guerra coi tedeschi

(15) la guerra con gli alleati

(16) la guerra con gli alleati contro i tedeschi

Ci sono però anche nomi non deverbali che esibiscono una reggenza:

(17) un muro contro l’analfabetismo

(18) un libro sulla storia di Roma

In questo caso, si ritiene che i nomi non deverbali possano avere una
interpretazione deverbale: muro significa allora «resistenza,
opposizione», libro «trattazione, discussione», e simili.
I nomi con reggenza non sembrano poter avere più di tre (più raramente
quattro) argomenti (l’arrivo di Pietro da Milano a Roma; la traduzione di
Shakespeare di Eduardo dall’inglese al napoletano), ma la loro classificazione è
complicata da altre categorie.

Per es., si possono distinguere nomi intransitivi (19 a.) da nomi transitivi (19 b.),
come anche nomi attivi da nomi passivi (20):

(19) a. la partenza dei ragazzi [«i ragazzi partono»]

b. la promozione dei ragazzi [«i ragazzi sono promossi»]

(20) la polizia ha recuperato la refurtiva

a. il recupero della refurtiva [«la refurtiva è stata recuperata»]

b. *il recupero della polizia.

3.2 Incapsulatori

Alcuni nomi, dal significato piuttosto generico, operano come ➔ incapsulatori,


cioè come meccanismo di coesione (➔ coesione, procedure di) per lo più
anaforica (➔ anafora) collegandosi a un intero discorso precedente (meno
spesso, susseguente):

(21) [oggi sulla città c’è stato un nubifragio]: questo inconveniente ci ha


impedito di andare al mare

(22) [abbiamo avuto un bambino bellissimo]: una gioia così davvero non ce
l’aspettavamo

In questi esempi, la parte tra parentesi quadre è l’antecedente, che viene


ripreso dall’incapsulatore (la parola sottolineata). Sebbene la lista degli
incapsulatori in italiano non sia definita con precisione, ci sono importanti
aspetti di ➔ variazione diastratica: per es., se tutti
riconoscono avvenimento, fatto, disgrazia, gioia, ecc., come incapsulatori, altre
unità sono distinte per livello diafasico: storia, faccenda, affare, ecc., sono
connotati come bassi; evento, circostanza, accadimento, ecc., come alti o
formali.

3.3 Nomi generali

Alcuni nomi operano come nomi generali (vale a dire come designatori di
qualunque cosa), a cui ricorrere pertanto in casi di incertezza o di mancanza di
un termine specifico (➔ parole generali). Anche qui ci sono differenze
diafasiche e diastratiche: cosa è il più generale e neutro, dato che può
designare senza distinzione oggetti ed eventi, ma quel che al Centro e al Sud
del paese si indica generalmente con cosa al Nord-ovest è possibile indicarlo
con roba; coso, aggeggio, affare, cazzabbubbolo, cazzo, ecc., sono nomi
generali scherzosi e/o volgari per oggetti. Come designatore di persone,
persona e individuo sono di uso generale; tale, tipo, cristiano, ecc., sono invece
di registro popolare.

3.4 Complementatori

Alcuni nomi generali operano come complementatori, cioè introduttori di frasi


completive. Per svolgere tale funzione si inseriscono in sintagmi tipici, che
hanno la struttura articolo + nome generale + che (o di con completive
implicite). Di tale genere sono fatto (che dà luogo a il fatto che/di) e circostanza
(la circostanza che/di). Ma nel linguaggio colloquiale (➔ colloquiale, lingua)
hanno questa funzione anche altri nomi: discorso (il discorso di partire mi pare
urgente), storia (la storia che sei stato bocciato è grave), faccenda, ecc.

4. Peculiarità italiane

Alcune sottoclassi di nomi sono peculiarità italiane tra le lingue romanze, anche
se il grado della loro specificità varia da classe a classe. In questa voce ne
illustriamo alcuni: i nomi supporto, i polirematici, gli infiniti sostantivati, le
nominalizzazioni, rinviando per i dettagli alle voci rispettive.

4.1 Nomi supporto


I nomi supporto hanno, oltre al loro significato normale, un significato
‘grammaticale’ particolare: se hanno il primo posto in sintagmi del tipo nome 1 +
di + nome 2, modificano in maniera importante il significato del nome 2,
conferendogli proprietà che da solo non avrebbe. In particolare, servono a
rendere pluralizzabili i nomi astratti (cfr. § 2.1.2).

Un esempio di questa classe è atto: quando viene combinato con un nome 2


indicante una proprietà di carattere (gelosia, eroismo, crudeltà, perfidia, nobiltà,
ecc.), permette a questo di avere forma plurale (quindi lo rende numerabile), e
dà all’intero sintagma il significato di «ogni singolo evento in cui nome 2 ha un
ruolo».

Vedi quindi:

(23) *ha commesso diversi eroismi → ha commesso diversi atti di eroismo

(24) *ha avuto delle ilarità → ha avuto degli scatti di ilarità

(25) *ha fatto molti telefoni → ha fatto molti colpi di telefono

(26) *ha dato continui freni → ha dato continui colpi di freno

Quest’ultimo esempio mostra che alcuni sintagmi con nomi supporto possono
essere sostituiti da nomi derivati in -ata(colpo di freni = frenata), in quanto il
sintagma nome 1 + di + nome 2 ha nel suo insieme un significato di nome ‘di
una volta’.

Nomi supporto esistono, tra le lingue romanze, solo in italiano e in francese


(coup de foudre «colpo di fulmine», coup de coeur «emozione», coup de
bière «sorsata di birra», ecc.). In spagnolo, il significato indicato è codificato
piuttosto morfologicamente, con il suffisso -azo: vistazo «colpo
d’occhio», frenazo «colpo di freni», ecc. (anche se esistono casi di nomi
supporto).

I nomi supporto hanno due proprietà essenziali:


(a) non sono più di una ventina di elementi
(atto, gesto, azione, colpo, botta, uscita, scatto, accesso, ecc.);

(b) anche i nomi che possono operare come nome 2 appartengono a una
ristretta gamma di classi semantiche: indicano processi naturali
(malattia, nervosismo, ecc.), stati psicologici e fisici (amore, rabbia, sonno,
ecc.), eventi naturali (neve, pioggia, vento, ecc.; Simone & Pompei 2007;
Simone & Masini 2008).

4.2 Nomi polirematici

Un’altra proprietà italiana sono i nomi polirematici, cioè composti da più


elementi lessicali ma formanti un’unità. Benché diffusi in varie lingue, essi sono
particolarmente frequenti nel lessico italiano. Rinviando per i diversi tipi alle voci
apposite (➔ locuzioni; ➔ polirematiche, parole; ➔ binomi irreversibili; una lista
in Jezek 2005: 41), richiamiamo qui le categorie principali.

(a) Nomi composti: costituiti da due nomi affiancati, sono del tipo di porta
finestra, vagone letto, ecc. Questi nomi possono essere ulteriormente
classificati secondo la relazione di significato tra i due componenti: la porta
finestra è una porta che coincide con una finestra, il vagone letto è un vagone
che contiene dei letti (non «che coincide con un letto»). Altre strutture si
annunciano nell’italiano d’oggi, con ulteriori relazioni semantiche tra i due
componenti: azienda paese, rischio cambio, sistema Italia, ecc.

(b) Nomi con preposizione interna: hanno la struttura nome + preposizione +


nome. Sono del tipo di giacca a vento, abito da passeggio, macchina per
scrivere, ecc. (Jezek 2005: 40 segg.; Masini 2009). Anche questi sono da
dividersi in categorie, secondo la preposizione in questione (le preposizioni
possono essere a, con, di, da, per), la struttura interna e il peculiare tipo di
significato: per es., donna a ore, pur avendo la stessa struttura di macchina a
vapore, ha una diversa semantica: nel primo caso a indica una peculiarità
operativa, nel secondo un tipo di propulsione (come in motore a benzina, barca
a vela, ecc.).
(c) Binomi irreversibili: hanno la struttura nome 1 + e + nome 2: aglio e
olio, marito e moglie, pane e formaggio, pane e companatico, e sono
caratterizzati dal fatto che l’ordine dei due nomi non può essere invertito (da qui
il termine che li designa), il che indica che essi sono lessicalizzati
(➔ lessicalizzazione) come un tutt’uno. In molti casi questi nomi fanno parte di
espressioni idiomatiche (➔ modi di dire), in altri invece sono liberi e possono
essere inseriti in qualunque contesto sintattico.

4.3 Infiniti sostantivati e nominalizzazioni

Un’indiscutibile proprietà dell’italiano sono i nomi ottenuti per conversione da


infiniti verbali (➔ sostantivato, infinito). Tra le lingue romanze, italiano e
spagnolo sono quelle che più adoperano questa risorsa, che ha dato luogo,
nella storia, a una varietà di forme lessicalizzate: calare (della sera), levare o
sorgere (del sole), imbrunire, limitare, passare (il passar del tempo), ecc.

In generale, però, l’infinito sostantivato può esser creato dai parlanti anche al di
là delle risorse offerte dal lessico, essenzialmente per due motivi:

(a) per far fronte a possibili lacune del lessico:

(27) il friggere dell’olio ha prodotto un gran puzzo ~ il *friggimento dell’olio … /


la *frittura dell’olio …

(28) il rumoreggiare della folla richiamò la polizia ~ il *rumoreggiamento della


folla …

(b) per creare nomi da interi sintagmi verbali, allo scopo di avere un elemento
che possa funzionare da tema (esempi tutti da Internet, fonti varie):

(29) il male dell’uomo moderno è l’aver fatto della ricerca della felicità il proprio
dio

(30) l’uscita dalla crisi passa attraverso il «fare Rete»

(31) strana proposta telefonica dopo una settimana dall’aver firmato con Sky
(32) prendete in considerazione eventi rari, come l’aver visto una grossa stella
cadente

Sebbene non lascino tracce stabili nel lessico, questi infiniti ‘liberi’
caratterizzano ugualmente la lingua e i suoi usi. Può darsi che la propensione a
formare infiniti nominali sia da ricollegarsi al fatto che in italiano antico essa era
estesa e perfettamente sistematica: i baciari, gli abbracciari.

Studi

Jackendoff, Ray (1990), Semantic structures, Cambridge (Mass.) - London, The


MIT Press.

Jackendoff, Ray (1991), Parts and boundaries, in Lexical and conceptual


semantics, edited by B. Levin & S. Pinker, «Cognition» 41, pp. 9-45.

Jezek, Elisabetta (2005), Lessico. Classi di parole, strutture, combinazioni,


Bologna, il Mulino.

Masini, Francesca (2009), Combinazioni di parole e parole sintagmatiche, in


Mereu, L. & Lombardi Vallauri, E. (a cura di), Spazi linguistici. Studi in onore di
Raffaele Simone, Roma, Bulzoni, pp. 191-209.

Simone, Raffaele (2003), Masdar, ’ismu-al-marrati et la frontière verbe/nom,


in Estudios ofrecidos al profesor José Jesús de Bustos Tovar, coord. J.L. Girón
Alconchel et al., Madrid, Editorial Complutense, 2 voll., vol. 1º, pp. 901-918.

Simone, Raffaele (2004), L’infinito nominale nel discorso, in Generi, architetture


e forme testuali. Atti del VII convegno della Società Internazionale di Linguistica
e Filologia Italiana (Roma, 1-5 ottobre 2002), a cura di P. D’Achille, Firenze,
Cesati, pp. 73-96.

Simone, Raffaele & Masini, Francesca (2008), Support nouns and verbal
features, «Verbum», numero speciale a cura di A. Grezka dedicato a Classes
de verbes.
Simone, Raffaele & Pompei, Anna (2007), Traits verbaux dans noms et les
formes nominalisées du verbe, «Faits de Langue» 4, pp. 43-58.

Vanvolsem, Serge (1982), L’uso dell’infinito sostantivato nelle due edizioni dei
“Promessi Sposi”, «Studi di grammatica italiana» 10, pp. 29-50.

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