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secondo, gli svariati mezzi pubblici nei quali ho sostato. La solitudine mi ha regalato la fantasia necessaria per
immaginare gli altri anche quando in realtà non c’era nessuno.
La Sicilia è uno stato d’animo, una terra che ti accoglie come una madre. Sulla costa orientale c’è una piccola città
che si chiama Augusta, tra Catania e Siracusa. I posti ti parlano più delle persone, ti toccano nell’anima. Anche
quando ho avuto modo di immaginarmi da una nuova prospettiva, ho pensato che anche quando tutto sembra
cambiare in fin dei conti tutto resta uguale, Augusta significa vivere al confine: guardare l’Africa negli occhi e
trovarsi l’Etna alle spalle, guardare le correnti dell’Africa Bianca erodere la pietra lavica. Nonostante spesso avessi
pensato che fossimo pezzi di carne che ospitavano un’anima destinata a collassare nel profondo, io ho incontrato
una rete che in qualche modo ha rallentato il mio precipitare. Ho scoperto che dall’altra parte del Mediterraneo una
città diveniva primo porto di sbarco e quindi prima ancora di salvezza, rompendo le lunghe e pesanti catene
dell’indifferenza che strappano tante vite buttandole giù nel mare destinate a venire risucchiate dagli abissi dello
stesso mare che doveva essere via di salvezza. Una nuova famiglia pronta ad accogliermi si trovava qui dall'altra
parte del Mondo, quasi mi stesse aspettando da sempre. Tutti abbiamo un posto dove poter approdare, l’unica
cosa che ci tocca fare è raggiungerlo. Qui in Sicilia ho intrapreso un cammino nuovo, tra le bellezze che gli altri
non avevano notato, tra i sacchi di spazzatura gettati sulla costa, ho visto la bellezza (quella che ti mozza il fiato)
col sapore e l’amaro odore di petrolchimico.
Dove tutti gli altri avevano visto macerie, Io avevo notato il Faro Santa Croce che con la sua luce intermittente mi
dava l’idea di un battito perpetuo, di qualcosa che si prolunga indefinitamente nel tempo e vada a sconfinare con
l’eternità. Sono poche le cose che rimangono fisse, restando punti di riferimento, che scandiscono la mia
esistenza, come il faro. Purtroppo qui la gente si accorge solamente di ciò che nel corso degli anni ha rovinato
questa terra vedendola come una femmina stuprata, ad un passo dalla morte. C’è qualcuno però come me che ha
conosciuto il dramma e per questo sa cogliere la bellezza che agli altri ormai è invisibile. Il cancro di questa società
è il non apprezzare ciò che si ha sotto gli occhi.
Ho sentito il peso sulle spalle di dover tornare alle origini, alle tradizioni. Il richiamo di certi odori, suoni che
puntano dritti al cuore. Mi sono innamorato della vita che si muove incessantemente.
Qui ho imparato a pensare alla natura come Casa ospitale, chiudendomi dentro l’immensa Pantalica mi sono
tuffato nelle acque del fiume non più con la paura di annegare, ho imparato a vivere l’isola facendo parte
integrante di me il senso di stare a metà tra Europa e Africa.
Ma la cosa più importante di tutte è stata identificarmi per la prima volta come un valore aggiunto e quindi una
risorsa, proprio perché questa isola ti offre tanto, io sono restato e ho preferito questo al raggiungere i miei parenti
in Svezia.
Adesso mi sono seduto a guardare le stelle insieme a te solo che adesso una di queste stelle sei tu.
Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di fare l’operatore umanitario, per poter scrutare l’orizzonte nella
speranza di poter essere l’ancora di salvezza per qualcuno, ribadendo il concetto di essere lì se chiunque ne
avesse bisogno, se qualcuno dovesse attraccare anche per sbaglio. Io resto ancora qui ad aspettarti.
Se ci hanno raccontato questa terra come sbagliata e patria di innumerevoli disgrazie, c’è un errore madornale
perchè nonostante tutto se da Augusta passa la grande marcia dell’umanità c’è ancora un motivo per cui questa
città meriti di essere amata e difesa.
Addio,