Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Il Nome
Il Nome
nomi
http://www.treccani.it/enciclopedia/nomi_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/
1. Definizione
In italiano i nomi (chiamati anche, con termine tradizionale, sostantivi) sono una
delle ➔ parti del discorso variabili (anche se esistono nomi invariabili) e, come
accade in tutte le lingue, occupano, insieme ai verbi, una posizione centrale
nell’organizzazione lessicale e grammaticale della lingua.
In tutte le definizioni proposte si adotta comunque l’idea che una classe dei
nomi, al pari di altre classi di parole, comprende una varietà di sottoclassi,
talvolta così variegate da avere poco in comune, e pertanto richiede una
classificazione complessa.
In generale, tutti i componenti della classe dei nomi in italiano hanno alcune
proprietà in comune:
(a) alcuni di essi sono variabili per ➔ genere; quasi tutti, per ➔ numero (salvo i
nomi invariabili: caffè, città, virtù, cinema, ecc.);
(b) possono essere testa di un ➔ sintagma nominale; in questo caso,
comportano l’➔ accordo dell’aggettivo e dei determinanti (articolo, ecc.) che
con essi formano il sintagma: una bella casa;
(c) entro il sintagma nominale, a differenza di altre parti del discorso, possono
combinarsi con determinanti (principalmente articoli; ➔ articolo) e specificatori
(aggettivi possessivi, dimostrativi, ecc.);
La classificazione dei nomi può essere fatta su diverse basi. Riferendosi solo
alle principali, va menzionato che i nomi si distinguono:
(a) per forma morfologica (si hanno allora nomi variabili e invariabili, nomi
derivati, di varia natura, nomi composti, nomi sintagmatici, ecc.); questa
classificazione interessa alla ➔ morfologia e alla lessicologia (➔ lessico);
(b) per tipo di significato; si distinguono allora, per es., nomi di agente
(➔ agente, nome di), nomi di azione (➔ azione, nomi di), nomi di strumento
(➔ strumento, nomi di), nomi di risultato (➔ risultato, nomi di) o di stato, nomi di
processo, nomi collettivi (➔ collettivi, nomi), nomi di massa (➔ massa, nomi di),
nomi supporto, ecc. (alcune di queste categorie sono illustrate in voci apposite,
per le altre vedi oltre; le sottocategorie dei nomi identificate mediante criteri
semantici sono numerose e non tutte ben note);
(c) in taluni casi c’è una relazione tra forma morfologica e significato di un
nome: per es., spesso le nominalizzazioni sono nomi di processo o di risultato,
ecc. (per altri dettagli, ➔ derivazione).
Tale relativa trasparenza è però, data la natura della lingua (e in generale delle
lingue romanze; ➔ lingue romanze e italiano), limitata a poche classi e non è
neanche sempre coerente. In effetti, in italiano solo di rado la categoria
semantica del nome si dichiara in base alla forma.
Dal punto di vista formale, la peculiarità dei nomi numerabili sta nel fatto che
possono avere un plurale e combinarsi con ➔ quantificatori, sia definiti che
indefiniti (➔ numerali; ➔ indefiniti, aggettivi e pronomi): due libri, qualche
libro, parecchi libri.
2.1.2 Nomi di massa. I nomi di massa, per contro, designano entità non discrete
ma continue, che vanno prese come insiemi indistinti e, appunto,
‘massivi’: mare, latte, vino, acqua, cibo, studio, fogliame, bestiame, ecc.
Quando un nome di massa è al plurale (non tutti i nomi di massa lo
ammettono: i vini ma non i bestiami), perde il suo valore di massa per
assumerne uno di tipo. Si osservi la differenza:
(1) beve molto vino [= beve una grande quantità di vino, quale che ne sia il
tipo»]
(2) beve molti vini [= beve molti tipi diversi di vino, quale che ne sia la quantità,
anche poco»]
Ai nomi di massa possono essere assimilati anche quei nomi astratti (designanti
virtù, passioni, ideali, ecc.) che non hanno plurale (coraggio, eroismo, viltà,
ecc.) oppure, se messi al plurale, non hanno più il significato generale del
singolare ma indicano i singoli ‘atti’ o ‘gesti’ in cui quella nozione astratta si è
manifestata: le miserie indica i fatti o gli aspetti in cui la miseria si manifesta, le
viltà indica i gesti o i comportamenti caratterizzati da viltà, ecc. Il rapporto tra
singolare e plurale di questi nomi è però ambiguo: alcuni di essi, al plurale,
indicano «atti di X», altri no: vedi le sue bassezze «atti di bassezza» rispetto a *i
suoi coraggi.
2.1.3 Nomi collettivi. I nomi collettivi infine, ben noti anche nella pratica
scolastica, designano collettività, cioè insiemi composti da membri
discreti: gregge, mandria, gruppo, comitiva, completo, mazzo, ecc.
I nomi collettivi possono essere pluralizzati, nel qual caso indicano più di uno
degli insiemi che designano:
In alcune varietà locali, poi, la stessa parola che si usa per l’agente si usa
anche per il luogo: in romanesco antico, ad es., il pisciatore è il luogo pubblico
dove si orinava, il lavatore è il lavatoio pubblico, lo spicciatore è il pettine, che
‘spiccia’ i capelli, ecc.
Si tratta di una famiglia di nomi tra di loro correlati, in quanto codificano modi di
presentare l’evento designato (➔ aspetto).
(a) Nomi di processo indefinito: designano processi sul cui compimento nulla è
detto: obnubilamento, invecchiamento, ringiovanimento, rimbambimento, ecc.
Questi nomi non hanno normalmente plurale (*gli invecchiamenti, *i
rimbambimenti), sono per lo più deverbali o deaggettivali (➔ deverbali, nomi;
➔ deaggettivali, nomi) e hanno desinenze costituite da suffissi tipici (-mento, -
zione, ecc.). È interessante notare che l’italiano, in tutti i casi in cui non dispone
di un nome di processo definito dedicato, o quando vuole sottolineare il
carattere durativo e continuo di un evento, impieghi spessissimo l’infinito
sostantivato (➔ sostantivato, infinito): il tuo continuo fischiare mi
disturba. Questa proprietà, condivisa dallo spagnolo, è un tratto essenziale per
identificare l’italiano (v. oltre; Simone 2004; Vanvolsem 1982).
(b) Nomi di processo definito: designano processi che vengono presentati come
completati: bevuta, passeggiata, camminata, sudata, inoltro, ecc. Questi nomi
hanno ovviamente il plurale, sono anch’essi per lo più deverbali a suffisso zero
o hanno spesso finale in -ata. Va sottolineato che questi nomi, molto numerosi,
costituiscono una spiccata peculiarità italiana rispetto alle altre lingue romanze.
(c) Nomi ‘di una volta’: questi nomi indicano un processo la cui durata è
contratta in un punto, cioè brevissima o irrilevante. Possono essere deverbali
(anche se non sempre lo sono), sono pluralizzabili, in parte hanno la stessa
forma dei precedenti: bracciata, sospiro, sguardo, guardata, ecc.
Per alcuni verbi esiste tutta la serie di nomi di processo (nomi di processo
indefinito, definito, e nomi di una volta), per altri si registrano invece lacune.
Per eredità latina, una parte dei nomi di attività hanno il suffisso -ura:
mercatura, avvocatura, agricoltura, magistratura, ecc. Altri nomi di attività non
hanno contrassegni visibili: dedicarsi al commercio, al canto, alla medicina,
ecc., dato che derivano da altri significati per trasposizione.
Possono darsi passaggi da una categoria di nomi all’altra, e ciò può creare
anche forti asimmetrie. Per es., bontà e cattiveria, pur essendo allo stesso
modo nomi di stato, hanno comportamenti diversi: il primo non ha plurale (*le
bontà che mi hai fatto) e quindi non può significare «singoli atti di ...», il secondo
sì (le cattiverie che mi hai fatto). Del pari, alcuni nomi di processo si sono
spostati di significato per indicare nomi di stato o di oggetto:
(8) trasmissione
Del pari, come si è visto prima, nomi di cosa (per es., nomi collettivi) possono
essere trasposti a nomi di attività o viceversa:
I nomi con reggenza sono soprattutto deverbali, i quali contengono una struttura
argomentale (➔ argomenti), più o alla stessa maniera dei verbi da cui derivano:
Ci sono però anche nomi non deverbali che esibiscono una reggenza:
In questo caso, si ritiene che i nomi non deverbali possano avere una
interpretazione deverbale: muro significa allora «resistenza,
opposizione», libro «trattazione, discussione», e simili.
I nomi con reggenza non sembrano poter avere più di tre (più raramente
quattro) argomenti (l’arrivo di Pietro da Milano a Roma; la traduzione di
Shakespeare di Eduardo dall’inglese al napoletano), ma la loro classificazione è
complicata da altre categorie.
Per es., si possono distinguere nomi intransitivi (19 a.) da nomi transitivi (19 b.),
come anche nomi attivi da nomi passivi (20):
3.2 Incapsulatori
(22) [abbiamo avuto un bambino bellissimo]: una gioia così davvero non ce
l’aspettavamo
Alcuni nomi operano come nomi generali (vale a dire come designatori di
qualunque cosa), a cui ricorrere pertanto in casi di incertezza o di mancanza di
un termine specifico (➔ parole generali). Anche qui ci sono differenze
diafasiche e diastratiche: cosa è il più generale e neutro, dato che può
designare senza distinzione oggetti ed eventi, ma quel che al Centro e al Sud
del paese si indica generalmente con cosa al Nord-ovest è possibile indicarlo
con roba; coso, aggeggio, affare, cazzabbubbolo, cazzo, ecc., sono nomi
generali scherzosi e/o volgari per oggetti. Come designatore di persone,
persona e individuo sono di uso generale; tale, tipo, cristiano, ecc., sono invece
di registro popolare.
3.4 Complementatori
4. Peculiarità italiane
Alcune sottoclassi di nomi sono peculiarità italiane tra le lingue romanze, anche
se il grado della loro specificità varia da classe a classe. In questa voce ne
illustriamo alcuni: i nomi supporto, i polirematici, gli infiniti sostantivati, le
nominalizzazioni, rinviando per i dettagli alle voci rispettive.
Vedi quindi:
Quest’ultimo esempio mostra che alcuni sintagmi con nomi supporto possono
essere sostituiti da nomi derivati in -ata(colpo di freni = frenata), in quanto il
sintagma nome 1 + di + nome 2 ha nel suo insieme un significato di nome ‘di
una volta’.
(b) anche i nomi che possono operare come nome 2 appartengono a una
ristretta gamma di classi semantiche: indicano processi naturali
(malattia, nervosismo, ecc.), stati psicologici e fisici (amore, rabbia, sonno,
ecc.), eventi naturali (neve, pioggia, vento, ecc.; Simone & Pompei 2007;
Simone & Masini 2008).
(a) Nomi composti: costituiti da due nomi affiancati, sono del tipo di porta
finestra, vagone letto, ecc. Questi nomi possono essere ulteriormente
classificati secondo la relazione di significato tra i due componenti: la porta
finestra è una porta che coincide con una finestra, il vagone letto è un vagone
che contiene dei letti (non «che coincide con un letto»). Altre strutture si
annunciano nell’italiano d’oggi, con ulteriori relazioni semantiche tra i due
componenti: azienda paese, rischio cambio, sistema Italia, ecc.
In generale, però, l’infinito sostantivato può esser creato dai parlanti anche al di
là delle risorse offerte dal lessico, essenzialmente per due motivi:
(b) per creare nomi da interi sintagmi verbali, allo scopo di avere un elemento
che possa funzionare da tema (esempi tutti da Internet, fonti varie):
(29) il male dell’uomo moderno è l’aver fatto della ricerca della felicità il proprio
dio
(31) strana proposta telefonica dopo una settimana dall’aver firmato con Sky
(32) prendete in considerazione eventi rari, come l’aver visto una grossa stella
cadente
Sebbene non lascino tracce stabili nel lessico, questi infiniti ‘liberi’
caratterizzano ugualmente la lingua e i suoi usi. Può darsi che la propensione a
formare infiniti nominali sia da ricollegarsi al fatto che in italiano antico essa era
estesa e perfettamente sistematica: i baciari, gli abbracciari.
Studi
Simone, Raffaele & Masini, Francesca (2008), Support nouns and verbal
features, «Verbum», numero speciale a cura di A. Grezka dedicato a Classes
de verbes.
Simone, Raffaele & Pompei, Anna (2007), Traits verbaux dans noms et les
formes nominalisées du verbe, «Faits de Langue» 4, pp. 43-58.
Vanvolsem, Serge (1982), L’uso dell’infinito sostantivato nelle due edizioni dei
“Promessi Sposi”, «Studi di grammatica italiana» 10, pp. 29-50.