Fisiologia Cellulare - PDF Unito

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Fisiologia cellulare lezione 01 del 06/10/2021

Docente: Sandra Guidi


Sbobinatori: Stefano Ghelfi, Maddalena Ancarani
Revisore: Matilde Zabbini

Fisiologia Cellulare

Processi di scambio transcellulari e paracellulari


La cellula è il fondamento del nostro organismo, il compartimento elementare che permette il
funzionamento del corpo umano e gli scambi all’interno di esso, scambi che si fonano
prevalentemente sull’acqua. Il nostro organismo è formato da un’alta percentuale di acqua nella quale
sono disciolte molecole, ioni, proteine e altre sostanze, necessarie al mantenimento dell’equilibrio del
nostro organismo, quindi all’omeostasi.

Omeostasi
Omeostasi (steady state) è una situazione di equilibrio dinamico, non esiste una condizione di
equilibrio fisso.
L’omeostasi è mantenuta da una serie di reazioni chimico-fisiche che permettono il mantenimento di
una situazione stabile. È infatti assolutamente necessario che nel nostro organismo siano mantenuti
stabili diversi parametri, come il pH, compreso fra 7,38 e 7,42, il quale se dovesse uscire da questo
intervallo provocherebbe dei danni. Le concentrazioni di ioni e idrogenioni devono essere mantenute
costanti e queste sono appunto dovute dal continuo scambio fra l’interno e l’esterno della cellula.
La deviazione da questo equilibrio comporta una condizione patologica.
Valutare la fisiologia e comprendere i meccanismi fisiologici ci permette di comprendere la patologia.
Il nostro organismo mantiene l’equilibrio grazie a dei valori di riferimento: ci sono nel nostro
organismo dei recettori, ovvero dei sensori, che valutano i parametri corporei, come la temperatura,
la pressione arteriosa e il pH. Grazie ai recettori il nostro corpo può comparare il valore di un
parametro con il set point, creando un segnale effettore che giungerà alla struttura effettrice per
modificare il valore rilevato e spostarlo il più possibile verso il valore set point.
I recettori generano un segnale effettore che crea una risposta.
Esistono, ad esempio, sensori nel nostro organismo che possono controllare l’osmolarità delle
soluzioni corporee.

Quando la concentrazione dei soluti


aumenta per disidratazione, il recettore
manda un segnale effettore al SNC
provocando la sensazione della sete, poiché
abbiamo la necessità di far tornare la
concentrazione delle nostre soluzioni
corporee al valore previsto dal set point. Se
non fosse possibile idratarsi, il nostro
organismo reagisce attivando l’ormone
antidiuretico favorendo la ritenzione idrica
per ridurre la concentrazione delle soluzioni.

Ogni equilibrio è generato dal rapporto fra


l’apporto e la perdita di sostanze.

1
Quando l’apporto supera la perdita il bilancio è positivo, quando la perdita supera l’apporto il bilancio
è negativo.

Liquidi:

L’acqua è la componente principale del nostro organismo. Il 60% del peso del nostro corpo è formato
da acqua. La composizione varia in base all’età, in un bambino appena nato l’acqua è 85%,
in un anziano può arrivare anche al 40%.
L’acqua fa da solvente a tutte le molecole, proteine, zuccheri, ioni del nostro organismo.

Il liquido di cui è composto il nostro organismo è diviso in:


-Liquido Intracellulare (LIC): 2/3 acqua corporea totale o 40% in peso
-Liquido Extracellulare (LEC): al di fuori della membrana citoplasmatica, 1/3 liquido totale

Il Liquido Extracellulare si divide in:


-Plasma: circolante nei vasi.
-Liquido Interstiziale: liquido che si trova tra le cellule dei tessuti

Il liquido corporeo è quindi


fondamentale per il passaggio e lo
scambio di ioni e molecole in tutto
l’organismo.

LIC e LEC hanno concentrazioni


diverse, per la diversa concentrazione
di ioni, micro e macromolecole
all’interno e all’esterno della cellula.
Questa diversa concentrazione tra
interno ed esterno della cellula
permette l’eccitabilità delle cellule,
come neuroni e fibre muscolari,
attivando i potenziali delle cellule
eccitabili necessari alla
comunicazione fra le cellule.

Il LIC ha maggiore concentrazione di


macromolecole e la sua
composizione è mantenuta costante
da proteine di trasporto sulla
membrana cellulare.
Il plasma e il liquido interstiziale
hanno una composizione simile, poiché sono separate solamente dall’endotelio dei vasi che permette
il passaggio di ioni e piccole molecole.

Concentrazione ioni:
Tabella delle concentrazioni di ioni extra e intracellulari da sapere.

2
Nel LEC lo ione che si trova in
concentrazione maggiore è il
sodio. Il è fondamentale
per l’attivazione di cellule
eccitabili (neuroni e fibre
muscolari). Senza una
concentrazione extracellulare
di sodio pari a 135-140 mEq/L
le cellule eccitabili non
possono essere mantenute
funzionali e quindi, ad
esempio, il cervello non potrà
funzionare in maniera corretta.
Il al contrario del sodio è
molto concentrato nel LIC. Gli
ioni e (fosfato
inorganico) sono spesso
presenti legati a macromolecole e in piccola parte come ione libero, quindi ionizzato.

Membrana cellulare e proteine di membrana:


I soluti passano da un lato all’altro della membrana citoplasmatica grazie a delle proteine.
Le proteine sono selettive per determinati ioni, si parla quindi di permeabilità selettiva, necessaria per
mantenere l’equilibrio sufficientemente stabile senza un eccessivo consumo di energia.

Passaggio di ioni tra esterno e interno della cellula può essere passivo o attivo. Il passaggio passivo è
direzionato secondo il gradiente di concentrazione; l’attivo permette il passaggio contro gradiente
tramite consumo di energia.

La membrana citoplasmatica è organizzata a mosaico fluido, nella quale sono inserite proteine di
diversi tipi.
Le sue funzioni sono:
- Trasporto selettivo di molecole dentro e fuori
- Riconoscimento delle cellule tramite gli antigeni situati sulla superficie cellulare
- Comunicazione intercellulare (recettori, neurotrasmettitori e ormoni)

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- Organizzazione tissutale (giunzioni cellulari e interazione con matrice cellulare)
- Attività enzimatica a livello della membrana
- Determinazione della forma della cellula

Il doppio strato lipidico è formato da:


-Fosfolipidi: formati da scheletro di glicerolo, catene grasse aciliche e un alcole legato attraverso il
gruppo fosfato. Garantiscono l’impermeabilità della membrana
-Glicolipidi: hanno una parte polare formata da carboidrati, diversa rispetto ai fosfolipidi
-Colesterolo: che permette la stabilità della membrana.

Le proteine possono essere:


-Integrali di membrana, che attraversano interamente la membrana citoplasmatica presentando dei
domini all’interno e all’esterno della cellula, sono necessarie per il passaggio di ioni
-Strutturali che mantengono il doppio strato lipidico.

I trasportatori di membrana sono formati da diverse subunità che circoscrivono un polo idrofilo
attraverso cui transitano gli ioni. Esistono diversi tipi di trasportatori sulla membrana citoplasmatica:

-Acquaporine
-Canali ionici
-Trasportatori di soluti
-Trasportatori ATP dipendenti

Le acquaporine sono una famiglia di


proteine che permettono il passaggio
di acqua tra l’interno e l’esterno della
cellula o di piccole molecole
(acquagliceroporine). Alcune sono
normalmente espresse, altre sono
espresse in particolari condizioni. A
livello renale, per esempio, quando si
attiva l’ormone antidiuretico a causa
di disidratazione, vengono espresse
sulla parete delle cellule del tubulo
distale del rene un numero maggiore
di acquaporine che permettono il
riassorbimento dell’acqua.

4
I canali ionici sono proteine transmembrana che permettono il passaggio di ioni in modo regolato,
esistono diversi meccanismi di regolazioni, tra i quali il meccanismo “gating” o a cancello, il quale
si apre e si chiude permettendo il passaggio di ioni in certi momenti, in base alle esigenze cellulari.

Trasportatori di soluti possono far passare nella cellula piccole molecole. Sono costituiti da proteine
integrali di membrana che cambiano la loro conformazione con il passaggio della sostanza, come i
trasportatori di glucosio.

Il trasportatore ATP dipendente è un trasportatore attivo che consuma energia liberata dall’idrolisi di
ATP che produce ADP + . La liberazione di genera una grande quantità di energia che permette
il passaggio di ioni contro gradiente.

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TRASPORTATORI
- Acquaporine: specifici canali per il trasporto passivo dell’acqua o di piccole molecole
(acquagliceroporine), sono una famiglia di proteine differenti presenti nei vari tessuti in modo
costitutivo o prodotte attraverso la trascrizione ed esposte sulla membrana citoplasmatica, in
varie isoforme.
- Canali ionici: proteine di membrana formate da differenti subunità, queste possono essere
identiche tra loro (formati da omomeri) o diverse (eteromeri). Le subunità sono costituite da
una catena amminoacidica con struttura ad alfa elica, ognuna è formata da differenti domini
(in genere 4), i quali sono caratterizzati da segmenti (6). In ogni dominio esiste una porzione
tra gli ultimi due segmenti che rappresenta il filtro di selettività, una caratteristica
conformazionale che permette la permeabilità selettiva di un determinato ione. I canali ionici
possono essere:
o Passivi → permettono il passaggio di ioni a seconda della concentrazione di questi nei
due versanti della membrana
o Attivi → controllo nel passaggio ionico determinato dal meccanismo di gating (o
cancello) che divide il versante intra ed extracellulare e determina l’apertura o chiusura
del canale in risposta a stimoli specifici.
▪ Canali voltaggio dipendenti: si attivano in base alla variazione del potenziale
di membrana.
▪ Canali regolati da ligandi la presenza di una determinata molecola ne
determina l’attivazione
▪ Canali regolati da stimoli meccanici: permetto l’attivazione di sensori per la
trasmissione di informazioni. Es. il tatto a livello cutaneo. A seguito di stimoli
meccanici modificano la loro conformazione strutturale e determinano
l’apertura.
Oltre alle normali condizioni di chiuso ed aperto, il canale lo possiamo trovare anche in una
situazione di refrattarietà, come canale refrattario ovvero inattivo, differente però dalla
chiusura. Il canale è chiuso quando si trova in una condizione di reversibilità, quindi in caso
di stimolo particolarmente forte può essere aperto; Il canale è refrattario quando presenta la
porta interna chiusa che va a determinare la completa inattivazione del canale stesso. Questa
condizione è importante nella funzionalità delle cellule eccitabili perché permette di avere un
controllo sull’attività totale della cellula, e
di ristabilirne l’equilibrio (omeostasi) (es.
cellula muscolare cardiaca). Se
consideriamo, ad esempio, una cellula
muscolare cardiaca, questa è una cellula eccitabile che si contrae permettendo così la
contrazione delle pareti cardiache e quindi anche il passaggio del sangue. Questa contrazione
cardiaca è determinata dall’apertura di canali che a loro volta permettono l’ingresso di ioni
che generano un potenziale d’azione, ossia l’“accensione” della cellula. Questa contrazione
viene generata grazie alle modificazioni delle concentrazioni ioniche della cellula e dunque
per fare ciò i canali devono essere aperti. Raggiunto un certo disequilibrio di cariche ioniche
i canali vanno ad inattivarsi poiché la cellula deve sempre ritornare in una situazione di
omeostasi

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Es. Canali del sodio: coinvolti nell’attivazione del potenziale d’azione nelle cellule neuronali e
muscolari, possiede un meccanismo di gating,
presenta una porta esterna di attivazione ed
una interna di inattivazione o chiusura,
quando queste sono chiuse non c’è passaggio
ionico, quando abbiamo l’apertura della
porta di attivazione (esterna) lo ione entra nel
canale determinando l’apertura della porta di
inattivazione (versante intracellulare), perciò
il sodio entra all’interno della cellula. A
seguito di una certa stimolazione il canale va
prima inattivandosi (chiusura porta interna)
non permettendo più l’entrata dello ione nella
cellula, dunque si chiude la porta esterna
determinando la chiusura completa del canale
(inattivo).

Alcuni canali vengono attivati grazie a reazioni chimiche come


la fosforilazione: causa la modifica della conformazione
fisica/sterica permettendone l’apertura e quindi il passaggio di
ioni.
L’immagine in basso rappresenta una registrazione fatta con la
tecnica del patch-clamp (micropipetta appoggiata sulla
membrana che registra i flussi di corrente attraverso i singoli
canali).

CONDUTTANZA
La conduttanza di un canale esprime la sua permeabilità ionica,
cioè quanta cerica elettrica riesce a passare attraverso il canale.
È l’inverso della resistenza γ=1/R. Questa è usata per
modificare i potenziali generali della cellula e quindi attivare il
potenziale d’azione, quindi fondamentale per variare il
potenziale di membrana della cellula. Il potenziale di membrana è dato dall’accumulo di cariche
elettriche all’interno (negative) ed all’esterno (positive) della cellula, che generano una differenza di
potenziale elettrico. Per quanto riguarda la conduttanza si vanno a distinguere due tipi di canali:
- Canale ohmico: presentano una conduttanza costante per diversi valori di ∆V
- Canale rettificante: modificano la conduttanza dello ione in seguito a variazioni di ∆V.
Possono essere rettificanti in ingresso, perciò avere una conduttanza maggiore per uno ione
che entra all’interno della cellula oppure in uscita, quindi presentano una conduttanza
maggiore per lo ione che viene portato verso l’esterno della cellula.

TRASPORTATORI DI SOLUTI
I trasportatori di soluti rappresentano una famiglia di proteina che consente il passaggio di molecole
da una parte all’altra della membrana citoplasmatica.
Questi possono essere distinti in base al tipo di trasporto che operano in:

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- Uniporto → passaggio di una singola molecola attraverso il canale selettivo.
Es. trasportatore del glucosio GLUT-1 →
proteina trans-membrana che presenta una
porzione specifica di riconoscimento, lega la
molecola di glucosio e ne permette il passaggio
dall’esterno verso l’interno della cellula, quindi
molto selettiva.

- Simporto o Cotrasporto → accoppiamento


del trasporto di due sostanze differenti nella
stessa direzione. A seconda della capacità di
legare i vari ioni/molecole esistono proteine differenti. In genere sfruttano le cariche elettriche
degli ioni per permettere il passaggio senza consumo di energia.

- Antiporto → passaggio di due molecole in direzione opposta.

TRASPORTATORI ADENOSINTRIFOSFATO-DIPENDENTI
Sono dei trasportatori che utilizzano l’energia dell’ATP (idrolisi) per trasportare attivamente
molecole/ioni attraverso la membrana cellulare contro gradiente di concentrazione. Suddivisi in due
gruppi:
- ATP-asi per il trasporto di ioni → sono molto importanti perché evitano che si vada a creare
un accumulo di ioni (entrano passivamente) all’interno che causerebbe uno squilibrio delle
concentrazioni ioniche cellulari. Si trovano in due conformazioni:
o P: classici canali che troviamo sulla membrana citoplasmatica, fosforilati durante il
ciclo di trasporto.
Es. Pompa sodio/potassio: è in grado di far uscire il sodio anche se la concentrazione
intracellulare di tale ione rispetto a quella extracellulare è molto più bassa (contro gradiente),
sfruttando l’energia proveniente dall’idrolisi dell’ATP, e fanno entrare potassio.
o V: si trovano nelle membrane degli organelli intracellulari.
- Trasporatori ABC (ATP-binding cassette) → caratterizzati da domini amminoacidici che
legano l’ATP. Sono più di 40 specie.
TRASPORTO VESCICOLARE
Caratterizzato dalla formazione di vescicole dalla membrana citoplasmatica all’interno della quale è
presente una determinata sostanza, questa all’interno della cellula si apre e libera il contenuto. Diversi
meccanismi:
- Endocitosi → permette l’internalizzazione nella cellula di sostanze attraverso le vescicole.
o Pinocitosi: assunzione non specifica di piccole molecole.
o Fagocitosi: internalizzazione di particelle di grandi dimensioni
o Mediata da recettori: specifico, sulla membrana cellulare abbiamo la presenza di un
recettore in grado di riconoscere una particolare molecola, quando viene riconosciuta
la membrana si invagina e costituisce la vescicola.

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Es. Terapie farmacologiche → sostanze
farmacologiche (esogene, introdotte), vanno
in contatto con recettori presenti sulle
membrane citoplasmatiche, vengono
introdotte all’interno delle cellule tramite le
vescicole, quindi liberate e vanno a
modificare la funzionalità della cellula.
Esempio: vaccino.

- Esocitosi → le vescicole, con il contenuto,


dall’interno della cellula si legano alla
membrana citoplasmatica, permettendone la
fuoriuscita.
Le vescicole vengono riciclate a livello della membrana
citoplasmatica, per permettere il mantenimento della
fisiologia cellulare stessa.
Il passaggio di sostanze, quindi il trasporto può essere di due tipi:
- Trasporto passivo → avviene sempre grazie alla presenza di concentrazioni diverse di
sostanze tra il versante interno ed esterno della membrana citoplasmatica. Secondo gradiente
sia chimico che elettrico, dalla zona a più alta concentrazione (chimica o di carica) alla zona
con minore concentrazione (chimica o di carica).
- Trasporto attivo → sfruttano l’energia per far avvenire un trasporto contro gradiente
elettrochimico.

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Lezione 2 di FISIOLOGIA del 07/10/2021
Sbobinatore: ELISA BERTAGNOLIO – VIRGINIA CANU
Revisore: Giulia Villa
Docente: GUIDI SANDRA
Argomenti: Diffusione Passiva
Leggi per l’Omeostasi intra-extra cellulare

TRASPORTATORI DI MEMBRANA
L’importanza dei trasportatori di membrana è rappresentata dal fatto di poter cambiare la concentrazione
dei liquidi intracellulari ed extracellulari, attraverso in passaggio al loro interno di ioni, piccole molecole e
macromolecole.
Il loro valore si riscontra quando si sviluppano delle mutazioni a carico dei geni che codificano per le
proteine che danno passaggio appunto a questi ioni (proteine trasportatrici) quindi si creano malattie
complesse come ad esempio la Fibrosi Cistica.
La Fibrosi Cistica è una patologia genetica multiorgano, coinvolge diversi organi del nostro corpo, causata
dalla mutazione di un singolo gene sul cromosoma 7 che va a colpire un trasportatore CFTR (Cystic
fibrosis transmembrane conductance regulator). Questo trasportatore è il regolatore del canale ionico che
permette il passaggio dello ione Cloro. In caso di mutazione questo trasportatore si modifica non
permettendo più il passaggio dello ione Cloro dando così origine a diversi eventi a livello:
- Polmonare rende più denso il muco, il cui ruolo è di mantiene umide le parete dei nostri polmoni e
recuperare batteri e sostanze patogene che potrebbero creare dei danni. Rendendolo più rigido si
incorre in infezioni batteriche di differente entità, anche gravi, e ci sono delle differenze anche a
carico dell’elasticità della struttura polmonare.
- Pancreatico
La semplice mutazione di un singolo gene sul cromosoma crea un danno gravissimo a livello di diversi
organi perché disequilibra le concentrazioni di ioni da una parte all’altra della nostra cellula, potrebbero
quindi sembrare strutture semplici con importanza relativa, ma sono assolutamente indispensabili per il
mantenimento di tutta la nostra funzionalità.

TRASPORTI DI MEMBRANA
Questi trasporti possono essere passivi o attivi.
Sappiamo già che il processo passivo è un processo in cui non viene utilizzata energia per permettere lo
scambio, mentre il processo attivo è un processo in cui è necessaria la liberazione di energia per permettere
lo scambio, quindi per modificare le concentrazioni dei liquidi intracellulari ed extracellulari.
Il primissimo tipo di trasporto passivo che troviamo nel nostro organismo è rappresentato dalla diffusione
semplice. La diffusione se noi consideriamo un sistema in cui vi sono due ambienti
separati da una membrana semipermeabile, come potrebbe essere appunto la membrana citoplasmatica, è
un evento in cui due soluzioni che hanno concentrazioni differenti tendono ad andare in equilibrio tra di
loro permettendo il passaggio di solvente e di soluto in questa membrana semipermeabile.
Nelle membrane citoplasmatiche il passaggio di solvente e di soluti è determinato dalla presenza di pori
come le acquaporine che permettono il passaggio di acqua o di canali ionici che permettono il passaggio di
ioni.
Questo passaggio passivo è coordinato e controllato appunto dalle concentrazioni all'interno
delle diverse soluzioni. Se le due soluzioni, come potrebbe essere questo esempio, separate nei due
ambienti dalla una membrana semipermeabile hanno concentrazioni differenti tenderanno ad equilibrarsi,
in particolare la soluzione che presenta una concentrazione di soluti maggiore tenderà a portare soluti
attraverso la membrana nella soluzione meno concentrata.

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PIÙ concentrato

MENO concentrato

Questo è un passaggio passivo, quindi nessun tipo di energia viene consumata, dipende esclusivamente da
quello che è il gradiente chimico quindi la concentrazione dei soluti all'interno delle due diverse soluzioni.
Ovviamente la cinetica di questo passaggio dipende da caratteristiche della membrana che possono essere
differenti:
- Un numero maggiore di pori
- un’area più grande o più piccola
- la capacità stessa degli ioni, micromolecole o macromolecole disciolte all'interno di queste
soluzioni, di passare attraverso la membrana plasmatica. In quanto questa membrana ha una certa
consistenza, una certa carica elettrica e struttura che indurrà alcune molecole ad essere
maggiormente aiutate nel passaggio attraverso la membrana citoplasmatica per la loro formula-
caratteristiche chimiche ed altre meno.

LEGGE DI DIFFUSIONE DI FICK


Le leggi che regolano questi passaggi sono la prima LEGGE DI FICK, la legge della diffusione.

La legge di Fick ci identifica il flusso degli ioni e soluti attraverso la membrana (indicato con la lettera
“J”).
Il flusso è dipendente da una serie di caratteristiche ben definite, tali caratteristiche descrivono sia la
sostanza che dovrà passare attraverso la membrana sia la membrana stessa.
Quindi il flusso attraverso una membrana semipermeabile dipende:
1. dal coefficiente di diffusione di una certa sostanza (“D”) ovviamente. Maggiore è il coefficiente di
fusione più veloce sarà il passaggio di questa sostanza attraverso la nostra membrana citoplasmatica
o comunque membrana semipermeabile
2. dall'area della membrana (“A”) in cui avviene la diffusione. Più grande sarà l'area della membrana
che separa le nostre soluzioni più facile sarà il passaggio perché ci
sarà una casistica che permetterà. Il passaggio più veloce, essendo l’area più grande
3. dalla differenza di concentrazione delle due diverse soluzioni (A-B=ΔC) Il gradiente di
concentrazione garantirà alla sostanza più concentrata di passare più facilmente il soluto attraverso
la membrana per andare ad equilibrare le varie soluzioni.
4. dallo spessore di membrana (“ΔX”), la distanza lineare attraverso cui le due soluzioni devono
passare quindi ovviamente maggiore è lo spessore della membrana più difficile sarà il passaggio da
un versante l'altro.

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Tutti i passaggi passivi, quindi la diffusione passiva di soluzioni attraverso una membrana semipermeabile
seguono la Legge di Fick

Il coefficiente di diffusione (“D” formula precedente della Legge di Fick) delle sostanze è variabile a
seconda della sostanza che prendiamo in considerazione, dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche della
soluzione.
1. Una soluzione molto viscosa sarà meno facilmente trasportata attraverso una membrana
semipermeabile invece una più fluida sarà più facilmente trasportata. Queste caratteristiche
vengono prese in considerazione per valutare il passaggio passivo di ioni attraverso una membrana
semipermeabile.
2. Oltre alle caratteristiche di diffusione precedenti dipende anche dalla grandezza di questa sostanza,
il raggio della molecola, che deve passare attraverso la membrana. Più grande sarà il raggio della
molecola più difficoltà avrà la stessa ad oltrepassare la membrana semipermeabile
3. La temperatura influenza la diffusione di questa sostanza grazie al fatto che aumentando la
temperatura aumenta quella che è l'energia della nostra molecola, quindi avrà un movimento
differente sulla membrana semipermeabile aumenterà la possibilità che questa sostanza possa
attraversare la nostra membrana (urti)

Possiamo considerare una membrana semipermeabile qualunque, ma è esattamente


quello che succede a livello della nostra membrana citoplasmatica, quindi le soluzioni extra ed intra
cellulari vanno in equilibrio l’une con le altre grazie alle presenza di trasportatori e di pori che possono
permettere il passaggio di soluti attraverso un fenomeno passivo che è rappresentato la diffusione. Questa
diffusione è legata alla concentrazione delle soluzioni, quindi il punto fondamentale è il gradiente di
concentrazione di queste soluzioni, che permetterà il passaggio tra un versante all'altro della membrana.
Fondamentale è la qualità del soluto che deve passare rappresentata appunto dalla capacità di
diffusione, dal coefficiente di diffusione, che dipende dalla grandezza stessa della nostra molecola e dalle
caratteristiche chimico-fisiche della stessa.
Questo è valido per le membrane semipermeabili.

COEFFICIENTE di PARTIZIONE & EQUAZIONE DI FICK


Il coefficiente di diffusibilità delle molecole assume a livello della membrana citoplasmatica, una
caratteristica che ha il nome di COEFFICIENTE di PARTIZIONE (“β”), semplicemente un numero che
ci permette identificare quanto la molecola che prendiamo in considerazione sia in grado di oltrepassare la
barriera citoplasmatica (per il doppio strato fosfolipidico, quindi in base alla caratteristica più idrofilia o
idrofobica della molecola).
Come indicato precedentemente le caratteristiche chimiche e fisiche della membrana citoplasmatica
determinano il passaggio di determinate sostanze rispetto ad altre con
più facilità. Ad esempio una sostanza in soluzione acquosa molto positiva farà fatica ad oltrepassare la
barriera citoplasmatica, sarà molto più semplice che una sostanza lipidica quindi idrofobica riesca ad
oltrepassare la barriera in modo del tutto passivo, senza considerare i vari trasportatori e si diffonderà
passivamente all'interno della della cellula grazie alle sue caratteristiche chimiche. Il coefficiente di
partizione ci dice quanto una sostanza sia in grado di oltrepassare la membrana citoplasmatica perché è più
idrofilica o più idrofobica.
- β = 1 (esempio: l’acqua)
Quando la molecola si scioglie ugualmente nel liquido che circonda il doppio strato lipidico e nel
doppio strato lipidico stesso

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- β> 1
Quando la molecola è più chimicamente legabile alla membrana plasmatica (“si scioglie attraverso
la barriera”), β diventa maggiore di 1 quindi il passaggio di questa sostanza attraverso la membrana,
senza tener conto di quelli che sono i vari trasportatori, sarà facilitata; perché le caratteristiche
chimico fisiche di quella sostanza permettono il passaggio.
- β< 1
Il coefficiente di partizione si riduce al di sotto del numero 1 quando le caratteristiche
della sostanza invece non ne permettono il passaggio in modo semplice attraverso la membrana
citoplasmatica.
Tenendo conto di anche questo coefficiente di partizione, la legge di Fick viene trasformata parlando di
membrana citoplasmatica nella seguente EQUAZIONE di FICK, ovvero una formula
rappresentata da
- J (flusso [mol/cm2/s]) con unità di misura che indica la quantità di materiale che passa attraverso la
superficie della nostra membrana nell'unità di tempo; quindi moli- millimoli – milliequivalenti per
centimetro quadrato per secondo.
- P (coefficiente di permeabilità, [cm/s]). J è proporzionale alla lettera P, indicato come il valore che
tiene in considerazione il coefficiente di diffusione della molecola, lo spessore della membrana e
l’area in cui avviene lo scambio. Tutti questi elementi vengono concentrati all'interno di questo
coefficiente.
- Ci – Ce (gradiente di concentrazione, [mol/cm3]) differenza di concentrazione della soluzione da
una parte e l'altra della membrana, quindi ci rappresenta la concentrazione interna di una sostanza
meno la concentrazione esterna.
- “-” Il segno MENO è puramente concetto matematico
Tenendo conto dei passaggi che avvengono tra la membrana plasmatica e la differenza delle
concentrazioni dei vari ioni (viste nella prima lezione) facendo i conti spessissimo questo tipo di
grandezza diventa un numero negativo quindi viene per convenzione usato il segno negativo per
rendere il flusso positivo, perché altrimenti sarebbe il risultato sempre negativo e andrebbe al
contrario il flusso di come lo si intende. Quindi la negatività viene indicata proprio per annullare la
negatività de flusso che non avrebbe senso per la definizione di ciò che la formula nella realtà
ricerca, un passaggio che effettivamente avviene.
Quando successivamente parleremo di gradiente elettrochimico, in cui oltre il gradiente di
concentrazione vi è anche un gradiente elettrico,bisognerà svolgere una valutazione con il
potenziale di membrana (che è sempre negativo) quindi per convenzione viene utilizzata questa
formula anche per aiutare gli studi successivi.

Quindi il coefficiente di permeabilità, è un numero generale che ricapitola tutte le caratteristiche che
abbiamo detto precedentemente (coefficiente di ripartizione, coefficiente di diffusività di una molecola,
l'area e lo spessore della membrana) dati che uniti insieme ci danno questa semplice
equazione che ci permette di identificare il passaggio di sostanze in modo passivo attraverso la
membrana ovvero il flusso di ioni, micro molecole e macromolecole (le macromolecole un po' meno
perché appunto il flusso passivo dipendente dalla grandezza della molecola, quindi le macromolecole non
passeranno in modo passivo attraverso la membrana).
Quindi β indica come la membrana è in grado di permettere un mantenimento di equilibrio che viene
definito omeostasi, quindi questo passaggio passivo delle sostanze ci permetterà sempre di mantenere una
situazione costante di equilibrio dinamico che va mantenuto sempre durante tutto il corso della nostra vita.

GRADIENTE ELETTROCHIMICO

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Il gradiente di concentrazione, semplicemente la differenza di concentrazione delle nostre soluzioni, che
permette il passaggio passivo e la diffusione di una sostanza da una parte all'altra della membrana.
In realtà tutte le sostanze (soluti!) che sono presenti nei due versanti della membrana plasmatica presentano
una carica elettrica e quindi è assolutamente necessario che venga considerata anche questa caratteristica
della soluzione.
Correttamente quindi non si parla semplicemente di gradiente di concentrazione che permetterà
il passaggio passivo delle soluzioni, ma anche di gradiente elettrochimico che prende in considerazione
quelle che sono le caratteristiche elettriche dei vari soluti che si trovano ai due versati della membrana. Il
gradiente elettrochimico è rappresentato da quelle che sono le caratteristiche di concentrazione delle
diverse soluzioni nei due versanti della membrana, ma anche dalle caratteristiche elettriche.
Questo gradiente elettrochimico non è nient'altro che quella forza che ci permetterà di far passare le
sostanze con una carica elettrica ben definita attraverso la membrana. Un’equazione piuttosto complicata
valuta il gradiente elettrochimico di una determinata soluzione che permette o inibisce il passaggio di quel
determinato componente attraverso la membrana plasmatica. Le grandezze prese in considerazione per
valutare questo gradiente elettrochimico sono:
- concentrazione della soluzione (“ln”, logaritmo naturale della concentrazione della sostanza X
all’interno rispetto all'esterno della membrana)
- cariche elettriche, rappresentate dalla valenza delle molecole (“Zx”) che si trovano nei due versanti
della membrana plasmatica
- “F” costante di Faraday
- “Vm” rappresenta il potenziale di membrana.
La membrana citoplasmatica è una struttura che ha una caratteristica elettrica che viene calcolata
facendo la sottrazione tra potenziale interno della membrana (sempre negativo) e il potenziale
esterno (positive). Quindi le cariche negative che si trovano all'interno della membrana generano un
certo potenziale, mentre le cariche positive che si trovano all'esterno della membrana generano
anche loro un determinato potenziale. Il potenziale di membrana è rappresentato dalla differenza fra
i due potenziali (potenziale interno negativo meno potenziale positivo) ed è sempre un potenziale
negativo.
Il potenziale di riposo di una membrana eccitabile come ad esempio un neurone è di circa -
80/90 mV, come il potenziale all'equilibrio di una cellula muscolare è di -90mV;
Quindi è sempre negativo e ci rappresenta la differenza di potenziale fra i due versanti della
membrana, che dovremmo tenere in considerazione per valutare se il gradiente elettrochimico di
una determinata sostanza permetterà il passaggio della stessa sostanza attraverso la membrana o
invece lo bloccherà.

Il passaggio attraverso la membrana è un passaggio che deve tener conto delle concentrazioni: se una
soluzione è maggiormente concentrata ciò che succederà sarà una ricerca dell’equilibrio tra le due soluzioni
attraverso la diffusione passiva. Ciò avviene quando le due soluzioni sono neutre, quindi non vi è
potenziale.

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Nel caso invece dei liquidi intracellulari ed extracellulari ci sono concentrazioni particolarmente alte e
differenti di ioni che ovviamente creano un potenziale elettrico ai due ai due lati della
membrana, questo potenziale favorirà o sfavorirà il passaggio dei diversi ioni attraverso la membrana
stessa. Quindi quando ci sono questi passaggi passivi di ioni attraverso la membrana ciò che succederà sarà
un equilibrio di quella che è la concentrazione chimica (la quantità di soluto presente da una parte rispetto
all'altra) sui versanti della membrana, ma necessariamente dovremmo mantenere anche un equilibrio
elettrico.
Esempio: Se sposto 10 ioni di sodio dall'esterno verso l'interno della cellula necessariamente
il mio potenziale all'interno della cellula tenderà a diventare meno negativo, quindi si perderà l'equilibrio
tra l'interno e l'esterno della cellula. A quel punto dovranno attivarsi altri passaggi di ioni che possano
permettere il riequilibrio sia della quantità chimica di soluto che passa da una parte all’altra che delle
cariche elettriche.
Questo è il gradiente elettrochimico, permette il passaggio di sostanze attraversa la barriera
citoplasmatica mantenendo l'equilibrio chimico ed elettrico, due variabili che vanno considerate e non una
singola come succede per la diffusione passiva.
Bisogna valutare la differenza di potenziale chimica (concentrazione delle due sostanze ai lati della
membrana) e la differenza di potenziale elettrico (quantità di cariche che si accumulano da una parte
all'altra della membrana grazie a una concentrazione diversa di soluto da una parte all’altra della
membrana).

EQUAZIONE DI NERNST
Può succedere che una molecola sia in equilibrio, ci sia esattamente la stessa identica quantità di molecola
all'interno e all'esterno della cellula (gradiente chimico) e un equilibrio elettrico, se si equilibrano le
concentrazioni e le cariche tra un versante e l’altro, la membrana è all’equilibrio elettrochimico, che porta a
un potenziale che è uguale a 0 perché non vi è differenza di carica tra l'interno e l'esterno della cellula, il
nostro sistema è all'equilibrio.
La membrana è all'equilibrio quando le concentrazioni e le cariche di un determinato soluto in quel
determinato istante sono in equilibrio. Δu=0
Possiamo calcolare il valore del potenziale di membrana in quel determinato istante che è un momento di
equilibrio, sostituendo il gradiente elettrochimico con il numero zero, ovviamente rispetto a uno specifico
ione.
L’EQUAZIONE DI NERNST ci permetterà di calcolare tutti i potenziali di equilibrio dei diversi doni che
sono presenti a cavallo della nostra membrana citoplasmatica. Questa equazione è molto
importante perché ci permette di valutare quelli che sono i passaggi dei singoli ioni attraverso la membrana
al discostarsi del potenziale del singolo ione da un potenziale di equilibrio. Ogni ione avrà un potenziale di
equilibrio in cui suo gradiente elettrochimico sarà uguale a zero, quel potenziale di equilibrio dovrà essere
modificato per permettere il passaggio dello ione da una parte l'altra della membrana.
- Nell’equazione di Nernst non troveremo un segno meno perché abbiamo invertito le due
concentrazioni, il delta sarà dato dalla concentrazione interna meno quella esterna.

L'equilibrio è fondamentale per capire come si genereranno potenziale d'azione all'interno delle cellule, se
tutti gli ioni sono all’equilibrio quindi Δu=0 non ci saranno mai spostamenti di ioni tra la parti della
membrana. Le concentrazioni di ioni nei vari versanti della membrana difficilmente sono all'equilibrio
elettrochimico, il discostarsi dal suo gradiente di equilibrio da parte di un determinato ione (sodio, potassio,
cloro, calcio ecc.) ci permetterà di capire da che parte si sposterà lo ione in quanto si genererà una
differenza di potenziale tra l'interno e l'esterno della membrana che faciliterà o ridurrà il passaggio dello
ione attraverso la membrana stessa.
Tutte queste equazioni servono per rendersi conto, si capirà meglio quando si tratterà

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il potenziale d'azione e potenziale di membrana, di quanto le caratteristiche delle soluzioni che sono
all'interno che all'esterno della cellula permettono il mantenimento di un equilibrio
elettrochimico della cellula stessa.

Nell’esempio
nella parte sinistra dell'immagine vedete la nostra cellula con una certa concentrazione di glucosio esterno
(5millimoli per litro) ed interno (2 millimoli per litro);
nella parte destra invece una differente concentrazione di potassio extracellulare e intracellulare.
Il glucosio è una molecola che non ha carica elettrica, è neutra;
il potassio invece è uno ione con una carica elettrica positiva;
la membrana in questa cellula all'equilibrio ha un potenziale di -60mV (significa che la differenza tra le
cariche che si trovano all'interno della membrana meno le cariche che si trovano all'esterno della membrana
creano una differenza di potenziale di -60 mV)
Andando a sostituire e calcolando il gradiente elettrochimico delle diverse sostanze:
- Nel primo caso, il glucosio ha carica neutra, andiamo a sostituire semplicemente le concentrazioni
esterne ed interne della sostanza (nella formula del gradiente elettrochimico) e troveremo che il
gradiente elettrochimico del glucosio della cellula è rappresentata da questa equazione, in cui non
viene presa in considerazione la parte che riguarda le cariche elettriche.
- Nella seconda cellula con il potassio, l’equazione prenderà in considerazione anche le
caratteristiche elettriche (la carica del nostro ione è uguale a 1) quindi tutta l'equazione deve essere
considerata e andrà ad influenzare il gradiente elettrochimico della sostanza.
Per permettere l’uscita di:
- Glucosio. La concentrazione maggiore è esterna (5 mmol/L) mentre internamente la concentrazione
è minore (2 mmol/L) ciò che succederà in questo esempio è semplicemente il passaggio del
glucosio all'interno della cellula per un gradiente di concentrazione. Non vengono prese in
considerazione quelle che sono le caratteristiche elettriche della sostanza perché è neutra, quindi la
valenza è 0, il glucosio entrerà all'interno della cellula semplicemente seguendo quello che è il
gradiente chimico.
- Potassio. In questo caso oltre a seguire quello che è il gradiente chimico per cui la concentrazione
del potassio che è maggiore all'interno della cellula rispetto all'esterno, quindi tenderà ad uscire.
Dovremo prendere in considerazione quella che è la caratteristica elettrica del potassio che creerà
una forza in più per permettere il passaggio dall'interno della cellula verso l'esterno.
Il potenziale di equilibrio del potassio, è circa -90 mV che significa, se non prendessi in
considerazione l’eventualità di gradiente di carica/concentrazione, avendo esso un potenziale di
equilibrio più negativo rispetto al potenziale di membrana verrebbe tirato dentro attraverso la
membrana per andare ad equilibrare quello che è la quantità di cariche negative all’interno della
membrana citoplasmatica. Questo non succede perché la concentrazione chimica del potassio
permette la fuoriuscita (internamente è più concentrato nell’esempio in questione), inoltre le
caratteristiche della membrana citoplasmatica e le caratteristiche elettriche del nostro ione potassio
generano una forza che spinge lo ione verso l'esterno. Queste caratteristiche permettono lo
scostamento del gradiente elettrochimico del potassio dal suo gradiente di equilibrio, dal suo valore
potenziale di equilibrio, che è rappresentato dall’equazione i Nernst.

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TRASPORTI PASSIVI:

Le diffusioni passive avvengono senza il consumo di energia da parte della soluzione attraverso la
membrana. Per permettere la diffusione passiva è necessario prendere in considerazione le caratteristiche
delle sostanze e dei soluti che sono presenti all’interno delle nostre soluzioni che vengono regolate dalle
equazioni sopra definite.
Un esempio classico di passaggio passivo attraverso la membrana è quello rappresentato dall’acqua. L’acqua
passa attraverso i pori presenti sulla membrana citoplasmatica, rappresentati dalle acquaporine che hanno
un’affinità specifica per l’acqua, permettendone il passaggio in modo passivo. L’acqua è fondamentale per
mantenere gli equilibri chimici, di concentrazione, tra l’interno e l’esterno della cellula. Il passaggio passivo
dell’acqua attraverso la membrana citoplasmatica è detto OSMOSI.
L’osmosi è la forza che permette il passaggio di acqua da un versante all’altro della membrana, questa forza
è generata dalla differenza di concentrazione dei soluti nei due versanti della membrana. Se abbiamo una
membrana semipermeabile in cui non passano le proteine (sostanze cariche negativamente), l’acqua
attraversa la membrana per osmosi per andare a diluire la soluzione in cui è presente un ’alta
concentrazione di proteine, per permettere un riequilibrio dal punto di vista del gradiente chimico. L’osmosi
è quindi il passaggio passivo di acqua attraverso le nostre membrane semipermeabili. Questo passaggio è
generato da una forza, rappresentata dalla differenza di pressione osmotica p resente sui due lati della
nostra membrana;
La pressione osmotica è la pressione generata dalla quantità di soluti presenti all’interno di una soluzione.
Tra l’interno e l’esterno di una membrana citoplasmatica ci sono due liquidi, LIC e LEC , che hanno

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concentrazioni differenti di ioni che creano una differente pressione osmotica all’interno e esterno della
nostra cellula; per mantenere in equilibrio la pressione osmotica intra ed extra-cellulare vi è per osmosi lo
scambio di acqua che permette il riequilibrarsi delle due differenti pressioni.
La pressione osmotica si rileva dall’equazione di Van ‘t Hoff.

Questa equazione prende in considerazione: il numero di particelle presenti nella nostra soluzione, la
concentrazione totale del soluto che è all’interno della soluzione (che sovrasta uno dei versanti della membrana
plasmatica), la costante dei gas e la temperatura. La temperatura segue ugualmente il principio della diffusione
ovvero aumentando la temperatura aumenta anche la pressione.
La pressione osmotica è importantissima per creare un passaggio di acqua tra una parte e l’altra della
membrana. Tutte le soluzioni che sono presenti all’interno del nostro organismo hanno una determinata
concentrazione che può essere espressa con due grandezze differenti:
-Osmolarità: viene considerata la quantità di sostanza disciolta in 1 L di solvente, e si parla quindi di volume

-Osmolalità: si considera la quantità di soluto, di molecole, disciolte in 1 Kg di solvente, si considera quindi


la massa e non il volume.

L’osmolarità è considerata maggiormente quando si parla di grandezze fisiologiche all’interno dell’organismo.


Si parla di concentrazione osmolale di una sostanza piuttosto che osmolare perché la massa non viene influenzata
dalla temperatura a differenza del volume; quindi se aumenta la temperatura potrebbe cambiare l’osmolarità ma
non l’osmolalità perché non si va ad influenzare la massa. Fisiologicamente le soluzioni presenti all’interno del
nostro organismo hanno un osmolalità che è molto prossima a 300 mOsm/ kg H2O.

Ci sono strutture del nostro organismo che sono in grado di modificare fortemente la concentrazione di queste
soluzioni; nel rene le soluzioni che circolano e che andranno a formare l'urina possono passare da 100 -150
mOsm/kg a 1200 mOsm/kg; quindi la variazione di concentrazione che viene generata a livello di quelle che sono
le strutture renali è molto grande.
Le soluzioni che sono all’interno del nostro organismo possono essere valutate anche in base alla loro tonicità. La
tonicità è l'effetto che una determinata soluzione ha sul volume delle nostre cellule.
Le soluzioni, rispetto al contenuto della cellula all'interno del nostro organismo, possono essere:
- isotoniche
-ipotoniche
-ipertoniche.
Queste diverse soluzioni vanno a modificare quello che è il volume della nostra cellula grazie ai meccanismi di
passaggio passivo del solvente (acqua) tra una parte all'altra della membrana; per cui in una soluzione isotonica

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c’è la stessa tonicità nella soluzione circolante che all'interno della nostra cellula, ciò farà sì che non si modifichi in
nessun modo il volume della cellula.

Quando una soluzione è ipotonica si andrà ad aumentare il volume della cellula perché la pression e osmotica sarà
diversa fra l'interno l'esterno della cellula e creerà un richiamo di acqua all'interno della cellula stessa . Questo fa sì
che la cellula aumenterà di volume fino, eventualmente, ad esplodere; questo succede nei globuli rossi quando c'è
una concentrazione particolarmente elevata di glucosio circolante: si ha un aumento di glucosio e di
concentrazione di liquido e di acqua, quindi aumenta quella che è la quantità di plasma circolante determinando
un ingresso maggiore di acqua all'interno della cellula, generando anche l'esplosione della stessa. Quindi il volume
aumenta in maniera drastica fino a creare un danno cellulare e andare in contro a morte.

Nella soluzione ipertonica accade il contrario: la soluzione ipertonica ha una soluzione che ha una tonicità
maggiore rispetto al liquido intracellulare e quindi l'acqua presente all'interno della cellula uscirà dalla cellula
stessa per andare a riequilibrare la tonicità del liquido extracellulare. La cell ula si raggrinzisce. Questo è ciò che
succede a livello dei sensori del volume o della pressione presenti a livello dell'arco aortico. Quando si riduce il
volume circolante e quindi si concentrano le soluzioni, la tonicità delle soluzioni extracellulari diventa maggiore,
così i sensori cambiano la loro forma e si raggrinziscono, perché l'acqua che è presente all'interno della cellula del
sensore esce per andare a riequilibrare la tonicità del liquido extracellulare . Questo determina l’attivazione di un
meccanismo di controllo per mantenere lo steady state.

La tonicità delle soluzioni che circolano all'interno del nostro organismo va a influenzare quella che è la diffusione
passiva degli ioni e dell'acqua attraverso la membrana citoplasmatica.
Queste caratteristiche sono fondamentali per capire come avviene il passaggio passivo a livello di quella che è la
membrana plasmatica. Esistono delle sostanze che vanno ad influenzare maggiormente la pressione osmotica e
quindi la tonicità delle soluzioni circolanti rispetto ad altre.

Il globulo rosso ad esempio è una cellula che presenta il trasportatore per il glucosio ma non presenta il
trasportatore per l'urea. Normalmente nel sangue sono presenti quantità di glucosio ben determi nate grazie alla
presenza dell'insulina che permette il mantenimento della glicemia a livelli fisiologici; il livello della glicemia può
variare nei momenti post e pre prandiali e l’aumento di glicemia permette al glucosio di entrare nel globulo rosso.
Grazie al trasportatore il glucosio è in grado di passare da una parte all'altra della nostra cellula e non sarà in
grado di creare una pressione osmotica che andrà a variare la pressione del liquido circolante. Nel globulo rosso
ciò che permetterà la modifica della pressione osmotica del liquido circolante sarà la concentrazione dell'urea
circolante perché il globulo rosso non ha trasportatori per l’urea. L'urea che circola all'interno del nostro plasma
non riesce ad entrare all'interno del globulo rosso perché non ci sono trasportatori che permettono il passaggio
dell'urea all'interno di questa cellula, ciò creerà una pressione che andrà a modificare la pressione osmotica del
liquido circolante.
Nel globulo rosso l'urea è un’osmole efficace. Un’ osmole efficace è una sostanza che è in grado di creare una
forza e quindi di andare a modificare la pressione osmotica del liquido circolante e perché ciò sia possibile, questa
sostanza non potrà passare la barriera citoplasmatica, altrimenti non si creerà nessun tipo di forza ma si andrebbe
all'equilibrio e non si modificherebbe la pressione osmotica.

Sono tantissime le Osmoli efficaci che circolano all'interno del nostro organismo, alcune sono efficaci in certi
distretti del nostro organismo e non lo sono in altri, proprio perché ci sono trasportatori differenti sulle cellule
che permettono il passaggio di queste sostanze all'interno delle differenti cellule .

In questo caso nella diffusione passiva vanno prese in considerazione, oltre alle caratteristiche elettriche e alle
caratteristiche della concentrazione chimica, le caratteristiche legate alla pressione e alla quantità di certe
sostanze, rappresentate dall'osmolarità. Questa osmolarità è efficace nel caso in cui la sostanza stessa non sia in
grado di oltrepassare la barriera e quindi di creare una pressione sulla barriera stessa attraverso la sua incapacità
di oltrepassarla.

Un altro tipo di processo passivo è rappresentato dalla diffusione regolata.

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La diffusione regolata viene rappresentata dai canali ionici che hanno un gating, quindi un cancello che permette
l’apertura e chiusura del canale e conseguentemente il passaggio o meno dello ione da un lato o l’altro della
cellula. Il flusso degli ioni attraverso i canali ionici dipende dalla concentrazione dello ione, quindi dal gradiente di
concentrazione. Ad esempio il trasportatore del glucosio GLUT possiede un sito di legame che permette il legame
del glucosio, ma il legame avviene solo quando vi è una concentrazione di glucosio sufficiente a permettere il
legame della molecola al recettore, diversamente non si lega.
Il flusso di queste sostanze attraverso la membrana dipende dalla quantità di canali presenti (esempio: se vi è un
solo canale per il sodio difficilmente si creerà un flusso molto alto di ioni sodio all’interno della cellula). È
importante quindi il numero dei canali che sono in una situazione di apertura e la conduttanza. Se si ha u n canale
con una conduttanza bassissima per quello ione nonostante ci siano tanti canali non ci sarà mai un flusso elevato
per quello ione. La specificità e la conduttanza di quel determinato canale e il numero di canali presenti su quella
cellula determinano la quantità di flusso dello ione attraverso la membrana.

La diffusione facilitata è un altro tipo di trasporto passivo, che rientra all’interno del sistema di trasporto degli
uniporti, ovvero canali che riconoscono una singola molecola e che è in grado di attraversare la membrana in
un'unica direzione. I canali che permettono la diffusione facilitata sono anche detti “carrier”. La capacità di
permettere il trasporto degli ioni dipende dal gradiente di concentrazione della sostanza (che determina
l’apertura o meno del canale) e dalla specificità del canale.

Esempio: il canale del glucosio permette il passaggio del glucosio e anche il passaggio del fruttosio; questo perché
la specificità del canale non è così alta: quando si lega il fruttosio all’interno del canale questo canale non permette
il passaggio del glucosio e questo dimostra la specificità della diffusione facilitata. La diffusione facilitata è
maggiore quando il canale è molto specifico. La facilitazione sta appunto nel fatto ch e la quantità di soluto
presente all'interno della soluzione, che si trova su un versante della membrana, permette il legame di quel
determinato soluto al sito specifico del canale, cambiando la conformazione del canale una volta che la sostanza si
è legata. Questa conformazione permette il passaggio del soluto da un versante all'altro della membrana. La
capacità di legare determinate molecole all'interno del canale varia nel momento in cui il canale si trova aperto nel
versante extracellulare della membrana rispetto al versante intracellulare. In questo caso il canale è in una
situazione di scarico, per cui non c’è una molecola legata che permette il passaggio della molecola stessa
all'interno della membrana citoplasmatica; quando il soluto si lega al sito recettoriale del canale questo cambia
conformazione, chiude il suo poro esterno e apre il poro interno e questo cambio di conformazione abbassa quella
che è la specificità di questo recettore alla molecola, quindi la molecola si stacca e viene rilasciata.
La diffusione facilitata dipende sia dalla quantità di soluto presente all’interno delle soluzioni sui versanti della
membrana, sia dal numero dei canali presenti all’interno della membrana.
Questo corrisponde al meccanismo dell’uniporto: ovvero il soluto passa da un versante all’altro della membrana
in un'unica direzione.

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La cinetica della diffusione facilitata ha una cinetica di passaggio diversa dalla diffusione semplice.

Nella diffusione semplice il flusso è costante, quando la concentrazione del soluto è costante oppure aumenta in
base alla concentrazione del soluto (ES: se aumenta il sodio all’esterno della cellula, aumenterà anche il passaggio
del sodio all’interno della cellula fin che le soluzioni non si equilibreranno, in un sistema ipotetico), questa
diffusione semplice è proporzionale alla concentrazione del soluto e avrà una cinetica particolarmente veloce
nella prima parte quando la concentrazione di soluto è molto alta e poi andrà via via riducendosi.
Nella diffusione facilitata invece il passaggio dipende dalla concentrazione del soluto ma solo nella porzione
iniziale del passaggio stesso. Ad esempio in una membrana citoplasmatica ci sono 15 canali del glucosio e al di
fuori della membrana ci sono 20 molecole di glucosio, inizialmente le 20 molecole di glucosio vanno a legare i
recettori, occorrerà del tempo che il recettore leghi il glucosio, cambi conformazione, si apra verso l’interno della
cellula e faccia uscire il glucosio, poi ricambi nuovamente conformazione, si apra verso la parte extracellulare e
permetta il legame di un’altra molecola di glucosio. Per questo il trasporto è all’inizio legato alla concentrazione
del soluto ma poi raggiunge un plateau: quando i recettori sono tutti carichi di quella sostanza il passaggio non è
determinato dalla concentrazione di glucosio presente all’esterno della cellula, ma dalla mancata presenza dei
trasportatori che portano la molecola all’interno della cellula.
Quindi in una prima fase la cinetica è legata alla concentrazione del soluto, successivamente questa va verso un
plateau, un sistema di equilibrio che corrisponde al momento in cui i canali sono saturi.
Riepilogo: il trasporto passivo è dato da diversi canali che seguono quest o tipo di trasporto, possono esserci canali
che seguono il gradiente di concentrazione (diff. passiva), i canali ionici (specifici che hanno una certa selettività e
permeabilità e che possono prendere in considerazione il gradiente elettrochimico), diffusione regolata (apertura
e chiusura di porte), e diffusione facilitata (dove vi sono i recettori specifici e i canali sono attivati da ligandi e
permettono il passaggio di una certa quantità di sostanza all’interno della cellula in modo facilitato, non
dipendono dalla concentrazione del soluto).
In tutti questi casi non viene mai usata l’energia ma vengono sfruttati i gradienti elettrochimico e di
concentrazione.

Trasporto primario:

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Nel trasporto primario e nel trasporto attivo viene utilizzata energia, quindi il tra sporto è attivamente influenzato
dalla presenza di energia. Ciò che viene trasportato è un soluto o uno ione o una molecola il cui passaggio è contro
gradiente di concentrazione.

Queste proteine sono le proteine ATPasiche, che sono in grado di utilizzare l’ATP in modo veloce per poter creare
energia; quindi idrolizzano l’ATP, lo trasformano in ADP, si crea energia dalla liberazione di un gruppo fosfato
inorganico e questi permettono il passaggio di sostanze contro gradiente.

Le più importanti sono:

-pompe protoniche

-pompe per il Calcio, fondamentali nella struttura del muscolo scheletrico

-pompe che dipendono dalla Na+/K+ atpasi

La pompa ATPasi protonica permette il passaggio di idrogenioni, H+, tra un versante e l’altro della membrana
citoplasmatica soprattutto nelle strutture gastrointestinali ed è quella pompa protonica che in maggior modo
influenza quella che è l’acidità del nostro succo gastrico. Concentrazioni enormi di H+ vengono liberati all'interno
del succo gastrico nello stomaco grazie alla presenza delle pompe protoniche. Viene liberata energia per
permettere il passaggio contro gradiente di ioni H+; l’acidità del nostro succo gastrico è fondamentale per
permettere l’attivazione degli enzimi che permetteranno la digestione.

L’ATPasi per il Calcio è fondamentale per rimettere in equilibrio le concentrazioni di calcio all’ interno della cellula
muscolare. Il calcio deve essere presente all’interno del citoplasma della cellula per permettere la contrazione del
muscolo scheletrico. Il calcio viene accumulato nel reticolo sarcoplasmatico dove è present a una pompa che lega il
calcio proveniente dal citoplasma e lo porta all’interno del reticolo sarcoplasmatico, per mantenerlo
immagazzinato e pronto per essere usato quando deve essere svolta un’altra contrazione muscolare . Il tutto
consumando energia.

Le pompe Na+/K+ ATPasi sono fondamentali in tutte le cellule eccitabili per mantenere l’equilibrio elettrochimico
e il potenziale di membrana in uno stato di equilibrio. La pompa è fondamentale perché è in grado di portare nella
zona extracellulare il sodio, che invece tendenzialmente entrerà all’interno della cellula perché il liquido
intracellulare ha una concentrazione di sodio molto più bassa rispetto al liquido extracellulare . La pompa porta
fuori 3 ioni sodio all’esterno e permette l’ingresso del potassio contro gradiente. Questo è indispensabile per il
mantenimento di una fase di equilibrio del potenziale della membrana citoplasmatica. Le proteine presenti sulla
membrana citoplasmatica sono necessarie proprio per riequilibrare tutto ciò che si modifica durante la
funzionalità cellulare, ed è necessario consumare ATP per avere questo sistema di controllo d’equilibrio.

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L’ATP è una molecola che noi produciamo in grande quantità nei mitocondri, e viene usata per molti scopi tra cui
la contrazione muscolare. Un atleta durante una maratona di 40 km è in grado di consumare quasi una decina di
chili di ATP. È una molecola molto importante all’interno dell’organismo proprio perché serve a riequilibrare
l’energia usata dal nostro sistema sia a livello cellulare che a livello generale.

Trasporti attivi secondari:

I trasporti attivi secondari sfruttano il gradiente elettrochimico di due sostanze differenti che possono essere
portate nella stessa direzione tramite dei canali, i simporti.

es. un altro trasportatore del glucosio lo SGLUT SGLT, presente a livello dell’intestino e del rene, sfrutta
la presenza del sodio per aiutare il trasportatore a far entrare il glucosio all’interno della cellula, è un
trasportatore diverso, infatti usa il sodio per aumentare l'affinità del glucosio all'interno del canale e
permettere il passaggio di glucosio a livello di intestino e rene.

Questi simporti sono fondamentali anche nel trasporto di aminoacidi. Tutti i trasportatori di aminoacidi
sfruttano la presenza di sodio per permettere l'ingresso dell'aminoacido stesso all'interno della cellula.

Trasporto attivo secondario: cotrasporto di ioni

Oltre al trasporto di piccole molecole come amminoacidi o glucosio o neurotrasmettitori questo cotrasporto può
essere fatto anche attraverso proteine che sono in grado di legare singoli ioni e trasportare gli stessi ioni nella
stessa direzione. Uno dei trasportatori più importanti è l’NKCC2 che è un trasportatore in grado di legare al suo
interno uno ione Na+, K+ e due Cl-. Tutti questi ioni, due carichi positivamente e uno negativamente, entrano
all’interno del trasportatore e vanno tutti nella stessa direzione, sfruttano le cariche elettriche differenti delle
molecole che vengono trasportate, facilitando il trasporto delle stesse all'interno della cellula.

Gli antiporti fanno il contrario: utilizzano diversi substrati e diversi ioni sfruttando i loro gradienti elettrochimici
e i loro gradienti di concentrazione per trasportare le sostanze nel verso opposto. Nel simporto van no nella stessa
direzione nell’antiporto vanno in verso opposto.

Anche in questo caso ci sono scambiatori che sono in grado di legare sostanze che hanno gradiente di
concentrazione diverso all'esterno e all'interno della cellula, questi sfruttano le cariche elettriche di queste due
sostanze e le portano nei versi opposti per avere un trasporto facilitato dalle caratteristiche elettriche di quelle
sostanze. Non c’è necessariamente bisogno di sfruttare l’energia liberata da una reazione chimica come potrebbe
essere quella dell’idrolisi dell’ATP, perché le caratteristiche elettriche di queste sostanze creano una forza che
permette il passaggio contro corrente delle due sostanze in un verso e nell’altro.

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Fisiologia, lezione 3
08/10/2021
Prof. Sandra Guidi
Sbobinatori: Sara Fumagalli, Erika Grazioli
Revisore: Margherita Vettori

TRASPORTO
REGOLAZIONE DEL VOLUME CELLULARE (effetto Gibbs-Donnan)
Le grosse proteine cellulari dotate di carica negativa, gli anioni proteici, agiscono come gli ioni,
regolando lo scambio di molecole tra interno ed esterno della cellula e modificando le concentrazioni
osmolari ai due lati opposti del plasmalemma.
In una situazione ideale, con liquidi intra ed extracellulari formati soltanto da ioni semplici (potassio,
calcio, cloro, sodio, ione carbonato,…) sarebbe possibile calcolare, esaminando il gradiente
elettrochimico (concentrazione chimica e potenziale elettrico) del soluto, il suo flusso di passaggio
attraverso la membrana (trasporti passivi e attivi). In questa situazione perfetta, le soluzioni in esame
sarebbero sempre isotoniche e pertanto lo scambio di poche cariche non influirebbe minimamente sul
volume cellulare, nella realtà, però, la presenza di macromolecole proteiche dotate di carica modifica
questo valore.
Gli anioni proteici non sono in grado di oltrepassare la membrana, poiché i trasportatori sono deputati
allo spostamento di proteine di dimensioni ridotte, vengono sintetizzate a partire da DNA nucleare e
sono fondamentali per attivare varie cascate enzimatiche. Un esempio è la fosfatasi, che fosforila
proteine attivando meccanismi di risposta agli stimoli. Queste proteine non sono composti stabili
elettricamente, bensì appaiono sempre dissociate nell’acqua, che è una sostanza altamente polare.

Nell’immagine soprastante, in alto, è rappresentata una membrana semipermeabile che separa


l’interno A dall’esterno B della cellula. I due liquidi intra ed extracellulare hanno composizione
diversa ma uguale osmolarità e sono pertanto isotonici (non si assiste ad uno scambio di molecole tra
le due parti), questa è la situazione ideale. In questo caso la concentrazione degli ioni sodio tra LIC e
LEC è identica e pari a 100mmol/L, ciò significa che i gradienti elettrochimici sono identici e quindi
è confermata l’assenza di scambi molecolari (equilibrio).
Vi è però anche una certa concentrazione di anioni proteici (P⁻) di cui tenere conto all’interno della
cellula, del tutto assente all’esterno e questo porta ad una condizione di leggero disequilibrio. Le
proteine di grandi dimensioni non possono attraversare la membrana ma vi sono comunque ioni
negativi all’esterno che ne compensano la carica, ripristinando in parte l’omeostasi. Tuttavia la carica

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negativa interna richiama cariche positive all’interno e quindi parte del sodio esterno entra attraverso
canali ionici. Inoltre, il cloro del LEC non è compensato da altrettanto cloro nel LIC e quindi tende
ad entrare nella cellula secondo gradiente di concentrazione. Questi continui spostamenti di molecole
causano un accumulo interno di cariche negative, con conseguente disequilibrio che tende ad attrarre
sempre più sodio dentro la cellula, si tratta di una situazione del tutto fisiologica (immagine
soprastante, in basso), causata dalla presenza di anioni proteici stazionari. Per ripristinare l’omeostasi
(pressione osmotica in equilibrio), grandi quantità di acqua entrano nella cellula tramite le
acquaporine. Il risultato dei vari flussi è una situazione finale di equilibrio, caratterizzata però da
grandi differenze nelle varie concentrazioni ioniche, rispetto ai valori equivalenti che si avevano nella
situazione ideale.
Il ritorno alla situazione iniziale è garantito dall’azione della pompa Na+/K+ ATPasi (trasporto attivo
primario), che consuma energia per ripristinare un gradiente elettrochimico stabile, riequilibrando le
concentrazioni ioniche di partenza.
Anche in presenza di soluzioni isotoniche si ha quindi passaggio di molecole, determinato dai
differenti tipi di sostanze presenti tra interno ed esterno della cellula, che rendono l’equilibrio
fortemente dinamico. Si tratta dell’equilibrio di Donnan o effetto Gibbs-Donnan ed è un fenomeno
che avviene di continuo nelle cellule del nostro corpo.
N.B. la concentrazione proteica nel LIC appare diminuita da 100 a 85 mmol/L nonostante non ci
siano stati spostamenti di anioni proteici, ciò dipende dall’entrata di acqua nella cellula (è aumentato
il volume del solvente): il numero di ioni proteici è invariato ma essi si disciolgono in una quantità
maggiore di molecole di acqua.
Se il sistema fosse completamente sigillato/impermeabile all’acqua e non ci fosse la possibilità di
aumentare il volume di una delle due parti, si avrebbe una differenza di pressione, la pompa Na+/K+
ATPasi garantirebbe comunque il ripristino dell’equilibrio iniziale.
Le variazioni importanti dell’omeostasi cellulare attivano la funzionalità cellulare, generando un
potenziale alterato che garantisce la trasmissione di segnali (potenziale d’azione).

TESSUTO EPITELIALE
Ogni cellula trasporta una serie di liquidi e sostanze che
mantengono stabili volume cellulare e gradiente elettrochimico e
quindi permettono la sopravvivenza. Gli organi comunicano con
l’esterno del corpo attraverso tessuti epiteliali che permettono gli
scambi tra LIC e LEC e tra organi e ambiente esterno.
Gli epiteli sono di diversi tipi, in genere formati da pochi strati
cellulari che poggiano sulla membrana basale, le cellule sono di
forma solitamente regolare e presentano una polarità data da una
parte apicale che sporge verso il lume dell’organo, il quale
comunica con l’esterno, ed una baso-laterale, a contatto con la
lamina basale. Le cellule epiteliali sono in contatto tra loro
mediante giunzioni di diversi tipi:
• ADERENTI: alcune proteine strutturali mantengono la forma, la posizione ed i contatti delle
cellule, attraverso desmosomi ed emi-desmosomi.
• COMUNICANTI (GAP JUNCTIONS): l’unità funzionale è il connessone, formato da 6
subunità, dette connessine, l’emi-connessone di una cellula interagisce con quello della cellula
adiacente. Si tratta di legami fondamentali per la corretta funzionalità dei tessuti, a livello

25
cardiaco, ad esempio, queste connessioni garantiscono la sincrona contrazione dei
cardiomiociti delle pareti ventricolari (sincizio funzionale), attraverso il passaggio
dell’impulso contrattile da una cellula all’altra.
• STRETTE (TIGHT JUNCTIONS): determinano la polarità cellulare unendo le pareti laterali
di cellule a contatto ed impediscono, anche se non del tutto, il passaggio di molecole nello
spazio tra le due cellule. In questo modo le molecole che devono oltrepassare la barriera
devono obbligatoriamente farlo attraversando la cellula dall’apice alla base, si parla della via
transcellulare (tramite canali e trasportatori specifici). Un esempio è dato dalle sostanze
assorbite dal lume intestinale che entrano nelle cellule tramite trasportatori collocati sui villi
apicali e fuoriescono dalle membrane baso-laterali. Queste giunzioni non sono continuative,
bensì mancano in alcuni tratti, è attraverso queste zone che possono passare ioni,
micromolecole ed acqua, è la via paracellulare (tra una cellula e l’altra). Anche questi
trasporti sono regolati da gradienti elettrochimici e di concentrazione.

Le giunzioni consentono tipologie di trasporto specifiche: laddove lo spazio tra le pareti laterali di
due cellule contigue non è sigillato da giunzioni strette è possibile il trasporto paracellulare.
Anche in questi tipi di cellule si hanno trasporti di tipo passivo o attivo, attuati tramite canali,
trasportatori o pompe specifici. L’acqua si sposta per osmosi, secondo vie paracellulari e tramite le
acquaporine, secondo vie transcellulari. Quando la pressione osmotica è maggiore su uno dei due
versanti della membrana, l’acqua si sposta dove essa è minore, come avviene in tutti i distretti
corporei. A livello renale la quantità di acqua che passa nello spazio tra le cellule è spesso talmente
elevata da essere in grado di trasportare con sé anche piccoli ioni, come il sodio (molecole dissociate
grazie alla forte polarità dell’acqua), questo tipo di trasporto passivo è detto drenaggio da solvente
ed è fondamentale per garantire il mantenimento dell’osmolarità totale delle soluzioni presenti nel
nostro organismo (riequilibrio generale).
Il passaggio transcellulare di sostanze a livello epiteliale è regolabile tramite stimoli provenienti dal
SNA, ormoni e segnali paracrini.

26
TESSUTO ENDOTELIALE
L’endotelio è simile all’epitelio, poiché formato da uno strato di cellule dotate di polarità, che
permettono trasporti trans e paracellulari, la seconda via è molto rappresentata a livello delle
fenestrature sulle pareti dei vasi (endotelio fenestrato formato da cellule lasse e non strettamente adese
le une alle altre), attraverso le quali passano acqua, gas (ossigeno, anidride carbonica) e nutrienti
(zuccheri) dal sangue ai tessuti.
Solo poche (1%) piccole proteine riescono a fuoriuscire nel LEC, la maggior parte delle
macromolecole proteiche (albumina, fibrinogeno), invece, date le loro grandi dimensioni, non
riescono ad attraversare le fenestrature e quindi permangono nel plasma, determinando una forza
particolare all’interno della cellula, cui contribuisce anche la pressione dell’acqua (presente sia nel
LIC che nel LEC). All’esterno delle cellule, oltre alla pressione dell’acqua, vi sono anche alcuni soluti
(ioni e poche piccole proteine) che generano una forza simile a quella delle proteine plasmatiche.
Queste quattro forze, bilanciandosi, generano lo spostamento di liquido da una parte all’altra
dell’endotelio. La forza determinata dall’acqua è la pressione idrostatica, quella generata dalle
proteine e dagli ioni è invece detta pressione oncotica, calcolabile tramite la Legge di Van’t Hoff,
come la pressione osmotica, ma introducendo in essa un nuovo coefficiente, quello di riflessione,
che assume valori compresi tra 0 e 1 e rappresenta la capacità che le proteine hanno di oltrepassare
l’endotelio. Il coefficiente vale 0 nella situazione ideale in cui tutte le proteine possono fuoriuscire
dai vasi tramite le fenestrature, nella realtà i valori sono molto vicini a 1 (nessuna proteina oltrepassa
l’endotelio). Entrambe le pressioni sono misurabili all’interno ed all’esterno del capillare, assumono
valori differenti nelle due zone ed agiscono in opposizione le une rispetto alle altre per permettere
due fenomeni distinti:
• FILTRAZIONE: il liquido fuoriesce dal capillare e si riversa nel liquido interstiziale
• ASSORBIMENTO: il liquido proveniente dal liquido interstiziale entra nel capillare
La diversa direzione del flusso di liquido dipende dal bilancio tra le pressioni idrostatica ed oncotica
delle due parti.
-la pressione idrostatica nel capillare favorisce la filtrazione (gradiente di concentrazione), affinché
l’acqua in eccesso venga rimossa
-la pressione idrostatica nel liquido interstiziale favorisce l’assorbimento, affinché la grande quantità
d’acqua presente venga smaltita nel capillare

27
-la pressione oncotica nel capillare favorisce l’assorbimento (gradiente di concentrazione), poiché la
grande quantità di proteine richiama acqua
-la pressione oncotica nel liquido interstiziale favorisce la filtrazione, cioè richiama acqua dal
capillare
È così che avviene lo scambio di molecole ed acqua tra capillari e liquido interstiziale.

EQUAZIONE DI STARLING (regola il trasporto)

L’equazione dice che il flusso di


liquido che va verso l’esterno del
capillare o verso l’interno è regolato
da una serie componenti che sono le
quattro forze e la costante di
filtrazione (capacità di permeabilità
dei canali ionici). Il flusso attraverso
il capillare è dato dalla costante di
filtrazione che prende in
considerazione la pressione
idrostatica del nostro capillare più la pressione oncotica del liquido interstiziale che sono due forze
che vanno nella stessa direzione. La pressione idrostatica del capillare tende a far fuoriuscire il liquido
(perché l’acqua è più concentrata nel capillare rispetto alla parte interstiziale e quindi tende ad uscire).
La pressione oncotica interstiziale (proteine presenti nell’interstizio) tende a richiamare acqua, fa
uscire acqua dal capillare per riequilibrare la pressione oncotica a livello interstiziale quindi queste
due grandezze devono essere sommate perché vanno nella stessa direzione.
Quindi pressione idrostatica del capillare deve essere sommata alla pressione oncotica interstiziale, a
questo valore devono essere poi sottratte la pressione idrostatica a livello interstiziale e la pressione
oncotica a livello capillare. Queste determinano il passaggio/filtrazione del capillare verso il liquido
interstiziale o viceversa.
Esempio:
Pressione idrostatica a livello
capillare nel versante arterioso= 32
mmHg
Pressione idrostatica del capillare a
livello venoso= 15 mmHg.
La linea indica la variazione della
pressione idrostatica nel capillare
stesso, si osserva una diminuzione
dal versante arterioso al versante
venoso.
La pressione oncotica all’interno
del capillare rimane costante dal
versante arterioso a quello venoso,
perché le proteine non riescono a
passare attraverso la barriera del
nostro endotelio (passa solo 1 % di
proteine attraverso le fenestrature
dell’endotelio, è talmente bassa la
percentuale che non va a modificare la pressione oncotica del nostro capillare). Nel versante del

28
liquido interstiziale la pressione idrostatica è di 1-2 mmHg, la pressione oncotica è di 0-0,5 mmHg,
quindi abbiamo tutti gli elementi per valutare se si ha filtrazione o assorbimento nel nostro capillare.
In condizione fisiologica queste condizioni determineranno la fuoriuscita di liquido dal capillare
all’interno dell’interstizio generando un meccanismo di filtrazione, questa permette appunto la
fuoriuscita di acqua, glucosio e piccole sostanze amminoacidiche che si riversano nel tessuto
interstiziale. Se tutto rimane nel mantenimento di questi valori di pressioni si otterrà sempre una
filtrazione della soluzione che passerà dal capillare al liquido interstiziale, inoltre la maggior parte
del liquido verrà riassorbito dai vasi linfatici andando a far parte della linfa e verrà riportata alle
strutture vascolari.
Si avrà riassorbimento quando la filtrazione permette il passaggio di soluti e di acqua dal capillare
allo spazio interstiziale andando a modificare la concentrazione del liquido interstiziale, proprio
perché si avrà un maggiore passaggio di zucchero, proteine rispetto al caso di un capillare semplice.
Nel caso in cui il sistema linfatico non funzioni correttamente o in una situazione di squilibrio dovuta
al passaggio di sostanze attraverso i capillari potrebbe arrivare a creare un fenomeno di assorbimento,
a livello periferico. Difficilmente si ha un’attivazione di assorbimento a livello delle strutture
capillari, l’assorbimento si sviluppa maggiormente nelle strutture che sono deputate al controllo dei
liquidi come a livello renale.
Quindi vengono prese in considerazione queste 4 forze che vanno a regolare il flusso di liquido, il
valore dell’equazione di Starling ci farà capire se il flusso sarà verso l’esterno e quindi si avrà
filtrazione, se invece il flusso sarà opposto tenderà a spingere il liquido all’interno dei nostri vasi e si
avrà assorbimento (fondamentale per i reni per la filtrazione glomerulare).
Il passaggio endoteliale attraverso le fenestrature dell’endotelio è proprio regolato dall’equilibrio di
queste 4 forze (pressione idrostatica capillare ed interstiziale e la pressione oncotica sempre capillare
ed interstiziale) generano spostamento di liquido in un verso piuttosto che un altro, ancora una volta
questi spostamenti devono andare a recuperare un equilibrio (omeostasi).

KAHOOT
1. L’osmosi prevede il movimento di acqua attraverso canali proteici specifici? Si attraverso le
acquaporine, non riesce a diffondere passivamente attraverso la membrana che ha una
composizione lipidica però può passare attraverso gli spazi tra le cellule quindi in questo caso
si parla passaggio paracellulare.
2. L’entità di flusso netto J attraverso una membrana è direttamente proporzionale rispetto allo
spessore della membrana? Falso, è inversamente proporzionale
3. Il coefficiente di diffusione D di una grossa molecola? E’ minore di quello di una
micromolecola, quindi una molecola grande riesce a passare meno facilmente.
4. La legge di Fick non viene rispettata per il flusso di molecole attraverso la membrana mediato
da carriers? Vero, regola il flusso di una diffusione passiva in cui non c’è una regolazione
5. La pressione osmotica dipende: dalla concentrazione dei soluti indiffusibili, esempio: l’urea
non può passare attraverso la barriera del globulo rosso quindi è indiffusibile, la molecola di
liquido esterna al globulo rosso creerà una forza che è rappresentata da una pressione
osmotica, se tutte le sostanze presenti fossero in grado di attraversare la barriera della cellula
si creerebbe un equilibrio e quindi non ci sarebbe differenza di pressione, ciò che determina
una pressione (variazione di pressione) osmotica è la presenza di soluti indiffusibili.
6. Il catione più concentrato nel liquido extracellulare è il Na? Falso, no il K
7. Il trasporto degli AA attraverso la membrana delle cellule epiteliali intestinali è? Un trasporto
attivo secondario
8. Nell’endocitosi: alcune aree della membrana s’invaginano e si staccano formando delle
vescicole.
9. La fibrosi cistica è una malattia genetica autosomica recessiva causata dalla mutazione del
gene sodio/potassio ATPasi? Falso, la mutazione è su gene per un canale legato al trasporto
del Cl

29
10. Le proteine plasmatiche: non diffondono attraverso le fenestrature delle parete dei capillari,
solo una piccolissima quantità può passare.
11. L’osmolarità di una soluzione di 100 mmol/L di NaCl è pari? A 200 mOsm/L, NaCl si dissocia
in Na e Cl quindi se noi abbiamo una soluzione con 100 mmol/L bisogna moltiplicarla per 2
quindi per il numero di ioni presenti, se avessimo avuto il glucosio che non fa dissociazione
sarebbe rimasto lo stesso.
12. La pressione idrostatica del capillare promuove la filtrazione di acqua? Vero, questa forza
tenderà a far fuoriuscire il liquido verso l’esterno.

POTENZIALE DI MEMBRANA A RIPOSO E DI AZIONE


POTENZIALE DI MEMBRANA→ la membrana citoplasmatica è polarizzata elettricamente perché
all’interno e all’esterno abbiamo concentrazioni e cariche di soluti diverse, all’interno della
membrana vi sono proteine che sono molto meno abbondanti del liquido extracellulare e quindi
creano anch’esse un gradiente elettrochimico perché danno una carica negativa. Quando si parla di
cellule eccitabili normalmente l’interno è negativo mentre l’esterno della membrana è positivo
(liquido extracellulare c’è una grande concentrazione di Na carico positivamente).
Queste cariche tra interno ed esterno della cellula determinano la generazione di un potenziale di
membrana che si calcola facendo la differenza tra potenziale interno ed esterno e questo può essere
modificato a seguito di stimoli differenti, andando incontro a una modificazione del potenziale di
equilibrio o di riposo. Nelle cellule eccitabili (come le cellule nervose) quando non ce passaggio di
ioni da una parte all’altra della membrana, abbiamo un potenziale di riposo che è di circa -60/-70mV,
in altri tipi cellulare può essere più positivo o negativo in base alle condizioni, ad esempio nella
cellula muscolare scheletrica il potenziale di riposo di -90mV.
Il potenziale ha come unità di
misura il milliVolt.
Nel 1940 applicando dei
microelettrodi all’interno e
all’esterno della cellula
riuscirono a misura la
differenza di potenziale della
membrana.
I primi studi vennero fatti
sugli assoni giganti del
calamaro (cellula molto
grande che permette lo studio
molto più semplificato
rispetto ad un piccolo neurone
per studiare le variazioni di
potenziale), la differenza di
potenziale è generata dal
gradiente elettrochimico
quindi dalla concentrazione chimica delle sostanze organiche ed inorganiche, quando è in equilibrio
permette un mantenimento di un potenziale a riposo che è sempre equilibrato.

30
Esempi di diverse cellule:
Durante una situazione di riposo avremo sempre una membrana che avrà un accumulo di cariche
negative all’interno della cellula e si avrà un accumulo invece di cariche positive sul versante esterno
della cellula, questa differenza è data da una concentrazione differente di ioni che deve essere
mantenuta. Quando si va incontro a variazioni di gradienti elettrochimici entrano in gioco le pompe
protoniche Na/K ATPasi che permettono di riportare continuamente la cellula verso un’omeostasi di
potenziale ed è necessario che il potenziale di riposo venga ripristinato.

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Fisiologia cellulare del 13/10/2021
Docente: Sandra Guidi
Sbobinatrici: Giulia Villa, Sabrina Zagnoli
Revisore: Noemi Tonini
Argomenti: Potenziale di membrana, Potenziali graduati nelle cellule eccitabili

POTENZIALE DI MEMBRANA A RIPOSO


Abbiamo già visto le caratteristiche
che possono determinare un
potenziale di membrana a seguito di
cariche elettriche che si depositano
sui due lati della membrana con
valenza opposta. Le cariche positive
sono maggiormente concentrate
all’esterno della membrana mentre
le cariche negative sono
maggiormente concentrate
all’interno. Esiste una differenza di
potenziale misurabile con
piccolissimi microelettrodi, essa è in
grado di mantenersi stabile nel caso
di un potenziale di membrana a
riposo, oppure modificarsi e dare vita a un potenziale d’azione, o a un potenziale graduato, che
servono a mettere in comunicazione le diverse cellule eccitabili tra di loro.
Le concentrazioni degli ioni presenti sui versanti della nostra membrana sono differenti, il liquido
extracellulare rispetto al liquido
intracellulare ha gradienti di
concentrazione di ioni differenti, che
creano il potenziale tra l’interno e
l’esterno della membrana stessa. Per
capire come si origina un potenziale di
membrana a riposo, prendiamo in
considerazione una grossa cellula
(usata anche da Hodgikin e Huxley nel
1940) che è l’assone di un neurone di
calamaro, questa è una cellula
particolarmente grande con un assone
di qualche millimetro, quindi semplice
da usare sperimentalmente.

Figura 1 Qui ci sono le concentrazioni degli ioni presenti nel


liquido intracellulare ed extra cellulare di particolari cellule.

32
Fingiamo che questa cellula sia permeabile solo a uno ione, che è rappresentato dallo ione potassio,
mentre gli altri ioni rimangono nelle loro concentrazioni extracellularmente perché non esistono
canali in grado di permettere il passaggio di questi ioni. Il potassio ha una concentrazione intra
cellulare maggiore rispetto che all’esterno. Esso, senza consumo di energia, attraverso dei canali
ionici che hanno una certa permeabilità (in questo caso solo per il potassio) seguirà il suo gradiente
di concentrazione. Per cui dall’interno lo ione tenderà a fuoriuscire dalla cellula per andare a
equilibrare il gradiente di concentrazione intra ed extra cellulare e andare a creare un accumulo di
cariche negative all’interno della cellula. Il potassio è uno ione positivo, se esce una certa quantità
di potassio dalla cellula ovviamente si perderanno cariche positive all’interno della stessa e quindi
aumenteranno le cariche negative all’interno. Queste cariche negative sono generate dalla presenza
di anioni sia macroscopici che microscopici: le proteine (macromolecole) e piccole molecole con
carica negativa, come i gruppi fosfato. Il potassio esce dalla cellula secondo gradiente di
concentrazione e si ha una riduzione della carica positiva all’interno della cellula e un aumento di
quella negativa. Le proteine non passano dalla membrana citoplasmatica, se non tramite trasporto
vescicolare, che in questo caso non è possibile, e la carica negativa aumenta all’interno della cellula.
Allo stesso modo quella positiva aumenta all’esterno della cellula perché il potassio sta uscendo.
Il “pool” di cariche elettriche negative interne alla cellula tenderà ad attirare verso l’interno delle
cariche positive, quindi in questo caso (si era detto che la membrana è positiva solo allo ione
potassio) questo aumento di carica elettriche negative tenderà a riportare all’interno il potassio, per
equilibrare quel gradiente elettrico che si è generato (è diventato più negativo) all’interno della
cellula attraverso la fuoriuscita del potassio stesso.

Figura 2 La freccia rossa rappresenta il passaggio dello ione potassio che segue il gradiente di
concentrazione, mentre la freccia nera in direzione opposta rappresenta l’ingresso dello ione
potassio all’interno della cellula per andare a riequilibrare la variazione del gradiente elettrico
che si genera appunto all’interno della nostra cellula.

Se la cellula fosse permeabile esclusivamente al potassio con l’andar del tempo le due forze si
equilibrerebbero, e si raggiungerebbe un equilibrio, in cui il gradiente elettrochimico sia di
concentrazione che di carica elettrica è identico tra l’interno e l’esterno della cellula, quindi un
momento in cui le caratteristiche chimiche ed elettriche del liquido extra cellulare ed intra cellulare
si eguagliano. Così la differenza di potenziale del potassio della nostra membrana tenderebbe ad
essere uguale a zero, perché tutto è in equilibrio.

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Tutto ciò si può vedere nell’equazione di Nernst. La forza del gradiente elettrochimico spinge gli
ioni verso l’interno o verso l’esterno della cellula e crea una variazione di potenziale. Quando non
c’è più passaggio di ioni tra l’interno e l’esterno della cellula essendoci un equilibrio elettrochimico,
il potenziale della nostra cellula non varia più ed esso risulta uguale al potenziale di membrana a
riposo. Calcolando il gradiente elettrochimico della cellula si vede che esso a riposo è uguale a zero.
Ora si può valutare il potenziale della nostra cellula a riposo.
Se poniamo il gradiente elettrochimico uguale a zero, otteniamo l’equazione di Nernst, in cui il
potenziale di membrana (che in questo caso sarà legato solo al movimento del potassio), verrà
calcolato nel momento di equilibrio, cioè quando il gradiente elettrochimico all’interno e all’esterno
della cellula è identico perché i vari spostamenti del potassio verso l’interno e l’esterno della cellula
seguono un gradiente di concentrazione e di carica, riportando la struttura all’equilibrio. Il potenziale di
riposo di una membrana esclusivamente permeabile al potassio si calcola con l’equazione di
Nernst:
[𝑋]𝑖
0 = 𝑅𝑇 ln [𝑋]𝑒 + 𝑍𝑥𝐹𝑉m
𝑅𝑇 [𝑋]𝑒
Da cui: 𝑉𝑚 = 𝑙𝑛 [𝑋]𝑖
𝑍𝑥𝐹
Nel caso del K+ il valore di Vm corrisponde a:
𝑅𝑇 [𝐾+]𝑒
𝐸𝑘: 𝑙𝑛 [𝐾+]𝑖 = -75mV
𝑍𝑥𝐹

 Ek= potenziale di equilibrio del potassio


 R= costante dei gas (8.315 J/K/mol)
 T= temperatura in gradi kelvin (273.16+Tcelsius)
 z= valenza dello ione (1 per il K+)
 F= costante di Faraday (96.485 C/mol)
 Considerata una temperatura di 25°C
Ek rappresenta il potenziale di equilibrio dello ione potassio. Si sostituiscono gli elementi
dell’equazione con i nostri valori considerando la concentrazione interna ed esterna del potassio
rispetto all’assone del calamaro, quindi 20mEq/L nel liquido extra cellulare mentre 400 mEq/L nel
compartimento intra cellulare e così il potenziale di equilibrio del potassio nella cellula sarà di -75
mV. A questo potenziale di membrana non ci sarà nessun tipo di spostamento degli ioni potassio né
verso l’interno né verso l’esterno, perché i gradienti elettrochimici su entrambi i lati rispetto allo
ione potassio sono in equilibrio.
La membrana è una membrana a riposo in questo momento, non ci sono spostamenti di cariche da
una parte all’altra, tutto è equilibrato. Ovviamente questo potenziale di equilibrio contando solo lo
ione potassio tenderà a modificarsi, perché la concentrazione dello ione potassio all’interno e
all’esterno della cellula può variare, soprattutto all’esterno, in base all’introduzione di ioni potassio
in un modo o nell’altro. Non si conosce il nutrimento del calamaro, ma se la concentrazione di
potassio nel liquido extra cellulare aumenta perché viene introdotto potassio all’interno
dell’organismo, il potenziale diventa più negativo. Questo va a modificare gli equilibri del gradiente
elettrochimico del potassio, andando a generare una forza che permetterà lo spostamento di potassio
nel verso rappresentato dal gradiente elettrochimico. Tutte le variazioni delle concentrazioni di ioni

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all’interno e all’esterno della cellula modificano il potenziale di equilibrio a riposo perché le forze
che vengono a generarsi tenderanno a riportare all’equilibrio la membrana.
Il potassio è uno ione che tende ad uscire dalla cellula, se la concentrazione aumenta in modo
eccessivo nel liquido extra cellulare esso tenderà ad entrare nella cellula secondo gradiente di
concentrazione, quindi creerà un flusso di potassio al contrario rispetto a quello che generalmente ci
si aspetta in una cellula fisiologica. Questo potenziale di membrana che si genera prende il nome di
potenziale di inversione, cioè quella caratteristica elettrica della membrana in un determinato
momento in cui il flusso ionico del potassio, in seguito a delle modificazioni del liquido intra ed
extra cellulare, invertirà la direzione del flusso dello ione stesso. In quel momento variazioni
importanti di concentrazione del nostro ione creeranno forze che permettono di modificare il flusso
fisiologico dello ione. Esiste una concentrazione fisiologica che se non viene modificata determina
il potenziale di equilibrio di uno ione (consideriamo sempre un singolo ione, il potassio), questo può
essere modificato in base alle modificazioni dei gradienti di concentrazione dei liquidi intra ed extra
cellulare, fino a raggiungere una forza tale per cui i flussi ionici che ci aspettiamo di trovare
normalmente possono essere invertiti.
Questo è un evento facile, che avviene nel momento in cui la nostra membrana è permeabile a un
singolo ione, cosa che non avviene praticamente mai, poiché sono molti gli ioni presenti nel liquido
extra ed intra cellulare, e sono differenti i canali ionici che permetto il passaggio dei vari ioni, tra
cui il sodio. Per calcolare il potenziale di riposo di una cellula in cui ci sono differenti canali ionici
permeabili a diversi ioni, bisogna calcolare il potenziale di equilibrio di ogni ione sommando poi i
valori ottenuti tra loro e bisogna anche tener conto della capacità di ciascun canale ionico di
permettere il passaggio di uno ione(conduttanza) e la sua permeabilità. Il potenziale di riposo del
sodio è calcolato con l’equazione di Nernst e valutando le concentrazioni dello ione riportate nella
tabella dell’assone di calamaro, il potenziale di equilibrio del sodio è +55 mV, un potenziale di
equilibrio che si discosta molto dal potenziale di equilibrio della cellula che è circa -60/-70 mV,
questo ci dice che la nostra membrana ha dei canali ionici specifici per il sodio con una permeabilità
molto bassa. Quindi più il potenziale di equilibrio di uno ione si avvicina al potenziale di equilibrio
di una cellula, più sarà facile per lo ione attraversare la membrana.

La permeabilità è una caratteristica specifica di ogni canale ionico, e influenza il potenziale di


riposo della membrana in toto. Quindi il potenziale di equilibrio del potassio nell’assone è di -75
mV, mentre quello del sodio è di +55 mV, però non ci sono solo questi ioni, ma anche altri
coinvolti nel passaggio attraverso la membrana, come il cloro o il calcio, che entrano ed escono
dalla cellula. L’insieme di questi potenziali di equilibrio specifici per ogni ione, viene valutato
insieme a tutti gli altri per calcolare il potenziale di membrana a riposo di una cellula eccitabile.
Per fare ciò si usa l’equazione di Goldman, che è come partenza un’equazione di Nernst, ma nella
seconda parte prende in considerazione non solo le concentrazioni intra cellulari ed extra cellulari di
ogni singolo ione, ma mette anche in relazione le diverse concentrazioni interne ed esterne dei
differenti ioni con la permeabilità del loro canale specifico.

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P presente prima di ogni concentrazione di ogni ione rappresenta la permeabilità che il canale
specifico per quello ione ha sulla membrana cellulare.
Riassunto: il potenziale a riposo di uno ione rappresenta quel potenziale di membrana in cui si ha
una situazione di equilibrio, un equilibrio in cui il gradiente elettrochimico dello ione che è in grado
di passare attraverso la membrana si equivale all’interno e all’esterno della cellula. Questo
avverrebbe se considerassimo tante cellule con canali permeabili a un singolo ione (una cellula
permeabile solo al K, una solo al Na, una solo al Cl). Una cellula normale ha differenti canali ionici
che permettono il passaggio di diversi ioni, ogni canale ionico ha una certa permeabilità rappresenta
dalla caratteristica del canale stesso, quindi dalla sua grandezza e dalla carica elettrica interna che
permette un’affinità maggiore per uno ione piuttosto che per un altro. La cellula a riposo, quando
non ci sono “stimoli esterni”, presenta un potenziale di membrana che si calcola con l’equazione di
Goldman, in cui prendiamo in considerazione tutti i vari canali ionici presenti sulla membrana e la
loro permeabilità in relazione alle concentrazioni intra ed extra cellulari dei singoli ioni. Questa
equazione ci dà il valore del potenziale di membrana a riposo, che per un neurone di mammifero è
di -60/-70 mV, per una cellula muscolare scheletrica è -90 mV. Tutti gli sforzi che la cellula fa
saranno per poter arrivare a questo punto di equilibrio.
Ci sono canali passivi sulla membrana citoplasmatica che permettono il passaggio in modo passivo
di ioni, ad esempio il canale passivo per il potassio che ha una permeabilità altissima rispetto al
canale del sodio, perché il potenziale di equilibrio di questi ioni è particolarmente diverso.
L’ingresso degli ioni sodio sarà ridotto nella quantità, perché la permeabilità del canale del sodio è
ridotta rispetto alla permeabilità del canale per il potassio. Però con l’andar del tempo, se ci fossero
solo canali passivi per il sodio e per il potassio e gli ioni seguissero i loro gradienti elettrochimici, si
arriverebbe in una situazione in cui, sia la concentrazione degli ioni sodio, che quella degli ioni
potassio sarebbero equivalenti all’interno e all’esterno della cellula. Così non ci sarebbe nessun tipo
di movimento e neanche la possibilità di andare in contro a una variazione del potenziale di
equilibrio della membrana, perché la diversità di gradienti elettrochimici di sodio e potassio sarebbe
annullata. Questo è ciò che si avrebbe se la nostra membrana fosse permeabile solo a sodio e
potassio e i canali ionici fossero solo a cinetica passiva, ma non è così perché ci sono anche altri
canali presenti sulla membrana citoplasmatica, in particolare canali attivi, come le pompe sodio
potassio ATPasi, che funzionano in modo assolutamente specifico per il mantenimento del
gradiente elettrochimico tra l’interno e l’esterno della cellula, consumando energia per far uscire il
sodio che ha un gradiente di concentrazione più basso all’interno rispetto che all’esterno della
cellula. Queste quindi lavorano contro gradiente, e permettono l’ingresso di due ioni potassio
andando a riequilibrare il movimento di questi ioni attraverso i loro canali ionici specifici passivi.

Quindi nella membrana fisiologicamente abbiamo i canali del sodio che sono di più dei canali del
potassio e i canali del potassio che sono più permeabili di quelli del sodio per loro caratteristica.
Questi permettono il passaggio di potassio verso l’esterno, con un accumulo di cariche elettriche
negative all’interno della cellula. A questo si aggiunge la funzionalità dei canali passivi per il sodio

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che permettono l’ingresso all’interno della cellula di sodio, anche se in quantità non elevata come
quella del potassio in uscita, ma che va comunque a ridurre un minimo quella che è la carica
elettrica negativa all’interno della nostra cellula, e mantiene la differenza di gradiente
elettrochimico tra l’interno e l’esterno della cellula, fondamentale per attivare il potenziale di azione
o il potenziale graduato. C’è l’azione della pompa sodio potassio ATPasi che trasporta questi ioni
contro gradiente mantenendo la differenza di gradiente elettrochimico dei due ioni, una componente
fondamentale nel mantenimento del potenziale elettrochimico.

Oltre a questi ioni nell’equazione di Goldman si vede che viene considerato anche lo ione cloro nel
calcolo. In realtà il cloro ha un potenziale di equilibrio che è praticamente uguale a quello del
potenziale di membrana a riposo, quindi il movimento di ioni cloro è pari a zero. Ciò che influenza
in modo specifico il potenziale di riposo della cellula è la concentrazione di sodio e potassio.
Riassunto: il potenziale di membrana della cellula a riposo viene generato grazie alla presenza dei
diversi gradienti elettrochimici degli ioni all’interno e all’esterno della cellula. Viene attivato dal
passaggio di ioni potassio perché la permeabilità di questo ione è maggiore rispetto a quella del
sodio. La differenza di potenziale di riposo viene mantenuta da quella che è la funzionalità della
pompa sodio potassio ATPasi che va a riequilibrare i differenti gradienti elettrochimici che si
modificano nel passaggio attraverso i canali passivi di Na+ e K+, altrimenti il potenziale di -60mV
si annullerebbe per azione dei canali passivi.
Questo è ciò che si genera nel momento in cui la cellula eccitabile si tiene in una situazione di
riposo o equilibrio.
Se agisse solo il canale passivo per il potassio, il nostro potenziale della membrana a riposo sarebbe
di -90 mV. La funzionalità della pompa sodio potassio ATPasi va a variare il “potenziale della
membrana di circa -5 mV, quindi da -90 diventa -95 mV. Ciò che invece porta il potenziale a -70
mV sarà la funzionalità dei canali passivi del sodio che tenderanno ad andare verso il potenziale di
equilibrio del sodio, anche se non ci arriveranno mai perché è troppo distante dal potenziale di
equilibrio, ma ridurranno comunque la negatività del potenziale del potassio.
Da un potenziale di membrana a riposo le cellule possono modificare il loro potenziale di
membrana, a seguito di tantissimi stimoli che possono essere stimoli elettrici, variazioni di
concentrazione di ioni all’interno e all’esterno della cellula o la presenza di particolari ligandi che
sono in grado di legarsi ai canali o alle proteine di membrana presenti sulla membrana
citoplasmatica, che permettono l’apertura dei canali e modificano le concentrazioni ioniche del
liquido extra ed intra cellulare.

37
Questo avviene nelle cellule eccitabili, e la
cellula eccitabile per eccellenza è il neurone. Il
neurone è la cellula fondamentale del sistema
nervoso. Esse hanno forme diversissime,
concentrazioni differenti come numero di
cellule all’interno delle varie strutture cerebrali
e sono importanti per la comunicazione tra le
varie cellule, come il passaggio di corrente
elettrica tra le varie cellule per dare vita a una
risposta specifica a un determinato stimolo che
ha generato una variazione del potenziale di
membrana a riposo del neurone. Queste cellule
hanno caratteristiche differenti della
membrana citoplasmatica, presentano canali
ionici diversi posizionati sulla membrana
citoplasmatica e quindi ogni singolo neurone
può andare in contro a modificazione del
potenziale di membrana a riposo a seguito di
stimoli differenti. I neuroni comunicano tra di loro per permettere il passaggio di corrente elettrica
tramite delle strutture che sono le sinapsi. La corrente che passa tra le sinapsi può essere corrente
elettrica vera e propria, rappresentata da passaggio di cariche elettriche attraverso una sinapsi
elettrica, oppure liberazione di neurotrasmettitori, che si legheranno sul recettore della cellula
successiva presente nelle proteine di membrana che permettono il passaggio di cariche ioniche
differenti e quindi la variazione del potenziale di membrana a riposo del neurone successivo. Quindi
qualunque stimolo sia in grado di modificare il potenziale di membrana a riposo di una cellula
creerà una risposta all’interno della stessa cellula, che potrà essere un potenziale graduato, cioè
una piccola variazione da quello che è il potenziale di riposo, oppure un potenziale d’azione, cioè
un evento elettrico che permetterà l’attivazione del nostro neurone, e darà vita a un passaggio di
corrente elettrica tra una cellula e l’altra, attivando la comunicazione tra i diversi neuroni.

Per vedere come si genera questa variazione di potenziale della membrana citoplasmatica bisogna
vedere come funziona dal punto di vista elettrico-

MEMBRANE ECCITABILI
Ci sono cellule eccitabili che sono in grado di modificare il loro potenziale di membrana a riposo per
generare attività cellulari differenti come ad esempio la comunicazione fra neuroni, la contrazione
muscolare, nel caso di una fibra muscolare, o la liberazione di ormoni, se si parla di cellule endocrine.
La modificazione del potenziale di membrana porta all’attivazione della cellula eccitabile che avrà
una risposta diversa a seconda del tipo cellulare.

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Per capire come si modifica il potenziale di riposo della membrana a seguito di una stimolazione, si
considera la membrana come un condensatore piano che è formato da due armature, le quali sono
ai vertici della membrana e sono in grado di accumulare cariche elettriche, positive all’esterno e
negative all’interno della cellula. Sono, inoltre, separate da un materiale isolante, ovvero i fosfolipidi
di membrana. Sono presenti nello spessore della membrana anche dei canali ionici, i quali permettono
il passaggio di cariche elettriche e
funzionano nel “circuito elettrico” come
delle resistenze, che hanno una loro
permeabilità e conduttanza e per questo
generano una resistenza.
Tutti i condensatori hanno una capacità,
quindi anche la membrana in questo caso,
che dipende dalla quantità di cariche
accumulate, quindi la differenza di cariche
elettriche Q, rispetto al potenziale che si
genera dall’accumulo di queste. La
capacità viene calcolata come il rapporto
fra la differenza delle cariche elettriche ai
due lati, fratto la differenza di potenziale che si genera fra le due armature del condensatore:
∆𝑄
𝐶=
∆𝑉

Ogni membrana, quindi, ha una sua capacità in base a determinate caratteristiche che sono:

𝜀𝑆
𝐶=
𝑟
1. la costante dielettrica (𝜀), che non è altro che la conduttanza, ovvero la capacità di permettere
o meno il passaggio di corrente attraverso essa.
2. l’area delle armature (S) che formano il condensatore.
3. lo spessore del condensatore (r), che è inversamente proporzionale alla capacità.
La membrana citoplasmatica ha uno spessore esiguo, circa di 4-5nm, quindi la capacità della
membrana è particolarmente grande.
I canali sulla membrana hanno una certa permeabilità e conduttanza che caratterizza la resistenza del
canale, perché dalle leggi di Ohm, la conduttanza (G) è l’inverso della resistenza (R):

1
(𝐺 = )
𝑅
La conduttanza totale, quindi la resistenza, della membrana è data dalla somma delle conduttanze dei
canali ionici sulla membrana perché hanno caratteristiche di conduttanza diverse fra di loro:

Se siamo in una situazione di riposo la resistenza è 0 perché non c’è passaggio di corrente da una
parte all’altra, quindi si ha un equilibrio stabile e non si hanno neanche modificazioni di potenziale
(differenza di potenziale di membrana = 0).
Il potenziale si modifica in seguito a uno stimolo ad esempio, visto che la membrana va considerata
come un circuito, a causa di una somministrazione di una corrente elettrica come un impulso a bassa
intensità I0 che si sviluppa per qualche millisecondo. Questa corrente può essere generata o
direttamente da stimoli elettrici, o da neurotrasmettitori, o da stimoli meccanici (che possono

39
permettere l’apertura di canali ionici) e modifica il potenziale di equilibrio della cellula attraverso
andamenti differenti:
- Quando uno stimolo porta il potenziale a essere meno negativo, ovvero porta il potenziale
verso la positività, si parla di stimolo depolarizzante.
- Quando uno stimolo porta il potenziale a essere maggiormente negativo viene definito stimolo
iperpolarizzante.

POTENZIALE GRADUATO
Si consideri sempre la membrana come un circuito prima descritto ma dove ci sia un singolo canale,
quindi una sola resistenza. Se si applica una corrente di intensità I 0 per un certo tempo in questa
condizione, si raggiunge un potenziale di membrana (V m) che dipende dalla resistenza della
membrana, che in questo caso è quella del singolo canale ionico, e dall’intensità della corrente
somministrata:

𝑉0 = 𝑅𝑚 𝐼0
cioè si applica la legge di Ohm al tempo zero della somministrazione della corrente.
Se nella membrana ci fosse solo un canale, per cui una sola resistenza, e il condensatore fosse
completamente scarico, la
somministrazione di quella piccola
corrente genererebbe una differenza di
potenziale che seguirebbe esattamente
l’andamento di I0. Il potenziale di
membrana, infatti, dipende solo dalla
resistenza del canale, che non varia perché
è l’unica, e dalla corrente somministrata.
(grafico in rosso)
Questo però non succede (grafico in blu)
perché la membrana a riposo (nel grafico
linea dritta) quando riceve una corrente fa
una piccola variazione lenta con
andamento esponenziale del potenziale di
membrana, che raggiunge un plateau,
ovvero una situazione di equilibrio generato da questa variazione, in cui il valore del potenziale è
variato proprio a causa della corrente somministrata. Successivamente, una volta che la corrente viene
interrotta, torna lentamente verso la situazione di riposo. Questo avviene quando si ha una
modificazione del potenziale di riposo della membrana che genera una modificazione elettrica,
proprio perché sono presenti numerosi canali su di essa e quindi le loro resistenze non rimangono
costanti (come quando ce n’è solo uno).

Come si genera questo andamento:


Si consideri la membrana come un circuito elettrico chiuso, con un condensatore completamente
scarico all’inizio (condizione di equilibrio) e numerose resistenze, all’inizio pari a 0 perché non ci
sono correnti.
Se si applica una corrente con una certa intensità nota a questo circuito si avrà una corrente che circola
che sarà uguale alla corrente che passa attraverso il condensatore e le varie resistenze. Non c’è quindi
nessun tipo di modificazione.
Quando viene somministrata una corrente elettrica il condensatore, che all’inizio è scarico, tende a
caricarsi, ovvero ad accumulare cariche elettriche all’esterno e all’interno della membrana. Si
modifica quindi il potenziale di membrana ottenendo una piccola variazione che è morbida e non
repentina.

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A forza di somministrare corrente sulla membrana il condensatore si carica completamente, ovvero
varia la sua capacità. Questo è il momento in cui la corrente tenderà a passare anche attraverso i canali
ionici(resistenze), in modo che la corrente dei resistori e quella che passa attraverso il condensatore
andranno ad eguagliarsi creando una modificazione del potenziale che diventa quasi lineare, ma
comunque creando una condizione di equilibrio diverso di quello a riposo.
La corrente somministrata poi viene fermata e quindi la corrente che passa per i resistori diminuisce
insieme alla carica accumulata dal condensatore. In questo modo si ritorna lentamente verso una
condizione di equilibrio.
Riassumendo: L’insieme del condensatore che, a seguito di uno stimolo, come la variazione delle
concentrazioni ioniche nel LEC, cambia la sua capacità, l’aumento della resistenza dei canali, con
conseguente variazione della conduttanza, vanno a modificare il potenziale di membrana a riposo,
attraverso un evento morbido, fino ad arrivare a una situazione di nuovo equilibrio, diverso da quello
a riposo, e quando lo stimolo si interrompe la cellula torna all’equilibrio a riposo. Questo avviene
su tutte le membrane delle cellule eccitabili.
Se si ha uno stimolo particolarmente intenso, cioè sopra una certa soglia che dipende dalla membrana
eccitabile, si genera una variazione particolarmente intensa del potenziale di membrana che dà origine
al potenziale d’azione. Questo assume un andamento diverso da quello appena descritto, ovvero così
graduale. Il potenziale d’azione è in grado di garantire la comunicazione fra cellule, liberare i
neurotrasmettitori e la connessione fra le cellule eccitabili. Es: contrazione di fibre muscolari. Quello
che succede sempre è il ritorno della membrana ad una situazione di equilibrio di riposo, in modo che
vengano mantenuti gradienti elettrochimici specifici, fondamentali per la vita delle cellule.
Il valore del potenziale di riposo è diverso a seconda delle cellule anche perché le concentrazioni
ioniche nei vari distretti dell’organismo sono differenti (es: potenziale del neurone -70mV, potenziale
di una fibra muscolare scheletrica -90mV), quindi le stimolazioni che devono essere effettuate per
variare il potenziale saranno diverse nelle varie cellule e ognuna di queste risponderà in modo diverso.
In particolare, le cellule hanno valori soglia variabili fra di loro per attivare un potenziale d’azione,
inoltre l’ampiezza del plateau generato in seguito allo stimolo sarà diversa in base allo stimolo sesso.
La concentrazione degli ioni fra LIC e LEC cambia continuamente: ad esempio, in una situazione
post-prandiale si ha un aumento degli ioni extracellulari; allo stesso modo anche una situazione di
digiuno può generare un potenziale.
La resistenza della membrana, quindi data dalla somma di tutte le resistenze generate da ogni canale
ionico, viene definita resistenza di ingresso. Se si considera la cellula in un qualunque momento
della sua attività e si calcolano tutte le resistenze che sono poste in parallelo, si ottiene un valore che
deve essere superato per generare una variazione del potenziale di membrana (se lo stimolo sta al di
sotto della resistenza all’ingresso non si avrà nessuna variazione perché la resistenza è troppo grande).

COSTANTE DI TEMPO E COSTANTE DI SPAZIO

La costante di tempo è un elemento che caratterizza tutte le membrane eccitabili e serve per capire
come la cellula è in grado di reagire nel tempo alla somministrazione di uno stimolo. È specifica di
ogni membrana e rappresenta il tempo impiegato dal potenziale per raggiungere il 63% del valore di
plateau. È un calcolo matematico complesso che dà un risultato espresso in millisecondi. Il plateau
rappresenta il lasso di tempo nel quale la membrana assume un valore costante di potenziale diverso
da quello iniziale. Definisce come nel tempo la funzionalità di membrana reagisce a stimoli che si
generano in modo ravvicinato. A seguito della diversa costante di tempo si otterranno risposte diverse
della membrana a diversi stimoli.
Costante di tempo (τ): Rm Cm

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La membrana eccitabile presenta anche la costante di spazio.
Se con dei microelettrodi si misurano le variazioni di potenziale in
diversi punti della membrana sempre più distanti dal punto di
somministrazione, si vede che la variazione del potenziale tenderà
progressivamente a ridursi. Se la misurazione viene effettuata nel punto
di somministrazione, infatti, si avrà una variazione alta del potenziale di
membrana; al contrario se ci si allontana di 0.5mm si ha una
diminuzione della variazione, addirittura a 2.5mm la variazione di
potenziale è quasi nulla. Si parla sempre di una situazione teorica in cui
la cellula è completamente a riposo con un potenziale mantenuto
costante e viene somministrato un singolo impulso di corrente. Questa
variazione di corrente passa attraverso alla membrana, ovvero si
distribuisce sulla sua area, in modo passivo. Lo stimolo non rimane solo
nel punto in cui viene somministrata la corrente, ma la variazione di
potenziale ha una conduttanza nella membrana citoplasmatica perché si
vanno a modificare le cariche elettriche all’interno e all’esterno della
membrana che si distribuisce attorno al punto di stimolazione, ovvero
varia il potenziale anche delle zone limitrofe. Si parla di una
conduttanza passiva della membrana, generata dall’attivazione dei In rosso è rappresentata la corrente
canali ionici passivi circostanti. che viene somministrata alla cellula a
La risposta alla somministrazione della corrente in un punto della riposo; in azzurro ci sono le risposte
membrana citoplasmatica è variabile rispetto alla distanza del punto di della membrana a questa corrente
somministrazione, segue cioè le caratteristiche di una conduttanza
passiva definita elettrotonica. La conduttanza passiva nel caso di questa situazione teorica stabile
dipende dalla costante di spazio () e rappresenta la distanza in cui il potenziale di membrana si
modifica a seguito di uno stimolo fino ad un valore pari al 37% del suo valore massimo. Si tratta di
un valore teorico che dà l’indicazione di una grandezza che caratterizza ogni singola membrana.
Nel neurone gigante del calamaro, molto semplice da usare per le registrazioni sulla membrana, si
mette un micro-elettrodo per dare un impulso elettrico e altri micro-elettrodi di registrazione del
potenziale per la misurazione della variazione del potenziale in punti diversi da quello di
stimolazione. Si nota che la differenza di potenziale progressivamente si riduce allontanandosi dal
punto di somministrazione e questo allontanamento ha una lunghezza diversa a seconda della cellula
considerata. Questo perché ogni cellula ha una costante di spazio specifica in base alla permeabilità
ai diversi ioni che a sua volta permette la conduttanza passiva della membrana.
La costante di spazio, per questo motivo, è necessaria per valutare a che distanza possono essere
impressi due stimoli diversi perché questi provochino una risposta congiunta della membrana
cellulare.

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Ogni cellula dà una risposta diversa, con anche una
tempistica diversa a uno stimolo a seconda delle sue
costanti di spazio e di tempo, ma il potenziale generato
ha sempre un’ampiezza costante che dipende da esse.
Si prendono in considerazione due cellule diverse, una
con un assone grande e una con un assone piccolo,
ovvero una costante di spazio di qualche mm. Si nota
subito la differenza: se la costante di spazio è maggiore
l’assone è in grado di trasportare passivamente la
differenza di potenziale per uno spazio più grande,
rispetto a dove la costante di spazio è minore.
Questo caratterizza la genesi di potenziali di membrana
differenti esclusivamente nelle cellule nervose che non
presentano mielina. La costante di spazio nei neuroni
amielinici è fondamentale per caratterizzare la velocità
di trasmissione di un potenziale elettrico.
In un assone che ha un piccolo diametro, ove quindi
solitamente la conduttanza è inferiore, che però ha una
costante di spazio elevata, la differenza di potenziale correrà comunque con una velocità alta.
Costante di spazio e di tempo sono caratteristiche di ogni membrana eccitabile e servono per capire
come la variazione di potenziale, che ha quella determinata forma, possa essere trasportata ad una
certa distanza dal punto in cui si genera la stimolazione e se può essere sommata ad un’altra
stimolazione per dare una variazione di potenziale differente. Le cellule eccitabili rispondono sempre
a variazioni di gradienti elettrochimici sfruttando queste caratteristiche.

Domanda: Se considero due impulsi sulla stessa membrana cellulare che abbiano la stessa costante
di spazio,che effetto si ha sulla cellula? Gli impulsi si possono sommare tra loro?
Risposta: Se una cellula non è mielinizzata il trasporto della differenza di potenziale sarà dipendente
dalla costante di tempo: se la costante di tempo è molto grande e si ha la somministrazione di stimoli
a poco tempo l’uno dall’altro la risposta di quella cellula sarà molto grande; se la costante di tempo
è bassa, quindi non permette l’accumulo dei diversi stimoli, la variazione di potenziale sarà
bassissima e non ci sarà un trasporto della differenza di potenziale.
Se si tratta di cellule unite fra di loro il passaggio della variazione di potenziale dipende dalle costanti
di spazio e di tempo delle diverse cellule. Supponendo che le costanti di tempo siano molto diverse
nelle cellule (anche se di solito non succede) anche la ripetizione di stimoli molto ravvicinati nel
tempo potrebbe non creare nessun tipo di variazione.

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Lezione di Fisiologia del 14.10.2021
Sbobinatori: Mongardi, Niro
Revisore: Tinto
Docente: Guidi Sandra
Argomenti: Potenziale d’azione, canali voltaggio-dipendenti, refrattarietà, valore soglia
Nota: integrata con le diapositive della Prof. (scritte in corsivo/immagini).

VALORE SOGLIA

Per ottenere un potenziale d’azione, dobbiamo necessariamente partire da un potenziale di riposo;


deve poi esserci una variazione dei gradienti elettrochimici, quindi delle concentrazioni di ioni
presenti all’interno ed all’esterno della cellula.
Non tutte le variazioni del potenziale di riposo generano un potenziale d’azione (v. il grafico di come
il potenziale di riposo si modifica iniettando una singola corrente all’interno della cellula e come essa
sia una modificazione abbastanza limitata in ampiezza: questo tipo di modificazione prende il nome
di potenziale graduato).

Quando si modifica il potenziale di riposo della membrana, si raggiunge un punto chiamato valore
soglia. Esso è il punto di potenziale della membrana da cui non si riesce a tornare indietro, ma da cui
si genera un potenziale d’azione.

Può un singolo stimolo determinare in una cellula eccitabile un potenziale d’azione?


Sì, se lo stimolo oltrepassa il valore soglia.
Può anche succedere che un singolo impulso non sia sufficiente ad attivare un potenziale d’azione,
non raggiungendo il valore soglia. Una serie di impulsi, che possono sommarsi sia temporalmente
che spazialmente, somministrati ad una cellula eccitabile in una situazione di riposo, possono
generare un potenziale d’azione. Stimolando in un lasso di tempo piccolo la cellula con diversi
impulsi di corrente essi si sommano come intensità temporalmente e creano una variazione del
potenziale di riposo che raggiunge il potenziale soglia, attivando il potenziale d’azione. Se
somministro nel mio assone una serie di impulsi a micron di distanza l’uno dall’altro, la loro somma
spaziale può creare una variazione tale da raggiungere il valore soglia e quindi dare origine ad un
potenziale d’azione. Per generare il potenziale d’azione è sempre necessario superare il valore soglia.
Più il potenziale di riposo è vicino al potenziale soglia, più facile sarà attivare il potenziale d’azione,
in quanto sarà sufficiente uno stimolo di minore intensità.

Se iniettiamo impulsi di corrente più forti, la risposta del potenziale si modificherà non assomigliando più ad
un circuito passivo.
Questo è chiaro nei potenziali di membrana a soglia (molto vicini a permettere l’insorgenza del potenziale
d’azione).
In questo caso lo stimolo ha modificato il potenziale di membrana in misura sufficiente a provocare l’apertura
dei canali voltaggio-dipendenti per il Na+.
L’apertura di tali canali modifica la resistenza della membrana rendendola più permeabile all’ingresso di
Na+.
Questo aumenta ulteriormente la depolarizzazione.
La depolarizzazione che ne deriva viene detta risposta locale e dipenda da variazioni attive delle proprietà di
membrana (non elettrotonica).
Anche questa variazione non è autorigenerante e diminuisce in ampiezza con la distanza.
I segnali elettrici cellulari mostrano variazioni di ampiezza e durata in base all’intensità e alla durata dello
stimolo che li ha originati (risposte graduate).

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I CANALI VOLTAGGIO-DIPENDENTI

I potenziali d’azione sono eventi che si generano nella cellula con una tempistica velocissima, tra i
0,2 ed i 2 ms (millisecondi) e tutto il fenomeno dei potenziali d’azione è generato dal coinvolgimento
sulla membrana dei canali voltaggio-dipendenti, che sono canali passivi che vengono attivati dalla
modificazione del voltaggio della membrana. Esistono sulla membrana canali voltaggio-dipendenti
per quasi tutti gli ioni.
Tutti gli stimoli che portano il potenziale di riposo ad un valore meno negativo sono definiti stimoli
depolarizzanti e tutti quelli che creano una variazione di potenziale più negativo sono definiti
iperpolarizzanti; il potenziale d’azione è caratterizzato da questi due eventi (depolarizzazione ed
iperpolarizzazione della membrana, che generano l’attivazione della membrana). Tutto ciò che non
supera il valore soglia genera comunque una variazione del potenziale che viene definito potenziale
graduato.

Il potenziale d’azione viene attivato e mantenuto dai canali voltaggio dipendenti, che vengono attivati
dalla variazione di potenziale della membrana, dovuto al passaggio di ioni passivi Na+ e K+, che
entrano ed escono (passivamente) attraverso canali che seguono il gradiente elettrochimico di queste
sostanze. Questi ioni entrano ed escono inoltre attivamente grazie alla pompa sodio/potassio ATPasi.
Queste piccole variazioni, anche solo di 5-6 mV, generate dal passaggio passivo attraverso la
membrana di ioni, creano una stimolazione sui canali voltaggio dipendenti, particolarmente sensibili,
attivandoli. Se per qualche motivo, come uno stimolo chimico (es. una sostanza chimica lega un
recettore del canale, alterandone la permeabilità), pochi ioni entrano nella cellula e modificano il
potenziale di membrana anche soltanto di 2 o 3 mV, quella variazione causa l’apertura di canali
voltaggio-dipendenti, che permettono l’ingresso di una quantità enorme di ioni, soprattutto di ioni
Na+, che sono fisiologicamente maggiormente concentrati all’esterno della cellula (LEC).
Quindi, piccole variazioni create da canali passivi sulla membrana citoplasmatica, permettono
modifiche del potenziale di riposo della stessa, determinando l’apertura di canali voltaggio-
dipendenti, che sono alla base dell’attivazione del potenziale d’azione. Ogni canale voltaggio-
dipendente ha una soglia di attivazione e sono canali particolarmente specifici per ogni singolo ione
(es. canale per il sodio fa passare solo quello).
L’attivazione di questi canali modifica in maniera molto importante il potenziale di membrana,
portandolo ad un valore positivo, passando ad esempio da -70 mV a +30 o +40 mV, grazie all’ingresso
di un’enorme quantità di cariche positive (sodio) all’interno della cellula.
Quindi sono canali molto sensibili ad un singolo ione e con una soglia di attivazione dipendente dal
voltaggio.

I canali voltaggio dipendenti sono canali di membrana che si aprono a seguito di una depolarizzazione. Alcuni
canali particolari si attivano anche con un’iperpolarizzazione.
Sono responsabili dell’insorgenza del potenziale d’azione, il segnale elettrico che:
• garantisce la propagazione delle informazioni lungo le fibre nervose,
• rende possibile la contrazione di cellule muscolari,
• determina la liberazione di neurotrasmettitori e di ormoni,
• è responsabile dell’attività ritmica spontanea delle cellule segnapassi del cuore.
Hanno elevata selettività per una determinata specie ionica. Caratterizzati da una soglia di attivazione
(valore minimo che il potenziale di membrana deve raggiungere affinché abbia inizio l'apertura dei canali) e
dalla voltaggio-dipendenza (il loro grado di attivazione dipende dalla differenza di potenziale che si realizza
a cavallo della membrana).

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Esistono diversi canali voltaggio-dipendenti sulla membrana di una cellula eccitabile. Il più
importante, quello che permette l’attivazione del potenziale d’azione in tutte le cellule neuronali, è
rappresentato dal canale del sodio voltaggio-dipendente.

CANALE DEL SODIO VOLTAGGIO-DIPENDENTE

Attivati da depolarizzazione, sono responsabili di una


rapida inversione della polarizzazione della
membrana a riposo.
Presenti nel monticolo assonico dei neuroni e nei
nodi di Ranvier.
Nove isoforme diverse costituite da una subunità a
associata ad una o più subunità b (4 domini di 6
segmenti transmembrana ognuno).
Cellula muscolare scheletrica = una sola subunità b
Cellule nervose e miocardiche = da una a quattro subunità b
L'attivazione del canale si genera mediante il movimento di rotazione e traslazione verso l'esterno dei segmenti
S4 che viene trasmesso al cancello di apertura.
Bloccati dalla tetrodotossina (TTX, veleno del pesce palla).

Esso è importante in quanto determina la funzionalità dei neuroni, permettendo il contatto e la


trasmissione di segnale tra un neurone e l’altro. Questi canali ionici sono controllati da un
meccanismo di gating: il canale presenta due porte, una di attivazione ed una di inattivazione, la
modifica del potenziale di riposo determina l’apertura contemporanea delle due porte, permettendo il
passaggio di ioni; questa modificazione è di tipo conformazionale, ovvero, si modifica una parte
della struttura del canale, che ruota, permettendone l’apertura. Il cancello è fondamentale per dar vita
alla fase di inattivazione del canale, situazione in cui esso non può essere riaperto (refrattarietà:
qualunque sia lo stimolo che forniamo alla membrana, se i canali ionici sono in fase di inattivazione,
la cellula non potrà generare un nuovo potenziale d’azione, in quanto i canali non si riapriranno →
refrattarietà assoluta). I canali voltaggio-dipendenti sono presenti in tutte le cellule eccitabili, quindi
sui neuroni, ma anche sulle cellule muscolari, e nelle cellule del miocardio, ma solo quelle che
formano la parete del cuore.

Ogni canale specifico può essere bloccato con farmaci specifici; ad esempio, i canali voltaggio-
dipendenti del Na+ vengono bloccati dalla tetradotossina, il veleno del pesce palla (ci uccide perché
rende le cellule non più eccitabili, quindi le cellule muscolari non si contraggono, quelle dei muscoli
respiratori non si contraggono e noi non sopravviviamo). Ogni canale può essere bloccato e questa
scoperta è molto importante nella ricerca sulle diverse funzionalità dei diversi canali, in quanto
coltivando le cellule, possiamo bloccare determinati canali per vedere quale reazione si ottiene.

Questi canali Na+ voltaggio-dipendenti hanno la capacità di generare una differenza di potenziale
molto grande in un brevissimo periodo, anche frazioni di millisecondo. Si genera una inversione del
potenziale di riposo della membrana, causato dall’apertura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti,
che però è una corrente breve, che dura pochi millisecondi, in quanto il canale va subito incontro ad
una inattivazione. Lo stimolo, che è uno stimolo basso (la soglia di attivazione è -55 mV, il potenziale
di riposo è attorno ai -60/-70 mV a seconda del tipo di neurone che si prende in considerazione, quindi
basta una variazione di 5/10 mV), determina l’ingresso di tantissimi ioni Na+ seguito
immediatamente dopo dall’inattivazione del canale. Per questo questa corrente viene definita
corrente transiente.

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Esistono canali Na+ voltaggio-dipendenti specifici che sono in grado di dare risposte differenti.
Alcuni di essi hanno soglie di attivazione diverse rispetto a quella generale, alcuni sono addirittura in
grado di attivarsi in una situazione di iperpolarizzazione, quando ad esempio, il potenziale di
membrana diventa molto più negativo per l’ingresso di ioni cloro nella cellula: questi canali specifici
si attivano in questa situazione, determinando l’ingresso di una ridotta quantità di sodio nella cellula,
che tende a riportare la cellula verso il potenziale di riposo, creando una fase di piccola
depolarizzazione, per superare la fase di iperpolarizzazione (ripolarizzazione).

Bassa soglia di attivazione (-55 mV).


Instaurano un feedback positivo determinante per lo sviluppo del potenziale d’azione.
Presentano cinetiche di inattivazione rapide. Al perdurare dello stimolo il canale diventa refrattario quindi il
flusso di Na+ attraverso la membrana si estingue (porta di chiusura, stato di inattivazione).
La corrente di Na+ che passa da questi canali dura pochi ms, detta TRANSIENTE.
REFRATTARIETA’ ASSOLUTA: dovuta all’inattivazione del canale del Na+, determina l’incapacità della
cellula depolarizzata di generare un nuovo potenziale d’azione in risposta a stimoli di qualunque intensità.
Due isoforme non si inattivano rapidamente e mantengono le correnti definite persistenti.
Un altro canale è responsabile della corrente risorgente. Questo canale si apre durante la ripolarizzazione a
valori moderatamente negativi di potenziale. Si può creare una depolarizzazione durante la ripolarizzazione
(depolarizzazione postuma) che influenza l’eccitabilità del neurone.

Esistono molti altri tipi di canali voltaggio-dipendenti per i diversi ioni presenti nel liquido intra ed
extracellulare.

CANALI PER IL CALCIO VOLTAGGIO DIPENDENTI

Formati da diverse subunità: a1, b, g,


a2d.
Vengono distinti tre grandi gruppi di
canali.
Sono suddivisi in canali ad alta
soglia (HVA) e canali a bassa soglia
(LVA).
Gli HVA si attivano a seguito di una
marcata depolarizzazione. Comprendono quattro classi: L, N, P/Q, R.
L (long-lasting): presentano elevata conduttanza e lenta cinetica di inattivazione. Lo ione si lega alla
calmodulina che agisce su un sito specifico del canale.

Ad esempio, ci sono dei canali voltaggio-dipendenti specifici per il calcio: permettono l’ingresso
del calcio, importanti per la genesi del potenziale d’azione nel miocardio specifico e nel
mantenimento del potenziale d’azione nel miocardio comune (pareti ventricoli). Le cellule del
miocardio specifico sono le uniche cellule del nostro corpo a generare un potenziale d’azione a
seguito di una modificazione di ingresso di ioni calcio.
(Tutte le altre cellule generano il potenziale d’azione a seguito dell’entrata del sodio nella cellula,
grazie all’attivazione dei canali sodio voltaggio dipendenti.)
Tali canali sono divisi in due gruppi (anche se in realtà sono classificabili in tantissime sottoclassi):
quelli ad alta soglia e quelli a bassa soglia di attivazione.

▪ Tra i canali ad alta soglia, i canali L (long-lasting): hanno una cinetica particolarmente lenta.
Su questi canali l’attivazione viene generata dall’attivazione di una proteina chiamata

47
calmodulina, in grado di aiutare il
canale nella sua apertura. Quindi si
deve verificare una piccola variazione
di potenziale che permetta
l’attivazione del canale L, questa
variazione genera il legame della
calmodulina con il canale e ne
permette l’attivazione. Questi canali
permettono alle cellule del miocardio
di avere un potenziale d’azione che
invece di durare pochi millisecondi ne
dura 200. (nelle slide: carrellata di altre tipologie di canali per il calcio che non chiederà, le
interessa solo la distinzione tra canali ad alta e bassa soglia ed i canali L). L’ingresso del Ca
con una cinetica così lenta permette di mantenere il potenziale d’azione più a lungo.

▪ Tra i canali a bassa soglia, il più


importante è il canale T (transient):
essi generano una corrente veloce
che dura pochi millisecondi che
entra nella cellula ed è fondamentale
per attivare il potenziale d’azione
nelle cellule del miocardio
specifico, ovvero quelle che dettano
la frequenza del nostro battito
cardiaco. Queste cellule presentano
molti canali voltaggio dipendenti di
tipo T. Questi generano
l’attivazione automatica del potenziale d’azione che permette il mantenimento automatico
della frequenza cardiaca. Sono canali anomali, in quanto si attivano in autonomia in seguito
ad una variazione di voltaggio minimale e quindi non permettono alla cellula il mantenimento
di un potenziale di membrana a riposo. Le cellule del miocardio specifico non sono mai in
una situazione di potenziale di membrana a riposo, si trovano in una fase definita pre-
potenziale, in cui questi canali determinano una continua variazione del potenziale. Quindi il
loro potenziale non sarà -60/-70 mV, ma sarà intorno ai -50/-55 mV e l’attivazione di questi
canali avviene proprio a questo potenziale. Quindi il potenziale definito di riposo per il
miocardio specifico in realtà non è in una situazione di riposo, ma a questo potenziale si
attivano i canali T, mantenendo in modo autonomo la frequenza di contrazione del miocardio.

Questi canali voltaggio-dipendenti per il calcio sono importantissimi anche nelle cellule muscolari
scheletriche: tutte le cellule muscolari scheletriche si contraggono in presenza di calcio. Questi canali
si trovano inoltre sugli organelli delle cellule muscolari, nel reticolo sarcoplasmatico ad esempio,
permettono il passaggio di calcio verso il citoplasma della cellula. Per far sì che essa si contragga
deve sempre essere presente calcio nel citoplasma, se non c’è la cellula non si contrae in quanto è il
calcio ad innescare il meccanismo di contrazione muscolare. Vengono attivati da una serie di sostanze
che legano i recettori per il calcio, permettendone l’apertura. Il loro passaggio di corrente viene
attivato da una variazione di potenziale che può essere molto alta, e quindi attivare i canali long lasting
che hanno cinetica lunga, oppure piccola, che attiverà i canali a bassa soglia che generano una corrente
transient molto breve.

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CANALI VOLTAGGIO DIPENDENTI PER IL POTASSIO

Esistono anche canali voltaggio-dipendenti


per il potassio: questi permettono al potassio
di uscire dalla cellula, in quanto sono più
concentrati all’interno di essa. Hanno una
soglia di attivazione piuttosto alta. Si
suddividono in moltissime classi, quello che
dobbiamo ricordare è che questi canali si
attivano con una soglia alta ed hanno la
capacità di permettere la fuoriuscita di una
grande quantità di ioni potassio, andando a
contrastare l’ingresso degli ioni sodio
generata dai canali per il sodio.
Quindi, parlando dei neuroni, i canali per il sodio sono quelli deputati alla depolarizzazione della
cellula (lo stimolo che ne genera l’apertura è uno stimolo depolarizzante), mentre i canali per il
potassio generano una stimolazione ripolarizzante o iperpolarizzante, perché da un voltaggio positivo
lo riporteranno verso valori più negativi.
La cinetica di questi canali è molto lenta,
quindi si aprono con soglia di attivazione
alta e poi hanno una cinetica di
inattivazione piuttosto lenta.
Nell’ambito di un potenziale d’azione a
volte determinano una
iperpolarizzazione postuma, perché
proprio a causa della lentezza della loro
inattivazione tendono a portare la cellula
ad un potenziale ancora più negativo
rispetto al potenziale di riposo.
Ogni classe di questi canali viene
inattivato da sostanze specifiche.
Come visto precedentemente, i canali rettificanti sono canali selettivi per gli ioni che hanno una
permeabilità agli ioni diversa in entrata ed in uscita e, nel caso dei canali per il potassio voltaggio-
dipendenti questa differenza di permeabilità dipende dal voltaggio: a seguito di determinati intervalli
di voltaggio ci sono canali in grado di rettificare in ingresso, quindi di far entrare il potassio, al
contrario di come avverrebbe secondo gradiente, o rettificare in uscita, quindi secondo gradiente.
Hanno caratteristiche intrinseche e permeabilità differenti, dipendenti non tanto dalla concentrazione
dello ione quanto al voltaggio della membrana. Alcuni si attivano legati alla presenza di altri ioni.

CANALI PER IL CLORO


Altri canali voltaggio-dipendenti sono i canali per il cloro, che
determinano uno stimolo iperpolarizzante, grazie ad essi entra
carica negativa nella cellula che rende il potenziale di membrana
più negativo rispetto a quello di riposo.
Sono identificati 9 canali differenti.
Consentono l'ingresso dello ione dal versante extracellulare a quello intracellulare.

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Regolano l'eccitabilità delle cellule muscolari scheletriche, il trasporto di ioni e acqua attraverso cellule
epiteliali e la regolazione del pH nel lume degli organuli intracellulari.

CANALI ATTIVATI DALL’IPERPOLARIZZAZIONE


Sono una classe di canali voltaggio-
dipendenti differente, perché sono in
grado di trasportare ioni diversi,
anche se sono maggiormente
selettivi per il potassio. Tra questi ci
sono una serie di canali definiti
canali funny, specifici per gli ioni e
che portano lo ione in direzione
opposta a quella che ci si aspetta in
base al gradiente. Ad esempio, un canale funny per il sodio si attiva ad un potenziale iperpolarizzante
di -90 mV; questo potenziale attiva il canale che permette l’ingresso di ioni sodio, cosa che non
avverrebbe se ci fossero solo canali per il sodio voltaggio-dipendenti classici.

IL POTENZIALE D’AZIONE
Stimolando una cellula, attraverso
l’iniezione di una corrente, si modifica il
potenziale della membrana, che se
raggiunge una certa soglia, determina un
potenziale d’azione.
La stimolazione puntuale attraverso
l’iniezione di una carica elettrica
determina l’attivazione di una variazione
di potenziale della membrana definita
“risposta locale”, cioè localmente
all’iniezione della corrente, si modifica il potenziale della membrana e da lì, se lo stimolo raggiunge il valore
soglia, si attiverà un potenziale d’azione. Altrimenti si genereranno dei potenziali graduati, che possono essere
sia eccitatori che inibitori.
È possibile stimolare una cellula e determinare così l’ingresso di ioni Na+, creando un potenziale eccitatorio
diverso dal potenziale che si genera se lo stimolo determinasse, per esempio, l’apertura dei canali per il Cl-.
La risposta allo stimolo, può essere sia depolarizzante che iperpolarizzante (o inibitorio): (l’iperpolarizzazione
è in realtà un’inibizione della cellula).
Questo perché si porta il valore del potenziale della membrana molto distante dal valore soglia.
Se si considerano due neuroni connessi l’uno con l’altro, essi comunicano tra loro e tale comunicazione può
essere nella cellula postsinaptica, (ossia quella che si trova oltre la sinapsi, oltre dunque il punto di contatto tra
i due neuroni) e può essere una stimolazione eccitatoria o inibitoria, a seconda dei canali che attivati all’interno
della cellula.
Non tutti gli stimoli sono in grado di generare un potenziale d’azione:

• Un singolo stimolo deve superare il valore soglia per attivare il potenziale d’azione. Se non lo supera,
si genera un potenziale eccitatorio o inibitorio graduato.
• Se si sommano una serie di stimoli, si è in grado di creare una differenza di potenziale maggiore
rispetto ad un singolo stimolo, sia dal punto di vista temporale che dal punto di vista spaziale. Quindi,
la somma di una serie di stimoli diversi che vengono somministrati in tempi diversi o

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contemporaneamente ma in luoghi diversi, e che modificano il potenziale della membrana, può
generare un potenziale d’azione se si raggiunge il valore soglia.
Non tutte le cellule hanno lo stesso
valore di soglia. Nel neurone umano
il valore soglia è circa -50mV.
Il raggiungimento del valore soglia è
generato dall’attivazione dei canali
voltaggio dipendenti.
Un piccolo stimolo somministrato alla
membrana citoplasmatica crea una
piccola variazione di potenziale, che
attiva canali voltaggio dipendenti per
il Na+, che generano l’ingresso di ioni
Na+ all’interno della cellula.
L’ingresso mediante un singolo
canale permette l’ingresso di una certa quantità di Na+, che andrà a modificare la concentrazione di questo ione
nello spazio intorno a quel canale. Se in questo spazio c’è un altro canale voltaggio dipendente per il Na+, con
una soglia leggermente più alta di quello già aperto, si attiverà anche questo, creando un ulteriore ingresso di
Na+.
Lo stimolo che crea la depolarizzazione della membrana citoplasmatica può generare l’apertura di canali
voltaggio dipendenti per il Na+, i quali innescano un meccanismo che si autorigenera: tutti i canali ionici
voltaggio dipendenti per il Na+ che sono nei dintorni di un canale che si è appena aperto, verranno attivati
perché verrà modificato in maniera depolarizzante il potenziale della membrana.
L’apertura dei canali voltaggio dipendenti per il Na+ determina l’ingresso di una quantità massiva di Na+ che
porterà il potenziale della membrana verso valori positivi. Tali canali hanno una cinetica brevissima.
L’inattivazione di questi canali avviene in brevissimi tempi, 0-2 ms, successivamente si ha un’inversione del
potenziale di riposo che andrà verso potenziali positivi.
Perché il potenziale della membrana, quando si aprono i canali voltaggio dipendenti per il Na +, tenderà a
raggiungere un valore positivo, aldilà della quantità di Na+ entrante?
Partendo da una situazione di riposo, a cui segue la somministrazione di uno stimolo che determina l’apertura
del canale, accade che una variazione della permeabilità della membrana porti la membrana stessa verso il
potenziale di equilibrio del Na+.
Prendendo ad esempio una cellula in cui sono attivi solo i canali per il Na+, a partire da una situazione di riposo
della membrana (assenza di correnti che entrano ed escono dalla cellula):
1. si crea un piccolo ingresso di ioni Na+ attraverso un canale passivo.
2. Si attiva un canale voltaggio dipendenti per il Na+ con una soglia bassissima. A quel punto, la
concentrazione del gradiente elettrochimico del Na+ permette l’ingresso dello ione dentro la cellula.
3. Si modifica tantissimo la concentrazione ionica all’interno e diventa molto più positiva.
4. Ciò apre una serie di canali voltaggio dipendenti per il Na+ , che aumentano la quantità di Na+ entrante.
Questi continueranno ad aprirsi finché, (se fossero gli unici canali) il potenziale di membrana non
raggiunge il potenziale di equilibrio dello ione Na+, circa +55mV.
Se ci fossero solo canali voltaggio dipendenti per il Na+, e se lo stimolo fosse lievemente depolarizzante, la
cellula raggiungerebbe un potenziale di membrana di +55mV, perché ci sarebbe il passaggio solo di ioni Na+,
che tenderebbero a raggiungere il proprio valore di potenziale di equilibrio.
In realtà, ciò non succede: la cinetica di attivazione di questi canali è particolarmente veloce, per cui in
pochissimo tempo essi si inattivano e quindi il Na+ smette di entrare.

51
Inoltre, non sono presenti solo canali voltaggio dipendenti per il Na+. Altri canali voltaggio dipendenti presenti
sulla membrana sono, ad esempio, quelli per il K+, che hanno una soglia di attivazione molto più alta rispetto
a quelli per il Na+, e che permettono la fuoriuscita degli ioni K+.
Dall’inversione del potenziale di riposo, fino a raggiungere un valore positivo, (visto che i canali voltaggio
dipendenti per il Na+ sono inattivati) i canali voltaggio dipendenti per il K+ si apriranno, permettendo l’uscita
di K+, ritornando verso l’equilibrio.
Questa variazione di potenziale, dal potenziale di riposo, avviene in brevissimo tempo, max 1-2ms, ed è il
fenomeno del potenziale d’azione, rappresentato da:
• una fase di intensa depolarizzazione, in cui il Na+ entra nella cellula e che rende il potenziale positivo,
• una fase di ripolarizzazione, in cui il K+ esce rimuovendo cariche positive.
Rimane così una quantità più abbondante di cariche negative. Il potenziale allora tenderà a tornare verso la
negatività, verso la fase di riposo.

Il potenziale d’azione è questo:


1. depolarizzazione,
2. inversione del
potenziale di riposo
raggiungendo valori
che sono molto simili
rispetto al potenziale
di equilibrio del Na+,
3. ritorno (fase di
ripolarizzazione)
verso un potenziale di
riposo, molto vicino
al potenziale di
equilibrio del K+.

A lato sono rappresentati i


potenziali d’azione nella
membrana citoplasmatica.
In rosso è rappresentato il
singolo stimolo che viene
inviato alla membrana
citoplasmatica.

• Si genera così una


piccola variazione di potenziale (dentello all’inizio del segmento blu, fig a) che corrisponde
all’ingresso di poche cariche positive, rappresentate dal passaggio di ioni passivi. Se non si
raggiungesse la soglia, il dentello sarebbe semplicemente un potenziale graduato, quindi tornerebbe
all’equilibrio.
• Raggiungendo invece la soglia, con l’attivazione dei canali voltaggio dipendenti per il Na + che
determinano una depolarizzazione massiva, entra moltissimo Na+ nella cellula, e il potenziale di
membrana si depolarizza fortemente e diventa positivo. Questa inversione del potenziale di membrana
prende il nome di OVERSHOOT che genera uno spike, ossia la vera punta dell’onda. Si tratta di
un’inversione totale del potenziale di riposo.
• Si arriva alla massima depolarizzazione, +40mV, vicinissimo al potenziale di equilibrio del Na +, i
canali voltaggio dipendenti per il Na+ si inattivano e si chiudono, impedendo l’ulteriore ingresso di
Na+,

52
• vengono poi attivati i canali voltaggio dipendenti per il K+ già da prima dello spike, quando il
potenziale è ancora negativo, circa -30/40mV, però questi canali avendo una cinetica molto lenta
iniziano ad aprirsi nella fase di depolarizzazione, in cui si passa da -70 alla positività;
• a questo punto i canali voltaggio dipendenti per il Na+ si chiudono e rimangono aperti solo i canali
voltaggio dipendenti per il K+ che determinano una fuoriuscita di K+ (ripolarizzazione).
Si tende ad un nuovo equilibrio, allo stato dei riposo della membrana.
I canali voltaggio dipendenti per il K+ sono particolarmente lenti e creano la fase in cui il potenziale di
membrana è più negativo rispetto al potenziale di riposo (porzione più negativa del segmento blu, fig a).
Si parte da -70mV ed alla fine del potenziale d’azione, il potenziale è circa -80mV. Questa fase si chiama
IPERPOLARIZZAZIONE POSTUMA ed è causa dalla lentissima cinetica di alcuni canali voltaggio
dipendenti per il K+, che rimangono aperti per molto tempo e fanno uscire più K+ di quello che sarebbe
sufficiente per far tornare il potenziale al riposo.
Chi riequilibra l’iperpolarizzazione postuma? La pompa Na+/K+ ATP-asi.
La caratteristica di questo potenziale d’azione è che si ripete e si propaga sempre nella stessa forma in ogni
singola cellula e raggiunge sempre gli stessi livelli di potenziale. Ciò perché i canali coinvolti sono sempre
quelli distribuiti in tutta la membrana citoplasmatica.
Il potenziale d’azione, ad esempio in un neurone, determina la liberazione di vescicole contenenti
neurotrasmettitori nello spazio sinaptico. Questi si andranno a legare alla membrana postsinaptica, creando un
ulteriore potenziale d’azione nella cellula postsinaptica.
Lo stimolo che genera il potenziale d’azione può essere elettrico, chimico o meccanico (recettori cutanei, lo
stimolo modifica fisicamente i canali presenti sulle membrane dei recettori e crea un ingresso di ioni talmente
alto che è in grado di generare un potenziale d’azione).
Tutti questi stimoli, anche se diversi, devono superare il valore soglia, contrariamente a ciò, il potenziale sarà
depolarizzante ma, non raggiungendo il valore soglia, rientrerà in una situazione di riposo.

L’evento del potenziale d’azione ha una durata normale di 1-2ms, mentre alcune cellule particolari, come
quelle muscolari cardiache, hanno potenziale d’azione molto lunghi di circa 200ms che permettono il
mantenimento di un certo ritmo di contrazione.
Questa è una
rappresentazione grafica in
cui vengono identificate le
fasi descritte.
(dalla prof. “Sul
Berne&Levy si parla di
iperpolarizzazione positiva,
ma è postuma”).

Non succede in tutte le


cellule e nemmeno tutte le
volte, ma dipende dalla
stimolazione e dalla concentrazione degli ioni all’interno ed all’esterno della cellula.
Domanda: nello spike, nel picco dell’onda, si arriva mai al valore del potenziale del Na + all’equilibrio?
Dipende dal tipo di neurone. Questo (fig b) è un neurone dove c’è una forte concentrazione di ioni Na+. Non
dovrebbe mai arrivarci perché ci sono altri canali voltaggio dipendenti. Quindi teoricamente non ci arriva
mai, se le concentrazioni degli ioni lo modificano fortemente, potrebbe anche essere una situazione patologia.

53
IL CONCETTO DI REFRATTARIETÀ
È fondamentale perché il potenziale
d’azione si svolga nel modo giusto
nelle cellule e permetta alla cellula di
svolgere il compito per cui questo
potenziale d’azione viene attivato.
La refrattarietà è un momento in cui
i canali voltaggio dipendenti per il
Na+ non possono essere attivati.
Nei neuroni, questa refrattarietà è
identificata con due spazi temporali
differenti: il periodo di
refrattarietà assoluta, che si ha
quando si supera la soglia, quando si
ha l’overshoot e quindi si raggiunge
il valore di positività, fino a 2/3 della
ripolarizzazione. In quel momento, i
canali voltaggio dipendenti per il Na iniziano ad inattivarsi. Già a -40mV, dove c’è attivazione di molti canali
+

voltaggio dipendenti per il Na+, alcuni inizieranno ad inattivarsi. L’inattivazione anche dei primi canali
voltaggio dipendenti per il Na+, in quanto i primi ad essersi aperti saranno anche i primi a chiudersi,
determinando l’inizio del periodo di refrattarietà assoluta. Non ci sarà nessuno stimolo in grado di determinare
l’apertura della porta di inattivazione dei canali. Ciò è particolarmente importante perché ad esempio, in una
cellula muscolare scheletrica che si contrae, quando si avrà il potenziale d’azione, la cellula andrà incontro a
contrazione, se si è in grado di sviluppare un altro potenziale d’azione nello stesso istante, 0,2 ms dopo, dunque
nel segmento PRA (fig a), la cellula rimarrà contratta, rischiando di andare incontro ad una evenienza
rappresentata dall’azione del tetano. La tetania non è fisiologica. Si può determinare una contrazione
mantenuta nel tempo ma generata da potenziali d’azione che si sviluppano in tempistiche differenti. Il periodo
refrattario assoluto permette di creare un singolo potenziale d’azione all’interno della cellula nella tempistica
prevista.
I canali voltaggio dipendenti per il Na+, una volta inattivati vanno incontro a chiusura, e, per permetterne una
nuova apertura è necessario uno stimolo maggiore rispetto allo stimolo che normalmente attiverebbe il
potenziale d’azione (necessario uno stimolo maggiore rispetto al valore soglia). In questa situazione, gli ultimi
canali voltaggio dipendenti per il Na+ sono inattivati, mentre gli altri si stanno chiudendo, e i canali voltaggio
dipendenti per il K+ risultano aperti, permettendo la fuoriuscita del K+.
Se fosse necessario inviare un segnale neuronale forte ad una parte del cervello, e bisognasse perciò generare
un altro potenziale d’azione, sarebbe necessario uno stimolo forte. Quindi i canali che si sono chiusi durante
la ripolarizzazione (=apertura canali Na) possono riaprirsi, ma per farlo, vista la tempistica piuttosto breve,
hanno la necessità di una forza maggiore.
Questo fenomeno è denominato periodo refrattario relativo.
In genere, quando si crea un potenziale d’azione in questo periodo, il potenziale d’azione presenta un grafico
con un overshoot molto più alto. Lo stimolo è talmente forte da portare al coinvolgimento di un numero ancora
maggiore di canali voltaggio dipendenti per il Na+ e sviluppare una depolarizzazione ancora più grande.
Questo avviene quando, per esempio, si attiva un’extrasistole, un evento per cui si crea una contrazione
cardiaca in una tempistica molto ravvicinata rispetto ad una sistole già avvenuta. Ciò avviene in seguito a una
modificazione delle concentrazioni ioniche, in un determinato punto della struttura cardiaca, che crea uno
stimolo talmente forte da permettere una riapertura dei canali voltaggio dipendenti per il Na +, e porta al
coinvolgimento di un numero maggiore di canali rispetto ad uno stimolo normale generato dal pacemaker. Ciò

54
determina l’ingresso di una quantità ancora maggiore di Na+ e la depolarizzazione delle cellule diventa ancora
più positiva, raggiungendo il potenziale di equilibrio del Na+.
Si crea così un grafico di potenziale d’azione con un picco più alto.

In una cellula in grado di generare un’iperpolarizzazione postuma, questa tempistica ricopre quella del periodo
refrattario relativo (cioè la fase in cui i canali voltaggio dipendenti per il Na+, essendo lenti, rimangono ancora
aperti e si iperpolarizza ulteriormente la membrana pur restando in una condizione in cui i canali Na+ sono
chiusi e potrebbero riattivarsi). Queste due fasi generalmente coincidono.
Il potenziale d’azione è regolato dai canali
voltaggio dipendenti per il Na+.
Come si è scoperto che sono questi canali
a permettere l’attivazione del potenziale
d’azione?
Hodgkin e Huxley studiando il neurone di
calamaro hanno valutato le differenze di
potenziale della membrana. Essendo
riusciti a determinare che il potenziale di
riposo della membrana è legato alle
variazioni passive delle concentrazioni di
Na+ e di K+, hanno ipotizzato che gli stessi
due ioni potessero essere coinvolti
nell’attivazione del potenziale.
Analizzando dunque un neurone umano,
con tecniche di voltage clamp e patch
clamp, hanno misurato le variazioni di potenziale, mantenendo costanti certe concentrazioni ioniche. Hanno,
quindi, generato uno stimolo nel momento 0 e, con microelettrodi piantati sulla membrana citoplasmatica,
hanno visto cosa succedeva attivando solo i canali voltaggio dipendenti per il Na+; riscontrando che
mantenendo costante la quantità di Na+ nel LEC, la cellula, in seguito a stimoli, rispondeva sempre nello stesso
modo.
I valori 1 e 3 della curva blu in figura sono due potenziali d’azione generati da uno stimolo elettrico in cui la
concentrazione extracellulare di Na+ veniva mantenuta costante. Quindi lo stimolo elettrico determinava
l’apertura di una serie di canali in grado di modificare il potenziale della cellula che doveva per forza essere
generato dalla presenza di ioni Na+, gli unici mantenuti costanti all’interno del LEC.
Come hanno determinato che fossero proprio gli ioni Na+?
Riducendo la concentrazione degli ioni Na+, mantenendo gli altri ioni costanti e fornendo lo stesso identico
stimolo; se si riduceva la quantità di ioni Na+ nel LEC, il potenziale di membrana non era in grado di generare
potenziale d’azione. Da ciò si dedusse che necessariamente il Na+ doveva essere coinvolto all’interno di questo
meccanismo.
L’esperimento venne poi ripetuto (voltage clamp, patch clamp) mantenendo costanti le concentrazioni di K+ e
dei vari ioni presenti nel LEC.
Variando le concentrazioni di Na+ e di K+, il neurone era in grado di attivare il potenziale d’azione.
Hanno così ipotizzato che la correlazione tra il fenomeno del potenziale d’azione e questa variazione dal
potenziale di membrana dovesse essere legata alla conduttanza della membrana agli ioni analizzati,
contrariamente, non si spiegherebbe come mai la membrana sia capace di determinare queste variazioni di
potenziale.
Se si immaginano costanti tutti gli ioni e si varia, volta per volta, un singolo ione, si può capire in base alla
risposta della cellula come quello ione sia coinvolto nel meccanismo registrato.

55
Inoltre, Hodgkin e Huxley hanno analizzato come si modificasse la conduttanza dei canali sulla membrana per
generare il potenziale d’azione. Partendo dal potenziale di riposo, in cui la corrente entrante ed uscente è pari
a 0 (privo di correnti). Se si eguagliano la corrente di Na+ e quella di K+ allo 0, si ottiene la conduttanza di
questi ioni nel momento del potenziale di membrana a riposo.
Nella figura (pag. precedente), è
rappresentata l’equazione della corrente
del K+ nella membrana e della corrente
del Na+. In una situazione di riposo, la
corrente = 0 (euivale a zero).
Modificando le concentrazioni e così il
potenziale della membrana hanno
estrapolato dall’equazione il valore del
potenziale di membrana (Vm) ed hanno
ricavato un’altra equazione (in alto, nella
fig. a lato).
Da questa equazione, valutando il
potenziale di membrana (Vm) che stava
variando (pur mantenendo costante le
concentrazioni degli ioni), si sono resi
conto che questo potenziale di membrana dipendeva esclusivamente dalla conduttanza dei canali voltaggio
dipendenti per il Na+ e per il K+.
In una situazione ipotetica, analizzando un neurone teorico, in cui ci fossero solo canali per il Na+ e per il K+,
con una conduttanza simile, il potenziale d’azione verrebbe generato da un’influenza identica dei canali Na+ e
K+ (formula in basso).
I due scienziati hanno così affermato che su ogni neurone, su ogni cellula eccitabile, sono presenti diverse
classi di canali voltaggio-dipendenti con una certa conduttanza (ogni canale ha la sua permeabilità, la sua
selettività e la sua conduttanza). Tale conduttanza viene modificata sulla membrana citoplasmatica nel
momento in cui questi canali si attivano.
È un meccanismo autorigenerante: quando si attivano i canali voltaggio dipendenti, la conduttanza per un
determinato ione aumenta perché aumenta la specificità di attivazione di quel singolo canale.
Quando si ha una depolarizzazione della membrana a riposo, si aprono i canali del Na, Se fossero gli unici
canali, la conduttanza per il sodio aumenterebbe molto.

L’esperimento di Huxley e Hodgkin afferma


che il potenziale d’azione sulle cellule
eccitabili è determinato da una variazione di
conduttanza di Na+ e di K+, a seguito
dell’attivazione dei canali voltaggio
dipendenti. Tali canali sono coinvolti nelle
variazioni improvvise del potenziale di
membrana che generano un potenziale
d’azione.
Nel seguente grafico stilizzato del potenziale
d’azione, inizialmente si è in una situazione
di riposo della membrana, si ha una lieve
depolarizzazione, viene raggiunto il
potenziale soglia, segue la fase di
depolarizzazione vera e propria, a cui segue

56
una ripolarizzazione fino a diventare una iperpolarizzazione postuma. Infine, si torna in una situazione di
riposo.
In ogni singola fase in cui il potenziale di membrana si attiva e diventa d’azione, si modificano le conduttanze
degli ioni Na+ e K+, generando questo meccanismo specifico.
Queste variazioni di conduttanza sono dovute dall’apertura dei canali voltaggio dipendenti, che si attivano
nelle diverse fasi di potenziale d’azione.
Per questo è assolutamente indispensabile che le concentrazioni di ioni intra ed extracellulari vengano
mantenute pressoché costanti; perché permettono di attivare un passaggio di ioni verso l’interno e verso
l’esterno; modificare la conduttanza della membrana per un determinato ione ed attivare o inibire la genesi di
un potenziale d’azione.
Si analizzano Na+ e K+ perché sono gli ioni che sono maggiormente concentrati tra l’interno e l’esterno della
cellula e quindi più coinvolti.
Anche gli altri canali voltaggio dipendenti andranno a generare il tipo di grafico che determina il potenziale
d’azione. La somma fittizia dell’attivazione di tutti i canali genera questo meccanismo.
In ogni fase del grafico, ci sono conduttanze per il Na+ e per il K+ che assumono direzioni differenti, a seconda
dell’attivazione di certi canali.

Alla depolarizzazione contribuiscono anche i canali passivi o solo i canali voltaggio dipendenti?
“All’inizio, anche i canali passivi, nella fase dove il segmento blu fa la prima curva in alto nel grafico
soprariportato. In realtà i canali passivi sono aperti sempre, proprio perché passivi. Collaborano, ma l’entità
di questa collaborazione è minima. La differenza di conduttanza è causata dall’attivazione dei canali voltaggio
dipendenti. I canali passivi determinano una variazione minimale, anche perché si vanno a cambiare i
gradienti elettrochimici delle sostanze.”

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Lezione di Fisiologia del 18.10.2021
Sbobinatori: Balbo Anna, Baldassin Pietro
Revisore: Tagliavini Ilaria
Docente: Guidi Sandra
Argomenti: potenziale d’azione, Trasmissione Sinaptica

La generazione del potenziale d’azione è un meccanismo, definito “del tutto o nulla”, il potenziale
d’azione si rigenera sempre in qualunque momento, a meno che non ci troviamo nella condizione di
refrattarietà assoluta.
Il potenziale d’azione è suddiviso in
due fasi fondamentali, la
depolarizzazione e la ripolarizzazione,
che sono rappresentate dalle variazioni
di potenziale della membrana a riposo,
che può diventare anche molto
positiva, andando a raggiungere quasi
il potenziale d’equilibrio del Na,
ovvero intorno ai 55/60mV, e poi
tornare verso il valore del potenziale di
riposo della membrana, che è un valore
negativo.
Queste variazioni di potenziale dipendono dall’entrata e dall’uscita di differenti ioni, i principali sono
lo ione Na e lo ione K. Quando vengono coinvolti i canali voltaggio-dipendenti per il Na e per il K si
modifica la conduttanza della membrana per gli ioni, e la conduttanza dello ione Na e dello ione K
sulla membrana citoplasmatica durante il potenziale d’azione cambiano per dare vita a questa
conseguenza di queste variazioni di potenziali generati dall’apertura e dalla chiusura di canali ioni-
specifici. Le variazioni di conduttanza sono alla base della genesi del potenziale d’azione.
Variazioni di conduttanza
Usando come esempio lo ione Na, per
capire come funzionano le variazioni di
conduttanza, possiamo notare come i
canali per il sodio voltaggio dipendenti
siano estremamente responsivi alle
variazioni di potenziale, e si aprano a
piccole depolarizzazioni.
➔ Per cui una piccolissima
variazione di potenziale a livello della
membrana citoplasmatica, in senso
depolarizzante, ovvero come ingresso di
cariche positive, genera l’apertura dei
primi canali del sodio voltaggio-
dipendenti.
➔ L’ingresso di Na aumenta la
conduttanza della membrana a quello
ione, e il canale aperto porta la membrana ad essere meno negativa. Questa capacità della
membrana aumenta la permeabilità per quel particolare ione.

58
➔ Più la membrana si depolarizza, più vengono attivati canali sodio voltaggio dipendenti,
sensibili alla variazione del potenziale di membrana, aumentando la conduttanza per quello
specifico ione. Si viene a creare una depolarizzazione improvvisa, con un andamento quasi
verticale di depolarizzazione, quindi si oltrepassa lo 0, e il potenziale diventa positivo.
Dopodiché la cinetica di questi canali è veloce quindi iniziano a richiudersi, ma la grossa
concentrazione di Na entrato nella cellula va a modificare il potenziale della cellula stessa.
Parliamo quindi di un meccanismo autorigenerativo, perché i canali per il Na e per il K voltaggio
dipendenti, sono molto sensibili alle variazioni di potenziale. Potrebbe essere un ciclo continuo, ma
non diventa continuo semplicemente perché ad un certo punto questi canali si inattivano, e
inattivandosi bloccano l’ingresso dello ione Na.
➔ Quando siamo arrivati ad una depolarizzazione con un valore molto vicino al valore del
potenziale di equilibrio del Na, il Na non entra più, si arriva quasi ad un potenziale di
equilibrio, e quello ione viene praticamente fermato. La concentrazione di quello ione
all’esterno rispetto all’interno diventa identica, per cui non c’è più passaggio.
➔ Iniziano ad aprirsi a questo punto i canali per il potassio voltaggio dipendenti, perché entra
una grande carica positiva all’interno della cellula, che si va a sommare alla grande
concentrazione di potassio che c’è già all’interno della cellula. Il potassio è presente in grande
quantità all’interno della cellula per cui è l’unico ione utilizzato per ridurre la depolarizzazione
della membrana plasmatica. I canali del potassio voltaggio dipendenti si aprono, con una
cinetica più lenta, aprendosi i canali per il potassio voltaggio dipendenti, inizierà a variare la
permeabilità della membrana per il potassio, ovvero inizia a cambiare la conduttanza di questi
canali. La conduttanza permette di portare verso valori più negativi il potenziale della
membrana plasmatica.
➔ Quindi lentamente fuoriesce potassio dalla cellula, i canali per il Na sono chiusi e il potenziale
di membrana torna ad essere negativo. Il potenziale di membrana va incontro a quello che è
il potenziale d’equilibrio del potassio, che rispetto al potenziale d’equilibrio del sodio è un
potenziale negativo. Questi canali tenderanno a riportare la cellula verso una situazione di
equilibrio.
➔ C’è poi anche una fase di iperpolarizzazione postuma, legata semplicemente alla fuoriuscita
di una piccola porzione di potassio presente all’interno della cellula, generata dalla cinetica
lenta dei canali del potassio che quindi perdono potassio verso il LEC, quindi il potenziale
della membrana tende a diventare più negativo rispetto al potenziale di riposo. Questo è
generato solo grazie alla cinetica lenta dei canali voltaggio dipendenti per il potassio,
dopodiché tutto torna verso l’equilibrio.
Il potenziale d’azione è generato dalle variazioni di conduttanza perché sono coinvolti i due canali
voltaggio dipendenti che permettono l’ingresso e l’uscita di ioni sodio e ioni potassio, questi canali
hanno un’attivazione legata alle variazioni di potenziale. Queste variazioni di potenziale determinano
una variazione della conduttanza della membrana a quei due specifici ioni. Poi sono coinvolti, a
seconda delle cellule prese in considerazione, anche altri ioni, ad esempio canali per il Ca 2+ o per il
Cl-, questi canali hanno però un’influenza sul potenziale d’azione molto bassa.

59
Studi di voltage clamp e patch clamp→
eseguiti per capire come vengono generati
questi potenziali. Presero in
considerazione la differenza di
conduttanza della membrana rispetto agli
ioni Na e K, andando a modificare la
concentrazione degli ioni nei diversi
liquidi intra ed extra cellulare. Dal grafico
è possibile vedere come le conduttanze
per il sodio e per il potassio varino a
seconda della concentrazione di ioni
presenti nel LIC e nel LEC, a seguito di
modificazione indotta. Una piccola
variazione della concentrazione degli ioni
sodio, generati da questo stimolo, ovvero
l’infusione di una piccola concentrazione
di ioni sodio nel LEC, determina una piccola variazione della conduttanza della membrana rispetto
al sodio, perché passivamente passano attraverso la membrana qualche carica positiva, legata al
passaggio passivo degli ioni sodio attraverso
canali passivi. Queste cariche che entrano
all’interno della cellula vanno a modificare in
modo lieve il potenziale di membrana e quindi si
attiva una piccola variazione di conduttanza
generata da una piccola variazione di potenziale,
che aumenta all’aumentare dello stimolo, fino a
raggiungere una sorta di plateau. Questo
meccanismo determina la genesi del potenziale
d’azione, ed è un bilanciamento delle diverse
conduttanze nelle diverse fasi del potenziale
d’azione, al sodio e al potassio della membrana
cellulare.

Fasi del potenziale d’azione

Le fasi del potenziale d’azione sono


identiche per tutte le cellule. Le
ampiezze sono differenti a seconda del
tipo di cellula e non in tutte le cellule è
presente un’iperpolarizzazione
postuma, dipende dalla quantità dei
canali per il potassio voltaggio
dipendenti. Quando il numero dei
canali per il k non è particolarmente
elevato l’iperpolarizzazione ha
un’ampiezza ridotta.

60
Se lo stimolo non oltrepassa la soglia adeguata si è davanti ad uno stimolo graduato, vi sarà una
piccola variazione e poi si torna al potenziale di membrana a riposo. La genesi dei potenziali di
membrana graduati prende il nome di accomodazione, c’è la modificazione di un potenziale di
membrana a riposo, generato dal passaggio e dall’apertura di canali voltaggio dipendenti, che però
non raggiungono il valore soglia perché la cellula si riaccomoda, riportando il potenziale variato verso
il potenziale di riposo. Può succedere che non si arrivi alla soglia perché magari lo stimolo non è così
forte o uno stimolo singolo che non è accoppiato temporaneamente e spazialmente con altri stimoli
fanno sì che vi sia una piccola variazione di potenziale, ma non tale da superare il valore soglia per
la generazione del potenziale d’azione.

Conduzione del potenziale d’azione


Se si prende come esempio un neurone è
possibile distinguere diverse parti: corpo del
neurone, assone, dendriti.
Come fa il potenziale d’azione a trasmettersi
lungo l’assone? 2 possibilità
➔ Propagazione punto a punto. Si
considera ad esempio un assone non
mielinizzato/assone amielinico. È
possibile immaginarlo come un
piccolo tubo con una membrana che
possiede una sua capacità e una serie
di resistenze rappresentate dai canali
ionici. A livello del monticolo
assonico si genera un potenziale d’azione: i canali del sodio voltaggio dipendenti sono aperti,
entra sodio, che va a depolarizzare la membrana, quindi ad attivarla, coinvolgendo ancor di
più canali per il sodio voltaggio dipendenti. Questa depolarizzazione si amplia passando da
un punto della membrana in cui si genera il potenziale d’azione al punto vicino. È un continuo
rigenerarsi di potenziale d’azione non una conduzione. È un potenziale sempre costante che
si rigenera man mano, con la stessa forma e la stessa intesità. L’ampiezza della
depolarizzazione del potenziale d’azione si mantiene costante lungo tutto l’assone, perché via
via vengono coinvolti un numero di canali per il sodio voltaggio dipendenti che determinano
la stessa depolarizzazione, che si mantiene sempre costante e decorre lungo tutto l’assone. La
propagazione, se lo stimolo è generato nel monticolo assonico, è unidirezionale, decorre lungo
tutto l’assone fino ad arrivare alla sinapsi. Lo stimolo è unidirezionale perché se il potenziale
d’azione si genera nel monticolo assonico, è statisticamente improbabile che potenziale
d’azione vada verso il corpo cellulare, perché sul corpo del neurone è presente un numero
molto limitato di canali per il sodio, ma prosegue verso l’assone perché nella membrana
dell’assone è presente invece un numero rilevante di canali per il sodio voltaggio dipendenti.
Non torna indietro perché i canali per il sodio voltaggio dipendenti ad un certo punto si
inattivano. L’andamento del potenziale d’azione potrebbe essere bidirezionale ma non
succede nel neurone per i motivi citati prima.
Questo vale per gli assoni amielinizzati, in cui la membrana cellulare è libera, non è avvolta da
materiale isolante. La propagazione dipende dalla costante di spazio della membrana e dalla velocità
di membrana.

61
Costante di spazio: costante che ci permette di identificare quando il picco del potenziale d’azione si
riduce del 67% rispetto al picco massimo, e in quale spazio questo potenziale si riduce del 67%. Es
se si ha un assone amielinico con una costante di spazio molto grande il picco del potenziale si ridurrà
molto lentamente proseguendo nello spazio dell’assone, il segnale verrà condotto con una velocità
piuttosto elevata. Questo è ciò che succede negli assoni amielinizzati grandi, con un grosso diametro,
ad esempio nell’assone del neurone gigante del calamaro, usato per questi studi.
Oltre alla costante di spazio, la propagazione del potenziale d’azione dipende dalle caratteristiche
dell’assone, ovvero dal diametro, questo perché ogni assone, libero, non avvolto da isolanti,
presenterà una sua resistenza specifica, determinata dalla resistenza della sostanza citoplasmatica
presente all’interno dell’assone stesso (resistenza assiale), che segue esattamente la grandezza
dell’assone e un’altra resistenza, quella generata dalla membrana citoplasmatica che avvolge l’assone.
Per permettere il trasporto del potenziale d’azione lungo l’assone vanno superate due resistenze: la
resistenza assiale e la resistenza di membrana. La resistenza di membrana dipende dal numero di
canali per il sodio voltaggio dipendenti presenti sulla membrana.
➔ Pochi canali resistenza più alta
➔ molti canali resistenza più bassa, sarà infatti più facile attivarli
L’evoluzione ha portato a creare una serie di assoni via via sempre più grandi perché la resistenza
assiale dell’assone è legata anche a quello che è il diametro dell’assone, più piccolo il diametro
dell’assone maggiore sarà la resistenza alla genesi di un potenziale d’azione, maggiore il diametro
minore la resistenza, perché quando si modifica il diametro dell’assone si va a modificare la quantità
di membrana citoplasmatica presente sull’assone stesso. Aumentando il diametro dell’assone
aumenta la capacità di membrana, se aumenta la capacità di membrana legata ad una quantità
maggiore si membrana dell’assone avremo un aumento della genesi di un nuovo potenziale d’azione.
Questo è vero fino ad un determinato valore del diametro dell’assone, oltre ad un certo diametro
(1mm) la capacità dell’assone diventa talmente tanto grande da “intrappolare” le cariche che si
accumulano sulla membrana impedendone i movimenti.
Piccolo assone→ segnale lento. Un aumento del diametro crea una riduzione della resistenza della
membrana aumentando la possibilità dell’assone di andare incontro ad un potenziale soglia di un
potenziale d’azione. Più un assone amielinico è grande più è grande la costante di spazio, più veloce
è la propagazione del potenziale d’azione, fino ad un certo limite, oltre il quale la velocità non
aumenta, può crescere il diametro assonale ma la velocità non aumenterà comunque.

62
➔ Propagazione attraverso i nodi di Ranvier
La mielina è un isolante
elettrico degli assoni, che
permette di isolare la
membrana citoplasmatica
dall’ambiente esterno,
rendendo quella parte di
assone, che si trova al di sotto
di essa, isolata, cosicché il
segnale elettrico possa passare
velocemente da un capo
all’altro. La mielina è un
avvolgimento del
prolungamento di cellule
neuronali specifiche, ovvero
delle cellule di Schawn o
dendrociti, rendendo le
strutture assolutamente isolate
dal punto di vista elettrico. Lungo l’assone mielinizzato le varie porzioni mieliniche lasciano degli
spazi vuoti, ovvero i nodi di Ranvier, porzioni di membrana citoplasmatica libere dalla mielina, e in
questi piccoli spazi (1-2 micron) è concentrato un numero enorme di canali per il sodio voltaggio
dipendenti.
L’assone è avvolto da questa fibra assolutamente isolante, non vi è dispersione di cariche, e in questi
piccoli spazi, nodi di Ranvier, si genera al seguito di stimoli, il potenziale d’azione, come succede nel
monticolo assonico del neurone non mielinizzato, questo potenziale d’azione può essere trasmesso
tra un nodo e l’altro con una velocità molto alta grazie a queste pareti isolate che non determinano
variazioni di potenziale nello spazio internodale. La corrente salta da punto a punto, non in tutti i
micron di lunghezza dell’assone, ma da un nodo di Ranvier all’altro. Quindi il potenziale d’azione
non si rigenera punto per punto nell’assone, ma si genera solo a livello dei nodi di Ranvier, la presenza
della guaina isolante aumenta la capacità di trasporto del segnale di 10 volte rispetto alla capacità di
un assone non mielinizzato. La velocità può
raggiungere alle volte anche i 100 m/s, ed è
quindi notevolmente maggiore rispetto alla
velocità di 0,5 m/s di un assone non
mielinizzato. Questo tipo di assone scaturito
spontaneamente grazie all’evoluzione,
aumenta la velocità di conduzione dei
neuroni lungo fibre che sono molto lunghe.
In pochi millisecondi il segnale è già in
corteccia, capace di rispondere al segnale.
Per rendere più veloce il segnale o avremmo
dovuto avere delle cellule grandissime,
oppure il problema è stato risolto dalla
mielina. Andiamo ad isolare le vie di
passaggio della corrente in modo che arrivi più velocemente alle sinapsi che permette di comunicare
con la cellula successiva. Conduzione definita saltatoria perché salta da un nodo di Ranvier all’altro.

63
Chiarimenti e domande sulle lezioni precedenti:

1. Osmole efficace: l’urea non passa attraverso i GR e quindi è un osmole efficace. Nel libro c’è
scritto esattamente l’opposto. Come mai?
→ Semplicemente dipende dal tipo di cellula. Nel GR è vero, nel senso che quando parlavamo di
osmole efficace la prof diceva urea e aveva in mente ione ammonio. Lo ione ammonio non entra,
mentre l’urea entra. Ciò che è un osmole efficace è un osmole non diffusibile, non entra. quindi
per forza di cose crea un’attrazione che crea un’osmolarità. (Pensava all’ammonio ma diceva
urea)

2. Nella spiegazione del potenziale di riposo è stato detto che il cloro non influenza il potenziale
di membrana perché ha un potenziale di equilibrio molto simile a quello di equilibrio di
membrana. Allo stesso tempo il potassio ha un potenziale di equilibrio molto simile a quello
di membrana ed è un maggior contribuente. Questo perché la permeabilità del cloro è molto
inferiore?
→ Assolutamente si, ha una permeabilità praticamente nulla. Anche la concentrazione del cloro è
molto minore.

3. Per quanto riguarda la conduttanza (paragonata alla resistenza in parallelo). Aumenta


progressivamente perché aumenta la concentrazione dello ione che passa per quei canali? Sia
nel caso del potenziale graduato che d’azione, aumenta la concentrazione dello ione quindi ne
può passare di più (tende al valore massimo di resistenza del canale)?
→ Esatto. Si va verso il valore di equilibrio di uno o dell’altro ione.

4. Nelle fibre mieliniche, quando si genera il potenziale d’azione a livello dei nodi,
nell’internodo la porzione citoplasmatica rimane negativa o acquista cariche positive?
→ Dobbiamo considerarlo come un filo di corrente. Si genera il potenziale a livello del nodo di
Ranvier e la corrente viene trasmessa nella struttura che è isolata. L’internodo nel momento del
passaggio è positivo. Nel nodo di Ranvier successivo si genera il potenziale d’azione perché lì sono
presenti i canali. Siamo nel nodo di Ranvier, entrano le cariche positive legate all’ingresso di sodio
perché si aprono quei canali legati ad uno stimolo. La quantità di sodio non viene dispersa, è
all’interno del nostro assone e se è isolato, necessariamente le cariche vanno in una direzione o
nell’altra. Quando arrivano nel nodo di Ranvier successivo ci sono altri canali per il sodio voltaggio-
dipendente che vengono stimolati dalla presenza del sodio che decorre lungo la parte isolata, che
influenza l’attivazione dei canali stessi. La quantità di sodio aumenta e non si perde, e l’equilibrio
delle concentrazioni degli ioni della nostra cellula si ristabilisce a livello della sinapsi.

________________________________________________________________________________

Si procede alla visione di un piccolo video in inglese (la lingua scientifica per eccellenza), sul
potenziale di membrana a riposo, in cui vengono indicati i quattro elementi attraverso i quali si
sviluppa il potenziale di membrana a riposo.
(il sito si chiama jove.com ed è aperto a tutti gli studenti unibo)

Transcript del video: The Resting Membrane Potential

The resting membrane potential is the difference in electrical potential between the inside and outside
of the cell membrane of neurons at rest when they are not being stimulated. Typically, the value is
around negative 70 millivolts, meaning that it is more negative inside.
Cell membranes are selectively permeable because most ions and molecules cannot passively diffuse
across them. They often require transmembrane proteins, such as ion channels, to allow them to pass
through. When a neuron is at rest, potassium channels are the main type of ion channel that are open.

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Another transmembrane protein, the sodium potassium pump, uses energy to continuously move
sodium out of the cell, and potassium in. This action creates a concentration gradient, with a higher
concentration of potassium inside than outside.
The force of diffusion then causes potassium ions to move down their concentration gradient, through
the open potassium channels, and out of the cell. The movement of these positive ions out combined
with negatively charged proteins inside the cell creates a negative charge inside the membrane, a
negative potential when a neuron is at rest.

________________________________________________________________________________

Domande e risposte di Kahoot (sulla linea delle possibili domande d’esame!!!):

1. Il cloro ha un potenziale di equilibrio…


Simile al potenziale di riposo. Facendo il calcolo attraverso l’equazione di Nernst di tutte
le concentrazioni interne ed esterne di Cloro risulta un valore molto simile a quello del
potenziale di riposo.

2. In condizioni di riposo la membrana presenta maggiore permeabilità per…


Per il potassio. La maggiore permeabilità nel momento di riposo della nostra membrana è
rappresentata da quella per gli ioni K. In realtà c’è una permeabilità per gli ioni Cl
(potenziali di equilibrio vicini), ma la quantità di cloro intra ed extracellulare è talmente
ridotta che non influenza il potenziale di riposo. Il sodio, durante la fase di potenziale di
riposo della membrana, non va ad influenzare in modo passivo quello che è quel
determinato valore di potenziale. Il potenziale di riposo è generato solo da passaggi passivi
di cariche.

3. Secondo l’equazione di Nernst il potenziale di equilibrio di uno ione è inversamente


proporzionale…
𝑅𝑇 [𝑋]
Alla valenza dello ione. Il potenziale di equilibrio è 𝑉 = 𝑧𝐹 𝑙𝑛 [𝑋]𝑒
𝑖

4. L’aumento di concentrazione di potassio nel LEC aumenta la differenza di potenziale di


membrana a riposo. V o F?
Falso. È sempre una questione di cariche. Se si è in una situazione di equilibrio, la quantità
di carica positiva all’interno deve essere uguale a quella esterna (a grandi linee). Se aumenta
la quantità di carica positiva che c’è all’esterno, si riduce il passaggio secondo gradiente
elettrochimico di ioni K dall’interno all’esterno (non serve che vadano fuori). All’interno la
carica rimane positiva (a livello del nostro potenziale di riposo), all’esterno si accumula
carica positiva (le abbiamo messe noi). Calcolando la differenza di potenziale, data dal
potenziale interno meno il potenziale esterno (che è aumentato, diventando più positivo!!), il
potenziale di membrana tenderà ad essere più negativo, distanziandosi dal potenziale di
riposo. (È ovviamente una questione teorica)

5. Il potenziale di diffusione di quale ione è il principale determinante del potenziale di riposo?


Quello del potassio (canale passivo maggiormente coinvolto nel mantenimento del
potenziale di riposo di membrana).

6. La pompa Na-K ATPasi contribuisce per circa il 4% al potenziale di membrana a riposo. V


o F?
Vero. La pompa Na-K ATPasi ha influenza di non oltre 5 millivolt sul potenziale della
nostra membrana a riposo.

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7. La tetradotossina è un bloccante selettivo dei canali voltaggio-dipendenti del potassio. V o
F?
Falso. È un bloccante selettivo dei canali voltaggio-dipendenti del sodio (veleno del pesce
palla).

8. Nelle cellule nervose il periodo refrattario assoluto è dovuto alle proprietà…


Della porta di inattivazione. Nessuno stimolo sarà in grado di generare un nuovo
potenziale quando il canale è inattivo. Un nuovo potenziale si ripotrà generare quando il
canale diventerà chiuso e non inattivo.

9. Negli assoni il potenziale di azione può essere condotto…


Bidirezionalmente. Il potenziale di azione si genera a livello del monticolo assonico, parte
e va verso la parte terminale dell’assone. Esistono però sinapsi che si generano in tutti i
punti dell’assone, non solo al termine di esso. Se si stimola un assone non mielinizzato con
una corrente in un determinato punto, il potenziale d’azione può andare in un verso o
nell’altro.

10. Nel potenziale d’azione l’overshoot può raggiungere un valore pari al potenziale di
equilibrio del potassio. V o F?
Falso. Overshoot è oltrepassare lo zero del potenziale di membrana e andare addirittura nel
positivo. Il potenziale di equilibrio dello ione potassio è circa -55/-60 mV (quasi di riposo e
non d’azione). Al limite potrebbe raggiungere il potenziale di riposo del Na (+55 mV).

11. Gli assoni mielinici possono avere una costante di spazio pari a…
Tendenzialmente è circa 1/2mm, che è esattamente la costante di spazio di un assone
molto grande non mielinizzato (che è al massimo 3mm) [la maggiore costante di spazio
permette di aumentare la velocità del segnale, gli assoni non mielinizzati NON sono isolati].

12. Il potenziale di azione presenta ampiezza indipendente dall’intensità dello stimolo che lo
genera. V o F?
Vero. È sempre la stessa, indipendentemente dall’ampiezza dello stimolo che lo genera. Il
numero di canali sodio voltaggio-dipendenti è limitato in una cellula, l’intensità dello
stimolo può generare una differenza nella velocità con cui si genera il potenziale d’azione
(intensità maggiore → aumenta la [Na] più velocemente), ma non nella sua ampiezza: non
entra una quantità di sodio maggiore, i canali per il sodio sono tutti aperti
contemporaneamente.
L’ampiezza del potenziale d’azione rimane sempre la stessa e non si modifica rispetto allo
stimolo. Raggiunta la soglia si crea sempre lo stesso identico potenziale d’azione, stesso
andamento, stessa ampiezza.

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Fisiologia, lezione 07
19/10/2021
Prof.ssa Sandra Guidi
Sbobinatori: Virginia Paola Canu, Francesco Caroli
Revisore: Ilenia Stevanella

TRASMISSIONE SINAPTICA

I potenziali d’azione vengono utilizzati dalle cellule per trasmettere informazioni da una cellula
all’altra (permettono la comunicazione tra le cellule).
Le cellule nervose comunicano tra di loro grazie alla presenza di sinapsi,
spazi formati dal terminale di una cellula presinaptica, lo spazio
intersinaptico e il terminale della cellula postsinaptica. Le informazioni
passano attraverso queste strutture da una cellula all’altra e generano,
attraverso il potenziale d’azione, un’informazione che verrà recepita
dalla cellula postsinaptica.
Si utilizza il termine sinapsi nel parlare di sistema nervoso; prevede, dunque, la comunicazione tra
cellule nervose (tra due neuroni, tra neurone e glia, tra interneuroni, etc).
Si parla invece di giunzione quando la cellula presinaptica e la cellula postsinaptica non sono
entrambe nervose: ad esempio, la giunzione neuromuscolare è una sorta di sinapsi in cui il terminale
presinaptico è una cellula nervosa (motoneurone α), mentre il terminale postsinaptico è una cellula
muscolare scheletrica. (La comunicazione in questo caso non avviene attraverso la sinapsi, ma attraverso
una giunzione. Il meccanismo è esattamente lo stesso, cambia semplicemente il nome).

Le sinapsi che esistono nel SNC o SNP sono di due tipi:


 Sinapsi elettriche  Sono molto veloci e permettono il passaggio diretto di corrente elettrica
tra una cellula e l’altra;
 Sinapsi chimiche  Hanno una cinetica più lenta, perché delle sostanze chimiche liberate
dalla cellula presinaptica nello spazio intersinaptico devono andare a legarsi ai recettori
specifici presenti sulla membrana della cellula postsinaptica. Non si tratta, quindi, di un
passaggio diretto di corrente, ma c’è l’interposizione di un neurotrasmettitore o una sostanza
chimica che permette l’attivazione della cellula postsinaptica (questo spiega come la
tempistica di passaggio dell’informazione sia un po’ più lunga rispetto alla sinapsi elettrica).

Nelle strutture nervose, oltre ai neuroni, esistono anche altri tipi di cellule come:
 Cellule gliali: molto importanti perché sono in grado di mantenere stabili le reti di connessione
tra i diversi neuroni;
 Interneuroni: possono essere sia eccitatori che inibitori. Anch’essi coordinano la funzionalità
delle reti neuronali, aumentandola o riducendola (proprio perché possono essere sia inibitori
che eccitatori).
Dunque, le sinapsi non avvengono solo fra neuroni, ma anche tra una serie di cellule nervose differenti
che cooperano nei riflessi e nei controlli motori discendenti dal cervello.

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Come già detto, nelle sinapsi chimiche i neurotrasmettitori vengono liberati dal terminale presinaptico
e captati dal terminale postsinaptico attraverso i recettori presenti sulla membrana.
I neurotrasmettitori appartengono a differenti classi chimiche che vengono raggruppate in due
categorie importanti:
 Neurotrasmettitori classici: vengono sintetizzati nel terminale presinaptico;
 Neurotrasmettitori peptidici (o neuropeptidi): vengono sintetizzati nel corpo cellulare e
trasportati fino al terminale presinaptico attraverso l’interazione con le proteine del
citoscheletro.
Tutti i neurotrasmettitori, sia peptidici che classici, si ritrovano a livello della terminazione
presinaptica all’interno di vescicole, ovvero strutture all’interno del citoplasma formate da
invaginazioni della membrana citoplasmatica. Le vescicole sono indispensabili a livello della
terminazione presinaptica per permettere la liberazione del neurotrasmettitore nello spazio
intersinaptico.

La distinzione tra neurotrasmettitori viene fatta anche in base alla capacità che essi hanno di legarsi
con dei recettori specifici presenti nella membrana postsinaptica.
I neurotrasmettitori classici hanno la capacità di legarsi a recettori postsinaptici che possono essere:
 Canali ionici  Il neurotrasmettitore si lega al canale ionico modificandone la conformazione,
permettendo così il passaggio di corrente all’interno della cellula postsinaptica. Questi
recettori vengono definiti recettori ionotropici: permettono il passaggio di cariche elettriche
e hanno un’attività molto rapida;

 Recettori legati a proteine G  Sono definiti anche recettori metabotropici. Avvenuto il


legame tra neurotrasmettitore e recettore, sulla membrana postsinaptica si attiva una cascata
di reazioni enzimatiche che determina delle modificazioni all’interno della cellula. Esempi di
modificazioni possono essere la fosforilazione di determinate proteine oppure modificazioni
nella trascrizione e la traduzione nucleare (determinano la produzione di proteine differenti).
I neurotrasmettitori peptidici si legano solo ed esclusivamente a recettori metabotropici. Tutte le
volte che viene liberato un neuropeptide, si attiverà una reazione all’interno della cellula postsinaptica
che determinerà una risposta variabile a seconda del neurotrasmettitore liberato. Ogni
neurotrasmettitore ha recettori specifici che si trovano nella cellula postsinaptica; per questo la
funzionalità della sinapsi chimica è particolarmente selettiva (ogni neurotrasmettitore darà una
risposta ben definita).

La cellula postsinaptica riceve un numero elevato di informazioni da cellule presinaptiche. Infatti,


non c’è solo una sinapsi tra due neuroni, ma ce ne sono infinite (su una stessa cellula postsinaptica
possono arrivare 100-200 sinapsi diverse che liberano neurotrasmettitori differenti). Il compito della
cellula postsinaptica è quello di recuperare le informazioni che vengono liberate, grazie al potenziale
d’azione, dalla cellula presinaptica e gestire tutte le informazioni che riceve. La risposta della cellula
postsinaptica è sempre una risposta integrata, perché non ci sarà mai solo una singola sinapsi che
funziona, ma ce ne saranno diverse, tutte legate allo stesso neurone postsinaptico.
Le modificazioni legate alla risposta di un recettore metabotropico possono mantenersi come segnale
nel tempo. Esempi di ciò sono la memoria e l’apprendimento. Uno stimolo di memoria e
apprendimento crea un’informazione elettrica all’interno di certi circuiti neuronali (ad esempio a
livello dell’ippocampo). Vengono modificate in modo permanente le funzioni di cellule
postsinaptiche e viene lasciata la cosiddetta traccia mnemónica. Attraverso questi meccanismi,

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generati da recettori metabotropici, cambiano dei parametri cellulari e danno vita ad un’informazione
che rimane nel tempo (memoria). Ciò è molto importante perché ci permette di riconoscere eventi
già vissuti e di accumulare informazioni che sono assolutamente indispensabili per il continuo della
nostra vita.

SINAPSI ELETTRICHE

La sinapsi elettrica è una sinapsi


particolarmente veloce in cui le due cellule pre-
e post-sinaptiche sono collegate tramite
giunzioni comunicanti (gap junctions).
Le gap junctions sono delle proteine che si
trovano a livello della membrana citoplasmatica.
Sono formate da due connessoni uniti tra loro,
un connessone presente sulla membrana
presinaptica e l’altro sulla membrana
postsinaptica. Ogni connessone è formato da 6
connessine, differenti nei diversi tipi cellulari,
ma con medesima funzione: si organizzano a
formare un poro acquoso (non più grande 2 nm).
Esso è, perciò, polare e permette il passaggio secondo gradiente di cariche ioniche. È un canale non
particolarmente selettivo; se lo fosse ci vorrebbero miliardi di giunzioni comunicanti differenti.
Tra le cellule che sono legate attraverso le gap junctions si genera una rete che forma un sincizio
funzionale. Esso si ritrova a livello cardiaco tra le varie cellule muscolari del cuore. Quando le cellule
del miocardio specifico generano un potenziale d’azione, per determinare la contrazione delle cellule
muscolari, il segnale passa attraverso le diverse componenti cellulari in modo diretto. La corrente
fluisce attraverso le cellule, collegate tra loro da gap junctions. Questo fa sì che l’informazione sia
trasmessa in modo quasi istantaneo a tutte le cellule che formano il sincizio funzionale (tutte le cellule
del miocardio comune si contraggono contemporaneamente).
La sinapsi elettrica può essere bidirezionale: segue i gradienti elettrochimici dei vari componenti
all’interno delle cellule. Quindi, se in una cellula postsinaptica si ha l’accumulo di uno ione, esso può
fluire secondo gradiente verso la cellula presinaptica.
Le gap junctions hanno una capacità molto alta: permettono il passaggio di variazioni di corrente
piuttosto piccole, in modo maggiore rispetto ad altri canali; per questo vengono anche definite filtri
passa-basso (permettono il passaggio di ioni anche quando le differenze di gradiente sono molto
basse e sono più attivi rispetto ad altri canali passivi per il passaggio diretto di piccole variazioni di
potenziale). Ciò che va a modificare i gradienti intracellulari (pH, temperatura, stimoli differenti
dall’ambiente) modifica anche la funzionalità di questo tipo di sinapsi.
Le sinapsi elettriche sono presenti maggiormente a livello cardiaco, ma ci sono anche strutture
cerebrali che presentano questo tipo di sinapsi: ad esempio, nei glomeruli cerebellari ci sono cellule
(tra cui i granuli cerebellari) che riescono a mettersi in contatto anche tramite sinapsi elettriche.
Questi canali, essendo canali passivi, quando modificano la loro permeabilità possono diventare
canali unidirezionali: i canali rettificanti. In base alle differenze di permeabilità che ci sono su una
cellula rispetto all'altra, una concentrazione di ioni può passare in un senso o nell'altro. Il canale
diventa rettificante in ingresso o in uscita a seconda della sua permeabilità rispetto a un determinato
ione. Quando si modificano le concentrazioni ioniche o il pH si ha una variazione della

69
conformazione della gap junction. Questa variazione modifica la sua permeabilità rispetto a
determinati ioni, trasformandosi in un canale passivo rettificante, quindi che permette o solo
l'ingresso o solo l'uscita di un determinato ione.

SINAPSI CHIMICHE
Le sinapsi chimiche permettono il passaggio di un segnale attraverso la liberazione di una sostanza
chimica. Il primo a rendersi conto che esistesse una comunicazione di questo tipo tra i vari neuroni
(o tra una cellula nervosa e il cuore) fu Otto Loewi, un fisiologo tedesco.
Egli, all’inizio del ‘900, dopo una serie di esperimenti, scoprì che il rallentamento del battito cardiaco
delle rane, provocato dalla stimolazione del nervo vago, è dovuto alla liberazione di una sostanza
chimica (acetilcolina). A quel tempo, si pensava che i neuroni fossero collegati tra di loro
esclusivamente attraverso sinapsi elettriche, quindi che ci fosse il passaggio diretto di sostanze tra
una cellula e l’altra. Per fare l’esperimento, prese una rana morta immersa in una soluzione che ne
manteneva vitali i tessuti e andò a stimolare elettricamente il nervo vago. Il cuore, in seguito allo
stimolo, andava a ridurre la sua frequenza. Prelevando la soluzione in cui la rana era stata posizionata
e ponendola in un altro preparato in cui era presente un cuore denervato, pur non applicando stimoli,
riuscì a vedere lo stesso un rallentamento della frequenza cardiaca. Intuì, dunque, che in quella
soluzione doveva essere presente qualche sostanza chimica in grado di regolare anche l’attività di
quel cuore denervato. Questa sostanza veniva liberata dal nervo vago: si trattava di un
neurotrasmettitore in grado di legarsi a recettori a livello cardiaco e che determinava la riduzione
della frequenza del cuore. Esperimenti successivi riuscirono a identificare quella sostanza,
l’acetilcolina.
Le sinapsi chimiche sono sempre unidirezionali: la cellula presinaptica libera il neurotrasmettitore
che viene rilasciato a livello dello spazio sinaptico; il neurone postsinaptico attiva una risposta
conseguente al legame tra recettore e neurotrasmettitore. Se il recettore è ionotropico, la risposta può
essere eccitatoria o inibitoria e legata all’attivazione di un canale ionico. Se il recettore è
metabotropico si avrà una risposta più complessa.

L’immagine a lato rappresenta una


sinapsi (irrealistica) con diversi tipi di
neurotrasmettitori e i loro rispettivi
recettori postsinaptici. Nel terminale
presinaptico ci sono diverse vescicole
che contengono neurotrasmettitori:
quelle più piccole, vicine alla
porzione terminale, rappresentano le
vescicole contenenti
neurotrasmettitori classici; i
neuropeptidi, invece, sono contenuti
all’interno di vescicole un po’ più
grandi, i granuli. Essi vengono
trasportati dal nucleo della cellula
verso il terminale presinaptico
seguendo le proteine citoscheletriche.
Servirà uno stimolo particolare per
permettere il legame della vescicola
alla membrana presinaptica e, una

70
volta che la membrana vescicolare è legata alla struttura presinaptica, si libererà il neurotrasmettitore
nello spazio intersinaptico. Il neurotrasmettitore si legherà al recettore specifico nella porzione
postsinaptica. Nel caso dell’acetilcolina (Ach), essa può legarsi sia a recettori ionotropici sia
metabotropici.
Al microscopio elettronico si vedono, sia a livello della cellula presinaptica che della cellula
postsinaptica, delle zone più scure definite elettrondense. Si tratta di zone attive in cui sono presenti
le proteine che permettono il passaggio del segnale tra una cellula e l’altra. Queste zone corrispondono
al punto dove si collegano le vescicole che contengono neurotrasmettitori (nella parte presinaptica) e
al punto dove i recettori rispondono al neurotrasmettitore (nella struttura postsinaptica).

Esiste anche una classe di neurotrasmettitori che non viene inclusa all’interno di vescicole: i
neurotrasmettitori gassosi, tra i quali il più importante è il monossido d’azoto (NO). Trattandosi di
un gas, esso è in grado di entrare liberamente all’interno delle cellule e viene liberato a livello di tutta
la membrana plasmatica, permettendo il passaggio dell’informazione dalla cellula presinaptica alla
cellula successiva. Dal punto di vista farmacologico, essendo un trasmettitore gassoso, è poco
gestibile.

Nel SNC ci sono diversi tipi di sinapsi chimiche. Il nome dipende da dove sono posizionati i terminali
pre e postsinaptici:
 Sinapsi assodentritica: tra due neuroni; il terminale presinaptico assonico fa sinapsi con un
terminale dentritico postsinaptico;
 Sinapsi assoassonica: tra due assoni;
 Sinapsi dendrodendritiche: tra due dendriti;
 Sinapsi dendrosomatiche: tra il dendrite di una cellula nervosa e il soma della cellula
postsinaptica (sono molto rare nel SNC).
Le più rappresentate a livello del SNC sono le assoassoniche e le assodendritiche.
Nel SNC sono state scoperte recentemente una serie di sinapsi diverse. Non ci sono solo sinapsi con
un terminale presinaptico che libera un neurotrasmettitore che si lega al recettore della cellula
postsinaptica, ma ci sono anche:
 Sinapsi miste: in parte chimiche e in parte elettriche. Un esempio sono i granuli cerebellari.
 Sinapsi seriali: ci sono due sinapsi differenti. La prima è assoassonica e va ad influenzare la
sinapsi successiva che può essere sia assoassonica che assodendritica. Sono sinapsi che si
influenzano a cascata, quindi se non c’è la prima sinapsi non viene attivata nemmeno la
seconda.
 Sinapsi reciproche: le più recenti come scoperta, esse sono in grado di influenzare in maniera
bidirezionale entrambe le cellule. Sia la cellula presinaptica che postsinaptica liberano
contemporaneamente neurotrasmettitori, influenzandosi reciprocamente. Di queste sinapsi si
conosce molto poco, perché sono ancora sotto studio.
In una classica sinapsi chimica è necessario si liberi un neurotrasmettitore e che esso si leghi al
recettore presente sulla cellula postsinaptica. Nel neurone presinaptico si genera un potenziale
d'azione che corre lungo l’assone della cellula. Arrivato nella sua porzione terminale, esso influenza
il potenziale della membrana a livello presinaptico e, in modo particolare, va ad agire sui canali per
il Ca2+, provocandone l’apertura. Il Ca2+, essendo maggiormente concentrato all’esterno rispetto
all’interno, entra secondo gradiente nel terminale presinaptico. Aumenta la sua concentrazione nel
terminale; l’aumento va a modificare una serie di proteine presenti nella membrana presinaptica.
Queste proteine permettono il reclutamento della vescicola contenente il neurotrasmettitore, la
quale andrà a fondersi con la membrana del terminale presinaptico. Se non c’è calcio, la vescicola

71
contenente il neurotrasmettitore non riuscirà a saldarsi con la membrana citoplasmatica e non sarà in
grado di liberare il neurotrasmettitore nello spazio intersinaptico.
Il neurotrasmettitore viene liberato nello spazio intersinaptico e, a seconda della tipologia di
neurotrasmettitore, si attiverà una reazione sulla cellula postsinaptica. Se il recettore è ionotropico,
determinerà la generazione di EPSP (potenziale postsinaptico eccitatorio) o IPSP (potenziale
postsinaptico inibitorio). Se il recettore è metabotropico, si andrà a modificare la risposta cellulare
(produzione di proteine diverse, fosforilazione, etc).
EPSP porterà ad una breve e modesta depolarizzazione della membrana
postsinaptica, mentre IPSP porterà ad una iperpolarizzazione e, quindi, una
negatività maggiore del potenziale della membrana postsinaptica. Uno o più
potenziali possono andare a superare il potenziale soglia della cellula
postsinaptica e attivare un potenziale d’azione (questo per quanto riguarda
canali ionotropici).

Una risposta differente è quella dei recettori metabotropici che portano alla produzione di proteine,
alla modificazione della trascrizione e della traduzione a livello nucleare, etc. Anche il recettore
metabotropico può essere in grado di andare a modificare il potenziale della cellula postsinaptica:
nelle varie cascate enzimatiche che si sviluppano all'interno di una cellula postsinaptica a seguito
dell’attivazione di un recettore metabotropico, può succedere che venga liberato, ad esempio, il Ca2+.
Si lega anch'esso a recettori presenti sulla membrana postsinaptica andando a modificare l'apertura
dei canali. Quindi, anche il recettore metabotropico può andare a determinare un piccolo potenziale
nella cellula postsinaptica perché la sua risposta può dare una serie di reazioni diverse, tra cui anche
la fosforilazione di un canale presente sulla membrana citoplasmatica postsinaptica (determina
l’ingresso di ioni all'interno della cellula o una loro fuoriuscita, a seconda che si tratti di un potenziale
inibitorio o eccitatorio).
Si è detto che i neurotrasmettitori vengono liberati a seguito dell’ingresso
di calcio all’interno della cellula, perché esso permette il cambiamento di
certe proteine sul terminale presinaptico che influenzano la fusione della
vescicola che contiene il neurotrasmettitore. Il calcio entra grazie alla
depolarizzazione del potenziale di azione sul terminale presinaptico, fino a
quando il potenziale di membrana non raggiunge il potenziale di equilibrio
del calcio, pari a 120 mV. Il calcio entra attraverso questi canali voltaggio-
dipendenti, permette il collegamento delle vescicole alla membrana
presinaptica e la liberazione del neurotrasmettitore. In fase di
ripolarizzazione, i canali del calcio voltaggio-dipendenti andranno
chiudendosi. Quando il calcio non entra più, le vescicole non si legheranno
più al terminale presinaptico.
Non ci sarà mai una liberazione continua di neurotrasmettitori. Dovrà
sempre attuarsi una depolarizzazione, che permette l’ingresso di ioni calcio
nel terminale presinaptico (e la conseguente fuoriuscita del
neurotrasmettitore)  Risposta On. Esistono anche stimoli che creano una
iperpolarizzazione a livello del terminale presinaptico (Risposta Off).
Risposta On: stimolo depolarizzante che permette l’apertura dei canali del
calcio voltaggio-dipendenti.
Risposta Off: stimolo iperpolarizzante che non attiva i canali del calcio voltaggio-dipendenti. Anche
la fine della depolarizzazione è uno stimolo off, perché permette la chiusura dei canali del calcio
voltaggio-dipendenti.

72
Non tutti gli stimoli sul terminale presinaptico sono responsabili di una liberazione di
neurotrasmettitori.
La liberazione del neurotrasmettitore ha quindi una sua tempistica ben definita, dato che deve essere
preceduta dalla attivazione dei canali per il calcio voltaggio-dipendenti.
Qual è la quantità di neurotrasmettitore che viene liberata nello spazio sinaptico? Attraverso
studi, veniva analizzata l’attività della giunzione neuromuscolare di una cellula muscolare scheletrica
registrando, in una situazione fisiologica, l’attività del motoneurone α. Facendo registrazioni sulla
membrana della cellula muscolare scheletrica, ci si rese conto che c’erano delle piccolissime
variazioni di potenziale (microvariazioni di potenziale) legate alla liberazione di qualche sostanza;
queste microvariazioni di potenziale erano legate alla liberazione di una singola vescicola di
neurotrasmettitore di una cellula presinaptica, che conteneva un numero di molecole pari a 10000
(ogni singola vescicola permetteva questa piccola variazione di potenziale).
La giunzione neuromuscolare dà vita ad una risposta definita potenziale di placca (EPP), ossia che
il motoneurone α, attraverso il suo potenziale di azione, trasmette la liberazione di acetilcolina a
livello della giunzione neuromuscolare. La cellula muscolare, stimolata dalla variazione di
acetilcolina, subisce una variazione di potenziale di membrana, che determina l’ingresso di calcio e
il meccanismo della contrazione muscolare.
Potenziale di placca = potenziale generato dalla liberazione di neurotrasmettitori dal motoneurone
α. È generato dalla somma di tutti i micropotenziali che si possono misurare dalla liberazione di ogni
singola vescicola.
La quantità di neurotrasmettitore contenuto nella vescicola (pari a circa 10000 molecole) prende il
nome di quanto. 1 quanto=10000 neurotrasmettitori, che darà vita sulla membrana postsinaptica ad
un micropotenziale che, sommato a tutti gli stimoli simili, darà vita al potenziale di placca.
Sia il potenziale di placca sia quello postsinaptico sono in stretta relazione alla quantità di calcio
presente nella cellula presinaptica.
Le vescicole sono di diverse dimensioni. Le più grandi (pallini scuri
neri) sono i granuli che contengono i neurotrasmettitori peptidici che
derivano dal nucleo della cellula presinaptica, e dove c’è la V ci sono
una serie di pallini bianchi più piccolini che sono le vescicole che
contengono i neurotrasmettitori classici prodotti dal terminale
presinaptico.
Come fa il neurotrasmettitore ad entrare all’interno della
vescicola? Attraverso dei trasportatori specifici che ne permettono il
passaggio all’interno della vescicola, già formata all’interno della
cellula (i trasportatori sono sempre delle proteine di membrana).

vGLUT  Trasportatore glutammato, il neurotrasmettitore eccitatorio per eccellenza del SNC;


vGAT  Trasportatore GABA
vMAT  Trasportatore monoamine
vAChT  Trasportatore acetilcolina
Questo riempimento delle vescicole non avviene in maniera passiva perché devono entrare molecole
abbastanza grandi; solitamente il trasporto è mediato da pompe protoniche che agiscono attraverso
l’idrolisi di ATP. Perciò, ci deve essere un dispendio di energia, che però è considerato indispensabile
e favorevole per la nostra sopravvivenza e il mantenimento dei collegamenti delle strutture neurali.

73
Una volta che il neurotrasmettitore viene rilasciato sulla terminazione sinaptica, la vescicola viene
saldata sulla membrana presinaptica (come avviene per un trasporto vescicolare) ed il
neurotrasmettitore rimane nello spazio sinaptico fino a quando o viene degradato oppure viene
riacquisito (riciclo) all’interno della cellula presinaptica. Nella giunzione neuromuscolare,
l’acetilcolina che viene liberata dal motoneurone α è in quantità eccessiva rispetto a quella necessaria
per la contrazione muscolare. Viene allora degradata e riassorbita per riportarla all’interno delle
vescicole, in modo da riutilizzarla per uno stimolo successivo.
Quante vescicole si legano alla nostra membrana presinaptica? Dipende dall’intensità dello
stimolo, dalla durata dello stimolo, da quanti canali per il calcio voltaggio-dipendenti sono stati
necessari, da quanta è la variazione del potenziale e, in generale, da quello che è lo stimolo a livello
presinaptico.
Esistono eventi generati da una stimolazione prolungata ed intensa della nostra cellula come, ad
esempio, la fatica cellulare, ossia quando la cellula non è più in grado di liberare neurotrasmettitore.
Accade se finisce la sua scorta di neurotrasmettitori e se non riesce a produrne abbastanza per il
bisogno richiesto; questo succede per stimoli molto lunghi e prolungati nel tempo. È molto difficile
raggiungere questa situazione, compare in situazioni veramente estreme. Si riesce ad ottenere solo in
laboratorio in certe condizioni, ad esempio le situazioni LTP (long time potentiation) in cui il
potenziale rimane alto per molto tempo e la cellula non riesce più a produrre neurotrasmettitore.
La quantità di neurotrasmettitore che viene liberato dipende dal numero di canali voltaggio-
dipendenti per il calcio che vengono attivati e che quindi innescano il meccanismo di legame della
membrana della vescicola a quella presinaptica. Come già visto, l’ampiezza del potenziale d’azione
rimane sempre costante, indipendentemente dallo stimolo. Ciò che andrà a modificare la liberazione
del neurotrasmettitore (quindi l’ingresso di calcio all’interno della cellula) saranno stimoli
iperpolarizzanti (sostanze, rumori o farmaci). Se contemporaneamente ad uno stimolo depolarizzante
viene generato uno stimolo iperpolarizzante, esso andrà ad avere un effetto inibitorio sulla quantità
di neurotrasmettitore che può essere liberato.
Il meccanismo che permette la
liberazione del neurotrasmettitore,
determinando il legame fra
vescicole e membrana
presinaptica, è legato alla presenza
di calcio. Le vescicole contenenti
neurotrasmettitori si accumulano e
fungono da riserva nel terminale
presinaptico. Questa riserva è, in
parte, già disponibile al neurone
nel terminale presinaptico, cioè si
trova in una situazione di estremo
contatto con la membrana citoplasmatica della cellula; fa parte di quel gruppo di vescicole di riserva
attaccate alla membrana citoplasmatica e pronte per essere liberate. Questo pool di vescicole è
relativamente piccolo (0.5-15%) e viene definito pool di liberazione (RRP). Oltre a questo, ci sono
anche dei piccoli grappoli di vescicole legate a proteine citoscheletriche (es. actina) che fungono da
deposito. Grazie all’ingresso di calcio, questi grappoli si disgregano e tutte le vescicole cariche di
neurotrasmettitori vengono avvicinate alla membrana citoplasmatica, in modo che possano essere
liberate (pool di riserva RP, più distante dal terminale rispetto al pool di liberazione).
Una parte del Ca2+, che entra in seguito ad uno stimolo depolarizzante, permette la fusione delle
vescicole del pool di liberazione con la membrana citoplasmatica presinaptica, permettendo una
liberazione quasi immediata del neurotrasmettitore. La restante componente di calcio andrà a

74
modificare il legame tra le proteine citoscheletriche (actina e sinapsina) e le vescicole del pool di
riserva. In questo modo, le vescicole si muoveranno verso la membrana e, successivamente, si
fonderanno con essa.

Come avviene il meccanismo di liberazione del neurotrasmettitore?

È strettamente legato alla fusione della vescicola con la membrana citoplasmatica; se non si fonde
non si libera il neurotrasmettitore. Ci sono una serie di reazioni che avvengono nei pressi della
membrana presinaptica che permettono la fusione di queste vescicole.
Le vescicole del RRP sono già vicine, quindi serve solo l’innesco della reazione per fondere la
membrana della vescicola con quella citoplasmatica.
Quelle del RP devono essere prima sganciate dal citoscheletro, al quale sono legate attraverso la
sinapsina, per poi fondere con la membrana citoplasmatica. La sinapsina viene “disinnescata” da
una proteinchinasi, proteina che permette la fosforilazione di un’altra proteina. Questa
proteinchinasi viene attivata dalla presenza di calcio nella cellula e va a dissociare la sinapsina dalla
vescicola e dall’actina. La vescicola viene trasportata verso la membrana, per poi fondersi con essa e
liberare il neurotrasmettitore.
Le proteinchinasi hanno il ruolo di attaccare un gruppo fosfato inorganico ad altre proteine, quindi,
in questo caso, attivare la proteina a svolgere il proprio compito.
Ci sono altre proteine all’interno della membrana presinaptica, che hanno il ruolo di mandare la
vescicola che si è liberata dal pool di riserva verso la membrana citoplasmatica. Le proteine G (come
quelle dei recettori metabotropici) hanno il compito di modificare le strutture proteiche presenti sulle
membrane vescicolari, permettendo l’indirizzamento delle vescicole verso la zona attiva (zona
elettrondensa). Essa è ricca di proteine RIM, proteine della membrana presinaptica che riconoscono
le proteine G attivate presenti sulle membrane vescicolari; sono in grado così di veicolare le vescicole.

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Rapido riassunto: il calcio attiva una proteinchinasi che disgrega la sinapsina, fosforilandola. Si
liberano le vescicole del pool di riserva; possiedono sulla membrana vescicolare le proteine G. Queste
proteine si attivano e sono indirizzate dalle RIM (proteine della zona attiva) verso la membrana
citoplasmatica interna.
Il processo successivo è l’ancoraggio della vescicola alla membrana. Per evitare che essa si muova
all’interno della cellula, ci sono varie proteine, soprattutto della famiglia SNARE che si dividono in:
 v-SNARE  Specifiche per le vescicole;
 t-SNARE  Specifiche per la membrana presinaptica.
Hanno la capacità di riconoscersi ed ancorarsi per bloccare la vescicola sulla membrana
citoplasmatica interna. (Da vedere come una calamita che attira a sé una pallina di ferro).
A questo punto deve scattare il fenomeno della fusione. Questo fenomeno avviene subito per le
vescicole del pool di liberazione, perché sono già ancorate alla membrana. La fusione, ancora una
volta, avviene grazie all’ingresso del calcio nella cellula. Ca2+ permette il legame della parte esterna
della vescicola con la parte interna della membrana citoplasmatica. Quando si legano tra loro le due
proteine SNARE v e t, il calcio attiva il meccanismo che le fonde, permettendo l’integrazione della
vescicola con la membrana citoplasmatica. (Da ricordare che le membrane, plasmatica e vescicolare, sono
identiche). Il calcio va a modificare l’integrazione delle due proteine SNARE determinando la fusione
della vescicola stessa.
Riassumendo: arriva uno stimolo depolarizzante, entra il calcio che va ad attivare le vescicole già
attaccate alla membrana citoplasmatica e ne permette la liberazione del neurotrasmettitore (si
mantiene per qualche ms il potenziale depolarizzante, ma la fusione dura 0,01 ms). Entra ancora più
calcio, attiva la proteinchinasi, si disgrega la sinapsina, libera le vescicole del pool di riserva e, dopo
una serie di reazioni chimiche, le vescicole si portano alla membrana presinaptica, si ancorano e si
fondono, liberando i neurotrasmettitori nello spazio intersinaptico.
Questo è il meccanismo di liberazione di tutte le cellule neuronali.

Domanda 1
Le sinapsi miste: la stessa cellula ha due terminali sinaptici, uno chimico e uno elettrico, o possono
coesistere su uno stesso terminale?
Possono coesistere. Le membrane presinaptica e postsinaptica possono essere connesse tramite gap
junctions, ma la membrana presinaptica può anche liberare neurotrasmettitori. Si tratta di sinapsi
molto rare, presenti soprattutto a livello del cervelletto.
Domanda 2
Sia neurotrasmettitori sia recettori possono essere ionotropici o metabotropici o solo i recettori?
Solo i recettori possono essere ionotropici o metabotropici. I neurotrasmettitori sono semplicemente
sostanze chimiche. Gli ionotropici causano sempre e solo depolarizzazione o iperpolarizzazione
(EPSP o IPSP). I metabotropici possono creare, a seconda delle varie cascate enzimatiche che
sviluppano all’interno della cellula postsinaptica, sia liberazione di ioni che possono andare ad
aprire canali (o anche solo la fosforilazione di un canale che ne causa l’apertura) oppure risposte
nucleari (produzione di proteine, modificazioni di trascrizioni e traduzioni, etc).

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Fisiologia, lezione 8
20/10/2021
Prof.ssa. Sandra Guidi
Sbobinatori: Giacomo Cinelli, Eleonora Cognolato
Revisore: Maria Allegra Sorini

Continuiamo a parlare della trasmissione sinaptica; abbiamo già parlato di vescicole che contengono
il neurotrasmettitore e che si legano alla membrana del terminale presinaptico in modo tale che
l’apertura di queste vescicole possa permettere la fuoriuscita del neurotrasmettitore nello spazio
sinaptico. Tutto il meccanismo è guidato dalla presenza di proteine che vengono attivate, in momenti
differenti, e che determinano il legame della membrana delle vescicole con la membrana
citoplasmatica.

Abbiamo anche visto che queste proteine sono attivate dalla presenza di calcio in quanto l’ingresso
all’interno della cellula del calcio è un punto fondamentale per permettere i seguenti meccanismi: dal
distacco di quelle che sono le vescicole del pool di riserva, che scendono verso la membrana
citoplasmatica, all’apertura delle vescicole che sono già ancorate alla membrana citoplasmatica, che
permettono la fuoriuscita immediata del neurotrasmettitore.
La fuoriuscita deve essere generata da una depolarizzazione, infatti la membrana citoplasmatica si
depolarizza permettendo l’ingresso di ioni calcio che attivano l’intero meccanismo.
L’importanza di queste proteine, che permettono il legame tra le vescicole che contengono il
neurotrasmettitore e la membrana citoplasmatica, può essere evidenziata anche dal fatto che alcune
tossine (come la tossina tetanica o botulinica) vanno a legarsi alle proteine del gruppo SNARE
bloccando la liberazione del neurotrasmettitore; si tratta quindi di un meccanismo che garantisce lo
sviluppo delle comunicazioni tra cellule differenti e, perciò, il mantenimento di quelle che sono le
nostre attività funzionali e fisiologiche, come ad esempio la contrazione muscolare o le interazioni
delle reti neuronali. Al termine queste vescicole, che si fondono con la membrana per determinarne
l’apertura, vengono poi recuperate.
La fusione delle nostre vescicole avviene in due modi differenti:
1) il primo modo è quello più facile e veloce in cui solo una piccola porzione della membrana
della vescicola si unisce alla membrana della cellula creando un poro che ha la funzione di
tenere unite le due membrane e che permette la fuoriuscita del neurotrasmettitore nello spazio
sinaptico.

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Questo viene definito il MECCANISMO DEL MORDI E FUGGI, in cui l’attivazione è
temporalmente molto veloce.
Il recupero della vescicola è molto semplice da parte della cellula presinaptica perché, in
realtà, sono molto pochi i micron di tessuto che è fuso con la membrana citoplasmatica;
affinché ciò avvenga, viene attivata una proteina, che si chiama dinamina, in grado di tagliare
le due porzioni di sinapsi unite per formare il poro e in seguito la vescicola semplicemente si
stacca dalla membrana citoplasmatica e viene recuperata all’interno del citoplasma della
cellula.
Questa vescicola è vuota, perché ha già liberato il neurotrasmettitore che conteneva, e ci
saranno i trasportatori presenti sulla membrana della vescicola che poi riempiranno
nuovamente la vescicola con il neurotrasmettitore specifico.
2) Il secondo modo è caratterizzato dal fatto che tutta la vescicola si fonde con la membrana
citoplasmatica e quindi non esiste più, nel senso che tutta la parete della vescicola si integra
con quella che è la membrana citoplasmatica.
In questo modo, il meccanismo di recupero di quella vescicola diventa un po’ più complicato,
perché deve avvenire una sorta di endocitosi, in cui una parte della membrana citoplasmatica,
che si trova a livello del terminale presinaptico, viene invaginata all’interno della cellula,
staccata dalla membrana citoplasmatica per poi dare vita a una nuova vescicola.
Il meccanismo descritto prende il nome di ENDOCITOSI ed è fondamentale il ruolo di una
proteina detta clatrina perché è utilizzata per ricoprire la membrana che si invagina all’interno
della membrana citoplasmatica presinaptica, determinandone la curvatura; in particolare, la
clatrina si attacca sulla membrana della vescicola che si è fusa con la membrana
citoplasmatica e determina la modificazione della struttura della membrana, trasformandola
in una sorta di “palloncino” fino a che, grazie alla funzione della proteina dinamina, la
vescicola si chiude e ritorna all’interno della nostra cellula.
In realtà, nella condizione dell’endocitosi, la dinamina stacca la membrana della vescicola
dalla membrana citoplasmatica senza saldarla e questo permette al citoplasma che è intorno
alla nostra vescicola di entrare nella vescicola che contiene il neurotrasmettitore, mantenendo
un ambiente che è identico sia all’interno della vescicola sia all’interno della cellula.
Nell’endocitosi cellulare, invece, viene recuperato materiale dall’esterno della cellula verso
l’interno della cellula; in questo caso si ha semplicemente il ripiegamento della membrana
attraverso l’attivazione della proteina clatrina che permette l’arrotondamento di una porzione
della nostra membrana, trasformandola in una vescicola. In seguito, la dinamina stacca la
vescicola dalla membrana citoplasmatica e il citoplasma della cellula entra all’interno della
vescicola prima che si saldi; dopo di ché, i trasportatori porteranno il neurotrasmettitore
all’interno della vescicola che è stata recuperata.
I trasportatori sono attivi e agiscono sempre usando il gradiente di concentrazione che si forma
grazie alle pompe protoniche, quindi, pompe ATPasiche che scambiano protoni.

L’evento di legame e liberazione del neurotrasmettitore sulla membrana presinaptica è molto veloce
e si svolge in 0.2-0.3 ms, al massimo. mentre, il recupero della vescicola a livello della membrana
citoplasmatica dura al massimo un paio di secondi; ovviamente, tutto è regolato dalla stimolazione
che la cellula sta ricevendo; quindi il meccanismo di attivazione della liberazione del
neurotrasmettitore dipende dalla stimolazione e depolarizzazione che la cellula sta effettuando.
Le cellule, soprattutto i neuroni, difficilmente vanno incontro al fenomeno rappresentato dalla fatica,
che provoca l’utilizzo di tutte quelle che sono le vescicole che contengono i neurotrasmettitori, perché
comunque il neurotrasmettitore deve essere comunque prodotto all’interno della cellula, per cui
occorre una determinata tempistica tra il momento in cui il neurotrasmettitore viene prodotto e la sua
internalizzazione all’interno della vescicola.

78
In genere, la quantità di vescicole che sono presenti nel pool di riserva e nel pool di liberazione già
legata alla membrana citoplasmatica è in eccesso, soprattutto nel caso del pool di riserva, rispetto alla
quantità di neurotrasmettitore che il nostro neurone libererà.
Il neurone, comunque, continuerà a produrre un pool di riserva a seguito di ogni liberazione di
neurotrasmettitore, perché è fondamentale che ci sia la quantità di materiale che servirà poi per
rispondere ad una ulteriore stimolazione.

I NEUROTRASMETTITORI
Parlando in generale dei neurotrasmettitori, essi sono suddivisi in:
- NEUROTRASMETTITORI CLASSICI
- NEUROTRASMETTITORI PEPTIDICI

Sono sostanze con caratteristiche un po’diverse tra loro, innanzitutto, i neurotrasmettitori classici
sono prodotti a livello della membrana presinaptica mentre i neurotrasmettitori peptidici vengono
prodotti all’interno del nucleo della cellula e poi trasportati, con un trasporto assonico rapido, fino al
terminale presinaptico.
I neurotrasmettitori classici vengono prodotti in forma attiva, quindi, sono pronti per essere introdotti
all’interno delle vescicole; invece, i neuropeptidi sono prodotti come forma inattiva e vengono attivati
nel momento in cui sono introdotti all’interno della vescicola.
Un’altra differenza importante tra i neurotrasmettitori classici e peptidici è la tempistica di azione. I
neurotrasmettitori classici hanno un’azione molto veloce, ma vengono anche velocemente eliminati
dallo spazio sinaptico e l’eliminazione può avvenire attraverso la degradazione del neurotrasmettitore
nello spazio sinaptico; d’altro canto la degradazione può avvenire anche per ricaptazione quando
esistono dei trasportatori presenti nella membrana presinaptica che sono in grado di recuperare il
neurotrasmettitore presente nello spazio sinaptico e riportarlo nella cellula presinaptica, in modo tale
da poterlo riutilizzare. Nei neurotrasmettitori peptidici, invece, la tempistica di attivazione è un po’
più lenta ed è necessario più tempo per degradare il neuropeptide o perché sia inattivato dagli enzimi
presenti a livello dello spazio sinaptico.
Infine, altra caratteristica è la presenza di vescicole differenti: nei neurotrasmettitori classici si
trovano in piccole vescicole a livello della membrana presinaptica (osservabili come piccole vescicole
chiare) mentre i neuropeptidi vengono trasportati attraverso l’assone fino al terminale presinaptico e
si trovano in grosse vescicole dette granuli che sono elettrondense (al microscopio elettronico sono
scure).

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LE CARATTERISTICHE DEI NEUROTRASMETTITORI

Una sostanza per essere definita neurotrasmettitore deve avere tre caratteristiche principali e se non
sono verificate queste peculiarità allora si tratta semplicemente di un trasmettitore non integrato
all’interno del sistema nervoso.
Le tre caratteristiche principali sono:
1) il neurotrasmettitore deve essere presente nella terminazione presinaptica e la cellula deve
essere in grado di sintetizzarlo altrimenti non sarebbe una sostanza chimica usata per
comunicare con la cellula successiva;
2) deve essere sempre rilasciato grazie a una depolarizzazione della membrana presinaptica;
3) devono esserci dei recettori specifici sulla membrana postsinaptica che rispondano al legame
del neurotrasmettitore.

Esistono differenti categorie di neurotrasmettitori presenti a livello del sistema nervoso centrale e
periferico.
Iniziamo con i neurotrasmettitori classici che presentano generalmente un basso peso molecolare.
Il primo che prendiamo in considerazione è:
- L’ACETILCOLINA (Ach)

L’acetilcolina è il neurotrasmettitore della placca neuromuscolare ed è quindi presente in tutte le


giunzioni neuromuscolari ma si ritrova anche a livello del sistema nervoso autonomo perché è il
neurotrasmettitore dei neuroni pregangliari ed è il neurotrasmettitore postgangliare del sistema
nervoso parasimpatico.
Quindi, è in grado di provocare, a livello periferico nelle giunzioni neuromuscolari, una risposta, cioè
una contrazione muscolare, grazie a una sua liberazione, ma regola anche delle funzioni centrali
proprio perché è il neurotrasmettitore del sistema nervoso autonomo nella porzione pregangliare sia
nel simpatico che nel parasimpatico ed è il neurotrasmettitore della porzione postgangliare nel sistema
parasimpatico.
Deriva dall’acetil-CoA che reagisce con la colina grazie a un enzima, che è la colina-acetiltransferasi,
e si forma acetilcolina e CoA, il CoA rimane all’interno della cellula mentre l’acetilcolina viene
integrata nelle vescicole, quindi, viene trasportata attraverso un trasportatore all’interno delle
vescicole presenti, per esempio, all’interno dei motoneuroni-α.
I neuroni che contengono acetilcolina come neurotrasmettitore sono definiti NEURONI
COLINERGICI e sono i primi che si degradano nella malattia di Alzheimer: è infatti noto che le
prime fasi del morbo di Alzheimer sono caratterizzate dalla degenerazione dei corpi cellulare dei
neuroni colinergici.
Come già detto, i neurotrasmettitori presenti nello spazio sinaptico vengono o degradati o ricaptati;
in questo caso, l’acetilcolina viene degradata dall’enzima acetilcolinesterasi che trasforma
l’acetilcolina in acetato e colina. La colina è la porzione utile per riformare nuova acetilcolina che
viene recuperata attraverso trasportatori dalla cellula presinaptica; questo trasporto avviene in
contemporanea con il sodio, quindi si ha l’internalizzazione della colina che verrà riutilizzata dalla
colina-acetiltransferasi per creare nuova acetilcolina all’interno della cellula presinaptica.
Questo è il primo neurotrasmettitore ed è molto abbondante all’interno del nostro organismo.

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All’interno di quelli che sono i neurotrasmettitori classici è compresa anche la categoria degli
AMMINOACIDI, sono tre ed il primo è:
- GLUTAMMATO

Il glutammato è il primo neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale e deriva in parte
dal glucosio, che si genera attraverso il ciclo di Krebs oppure tramite una reazione bidirezionale con
la glutammina, cioè il glutammato può essere trasformato in glutammina e viceversa, a seconda delle
necessità.
Il glutammato è un neurotrasmettitore eccitatorio che si lega sulla membrana postsinaptica a un canale
ionico che permette la depolarizzazione, quindi crea un EPSP sulla membrana postsinaptica
permettendo l’ingresso di una grande quantità di ioni sodio.
Il glutammato presente nella fessura sinaptica deve essere
velocemente degradato perché a lungo andare risulta
neurotossico.
La degradazione avviene ad opera di cellule gliali, presenti
nel sistema nervoso centrale, che attraverso un trasportatore
portano il glutammato all’interno del loro corpo cellulare
trasformando il glutammato in glutammina.
Questa glutammina verrà fatta fuoriuscire dalla cellula
gliale, recuperata da un trasportatore presente sui neuroni e
usata in questi neuroni glutammatergici per creare nuovo
glutammato e per creare nuovo neurotrasmettitore.
Il glutammato è importante anche perché è il precursore di
un altro neurotrasmettitore cioè il GABA (acido γ-
amminobutirrico). Una volta che il glutammato è presente nel neurone, attraverso il trasportatore
GLUT, verrà internalizzato nelle vescicole, presenti nella membrana presinaptica, e liberato nella
terminazione sinaptica.
Questo è il primo neurotrasmettitore eccitatorio classico della classe degli amminoacidi.

- GABA (acido γ-amminobutirrico) 40.35


Il GABA deriva dal glutammato ad opera di una decarbossilasi e a differenza del glutammato il
GABA è il neurotrasmettitore inibitorio per eccellenza; anche in questo caso, quando si trova a livello
della fessura sinaptica, viene degradato ad opera di enzimi e il prodotto di degradazione è
α-chetoglutarato il quale può essere ritrasformato in glutammato e, quindi, da glutammato di nuovo
in GABA. (La reazione è presente nell’immagine qui in alto, questo riciclo è necessario alle nostre

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cellule neuronali per evitare di riprodurre continuamente nuovo neurotrasmettitore e per avere a
disposizione neurotrasmettitore per le comunicazioni interneuronali).
I recettori postsinaptici presenti sulle cellule postsinaptiche che rispondono al GABA sono differenti
e possono essere sia canali ionotropici che recettori metabotropici (che la professoressa non ha
spiegato):
• Canali ionotropici: creano iperpolarizzazione nella cellula postsinaptica perché sono
canali che permettono l’ingresso di Cl-, che essendo uno ione negativo, aumenta la
differenza di potenziale della nostra cellula postsinaptica riducendo la probabilità che
questa cellula vada incontro al valore soglia e quindi all’attivazione di un potenziale
d’azione.
Quindi, si tratta di un neurotrasmettitore inibitorio perché si lega a recettori che
inibiscono (iperpolarizzano) la cellula postsinaptica.

I recettori GABAergici sono quelli coinvolti nei fenomeni di dipendenza dalla droghe o che
interagiscono con l’assunzione di alcool, praticamente questi recettori vengono bloccati e si ha il
blocco dell’inibizione delle cellule postsinaptiche con una particolare eccitazione, se parliamo di una
limitata assunzione di alcool, quando l’assunzione supera i livelli consentiti si ha un effetto opposto,
aumenta quindi l’inibizione delle cellule e si crea una depressione del SNC; in particolare, il coma
etilico è generato da una completa depressione del SNC che blocca tutte le informazione che dal SNC
vanno verso la periferia.

L’altro amminoacido della classe dei neurotrasmettitori classici è rappresentato dalla:

- GLICINA
Anche la glicina è un neurotrasmettitore inibitorio che deriva dalla serina.
La glicina si trova solo in piccole porzioni del SNC, in particolar modo, si
trova nel: midollo spinale, retina e nella parte inferiore del tronco encefalico.
Questo neurotrasmettitore funziona, esclusivamente, quando si lega al
GABA, quindi, GABA e glicina hanno un effetto sinergico.
I recettori sulla membrana postsinaptica sono ionotropici, quindi, canali
ionici e sono bloccati dalla STRICNINA, anche in questo caso, esistono dei
trasportatori in grado di recupere la glicina a livello della membrana
presinaptica e trasportano la glicina all’interno della nostra cellula.

Un’altra categoria dei neurotrasportatori classici è rappresentata dalle AMINE BIOGENE.


Le amine biogene sono:
Ø le catecolamine ® dopamina, noradrenalina e adrenalina
Ø la serotonina
Ø l’istamina

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CATECOLAMINE (DOPAMINA, NORADRENALINA, ADRENALINA)
Tutte hanno in comune la via di sintesi, infatti, derivano tutte dalla tirosina, che viene trasformata in
levodopa (L-DOPA) e a sua volta viene decarbossilata e trasformata in dopamina;
un’altra reazione chimica trasforma la dopamina in noradrenalina e, ancora, la noradrenalina può dare
origine all’adrenalina.
La dopamina viene trasformata in noradrenalina all’interno delle vescicole, mentre, la noradrenalina
viene trasformata in adrenalina nel citoplasma delle cellule della midollare del surrene, che è una
struttura considerata nervosa che fa parte del sistema nervoso autonomo simpatico ed è la struttura
che permette la liberazione della maggior quantità di adrenalina all’interno del nostro organismo.
Queste catecolamine si ritrovano in quasi tutto il SNC, hanno una funzione importantissima per
quanto riguarda: la genesi delle informazioni legate alla memoria e all’apprendimento, sono correlate
alla gestione delle informazioni motorie (ad esempio tramite la funzionalità del cervelletto) e sono
anche coinvolte nella funzionalità del SNA.
Anche questi neurotrasmettitori vengono degradati attraverso due enzimi in grado di degradare le
amine biogene, sono: la monoaminossidasi [MAO] e la catecol-O-metiltransferasi [COMT]; questi
due enzimi degradanti sono importantissimi nella farmacologia, perché vengono usati farmaci
specifici in grado di bloccare o inibire questi due enzimi per mantenere la concentrazione di amine
biogene elevata all’interno delle terminazioni sinaptiche.

La risposta che si ha alla liberazione di questi neurotrasmettitori è una risposta eccitatoria, basta
pensare all’adrenalina rilasciata in situazioni di stress, agitazioni o di attivazione generalizzata a tutto
il nostro organismo.
La dopamina è il neurotrasmettitore che viene distrutto nel morbo di Parkinson, è liberata da una
porzione di quelli che sono i gangli della base che serviranno per il controllo dell’attività motoria;
durante questa degradazione si distruggono i neuroni di una parte di questi gangli della base che
limitano la produzione di dopamina, infatti, chi è affetto dal morbo di Parkinson ha difficoltà nel
generare dei movimenti o genera dei movimenti a scatti ed è caratteristicamente riconoscibile da un
tremore che colpisce gli arti superiori, generato dal mancato controllo motorio di questa struttura.
Attualmente l’unica cura che riusciamo a somministrare ad un paziente con il morbo di Parkinson è
la levodopa che viene trasformata in dopamina in questi nuclei e può essere in parte usata per
recuperare quella dopamina che non viene prodotta.
Tuttavia, è un trattamento che può durare solo qualche anno perché la degradazione dei nuclei della
base poi determina il blocco dell’attività enzimatiche che permette la trasformazione della levodopa
in dopamina.

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SEROTONINA

La serotonina deriva dal triptofano per una serie di reazioni di idrossilazione e carbossilazione ed è
il neurotrasmettitore che viene associato alla contentezza, alla felicità, per esempio, qualche anno fa,
andava di moda l’idea della serotonina legata all’assunzione di cioccolato, che veniva considerato
come una sorta di “droga” capace di provocare assuefazione proprio perché veniva liberata
serotonina, regolatrice dell’umore (euforizzante). E’ un neurotrasmettitore che si trova a livello del
SNC e che agisce anche sulle strutture che coinvolgono i fenomeni di memoria, apprendimento e
anche ansia. E’ molto importante nel controllo dei ritmi sonno-veglia ed è coinvolto nelle sindromi
maniaco-depressive.
Il suo trasportatore, il SERT (serotonin trasporter), che permette la ricaptazione della serotonina e il
ritorno della serotonina all’ interno del neurone presinaptico, è l’elemento su cui vanno ad agire molti
antidepressivi come ad esempio la fluoxetina, principio attivo del prozac. Il prozac agisce sul
trasportatore della serotonina inibendolo (inibisce quindi la ricaptazione selettiva della serotonina),
rimane più serotonina a livello delle terminazioni sinaptiche e questo determina una eccitazione del
sistema, quindi si va a ridurre la sindrome depressiva attraverso questo meccanismo.
La serotonina è anche implicata nei fenomeni di neurogenesi (promozione di neuroni) nelle prime
fasi della nostra vita; durante la vita fetale, infatti, c’è una produzione molto grande di serotonina
proprio perché questa è in grado di attivare la genesi dei neuroni a livello delle strutture centrali e
quindi determina la produzione di reti neurali.
La serotonina è ridotta in molte patologie e sindromi che coinvolgono deficit cognitivi, ad esempio
la sindrome di Down, in cui c’è la duplicazione del cromosoma 21, lo sbilanciamento dei geni
presenti sul cromosoma 21 crea una serie di difetti nei soggetti che manifestano questa sindrome, tra
cui una riduzione importante della serotonina nei primi momenti di vita, che provoca difetti di
neurogenesi: le persone affette da sindrome di Down hanno un numero di neuroni minori rispetto alle
persone non trisomiche e questo crea deficit cognitivi e problemi di apprendimento.
Infine, la serotonina è un neurotrasmettitore che si lega ai recettori ionici sulla membrana
postsinaptica, quindi canali ionotropioci, e che viene recuperato da trasportatori specifici.

ISTAMINA
Ha una funzionalità bivalente:
nella periferia è quel
neurotrasmettitore coinvolto nei
fenomeni di infiammazione, si
ritrova all’interno dei mastociti
generando infiammazione nei
tessuti periferici; nelle strutture
centrali funzione invece come
neurotrasmettitore. Anche in
questo caso è un neurotrasmettitore eccitatorio ed è in grado, in determinate condizioni patologiche,
di generare infiammazione anche a livello centrale agendo sulla glicoglia, insieme di cellule presenti
nel sistema nervoso centrale, la cui attivazione è in grado di generare uno stato di infiammazione
generalizzato legato anche alla produzione di residui ossidati presenti a livello del SNC.

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Un’altra classe dei neurotrasmettitori classici è la classe delle PURINE
ATP (Adenosin-trifosfato)
L’ATP è il principale rappresentante delle purine e funziona come neurotrasmettitore in relazione con
altri neurotrasmettitori; l’ATP viene generalmente internalizzato dentro a vescicole che contengono
altri neurotrasmettitori come il GABA o l’acetilcolina. L’ATP è una molecola in grado di agire su
recettori post sinaptici che sono sia ionotropici che metabotropici. Viene degradata velocemente in
ADP, in AMP e adenosina (ultimo elemento legato alla degradazione di queste purine). L’adenosina
viene recuperata all’ interno delle cellule attraverso i trasportatori e poi verrà utilizzata per produrre
nuove purine, quindi nuove AMP, ADP, ATP.

PEPTIDI
La classe distinta dai neurotrasmettitori classici è quella dei neuropeptidi. I neurotrasmettitori
peptidici sono tantissimi, un numero elevatissimo di sostanze differenti; ogni neuropeptide è formato
da un numero diverso di amminoacidi che può variare da tre ad una quarantina in catene più o meno
complicate. In genere vengono utilizzati come co-neurotrasmettitori (un po’ come è stato descritto
precedentemente per l’ATP) oppure possono anche agire in modo unico su recettori postsinaptici
andando a creare una risposta che può essere sia eccitatoria sia inibitoria, a seconda del tipo di
neurotrasmettitore.
La sintesi dipende dalla struttura centrale della nostra cellula, non viene sintetizzata da un
meccanismo a livello della terminazione presinaptica ma a livello del citoplasma, a livello nucleare,
si ha la produzione di una forma inattiva che viene definita generalmente come pro-ormone, questa
forma inattiva viene introdotta all’interno di vescicole. Le vescicole sono molto grandi, contengono
una buona quantità di neurotrasmettitori e attraverso queste la sostanza viene trasportata, con
trasporto assonico rapido, verso il terminale presinaptico. Il cambiamento della struttura di questi
neuropeptidi avviene ad opera degli organuli cellulari, come il RE e l’organo di Golgi, i quali
trasformano questi neurotrasmettitori da pro-ormone in forma attiva all’interno di una vescicola.
Anche in questo caso vengono inibiti nello spazio sinaptico grazie alla presenza di enzimi, che sono
in grado di degradarli e che vanno a bloccare l’attività di questi neuropeptidi.

OPPIOIDI ENDOGENI
Rappresentano la classe principale dei neuropeptidi. Si è visto che usando degli oppioidi esogeni
(come gli estratti del papavero piuttosto che la morfina) il nostro organismo è in grado di generare
delle risposte. Quindi ci si è chiesto come fosse possibile che l’organismo umano fosse in grado di
avere dei recettori specifici per le sostanze esogene, ed è stato scoperto che esistono recettori in grado
di rispondere ad oppioidi esogeni semplicemente perché il nostro organismo produce oppioidi
endogeni che sono neuropeptidi e sono rappresentati dalle encefaline, dinorfine ed endorfine.
Questi oppioidi endogeni agiscono sulla regolazione e sulla modulazione del segnale del dolore: il
segnale del dolore viene trasportato attraverso recettori dolorifici che presentano il corpo cellulare
all’interno dei gangli delle radici dorsali o nel ganglio di Gasser. Gli oppioidi endogeni vanno a
modulare l’informazione trasportata dai neuroni e sono in grado di andare a ridurre la sensazione di
dolore.
Un antagonista dei recettori per gli oppioidi è il naloxone, farmaco che viene utilizzato nelle crisi da
overdose: una volta che viene somministrato al soggetto va a scalzare gli oppioidi dal recettore
inibendo l’azione dell’oppioide. Il naloxone ha una specificità molto alta per il recettore degli oppioidi
endogeni e quindi è proprio in grado di bloccare l’azione delle sostanze stupefacenti.
Questi neurotrasmettitori agiscono inibendo la comunicazione tra due cellule e questa inibizione è
generalmente un’inibizione presinaptica. Ci sono due tipi di inibizioni in generale in un sistema
nervoso: inibizione presinaptica e inibizione postsinaptica. Con l’inibizione presinaptica si va a
bloccare la fuoriuscita del neurotrasmettitore, di conseguenza viene bloccato il passaggio
dell’informazione al neurone postsinaptico, questo avviene bloccando i canali del calcio voltaggio
dipendenti. L’ingresso di calcio viene bloccato, ciò non permette il legame delle vescicole alla

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membrana presinaptica e quindi non avviene la liberazione di neurotrasmettitore. Questo è il caso
degli oppioidi endogeni che hanno questa funzionalità sulle vie del dolore, vanno a bloccare in
maniera presinaptica la liberazione del neurotrasmettitore che permette la trasmissione
dell’informazione del dolore.
L’altro tipo di inibizione è l’inibizione postsinaptica dove è necessario rendere più iperpolarizzato
il neurone postsinaptico e per fare questo i meccanismi che hanno i neuroni sono: rendere la
membrana meno permeabile o attivare canali ionici che permettano il passaggio di ioni negativi.
Gli oppioidi sono in grado di andare ad inibire in modo presinaptico le vie del dolore, bloccando il
passaggio del segnale dal recettore dolorifico alle cellule sovrastanti che andranno fino alla corteccia.

SOSTANZA P
Anche questo neuropeptide è coinvolto nell’informazione dolorifica, funziona da neurotrasmettitore
per il dolore, non ha dei recettori specifici sui neuroni postsinaptici, è in grado di legarsi a molti
recettori e ha anche la capacità di diffondere al di là dello spazio sinaptico, andando ad amplificare il
segnale legato allo stimolo dolorifico. Si tratta di un neurotrasmettitore coinvolto non nel bloccare le
informazioni legate agli stimoli dolorifici ma nel generare un segnale che arriverà in corteccia e darà
vita ad un segnale dolorifico. In genere, questa sostanza P agisce con altri neurotrasmettitori ed è
molto importante per quanto riguarda la funzionalità dei neuroni spinali.

ALTRI NEUROPEPTIDI
Ci sono molte altre molecole che fanno parte dei neurotrasmettitori peptidici. Per esempio il peptide
correlato al gene della calcitonina (CGAT) è un neurotrasmettitore che agisce in sinergia con il
glutammato e ha la caratteristica di andare ad aumentare la funzionalità e l’attività della serotonina
(quindi è un neuropeptide eccitatorio).
Sono ormoni peptidici, per esempio, la vasopressina e l’ossitocina, prodotti a livello ipotalamico e
liberati dalla neuroipofisi.
NB! Dire co-neurotrasmettitori e dire che due trasmettitori agiscono in modo sinergico è la stessa
cosa
La vasopressina e l’ossitocina hanno funzionalità legata al recupero dei liquidi del nostro organismo,
a livello renale nel caso della vasopressina, mentre l’ossitocina è legata alle contrazioni dell’utero
gravido o la liberazione di latte durante la suzione da parte del neonato; quindi, fungono da ormoni
ma vengono utilizzati anche come neurotrasmettitori.
La differenza tra neurotrasmettitore e ormone si basa sul fatto che il neurotrasmettitore deve essere
presente a livello della sinapsi mentre l’ormone può diffondere ed andare ad agire a livello sistemico,
non solo nella specifica sinapsi.
Ci sono poi altri neuropeptidi presenti, ad esempio, a livello gastrico, importantissimi per attivare la
rete neurale che copre il sistema gastrointestinale, ad esempio colecistochinina, VIP (peptide
intestinale vasoattivo) che regolano l’attività nervosa del sistema, la quale è in grado di agire quasi
completamente in autonomia dal SNC.
Gli endocannabinoidi, fanno parte della categoria dei neuropeptidi, sono simili agli oppioidi
endogeni e sono prodotti in maniera endogena nell’organismo e si vanno a legare a recettori che sono
stati conosciuti con l’utilizzo della cannabis. Hanno la stessa identica funzionalità del recettore THC,
in grado di legarsi al principio attivo della marijuana e anche questi regolano circuiti legati alle
emozioni, alla riduzione dell’ansia, stati maniacali. Sono concentrazioni di neurotrasmettitori basse
che servono per regolarizzare quel tipo di informazione.

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NEUROTRASMETTITORI GASSOSI
Questa è l’ultima classe di neurotrasmettitori, non vengono inseriti all’interno delle vescicole perché
essendo gas riescono a diffondere attraverso le barriere citoplasmatiche senza bisogno di proteina che
permettano il passaggio. Il più importante è l’ossido nitrico (NO), importante per quanto riguarda la
funzionalità del sistema nervoso enterico, quindi a livello gastro intestinale. E’ un forte inibitore del
sistema enterico e viene in parte utilizzato nel SNC ma serve anche come trasduttore del segnale
cellulare in quanto si comporta come una sorta di facilitatore che è in grado di andare a influenzare il
legame di alcuni neurotrasmettitori ai recettori postsinaptici.

I RECETTORI DI MEMBRANA
Tutti questi neurotrasmettitori, tranne quelli gassosi, sono presenti all’interno delle vescicole
sinaptiche, che vengono legate alla membrana sinaptica, e vengono rilasciati per andare a legarsi ai
recettori presenti nella membrana postsinaptica. I recettori dei neuroni sono recettori neuronali ma,
in maniera meno specifica, esistono recettori su moltissime membrane delle cellule dell’organismo
che non devono essere per forza cellule eccitabili (quindi non sono per forza neuroni o cellule
muscolari). Ci sono recettori su tutte le cellule del nostro organismo che sono in grado di rispondere
a specifiche sostanze. La specifica sostanza è la molecola, definita molecola di segnalazione.
All’interno dei recettori di membrana di classe generale esistono i recettori dei neurotrasmettitori. Le
risposte che si possono generare quando una sostanza si lega ad un tipico recettore, possono essere
azioni legate all’eccitazione, ma possono essere anche azioni che non portano all’eccitazione di una
cellula, perché esistono cellule non eccitabili, ma che possono determinare la produzione di proteine,
movimenti di ciglia presenti su determinate cellule, una serie di risposte differenti tra loro.

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Quelli che verranno presi in considerazione sono rappresentati dai canali ionici e dai recettori
accoppiati a proteine G.
Sono le due classi evidenziate con un riquadro nella tabella sovrastante, in questi recettori la sostanza
che è in grado di attivare la risposta è rappresentata da quasi tutti i neurotrasmettitori presi in
considerazione in precedenza. Questi due recettori saranno quelli più rappresentati a livello dei
neuroni dell’organismo.

Sono attivati grazie al legame con


un ligando, evento che genera una
risposta diversificata. Il canale
ionico è una proteina
trasmembrana, il ligando si lega al
canale ionico, avviene la
modificazione della conformazione
esterna della proteina che provoca
l’apertura del canale determinando
iperpolarizzazione o
depolarizzazione della cellula.
I recettori accoppiati a proteine
G hanno una funzionalità più
complicata. Questo qua a lato è un
esempio classico: compare il
recettore e all’interno della
membrana si può vedere la proteina
G (chiamata cosi perché legata al
GTP). Questa proteina è
normalmente inattiva all’interno
della cellula, quando il ligando si
lega al recettore specifico il
recettore permette l’attivazione della proteina G, in genere legandola, quel legame attiva la proteina
che creerà una risposta all’interno della cellula. Il marrone in figura potrebbe essere semplicemente
un canale ionico, per cui la proteina G attivata può legarsi ad un canale ionico attraverso elementi
effettori e permette l’apertura del canale ionico oppure una serie di cascate enzimatiche all’ interno
delle cellule (che non devono essere per forza dei neuroni) vanno a modificare la risposta a livello
nucleare, quindi produzione di proteine piuttosto che attivazione di certi tipi di enzimi, quindi risposte
cellulari generalizzate.
Alcuni recettori presenti sulle cellule sono recettori enzimatici cioè sono enzimi inattivi che si
attivano quando si lega uno specifico ligando. La molecola segnale attiva l’enzima e creerà la genesi
di una cascata di reazioni all’interno della cellula catalizzata dall’attivazione dell’enzima presente
sulla membrana della cellula stessa. Qui si parla di cellule generali e non solo di neuroni, cellule
generali che hanno sempre recettori che possono determinare risposte specifiche.

88
Esiste poi una classe di
recettori presenti sulla
membrana nucleare. In
questi recettori nucleari, il
ligando che è in grado di
attivare la risposta nucleare
è molto differente rispetto ai
ligandi che sono in grado di
attivare le risposte dei
recettori presenti sulla
membrana citopolasmatica.
In genere, sono sostanze che
sono in grado di oltrepassare
passivamente la barriera
citoplasmatica, come ad
esempio, l’ormone
steorideo, questo riesce a
passare passivamente la
membrana citoplasmatica
perché è una molecola
idrofobica e si va a legare
con un recettore presente
all’ interno del citoplasma
(cellulare), che una volta
legato all’ormone, è in grado
di oltrepassare la barriera nucleare e quindi va ad attivare all’interno del nucleo una serie di risposte
legate alla modificazione del DNA, alla trascrizione di una zona particolare del DNA e quindi alla
genesi di una risposta proteica.
Alcuni recettori, che oltrepassano la barriera nucleare, sono presenti, come nel caso riportato
nell’immagine, nel citoplasma della cellula e quindi si legano al ligando e insieme (recettore e
ligando) formano il recettore in grado di oltrepassare la barriera nucleare; in altri casi questi recettori
sono fisicamente presenti sulla membrana nucleare e i ligandi sono in grado di giungere sulla
membrana nucleare attraverso il citoplasma cellulare e dar vita a questi meccanismi di risposta. Questi
meccanismi possono anche essere meccanismi a lungo termine: l’attivazione di un recettore nucleare
può, in brevissimo tempo, dar vita alla produzione di una proteina, questa è la risposta primaria; la
stessa proteina può essere usata per andare ad agire su un’altra porzione del DNA oppure agire sugli
enzimi della trascrizione, per creare una risposta più a lungo termine, rappresentata dalla risposta
secondaria. Questa risposta secondaria dura per molto tempo quindi è possibile, attraverso questa
attivazione, generare una risposta che si mantiene nel tempo e che va a cambiare le caratteristiche
della cellula. Quindi risposta primaria che può terminare brevemente oppure una risposta tardiva e
molto più lunga nel tempo che prende il nome di risposta secondaria. Risposte primarie e secondarie
creano fenomeni di sintesi e produzione di proteine che possono andare a modificare completamente
la funzione della cellula.

Come detto in precedenza, le


proteine G si chiamano in
questo modo perché sono
legate al GTP
(guanosintrifosfato) che ha
la capacità di rendere attive
queste proteine.

89
Ci sono due tipi di proteine G: monomeriche, formate da un singolo complesso, o eterotrimeriche,
formate da subunità differenti. Le monomeriche, come in questa immagine sovrastante, che
rappresenta una proteina verde globulare formata da una singola subunità, che in questo caso è già
attaccata al GTP (quindi è una proteina attiva) e che si ritrova a livello della membrana postsinaptica.
La proteina G attivata viene inibita dall’idrolisi del GTP, trasformato
per idrolisi in GDP liberando un gruppo fosfato; quando la proteina
G è legata al GDP la proteina è inattiva. L’idrolisi e l’inattivazione
della proteina G è un fenomeno molto veloce. La fosforilazione del
GDP in GTP è invece un evento che avviene con più lentezza, quindi
attivare una proteina G è un evento che richiede tempo (parlando
sempre di millisecondi comunque) ma l’inattivazione è molto più
veloce rispetto all’attivazione. All’interno della cellula sono presenti
proteine G inattivate, quindi legate a GDP all’ interno della membrana
postsinaptica, quando il ligando si lega al recettore, questo andrà a
legarsi alla proteina G attivando la fosfolarizzazione della proteina e
quindi trasformando il GDP in GTP. In quel caso la proteina è attiva
e darà origine ad una risposta cellulare. Ci sono una serie di enzimi
che catalizzano e controllano i meccanismi di attivazione e
inattivazione.
Sono presenti quindi proteine G monomeriche, costituite da una
singola subunità, e proteine eterotrimeriche, formate da diverse subunità, chiamate α, β e γ in numeri
differenti. Nell’ organismo ci sono miliardi di differenti proteine G derivate dalla combinazione di
tutte queste subunità. La risposta di attivazione di una proteina G crea l’attivazione di una cascata
enzimatica all’ interno della cellula. La cascata enzimatica viene attivata dalle proteine effettrici:
arriva il ligando che si lega al recettore, presente sulla
membrana citoplasmatica, il recettore legandosi al
ligando è in grado di attivare la proteina G, questa, una
volta attivata, permette di innescare la funzionalità
della proteina effettrice e creare una risposta all’
interno della cellula. Le proteine effettrici più
importanti nelle cellule sono rappresentate dalle
adenilatociclasi, dalle fosfodiesterasi e dalle
fosfolipasi. Ci sono tre categorie di fosfolipasi: la A2,
la C e la D. Queste tre proteine effettrici daranno
risposte differenti all’ interno della cellula e il
meccanismo dipende dal tipo di cellula che verrà
attivata perché ogni cellula contiene al proprio interno
proteine G che hanno una specifica proteina effettrice
e il meccanismo di risposta a seconda del tipo di
proteina effettrice presente all’ interno della nostra
cellula, sarà coordinato dall’attivazione di quell’
effettore.

La prima proteina effettrice del recettore legato a


proteina G presa in considerazione è l’adenilato
ciclasi. L’adenilatociclasi trasforma l’ATP presente
nella nostra cellula in AMP ciclico. Quindi il recettore
che si attiva permette l’attivazione della proteina G,
questa agisce attraverso l’adenilatociclasi nella
trasformazione di ATP in AMP ciclico. L’AMP ciclico
all’interno della cellula ha come bersaglio la

90
proteinchinasi A (PKA). Le proteine chinasi sono proteine in grado di fosforilare altre proteine: la
proteinchinasi A va a fosforilare i residui di serina e treonina di proteine presenti all’ interno delle
cellule (fosforila sempre questi due amminoacidi). Questa PKA, una volta attivata, entra all’interno
del nucleo cellulare e va ad attivare (esempio nell’immagine sovrastante) la proteina CREB, che è la
proteina specifica nucleare che viene attivata dall’AMP ciclico. Tutte le volte che si attiva questo
segnale, ovvero che la proteina G viene attivata e che agisce attraverso l’adenilatociclasi si produrrà
AMP ciclico che attiverà PKA la quale all’interno del nucleo andrà a fosforilare la proteina CREB.
La proteina CREB è molto importante perché andrà a condizionare la trascrizione di moltissimi geni.
Quindi la risposta ad eventi di questo tipo è la trascrizione di specifici geni e la produzione di
specifiche proteine. Ovviamente la risposta non è infinita ma l’AMP ciclico verrà degradato, quindi
la proteinchinasi A verrà inattivata e il meccanismo di fosforilazione della proteina CREB verrà
interrotto.
Il recettore legato a proteine G attiva come proteina effettrice l’adenilatociclasi, ma può anche
attivare, in certi tipi di cellule, la fosfolipasi. Il meccanismo di attivazione della proteina G è lo stesso,
la proteina effettrice che viene attivata è la fosfolipasi, la quale è in grado di andare modificare e
trasformare il fosfatidilinositolo
difosfato in inositolo trifosfato e
diacilglicerolo. L’inositolo trifosfato si
lega al RE permettendo la liberazione di
calcio (il RE all’interno della cellula è un
magazzino di ioni calcio). Attraverso dei
trasportatori il calcio viene trasportato
all’interno del RE e questo viene liberato
grazie all’attivazione e alla presenza di
inositolo trifosfato. Si libera il calcio,
aumenta la concentrazione di calcio
all’interno del citoplasma della cellula,
questo calcio va ad attivare una
proteinchinasi che funziona solo quando è legata al diacilglicerolo attraverso la presenza di calcio.
Quindi: si attiva la proteina G, la proteina effettrice in questo caso è la fosfolipasi, la fosfolipasi
trasforma l’inositolo difosfato in inositolo trifosfato e diacilglecerolio. L’inositolo trifosfato entra nel
RE permettendo la liberazione di calcio che insieme al legame con il diacilglicerolo attiva la proteina
chinasi C, altra chinasi in grado di fosforilare proteine effettrici. Anche in questo caso si genererà
una risposta legata alla fosforilazione di determinate proteine all’interno della cellula che attiveranno
cascate enzimatiche specifiche.
.
Può uscire dalla cellula ed
agire su cellule vicine e
innescare il processo di
infiammazione

La Fosfolipasi A2 è un enzima attivato da una proteina G legata a GTP che è in grado di liberare
dalla nostra membrana citoplasmatica l’acido arachidonico. Semplicemente attraverso una reazione
chimica è in grado di staccare dai fosfolipidi presenti sulla membrana citoplasmatica, attraverso una

91
serie di reazioni differenti, l’acido arachidonico. Questo all’interno della cellula può subire diverse
vie: la prima è quella di essere liberato e agire su cellule che si trovano in vicinanza alla cellula attivata
creando fenomeni di infiammazione, oppure può andare incontro ad altre modificazioni chimiche ad
opera di ciclossigenasi o lipossigenasi, producendo sostanze che sono prostaglandine e
trombossano che vanno ad agire sulla aggregazione delle piastrine, provocano reazioni alle vie aeree
costringendo i muscoli qui situati, riducendo il passaggio di aria, oppure, attraverso le lipossigenasi,
possono dar vita a leucotrieni che sono coinvolti nelle risposte allergiche a livello periferico.
A seconda del recettore che viene attivato da parte de ligando, la proteina G, attivata all’interno della
membrana cellulare, può dar vita ad una serie di reazioni ben differenti fino ad attivazioni ben
differenti del tipo di cellula, grazie alla presenza di proteine effettrici diverse, ogni proteina effettrice
ha un proprio bersaglio e genererà sempre quel tipo di risposta, risposte che sono nucleari, quindi
produzione di proteine, citoplasmatiche, quindi fosforilazioni di altre proteine o, come in questo caso
(trombossano, prostaglandine), risposte di certi tipi specifici di cellule. Sono meccanismi molto
specifici che riguardano le differenti cellule ma sono meccanismi che si attivano sempre con un
recettore che si lega alla proteina G attivandola, quindi fosforila il GTP nella proteina G inattiva
rendendola attiva.

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Fisiologia, lezione numero 09 del 25/10/2021
Sbobinatori: Silvia Crudeli, Arianna De Fusco
Revisore: Beatrice Tabanelli

Calcio come secondo messaggero


Sono presenti degli effettori intracellulari legati alle proteine G che vengono attivati dal ligando che
a sua volta si lega al recettore; questi effettori intracellulari, che si attivano grazie all’azione delle
proteine G attive, permettono la liberazione di un secondo messaggero che sarà l’elemento che
determinerà la risposta finale al ligando (quindi al neurotrasmettitore).
Un importante secondo messaggero che si può trovare all’interno delle cellule è il calcio, uno ione
che si libera grazie alla stimolazione della membrana citoplasmatica; spesso questa stimolazione
deriva dall’attivazione di effettori all’interno del citoplasma quindi a seguito di quelli che sono i
legami dei ligandi al recettore, legato a sua volta alle proteine G → il calcio può funzionare come
secondo messaggero perché è la stessa proteina G attivata che poi va ad attivare l’effettore che a sua
volta determina la liberazione di calcio all’interno della cellula.
Il calcio può avere vie differenti: essendo uno ione positivo ha azione depolarizzante per quanto
riguarda la membrana postsinaptica ma può andare anche ad attivare altre proteine presenti
all’interno del citoplasma come ad esempio la calmodulina, che è una chinasi → la calmodulina,
legandosi al calcio, varia di conformazione sterica ovvero modifica la struttura della proteina e si
vanno ad attivare chinasi che agiscono come fosforilatori quindi legano gruppi P ad altre proteine
attivando modificazioni conformazionali che portano ad una modificazione della risposta nucleare
(Esempio: si producono strutture citoplasmatiche differenti).
Fosfodiesterasi: enzimi particolarmente importanti perché sono in grado di andare a ridurre la
quantità di AMP ciclico e GMP ciclico presente all’interno della cellula trasformando quindi questi
composti ciclici in composti lineari → trasforma l’AMP ciclico in AMP e il GMP ciclico in GMP.
La riduzione di AMP ciclico all’interno della cellula crea una risposta contraria che è attivata
dall’attivazione di una proteina G che può, così come si è visto per tutte le stimolazioni che dalla
cellula presinaptica arrivano sulla cellula postsinaptica, andare ad attivare o inibire la funzionalità di
una certa cellula. In questo caso, attraverso l’attivazione di una proteina G che va a sua volta ad
attivare la fosfodiesterasi, si va a ridurre la produzione di AMP ciclico e quindi quella cascata di
reazioni che attiva la PKA (fosfochinasi A) → si tratta di una serie di risposte differenti generate da
neurotrasmettitori differenti che si legano a recettori diversi.

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Elenco di recettori
legati a proteine G
presenti all’interno del
nostro organismo che
rispondono a
neurotrasmettitori o a
trasmettitori
differenti: tutti questi
recettori, le cui azioni
sono legate alla
funzionalità di una
proteina G, possono
avere effettori diversi
e dare risposte
differenti (attivazione
o inibizione di una
cellula postsinaptica).

La simbologia Gq, Gs e Gi rappresenta le diverse forme di proteina G: questa può essere formata da
una singola molecola o da isomeri (o tetrameri) diversi. Quando non è solo una singola molecola ci
sono subunità diverse di proteine G che appunto prendono il nome di Gq, Gs e Gi che vengono
attivate in modo selettivo a seconda del tipo di informazione e a seconda del tipo di
neurotrasmettitore (=è necessario sottolineare quante differenze ci sono all’interno dell’organismo e
come quest’ultimo è in grado di rispondere utilizzando lo stesso meccanismo in modo
completamente differente, attivando o inibendo la risposta del neurone postsinaptico).
RECETTORI DEI NEUROTRASMETTITORI:
Considerando gli specifici recettori del sistema nervoso è necessario sottolineare che esistono
neurotrasmettitori differenti.

Recettori dell’acetilcolina:
L’acetilcolina presenta due classi di recettori che si distinguono dalla capacità di legare degli
agonisti specifici.
Differenza tra Agonista e Antagonista:
- L’Agonista è una sostanza che si lega ad uno specifico recettore e che va a mimare l’azione
che il neurotrasmettitore specifico per quel recettore può avere sul recettore stesso. In questo
caso la nicotina è un’agonista del recettore quindi questa molecola ha la stessa
conformazione dell’acetilcolina e perciò si lega, anche se in modo non estremamente
efficiente, al suo recettore andando a mimarne l’azione sul recettore.
- L’Antagonista è una sostanza che si lega al recettore in modo specifico e va a bloccare
l’azione del recettore, perciò scalza quella che è la posizione libera per il neurotrasmettitore
sul recettore e la occupa bloccando di conseguenza la cascata di reazioni che creeranno una
inibizione o un’eccitazione del neurone postsinaptico.

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I recettori dell’acetilcolina sono stati identificati in base a due agonisti e per questo sono stati
nominati:
-Nicotinici: hanno come agonista la nicotina e sono tutti recettori ionotropici, quindi sono canali
che permettono il passaggio di ioni.
Dall’immagine si può vedere che sono recettori formati da subunità differenti che possono essere 4
o 5 a seconda del tipo di recettore.

Questi recettori nicotinici sono diversi nella porzione periferica dell’organismo (Esempio:
giunzione neuromuscolare) o nelle zone centrali (Sistema Nervoso Centrale); in entrambi i casi si
tratta sempre di un recettori nicotinici per l’acetilcolina a cui si lega la nicotina come agonista ma
hanno subunità diverse che formano il canale ionico → nella struttura del recettore nicotinico
presente nella giunzione neuromuscolare ci sono 4 diverse catene α-elica di amminoacidi che
formano la struttura di queste differenti subunità che prendono lo stesso nome dei recettori
muscarinici ovvero M1, M2, M3 e M4.
M2 è la porzione che forma il poro del canale ionico e presenta verso l’esterno amminoacidi con
residui negativi che sono specifici per permettere il passaggio di ioni positivi. Questi canali,
permettendo il passaggio di ioni positivi, portano ad una depolarizzazione della cellula in
particolare nella giunzione neuromuscolare → sono canali che determinano sempre il superamento
di quella che è la soglia e perciò l’attivazione di una contrazione muscolare.

Tutte le volte che si crea uno stimolo e che quindi si libera acetilcolina a seguito di comandi centrali
(da parte della corteccia si manda un segnale sul muscolo scheletrico periferico attraverso il
motovneuronale), l’acetilcolina si lega ai recettori nicotinici del muscolo e si crea una
depolarizzazione tale per cui si supera la soglia e si ha una contrazione muscolare → questo accade
perché è grazie alla volontà dell’individuo che si attua una contrazione muscolare e perciò questo
tipo di contrazione è stata evolutivamente trasformata in una contrazione la cui soglia è
particolarmente bassa e permette sempre l’evoluzione di un potenziale d’azione, quindi esegue
sempre il compito richiesto dalla corteccia.

-Muscarinici: sono recettori metabotropici che hanno come agonista la muscarina, un principio
attivo che si estrae dall’Amanita Muscaria (fungo particolarmente velenoso).
Essendo metabotropici attivano una cascata di reazioni con liberazione del secondo messaggero che
possono dare risposte differenti a seconda della proteina G che viene attivata.
I recettori muscarinici sono diversi all’interno dell’organismo e sono denominati M1, M2, M3, M4
e M5.

95
-M1, M3 e M5 sono dei recettori eccitatori, quindi sono in grado di aumentare la depolarizzazione
nella cellula postsinaptica.
-M2 e M4 sono recettori che attivano una risposta inibitoria.
M1, M3 ed M5 attivano l’idrolisi del fosfatidilinositolo difosfato, un effettore che viene idrolizzato
dalla fosfolipasi → con questo meccanismo si attiva una cascata di reazioni per la quale si genera
l’idrolisi del fosfatidilinositolo difosfato. L’inositolo trifosfato ottenuto dall’idrolisi entra poi
all’interno del reticolo endoplasmatico permettendo la liberazione di calcio all’interno della cellula
che andrà quindi incontro a depolarizzazione.

Tabella dove sono indicate le tipologie di recettori metabotropici:


I recettori metabotropici dell’acetilcolina sono i muscarinici, si trovano in localizzazioni diverse e
hanno risposte differenti, infatti possono essere sia eccitatori che inibitori nella cellula postsinaptica.
I recettori acetilcolinici sono importanti perché l’acetilcolina è il neurotrasmettitore presente sia nel
sistema nervoso autonomo (SNA) sia nelle cellule pregangliari di entrambe le porzioni del SNA e
sia nelle cellule postgangliari del sistema nervoso parasimpatico perciò la sua azione si sviluppa in
tutto l’organismo.

RECETTORI DI GABA E GLICINA:


Il GABA (Acido γ-Amminobutirrico) e la glicina sono due neurotrasmettitori inibitori ed anche in
questo caso sono, a parte una singola classe, tutti recettori ionotropici selettivi per il cloro e il
bicarbonato (entrambi ioni negativi). Una volta che il neurotrasmettitore si lega al recettore si
determina l’apertura di un canale che permette l’ingresso nella cellula di cariche elettriche negative
che portano ad un’iperpolarizzazione della cellula, quindi vanno ad inibire la funzionalità della
cellula postsinaptica.
• Recettori della Glicina: Sono canali ionici suddivisi in due subunità: una che permette
l’attacco del neurotrasmettitore e l’apertura del canale ionico (ne modifica la struttura) e una
strutturale, ovvero che mantiene la struttura stessa del canale ionico. La glicina è un

96
neurotrasmettitore soprattutto presente a livello del midollo spinale e perciò i suoi recettori
della sono più concentrati in questa zona e sono coinvolti nei riflessi spinali e nel controllo
dei movimenti.
• Recettori del GABA: Sono recettori ionotropici di due classi differenti: 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐴 e 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐶 .
È presente anche una classe di recettori metabotropici 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐵 .
o Recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐴 → vengono utilizzati in farmacologia come bersaglio dei
barbiturici e delle benzodiazepine. Questi recettori, essendo inibitori, vanno a
ridurre la funzionalità delle cellule postsinaptiche.
Il barbiturico va ad inattivare generalmente di quelle che sono le strutture centrali
per creare sedazione.
o Recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐶 → non rispondono alle benzodiazepine, farmaci particolari usati
per riconoscere specifici recettori.
o Recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐵 → attivano una proteina G che ha come risposta finale
l’attivazione di canali per il potassio, il quale è maggiormente concentrato
all’interno della cellula; quando i canali per questo ione si aprono esso fuoriesce
verso lo spazio extracellulare e di conseguenza la cellula si iperpolarizza perché
perde cariche positive (si riduce sempre l’attività della cellula postsinaptica).

RECETTORI DEL GLUTAMMATO:


Il glutammato è il neurotrasmettitore eccitatorio del Sistema Nervoso Centrale (SNC) per
eccellenza. I recettori sono ionotropici e si dividono in tre classi distinte in base agli agonisti che
possono legarsi a questi recettori: AMPA, Kainato e NMDA.
• AMPA e Kainato: sono recettori ionotropici quindi sono canali che hanno bassa affinità per
il glutammato e per attivarli è quindi necessaria una grande quantità di quest’ultimo. Questi
canali sono selettivi per il sodio e per il potassio contemporaneamente tuttavia la quantità di
Na che entra nella cellula è maggiore rispetto alla quantità di K che esce dalla cellula quindi
ciò che succede, come risposta generale della cellula postsinaptica, è una depolarizzazione e
un’insorgenza di EPSP (Potenziale postsinaptico Eccitatorio).
• NMDA: sono recettori molto importanti a livello del SNC, soprattutto a livello
dell’ippocampo (struttura coinvolta nella memoria e nell’apprendimento), che hanno
un’altissima affinità per il glutammato. Questi recettori sono particolari perché si legano
velocemente anche ad una piccola quantità di glutammato liberata dal neurone presinaptico
ma devono anche essere attivati contemporaneamente da quella che è una variazione di
potenziale di membrana della cellula postsinaptica. Questo canale non si apre solo legandosi
al Glutammato ma è necessaria anche una variazione del potenziale di membrana perché
all’interno del canale del recettore è presente uno ione magnesio circondato da acqua che
mantiene il canale chiuso → anche nel caso ci fosse il glutammato legato al recettore, se il
potenziale di membrana non tende a depolarizzarsi (anche se di pochi millivolt) il Mg non si
stacca dal canale NMDA e non si ha attivazione di questo recettore.
La depolarizzazione può avvenire attraverso gli altri recettori per il glutammato.
Dopo che viene liberato Glutammato dalla cellula presinaptica sulla cellula postsinaptica
sono presenti sia recettori NMDA e sia recettori AMPA o Kainato; questi ultimi sono
ionotropici (si liberano semplicemente col legame con il glutammato) e perciò lasciano
entrare ioni positivi per depolarizzare la membrana citoplasmatica. Questa depolarizzazione
permette la liberazione verso lo spazio extracellulare dello ione Mg che è presente

97
all’interno del canale NMDA che di conseguenza si apre e diventa attivo (si modifica la
forma del canale che si allarga). Entrambe le trasformazioni sono indispensabili: il legame
col glutammato e la modificazione del potenziale di membrana → queste condizioni
permettono il passaggio di ioni all’interno del recettore.
Molto spesso, all’interno del SNC, il recettore per il glutammato agisce in concomitanza con la
liberazione di glicina; tutto questo sembra un controsenso perché la glicina è un neurotrasmettitore
inibitorio ma questi recettori, soprattutto il recettore NMDA, hanno al loro esterno un sito di legame
specifico per la glicina.
Nel caso ci sia legame solo col glutammato il recettore funziona ma con velocità ridotta.
La glicina è in grado (insieme alla modificazione della conformazione, alla liberazione di Mg e al
legame col glutammato) di aumentare la modificazione sterica del recettore per determinare
l’apertura del canale.
Questi recettori per il glutammato sono importanti perché permettono di mantenere quelle che sono
le modificazioni delle sinapsi nel SNC andando a generare potenziamenti o inibizioni a lungo
termine di determinati circuiti che sono alla base delle tracce di memoria o comunque di fenomeni
che portano all’apprendimento di una determinata azione.
RECETTORI DELLE AMINE BIOGENE (ADRENERGICI):
Le amine sono diverse le une dalle altre, hanno azioni differenti e agiscono attraverso recettori
distinti. Sono tutti recettori metabotropici tranne un singolo recettore ionotropico della serotonina
chiamato recettore 5-𝐻𝑇3 .
Adrenalina e noradrenalina presentano recettori che sono suddivisi in due gruppi α e β che sono
specifici perché posizionati in strutture diverse dell’organismo e questa specificità è fondamentale
nella farmacologia (es. i farmaci β-bloccanti vanno a bloccare i recettori β-adrenergici presenti, ad
esempio, a livello del cuore). La specificità è importante perché, come si può notare dalla tabella, i
recettori per adrenalina e noradrenalina, suddivisi in diverse classi, sono posizionati su organi
differenti e possono dare risposte diverse.
Alcuni farmaci β-adrenergici vengono utilizzati per la terapia dell’asma ed è molto importante che
siano specifici perché se fossero farmaci ad ampio spettro, quindi se riconoscessero tutte e tre le
categorie dei recettori β, la
risposta che avremmo
somministrando un farmaco
β-bloccante sarebbe
particolarmente importante
e non si andrebbe solo a
ridurre lo spasmo generato
dall’asma a livello
bronchiale ma si potrebbero
creare problemi a livello del
cuore → è fondamentale
che questi recettori siano
ben distinti e con
funzionalità separate
proprio perché
farmacologicamente si può
agire in modo selettivo.

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I vecchi farmaci usati per l’asma inducevano un rilassamento della muscolatura bronchiale e di
conseguenza una riduzione dell’asma bronchiale ma in realtà si andava a creare una tachicardia
come effetto collaterale perché, appunto, i farmaci non miravano specificatamente ad un singolo
recettore.

Tabella in cui sono indicati i recettori della dopamina suddivisi in classi differenti e con una
determinata specificità a seconda della zona in cui si trovano:

Nell’ultima colonna si riscontrano secondi messaggeri diversi che danno, come si può notare dal
verso delle freccette (↑ o ↓), una risposta differente perciò possono essere sia attivatori che inibitori
della funzionalità della cellula postsinaptica → i recettori oltre che essere molto specifici e trovarsi
in posizioni diverse dell’organismo, anche se legano lo stesso neurotrasmettitore, possono dare una
risposta diversa alla cellula postsinaptica.
I recettori della serotonina sono tutti metabotropi tranne il 5-𝐻𝑇3 :
5-𝐻𝑇3 → recettore ionotropo che permette l’attivazione della cellula perché è un canale specifico
per ioni positivi e quindi determina depolarizzazione della cellula postsinaptica.
I recettori della famiglia 5-HT serotoninergici sono molto importanti in quelle che sono le terapie di
depressione, le terapie di sindromi maniaco-depressive, le terapie dell’ansia o comunque terapie
importanti per ridurre le difficoltà nel SNC.

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RECETTORI DELLE PURINE:
Un'altra tipologia di neurotrasmettitori è rappresentata dalle purine (ATP) i cui recettori specifici
sono due:
• P2X ionotropici: la risposta a questi recettori è veloce ed eccitante perché è un canale
permeabile agli ioni positivi (Na, K e Ca).
• P2Y metabotropici: la risposta a questi recettori è più ritardata; sono presenti a livello degli
astrociti (cellule che si trovano nel SNC e che aiutano nella funzionalità delle reti neuronali).

RECETTORI DI NEUROPEPTIDI:
Sono tutti recettori metabotropici che, in realtà, non hanno una vera e propria specificità per i
neuropeptidi ma rispondono a tutta la classe che coinvolge e contiene queste molecole. Questi
recettori hanno un’azione che può essere anche sistemica → i neuropeptidi possono essere liberati
direttamente nello spazio sinaptico e quindi agire sui recettori presenti a livello della membrana
della cellula postsinaptica (attraverso i recettori per i neuropeptidi) ma possono diffondere a livello
sistemico e quindi andare a distribuirsi anche lontano dalla struttura sinaptica e nei neuroni sono
presenti recettori per i neuropeptidi anche in posizione distante rispetto al terminale postsinaptico.
I neuropeptidi, perciò, sono in grado di attivare recettori presenti in vicinanza di quello che è il
monticolo assonico dei neuroni e non nel terminale postsinaptico, si liberano anche a livello
extrasinaptico per andare a generare una risposta anche in posizioni lontane rispetto al punto dove si
forma la sinapsi tra due neuroni.
RECETTORI DEI NEUROTRASMETTITORI GASSOSI:
I neurotrasmettitori gassosi non hanno recettori specifici proprio perché essendo gassosi entrano
nella cellula attraversando la barriera citoplasmatica e vanno ad agire all’interno del citoplasma
stimolando le reazioni a catena all’interno della cellula stessa. I neurotrasmettitori gassosi vanno ad
agire direttamente sulla cascata di secondi messaggeri proprio perché sono in grado di oltrepassare
la barriera citoplasmatica.

POTENZIALI POSTSINAPTICI
Si è già visto che a seguito di quello che è il legame di un ligando con un recettore si genera una
risposta postsinaptica che può essere sia
eccitatoria che inibitoria: queste risposte
prendono il nome di potenziale postsinaptico
eccitatorio o inibitorio a seconda degli ioni
coinvolti.
Un potenziale postsinaptico eccitatorio è
una piccola risposta depolarizzante che si
genera all’interno del neurone postsinaptico a
seguito di ingresso di ioni positivi che
possono essere ioni Na+ oppure ioni Ca+;
l’ingresso di questi va a modificare
l’equilibrio elettrochimico all’interno della

100
cellula che aprirà i canali del K+ determinando quindi la fuoriuscita di ioni positivi per riportare la
cellula verso l’equilibrio elettrochimico.
Ciò che determina l’ingresso di ioni all’interno della cellula è rappresentato dalla forza motrice
ovvero la forza generata dalla capacità che questi canali hanno di permettere l’ingresso di determinati
ioni rispetto ad altri. In una cellula neuronale la forza motrice è rappresentata dalla corrente di ioni
che entra all’interno della nostra cellula: ci sarà una forza motrice legata all’ingresso di ioni sodio
all’interno della cellula piuttosto che una forza motrice legata agli ioni calcio e la corrente di ioni avrà
una forza differente a seconda della selettività e specificità dei canali; questo è legato anche al
gradiente elettrochimico degli ioni che sono presenti all’interno e all’esterno della cellula.
Prendendo come esempio una giunzione neuromuscolare in cui si ha il motoneurone alpha, neurone
che si genera dal midollo spinale e fuoriesce attraverso le radici ventrali di quest’ultimo; questo va a
fare sinapsi con le fibre muscolari scheletriche → nella giunzione viene liberata acetilcolina che si
andrà a legare ai recettori nicotinici presenti sulla struttura scheletrica, canali ionici che permettono
l’ingresso di cariche positive che andranno a depolarizzare la cellula.
Sulla membrana citoplasmatica del muscolo scheletrico sono presenti anche i recettori per il sodio
voltaggio-dipendenti quindi si crea una corrente entrante di ioni positivi all’interno della fibrocellula
muscolare che crea una piccola depolarizzazione definita EPSC (corrente postsinaptica eccitatoria)

Nel grafico è rappresentata dalla linea rossa tratteggiata.


La linea continua in rosso invece è il
potenziale postsinaptico eccitatorio che
si nota essere leggermente sfasato
rispetto alla corrente entrante di ioni
positivi semplicemente perché gli ioni
positivi si devono accumulare per
generare una variazione di potenziale
che possa creare un potenziale
postsinaptico eccitatorio.

Nella cellula muscolare scheletrica ogni EPSC crea un potenziale di azione grazie alla presenza dei
canali del sodio voltaggio-dipendenti presenti sulla membrana. Il canale nicotinico per l’acetilcolina
funge da attivatore perché permette l’ingresso di ioni positivi che determinano un EPSC sufficiente
per aprire i canali per il sodio e a quel punto si avrà l’ingresso di una grandissima quantità di ioni
sodio → il potenziale d’azione generato sarà in grado di generare una contrazione muscolare.

101
La forza motrice degli ioni che vengono portati all’interno della cellula è generata dall’EPSC ed
essendo ioni positivi daranno un potenziale postsinaptico eccitatorio.
Nel caso in cui si crei questa piccola differenza di potenziale eccitatorio (attraverso l’entrata di ioni
sodio ad esempio) sappiamo che la cellula tenderà sempre a riportare la situazione all’equilibrio
mandando fuori ioni potassio per bilanciare arrivando ad un punto in cui l’ingresso di ioni sodio sarà
equivalente all’uscita di ioni potassio, momento che prenderà il nome di potenziale di inversione, in
cui si arriva in un momento 0. È un potenziale controllato chimicamente perché sono le risposte dei
recettori legati al neurotrasmettitore che
sono in grado di determinare una certa
fuoriuscita di ioni per andare a raggiungere
il livello elettrochimico a cui la cellula
tende continuamente.

Oltre ad un effetto eccitatorio esiste anche


un effetto inibitorio legato alla presenza di
canali che permettono l’entrata all’interno
della cellula di ioni negativi come fluoro e
bicarbonato e l’uscita di ioni positivi che
creano una sorta di iperpolarizzazione (la
curva di depolarizzazione andrà verso il
basso) → il potenziale diventa più negativo
e sarà difficile attivare un potenziale di azione nella cellula postsinaptica per cui l’evento prende il
nome di potenziale postsinaptico inibitorio. In
realtà non tutti i segnali postsinaptici inibitori sono iperpolarizzanti: se si va a registrare la riposta di
un neurone postsinaptico a seguito di una stimolazione generata da un neurone presinaptico in grado
di attivare recettori ionotropi o se si ha l’ingresso di una quantità enorme di cloro creando
iperpolarizzazione (la cellula diventa più negativa), la cellula va comunque incontro all’ingresso di
piccoli ioni positivi che creano
una piccolissima depolarizzazione
che non crea però un potenziale di
azione. Le piccolissime risposte
che si possono generare a livello
postsinaptico possono essere
considerate risposte inibitorie
perché non sono in grado di dare
vita ad un potenziale d’azione; ciò
che è depolarizzante, che quindi
supera la soglia, è considerato un
potenziale postsinaptico
eccitatorio; viceversa ciò che è
molto piccolo, depolarizzante o
iperpolarizzante può essere
considerato un potenziale
postsinaptico inibitorio perché quella variazione di potenziale a livello di probabilità non permetterà
mai la genesi di un potenziale d’azione.

102
Macroscopicamente EPSP e IPSP possono essere considerati in base alla probabilità che hanno di
creare un potenziale d’azione.
È più facile pensare ad un segnale iperpolarizzante quando si parla di inibizione postsinaptica.
Ci sono tanti fattori che vanno a contribuire a quella che è la risposta postsinaptica; tra questi viene
identificato quello che viene definito fattore di sicurezza della cellula che è il rapporto tra
l’ampiezza del potenziale postsinaptico eccitatorio e l’ampiezza di quel segnale che ci permette
l’insorgenza del potenziale d’azione, quindi il rapporto tra EPSP che si genera a seguito di una
stimolazione (la grandezza della curva depolarizzante) e la soglia che deve essere superata per
generare un potenziale. Quando questo fattore di sicurezza è minore di 1 un singolo EPSP non è in
grado si generare un potenziale d’azione, è quindi necessario che si formino diversi EPSP per superare
la soglia e dar vita ad un potenziale
d’azione. Si devono considerare che
le sinapsi che incidono su un singolo
neurone sono tantissime per cui tante
sinapsi diverse permetteranno
l’ingresso di tanti ioni sodio che
formeranno diversi EPSP che si
andranno a sommare sia a livello
temporale sia a livello spaziale per
superare la soglia e dar vita ad un
potenziale di azione.
Quando il fattore di sicurezza è
maggiore di 1 basta un singolo EPSP
per superare la soglia e generare un
potenziale d’azione.

INTEGRAZIONE SINAPTICA
Si creano delle integrazioni a livello della cellula postsinaptica, generate da una serie di sinapsi
differenti.
Abbiamo il neurone con un elettrodo di registrazione posizionato sul cono di emergenza, dove si
attiva il potenziale d’azione. Nella parte dendritica vi sono tutte le terminazioni dove si andranno a
formare le sinapsi le quali se si originano vicine al soma cellulare hanno la probabilità maggiore di
determinare la genesi di un potenziale d’azione semplicemente perché son molto vicine al cono
d’emergenza → la piccola depolarizzazione che si può creare a livello di questa sinapsi si può
diffondere sull’assone e determinare l’apertura di canali per il sodio voltaggio-dipendenti che
determineranno un potenziale d’azione. La posizione delle sinapsi va ad incidere sulla genesi del
potenziale. Normalmente non è presente una singola sinapsi, ma se fosse così e avessimo una sinapsi
numero 1 e una cellula con una costante di spazio molto piccola semplicemente il potenziale
postsinaptico eccitatorio arriverà a diminuire fino a scomparire e non riuscirà ad essere trasportato in
modo passivo fino al cono d’emergenza non riuscendo quindi a registrare nessun potenziale.
Se si attiva invece la sinapsi numero 2 e la cellula ha una costante di spazio più piccola è più probabile
che la depolarizzazione possa essere trasportata fino al cono d’emergenza che permetterà l’apertura
dei canali con la successiva apertura della soglia e l’attivazione del potenziale d’azione. Se la cellula
avesse una costante di spazio molto grande la sinapsi numero 4 darebbe sicuramente vita ad un

103
potenziale d’azione perché essendoci una costante di spazio molto grande prima che EPSP decada
può percorrere passivamente uno spazio molto lungo →il fatto che abbia una costante di spazio molto
grande permette a questo EPSP di percorrere uno spazio lungo.
La sinapsi numero 4 si trova talmente vicino al monticolo assonico che, anche se avesse una costante
di spazio minore, produrrebbe probabilmente un potenziale di azione sia perché è molto vicina al
monticolo assonico sia perché ha una costante di spazio molto grande che permetterebbe anche la
percorrenza di uno spazio più lungo.
Se siamo in un neurone con una costante di spazio molto grande ma con una sola sinapsi numero 1,
è statisticamente probabile che si crei una differenza di potenziale che viene trasportata su uno spazio
lungo creando nuovamente un potenziale d’azione (non succede mai, però, che sia presente una
singola sinapsi).

DAL GRAFICO:
La riga A rappresenta sinapsi diverse che vengono attivate da neurotrasmettitori diversi. In questo
caso tutte le sinapsi prese in considerazione creano un potenziale d’azione.
L’EPSP che si genera a
livello della sinapsi 1 è
piccolo e andrà via via
decadendo, non genererà un
potenziale d’azione perché
sono coinvolti pochi ioni
positivi. La seconda EPSP
che si genera
dall’attivazione della
sinapsi 2 presenta
un’ampiezza maggiore
perché è fisicamente più
vicina al cono d’emergenza
e quindi in modo
elettrotonico quella EPSP si
riduce in maniera minore
rispetto alla sinapsi più
distante.
Questo è ciò che avviene normalmente nelle nostre cellule.
Quando la sinapsi che si trova in vicinanza del soma dendritico viene stimolata più volte con una
tempistica differente ma in un tempo molto ravvicinato l’uno dall’altra succede che si genera un
potenziale postsinaptico eccitatorio che ha un’ampiezza maggiore rispetto ad un potenziale
postsinaptico che si genera dalla stimolazione di una sola sinapsi.
Si ha una sorta di potenziamento generato dalla somma di due eventi che avvengono in tempistiche
differenti che possono creare quella che viene definita sommazione temporale → si crea un
potenziale eccitatorio più grande rispetto ad una singola stimolazione solo quando la tempistica di
stimolazione è inferiore rispetto all’andamento della lunghezza di EPSP.

104
Nella riga B si ha quindi una prima
curva con una prima EPSP che nella
seconda curva si somma alla
seconda. Si va oltre la soglia di
attivazione e si crea il potenziale
d’azione.

Esiste anche una sommazione


spaziale. Nella terza riga prendiamo
in considerazione degli EPSP che si
generano da sinapsi differenti e che
si sommano come ampiezza di
depolarizzazione. In questo caso le
stimolazioni non avvengono in
momenti differenti, ma avvengono nello stesso momento e in siti diversi. Avvengono
contemporaneamente, e quindi la somma dei due EPSP superano la soglia e si andrà incontro a
potenziale d’azione.

L’ultima riga rappresenta quello che viene definito effetto cortocircuito: le due sinapsi sono molto
vicine e le due depolarizzazioni sono talmente piccole che non coinvolgono canali del sodio
voltaggio-dipendenti. Si aprono canali per il sodio ionotropi legati ad un ligando, entra una piccola
quantità di ioni sodio che crea una piccola depolarizzazione e in contemporanea si aprono i canali per
il potassio che permettono loro di uscire per ristabilire l’equilibrio.
Se vi è una sinapsi numero 4 molto vicina alla precedente numero 2 che si attiva nello stesso momento
può succedere che, a seguito di quella che è la stimolazione della sinapsi numero 4, gli ioni che
entrano ed escono in realtà scappano attraverso quelli che sono i canali già aperti della sinapsi numero
2 quindi, in questo caso, le EPSP non si sommano ma si inibiscono creando quindi il fenomeno di
cortocircuito.
Sommazione spaziale e temporale avvengono anche con potenziali postsinaptici inibitori.
L’eccitatorio è molto più semplice da vedere perché mettiamo un elettrodo di registrazione e
registriamo un potenziale d’azione; gli inibitori che portano ad iperpolarizzazione della cellula
possono sommarsi tra di loro e allontanare sempre di più la cellula dal potenziale d’azione.

105
Questa è una rappresentazione grafica di quello che è stato detto finora.
Sommazione temporale: sono i due stimoli della stessa sinapsi che creano gli stessi potenziali e
creano due correnti. Corrente entrante che crea una depolarizzazione. A livello postsinaptico, la prima
EPSP inizia a decadere e viene aumentata la stimolazione attraverso la seconda stimolazione della
sinapsi e il potenziale che si genera è un potenziale particolarmente alto.
Nel caso di una costante di tempo molto breve, quindi quando la EPSP si riduce con una tempistica
molto veloce, queste stimolazioni danno due EPSP distinti e non vi è sommazione temporale.
Sommazione spaziale: due correnti entranti in due posizioni differenti.
Quando la costante di spazio è grande i due EPSP si sommano e si crea un potenziale molto alto,
mentre nel caso di una costante di spazio molta piccola si avranno due piccole depolarizzazioni che
non creano un potenziale molto alto.
Oltre alla sommazione spaziale e temporale, vi sono delle facilitazioni e anche delle inibizioni.
Quando si accoppiano impulsi diversi sulle cellule postsinaptiche si creano queste
facilitazioni/inibizioni generate ad esempio dall’aumento di quello che è il calcio all’interno della
cellula che amplificano le risposte dei recettori postsinaptiche nel caso delle facilitazioni; possono
essere di lunga e di breve durata e sono molto importanti nelle cellule neuronali perché determinano
la registrazione delle tracce di memoria di apprendimento → si modifica quella che è la risposta del
neurone postsinaptico per tempistiche molto più lunghe rispetto ad un EPSP normale.

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Fisiologia, Lezione 10 , 28/10/2021
Prof. Sandra Guidi
Sbobinatori: Vittoria Ligabò, Rosanna Lo Bianco
Revisore: Alberto Racchini

Integrazione sinaptica

Ci sono moltissime sinapsi che agiscono contemporaneamente sulla cellula post sinaptica. È possibile
attivare un potenziale d’azione in una cellula post sinaptica generando una sommazione spaziale o temporale.
Ci sono altri meccanismi in grado di facilitare, potenziare o inibire la capacità del neurone post sinaptico di
generare una risposta a uno stimolo pre sinaptico. In questo caso non parliamo di sommazione, non devono
essere uniti eventi che avvengono con tempistiche diverse o in spazi diversi sul neurone pre sinaptico per
avere una risposta sul neurone post sinaptico. Un insieme di stimolazioni pre sinaptiche sono in grado di
generare una facilitazione o un’inibizione della risposta a livello post sinaptico.
Per determinare una modificazione dell’efficienza sinaptica vanno considerati dei parametri più o meno
misurabili, rappresentanti da:
• Quantità di sinapsi a livello del neurone post sinaptico;
• Quantità di neurotrasmettitore liberato; Il legame delle vescicole contenenti il neurotrasmettitore alla
membrana pre sinaptica è un evento che ha una determinata probabilità statistica, non è detto che
tutte le vescicole a disposizione vengano liberate.

Facilitazioni

Facilitazione da impulsi appaiati PPF: quando un assone viene stimolato due volte in rapida successione il
potenziale postsinaptico evocato la seconda stimolo è più ampio di quello evocato dal primo stimolo.
Non si tratta di sommazione temporale in cui gli EPSP si sovrappongono e si sommano generando una
risposta più ampia; il secondo EPSP è di per sè più ampio.
La massima facilitazione avviene per intervalli di 20 ms.
Potenziamento post-tetanico: la stimolazione tetanica è dovuta a una decina o centinaia di stimoli ad alta
frequenza del neurone presinaptico. Questo provoca un aumento dell'efficacia sinaptica. Dura da decine di
secondi a parecchi minuti. Sono prodotti da modificazioni a livello presinaptico. Dovuti all’aumento del
numero di quanti di neurotrasmettitore rilasciati.

Rappresentano un aumento dell’efficienza sinaptica, quindi un aumento di attività nella cellula post sinaptica
dopo la liberazione di neurotrasmettitori; è un evento che può mantenersi per un brevissimo tempo a livello
della cellula post sinaptica, oppure per un tempo molto più lungo: parliamo infatti di facilitazioni a breve e a
lungo termine. Così come l’inibizione può essere mantenuta per breve tempo o lungo tempo a seconda della
stimolazione del neurone pre sinaptico.

Le facilitazioni a breve termine determinano un’ampiezza maggiore della risposta post sinaptica a seguito di
cambiamenti che avvengono nella cellula dopo una serie di stimolazioni sulla cellula pre sinaptica.
Quelle a breve termine sono rappresentante dalla facilitazione degli impulsi appaiati o dal potenziamento
post tetanico. In questi eventi la cellula pre sinaptica stimola la cellula post sinaptica in modo ripetuto, non
c’è un singolo potenziale d’azione, ma si tratta di una serie di stimoli successivi che la cellula pre sinaptica
genera su quella post sinaptica. La risposta post sinaptica facilitata non dura più di 20 ms, per cui si parla di
facilitazioni a breve termine.

Facilitazione da impulsi appaiati PPF

È una risposta post sinaptica generata da due singoli impulsi che la cellula pre sinaptica genera sul terminale
post sinaptico. Ogni volta che si generano due stimoli appiati sulla cellula pre sinaptica, la cellula post
sinaptica a seguito del secondo stimolo, genererà un potenziale post sinaptico di ampiezza maggiore rispetto
a quello che si era generato nel primo stimolo.

107
L’onda che va verso il basso è il potenziale post sinaptico con una certa ampiezza.
Quando si genera il secondo stimolo l’ampiezza del potenziale post sinaptico aumenta, perché è più basso
rispetto alla prima curva.
Tutte le volte che ci sono impulsi diversi che colpiscono il neurone post sinaptico, l’ampiezza della risposta
post sinaptica aumenta. Non si tratta di sommazione spaziale ma di un singolo impulso.

Qual è la causa che determina l’aumento di ampiezza del segnale? È la quantità di calcio che si trova nella
cellula presinaptica nel momento in cui arriva il secondo potenziale d’azione. Il primo potenziale d’azione
decorre lungo il dendrite del neurone pre sinaptico, arriva alla terminazione pre sinaptica, determina
l’ingresso del calcio che permette il legame delle vescicole contenenti il neurotrasmettitore con la membrana
pre sinaptica. In seguito avviene la fuoriuscita del neurotrasmettitore nello spazio intersinaptico e il neurone
post gangliare riceve il neurotrasmettitore che si lega ai recettori. Si genera così un potenziale post sinaptico
eccitatorio avente una certa ampiezza. Il calcio entrato nella cellula pre sinaptica non viene immediatamente
espulso o veicolato in organelli, perché pochi ms dopo arriva un secondo potenziale d’azione che corre
lungo il dendrite del neurone pre sinaptico e giunge alla terminazione pre sinaptica, determinando l’apertura
di altri canali del calcio, quest’ultimo si aggiunge a quello già presente nel terminale pre sinaptico.
L’aumento della concentrazione di calcio nel terminale pre sinaptico permette il legame di un numero
maggiore di vescicole con il neurotrasmettitore. Si ottiene una quantità di neurotrasmettitore nello spazio
intersinaptico maggiore nel secondo impulso rispetto al primo. Questo determina l’attivazione di un numero
maggiore di recettori post sinaptici che permettono l’ingresso di una quantità maggiore di ioni, i quali
genereranno un potenziale post sinaptico con ampiezza maggiore.

È una facilitazione che si mantiene nel tempo, nel caso di impulsi appaiati dura pochi ms, ma alcune possono
durare giorni. Si tratta di un aumento della risposta del potenziale post sinaptico della cellula generato
dall’accoppiamento di impulsi pre sinaptici, abbastanza vicini nel tempo, che non creano una sommazione
spaziale, ma solo una facilitazione.
NB: Ci stiamo riferendo, parlando di facilitazione, a un EPSP, potenziale post sinaptico eccitatorio.

Potenziamento post-tetanico

Questo meccanismo può essere innescato dalla stimolazione tetanica. Si tratta di un ‘’treno di impulsi’’
generato da una cellula presinaptica verso una cellula post sinaptica con una frequenza alta. È un evento che
si verifica molto spesso a livello del SNC, soprattutto nelle strutture limbiche dove hanno origine tracce di
memoria e fenomeni di apprendimento. Si tratta ancora di potenziamento a breve termine.
Cosa fa un treno di impulsi? Aumenta maggiormente l’ampiezza dell’EPSP, rispetto a quello generato da
una serie di impulsi appaiati. Il meccanismo è lo stesso, ma l’ampiezza del potenziale post sinaptico è
particolarmente ingrandito rispetto a quello ottenuto da due singoli impulsi e si ha quindi un aumento
dell’efficacia sinaptica.
Si tratta sempre di una facilitazione, ma è diverso lo stimolo iniziale: due singoli stimoli rispetto a una serie
di impulsi con frequenza alta.

Le modificazioni sono pre sinaptiche: a livello della cellula post sinaptica si apre un numero più elevato di
canali perché il neurotrasmettitore che viene liberato è in maggiore quantità rispetto a quello liberato da un
singolo impulso.

Differenza tra facilitazione e sommazione

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• La sommazione tiene in considerazione una costante di tempo di una grandezza tale per cui la
somma di impulsi generi un EPSP prima che l’altro venga terminato. La somma dei due impulsi
deve superare la soglia di attivazione per permettere la genesi di un potenziale d’azione.

• Nella facilitazione non vi è una sommazione temporale, perché i due impulsi possono avvenire anche
senza seguire la costante di tempo della cellula post sinaptica. È presente un accumulo di calcio che
rimane all’interno della cellula pre sinaptica che determina un rilascio maggiore di
neurotrasmettitore. La facilitazione non dipende dalle caratteristiche della cellula post sinaptica, ma
dalla funzionalità della cellula pre sinaptica. È una modificazione che avviene a monte della risposta
che si genera nel neurone post sinaptico, qualunque sia la sua caratteristica.

La stessa cosa avviene nella depressione sinaptica: si va a modificare l’attività della cellula pre sinaptica, e la
risposta sarà opposta a quella generata dalla facilitazione. Si avrà una riduzione dell’ingresso di calcio che
inibirà la liberazione di neurotrasmettitore al secondo impulso.
Può essere coinvolta semplicemente la quantità di neurotrasmettitore che viene liberato al primo stimolo.

Nel grafico: quantità di neurotrasmettitore liberata nel primo


stimolo rispetto alla depressione che si genera nella cellula post
sinaptica nel tempo.

Si genera un potenziale d’azione nella cellula pre sinaptica che


arriva alla terminazione pre sinaptica, il quale è particolarmente
ampio e determina l’ingresso di una grande quantità di ioni calcio
che permette la liberazione di tutte le vescicole ,che comporta una
quantità enorme di neurotrasmettitore nello spazio sinaptico.
Questo verrà legato ai recettori post sinaptici. Dopo pochi ms
arriverà un altro impulso che raggiunge il terminale pre sinaptico
che apre i canali presenti per far entrare calcio, ma se non vi è la
disponibilità di vescicole che possano essere liberate dal pool di
riserva, quel potenziale d’azione non permetterà la liberazione della quantità necessaria di neurotrasmettitore
per una risposta più ampia della precedente.
Il meccanismo può essere caratterizzato anche dalla presenza di una piccola quantità di calcio nell’ambiente
extracellulare. Se non vi è calcio nella terminazione pre sinaptica Il potenziale d’azione che permette
l’apertura dei canali , permetterà l’ingresso di una quantità di ioni nel terminale pre sinaptico ridotta.
Si tratta di una modificazione delle funzionalià del neurone pre sinaptico che determinano un cambiamento
della risposta della cellula post sinaptica.l’EPSP sarà in questo caso necessariamente ridotto rispetto a quello
generato dal primo impulso.

Potenziamento o depressione a lungo termine

Depressione sinaptica: è un meccanismo presinaptico. Normalmente la cellula postsinaptica di una sinapsi


depressa risponde al neurotrasmettitore applicato con una micropipetta.
E’ dovuta alla riduzione del numero delle vescicole sinaptiche che possono liberare neurotrasmettitore.
Una forma di depressione post sinaptica ecco relata alla desensibilizzazione dei recettori della membrana
post sinaptica.
Sia il potenziamento che la depressione sinaptica possono avvenire a livello della stessa sinapsi. La
modulazione che si osserva dipende da quale processo è dominante.

Sono meccanismi che si generano nelle reti neurali e si mantengono per un certo periodo di tempo, non più
di 20-30ms, caratteristici di tutti i neuroni del SNC. quando si stimolano circuiti legati all’apprendimento e
alla memoria si verifica la genesi di un potenziale molto più lungo, ad esempio minuti, ma che si mantiene
anche per ore o giorni. Questo meccanismo è detto LTP o LTD (long term reduction/depression), aumento o
riduzione dell’attività post sinaptica che si mantiene per un tempo molto lungo. Questi eventi sono alla base

109
dei fenomeni di memoria; i circuiti di memoria nell’ippocampo che danno vita a un loop elettrico,
determinano un aumento dell’attività di risposta generata da stimoli di apprendimento permettendo memoria
a lungo termine.

La riga rossa è una stimolazione tetanica generata in laboratorio


grazie a un microelettrodo sul cervello. Le risposte a livello
ippocampale hanno un’ampiezza più ampia rispetto a quella di
partenza. Arrivati a 3000 secondi l’ampiezza della risposta risulta
aumentata.

POTENZIAMENTO O DEPRESSIONE A LUNGO TERMINE: la stimolazione ripetitiva di sinapsi può


provocare modificazioni a lungo termine, della durata di giorni o settimane.
Sono sia modificazioni presinaptiche che postsinaptiche.
L'ingresso di Ca2+ nella regione postsinaptica é l'evento iniziale.
Il Ca2+ entra attraverso recettori NMDA e recettori AMPA.
Il Ca2+ attiva la Ca2+-calmodulina chinasi II. Questa fosforilasi agisce su se stessa attivandosi.
La Ca2+-calmodulina chinasi II è capace di fosforilare le proteine essenziali per l'induzione del
potenziamento lungo termine.
Sono fenomeni alla base dei meccanismi dell'immagazzinamento delle tracce di memoria.
A seguito di una stimolazione appropriata presinaptica il numero delle spine dendritiche e delle sinapsi sui
dendriti dei neuroni postsinaptici aumentano rapidamente.
Il neurone postsinaptico può rilasciare un segnale che incrementa il rilascio di neurotrasmettitore da parte
della terminazione nervosa presinaptica.

LTP

Nel potenziamento a lungo termine sono coinvolti una serie di recettori sul neurone post sinaptico: NMDA e
AMPA entrambi per il glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio. Gli AMPA sono canali che vengono
aperti all’arrivo del neurotrasmettitore che permettono l’ingresso di ioni; i recettori NMDA sono anch’essi
ionotropici con un blocco sterico generato dallo ione magnesio all’interno del poro. La depolarizzazione
permette la liberazione dello ione magnesio e l’apertura canale.
1. Stimolazione dalla cellula
presinaptica;
2. Liberazione glutammato
che si lega alla cellula post
sinaptica;
3. Attivazione canali AMPA;
4. Depolarizzazione della
cellula post sinaptica che
permette l’apertura dei
canali NMDA;
5. Ingresso di una grande
quantità di ioni tra cui
calcio nella cellula post
sinaptica;
6. Genesi potenziale post
sinaptico eccitatorio nella
cellula.

110
Come fa il potenziale post sinaptico eccitatorio a mantenersi con ampiezza maggiore rispetto a quella che si
genererebbe senza potenziamento? Grazie alla presenza del calcio che entra nel neurone post sinaptico e che
va a modificare la conformazione di una serie di proteine presenti nel citoplasma della cellula, come ad
esempio la calmodulina. Questa è una proteina che si attiva legandosi al calcio, con proprietà chinasiche.
Con LTP entra una grande quantità di calcio a seguito della stimolazione pre sinaptica, questo si lega alla
calcio-calmodulina o chinasi 2 che va a fosforilare una serie di proteine a livello citoplasmatico e cambia la
funzionalità della cellula. È un meccanismo complicatissimo che coinvolge numerose fosfatasi e numerose
chinasi.
Vengono attivati una serie di meccanismi che modificano la morfologia della sinapsi, mantenendola attiva
per un tempo molto lungo, il tutto generato dalla concentrazione aumentata di calcio all’interno della cellula.

La differenza tra il meccanismo a breve termine e quello a lungo termine è rappresentata dalla differenza di
attività che si svolge nella cellula pre sinaptica (per quello a breve termine) e nella cellula post sinaptica (per
quello a lungo termine). Questa cascata di reazioni che si genera nel neurone post sinaptico porta alla
produzione di nuove proteine. Si tratta infatti di un meccanismo simile alle proteine G: avvengono
trascrizione e traduzione di nuove proteine che cambieranno la struttura delle sinapsi mantenendole attive per
lungo tempo. È un meccanismo mantenuto per ore e giorni e crea una modificazione proteica che permette
l’accumulo e l’immagazzinamento di informazioni nelle strutture limbiche, di memoria a breve e a lungo
termine.

LTP e LTD si alternano con meccanismi ancora ignoti.


Esempio degli studiosi
Lavagna riempita di scritte col gesso che vanno cancellate per continuare a scrivere. LTP arriva sulle cellule,
aumenta il potenziamento fino a un momento in cui, quando è necessario registrare altre informazioni, si crea
una depressione a lungo termine che riporta la cellula nella sua conformazione iniziale per ricominciare con
un LTP.
Questi meccanismi non avvengono contemporaneamente in tutte le cellule: ne avremo alcune in fase di
potenziamento e alcune di fase di depressione. L’alternarsi di questi meccanismi permette la formazione
della memoria e dell’apprendimento.

Sinapsi seriali

la risposta delle cellule post sinaptiche può essere eccitatoria o inibitoria, singola o integrata a seguito di
meccanismi differenti; questi possono essere sommazione temporale o spaziale, ma anche meccanismi di
potenziamento a breve e lungo termine, o depressione a breve e a lungo termine che danno una risposta
complessiva di un certo tipo nella rete neuronale.
Tutto ciò si sviluppa nel SNC, fondamentale per gli apprendimenti innati e per quelli utili a mantenerci in
vita.
Questo tipo di attività è in grado di modificare la risposta pre sinaptica, a seguito di un potenziamento o di
una depressione a lungo termine, perché esistono nel neurone pre sinaptico una serie di recettori in grado di
rispondere a neurotrasmettitori rilasciati nello spazio sinaptico grazie a neuroni post sinaptici o neuroni al di
fuori dello spazio sinaptico.

nelle sinapsi seriali sono presenti un neurone pre sinaptico e uno post sinaptico che comunicano tra di loro.
Può esistere anche un altro neurone che comunica direttamente con il neurone pre sinaptico andando a
rilasciare il neurotrasmettitore che verrà captato dalla cellula pre sinaptica per modificarne la funzionalità.
Ciò che la cellula post sinaptica genera a seguito di una facilitazione o di una depressione a breve o a lungo
termine può modificare la funzionalità della cellula pre sinaptica grazie a recettori sul neurone pre sinaptico
che rispondono a stimolazioni differenti. Questi possono essere autorecettori, che rispondono allo stesso
neurotrasmettitore liberato dal neurone pre sinaptico, generando un controllo di feedback. Ma l’attività di
feedback può essere generata anche da neuroni post sinaptici.
Esempio: NO che passa attraverso la membrana cellulare. Il neurone post sinaptico lo libera e questo gas
raggiunge l’interno della cellula pre sinaptica per regolare i meccanismi di liberazione o di inibizione della
liberazione di neurotrasmettitori.

111
Anche le cellule presinaptiche hanno recettori per i neurotrasmettitori. Quando i recettori presinaptici si
legano al neurotrasmettitore innescano eventi che modulano il rilascio del neurotrasmettitore nella
terminazione.
Il neurotrasmettitore può essere rilasciato dalla stessa terminazione (automodulazione su autorecettore);
può essere rilasciato da un'altra terminazione presinaptica a livello della terminazione (sinapsi seriale);
può essere un neurotrasmettitore che non agisce per via sinaptica.
I recettori presinaptici sono sia ionotropici che metabotropici.
I recettori ionotropici aprono canali a livello della terminazione presinaptica alterando la quantità di
neurotrasmettitore rilasciato la potenziale d'azione.
I recettori metabotropici attivano una cascata di reazioni che regolano canali per sinaptici per il Ca2+ e il
K+-voltaggio dipendenti alterando la probabilità di rilascio delle vescicole.

Questi meccanismi sono ancora completamente da esplorare, ma vengono mantenuti in tutti i neuroni del
SNC e sono alla base dei nostri comportamenti. non si tratta semplicemente di uno stimolo che permette la
liberazione del neurotrasmettitore che può eccitare o inibire la cellula, Ci possono essere anche diecimila
sinapsi sulla singola cellula che possono complicare la risposta della cellula post sinaptica permettendo
fenomeni di facilitazione, inibizione e controllare l’evento pre sinaptico per ridurre la risposta che la cellula
può generare.

INIBIZIONE PRESINAPTICA: condizione in cui il legame con recettore presinaptico finisce col determinare
una diminuzione della liberazione di neurotrasmettitore.
Può avvenire la diminuzione della resistenza della membrana con generazione di una corrente di
cortocircuito. Questo riduce la depolarizzazione a livello della zona attiva con conseguente minore
attivazione di canali Ca2+.
Un altro meccanismo determina la variazione del potenziale di membrana a seguito dell'apertura di canali
presinaptici ionotropici.
Si genera una piccola depolarizzazione che inattiva i canali Na+voltaggio- dipendenti e riduce la corrente
associato al potenziale d'azione e il rilascio di neurotrasmettitore.
Nel midollo spinale sono presenti recettori presinaptici per GABA di tipo a che mediano inibizione
presinaptica mediante questi meccanismi. Controllano canali per il Cl- che regolano l’apertura dei canali
per il Ca2+.

112
Modulazione del SNC sulle sinapsi

La modulazione è legata all’attività della cellula post sinaptica, ma avviene anche una modificazione
strutturale delle sinapsi. Il cervello è dotato di grandissima plasticità sinaptica, questa è determinata dalla
formazione e dalla distruzione di strutture sinaptiche che si formano in modo continuo. Il SNC è una
struttura altamente plastica, anche se il numero di neuroni che si generano è abbastanza definito, la quantità
di cellule prodotte a livello cerebrale da nicchie neurogeniche è modesta.
Nell’adolescenza arriviamo a una formazione completa della struttura cerebrale ma avvengono modificazioni
a livello di dendriti e assoni: si tratta di un fenomeno detto sprouting o pruning delle spine dendritiche.
Le spine dendritiche sono piccoli bottoncini, che si generano nelle terminazioni dei neuroni, in cui andranno
a formarsi le sinapsi. Si trovano nelle zone dove si creeranno sinapsi con gli altri neuroni e vengono
continuamente emesse e recuperate.
Il numero di sinapsi che si genera nel cervello è variabile. Questo a causa di una sorta di competizione.
Esistono cellule che non sono tutte attive allo stesso modo, la loro attività dipende dall’attività del cervello:
più una sinapsi è attiva più sarà competitiva rispetto alle altre e quando una sinapsi riduce la sua funzionalità
viene cancellata. Statisticamente se una sinapsi è più attiva ed efficiente di un’altra, questa efficienza
determina una competizione che permette una continua attivazione di quel tipo di sinapsi. Questo avviene
continuamente a seguito di stimoli ambientali, che possono permettere ai circuiti neuronali di svilupparsi. Lo
studio sull’isolamento dei bambini ha dimostrato che è possibile influenzare la funzionalità delle reti
neuronali: più si ricevono stimoli, più sinapsi saranno formate per creare una struttura maggiormente attiva e
reattiva.
La formazione di sinapsi, oltre a stimoli ambientali, viene indotta anche da stimoli ormonali. Studi
condotti su animali da laboratorio, hanno evidenziato come gli estrogeni siano in grado di
determinare una modificazione del numero di contatti sinaptici. Eventi esterni rispetto alla rete
neuronale, sono in grado di modificare l’efficienza delle nostre sinapsi.

113
TERMINAZIONE NEUROMUSCOLARE
Chiamata anche giunzione neuromuscolare. Si definisce sinapsi la connessione di due neuroni, nel
caso di un neurone e di un’altra cellula si parla di giunzione. La giunzione neuromuscolare, cioè
una connessione tra un neurone e una fibrocellula muscolare è una struttura ampiamente
caratterizzata perché è particolarmente grande, quindi è possibile analizzare in modo specifico
quello che succede a livello di questa terminazione.

La struttura nervosa
implicata in questa
giunzione è il
motoneurone alpha,
una cellula molto
grande che si trova
come corpo cellulare
a livello delle corna
anteriori del midollo
spinale; gli assoni dei
motoneuroni alpha
escono dalle corna
anteriori del midollo
spinale e si connettono a strutture muscolari periferiche. L’assone del motoneurone-α è
mielinizzato, quindi ha una velocità di conduzione del segnale molto grande, anche 100-120 m/s. Il
motoneurone-α riceve informazioni dalle strutture superiori, quindi strutture corticali piuttosto che
strutture alla base del cervello (gangli della base), oppure da strutture cerebellari che detengono il
controllo delle funzionalità motorie.

La stimolazione è un potenziale d’azione che raggiungendo la terminazione presinaptica, determina


l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti per il calcio, entra il calcio all’interno della cellula
nervosa (motoneurone-α) e l’ingresso di calcio determina il rilascio delle vescicole che contengono
il neurotrasmettitore dalla membrana presinaptica. In questo caso, il neurotrasmettitore è
l’acetilcolina, che viene liberata nello spazio sinaptico e si lega nella memnbrana post-sinaptica a
recettori di tipo nicotinico, i recettori presenti a livello di tutte le giunzioni neuromuscolari. I
recettori nicotinici sono canali ionici che si aprono nel momento in cui si lega l’acetilcolina e
permettono l’ingresso di ioni positivi all’interno della cellula, provocando una lieve
depolarizzazione (EPSP) all’interno della cellula muscolare. L’EPSP attiva l’apertura dei canali per
il sodio voltaggio-dipendenti, che si trovano nella parte profonda della membrana postsinaptica.
Questi canali si attivano a seguito di depolarizzazione e si autoalimentano, quindi si ha un’apertura
massiva di questi canali che causa l’ingresso di una forte quantità di sodio che genera la

114
depolarizzazione. Oltre una determinata soglia, si crea un potenziale d’azione che decorre lungo
tutta la fibra muscolare scheletrica.

La particolarità è la presenza di altri recettori: quello per la rianodina e quello per la


diidropiridina. questo meccanismo permette la liberazione di neurotrasmettitori nello spazio
sinaptico e l’attivazione di un potenziale d’azione a livello della fibrocellula muscolare scheletrica.
Il potenziale d’azione decorre lungo la membrana della nostra cellula e modifica la conformazione
di un recettore (quello della diidropiridina) presente a livello dei tubuli t, invaginazioni del
sarcolemma all’interno della struttura muscolare scheletrica è un recettore ionico che modifica la
sua conformazione quando arriva il potenziale d’azione e permette l’entrata di calcio all’interno
della fibrocellula muscolare. Oltre a fare entrare calcio, questo recettore è legato al recettore della
rianodina, anch’esso ionotropo, che si trova nelle cisterne sarcoplasmatiche (magazzini di calcio).
Il potenziale d’azione generato dalla liberazione di acetilcolina decorre fino alla giunzione
neuromuscolare, a seguito dell’apertura dei canali per il sodio voltaggio-dipendenti il potenziale
d’azione continua lungo la parete della fibrocellula muscolare fino ad arrivare ai tubuli t.

Il potenziale d’azione determina la modificazione conformazionale del recettore della


diidropiridina, che si apre e garantisce l’ingresso del calcio; la modificazione conformazionale di
questo recettore è in grado di attivarne un altro, quello per la rianodina, che libera una grande
quantità di calcio all’interno della cellula muscolare.

Il calcio è l’elemento necessario per attivare la contrazione del muscolo, in sua assenza la
contrazione non avviene.
Alcune malattie, considerate patologie muscolari, sono legate all’inattivazione di questi canali che
non permettono la liberazione di calcio all’interno della cellula muscolare scheletrica, e quindi
creano un’inibizione del meccanismo della contrazione.

Quando si libera acetilcolina nella giunzione neuromuscolare, si crea un potenziale definito


potenziale di placca. A differenza delle altre risposte postsinaptiche viste a livello del SNC, il
potenziale di placca porta sempre la cellula a superare la soglia e di generare un potenziale
d’azione. Tutte le volte che il motoneurone-α trasporta uno stimolo a livello delle strutture
muscolari scheletriche, quest’ultimo risponde generando un potenziale d’azione permettendo
l’ingresso di calcio con conseguente contrazione muscolare. questo accade sempre, perché è un
movimento volontario, quindi è necessario che ci sia una risposta muscolare. La risposta muscolare
può essere facilitata, grazie integrazione sinaptica, ma questa integrazione, a livello dei muscoli
scheletrici, è sempre un’integrazione a breve termine, non si sviluppa mai un potenziamento o una
depressione a lungo termine.
Il potenziamento a lungo termine in una cellula muscolare scheletrica creerebbe quello che è il
meccanismo del tetano.

115
Questo è il sistema più conosciuto per quanto riguarda la trasmissione sinaptica, è quello più grande
in assoluto. Si formano strutture definite unità motorie, ovvero tutte le fibrocellule muscolari
scheletriche sinaptate dallo stesso motoneurone-α, ovviamente tutte le fibrocellule risponderanno
allo stesso modo allo stimolo.

Potenziale di placca in miniatura mEPP.


Registrando l’attività di una giunzione neuromuscolare si osservano dei piccoli picchi di variazione
di potenziale e sono tutti rappresentati dalla liberazione di un singolo quanto di neurotrasmettitore
che è in grado di generare una stimolazione postsinaptica. Ovviamente questo veniva realizzato in
una giunzione neuromuscolare in coltura, non fisiologicamente, perché tutte le stimolazioni del
motoneurone-α creano una depolarizzazione a livello muscolare che supera la soglia e che quindi
genera un potenziale d’azione che comporta una contrazione muscolare.

RECETTORI SENSORIALI
I recettori sono semplicemente cellule, presenti in posizioni diverse del nostro organismo, che sono
in grado di attivarsi a seguito di un certo tipo di stimolazione. Sono cellule eccitabili, che devono
generare un potenziale d’azione, il quale viene generato come gli altri potenziali d’azione. La
stimolazione può essere esterna al nostro organismo, ad esempio l’attivazione dei recettori cutanei,
deputati al tatto; o un recettore che risponde a sostanze chimiche, come quelli per l’olfatto o per il
gusto; oppure un recettore che risponde a variazioni di energia, come ad esempio i recettori presenti
sulla retina dell’occhio che sono in grado di attivarsi a seguito di stimolazioni generate dai fotoni.
Queste cellule, pur essendo molto diverse tra di loro, sono in grado di generare una risposta che è un
potenziale d’azione, trasportato attraverso una catena di cellule che tenderanno a trasferire questa
informazione fino alle strutture corticali, le quali daranno origine ad una sensazione che scaturisce
da un determinato stimolo.
ES: se mettiamo la mano nell’acqua bollente, i recettori periferici (in questo caso quelli sensoriali)
presenti sulla nostra cute rispondono ad una modificazione energetica, quindi la presenza di
un’alta temperatura, e modificano la loro attività elettrica. Generano, a seguito di variazioni di
canali presenti sulla loro membrana, un potenziale d’azione che seguirà una serie di cellule, un
decorso fino alla corteccia che ci permetterà di interpretare quello stimolo come uno stimolo
sensitivo (caldo) o uno stimolo dolorifico se la temperatura è eccessiva.

116
Si tratta di cellule presenti o nelle porzioni periferiche del nostro organismo, e quindi rispondono
agli stimoli esterni, oppure anche all’interno del nostro organismo. Nei nostri visceri sono presenti
dei recettori in grado, ad esempio a livello del tubo gastrointestinale, di percepire la distensione del
tubo stesso, e quindi il passaggio di materiale al suo interno.
Successivamente sarà trattato come siamo in grado di gestire queste informazioni, catalogarle e
trasportarle fino alla nostra corteccia, e come la nostra corteccia sarà poi in grado di rispondere a
seguito di una specifica stimolazione.

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DOMANDE KAHOOT
1) Nella sinapsi chimica la liberazione del mediatore chimico dal terminale presinaptico
consegue all’arrivo:
del potenziale d’azione. Il calcio entra all’interno della cellula grazie ai suoi canali e determina
il rilascio del neurotrasmettitore. IPSP ed EPSP sono eventi postsinaptici.
2) Nella sinapsi neuromuscolare l’acetilcolina è ricaptata dalla membrana postsinaptica a opera
dell’acetilcolinesterasi
Falso. Viene recuperata dalla membrana presinaptica.
3) La glicina è un neurotrasmettitore che agisce nel midollo spinale con:
effetti inibitori. Genera un IPSP nella cellula postsinaptica. La risposta ‘’ha effetti eccitatori’’
viene considerata errata perché nel caso dei recettori NMDA è necessaria la presenza del
glutammato, la glicina in sé ha solo effetti inibitori.
4) Nella sinapsi elettrica la trasmissione del potenziale d’azione è unidirezionale
Falso. Sono presenti connessoni che uniscono cellula presinaptica e postsinaptica, gli ioni
liberati possono dirigersi in un verso o nell’altro a seconda del loro gradiente di concentrazione.
In maniera unidirezionale agiscono solo le sinapsi chimiche per il rilascio del
neurotrasmettitore. Eventualmente si può verificare un controllo a feedback sul neurone
presinaptico dal neurone postsinaptico ma non si tratta di una trasmissione bidirezionale.
5) La sommazione temporale è quel meccanismo per cui l’effetto sulla membrana postsinaptica
risulta dalla stimolazione:
ripetuta dello stesso terminale postinaptico. In uno stesso terminale presinaptico stimolato in
due momenti differenti la stimolazione deve avvenire in una tempistica ridotta rispetto alla
decadenza dell’EPSP, in questo caso avviene la somma tra le due stimolazioni e si genera una
risposta maggiore che supera la soglia e dà vita un potenziale post sinaptico eccitatorio. Nel
caso della facilitazione si ha uno stimolo quando il primo EPSP si è ridotto quasi a zero e la
membrana torna al livello di riposo, quando si attiva una nuova stimolazione e viene generato
un IPSP o EPSP più grande perché viene liberato più neurotrasmettitore dal neurone
presinaptico, ma non si sommano le risposte a livello della cellula postsinaptica perché
avvengono in tempistiche differenti. In cellule che hanno una costante di tempo molto piccola
una sommazione anche di stimoli molto ravvicinati è difficile che si realizzi. Il caso della
sommazione di due terminali presinaptici contemporaneamente riguarda la sommazione
spaziale.
6) Nel muscolo scheletrico striato l’acetilcolina si lega a recettori nicotinici
Vero.
7) L’inibizione presinaptica è dovuta:
a una ridotta liberazione del mediatore del terminale presinaptico.
8) La sommazione spaziale risulta dalla stimolazione successiva di terminali presinaptici
dislocati in punti diversi.
Falso.
9) Il potenziale postsinaptico inibitorio può essere dovuto a:
un efflusso selettivo di ioni potassio nella membrana postsinaptica. Per causare
un’iperpolarizzazione, ovvero far diventare più negativa la membrana è necessario permettere la
fuoriuscita di ioni potassio dall’interno cellula dove sono maggiormente concentrati.
eventualmente è possibile immettere cariche negative attraverso i canali del cloro. L’influsso di

118
potassio non avviene mai perché sarebbe un trasporto contro gradiente. Quest’ultimo caso
avviene solo in condizione di infarto.
10) Il potenziale postsinaptico eccitatorio, a differenza dei potenziali d’azione, non è un evento
tutto o nulla
Vero. È un evento graduato, entrano ioni sodio in quantità limitata, dovuta a una stimolazione
breve che rilascia pochi neurotrasmettitori, causando una piccola depolarizzazione che non
raggiunge la soglia necessaria per generare un potenziale d’azione.

119
Fisiologia, lezione numero xx del
4/11/2021
Sbobinatori: Riccardo Panevino, Alice
Parisato
Revisore: Gaia Randazzo

RECETTORI SENSORIALI

I recettori sensoriali ci permettono di comunicare sia con l’interno che con l’esterno.
I recettori sono delle cellule che sono in grado di essere attivate da una particolare energia che viene
definita come STIMOLO ed ogni recettore ha una sorta di specificità rispetto ad uno stimolo
piuttosto che ad un altro.
Lo scopo, quindi, del recettore è quello di elaborare lo stimolo e dare origine ad una
SENSAZIONE, cioè ciò che viene percepito dall’encefalo.
Le diverse sensazioni si differenziano in base alle caratteristiche dello stimolo:
• MODALITÀ: caratteristica che distingue il tipo di sensazione (vista, tatto), dipende dalla
forma di energia di uno stimolo (onde luminose, sonore, pressione temperatura, sostanze
chimiche).
• QUALITÀ: all’interno della stessa modalità le sensazioni possono differenziarsi per la
qualità (es. VISTA, distinguo il rosso dal verde).
• QUANTITÀ: es. riesco a distinguere un rosso più intenso di un altro.
La valutazione di queste caratteristiche ci identificano quella che è la PERCEZIONE, che non è
nient’altro ciò che la nostra mente, a seguito delle nostre esperienze, è in grado di riconoscere
come risultato di una determinata sensazione. Ad esempio, se dovessimo guardare una lavagna
con una serie di linee disegnate che raffigurano un quadrato bianco, al di sopra del quale ci sono
altre linee che compongono un triangolo colorato di rosso questa viene identificata come
sensazione, mentre la percezione è ciò che noi identifichiamo da quelle linee e colori, infatti la
nostra esperienza ci insegna a considerare questa associazione come una casa.
I recettori sensoriali sono distinti in base alle zone in cui si trovano e sono in grado di
rispondere ad un tipo di energia generando un segnale elettrico permettendo così al il sistema
nervoso di codificarlo. La trasduzione di uno stimolo in corrente elettrica permette di trasportare
lo stimolo fino al SNC e generare una riposta.
I recettori solo selettivi e sono in grado di rispondere ad un particolare tipo di energia, definita
stimolo adeguato.
RECETTORI SENSORIALI: strutture neuronali specializzate in grado di percepire specifiche
forme di energia.
Prevalentemente aggregati in epiteli sensoriali, a livello di occhio, orecchio, naso, lingua e cute.
Rappresentano l’interfaccia tra SNC e ambiente esterno e interno. Sono SELETTIVI per una
particolare forma di energia (detta stimolo adeguato) e ALTAMENTE SENSIBILI agli stimoli
selezionati poiché possono amplificare gli stimoli che ricevono.

120
Nell’immagine sono presenti i recettori di tutti i sensi a nostra disposizione:
• Recettori dei Gas (recettori chimici): in grado di recuperare le informazioni relative alla
concertazione dell’ O2 e della CO2
• Recettori del Gusto (recettori chimici)
• Recettori dell’Olfatto (recettori chimici)
• Recettori dell’udito (recettori meccanici)
• Recettori del Tatto (recettori meccanici)
• Recettori dello stiramento muscolare (recettori meccanici)
• Recettori della Vista (recettori di stimoli luminosi)

I recettori vengono classificati in base a caratteristiche differenti:


La prima catalogazione è quella legata alla posizione, che deriva dall’origine embriologica del
tessuto nel quale si trovano:
• ESTEROCETTORI: recettori cutanei che rilevano il tatto, la pressione, le variazioni di
temperatura, gli stimoli dolorifici, i movimenti dei peli
• PROPRIOCETTORI: tessuti di origine mesodermica, recettori da stiramento presenti sui
muscoli, tendini e legamenti, per la PROPRIOCEZIONE, cioè riconoscere l’orientamento
nello spazio del proprio corpo.
• ENTEROCETTORI: derivanti dall’endoderma, quindi recettori presenti nei visceri. Hanno
la capacità di valutare stimoli meccanici. (es: come la dilatazione del tubo intestinale,
variazioni di pressione)

121
Possono essere classificati anche in base al loro rapporto con le fibre nervose:
• RECETTORI di tipo I: specializzazioni anatomofunzionali delle terminazioni periferiche
del neurone sensitivo primario (recettori cutanei profondi). In grado di trasdurre lo stimolo a
strutture superiori, prende il nome anche di cellula gangliare, o neurone afferente primario.
Tutto ciò che è afferente è in grado di trasportare informazioni dalla periferia verso il centro.
Il recettore di tipo I non è altro che una cellula nevosa la cui terminazione è stata trasformata
in recettore.
• RECETTORI di tipo II: vere e proprie cellule che fanno sinapsi, con la terminazione
afferente del neurone sensitivo e producono neurotrasmettitori, (es: recettori uditivi,
gustativi e vestibolari).
• RECETTORI di tipo III: es. fotorecettori retinici, cellule sensoriali diverse dal neurone
sensitivo responsabile della trasmissione del segnale visivo ai centri superiori (cellule
gangliari che daranno origine al nervo ottico), con cui non fanno sinapsi direttamente, ma
attraverso un neurone bipolare interposto tra le 2 cellule

Altro tipo di classificazione è basato sulla forma di energia a


cui sono sensibili:

• CHEMIOCETTORI: molto diffusi, rilevano stimoli


relativi a diverse modalità sensoriali (gusto, odore,
dolore), informazioni dai visceri e la liquidi organici
(es. PCO2 e PO2 a livello dei seni carotidei). Sono
recettori che rispondono alla presenza di determinate
sostanze chimiche e sono ligando dipendenti.
• MECCANOCETTORI: i più diffusi e polimorfici; a
livello cutaneo rilevano informazioni tattili e
dolorifiche, a livello muscolare, vestibolare, viscerale
rilevano informazioni sulla modificazione della
lunghezza (distensione). La struttura del recettore viene
modificata a seconda dello stimolo meccanico che
viene effettuato sul recettore. Dunque sono recettori che
sono in grado di rispondere a stimoli meccanici.
• TERMOCETTORI rilevano la temperatura in vari
distretti e sono in grado di elaborare temperature troppo
basse o troppo alte sotto forma di stimolo doloroso (i
limiti che definiscono quando uno stimolo è doloroso
sono <15°c e >45°c).
• FOTOCETTORI retinici (coni e bastoncelli), rilevano stimoli luminosi, che attivano una
cascata di reazioni legate a proteine G che determinano la non liberazione di
neurotrasmettitore (di tipo inibitorio). Ad esempio al buio il neurotrasmettitore viene
liberato e blocca il passaggio dello stimolo alle altre cellule, mentre se passa il fotone, il
quale blocca il neurotrasmettitore, l’impulso è libero di passare.

122
In questa immagine sono raffigurati tutti i recettori e le modalità di risposta agli stimoli.

Ultima possibile classificazione è quella legata alla quantità di stimoli che sono in grado di attivare i
recettori:
• UNIMODALI: se trasducono un singolo tipo di energia SPECIFICITÀ RECETTORIALE
• POLIMODALI: fisiologicamente sensibili a più di una forma di energia es. i
NOCICETTORI (terminazioni libere fibre C, amieliniche), sono in grado di rilevare
stimoli meccanici, termici e chimici

Ovviamente lo stesso recettore può appartenere a più categorie a seconda delle sue caratteristiche.

STIMOLO ADEGUATO: la modalità alla quale risponde un recettore, ogni recettore ha uno
specifico stimolo adeguato in grado di attivarlo, ad esempio, il fotorecettore è attivato dal fotone.
Tuttavia però in alcuni casi lo stimolo che è in grado di attivare il recettore può essere diverso dallo
stimolo adeguato, di fatti, prendendo come esempio sempre il fotorecettore, chiudendo gli occhi e
facendo una pressione con il dito sulla palpebra noi andremo a visualizzare una informazione visiva
sotto forma di luce bianca, la quale però non è causata da uno stimolo visivo ma meccanico. La
forza utilizzata per comprimere l’occhio va a causare l’apertura dei canali generando un segnale
(questo tipo di fenomeno che accade all’occhio è chiamato fosfene).

Lo stimolo percepito dal recettore sensoriale dà l’avvio ad un processo detto TRASDUZIONE


SENSORIALE: le informazioni sullo stimolo vengono convertite in segnali elettrici locali.
Questi segnali elettrici sono chiamati potenziali di recettore/potenziali generatori, i quali vengono
sempre formati. Questi possono essere trasformati in potenziali d’azione e condotti da fibre al
SNC. Per attivare un potenziale d’azione il potenziale generatore deve essere sufficientemente
ampio da raggiungere una soglia. Si definisce stimolo soglia lo stimolo di più bassa intensità che
può essere efficacemente rilevato. Lo stimolo adeguato è quello verso il quale il recettore ha una
soglia più bassa.

123
Quindi quasi sempre lo stimolo adeguato è in grado di generare un potenzia d’azione nel
nostro recettore, sempre genera un potenziale generatore.

TRASDUZIONE SENSORIALE: Avviene grazie ad una variazione di potenziale di riposo della


membrana del recettore, la quale avviene grazie all’apertura di canali presenti sulla membrana del
recettore, in una zona chiamata “recettoriale” che è in stretto rapporto con canali ionici che creano
appunto una variazione di potenziale, la quale man mano si sposta sulla membrana fino ad
incontrare dei canali voltaggio dipendenti, presenti in quella determinata zona, per creare appunto il
vero e proprio potenziale d’azione.
Il “potenziale generatore” è simile a EPSP, infatti sono entrambi potenziali graduati, i quali creano
lievi variazioni e non sono del tipo “tutto o nulla”. Infatti non sempre un potenziale generatore crea
un potenziale d’azione.
I canali che sono coinvolti nella genesi del potenziale d’azione sono canali ionici normalissimi ma
non sono canali voltaggio dipendenti. Lo spazio di membrana intono al recettore contiene canali
voltaggio dipendenti che permetteranno una variazione del potenziale d’azione una volta raggiunta
la soglia.

Abbiamo il meccanocettore (1), la membrana del recettore viene stiracchiata, si genera l’apertura di
un canale, entrano cariche positive che determinano un potenziale generatore che viene poi
trasportato in modo elettrotonico sulla membrana; se vi sono canali per il Na voltaggio-dipendenti,
questi determinano un’apertura massiva dei canali grazie alla lieve depolarizzazione, si supera la
soglia e si genera il potenziale d’azione che decorre lungo l’assone del neurone dirigendosi fino al
SNC.
Oppure si ha il chemocettore (2) con
il calore perché può essere attivato
anche dalla capsaicina (principio
attivo presente nel peperoncino).
I termocettori sono in grado di essere
attivati anche da quel tipo di ligando,
per cui sono polimodali; il recettore
si lega alla sostanza chimica e questa
determina l’apertura del canale con lo
stesso meccanismo del
meccanocettore: entrano cariche +, si
genera il potenziale generatore che
poi può essere trasformato in
potenziale d’azione. Oppure si attiva
una Proteina G (3) che non è un
canale ionico ma un recettore
metabotropo che determina una
cascata di reazioni, il recettore è
legato alla proteina G e creano una
serie di informazioni differenti
all’interno della cellula, tra questi un secondo messaggero può legarsi ad altri canali ionici sulla
cellula e determina l’ingresso o il blocco d’ingresso, come succede nei fotoni, di cariche + nella
cellula determinando un potenziale generatore.
Quindi questo è quello che succede quando si genera un potenziale recettoriale che può trasformarsi
in un potenziale d’azione. Non è sempre detto che lo stimolo adeguato sia in grado di generare un

124
potenziale d’azione, è molto probabile perché lo stimolo adeguato è proprio quello stimolo che deve
attivare il recettore.

IL POTENZIALE GENERATORE
Il potenziale generatore può essere considerato
come un EPSP (potenziale post-sinaptico
eccitatorio), un piccolo momento di
depolarizzazione della membrana a seconda di
dove si trova la soglia, si genera oppure no un
potenziale d’azione. E’ un potenziale elettrotonico
che viene trasportato sulla membrana recettoriale,
quindi non è un meccanismo del tutto o nulla.
L’ampiezza del potenziale generatore dipende
anche dall’ampiezza dello stimolo, dalla sua
intensità, se metto ad esempio sulla mano un
bottone o se metto un libro ovviamente il
potenziale generatore dei nostri recettori avrà
un’ampiezza diversa perché il peso che poggia
sulla mano è molto diverso. L’intensità dello
stimolo è molto differente per cui verranno attivati
molti più recettori perché lo spazio è più grande
(l’area che stimola la cute è maggiore), e si avrà un’ampiezza maggiore del recettore e sarà molto
più probabile che determinerà un potenziale d’azione.
Gli stimoli molto intensi sono di solito in grado di generare un potenziale d’azione.
Tali recettori sono in grado di identificare l’intensità dello stimolo creando una sorta di
sommazione, non è una vera e propria sommazione perché quella riguarda i neuroni, questi invece
sono neuroni un pò modificati.
In realtà si possono creare delle sommazioni che dipendono da quanti recettori vengono stimolati e
quindi danno alla nostra corteccia la capacità di identificare l’intensità di un certo stimolo.
Sono potenziali elettrotonici, e ciò che succede nel recettore di primo tipo, neurone sensitivo
primario, in grado di recepire lo stimolo e di trasportarlo verso il SNC è la genesi di un piccolo
potenziale generatore nella terminazione recettoriale, qui si crea il potenziale generatore, se l’assone
è mielinizzato il potenziale decorrerà elettrotonicamente nel primo nodo di Ranvier (la membrana è
isolata), qui si apriranno i primi canali voltaggio dipendenti e lì si genererà un potenziale d’azione.
Il potenziale generatore avrà un’ampiezza differente a seconda dell’intensità dello stimolo e attiverà
o meno il potenziale d’azione. Tutto ciò avviene nel neurone sensitivo afferente primario, cioè
quello che è un recettore di tipo 1. Nel recettore di tipo 2 e 3 invece il potenziale generatore sarà in
grado una volta superata la soglia di attivare il potenziale d’azione all’interno della cellula
recettoriale che correrà lungo la parete del recettore arrivando nella parte pre-sinaptica, entreranno
ioni Na e Ca perché il potenziale d’azione sarà in grado di aprire i canali per il Ca voltaggio-
dipendenti presenti nella parte presinaptica della sinapsi e si libererà il neurotrasmettitore.

-Nel recettore di tipo 1 l’ informazione elettrica passa direttamente fino al secondo neurone che
sarà direttamente in grado di trasportare il segnale verso la corteccia

-Nei recettori di tipo 2 e 3 succederà che il potenziale d’azione sarà finalizzato alla liberazione del
neurotrasmettitore
FIG. 1

125
FIG. 2

Questi (FIG. 1) sono i diversi tipi di cellule


(recettore), la prima è una cellula pseudounipolare,
l’ultima è un recettore di tipo 2 in cui il potenziale
d’azione decorrerà nel neurone sensitivo primario una
volta che verranno liberati neurotrasmettitori dal
recettore di tipo 2 o 3. Il neurone sensitivo trasporterà
l’informazione fino al SNC.

Il potenziale generatore è un potenziale graduato, quindi ha ampiezza limitata. Nell’immagine si


vede un recettore di tipo 1 (neurone sensitivo primario), le cui terminazioni periferiche sono
trasformate in strutture recettoriali. Alla cute arriva lo stimolo con un certo andamento temporale ed
una certa ampiezza e si genera il potenziale del recettore graduato che è molto simile ad un EPSP, il
potenziale poi decade nel momento in cui lo stimolo viene eliminato.
Lo stimolo genera una modificazione della membrana che porterà l’ingresso di ioni Na che
genereranno una variazione di potenziale, dal potenziale di riposo fino ad un potenziale di recettore;
questo decorrerà lungo l’assone generando potenziali d’azione se è in grado di attivare i canali
voltaggio-dipendenti sulla membrana del neurone sensitivo primario. Gli impulsi avranno una
frequenza differente a seconda dello stimolo che sarà in grado di generare un certo potenziale
recettoriale.
Nell’immagine (FIG. 2) si vede che ci sono un insieme di cellule differenti perché non è mai il
singolo recettore che trasporta l’informazione fino al SNC ma è sempre una catena di cellule che
trasporta poi le informazioni fino alla corticale.

IL CAMPO RECETTIVO
Ogni recettore sarà in grado di rispondere ad una serie di informazioni e di stimoli che insistono su
una particolare area, ad esempio quella cutanea in cui si trova fisicamente il recettore. Tutti gli
stimoli che arrivano sull’area cutanea che è innervata da recettore prende il nome di CAMPO
RECETTIVO. Se avessi un singolo recettore sulla mia mano, di dimensione variabile tra i 2/3 mm,
l’unico campo recettivo del recettore sarebbe quell’area di cute del diametro di 2/3 mm in cui il
recettore va a porre i prolungamenti recettivi che permettono il recupero dello stimolo e la genesi
del potenziale recettoriale.

126
Il campo recettivo può essere più o meno grande, non tutti i recettori hanno lo stesso campo
recettivo; ve ne sono di molto piccoli come per la sensibilità tattile sui polpastrelli e sono in grado
di darci un innumerevole serie di informazioni riguardo le cose che tocchiamo.
Se per esempio si prende in mano un oggetto e lo si tocca con i polpastrelli siamo in grado di
riconoscere la forma di quell’oggetto se invece si posiziona lo stesso oggetto sulla coscia o sulla
schiena non siamo in grado di identificare, se non in modo grossolano, la forma di quel particolare
oggetto. Questo perché le dimensioni dei campi recettivi sono differenti.

Se applico uno stimolo sul polpastrello delle dita, i recettori stimolati saranno un numero enorme e
manderanno una serie di informazioni direttamente alla corteccia che sarà in grado di elaborare una
risposta generata da una serie di informazioni molto grande. I recettori tattili nella schiena e nelle
cosce hanno un campo recettivo molto grande quindi un oggetto magari molto piccolo andrà ad
attivare un singolo recettore che potrà portare una singola informazione alla corteccia. La
percezione che la nostra corteccia sarà in grado di dare ad uno certo stimolo dipende anche dalla
precisone e dalla quantità di informazioni che arrivano fino alla corteccia.

La sensibilità somato-sensoriale è quella che deriva dalle informazioni esterne e può essere
definita come:

• Sensibilità EPICRITICA la quale è particolarmente fine e discriminativa, che permette di


identificare con una elevata specificità un determinato stimolo

• Sensibilità PROTOPATICA in cui i recettori hanno campi recettivi piuttosto grandi che
forniscono informazioni grossolane dello stimolo che si sta ricevendo

Riposta ad una domanda: ogni recettore ha il suo campo recettivo, poi vedremo che ci sono campi
recettivi che in qualche modo si sommano, però ogni parte recettoriale della cellula ha un area su
cui insiste e se lo stimolo arriva in quella particolare area il recettore viene stimolato.

I campi recettivi sono importantissimi proprio perché ci


permettono di identificare lo stimolo che siamo in grado di
recuperare dagli stessi recettori.

127
Il campo recettivo dei neuroni che si trovano oltre il nostro recettore, hanno una grandezza diversa
rispetto a quella del nostro recettore.
In figura si nota la cellula con un singolo campo recettivo in basso, rappresentato da tutta l’area
cutanea che insiste sulle terminazioni recettoriali. Se il recettore manda informazioni ad una
seconda cellula, dal momento che serve una catena di cellule per mandare l’informazione verso il
cervello, questa può percepire informazioni anche dal recettore presente nella porzione vicina a lui.
Ogni recettore ha il suo campo recettivo, la seconda cellula prenderà informazioni che derivano non
solo da un singolo campo recettivo del primo neurone ma recupererà le informazioni trasmesse dai
2 recettori alla seconda cellula che sale verso l’alto; quindi il campo recettivo della cellula di
secondo ordine è necessariamente più grande perché recupera le informazioni che sono sul campo
recettivo del primo e secondo recettore. Vi è una sorta di convergenza delle informazioni, quando
convergono su una singola cellula secondaria il neurone secondario anche se fisicamente non ha
uno spazio di cute su cui incidono le sue terminazioni avrà comunque un campo recettoriale più
grande rispetto a quello del recettore attivato da un determinato stimolo.

Questo è quello che succede a livello retinico, nella retina i fotorecettori insistono su cellule
secondarie con una convergenza molto alta, per cui le cellule gangliari che trasmettono il segnale
attraverso il nervo ottico hanno campi recettivi molto ampi perché sono molti i fotorecettori che
convergono sulla stessa cellula
gangliare.
Le tante informazioni recepite dai
fotorecettori vengono accumulate
e trasportate ad una singola
cellula gangliare, se volessimo
valutare la grandezza del campo
recettivo della cellula gangliare
dovremmo sommare tutti i campi
recettivi dei nostri fotorecettori,
quindi c’è una convergenza di
informazioni.
Se il campo recettivo è molto
grande e sono 2 uniti l’uno
all’altro che convergono su un
singolo neurone di secondo
ordine in realtà si tratta sempre di
informazioni grossolane.

Il campo recettivo è una grandezza importante perché ci da la precisone della funzionalità del
recettore, definita ACUITA’ SENSITIVA. Per valutare l’acuità sensitiva di un recettore sulla cute
si usano 2 punte di compasso, ogni porzione della nostra cute ha dei recettori che hanno un acuità
sensitiva differente.
Se pongo 2 punte di compasso a distanza di 1 mm l’una dall’altra sui polpastrelli, sono in grado di
identificare le 2 punte riconoscendo i 2 stimoli come separati perché il campo recettivo dei recettori
presenti sui polpastrelli è particolarmente piccolo.
Se invece pongo le stesse 2 punte sul dorso della schiena, i campi recettivi sono molto grandi quindi
se 2 punte insistono sullo stesso campo recettivo si attiverà un solo potenziale d’azione che
trasporterà una singola informazione. Il recettore riconoscerà lo stimolo pressorio generato dalle 2

128
punte ma sarà uno stimolo singolo perché non sarà in grado di separare i 2 stimoli dal momento che
il campo recettivo è molto grande, quindi non vi sarà discriminazione.

Nella figura si vede quella che è la


soglia di discriminazione delle varie
porzioni del nostro organismo. Ad
esempio nelle mani la soglia di
discriminazione è bassissima quindi
se mettiamo 2 stimoli
particolarmente vicini sui
polpastrelli delle mani o sulle labbra
siamo in grado di riconoscere
sempre i 2 stimoli come separati. Se
mettiamo 2 stimoli molto vicini sulle
braccia piuttosto che sul torace, per
riconoscere 2 stimoli separati questi
devono essere molto lontani l’uno
dall’altro altrimenti non sarei in
grado di farlo. Tale caratteristica è
generata dalla soglia di
discriminazione che da vita
all’acuità sensitiva.

La stessa cosa succede con i recettori meccanici presenti all’interno della bocca, mettendo un
oggetto all’interno di essa riusciamo a riconoscerne la forma. I recettori meccanici presenti sulla
lingua, guance, mucosa orale hanno campi recettivi particolarmente piccoli in grado di permetterci
una discriminazione molto fine e specifica.

L’acuità sensitiva è generata dalla grandezza dei campi recettivi. Ogni recettore ha una certa soglia
di discriminazione. Dunque è la distanza tra 2 stimoli che ci permette di identificare i 2 stimoli
come separati piuttosto che come uniti.

INIBIZIONE LATERALE

129
Oltre all’acuità sensitiva è particolarmente importante nell’identificazione di un determinato stimolo
l’inibizione laterale.
Il nostro organismo presenta una quantità enorme di recettori, se tutti questi fossero in grado di
rispondere allo stesso modo ad uno stimolo posizionato in un particolare punto della cute, la nostra
corteccia non sarebbe in grado di discriminare il punto specifico in cui avviene quel determinato
stimolo perché se a livello cutaneo poniamo uno spillo (area molto limitata), avviene una pressione
sulla cute che genera uno stimolo più intenso nella parte centrale dove viene poggiato lo spillo ma
in parte si modifica anche l’area laterale rispetto al centro dello stimolo e in quest’area incidono
diversi recettori; quello maggiormente attivato è il recettore al centro dell’area stimolata proprio
sotto la punta dello spillo (recettore B verde intenso);
il recettore nel suo campo recettivo si attiva in modo particolarmente intenso e crea un potenziale
d’azione. Successivamente vengono liberati i neurotrasmettitori che andranno ad attivare la via di
segnale convergendo sulla corteccia.
Per poter discriminare in modo specifico il fatto che lo spillo sia esattamente in quella posizione, il
recettore e le cellule seguenti andranno a creare una sorta di inibizione rispetto ai neuroni coinvolti
nelle vie di segnale generati dai recettori laterali rispetto al punto di stimolazione.
Il neurone di secondo ordine, che sarà in grado di trasportare il segnale fino alla corteccia,
attraverso una catena di neuroni, andrà ad
attivare il neurone successivo ma
contemporaneamente andrà a ridurre la
funzionalità dei neuroni laterali per permettere
alla corteccia di riconoscere in modo specifico la
posizione da cui quel tipo di stimolo crea il
potenziale d’azione. Ciò che si genera è una
differenza di frequenza di potenziale d’azione. Il
recettore B che è quello maggiormente stimolato
crea, sia a livello recettoriale che a livello di
neurone di ordine superiore, una frequenza di
stimolazione particolarmente alta perché deve
determinare la percezione a livello corticale di
tale stimolo.
I recettori laterali agiscono anche loro con un
potenziale d’azione ma hanno una frequenza più
bassa. Il recettore stimolato in modo maggiore (B) andrà ad attivare la catena di neuroni che
porteranno il segnale fino alla corteccia e attiverà direttamente il neurone successivo creando una
frequenza di potenziali che si mantiene alta ma andrà ad inibire i neuroni collegati ai recettori
laterali in modo tale da ridurre la frequenza di scarica di quei neuroni e quindi il segnale non passa
perché i neuroni sono inibiti dai neuroni centrali. Tutto ciò ci permette di riconoscere in modo più
specifico un particolare stimolo.
Questo tipo di inibizione è legata anche alla grandezza del campo recettivo, quindi i neuroni dei
recettori che hanno un campo recettivo molto piccolo per determinare una precisone nello stimolo
che incide ad esempio sulla cute, non andranno a inibire particolarmente i recettori laterali perché il
campo recettivo è piccolo.
Se il campo recettivo è grande e lo stimolo lo è altrettanto, per determinare una precisone maggiore
ho necessità di andare ad inibire i recettori che si trovano nella porzione periferica dello stimolo in
modo da aumentare la precisione della percezione.

L’inibizione laterale è generata da quei autorecettori sui recettori laterali nominati quando abbiamo
parlato di neuroni pre e post sinaptici. Un neurone è in grado di liberare un solo tipo di
neurotrasmettitore eccitatorio o inibitorio, ci sono neuroni che presentano nelle terminazioni pre-
sinaptiche degli autorecettori in grado di riconoscere il neurotrasmettitore liberato da essi stessi ma
anche lo stesso neurotrasmettitore liberato dal neurone vicino che agisce a feedback negativo

130
andando a ridurre la liberazione di neurotrasmettitore; quindi la frequenza di potenziale d’azione
nelle cellule successive necessariamente andrà a ridursi.

CODIFICA DELL’INTENSITA’ DELLO STIMOLO


Attraverso la stimolazione dei recettori siamo in grado di codificare l’intensità e la durata dello
stimolo, i recettori riescono a percepire uno stimolo debole da uno stimolo intenso grazie alla
variazione della frequenza
di scarica del potenziale
d’azione.
Quando si somministra uno
stimolo sulla cute vengono
attivati una serie di recettori
con conseguente potenziale
generatore che può essere
in grado di attivare un
potenziale d’azione.
In figura si vedono 2
stimoli differenti di lieve ed
elevata intensità, si
generano quindi 2
potenziali generatori che
dipendono dall’intensità
dello stimolo, poi superano
la soglia e sono in grado di
generare una serie di
scariche di potenziale
d’azione per tutta la durata
dello stimolo.
L’intensità dello stimolo
che viene somministrato sul
recettore è in grado di
generare un potenziale di recettore di ampiezza diversa che attiva una scarica di potenziali d’azione
che hanno una frequenza diversa a seconda dell’intensità dello stimolo. La corteccia sarà in grado di
identificare l’intensità di uno stimolo, ad esempio se schiaccio il dito in mezzo alla porta lo stimolo
meccanico che subisco ha un’ampiezza particolarmente alta, quindi la frequenza di scariche del
potenziale d’azione che si genererà dal recettore sarà intensa.
Se invece col dito pigio semplicemente contro il muro la stimolazione ha un intensità ridotta
rispetto all’esempio precedente, quindi la frequenza sarà minore la corteccia percepisce lo stimolo
in maniera ridotta. Il tutto dipende dalla scarica di potenziale d’azione che si genera da ogni
recettore.

131
La FREQUENZA di potenziale d’azione è indicata in Hz, ed è direttamente proporzionale al
logaritmo dell’ INTENSITA’ dello stimolo, la quale si può misurare con strumenti differenti a
seconda del tipo di stimolo che si valuta.
La percezione degli stimoli che arrivano dal cervello può essere suddivisa in percezione soggettiva
(lo riconosco perché ho una memoria perciò lo posso identificare come stimolo positivo o negativo
con l’ausilio del sistema limbico) o oggettiva (misurabile).

CODIFICA DELLA DURATA DI UNO STIMOLO


Sono in grado di identificare attraverso la frequenza di scarica del potenziale d’azione se lo stimolo
è intenso o lieve. Per capire la DURATA invece quasi tutti i recettori vanno incontro al fenomeno
dell’adattamento (ad esempio i recettori specifici del dolore non si adattano perché il dolore è un
evento dannoso che ci mette in
allerta: pericolo, danno
tissutale, problema.. il dolore
non deve scomparire altrimenti
perderebbe della sua funzione).
L’adattamento è legato alla
durata dello stimolo, in base alla
risposta che hanno i recettori si
possono distinguere in recettori
a rapido o a lento adattamento.

-Recettori a LENTO
ADATTAMENTO o TONICI:
creano potenziali d’azione
durante tutto il tempo dello
stimolo, ma la frequenza di
genesi del potenziale va
lentamente riducendosi nel
tempo

-Recettori a RAPIDO ADATTAMENTO o FASICI: generalmente si attivano nel momento in cui


inizia lo stimolo registrando la risposta ON, e smettono di scaricare durante lo stimolo e si
riattivano quando lo stimolo viene eliminato cioè risposta OFF. Quindi si attivano quando lo
stimolo inizia e quando finisce, nel mezzo non sono attivi e non attivano un potenziale d’azione. Un
esempio di questi recettori a rapido adattamento sono quelli olfattivi, infatti se si percepisce un
odore sgradevole lo si sente per qualche secondo e poi difficilmente ci si rende ancora conto
dell’odore perché vi è un adattamento.

L’adattamento è importante perché la nostra corteccia deve saper gestire tutte le informazione che le
arrivano.
Esempio: tutti noi siamo vestiti, se i nostri recettori cutanei rispondessero per tutto il giorno alla
stimolazione/sfregamento dei vestiti sulla cute, la nostra corteccia dovrebbe gestire una quantità di
informazioni tale per cui non saremo in grado di avere nessun tipo di risposta perché sarebbe un
informazione continua. I recettori sono comunque stimolati dal vestito che si indossa, ma non
rispondono perché si adattano per riuscire cosi a gestire il lavoro da parte dei recettori, così la
corteccia è in grado di elaborare tutte le informazioni che recepiscono.

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Lezione di fisiologia del 10/11/2021
Sbobinatori: Ricci, Saccaggi
Revisore: Colleluori
Prof. Sandra Guidi

CODIFICA DELLE INFORMAZIONI GENERATE DA UNO STIMOLO

Intensità dello stimolo


La codifica dell’intensità di uno stimolo è
generata dal codice di frequenza,
maggiore è l’intensità, maggiore è la
frequenza di scarica del potenziale
d’azione del nostro recettore. Ogni
singolo recettore in questo modo codifica
l’intensità dello stimolo che lo coinvolge
con una frequenza di scarica
proporzionale al logaritmo dell’intensità
stessa.
La grandezza di uno stimolo che insiste
su una porzione di cute viene identificata
e codificata dal codice di popolazione.
Noi siamo in grado di identificare la grandezza dello stimolo che insiste su una determinata area
semplicemente perché è maggiore il numero di recettori che viene attivato dallo stesso stimolo. Di
conseguenza l’intensità della scarica del recettore dipenderà dall’intensità dello stimolo che insiste
su quella regione, mentre la grandezza viene determinata da quanti recettori vengono attivati
contemporaneamente.

In questo caso l’inibizione


laterale sarà limitata alle zone
periferiche dell’area
interessata dallo stimolo
poichè nella porzione
massivamente attivata tutti i
recettori rispondono con la
stessa intensità. Quindi si
parla di codice di popolazione
per indicare quanto è grande
lo stimolo in termini di area
coinvolta e non in termini di
intensità.

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Quando si parla di soglie è bene sapere che ne esistono diversi tipi. Si parla infatti di soglia
recettoriale per indicare il minimo stimolo in grado di generare un potenziale recettoriale. Questo
dovrà poi superare una certa soglia elettrica per poter attivare il potenziale d’azione. È importante
la distinzione tra le due: la prima è una soglia fisica che dipende dalla sensibilità; non tutti i
recettori vengono attivati da ogni stimolo a cui possiamo essere sottoposti, alcuni hanno una
sensibilità maggiore rispetto ad altri, per cui quelli che danno origine alle informazioni di sensibilità
epicritica sono recettori con sensibilità molto alta, attivati anche con stimoli di bassa intensità. I
recettori del dolore ad esempio trasmettono le informazioni dolorose alla corteccia solo se lo
stimolo è particolarmente intenso, sono perciò in grado di generare un potenziale recettoriale solo se
vengono superate determinate caratteristiche fisiche, altrimenti il recettore non risponde e non si
genera un potenziale recettoriale ne tantomeno un potenziale d’azione. Il superamento della soglia
recettoriale genera semplicemente un potenziale recettoriale mentre il superamento della soglia
elettrica genera il potenziale d’azione (quindi permette la trasmissione del segnale verso la
corteccia).

Codifica della localizzazione dello stimolo

Il corpo umano è in grado di identificare uno stimolo in ogni sua parte poiché esiste una mappa
topografica a livello della corteccia generata dalle terminazioni che giungono dai nostri recettori
fino alla corteccia stessa. Ogni recettore presente sulla cute forma delle sinapsi con neuroni che
vanno verso l’encefalo e questa catena di cellule andrà sempre a terminare in una particolare zona
della corteccia che riceverà informazioni solo da quella specifica porzione periferica. La nostra
corteccia è quindi come una mappa geografica del nostro corpo; ogni piccola porzione corrisponde
ad un singolo gruppo di recettori, permettendoci di identificare la posizione in cui si è generato il
potenziale recettoriale che ha attivato un potenziale d’azione. Questa mappa topografica non è
presente solo nella corteccia ma anche a livello del talamo, quella struttura intermedia attraverso la
quale passano tutte le informazioni somatiche che arriveranno poi alla corteccia. In questo modo si
ha una discriminazione ben precisa di tutte le informazioni che ci giungono dall’ambiente esterno (e
interno).

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Recettori specifici: recettori della sensibilità generale e dei sensi speciali

I neuroni sensitivi primari si occupano del recupero di informazioni somato-topiche provenienti


dalla cute; i più rappresentati sono i recettori meccanici (meccanocettori). Si tratta di neuroni
modificati con la porzione terminale che ha acquisito la possibilità di rispondere agli stimoli.
Vengono anche detti cellule gangliari perché il loro corpo cellulare risiede all’interno dei gangli
delle radici dorsali del midollo spinale.

I neuroni sensitivi primari, che fanno quindi parte del sistema somato-sensitivo, sono sempre
neuroni pseudounipolari (nel riquadro dell’immagine) e sono neuroni che presentano due apici ben
distinti uscenti dal loro corpo cellulare; nell’immagine la terminazione periferica che presenta le
strutture ricettive è posta in alto, mentre inferiormente vi è l’assone che porterà le informazioni fino
alle strutture corticali. Sono anche definiti neuroni a T per la loro forma particolare. Questi neuroni
entrano nel midollo spinale attraverso le radici dorsali e sono in grado di generare dei fasci di fibre
per il trasporto del segnale fino alle strutture superiori. La parte del neurone che contiene i recettori
sensoriali viene definita porzione periferica (poiché va appunto verso la periferia) mentre l’assone
genera i processi centrali (le fibre che trasmettono il segnale alla corteccia). È un neurone
mielinizzato come tutti i neuroni del sistema somato-sensitivo che agiscono recuperando le

136
informazioni tattili. Gli assoni che entrano nel midollo spinale si uniscono tra di loro dando vita ai
nervi.
Questi nervi possono essere
semplicemente nervi sensitivi e quindi
formati esclusivamente da fibre che
originano da neuroni sensitivi primari,
oppure nervi misti formati sia da fibre
sensitive che da fibre motorie; sono
quindi in grado di recuperare
informazioni somatiche e trasmettere
risposte motorie dalla corteccia verso le
strutture periferiche.
Le fibre possono essere afferenti o
efferenti a seconda della direzione del
segnale trasmesso: una fibra afferente
trasporta sempre un segnale dalla periferia verso il centro mentre le fibre efferenti hanno
caratteristiche opposte e trasportano un segnale discendente dalla struttura corticale alla periferia,
controllando la risposta generata dall’informazione somatica (per esempio una risposta motoria).
I recettori presenti a livello cutaneo possono essere formati dalle terminazioni libere del neurone
sensitivo primario oppure possono essere strutture più complesse in cui la terminazione nervosa è
avvolta da altre strutture di protezione. Il recettore in questo caso è rappresentato da tutte le strutture
che lo compongono, sia dalla fibra nervosa che dalla sua capsula, e risponderà quindi alle
modificazioni di ogni sua componente. Una terminazione nervosa libera invece sarà stimolata
dall’apertura meccanica di canali ionici.
Nel caso del corpuscolo del Pacini l’attivazione è più complicata, poiché il potenziale generatore si
attiva all’interno della fibra nervosa terminale e l’informazione viene recuperata dalle strutture
esterne del corpuscolo che la avvolgono.
Ci possono essere risposte differenti a seconda del modo in cui vengono attivati i recettori.
Il recettore recupera le informazioni periferiche e attraverso la radice dorsale entra nel midollo per
trasportare le informazioni verso la corteccia. La prima cellula della catena di neuroni che porterà
l'informazione fino allo strato corticale è detta neurone sensitivo primario o di primo ordine.
Questo farà sinapsi con un neurone di second’ordine presente a livello del midollo spinale che
genererà un proprio potenziale diretto fino al talamo dove incontrerà il neurone di terz’ordine che
infine trasporterà le informazioni alla corteccia. Quindi queste vie somato-sensitive sono formate da
almeno tre neuroni (primo, secondo e terz’ordine; in questo caso il neurone di prim’ordine è anche
il recettore). Questo è valido sia per le informazioni tattili che per quelle termiche, dolorifiche e di
tatto grossolano.
In alcuni casi oltre a questi esistono anche degli interneuroni, interposti tra i neuroni della via
somato-sensitiva, che regolano e modificano il segnale prima che arrivi alla corteccia.
La via somato-sensitiva ci permette di identificare informazioni somatiche generate sia
dall’ambiente esterno (esterocettori) che dall’ambiente interno (enterocettori) o dai

137
propriocettori (recettori che permettono di identificare la posizione degli arti e del nostro corpo
all’interno dell’ambiente).
Questi recettori generano fibre differenti che hanno caratteristiche anatomiche diverse e che
determinano una velocità di trasporto dell’informazione diversa. Abbiamo già visto che esistono
fibre mieliniche e amieliniche. Tutte le
informazioni tattili vengono trasportate
attraverso fibre mielinizzate di grande
diametro che vengono suddivise in due
classi: fibre Aα e Aβ.
Le fibre Aα a loro volta si suddividono
in due sottotipi (1A e 1B) con
funzionalità diverse rispetto al tipo di
informazione trasportata.

Le fibre Aβ sono mielinizzate ed hanno una velocità di conduzione particolarmente alta


(mediamente 100 m/s).
Le informazioni dolorifiche invece vengono trasportate a livello centrale attraverso fibre non
mielinizzate (fibre C) che hanno una velocità di trasmissione del segnale piuttosto bassa (2-5 m/s) e
trasportano il segnale dolorifico lento, un dolore secondario che si mantiene per un periodo più
lungo.
Un altro tipo di stimolo dolorifico è trasportato invece dalle fibre Aδ (mielinizzate) che sono in
grado di render conto delle sensazioni di dolore pungente; il dolore persistente viene trasmesso in
seguito con intensità minore dalle fibre C (amieliniche).

Ogni tipo di fibra genererà a livello centrale una risposta differente che sarà elaborata con una
velocità proporzionale a quella di conduzione. A stimoli molto veloci corrisponderà una risposta
altrettanto immediata.

138
Tatto discriminativo e propriocezione

I recettori presenti a livello cutaneo ci permettono di recuperare moltissime informazioni riguardo


all’oggetto che stiamo toccando (tatto discriminativo). Questi recettori possono essere distinti in
due categorie in base alla loro velocità di adattamento. (Adattamento = variazione della risposta del
recettore allo stimolo). Esistono quindi recettori a lento e rapido adattamento.
I recettori a lento adattamento sono quelli che continuano a scaricare per tutta la durata dello
stimolo, riducendo solo la velocità della frequenza di scarica. I recettori a rapido adattamento sono
invece quelli che generano una frequenza di scarica particolarmente elevata nel momento in cui
inizia lo stimolo ma si spengono durante la sua permanenza, per riattivarsi poi una volta terminato. I
recettori tattili discriminativi sono sia a rapido che a lento adattamento e sono tutti recettori con
bassa soglia, sono cioè in grado di generare un potenziale recettoriale anche con stimolazioni di
bassissima intensità, questo al fine di ricevere una gran numero di informazioni per avere una
discriminazione specifica dell’oggetto che stiamo toccando.
La soglia di attivazione è misurabile
applicando uno stimolo a livello cutaneo, ad
esempio con un bastoncino, e registrando,
attraverso l’uso di microelettrodi, quella che
è la risposta della cellula alla pressione.
Grazie alle varie registrazioni effettuate si è
dimostrata l’esistenza di queste due classi di
recettori.
I recettori vengono distinti anche in base al
tipo di campo recettivo su cui insistono. Per
quanto riguarda i recettori tattili i campi
possono essere di due tipi differenti. I campi
recettivi di tipo 1 hanno un'area ridotta, con
confini ben delineati, e generano

139
un’informazione particolarmente specifica, anche spazialmente, di un determinato stimolo. Si crea
quindi un potenziale che ha una frequenza proporzionale all’intensità dello stimolo e che genera un
riconoscimento ben specifico della posizione in cui insiste.
I campi recettivi di tipo 2 invece sono molto più grandi, meno specifici e con una soglia di
attivazione più bassa rispetto ai campi di tipo 1. Generano di conseguenza una risposta più
grossolana e meno specifica. Anche nel caso del tatto discriminativo esistono quindi recettori molto
specifici che sono in grado di identificare anche piccoli dettagli di un oggetto, affiancati da recettori
con una specificità inferiore che ci forniscono una sensazione generale di ciò che stiamo toccando.
Fisiologicamente distinguiamo quindi quattro diverse classi di fibre, in base alla loro velocità di
adattamento e al tipo di campo recettivo su cui insistono. Molti di questi recettori presenti a livello
cutaneo sono incapsulati, ovvero presentano delle strutture che ricoprono la terminazione nervosa.
Esistono però anche recettori formati da semplici nervose libere (nell’immagine) come quelle che si
avvolgono attorno ai bulbi piliferi che ricoprono la cute; altri arrivano nelle porzioni più superficiali
della cute e sono in grado di trasmettere anche informazioni dolorifiche.

I recettori incapsulati sono suddivisi in 4 categorie che sono:


- corpuscoli di Meissner
- corpuscoli del Pacini
- dischi di Merkel
- corpuscoli di Ruffini

Questi si distinguono in base al tipo di stimolo a cui rispondono, alla loro localizzazione e alla loro
velocità di adattamento.

140
Il corpuscolo di Meissner (FA1) è un recettore che si adatta in modo particolarmente veloce;
quindi genera un potenziale d’azione nel momento in cui si attiva lo stimolo e uno al suo termine. Si
trovano nel fondo delle papille dermiche (al di sotto dell’epidermide), disposti generalmente in
gruppi di 4/5 recettori. Sono particolarmente numerosi a livello dei polpastrelli e rispondono a
stimoli di bassissima intensità.
I dischi di Merkel (SA1) sono anch’essi incapsulati in una struttura a forma di disco, all'interno
della quale la terminazione nervosa perde la guaina mielinica (terminazione completamente libera).
Si trova negli strati basali dell’epidermide, è un recettore a lento adattamento ed è in grado di
generare una selettività spaziale dello stimolo particolarmente alta; questo perché, essendo un
recettore a lento adattamento, mantiene la frequenza di scarica per un periodo maggiore rispetto a
un recettore a rapido adattamento e di conseguenza il potenziale d’azione che arriva a livello
corticale ha una durata più lunga.
I corpuscoli del Pacini (FA2), anch’essi incapsulati, sono a rapido adattamento di tipo 2 e si
trovano nel palmo della mano (dove i campi recettivi sono più ampi) ed a livello delle terminazioni
tendinee. Ha una forte risposta OFF, che si attiva cioè al termine dello stimolo. Genera quindi una
frequenza di scarica maggiore nel momento in cui si interrompe lo stimolo.
Il corpuscolo di Ruffini (SA2) è formato da una struttura capsulare avvolta su se stessa all’interno
della quale è presente una terminazione libera non avvolta da mielina. In questo caso lo stimolo
meccanico deve modificare fisicamente tutti gli strati che avvolgono la terminazione libera per
poter generare una potenziale recettoriale. Sono particolarmente grandi e hanno un campo recettivo
molto ampio, forniscono quindi una discriminazione spaziale minore rispetto a quelli visti finora e
tra i recettori della sensibilità epicritica sono quelli con la soglia maggiore poiché, dovendo passare
attraverso tutte le membrane, lo stimolo deve essere necessariamente di maggior intensità per poter
attivare la risposta del recettore.
Ogni recettore catalogato all’interno di queste classi differenti trasmetterà l’informazione attraverso
fibre di tipo Aα e Aβ. Fibre di tipo Aδ e C sono legate solo a terminazioni dolorifiche.

141
Queste informazioni vengono trasportate a livello centrale grazie alle fibre differenti che hanno una
diversa velocità di trasmissione del segnale e che arriveranno poi, attraverso la catena di neuroni,
alla nostra corteccia.

I bulbi piliferi che ricoprono la cute sono avvolti da una serie di terminazioni nervose libere che
hanno la capacità di rispondere a stimoli lievi e sono attivati dal movimento dei peli. Rispondono
agli stimoli legati allo strofinamento, alla vibrazione e forniscono informazioni meno specifiche
rispetto ad altri recettori; il loro campo recettivo è abbastanza grande quindi l’informazione raccolta
viene catalogata all’interno della sensazione protopatica e non epicritica.
I nocicettori sono terminazioni libere che rispondono a stimoli dolorifici, percepiti a livello
corticale in risposta ad uno stimolo di forte intensità. Può essere uno stimolo meccanico, termico,
derivato da una temperatura molto bassa o molto alta, o chimico, che crea quindi un danno o
un’infiammazione a livello tissutale. Le informazioni dolorifiche sono generate da terminazioni
libere che arrivano a profondità differenti sia della nostra cute che all’interno dei nostri organi.
Queste vengono sempre percepite dalla corteccia come stimoli nocivi alle quali bisogna reagire, e
per questo i nocicettori hanno un adattamento particolarmente lento (continuano scaricare per tutta
la somministrazione dello stimolo). Questi recettori possono essere sia unimodali, sensibili cioè a
un solo tipo di stimolo (meccanico, termico o chimico), che polimodali, se in grado di rispondere a
stimoli di diversa natura.
Altri recettori presenti a livello cutaneo sono i termocettori, semplici proteine in grado di
rispondere a informazioni legate alla temperatura esterna. Sono stati riconosciuti grazie alla loro
capacità di legarsi alla capsaicina (principio attivo presente nel peperoncino) che li stimola
generando una sensazione di bruciore.
Questi recettori sono classificati all’interno della classe recettoriale dei TRP (transient receptor
potential) che comprende circa 15 recettori differenti che generano risposte differenti a seconda
della temperatura a cui sono sottoposti.

142
Nell’immagine sono rappresentati solo alcuni dei recettori che rispondono con frequenze di scarica
diverse in base alla temperatura a cui sono sottoposti. Questi presentano delle porte meccaniche,
quindi in base al tipo di temperatura a cui sono sensibili si ha l’apertura o la chiusura dei canali che
permettono l’ingresso o l’uscita di ioni dalla cellula.

I recettori legati alla propriocezione sono in grado di rilevare la posizione del nostro organismo
all’interno dell’ambiente e la posizione degli arti rispetto ad esso. Possono essere distinti in statici e
dinamici.
I recettori statici permettono di identificare la posizione del nostro organismo, fermo all’interno
dell’ ambiente ma anche la posizione dei nostri arti, fermi rispetto al nostro corpo.
I recettori dinamici rispondono alle varie contrazioni muscolari che generano il movimento e
permettono di identificare lo spostamento del nostro corpo nell’ambiente e tutto ciò che viene
definito cinestesia, ovvero la sensazione di movimento.
Questi recettori sono importantissimi perché recuperano informazioni che ci permettono di
sviluppare una sequenza di movimenti ben specifica e coordinata per spostarci all’interno di un
ambiente. Agiscono sia a livello centrale (recuperate dalle strutture corticali motorie che daranno
vita ad una risposta motoria vera e propria) che a livello del midollo spinale dove grazie alla
comunicazione con i motoneuroni α generano una risposta muscolo-scheletrica, dando vita ad un
particolare movimento: i riflessi spinali.

I recettori della propriocezione sono:

● Il fuso neuromuscolare
● L’organo tendineo del Golgi.

143
Il fuso neuromuscolare viene definito così per la sua forma ed è una piccola struttura incapsulata,
lunga non più di 10mm, posizionata nei muscoli scheletrici in posizione parallela rispetto alle fibre
muscolari circostanti (definite extrafusali e ancora capaci di contrarsi). Esso è formato da piccole
fibre muscolari definite intrafusali in numero variabile da 3 a 12 che hanno perso la loro capacità
contrattile (se non per una piccola porzione apicale) ma che hanno acquisito la possibilità di
rispondere a tutti gli stiramenti della massa muscolare per generare un’informazione che verrà
elaborata a livello corticale o periferico. Tutti i nostri muscoli scheletrici presentano fusi
neuromuscolari posizionati nei pressi dei tendini. La porzione del fuso neuromuscolare capace di
generare una risposta all’allungamento del muscolo è avvolta da una struttura connettivale, che crea
un ambiente separato tra fibre intra ed extrafusali.
Le fibre intrafusali presentano caratteristiche e forme diverse tra loro e sono distinte in virtù della
posizione dei nuclei in:

● Fibre a sacco di nuclei


● Fibre a catena di nuclei

Nelle fibre a sacco di nuclei, i nuclei si


trovano tutti concentrati nella parte centrale
della fibra. Nelle fibre a catena di nuclei
invece essi si dispongono in serie lungo
tutta la sua lunghezza.
Esse rispondono tutte all’allungamento ma
anche a stimoli differenti, essendo legate a
fibre sensoriali diverse.
Le fibre a sacco di nuclei si distinguono ulteriormente in 2 tipi a seconda delle terminazioni
nervose che le raggiungono:

● TIPO 1
● TIPO 2

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Le fibre intrafusali a sacco di nucleo di TIPO 2 sono praticamente identiche nella loro
funzionalità alle fibre a catena di nuclei. Infatti, entrambe sono in grado di rispondere
all’allungamento della nostra massa muscolare; questo grazie alla presenza di un’innervazione sia
sensoriale che motoria.

Di per sé, la fibra intrafusale segue l’allungamento del muscolo ma non è in grado di generare un
segnale elettrico trasmissibile; questo infatti è generato dall’innervazione sensoriale, un insieme di
fibre nervose che raggiungono le fibre intrafusali e rispondono al loro allungamento.

Le fibre sensoriali sono a loro volta suddivise in 2 gruppi:

● Fibre di gruppo 1 ( I )
● Fibre di gruppo 2 ( II )

Le fibre sensoriali di gruppo 1 (o 1a) o fibre afferenti primarie hanno lo stesso scopo dei neuroni
sensitivi primari delle nostre vie somatosensitive, generando un’informazione elettrica
(dall’allungamento delle fibre intrafusali) che verrà gestita per produrre un riflesso spinale. Esse
sono fibre mielinizzate con una velocità di conduzione particolarmente elevata di circa 100 m/s e
generano quindi una risposta veloce. Avvolgono tutte le fibre intrafusali a sacco di nuclei nella
loro porzione centrale, disponendosi a spirale, e sono anche in grado di avvolgersi intorno alle fibre
intrafusali a catena di nuclei. Quando la fibra muscolare si allunga meccanicamente, la spirale di
fibre sensoriali cambia la sua conformazione fisica, provocando l’apertura di canali ionici che
daranno poi origine ad un potenziale di azione.
Le fibre sensoriali di gruppo 2 o fibre afferenti secondarie sono presenti solo sulle fibre a catena
di nuclei e sulle fibre a sacco di nuclei di tipo 2.
Per quanto riguarda l’innervazione da parte di terminazioni motorie, essa è data dai motoneuroni γ,
neuroni molto piccoli, generati a livello delle corna anteriori del midollo spinale. Possono essere di
due tipi:

● Motoneuroni γ dinamici, innervano le fibre intrafusali a sacco di nuclei di TIPO 1.


● Motoneuroni γ statici, innervano le fibre intrafusali a sacco di nuclei di TIPO 2 e a
catena di nuclei.

Le terminazioni motorie sono in grado di controllare la risposta


del fuso neuromuscolare all’allungamento, moderandola. Da
ricordare, quindi, che l’innervazione sensoriale e motoria è
diversa, a seconda del tipo di fibra intrafusale.
L’altro organo di senso e recettore propriocettivo è rappresentato
dall’organo tendineo del Golgi, che a differenza del fuso
neuromuscolare, risponde alla contrazione e all’accorciamento
del muscolo. È un recettore capsulato, con terminazioni libere
che raggiungono la parte terminale della massa muscolare.

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Nel momento in cui il muscolo riduce la sua lunghezza, queste fibre vengono schiacciate e
modificate meccanicamente, determinando l’apertura di canali ionici e, previo superamento della
soglia, la genesi di un potenziale d’azione all’interno delle fibre sensoriali che lo compongono.
Queste fibre sono fibre 1B sensoriali e sono disposte in serie rispetto alle fibre muscolari.
Tutte le informazioni date dalle fibre sensoriali raccolte intorno al fuso neuromuscolare e
dall’organo tendineo del Golgi ci permettono di identificare la nostra posizione nell’ambiente in cui
ci muoviamo.

I SENSI SPECIALI
I sensi speciali possiedono recettori che rispondono a specifiche forme di energia, recepite da vista,
udito, olfatto, gusto e del sistema vestibolare.

IL SISTEMA VISIVO
Il sistema visivo risponde alle onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa nello spettro
della luce visibile (400 - 750 nm).

All’interno di questa gamma di onde vengono attivati i cosiddetti fotocettori. Essi possiedono
caratteristiche chimiche diverse che permettono di associare un determinato colore ad ogni
lunghezza d’onda e di gestire altre informazioni complesse a livello della zona visiva della
corteccia. L’organo in grado di generare queste informazioni è l’occhio all’interno del quale sono
presenti i fotocettori, organizzati in una struttura che prende il nome di retina. L’epitelio su cui si
poggia la retina ha diverse funzioni:

● Mantenere la funzionalità della retina stessa


● Nutrimento e benessere della retina
● Recupero delle sostanze di scarto generate dai fotocettori

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L’occhio è una sfera formata da una serie di membrane, la più interna delle quali forma la retina.
Esiste uno strato esterno che protegge la parte interna dell’organo che prende il nome di cornea,
una struttura trasparente, resistente e rigida. Oltre alla cornea è presente un'altra membrana
chiamata sclera, formata da un epitelio opaco che ricopre la parte esterna dell’ occhio. Infine,
troviamo la lamina vascolare che è formata da due strutture distinte:

● Iride
● Coroide

L’iride è una piccola struttura posta al di sotto della


cornea contenente fibre muscolari lisce, che
controllano l’ingresso della luce nella parte retrostante
dell’occhio. Contiene cellule con pigmenti particolari e
unici per ogni individuo poiché geneticamente
predisposti. Le fibre muscolari lisce sono disposte in
due modi:

● Radialmente, a formare il muscolo dilatatore


della pupilla
● Circolarmente, a formare il muscolo costrittore
della pupilla

La coroide è invece una membrana che segue l’iride e si sviluppa nella porzione posteriore del
nostro occhio. E’ altamente vascolarizzata per permettere il sostegno dei fotorecettori.
La parte interna del nostro occhio è rappresentata dalla retina che è a sua volta costituita da diversi
strati cellulari da cui poi si originerà il nervo ottico che trasmette il segnale generato dai fotocettori
verso l’encefalo. In una porzione specifica della retina, detta disco ottico o macchia cieca
anatomica , non sono presenti fotocettori poiché corrisponde con la via di uscita delle informazioni
verso il SNC. Tutte le fibre delle cellule gangliari, dal disco ottico, danno vita al nervo ottico.
L’occhio è fortemente in movimento ed è controllato da piccoli muscoli, sia estrinseci che
intrinseci:

● I muscoli estrinseci permettono il movimento dell’occhio all’interno della cavità orbitaria


ed indirizzano gli occhi verso bersagli visivi appropriati dando vita a movimenti piccoli ed
estremamente veloci definiti saccadi.
● I muscoli intrinseci sono presenti a livello dell’iride e permettono la messa a fuoco degli
oggetti, modificando la conformazione del cristallino.

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L’occhio riesce a mantenere la sua distensione, la sua forma e grandezza grazie a dei liquidi presenti
all’interno di esso:

● Nella camera anteriore (compresa tra cornea e cristallino) si trova una soluzione molto
fluida, simile all’ acqua, che prende il nome di umore acqueo.
● Posteriormente al cristallino troviamo la camera posteriore, riempita di una soluzione
molto più densa, simile a gel, che prende il nome di umore vitreo.

Entrambi questi liquidi vengono secreti dai processi ciliari, ovvero pliche formate da cellule in
grado di liberare questi fluidi, presenti nella porzione terminale dell’iride.
Una struttura di grande rilevanza è rappresentata dal cristallino, una lente biconvessa molto
resistente e rigida in grado di deformarsi grazie alla contrazione dei muscoli intrinseci (fenomeno
conosciuto come accomodazione) . La distensione o la contrazione del cristallino determina la
messa a fuoco degli oggetti, funzione controllata dal SNA (sistema nervoso autonomo); con
l’avanzare dell’età il cristallino diventa più rigido ed opaco, iniziando a perdere la capacità di messa
a fuoco. La luce che passa attraverso la cornea è controllata tramite il cristallino e va a colpire i
fotocettori a livello della retina. I muscoli intrinseci sono legati al cristallino grazie a dei legamenti
noti come legamenti sospensori o fibre della zonula.
La retina è la struttura complessa che ci permette il recupero delle informazioni generate dalle
onde elettromagnetiche che entrano all’ interno del nostro occhio. Nella retina sono presenti 10
diversi strati cellulari che vanno dal più esterno (cellule pigmentate) fino al più interno (che si
affaccia alla camera posteriore). Nel secondo strato sono presenti coni e bastoncelli e negli strati
successivi sono presenti una serie di cellule interposte, che modulano e coordinano la via di
comunicazione tra fotocettori, e le cellule gangliari (i cui assoni formano il nervo ottico). Le cellule
interposte sono :

● Cellule amacrine
● Cellule bipolari
● Cellule orizzontali

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Ricordiamo che la retina poggia su un epitelio esterno formato da cellule che contengono un
pigmento scuro che permette di :

● Trattenere e assorbire tutti i raggi luminosi in eccesso per evitare di creare un rumore di
fondo nella nostra informazione visiva per dare una stimolazione ben adeguata
● Ripulire le sostanze di scarto dei fotocettori (dato che sono in stretto contatto)
● Recuperare le sostanze generate dal metabolismo dei fotocettori e rigenerarle per essere di
nuovo utilizzabili

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Fisiologia, lezione 12
11.11.2021
Sbobinatore: Silveri, Sorini
Revisore: Minestrini
Docente: Sandra Guidi
Argomenti: Retina, fotorecettori, fototrasduzione

RETINA
La retina è una membrana che si trova nella porzione profonda dell’occhio dove sono poste delle
cellule recettrici: i fotorecettori, i quali sono adagiati su uno strato epiteliale rappresentato
dall’epitelio pigmentato formato da cellule contenenti un pigmento scuro che non è nient’altro che
la melanina che serve per trattenere tutta quella luce che entra all’interno dell’occhio e non
raggiunge direttamente i fotorecettori. Per evitare che questa luce crei un disordine di fondo, viene
assorbita dall’epitelio pigmentato in modo tale che non si crei una risposta non generata da luce
diretta sui fotocettori.

I fotocettori si trovano nella porzione più


profonda della retina, per cui la luce deve
passare vari strati cellulari prima di
andare a stimolarli. La retina, infatti, si
suddivide in strati in base alle cellule che
formano le diverse strutture e in base alle
diverse porzioni cellulari considerate.
La parte più profonda è formata
dall’epitelio pigmentato che comunica col
bordo esterno dell’occhio. Dopodiché, è
presente lo strato dei fotocettori, in cui
sono presenti tutte quelle che sono le loro
porzioni attive, ossia porzioni di cellula
che vengono attivate dall’ingresso della
luce, rappresentate da:
- segmento esterno, che è la struttura più
profonda;
- segmento interno, la porzione di contatto tra il segmento esterno e il corpo cellulare.
Questa parte è la porzione attiva (che risponde alla stimolazione luminosa) del fotorecettore. Lo
strato delle cellule recettrici è diviso dallo strato nucleare esterno, dove sono contenuti i corpi
cellulari dei fotocettori, dalla membrana limitante esterna, generata dalla porzione terminale delle
cellule Muller che non hanno attività di genesi di informazione visiva, ma servono solamente a
mantenere la struttura retinica.
I fotorecettori non mandano direttamente un segnale al nervo ottico, ma l’informazione passa
attraverso una catena di altre cellule (interneuroni) che sono:
- cellule bipolari (cellule bipolari proprio nella loro forma: hanno due poli)
- cellule interposte: cellule orizzontali, cellule amacrine (interneuroni che regolano il segnale che
passerà poi nel nervo ottico) e le cellule gangliari (gli unici neuroni di questa struttura retinica
che daranno vita ad un potenziale d’azione che verrà trasmesso direttamente al nervo ottico).
Quindi, le strutture di collegamento tra i fotocettori e il primo strato di cellule (cellule bipolari e
orizzontali) prende il nome di strato plessiforme esterno, dove queste cellule fanno sinapsi.
Poi segue uno strato nucleare interno dove sono presenti i corpi cellulari delle cellule orizzontali e
delle cellule bipolari.

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Lo strato plessiforme interno contiene, invece, le comunicazioni (sinapsi) tra neuroni bipolari,
cellule amacrine e cellule gangliari che daranno vita al nervo ottico. Poi c’è lo strato dove sono
contenuti i corpi cellulari delle cellule gangliari (strato delle cellule gangliari) e, di seguito, gli
assoni di queste cellule svilupperanno lo strato delle fibre ottiche e quindi il nervo ottico in sé che
porterà il segnale fino in corteccia.
Infine, la membrana limitante interna si affaccia sulla camera posteriore dell’occhio dove è
presente l’umore vitreo che contiene tutti gli strati retinici.

Tutti questi strati sono presenti in tutta la struttura retinica e cambiano un po’ di conformazione solo
in un punto: la fovea, in cui le cellule che sovrastano i fotocettori si scostano, aprendosi, dando vita
ad una zona in cui i fotocettori sono liberi di essere raggiunti direttamente dalla luce. Lo
spostamento di queste cellule è dovuto al fatto che le componenti del nervo ottico, che escono
dall’occhio, tirano le cellule per far fuoriuscire il nervo ottico in un unico punto: il disco ottico,
dove, appunto, le fibre convergono a formare il nervo. Qui si ha la massima intensità di segnale
visivo, perchè la luce raggiunge direttamente i fotocettori.

Il nervo ottico è formato da due fasci di fibre che derivano dalle cellule gangliari sulla retina nasale
(porzione confinante con la struttura nasale) e da quelle della retina temporale (confinante con la
struttura temporale): i tratti nasali e i tratti temporali. I tratti temporali proseguono sulla loro strada
normalmente, mantenendosi in posizione ipsilaterale, mentre i fasci di fibre che originano dalla
parte nasale della retina decursano incrociandosi a livello del chiasma ottico. Decursare significa
proprio andare nella porzione controlaterale continuando la propria ascesa alle porzioni centrali
superiori nel nuovo lato.

Occhio Occhio

Fibre da retina
Fibre da retina nasale
temporale

Chiasma ottico

Quindi, le informazioni che verranno recuperate dalla retina nasale dell’occhio destro arriveranno
nella parte sinistra della corteccia, mentre le informazioni recuperate dalle cellule della retina
temporale dell’occhio destro andranno nella porzione destra.
A livello del chiasma ottico, il nervo ottico perde il suo nome e si definisce tratto ottico, il quale
fuoriesce e andrà a far sinapsi con strutture celebrali differenti a seconda del tipo di informazioni
che dovrà trasportare e gestire.
Questa è , dunque, la struttura complessa della retina, da cui parte un’informazione che ha un
potenziale d’azione (informazione elettrica) che viene trasportata dal nervo ottico.

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ORGANIZZAZIONE FOTOCETTORI

I fotocettori sono due: coni e bastoncelli.


Sono distribuiti equamente a livello della
retina e hanno la stessa capacità di recuperare
informazioni luminose, quindi la capacità di
rispondere ad una stimolazione generata da
una energia elettromagnetica (un fotone) e
trasformarla in un’informazione chimica, in
quanto ci sarà liberazione di un
neurotrasmettitore che, però, nelle cellule
successive genererà un potenziale d’azione.

• I BASTONCELLI sono i fotocettori in


grado di rispondere ad un’informazione luminosa di bassissima intensità. Questi hanno una forte
sensibilità alla luce e, quindi, una soglia di attivazione particolarmente bassa. I bastoncelli sono
fotocettori che si attivano quando è buio. Infatti, danno vita alla cosiddetta visione scotopica: non
sono in grado di riconoscere i colori e, quindi, non ci danno un’informazione legata alla qualità di
immagine. È un’informazione visiva in scala di grigi (bianco e nero) che viene attivata durante
situazioni di bassa attività luminosa.
• I CONI, invece, funzionano quando l’intensità luminosa è particolarmente alta. Questi sono meno
sensibili alla luce, perchè non hanno bisogno di pochi fotoni per essere attivati ma gliene servono
molti e, dunque, non sono così sensibili come i bastoncelli. Sono in grado di permettere il
riconoscimento di immagini contenenti colori e per questo vengono ritenuti gli attori principali di
quella che viene definita come visione fotopica: la visione diurna. I coni hanno anche la capacità
di modificare l’acuità visiva, generata dalla grandezza dei campi ricettivi. Questi recettori hanno
campi recettivi molto più piccoli dei bastoncelli e, quindi, sono in grado di generare un’acuità
visiva molto grande, per cui ci permettono di identificare i piccoli particolari dell’immagine che si
guarda.

FORMA DEI FOTOCETTORI

I fotocettori hanno due forme differenti, uno a forma di


bastoncello e l’altro a forma di cono. È la parte esterna
del recettore che determina la forma e, di conseguenza,
il nome del recettore stesso.
Sono cellule in cui vengono identificate tre componenti
fondamentali:
- Il segmento esterno, struttura formata da dischi
- Il segmento interno, la porzione che collega il corpo
cellulare con il segmento esterno
- La terminazione sinaptica, che permette la
comunicazione con le altre cellule appartenenti alla
retina.
La porzione esterna, che ha una forma diversa a seconda del tipo di cellula, è formata da una serie
di dischi che originano da invaginazioni della membrana esterna del recettore stesso. I dischi più in
basso, vicini al segmento interno, sono dischi di nuova formazione, mentre quelli che si trovano
nella porzione più distante sono i dischi più vecchi che, pian piano, vengono degradati.
Quest’ultimi, a seguito della continua crescita della membrana a livello della congiunzione tra

152
segmento interno e segmento esterno, scorrono verso la porzione esterna del segmento esterno, si
staccano completamente dalla membrana cellulare e vanno a formare dei dischi fluttuanti separati, i
quali vengono recuperati dall’epitelio pigmentato. Questo recupera tutte le strutture che non
servono più al fotorecettore perché, in realtà, hanno già svolto la loro funzione di risposta ad una
stimolazione luminosa. Qui, le sostanze assorbite vengono recuperate per un riutilizzo (creare nuove
sostanze, infatti, richiede un consumo di energia). Nell’epitelio pigmentato, poi, le sostanze
recuperate verranno trasportate, di nuovo, all’interno dei fotocettori, attraverso trasportatori
specifici. Il segmento esterno è quello che contiene il cosiddetto pigmento che risponderà alla
stimolazione luminosa. Questo segmento è in stretta comunicazione col segmento interno grazie
alla presenza di un unico ciglio che mantiene assieme questi segmenti.
All’interno del segmento interno, invece, è presente una quantità enorme di mitocondri, i quali sono
fondamentali per creare l’energia necessaria per la funzionalità dei fotocettori.
A seguito del segmento interno (che non è nient’altro che il citoplasma della cellula recettrice), si ha
il corpo cellulare in cui è presente il nucleo e poi una terminazione, che può essere più o meno
lunga, con cui i recettori faranno sinapsi con le cellule successive (cellule bipolari, amacrine,
orizzontali) le quali faranno, poi, sinapsi con le cellule gangliari.

FOTOTRASDUZIONE
L’energia elettromagnetica che arriva all’occhio passa attraverso la cornea, entra nel cristallino e
giunge a livello della retina (porzione terminale). Per rispondere alle informazioni luminose questi
fotocettori hanno bisogno della presenza, all’interno dei segmenti esterni, di un pigmento che possa
rispondere a questo stimolo.
Il pigmento è diverso tra coni e bastoncelli. Nei bastoncelli, il pigmento prende il nome di
rodopsina; nei coni, sono presenti tre pigmenti diversi con una struttura chimica molto simile alla
rodopsina che, però, rispondono a lunghezze d’onda diverse in grado di dare informazioni
riguardanti, ad esempio, il colore rosso, il colore blu e quello verde. Questi tre pigmenti reagiscono
alla luce in maniera molto simile alla rodopsina. Il pigmento si trova all’interno dei dischi del
segmento esterno del fotorecettore. Quindi, arriva la luce a livello dell’occhio, questa oltrepassa
tutti gli strati di cellule al di sopra dei fotocettori e giunge a livello del segmento esterno di
quest’ultimi generando la fototrasduziuone: la traduzione del segnale luminoso in un segnale
cellulare che corrisponde, in questo caso, alla attivazione o inibizione del processo di liberazione di
un neurotrasmettitore.
È il pigmento a rispondere alla stimolazione elettromagnetica. Questo ha una conformazione
rappresentata da un retinale unito ad una proteina:
l’opsina.
Quando le cellule non sono stimolate (al buio), il retinale
del pigmento si trova in conformazione chimica CIS (sia
nei coni che nei bastoncelli, perché la composizione
chimica è praticamente la stessa). Quando arriva il fotone,
e si ha una stimolazione del pigmento, si ha una
modificazione chimica del retinale che cambia
conformazione trasformandosi in retinale tutto TRANS.
Questo cambiamento, generato da una serie diversa di
reazioni (visibili nell’immagine, ma non è necessario
memorizzarle) causate dalla stimolazione luminosa, non
permette più all’opsina di legarsi al retinale. Perciò, queste
molecole si dividono diventando indipendenti l’una
dall’altra. La scissione di questo legame trasforma l’opsina (che è il pigmento in sé) in un pigmento
decolorato, generando lo sbiancamento di questa molecola. “Il pigmento subisce quello che è
definito come sbiancamento”. In questo momento si ha, dunque, il retinale tutto trans staccato
dall’opsina sbiancata. A questo punto si ha una reazione successiva: il retinale tutto trans viene
trasformato in retinolo (l’opsina rimane sbiancata) che, quindi, può entrare nelle cellule dell’epitelio

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pigmentato. All’interno di queste cellule sono presenti degli enzimi in grado di riconvertire il
retinolo in retinale-cis che, ora, riesce a rientrare a livello del fotocettore e legarsi nuovamente
all’opsina libera nel citoplasma della cellula.

In generale, quando entra energia luminosa all’interno dei fotocettori, il retinale da cis si trasforma
in trans; l’opsina si stacca, sbiancandosi, e rimane all’interno del citoplasma, al contrario del
retinale che entra nelle cellule pigmentate dove viene riconvertito in retinale-cis cosicché possa
rientrare nel fotorecettore e legare l’opsina generando un nuovo pigmento utilizzato nelle
stimolazioni successive.
La luce può essere di bassissima intensità, quindi formata da pochi fotoni che andranno a generare
una risposta all’interno dei bastoncelli, oppure di alta intensità, formata da molti fotoni che
stimolano, invece, i coni.

A seguito di questa attivazione legata alla luce, si genera una risposta che crea una modificazione a
livello della cellula recettrice in modo da attivare, nelle cellule bipolari, una risposta che verrà
trasportata alle cellule gangliari per generare un’informazione visiva a livello del cervello.

In una situazione di completo buio, non c’è quindi informazione luminosa, i bastoncelli e i coni
sono in una situazione di riposo, c’è un’alta concentrazione di GMPciclico nella cellula che
mantiene aperti i canali per il calcio e per il sodio che provocano una piccola onda di corrente che
entra all’interno della nostra cellula e prende il nome di corrente al buio. Quindi grazie a sodio e
calcio, presenti in piccole quantità, avviene una depolarizzazione da -70mV a -40mV che è la
corrente al buio, presente quando le nostre cellule non sono stimolate.
Con l’arrivo della luce, il pigmento viene modificato, la rodopsina si divide in retinale e opsina: il
retinale si trasforma nella forma trans e l’opsina rimane all’interno del citoplasma ed è in grado di
attivare un'altra proteina, presente sulla membrana del disco, chiamata transducina, quest’ultima è
una proteina G che è in grado di generare una
cascata di reazioni che darà vita a una
trasformazione all’interno della cellula. La
transducina è in grado di attivare a sua volta
una fosfodiesterasi, proteina che andrà a
trasformare il GMPc (ciclico) in GMP;
quindi, con l’arrivo della luce nel fotocettore,
la concentrazione di GMPc si riduce, si stacca
necessariamente dai canali della membrana,
inducendone la chiusura; di conseguenza la
corrente al buio cessa, non entrano più cariche
positive nel fotocettore e la cellula si dirige
verso l’iperpolarizzazione.
Questa elencata è una funzionalità
completamente diversa rispetto ai neuroni e le
cellule eccitabili che si sono viste in
precedenza. Quando la cellula si stimola, va
incontro a iperpolarizzazione e questa riduce
la liberazione di neurotrasmettitore; nella fase di riposo, i fotocettori rilasciano continuamente una
certa quantità di neurotrasmettitore, in particolare il glutammato, che agisce sulle cellule successive,
queste hanno anche neurotrasmettitori inibitori, quindi una volta che vengono attivate dal
glutammato, in realtà, la loro risposta termina in quel momento perché le cellule che sono a valle
dei fotocettori sono cellule che hanno anche neurotrasmettitori inibitori e quindi anche se è libero
un neurotrasmettitore, vanno a bloccare il passaggio del segnale che poi giungerà alla corteccia.
Questo succede quando i fotocettori sono a riposo e non stimolati.

154
Se avviene la stimolazione, il neurotrasmettitore si riduce e quindi anche la concentrazione di
neurotrasmettitore liberata si riduce, quindi le cellule successive avranno risposte diverse.
L’arrivo della luce, come definito poco fa, causa la modifica della conformazione dell’opsina e del
retinale. L’opsina deve essere ricostituita in pigmento visivo, quindi con l’arrivo della luce avviene
l’isomerizzazione che causa il distaccamento dell’opsina dal retinale, e poi agisce sulla transducina
ma sotto forma di opsina non è in grado di rispondere a un’altra stimolazione luminosa perché non è
capace, in quella conformazione, di rispondere ad una stimolazione luminosa, deve essere
ritrasformata in rodopsina. Questa trasformazione avviene nelle cellule dell’epitelio pigmentato, che
devono recuperare il retinale, trasformarlo in retinolo, ritrasformarlo in retinale e poi farlo rientrare
all’interno del fotocettore, tutto questo avviene nell’arco di qualche secondo. Quindi, tutte le volte
che arriva uno stimolo luminoso, succede che il meccanismo di ricostituzione del pigmento
luminoso si deve mettere in atto e il pigmento deve tornare ad inserirsi all’interno delle membrane
dei dischi del segmento esterno dei fotocettori. Si ha quindi una sorta di adattamento del fotocettore,
perché non tutta la rodopsina che ci serve a rispondere alle informazioni luminose è completamente
ricostituita in ogni secondo, occorre del tempo prima che la rodopsina si ricostituisca, questo
fenomeno si può comprendere bene tramite un esempio di vita quotidiana: quando passiamo da una
stanza illuminata a una buia, quello che succede è che abbiamo bisogno di un po' di tempo per
riuscire ad adattare la vista e a vedere nel modo più pulito possibile l’ambiente che ci circonda;
questo adattamento è proprio generato dal meccanismo chimico di ricostituzione della rodopsina.
Nell’ambiente illuminato, tutta la rodopsina dei bastoncelli, che ha una soglia di sensibilità molto
bassa, sarà disattivata e sarà completamente trasformata in opsina. Entrando all’interno di un
ambiente scuro, quello che succede è che il meccanismo chimico per la riformazione di nuova
rodopsina si attiva, occorrono alcuni secondi prima che venga riformata e possa rispondere
nuovamente a una intensità luminosa molto vasta, come in un ambiente quasi buio. Questo è quello
che si definisce adattamento al buio, legato alla capacità che ha il sistema umano di creare
rodopsina per rispondere a nuovi stimoli luminosi.

Domanda: quindi una rodopsina è in grado di rispondere soltanto a uno stimolo luminoso?
Si certo, una molecola, ma bisogna considerare la presenza di una quantità sufficiente a rispondere
a un numero molto elevato di stimoli al secondo contemporaneamente e poi il ciclo di produzione è
continuo, una risponde a un singolo fotone, ma ciclo è continuo, anche se occorre un po' di tempo.

Domanda: all’inizio si era detto che quando l’opsina viene liberata dal retinale subisce un
processo chiamato famelico, quindi poi quando si andrà a rilegare al retinale ricostituito, torna ad
essere un pigmento normale?
Si, è proprio il legame con il retinale che la trasforma nel pigmento visivo vero e proprio

L’adattamento alla luce è il contrario dell’adattamento al buio: è la capacità che hanno i coni di
rispondere ad una quantità luminosa particolarmente alta. Ciò che crea adattamento è
semplicemente l’attività dei bastoncelli, che hanno una soglia di attivazione particolarmente bassa,
per cui quando si sta in un ambiente molto illuminato, i bastoncelli hanno tutta la rodopsina staccata
dal retinale, perché sono continuamente attivati da una quantità di luce molto alta, quello che serve
si va quasi ad esaurire quando siamo in una situazione con intensità luminosa molto alta.
Quando ci si sposta in una situazione con intensità luminosa più bassa si ricostituisce la rodopsina
per rispondere a quella bassa intensità luminosa.
L’adattamento alla luce è generato dalla incapacità dei bastoncelli di rispondere a questa alta
intensità luminosa e dalla continua risposta dei coni, che hanno un pigmento leggermente diverso
dalla rodopsina, con una velocità di rigenerazione maggiore, che permette la continua formazione di
pigmento nel cono, che permette la visione fotopica. I due meccanismi di adattamento sono quindi
simili, cambia solo il tipo di fotocettore che viene preso in considerazione del fenomeno di
adattamento; abbiamo una sensibilità differente generata e controllata dalla capacità del sistema di
rigenerare il pigmento visivo.

155
Nel sistema chimico, che genera la risposta a un impulso luminoso, si ha una iperpolarizzazione del
fotocettore con riduzione di liberazione del neurotrasmettitore; il fotocettore comunica con altre
cellule interposte, prima di arrivare alle cellule gangliari, e sono le cellule bipolari in collegamento
con cellule orizzontali e con cellule amacrine, insieme coordinano la risposta a questa via di segnale
fino a mandare il segnale alle cellule gangliari. I recettori possono attivare due vie di segnale
differenti:
- Via diretta o segnale ON: arriva l’informazione luminosa, viene recuperata dal fotocettore,
questo provoca la reazione chimica nel recettore, quest’ultimo comunica con una sola cellula
bipolare che a sua volta comunica con una cellula gangliare. Quindi c’è un’informazione diretta
che dal recettore va alla cellula gangliare.
- Via indiretta o segnale OFF: il recettore comunica con una cellula bipolare mediante cellule
amacrine che trasporteranno il segnale dalla cellula bipolare alle cellule gangliari.

Le cellule bipolari sono circa di 15 tipi


diversi, nella nostra retina, e sono in grado di
rispondere a stimolazioni differenti da parte
dei fotocettori, che a loro volta daranno vita a
risposte diverse nelle cellule gangliari. Le
uniche cellule, presenti sulla retina, in grado
di generare un potenziale di azione, quindi
creare una risposta elettrica che arrivi alla
corteccia, sono le cellule gangliari; le altre
cellule andranno incontro ad una
modificazione di quello che è il loro
potenziale di riposo, che però non creerà mai
un potenziale di azione come quello delle
cellule gangliari, cioè che permette il trasporto
dell’informazione fino alla corteccia, avviene
infatti una variazione del potenziale della
membrana di queste cellule e di conseguenza
la liberazione a livello del terminale
presinaptico di neurotrasmettitore.
Le cellule orizzontali e amacrine sono
cellule di controllo dell’informazione, che
come già detto, parte dal fotocettore per
giungere alle cellule gangliari, sono inoltre
cellule inibitorie, infatti sono in grado di liberare un trasmettitore inibitorio che può essere sia
GABA che glicina.

Come per tutti i recettori visti fino ad ora, anche i bastoncelli e i coni hanno un loro campo
recettivo, rappresentato da un’area della retina su cui le informazioni luminose che arrivano
sono in grado di attivare la risposta di quel determinato fotocettore.
Il numero di fotocettori presenti nella retina è maggiore rispetto al numero di cellule bipolari
presenti, quindi: l’informazione generata dalla stimolazione luminosa sui fotocettori presenti
nella parte più profonda della retina convergerà su un numero minore di cellule bipolari rispetto
al numero dei fotocettori, diversi fotocettori insisteranno su una singola cellula bipolare.
I bastoncelli hanno un campo recettivo più grande e in generale hanno una risoluzione visiva più
bassa rispetto a quella dei coni e una convergenza molto grande, quindi tanti bastoncelli
andranno ad insistere su una singola cellula bipolare.

156
I coni hanno un campo recettivo più ristretto e una convergenza molto minore rispetto ai
bastoncelli, addirittura a livello della fovea, nel punto in cui i fotocettori sono liberi (non coperti
dalle altre cellule), i coni hanno una comunicazione diretta, quasi 1:1, con le cellule bipolari.
Pensando all’eventualità per cui molti bastoncelli convergono su una singola cellula bipolare,
sarà necessario pensare a un campo recettivo della cellula bipolare particolarmente grande,
perché ogni piccolo bastoncello con ogni piccolo campo recettivo si andrà a sommare e insieme
daranno vita al campo recettivo di una cellula bipolare, o di una cellula gangliare, molto più
grande (per la convergenza delle informazioni di tante cellule in una singola cellula). Il campo
recettivo delle cellule bipolari e delle gangliari è molto più grande rispetto a quello dei nostri
fotocettori, e per riuscire a coordinare tutte le informazioni che giungono dai nostri fotocettori,
questi campi recettivi sono organizzati in una conformazione definita CENTRO-PERIFERIA;
il campo recettivo delle cellule gangliari (la più importante) sarà molto grande, generato dai
campi di tanti fotocettori che insistono sulla stessa cellula, organizzato in una struttura centrale e
una struttura periferica, come fossero due cerchi, uno dentro l’altro.

Domanda: Quale è il rapporto tra il numero delle cellule bipolari e il numero delle cellule
gangliari?
Le cellule gangliari sono leggermente meno di quelle bipolari, non c’è un rapporto certo,
sicuramente sono meno numericamente, ma in realtà essendo neuroni, è necessario ricordare la
loro plasticità sinaptica; per cui nei fotocettori non c’è modificazione e quindi non c’è
plasticità, tanti fotocettori insistono su una unica cellula bipolare, mentre quest’ultima ha una
forte plasticità, quindi tante cellule bipolari potrebbero insistere su una sola o più cellule
gangliari proprio perché si modificano nel tempo.

In generale, quando si ha una situazione di stabilità, quindi senza plasticità sinaptica, la cellula
gangliare ha un campo recettivo particolarmente grande che viene considerato come una
struttura a cerchi concentrici con una parte centrale, che può rispondere in modo diverso rispetto
alla struttura periferica.
L’immagine a sinistra (img. 3) illustra quello
che avviene nella cellula bipolare con l’arrivo di
una informazione luminosa: nella figura A è
possibile vedere il campo recettivo di una
cellula bipolare su cui insistono molti
fotocettori, è rappresentato da una struttura
formata da due cerchi di colori differenti. Le
cellule possono avere un campo con un centro
ON e una periferia OFF oppure un campo
recettivo con un centro OFF e una periferia ON.
OFF e ON sono relativi alla capacità che la
cellula ha di scaricare in base alla posizione in
cui lo stimolo luminoso va ad insistere: il
campo recettivo A (centro-ON e periferia-OFF)
genererà una risposta solo ed esclusivamente
quando la luce attiverà i bastoncelli che
insistono sulla porzione centrale del campo
recettivo; se la luce è diffusa e insiste anche sui
bastoncelli della porzione periferica, la cellula
non genererà nessun tipo di risposta, proprio
perché organizzata con centro-ON e periferia-
OFF. Succede esattamente la cosa opposta in
una cellula bipolare che ha un centro-OFF e una
periferia-ON.

157
Immaginiamo di mandare una informazione luminosa limitata in una porzione dello strato di
cellule, quest’ultime tutte che convergono in una singola cellula bipolare, definita centro-ON e
periferia-OFF (N.B: è una caratteristica intrinseca della cellula, non può essere cambiata),
abbiamo quindi un tratto di fotocettori e il fascio di luce, se questo insiste al centro dell’insieme
di fotocettori, questi che si trovano al centro, causeranno tutte quelle risposte a seguito
dell’impulso luminoso, che andrà a stimolare, riducendo la produzione di neurotrasmettitore, la
cellula bipolare successiva: se questa è una cellula con centro-ON, genererà una risposta perché
il fascio luminoso è concentrato al centro del suo campo recettivo.

Fasci di luce

2
fotocettori

A
B
Cellula bipolare con campo
recettivo centro-ON e
periferia-OFF

Quando il fascio di luce arriva sui fotocettori che si trovano al centro del campo recettivo della
cellula bipolare, li attiva e generano una risposta di attivazione della cellula bipolare; se la luce
arriva nella struttura periferica del campo recettivo della cellula bipolare, si attivano i fotocettori
più esterni, la cellula bipolare con periferia-OFF, non genererà alcun tipo di risposta.
Succederà l’opposto con centro-OFF e periferia-ON.

Se la luce arriva al centro-ON del campo recettivo di una cellula, avviene uno switch
dell’informazione. Avviene la stessa cosa nella cellula gangliare, il campo della cellula
gangliare è più grande di quello della bipolare, infatti può essere che nella via indiretta più
cellule gangliari insistano sulla stessa cellula gangliare, quindi è come se si andasse ad unire due
campi recettivi di due cellule bipolari, anche nel caso delle cellule gangliari, queste sono
strutturate in modo che possano generare una risposta che è regolata da un centro-ON e da una
periferia-OFF o viceversa.
È importante che ci siano diverse cellule a rispondere a stimoli differenti, perché i campi
recettivi di queste cellule si sovrappongono tra loro e tutte le informazioni che derivano dalle
sovrapposizioni dei campi (un po' ON e un po’ OFF) creano una serie di risposte a livello delle
cellule gangliari che permetteranno di generare dei ritmi di potenziale d’azione, diversi a
seconda dello stimolo che ricevono. Quindi quella cellula gangliare che sarà attivata da stimoli
differenti, che insistono su periferie ON o OFF, su centri OFF o ON, genererà una risposta che è
un mix di tutte le informazioni che derivano dai campi recettivi precedenti al suo, e che

158
permetterà di creare quella serie di informazioni visive, elaborate dalla nostra corteccia, che
sono infinte.

Domanda: quindi è molto più probabile che magari lo stimolo particolarmente forte vada ad
incidere sia sul centro che sulla periferia?
No, dipende dalla grandezza dello stimolo luminoso: il fotone che arriva sul fotocettore attiva il
singolo fotocettore, se il fascio di luce è particolarmente grande, si ha l’attivazione di più
fotocettori, se il fascio di luce è invece molto piccolo, si attiverà una popolazione di fotocettori
molto più piccola. La grandezza del fascio di luce quindi andrà a determinare una risposta
specifica a livello di una cellula bipolare che sarà con centro-ON e periferia-OFF o il
contrario, dipende quindi da quanti bastoncelli e coni vengono attivati dal fascio, non
dall’intensità luminosa, infatti questa non crea l’informazione, ma piuttosto è la grandezza del
fascio luminoso che entra all’interno del nostro occhio, perché i fotocettori attivati sono in
numero diverso; se il fascio luminoso è della grandezza 1, i fotocettori insisteranno su una
singola cellula bipolare, mentre nel caso 2 (in cui abbiamo centro-OFF e periferia-ON), lo
stimolo luminoso (fascio luminoso in rosso), con quella grandezza, insiste su un numero di
fotocettori molto ampio, tutti risponderanno all’informazione luminosa, ma l’informazione che
arriverà al nostro cervello sarà regolata da queste cellule successive che hanno una attivazione
differente e che sono centro-ON e periferia-OFF o centro-OFF e periferia-ON.
Se la cellula A è centro-ON e periferia-OFF, a questo tipo di informazione non risponderà,
perché risponde solo quando vengono attivati i fotocettori presenti nel centro del suo campo
recettivo.
La cellula B, invece, che è a centro-OFF e a periferia-ON, genererà una risposta a questo tipo
di informazione perché i fotocettori che sono presenti nella periferia del proprio campo
recettivo verranno attivati e creeranno una risposta, nella cellula bipolare, che giungerà poi
alla cellula gangliare. Esiste il modo per attivare la codifica dell’intensità luminosa, ma questa,
come negli altri recettori del nostro corpo, è generata semplicemente da un aumento della
scarica del neurone gangliare: quando aumenta la frequenza di scarica, del potenziale di
azione, del neurone gangliare, la corteccia codifica quella risposta come una risposta di
intensità, una modifica di intensità.
Non è tanto quindi l’intensità che fa attivare risposte centro-ON e periferia-OFF (o il
contrario), ma piuttosto la grandezza dello stimolo, il numero di recettori che vengono attivati
da quella informazione luminosa, che andranno ad insistere su cellule successive che hanno
una attivazione diversa. Si parla di campo recettivo della cellula bipolare o della cellula
gangliare anche se non sono loro i recettori, infatti i loro campi sono propriamente loro, ma
formati indirettamente grazie ai fotocettori che recuperano l’informazione luminosa e la
trasportano alla cellula successiva.

N.B: nella via diretta ci sono sempre e solo cellule bipolari con centro-ON, c’è una
comunicazione diretta tra i fotocettori e la cellula bipolare, quindi viene sempre attivata.

Domanda: In una situazione nella quale la cellula bipolare ha centro-ON e la cellula gangliare
con la quale è in comunicazione è di centro-OFF, la risposta è come se venisse bloccata?
La risposta finale che esce da milioni di fibre e di assoni formati da tutte le cellule gangliari
della retina è proprio una risposta mediata da tutte quelle funzioni gangliari: se la cellula
bipolare centro-ON insiste su una cellula gangliare centro-OFF, non parte nessuna
informazione, ma saranno le altre informazioni che generano dalla retina che permetteranno di
creare una certa informazione a livello corticale.
È un bilancio di tante informazioni, gestite dai fotocettori, che convogliano le informazioni su
cellule che possono essere accese o spente, a seconda di un tipo di informazione luminosa non
specifica, quindi poi la corteccia elabora quella miriade di segnali che arriva in ogni momento
e genera l’informazione visiva.

159
Domanda: questo vuol dire che ci possono anche essere delle sovrapposizioni dei campi-OFF e
dei campi-ON tra le cellule?
Certo, questo perché i campi recettivi delle cellule gangliari e delle cellule bipolari sono campi
fittizi, sono aree su cui insistono i fotocettori ma in realtà non sono veri e propri campi, per cui
succede che si possano sommare gli uni con gli altri.

Domanda: Possiamo dire quindi che le informazioni dei fotocettori che insistono su una
periferia-OFF, non vengono perse?
Certo, ma può anche succedere che vengano proprio perse, infatti se una informazione
luminosa è particolarmente piccola che insiste su un singolo fotocettore, che si trova nella
periferia-OFF, quindi è collegato con una cellula bipolare con centro-ON e periferia-OFF, non
succederà niente, la cellula bipolare non modificherà la sua risposta in alcun modo, ma non
succede mai. In realtà, sono miriadi di informazioni coordinate e gestite dalle fibre che vanno a
comporre il nervo ottico che vanno nella corteccia.

Le caratteristiche che abbiamo enunciato sono necessarie per discriminare le informazioni


luminose che entrano nell’occhio e che daranno una risposta differente a livello corticale, così
come succedeva per i recettori a livello cutaneo, siamo in grado di mappare da dove giunge
l’informazione luminosa (a livello del nostro occhio) e dove arriva sulla corteccia, siamo in
grado di vedere in modo tridimensionale le cose che vengono viste, di dare una visione con
tante sovrapposizioni differenti. È importante ricordarsi che le vie del nervo ad un certo punto si
dividono, quindi le informazioni sono gestite da entrambi gli emisferi, questa è una delle
risposte più complesse che abbiamo all’interno del sistema nervoso centrale: ci sono, su
entrambe le cortecce, le informazioni dei due occhi che poi si vanno ad unire per dare una
risposta unica e complicata.

Domanda: Di base quindi la profondità la percepiamo più come un alternarsi di colori che
come una profondità concreta?
Tutte le informazioni visive, quindi tutto ciò che il cervello elabora a seguito di stimoli luminosi,
sono elaborazioni. La corteccia ci permette di vedere la profondità dell’ambiente grazie alla
gestione di informazioni che deriva dai fotocettori. Per la visione di colori, è possibile pensare
all’attivazione di un fotocettore piuttosto che un altro: i coni, che si attivano grazie a una
intensa informazione luminosa, hanno dei pigmenti fotocettivi che sono differenti e rispondono
a onde diverse; il mescolarsi delle risposte di 3 pigmenti permette di generare una risposta
nelle cellule gangliari che verrà codificato dal cervello come un colore, queste informazioni
sono però comunque collegate a una memoria, che ci permette di identificare la variabilità.

Quindi esistono cellule gangliari (con i loro campi, img.3) che danno risposte differenti, ed è
visibile dalla frequenza della scarica delle cellule, a seconda del tipo di informazione luminosa
che insiste sui fotocettori. In C dell’img 3, si ha una cellula gangliare con centro-ON e periferia-
OFF, riceve informazioni luminose all’interno del campo e scarica moltissimo quando riceve
informazioni in quella determinata zona, comunque l’informazione luminosa si andrà anche un
po' a diffondere nelle zone OFF, nelle quali si genererà un piccolo potenziale d’azione con
frequenza bassissima, che provocherà una risposta corticale molto diversa.
Se resta costante l’informazione luminosa, la risposta della cellula gangliare H (opposto di C),
scaricherà in maniera completamente diversa, non scaricherà quando l’informazione arriverà al
centro, mentre aumenta la sua scarica quando la luce arriva a livello periferico.
Dal fotocettore si va a ridurre la liberazione di neurotrasmettitore, le cellule successive riescono
a generare una risposta e a generare un potenziale a livello delle cellule gangliari (nonostante la
riduzione di neurotrasmettitore) grazie alla presenza di recettori adatti per il glutammato, molto
diversi tra loro: ci sono sia recettori ionotropici, che attivano una cellula quando viene liberato il

160
glutammato e quindi attive nel caso in cui il recettore è a riposo; che recettore metabotropico,
cioè il mGlu; questo, a differenza degli altri recettori ionotropici, che sono NMDA, AMPA e
keinato, (recettori che permettono l’entrata di ioni positivi nella cellula) ha una funzionalità
differente: va ad attivare una proteina G che va a bloccare il passaggio di cariche positive,
attraverso i canali ionici, iperpolarizzando la cellula, inibendo quindi la genesi di una
depolarizzazione.
Sulle cellule bipolari esistono entrambi i recettori, ci sono alcune che tengono il recettore
ionotropico per il glutammato e ci sono altre che contengono il metabotropico.
Inoltre, le cellule amacrine e le cellule orizzontali sono cellule in grado di liberare
neurotrasmettitori inibitori, queste cellule vanno a controllare e a modificare la funzione delle
cellule bipolari e quindi possono, in realtà, inibire una cellula bipolare attivata o non agire su
una certa cellula, quindi modulano il segnale che arriva alla cellula gangliare.
Questo circuito è l’unico all’interno dell’organismo umano che si attiva grazie a
iperpolarizzazione. In questo circuito sono anche presenti delle sinapsi chimiche, ma ci sono
anche delle sinapsi elettriche, soprattutto tra le cellule orizzontali e le cellule bipolari; quindi,
oltre ad avere una comunicazione chimica, attraverso la liberazione di neurotrasmettitore, una
parte di cellule orizzontali sono in grado di formare sinapsi elettriche con le bipolari e tramite
queste comunicano direttamente; generando potenziale d’azione con una scarica ben definita
vanno a modulare tutte le informazioni luminose del nostro occhio.
La frequenza di scarica nelle cellule gangliari ci permette di identificare l’intensità dello
stimolo, perché a seconda dell’intensità della luce, e se incide sulla porzione ON della cellula
gangliare, si genererà sempre un potenziale d’azione che avrà frequenza diversa in modo
direttamente proporzionale con l’intensità della stimolazione luminosa.

161
Fisiologia cellulare: 12/11/21
Docente: Sandra Guidi
Sbobinatrici: Silvia Stefani e Ilenia Stevanella
Revisore: Martina Pastorino
Argomenti: conclusione vista, sistema uditivo e vestibolare, introduzione al gusto e olfatto

La risosta di una cellula bipolare alla luce dipende solo dai fotocettori con cui fa sinapsi.
I fotocettori liberano glutammato quando lo stimolo si conclude, ma non lo liberano in presenza di
luce. Le cellule su cui converge lo stimolo sono le cellule bipolari. Esse differiscono per il recettore
per il glutammato che possiedono e sono di due tipi:
- Cellule bipolari centro OFF: hanno
recettori ionotropici per il glutammato in
grado di permettere l’ingresso di ioni positivi,
queste cellule sono attive e depolarizzate
quando il recettore non è stimolato; quindi,
normalmente è in grado di liberare
glutammato in fase di riposo.
Queste sono cellule che agiscono quando la
luce viene dispersa in una zona periferica e
quindi non rispondono ad un’informazione
luminosa. Vengono eccitati quando lo stimolo
viene rimosso.
- Cellule bipolari centro ON: presentano
recettori metabotropici per il glutammato,
che fanno parte della classe MGlu, sono legati
a proteina G, che attiva una serie di reazioni
che causano, come risposta finale, la chiusura
dei canali presenti sulla membrana delle
cellule bipolari, rendendo iperpolarizzata la
cellula.
Quando arriva uno stimolo luminoso al
fotocettore viene ridotta la quantità liberata di
glutammato, che non risulta più legato ai
recettori metabotropici che si trovano sulle
cellule. Ciò causa una depolarizzazione delle
cellule con la liberazione di un
neurotrasmettitore che attiva la cellula
successiva.
I fotocettori convergono su un numero minore di cellule bipolari, convergenza catalizzata anche
dalla presenza di cellule orizzontali, che instaurano sinapsi con le cellule fotocettrici e trasportano
il segnale ad una singola cellula bipolare. Esistono comunque contatti diretti tra fotocettori e cellule
bipolari.

162
Le cellule orizzontali contengono neurotrasmettitori inibitori, quindi, possono regolare il
meccanismo di trasmissione del segnale attraverso le cellule gangliari.
Le cellule orizzontali sono solo un tipo di cellule all’interno della nostra cellula (a differenza delle
amacrine e delle bipolari).
Le cellule amacrine sono in grado di recuperare le informazioni dalle cellule bipolari e trasportarle
alle cellule gangliari. Esistono diverse classi di cellule amacrine all’interno della nostra retina,
divise a seconda della loro forma e anch’esse contenenti un neurotrasmettitore inibitorio: la glicina.
La funzione di tutte queste cellule porta ad un’attivazione/inibizione (a seconda del tipo di
informazione luminosa) delle cellule gangliari.
Le cellule gangliari mantengono un campo recettivo particolarmente grande, generato dall’unione
dei vari campi recettivi delle cellule bipolari, che vanno a fare sinapsi con una sola cellula
gangliare. Anche qui il campo recettivo è organizzato in centro e periferia, con funzionalità diversa.
Questi campi sono generati da un miscuglio di campi recettivi delle cellule sovrastanti: bipolari,
amacrine e orizzontali, che collegano i vari fotocettori.
Queste cellule sono divise in tre classi, il cui nome deriva dalla posizione su cui vanno a proiettare
le loro informazioni a livello del corpo genicolato laterale, che è la regione su cui arrivano tutte le
informazioni visive. Le cellule di queste classi sono più o meno sensibili a una certa lunghezza
d’onda della luce e hanno anche un adattamento diverso. Le tre classi sono:
- P: scarica basilare più elevata, vivace e tonica, hanno campi recettivi piccoli e trasmettono
informazione su colori, forma e dettagli degli stimoli visivi
- M: scaricano in modo fasico e non lineare, dotate di campi recettivi grandi trasmettono
informazioni sui livelli di illuminazione e sul movimento degli stimoli.
- W: le più piccole

Queste cellule determinano la formazione del nervo ottico grazie all’unione dei vari assoni che
provengono proprio da loro. Nel nervo ottico le informazioni trasportate fino in corteccia sono
diverse a seconda del tipo di cellula gangliare da cui genera una fibra del nervo stesso.
Il segnale arriva direttamente alle strutture superiori e verrà elaborato a livello corticale.
L’elaborazione dell’informazione visiva è particolarmente complicata, in quanto le informazioni
che arrivano al nostro occhio sono miliardi in ogni singolo istante, e inoltre devono essere integrate
con le informazioni che arrivano dai propriocettori e dal sistema vestibolare. Quindi c’è anche un

163
elevato controllo a livello delle cortecce associative, in grado di associare diverse informazioni e
generare un certo tipo di risposta.
Domanda: se la zona off della cellula bipolare è sempre zona off, lì sono fisicamente presenti le cellule che
inibiscono lo stimolo?
Non sempre, ad esempio cellula bipolare con periferia off recupererà e risponderà all’informazione che
proviene dal centro on che viene illuminato. Se l’illuminazione proviene dalla periferia i fotocettori si
attivano comunque perché la luce arriva, ma insistono su cellule bipolari che possono essere legate a
recettori ionotropici e si modifica l’informazione che arriva la cellula bipolare stessa. Oppure possono
essere fotocettori che sono legati a cellule orizzontali, quindi inibitorie, che possono cambiare
l’informazione a livello della cellula bipolare.
La risposta on/off è generata dalla posizione in cui arriva l’informazione luminosa, quindi può attivare o
inibire. Anche la non attivazione di un fotocettore che si trova in una zona off perché non è arrivata luce
nella porzione periferica è comunque un’informazione, perché il fotocettore presente nella zona off e
l’informazione arriva nella zona on, è un fotocettore che libera glutammato, quindi genera una risposta che
attraverso le cellule gangliari arriva alla corteccia. Bisogna pensare ad un intreccio di attivazione di cellule
differenti a seconda di dove la luce arriva, il che permette un’elaborazione corticale molto importante che ci
dà la nostra visione; quindi, ci sono cambi recettivi on/off tutta quell’attivazione serve solamente per dare
un’immagine. Bisogna ricordare che una cellula off può essere tranquillamente attivata da un’informazione
luminosa, ma ciò che cambia è la risposta che arriva alle cellule sottostanti, interpretata da neuroni inibitori
che sono posti tra un fotocettore e le cellule.
Importante: tutti i fotocettori si attivano quando arriva la luce, ciò che cambia è il passaggio successivo
(cellule bipolari, cellule gangliari orizzontali e amacrine).

SISTEMA UDITIVO E VESTIBOLARE


Si trovano all’interno dell’orecchio, hanno in comune le strutture periferiche e le informazioni che
sono in grado di raccogliere vengono tutte trasportate dal nervo vestibolococleare (VIII nervo
cranico). Ciò che cambia è la posizione dei recettori all’interno dell’orecchio interno e ovviamente
le informazioni raccolte.
Il sistema uditivo è indispensabile per trasducere i suoni e quindi per comunicare con le altre
persone.
Il sistema vestibolare è fondamentale per avere informazioni legate all’equilibrio, in particolare
informazioni legate alla posizione della testa nello spazio, che ci darà la sensazione di equilibrio.

164
IL SISTEMA UDITIVO
Un suono è un’onda che si propaga in un fluido (più limpidamente nell’aria, ma anche nell’acqua si
possono percepire dei suoni, benché ovattati), generato dall’alternarsi di diverse pressioni.
Tutte queste onde hanno caratteristiche ben specifiche, importanti per permettere l’identificazione

di un certo tipo di suono. Le due caratteristiche principali sono:


- Frequenza: misurata in Hz, indica il tono, la qualità del suono. I suoni sono un insieme di
onde che entrano nell’orecchio. Più i suoni sono in fase (hanno la stessa frequenza), più il
suono risulta pulito, meno sono in fase, più avremo la sensazione di sentire rumore.
- Ampiezza: misurata in Db, indica l’intensità del suono che si sta ascoltando. Viene misurata
con una funzione (LPS= 20 log P/PR) che permette di identificare il livello della pressione
che sta entrando nell’orecchio, un rapporto tra P (la pressione del suono in entrata) e Pr che
è un valore di riferimento e indica la più bassa intensità udibile.
I suoni che siamo in grado di percepire sono compresi all’interno di una certa soglia, un intervallo
che varia anche in base all’età del soggetto, molto simile per tutti gli uomini, ma specifica per
ognuno di noi: 20-20000 Hz e ampiezza -3,-5 Db.
Linguaggio: ampiezza 65Db, frequenza 300-350 Hz
Più l’ampiezza del suono cresce, più è intenso il suono che entra nell’orecchio. Intorno ai 100db
l’informazione sonora crea fastidio e danni alle strutture acustiche periferiche, mentre un suono che
raggiunge i 120db, crea dolore, perché lo stimolo è talmente intenso che vengono creati danni a
livello dell’orecchio interno, se questo valore dovesse essere superato i danni creati diventerebbero
irreparabili e quindi permanenti.

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ANATOMIA e FUNZIONE DELL’ORECCHIO
L’orecchio è diviso in tre
porzioni:
Esterno: padiglione
auricolare, meato acustico e
canale uditivo. Si tratta di una
struttura fisica vuota (contiene
solo aria) che convoglia le
onde sonore all’interno delle
strutture più interne, partendo
dal padiglione auricolare e
passando dal canale uditivo,
fino al timpano.
Termina con la membrana
timpanica, una membrana elastica che chiude completamente il canale uditivo facendo da soglia tra
orecchio esterno e medio.
Medio: struttura vuota, mette in comunicazione la membrana timpanica con l’orecchio interno. A
livello di questa regione sono presenti tre ossicini: martello, incudine e staffa, uniti tra loro in
maniera mobile (devono vibrare), andando a costituire la catena degli ossicini. Il martello è
attaccato alla struttura timpanica, la staffa si appoggia sulla finestra ovale, che è la struttura di
transizione tra orecchio medio e orecchio interno.
L’orecchio medio ha la funzione di adattare il
suono che entra nel nostro orecchio al passaggio
tra via aerea (orecchio esterno e medio) e una via
liquida, rappresentata dalla soluzione presente
nell’orecchio interno e il cui movimento
permetterà la genesi di uno stimolo che
raggiungerà le strutture corticali. Se non ci fosse
questo adattamento generato dalla variazione
dell’area del timpano che giunge fino alla finestra
ovale e dovuto al movimento degli ossicini, il
suono che sentiremmo sarebbe ovattato. Invece
c’è un adattamento (adattamento all’impedenza)
delle vibrazioni che entrano nell’orecchio medio e
che permette di ridurre l’impedenza del suono, in
modo da ottenere un suono chiaro e limpido.
Questo adattamento è dato dal rapporto tra area di
superficie del timpano (elevata) e area della finestra ovale (più piccola) e dal vantaggio meccanico
legato al sistema di leve formato dalla catena di ossicini.
L’orecchio medio si prolunga con la tuba di Eustachio, in comunicazione con le strutture nasali,
attraverso cui viene drenata la condensa che si può creare all’interno dell’orecchio medio, che
invece deve rimanere sempre libero e vuoto.

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Interno: si sviluppa a seguito della
finestra ovale, è formato da una
struttura ossea e una struttura
membranosa.
Il labirinto osseo è una formazione
complessa composta da una serie di
cavità scavate nell’osso temporale,
che permette l’insediamento delle
membrane dell’orecchio interno,
mantenendole in posizione. Le
strutture membranose formano le
pareti di cavità e canali di
membrana che contengono un
liquido.
La struttura ossea è rappresentata dalla coclea: una cavità ossea che si avvolge a spirale su sé stessa,
con base larga e apice stretto, si sviluppa dal vestibolo, la struttura ossea su cui è aperta la finestra
ovale.
Il vestibolo prosegue quindi con la coclea al cui interno ci sono le porzioni membranose che danno
vita ad un insieme di scale, tre cavità piene di liquido che hanno come pareti gli strati membranosi
già citati, che si avvolgono anch’esse fino alla punta della coclea, chiamata elicotrema. Le tre
cavità sono:
1) Scala vestibolare: in comunicazione con la finestra ovale, prosegue fino all’elicotrema,
dove entra in comunicazione con la scala timpanica.
2) Scala media o dotto cocleare: spazio che contiene i recettori sensitivi dell’udito da cui
partono i segnali nervosi che arrivano fino alle strutture corticali.
È formata da tre membrane: membrana basilare,
membrana di Reissner (divide scala media da scala
vestibolare) e stria vascolare (la più laterale), molto
importante perché permette la produzione del liquido
presente all’interno della scala media.
3) Scala timpanica: comunica con l’orecchio
medio attraverso la finestra rotonda.

Scala vestibolare e scala timpanica sono i due ambienti


periferici, tra le quali è presente la scala media.
Tutte le scale presenti nelle strutture membranosa del
nostro orecchio interno sono riempite di liquido,
diverso a seconda del distretto in cui ci si trova. La
scala vestibolare e la scala timpanica sono ripiene di perilinfa, una soluzione acquosa che ha la
stessa composizione del liquido cerebrospinale e plasma, quindi molto fluida con la stessa
composizione ionica dei due liquidi sopracitati, la scala media invece presenta l’endolinfa prodotta
dalla stria vascolare e ha un contenuto molto elevato di ioni potassio, ridotta concentrazione di
sodio e contiene quantità ridotte di calcio e cloro, quindi è molto simile al LIC. La concentrazione

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di ioni positivi all’interno dell’endolinfa stessa sarà fondamentale per creare un potenziale
all’interno delle cellule recettive.
Le strutture recettive presenti all’interno della scala media sono rappresentate dall’organo del
Corti, che appoggia sulla membrana basilare ed è immerso nell’endolinfa. È formato e mantenuto
in sede da cellule epiteliali di sostegno, da pilastri di tessuto connettivo, che ne mantengono la
forma e da cellule ciliate organizzate in uno strato interno e uno esterno. Nella parte più esterna,
verso la stria vascolare, sono presenti tre file di cellule ciliate, mentre nella parte più interna ne è
presente solo una fila.

Le cellule ciliate sono recettori a cui sono legati i neuroni sensitivi primari, che recuperano
l’informazione generata dalle cellule recettrici e la trasportano verso il sistema nervoso centrale. Le
ciglia presenti su queste cellule sono in realtà stereociglia di lunghezza differente, (la prima,
chiamata chinociglio è quella più lunga) ricoperte da una membrana che viene chiamata membrana
tettoria.
L’organo del Corti è innervato dalle fibre nervose della divisione cocleare del nervo
vestibolococleare, che originano dalle cellule sensoriali gangliari localizzate nel ganglio spirale,
esse penetrano nell’organo e terminano alla base delle cellule ciliate con cui fanno sinapsi. Le
cellule ciliate poi invieranno lo stimolo al neurone sensitivo primario il quale porterà l’informazione
verso le strutture cerebrali superiori (tronco olivare superiore del tronco dell’encefalo)
Le onde sonore sono causate dall’alternarsi di pressioni, il movimento dovuto a questo fenomeno si
genera all’interno del nostro orecchio esterno, andando a sbattere contro la membrana del timpano,
che vibra, facendo muovere la catena di ossicini direttamente collegata ad esso e trasmettendosi alla
perilinfa dell’orecchio interno grazie alla diretta comunicazione tra staffa e fossa ovale.
La perilinfa all’interno della scala vestibolare e timpanica comincia a muoversi, causando un
movimento anche nell’endolinfa presente a livello della scala media e, di conseguenza, anche della
membrana tettoria e delle stereociglia che si muoveranno nella stessa direzione in quanto quelle
presenti sulla stessa cellula sono legate tra loro da ponti proteici.

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Questo movimento causa l’apertura di canali presenti sulla membrana delle ciglia stesse, andando a
modificare il potenziale di riposo delle cellule, che si aggira intorno ai -50mV. Il potenziale viene
modificato dall’ingresso di ioni potassio presenti nell’endolinfa esterna, causando una
depolarizzazione della cellula recettrice, che determina di conseguenza l’ingresso di ioni calcio
nella parte basale della cellula, permettendo il legame delle vescicole contenenti neurotrasmettitore
(glutammato, eccitatorio) con la membrana della cellula. Il glutammato si legherà ai recettori
ionotropici presenti sulla superficie del neurone sensitivo primario, generando un potenziale
d’azione. La necessità dell’interposizione di un neurone sensitivo primario fa sì che queste cellule
vengano classificate come recettori di secondo tipo.
Se deve entrare potassio all’interno della cellula, la composizione del LIC è diversa?
Esatto, è diversa rispetto agli altri neuroni fino ad ora considerati. Il potassio è maggiormente presente
rispetto al sodio, ma con una concentrazione molto più bassa rispetto ai neuroni centrali. Il potassio
dell’endolinfa, se seguisse unicamente il gradiente di concentrazione, non sarebbe spinto ad entrare
all’interno della cellula. Il suo ingresso è garantito dal gradiente elettrochimico (più elettrico che
chimico) perché è l’unico ione positivo così tanto concentrato nell’endolinfa. Come già detto, questa
cellula ha un potenziale di circa -50 mV, un po’ diverso rispetto a quello degli altri neuroni.

Si genera un potenziale di recettore che verrà trasformato in potenziale d’azione a livello del neurone
sensitivo primario. L’informazione arriverà, attraverso vie di passaggio intermedie, a livello delle
strutture corticali. Esiste una topografia anche a livello delle strutture membranose del sistema
uditivo interno. Ci sono cellule cigliate in grado di rispondere ad onde che hanno ampiezza e
frequenza diverse:
• Le onde che hanno un’elevata frequenza attivano le cellule cigliate a livello della scala media,
molto vicino all’orecchio medio.
• I suoni che hanno una frequenza più bassa attivano cellule cigliate nell’apice della struttura
membranosa.
Com’è possibile vedere dall’immagine,
vi è una variazione dell’attività delle
cellule cigliate. Esse rispondono con una
soglia diversa, generata da una diversa
frequenza delle onde che entrano
nell’orecchio. Si tratta di una scala
tonotopica che ci permette di
identificare un’ampiezza di suono
diversa a seconda delle cellule cigliate
attivate. Questo permette alle strutture
superiori di identificare il tipo di suono
che entra all’interno dell’orecchio. A
seguito dell’attivazione di diverse
cellule cigliate, si compone una sorta di
mappa che consente di attivare zone
corticali diverse. È simile a ciò che
succede con i recettori periferici: come già visto, è possibile identificare la posizione in cui avviene
lo stimolo che attiva il recettore stesso.
Ci sono recettori che rispondono a stimoli che hanno una frequenza differente. I recettori per stimoli
con bassa frequenza generano una risposta sincrona alla frequenza dello stimolo (proprio perché è

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bassa). Quando la frequenza si alza, le cellule non sono in grado di mantenere una frequenza di
liberazione del neurotrasmettitore così elevata, anche perché il neurotrasmettitore deve essere
ricostituito e riportato all’interno delle vescicole, e ciò necessita di diverso tempo. Le cellule superano
questo ostacolo generando un potenziale di popolazione. Il potenziale di popolazione prevede che
diverse cellule liberino neurotrasmettitore contemporaneamente, andando a sopperire la mancanza di
liberazione di neurotrasmettitore con una frequenza che sia identica ad un’alta frequenza sonora. Si
ha l’unione di diversi recettori che si attivano quando la frequenza del suono diventa particolarmente
elevata.

SISTEMA VESTIBOLARE

Il sistema uditivo si trova nella stessa struttura del sistema vestibolare, cioè nell’orecchio. Il sistema
vestibolare ci permette di identificare la posizione del capo nello spazio e di valutare le sue variazioni
di accelerazione angolare e lineare. Ci fornisce perciò informazioni legate all’equilibrio del nostro
corpo.
L’accelerazione angolare è generata dallo spostamento della testa in una delle due direzioni (a destra
o a sinistra); questo spostamento genera una variazione dell’accelerazione.
L’accelerazione lineare si modifica, ad esempio, quando si cammina, in base alla velocità del passo.
Tutte queste informazioni vengono recuperate dal sistema vestibolare e ci permettono di generare
un’informazione legata all’equilibrio.
Il sistema vestibolare, legato
anatomicamente al sistema uditivo,
è formato dagli organi otolitici
(struttura di base) e da 3 canali
semicircolari. È un sistema che ha
una struttura ossea che contiene
strutture membranose. Negli
organi otolitici sono presenti due
“sacchetti” contenuti da
membrane, il sacculo e l’utricolo.

Il sacculo è una struttura vescicolare che recupera l’endolinfa dalla coclea e la trasporta all’interno
dell’organo vestibolare. L’utricolo è una struttura membranosa e vescicolare che connette il sacculo
con i canali semicircolari.
I canali semicircolari hanno una struttura esterna ossea e una interna membranosa. Sono tre per
orecchio (6 in tutto) e ricoprono la tridimensionalità dell’ambiente:
• Uno è disposto in orizzontale (canale orizzontale);
• Uno in semi-verticale (canale anteriore);
• L’ultimo è leggermente obliquo (canale posteriore).
Il liquido presente all’interno delle strutture membranose di questi canali si muove in tutte le direzioni
in cui si muove il nostro capo. I canali semicircolari presentano alla base una struttura ossea e
membranosa allargata che prende il nome di ampolla. All’interno delle strutture membranose c’è

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sempre endolinfa. Tra la parete della struttura membranosa e la parete della struttura ossea che la
contiene è presente perilinfa. Per comprendere meglio il concetto, la struttura può essere paragonata
a due tubi, uno dentro all’altro: il tubo esterno è rigido, mentre quello interno è membranoso.
All’interno del tubo membranoso è presente endolinfa, mentre tra il tubo membranoso e quello rigido
è contenuta perilinfa. Queste strutture presentano al loro interno organi recettivi (cellule cigliate,
funzionanti come quelle del sistema uditivo). Le fibre che arrivano a queste cellule appartengono ai
neuroni sensitivi primari e andranno a formare fasci di fibre dell’ottavo nervo cranico.
Alla base dei canali semicircolari vi è una
struttura ad ampolla in cui è presente la
cresta ampollare. La cresta ampollare è la
struttura che contiene i recettori sensitivi.
È una piega dell’epitelio che forma la
struttura membranosa a livello
dell’ampolla ossea. In mezzo alle cellule
dell’epitelio che formano la parete della
membrana, sono presenti le cellule
recettrici (cellule cigliate con ciglia
identiche a quelle presenti nel sistema
uditivo). Le ciglia sono contenute all’interno di una struttura a cupola che contiene l’endolinfa.
L’endolinfa è presente anche nel resto del canale semicircolare.
Quando la nostra testa si sposta e si modifica l’accelerazione angolare, l’endolinfa presente nei canali
semicircolari si muove e fa spostare la cupola che sovrasta la cresta ampollare. La cupola si sposta in
un verso o nell’altro a seconda del movimento del capo. Le ciglia delle cellule cigliate sono unite da
ponti proteici. A seconda di dove viene spostata l’endolinfa, le ciglia si spostano in un verso o
nell’altro. Se si spostano nella stessa direzione del chinociglio, si avrà l’apertura dei canali e la
conseguente genesi di un potenziale di recettore. Verrà liberato un neurotrasmettitore, il quale andrà
a stimolare il neurone sensitivo primario. Se il capo è spostato nella direzione opposta, il chinociglio
andrà nel verso opposto rispetto a quello normale. In questo caso, non si apriranno i canali e la cellula
recettrice non darà alcun tipo di risposta. Bisogna considerare che ciascuno di noi possiede due
sistemi vestibolari (uno per orecchio) perciò, a seconda della direzione di spostamento del capo, si
attiveranno le cellule recettrici di un solo orecchio, mentre quelle dell’altro non saranno attivate.
Questo permette di identificare verso quale direzione il capo si sta spostando.
Le cellule presenti sui canali semicircolari rispondono SOLO alle variazioni di accelerazione
angolare, non vengono modificate da variazioni dell’accelerazione lineare.

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Le informazioni legate alle modificazioni
dell’accelerazione lineare vengono recuperate dalla
struttura recettiva presente negli organi otolitici. Questa
struttura recettiva prende il nome di macula. Si trova nella
membrana basale che forma sacculo e utricolo. È formata
da cellule cigliate con le ciglia che sporgono nella sua parte
superiore. Le cellule cigliate sono connesse con neuroni
sensitivi primari, che danno origine a fibre del nervo
vestibolo-cocleare che arriveranno alle strutture superiori.
Le ciglia di queste cellule sono immerse in una struttura
gelatinosa ricoperta da uno strato di “sassolini” di
carbonato di calcio, gli otoliti. Modificando
l’accelerazione lineare del capo, l’endolinfa in cui è
immersa la macula si muove; gli otoliti vengono sospinti
da questo movimento. Le ciglia si spostano in una
direzione o nell’altra a seconda della direzione di
movimento; si attiverà l’apertura di canali presenti sulla
membrana delle ciglia, che permetteranno l’ingresso di cariche positive, generando un potenziale
recettoriale. Il potenziale recettoriale determinerà la liberazione di vescicole dalla cellula recettrice,
provocando una risposta sul neurone sensitivo primario.
Ci sono quindi due meccanismi diversi a livello della struttura vestibolare che ci permettono di
rispondere alle variazioni delle posizioni del capo in senso angolare (destra o sinistra) e lineare (avanti
o indietro, in alto o in basso). Tutti i movimenti della testa danno vita al movimento dell’endolinfa
contenuta nelle strutture vestibolari. A seconda di dove si sposta l’endolinfa che insiste sulle ciglia,
si avrà una risposta generata dall’attivazione di un certo numero di neuroni sensitivi rispetto ad altri.

Nell’utricolo e nel sacculo le ciglia sono disposte in modo differente. È presente una linea
immaginaria, la striola, che si trova nella struttura centrale della macula e delimita la posizione delle
ciglia. È paragonabile ai capelli di una bambola: scostandoli, è presente una linea centrale in cui i
capelli sono disposti, una parte verso destra e un’altra verso sinistra. Grazie alla posizione delle ciglia,
sono recepibili un numero enorme di modificazioni della posizione della testa. A seconda di dove
l’endolinfa si muove, vengono attivate determinate cellule della macula e non altre, generando un
certo tipo di informazione a livello corticale.
Le cellule recettrici presentano il chinociglio con tutte le altre ciglia legate le une alle altre. Si crea
una scarica di potenziali d’azione a livello del neurone sensitivo primario grazie alla quantità di
neurotrasmettitore liberato dalla cellula recettrice. Se si è fermi, la cellula presenta le ciglia in
posizione verticale. Questo vale sia per canali semicircolari sia per gli organi otolitici. Se ci si muove,

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l’endolinfa si mette in movimento, il chinociglio si sposta verso destra e trascina con sé tutte le altre
ciglia, le stira. Questo stiramento determina l’apertura dei canali che danno vita ad una
depolarizzazione della cellula. Si libera una certa quantità di neurotrasmettitore e aumenta la
frequenza del potenziale d’azione del neurone sensitivo primario. Più neurotrasmettitori si liberano,
maggiore sarà la depolarizzazione del neurone sensitivo primario, che determinerà una scarica di
potenziale maggiore.
I neuroni sensitivi primari sono
normalmente attivi, cioè hanno di
base una frequenza di scarica
molto bassa che si mantiene
anche quando i recettori non
percepiscono alcuno stimolo
(scarica a riposo). La scarica a
riposo è generata dalla presenza
di canali ionici sulla membrana
dei neuroni sensitivi primari che
seguono i gradienti elettrochimici
delle soluzioni presenti all’interno e all’esterno del neurone stesso. Se il neurone viene attivato da
uno stimolo, aumenta la sua frequenza di scarica. Lo stimolo nel verso opposto comprime le ciglia,
di conseguenza i canali non si apriranno. Nell’immagine parla di iperpolarizzazione, in realtà rimane
inerte la frequenza di scarica del neurone.
Siamo in grado di identificare in quale verso la testa si sta spostando perché si attiva il recettore in un
organo vestibolare e non nell’altro.
In quest’immagine è rappresentato ciò che avviene
nel caso di uno spostamento del capo verso sinistra.
Le ciglia a livello dei canali semicircolari
dell’organo vestibolare sinistro sono disposte nella
direzione in figura. Quando la testa si sposta verso
sinistra, l’endolinfa si muove nel senso opposto e
va a modificare la posizione delle ciglia delle
cellule recettrici, attivando una scarica del neurone
sensitivo primario. Con lo stesso movimento,
questo non accade alle ciglia dell’altro organo
vestibolare. Non si ha apertura di canali e di
conseguenza non arriva alcuno stimolo al neurone
sensitivo primario.

Tutte le informazioni attivate dallo spostamento del capo e percepite dal sistema vestibolare sono
trasportate attraverso la branca vestibolare dell’ottavo nervo cranico e recuperate a livello corticale
per generare un’elaborazione di informazioni che ci dà sempre una risposta motoria. L’equilibrio è
mantenuto grazie alla frequenza di scarica dei muscoli scheletrici. Essi scaricano in modo autotonico
e ci permettono di mantenere stabile il nostro equilibrio. Le risposte sono coordinate a livello corticale
dalle vie motorie discendenti, che controllano tutti i movimenti del nostro organismo, e dalle
strutture cerebellari (tutti i circuiti presenti a livello del cervelletto, struttura importantissima per il
controllo del movimento).
Il sistema vestibolare ci dà l’informazione di dov’è la nostra testa, legata anche all’informazione
visiva. I muscoli estrinseci degli occhi sono in grado di modificare continuamente la posizione
dell’occhio nella sua sede e dare vita ai movimenti micro-saccadici. L’informazione di contrazione

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muscolare che permette il movimento dell’occhio è controllata anche dalle risposte che si generano
dal sistema vestibolare.
Esempio: se ho la testa rivolta verso la parte sinistra dell’ambiente posso comunque guardare verso destra
grazie al movimento degli occhi, senza perdere l’equilibrio. Questo accade perché le due informazioni sono
elaborate a livello corticale: ci permettono di mantenere contrazioni muscolari che ci danno stabilità e di
muovere i muscoli estrinseci dell’occhio per poter vedere anche nella direzione opposta rispetto a quella verso
cui il nostro capo è rivolto).

Perché quando dormiamo profondamente non sentiamo nulla? I recettori sensitivi sono spenti?
In realtà, sentiamo i suoni anche mentre dormiamo, ma non ne siamo coscienti (non siamo in grado
di elaborare una risposta ad un rumore). I recettori non si spengono, dipende dall’elaborazione
corticale. I suoni percepiti durante il sonno sono comunque informazioni elettriche che arrivano alla
corteccia. Durante il sonno, le informazioni gestite dalla corteccia sono ridotte. Infatti, sono
mantenute vigili le soglie di allerta (es. rumori forti, attività dolorose) che siamo in grado di percepire.
Il resto viene “ovattato”, ma ugualmente percepito. L’informazione arriva lo stesso al cervello, ma
non siamo coscientemente in grado di elaborarla perché stiamo cercando di recuperare energie in quel
momento.

Sentiamo la sveglia per “esperienza”?


Sicuramente sì, infatti ci sono persone che non sono in grado di svegliarsi con il suono di una sveglia.
Spesso, durante il sonno, i rumori che sentiamo vengono dirottati all’interno dei sogni. Quello che
facciamo durante il sonno è l’elaborazione di un’informazione “irreale”, in cui in realtà tutte le
informazioni sensitive giocano un ruolo. Può capitare di sognare il suono di una sveglia per poi
scoprire che la sveglia stava suonando realmente. C’è un’elaborazione complessa a livello limbico di
tutte le informazioni recuperate durante la giornata che ci danno la possibilità di creare un sogno. Il
sogno non è chiuso in una scatola ermetica, ma è influenzato dalle nostre sensazioni generate dai
recettori sensoriali dell’organismo. Ricapitolando: i recettori non si spengono, ma le informazioni
vengono elaborate in modo diverso.
I recettori sono presenti solo negli organi otolitici e nel vestibolo dei canali, non nei canali
semicircolari?
Esatto, nei canali semicircolari è contenuta l’endolinfa che si sposta in base alla posizione del capo.

GUSTO E OLFATTO

Gusto e olfatto sono importanti nella gestione delle informazioni sensitive vere e proprie, di piacere
e di disgusto, derivanti dall’ambiente. Sono neuroni modificati in grado di rispondere ad un certo tipo
di sostanza chimica. Presentano nella loro membrana apicale delle strutture cigliate che possiedono
recettori chimici che consentono il legame con una sostanza e l’attivazione di una risposta a livello
cellulare. I recettori del gusto si trovano all’interno della cavità orale, mentre quelli dell’olfatto si
trovano nella cavità nasale. Queste due cavità sono in comunicazione, perciò la sensazione del gusto
e dell’olfatto si influenzano in modo reciproco.

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I sapori percepibili sono miliardi; questi diversi sapori derivano da 5
classi principali: salato, dolce, amaro, acido e umami (sapore del
glutammato, della cucina orientale). I 5 gusti sono in grado di dar vita
all’immensa quantità di sapori che siamo in grado di elaborare a livello
corticale miscelando la risposta delle diverse cellule attivate da
sostanze chimiche differenti. Per quanto riguarda il gusto, le cellule
recettrici (chemocettori) si trovano a livello delle gemme gustative,
formate da un numero variabile di recettori per il gusto (tra 90 e 200).
Le cellule presenti nelle gemme gustative tendenzialmente rispondono
alla stessa sostanza chimica, ma possono esistere anche gemme
gustative con chemocettori in grado di rispondere a gusti diversi. La
gemma gustativa è presente a livello dell’epitelio delle strutture orali
(lingua e parte posteriore del palato) e comunica con l’esterno grazie
al poro gustativo, lo spazio lasciato libero dall’epitelio che forma le
pareti della lingua o del palato. Nel poro gustativo escono le ciglia dei chemocettori, in grado di legare
la sostanza chimica. I chemocettori sono recettori di secondo tipo, perciò comunicano con le fibre del
neurone sensitivo primario attraverso la liberazione di neurotrasmettitori. Si genererà poi una risposta
che passerà per fibre appartenenti a nervi differenti, fino alle strutture corticali. In questo modo si
genererà la sensazione del gusto.

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Lezione di Fisiologia cellulare, 15/11/2021
Sbobinatori: Noemi Tonini, Sara Valota
Revisore: Alice Parisato
Docente: Sandra Guidi
Argomenti: recettori del gusto, olfatto, muscolo scheletrico, contrazione muscolare

RECETTORI DEL GUSTO


I recettori del gusto si trovano nella cavità orale. Essi sono recettori di secondo tipo, per cui
rispondono a determinate sostanze chimiche che attivano
una risposta all’interno della cellula e danno come effetto
finale la liberazione di neurotrasmettitore che viene
rilasciato nello spazio sinaptico in cui è presente la
terminazione post-sinaptica del neurone sensitivo primario,
che sarà quindi in grado di recuperare le informazioni.
Queste cellule costituiscono quella che viene definita
gemma gustativa; essa è un insieme di chemocettori
differenti che si trovano in strutture definite papille gustative
che ritroviamo sulla superficie della nostra lingua.
Queste gemme gustative si aprono nella parte superiore della
papilla gustativa attraverso un poro detto poro gustativo in
cui emergono i filamenti che si trovano sulla membrana
apicale dei recettori chimici; i filamenti detti anche ciglia
legano le sostanze chimiche, la risposta finale che otteniamo
è un’elaborazione a livello centrale di gusti differenti.
La gemma gustativa è normalmente una struttura formata
da un gruppo di cellule molto simili tra loro e che quindi
sono in grado di rispondere alla stessa sostanza chimica. Fino a poco tempo fa si riteneva che la
percezione di gusti diversi sulla superficie della lingua fosse catalogata in zone differenti proprio
grazie a questa uguaglianza dei recettori di ogni gemma.
Studi recenti hanno dimostrato che in realtà non è esattamente così: esiste infatti in ogni gemma
gustativa una preponderanza di un certo tipo di recettore chimico ma non è detto che non ci siano
anche recettori chimici differenti rispetto a quelli che sono maggioritari. Per cui in generale
possiamo dire che ci sono effettivamente alcune posizioni della lingua in cui è più facile riconoscere
determinati gusti generati dalla presenza di recettori specifici ma in realtà ciò che percepiamo è dato
da un mix di sensazioni generate da recettori chimici leggermente diversi tra loro.

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Alcuni di questi recettori chimici rispondono alle
sostanze chimiche direttamente mediante l’apertura
di canali ionici. Ad esempio i recettori che sono in
grado di determinare la sensazione di acido sono
recettori chimici che rispondono alla presenza di ioni
H+ (idrogenioni). Gli idrogenioni infatti si legano a
canali ionotropici sulle cellule recettrici, i canali si
aprono e fanno depolarizzare la membrana generando
un potenziale di recettore che permette poi di liberare
neurotrasmettitore a livello del neurone afferente
primario. Questo avviene nelle cellule coinvolte nella
percezione dell’acido e del salato (attivate dalla
presenza di Na+). Per cui H+ e Na+ si legano
direttamente ai recettori posti sui microvilli delle
cellule gustative (ossia a canali ionotropici) e
instaurano così una depolarizzazione della membrana
facendo entrare ioni positivi attraverso questi canali,
una volta che essi hanno legato H+ o Na+.
Le altre sostanze chimiche che generano le sensazioni
gustative si legano a recettori accoppiati a proteine G
(metabotropici) i quali determinano una cascata di
reazioni intracellulari che ha come risposta finale
quella di permettere l’entrata di Ca2+ nella cellula recettrice che così libera neurotrasmettitore.
La codifica dell’intensità del segnale avviene anche in questi recettori mediante la codifica della
quantità di recettori attivati (codice di popolazione) e la codifica della frequenza di scarica che il
nostro neurone sensitivo primario genera a seguito di stimolazione da parte del recettore.
Le papille gustative in cui si trovano i recettori hanno forme differenti a seconda della posizione
che occupano sulla lingua e contengono gemme gustative
più o meno grandi (più o meno recettori per papilla) che
possono essere: fungiformi, circumvallate, filiformi o
foliate.
Le fibre afferenti derivanti dai neuroni sensitivi primari
connessi alle cellule gustative recettoriali vanno a formare
fibre sensitive appartenenti al: nervo faciale, al nervo
glossofaringeo e a una piccola parte del nervo vago.
L’informazione gustativa, in questo modo è trasportata a
livello centrale, presso strutture coinvolte nella genesi di
informazioni associative (cortecce associative), di
conseguenza il segnale gustativo viene elaborato basandosi
in gran parte sulla nostra memoria (associazione del gusto
al ricordo).
Il gusto viene percepito come piacevole o sgradevole a
seconda del tipo di elaborazione svolta a livello corticale.

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L’OLFATTO
L’altro senso chimico del nostro corpo è l’olfatto. Dei recettori chimici sono in grado di recuperare
stimoli generati da sostanze chimiche presenti all’interno della nostra cavità nasale che vengono
mescolate con il muco. Esso è una sostanza gelatinosa che ricopre la parte apicale delle cellule
recettrici olfattive proteggendo quest’ultime da insulti fisici o termici. Le sostanze chimiche che
entrano nella cavità nasale attraverso l’inspirazione vengono disciolte nel muco e da qui giungono a
contatto con i microvilli presenti sulla membrana apicale delle nostre cellule olfattive.
Le cellule olfattive recettrici appartengono alla mucosa olfattiva la quale risulta formata anche da
cellule di sostegno che formano l’impalcatura della mucosa.
Le cellule olfattrici possiedono assoni che sono in grado di trasmettere l’informazione olfattiva alle
strutture superiori.
L’olfatto è fondamentale per la vita degli animali perché permette loro di riconoscere i cibi, mentre
nell’uomo questo senso ha perso importanza in quanto non è fondamentale per la nostra
sopravvivenza (siamo in grado di sopravvivere anche senza riconoscere gli odori). Per questo
motivo le strutture superiori a cui arrivano le informazioni olfattive sono di dimensioni ridotte
rispetto a quelle degli animali.
Gli assoni dei recettori olfattivi passano direttamente attraverso la lamina cribrosa dell’osso etmoide
e fanno sinapsi nel bulbo olfattorio (struttura del SNC). Esso è molto grande in animali come i
roditori mentre nell’uomo rappresenta una porzione molto esigua. Questi assoni costituiscono le
fibre del nervo olfattivo che per l’appunto possono sinaptare con le cellule del bulbo olfattivo, tra
cui troviamo le
cellule di
controllo e i
neuroni
sensitivi
primari (cellule
mitrali) che
trasportano poi
l’informazione
alla corteccia
olfattiva.
In sintesi: i
recettori
olfattivi si
legano
mediante
proteine G a sostanze chimiche, si attiva al loro interno una depolarizzazione di membrana che
permette successivamente il rilascio di neurotrasmettitore a livello del bulbo olfattivo, dove gli
assoni formano sinapsi con le cellule mitrali. Quest’ultime mediante la genesi di potenziali d’azione
trasportano poi l’informazione alla corteccia olfattiva.
Nel bulbo olfattivo ritroviamo anche cellule granulari e cellule periglomerulari, esse sono cellule di
controllo che modulano il passaggio dell’informazione tra le cellule olfattive e le cellule mitraliche.

178
Gli odori che possiamo percepire sono innumerevoli; esiste una classificazione di sette odori
principali: essi mescolandosi tra loro danno vita all’enorme varietà di odori che siamo in grado di
percepire.
Domanda: Che tipo di recettori sono quelli olfattivi?
Risposta: Secondo alcuni, essi sono recettori di tipo 2 in quanto conducono l’informazione fino alle
cellule mitrali che possono essere considerate come neuroni sensitivi primari. Secondo altri però le
cellule recettrici sarebbero esse stesse neuroni sensitivi primari in quanto possiedono dei loro
assoni che poi effettivamente sinaptano con le cellule mitrali.
KAHOOT SUI RECETTORI GENERALI E DEI SENSI SPECIALI
1) NEI RECETTORI SENSORIALI IL MECCANISMO DI TRASDUZIONE DELLO
STIMOLO È AFFIDATO:
a) Solo a canali ionici
b) Solo a recettori metabotropici
c) A canali ionici e recettori metabotropici
Risposta: C, le cellule recettoriali possono avere sia recettori ionotropici che metabotropici
che li attivano.

2) VERO O FALSO? IL RECETTORE SENSORIALE PRODUCE UN SEGNALE


ELETTRICO DEL TIPO TUTTO O NULLA
Risposta: Falso, i recettori in genere servono per creare una sorta di depolarizzazione che poi crea
un potenziale recettoriale (o generatore) che non è un potenziale d’azione. Il potenziale generatore
di solito è un potenziale graduato che poi può spegnersi.
3) IL TIPO DI ENERGIA CHE ATTIVA IL RECETTORE SENSORIALE DIPENDE:
a) Dai recettori di membrana che possiede
b) Dalla sua posizione nel corpo
c) Dal suo campo recettoriale
Risposta: A, dai recettori di membrana che possiede; la presenza di determinati recettori
(chemocettori, termocettori etc) permette l’attivazione del recettore.
4) VERO O FALSO? IL POTENZIALE DI RECETTORE PUO’ FAR NASCERE UNO O
PIU’ POTENZIALI D’AZIONE SULLA MEMBRANA DEL RECETTORE STESSO
Risposta: Falso, perché potrebbe anche non far nascere nessun potenziale d’azione. Il potenziale di
recettore infatti è un potenziale graduato, quindi può far nascere uno o più potenziali d’azione ma
può anche non farne nascere nessuno. La risposta è falsa dunque perché non sempre si genera un
potenziale d’azione.
Opinione personale (ma anche di molti a lezione): La risposta della prof non ha molto senso, infatti
la risposta sarebbe stata falsa se sulla domanda ci fosse stato scritto “IL POTENZIALE DI
RECETTORE FA SEMPRE NASCERE UNO O PIU’ POTENZIALI D’AZIONE”, in tal caso infatti
la risposta sarebbe stata falsa dal momento che appunto non sempre si generano potenziali
d’azione. Ma dal momento che nella domanda viene presa in considerazione solo la possibilità che
essi si formino, cosa che ha confermato la prof stessa dicendo “il potenziale di recettore infatti è un
potenziale graduato, quindi si può far nascere un potenziale d’azione” allora la risposta risulta

179
vera. Di conseguenza ritengo che la prof abbia posto male la domanda o semplicemente abbia
giustificato male la domanda stessa.
Per chiarezza riporto un passaggio del Berne: “Quando uno stimolo attiva un recettore sensoriale,
dà l’avvio a un processo denominato trasduzione sensoriale, attraverso il quale le informazioni sullo
stimolo vengono convertite in segnali elettrici locali. Questi segnali locali sono chiamati potenziali
di recettore o potenziali generatori. I potenziali di recettore possono poi essere trasformati in
sequenze di potenziali d’azione che vengono condotti da una o più fibre al SNC.”
5) I RECETTORI SENSORIALI A LENTO ADATTAMENTO SONO IN GRADO DI
SEGNALARE
a) L’inizio e la fine di uno stimolo
b) La velocità di variazione dell’intensità dello stimolo
c) L’intensità di uno stimolo
Risposta: C, l’intensità dello stimolo, perché i recettori a lento adattamento sono recettori che
continuano a scaricare per tutta la durata dello stimolo pur riducendo la frequenza di scarica. I
recettori che scaricano all’inizio e alla fine sono infatti quelli a rapido adattamento. I recettori a
lento adattamento non ci danno nemmeno informazioni sulla velocità di variazione dello stimolo
ma sulla sua intensità (più lo stimolo è intenso e quindi prolungato nel tempo più il recettore
continua a scaricare), se l’intensità dello stimolo è alta essi avranno una scarica iniziale molto
alta e le successive lievemente più basse ma comunque abbastanza elevate. La frequenza di
scarica si riduce molto lentamente, per cui scaricano per tutta la durata dello stimolo.
6) VERO O FALSO? IL CAMPO RECETTIVO DI UNA FIBRA AFFERENTE
SENSORIALE DIPENDE DA QUELLO DEI RECETTORI SENSORIALI AI
QUALI FA CAPO.
Risposta: Vero, infatti le cellule gangliari (o neuroni sensitivi primari) hanno un campo recettivo
dato dalla somma dei campi recettivi di tutti i recettori che sinaptano con esse.
7) L’AMPIEZZA DEL POTENZIALE DI UN RECETTORE SENSORIALE DIPENDE:
a) Dalla durata dello stimolo adeguato che lo ha colpito
b) Dalla qualità dello stimolo che lo ha colpito
c) Dall’intensità dello stimolo che lo ha colpito
Risposta: C, dipende dall’intensità dello stimolo. Infatti l’ampiezza del potenziale di recettore
non dipende dalla durata dello stimolo in quanto esso potrebbe essere duraturo ma comunque
molto basso o duraturo e molto elevato, per cui la durata non ha una correlazione diretta con
l’ampiezza del potenziale che si genera, né tantomeno la qualità dello stimolo influisce
sull’ampiezza (Es. onda acuta o ottusa) ma è sempre l’intensità dello stimolo a determinare
potenziali generatori più alti o più bassi.
8) IL SOMA DEI NEURONI SENSITIVI SOMATICI DI PRIMO ORDINE È
CONTENUTO:
a) Nei gangli latero-vertebrali dei nuclei dei nervi cranici
b) Nei gangli spinali e nei gangli dei nervi cranici
c) Negli strati periferici della cute
Risposta: B, i corpi delle cellule gangliari si trovano nelle radici dorsali del midollo spinale o
nei gangli dei nervi cranici.

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9) VERO O FALSO? I RECETTORI TERMICI E DOLORIFICI SONO COSTITUITI DA
TERMINAZIONI NERVOSE LIBERE.
Risposta: Vero, gli altri recettori incapsulati quindi non-liberi sono i recettori del tatto. I recettori
dolorifici e termici normalmente sono terminazioni nervose libere.
10) LE FIBRE AFFERENTI DI TIPO Aδ SONO RESPONSABILI:
a) Del dolore lento
b) Del dolore rapido
c) Del tatto epicritico
Risposta: B, del dolore rapido, infatti le fibre Aδ sono mielinizzate e conducono l’informazione
velocemente (per cui lo stimolo dolorifico arriva rapidamente a essere elaborato nel SNC), le
fibre che trasportano il dolore lento sono invece le fibre C che sono infatti amieliniche e quindi
trasportano l’informazione più lentamente, il dolore lento ha bassa intensità e si avverte dopo
aver avvertito il dolore rapido, più acuto. Il tatto epicritico è invece caratterizzato da fibre Aα e
Aβ, esse sono fibre di grande diametro e mielinizzate, trasportano l’informazione tattile molto
velocemente.
11) VERO O FALSO? LA VISIONE SCOTOPICA È LA SENSAZIONE VISIVA CHE SI
HA A ILLUMINAZIONE AMBIENTALE BASSA PER MEZZO DEI
BASTONCELLI.
Risposta: Vero, il tipo di visione opposta è infatti quella fotopica, attiva in presenza di condizioni di
alta intensità luminosa per mezzo dei coni
12) CONI E BASTONCELLI STIMOLATI DALLA LUCE RILASCIANO:
a) Una grande quantità di neurotrasmettitore depolarizzandosi
b) Una grande quantità di neurotrasmettitore iperpolarizzandosi
c) Una piccola quantità di neurotrasmettitore depolarizzandosi
d) Una piccola quantità di neurotrasmettitore iperpolarizzandosi
Risposta: D, rilasciano una piccola quantità di neurotrasmettitore iperpolarizzandosi. Normalmente
a riposo sono depolarizzati e si iperpolarizzano quando vengono stimolati. L’iperpolarizzazione va
a diminuire la quantità di neurotrasmettitore rilasciata per cui rilasciano pochissimo
neurotrasmettitore. Quando arriva la luce la cellula si iperpolarizza, il Ca2+ smette di entrare
all’interno della cellula e così la cellula libera una piccola quantità di neurotrasmettitore rispetto a
quella che liberava precedentemente da depolarizzata.
13) VERO O FALSO? I RECETTORI UDITIVI SONO I NEURONI DEL GANGLIO
SPIRALE CHE INNERVANO LE CELLULE CILIATE INTERNE DELL’ORGANO
DEL CORTI
Risposta: Falso, infatti i recettori uditivi non sono neuroni gangliari primari ma cellule che
sinaptano con le cellule gangliari presenti nel ganglio spirale.
14) LE CELLULE CILIATE DEL SISTEMA VESTIBOLARE SI DEPOLARIZZANO
QUANDO:
a) Si hanno modificazioni dell’accelerazione angolare o lineare del capo
b) Sono colpite da stimoli sonori
c) Una sostanza chimica si lega alla loro membrana cellulare

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Risposta: A, si hanno modificazioni dell’accelerazione angolare o lineare del capo, il sistema
vestibolare è infatti legato all’equilibrio del nostro corpo e in particolare del nostro capo, i
recettori vestibolari non rispondo mai a stimoli sonori anche se i recettori sono sostanzialmente
identici, ossia cellule ciliate
15) VERO O FALSO? I SUONI A BASSA FREQUENZA PRODUCONO LA MASSIMA
OSCILLAZIONE NELLA PARTE BASALE DELLA MEMBRANA BASILARE
Risposta: Falso, i suoni a bassa frequenza infatti sono quelli che vengono percepiti meglio e quindi
producono il massimo spostamento delle ciglia nella parte più apicale della membrana basilare,
mentre i suoni ad alta frequenza producono una maggiore oscillazione delle ciglia presenti nella
parte più prossimale (alla finestra ovale) della membrana basilare.

IL MUSCOLO
Le cellule muscolari sono cellule in grado di trasformare energia chimica (ATP) in energia meccanica.
Nel corpo sono presenti tre tipologie di muscoli:
• Muscolo scheletrico
• Muscolo cardiaco
• Muscolo liscio
In tutti, la risposta ossia la contrazione è generata da due filamenti, actina e miosina, che avviene
esclusivamente in presenza di calcio.

IL MUSCOLO SCHELETRICO
Il muscolo scheletrico permette di svolgere compiti motori volontari e coscienti, controllati da
stimolazioni centrali. Tutti i muscoli scheletrici hanno funzionalità di coppia, quindi un muscolo
estensore sarà strettamente correlato a un muscolo flessore con funzione opposta l’una all’altra. Sono
uniti alle parti ossee attraverso i tendini. L’origine del muscolo è la parte più prossimale al centro del
corpo, la parte opposta è definita inserzione. È definito anche muscolo striato perché a livello
microscopico presenta la caratteristica conformazione che deriva dalla presenza di filamenti
all’interno della cellula che conferiscono il tipico aspetto a bande.

Struttura del muscolo scheletrico


Il muscolo è avvolto da uno strato connettivale
detto epimisio, il quale si continua alle estremità
con le strutture tendinee che permettono
l’ancoraggio del muscolo alle ossa. Il muscolo è
formato da fascicoli muscolari, avvolti a loro
volta da un altro strato connettivale definito
perimisio. Ogni fascicolo muscolare è formato
dall’insieme di fibre muscolari, ossia le cellule
muscolari vere e proprie. Le fibre muscolari
sono a loro volta rivestite da connettivo definito
endomisio. All’interno delle fibre muscolari
possiamo riconoscere le miofibrille. Le
miofibrille di ogni fibra presentano un’organizzazione specifica che ci permette di riconoscere la
striatura specifica del muscolo scheletrico.

182
Ogni miofibrilla è organizzata in unità funzionali: i sarcomeri.

Organizzazione del sarcomero


I sarcomeri sono formati da un intreccio di filamenti di actina e miosina.
La striatura del muscolo scheletrico è data dalla disposizione dei filamenti che è uguale in ogni
sarcomero.
Ogni sarcomero è contenuto tra due linee: le linee z.
Ai bordi di queste si trova la banda I, in cui sono presenti solo i filamenti di actina (più sottili dei
filamenti di miosina). Al centro del sarcomero si trova la banda A, ossia l’intreccio di filamenti spessi
di miosina e dei filamenti sottili di actina. Al centro della banda A è presente la banda H,
rappresentata da soli filamenti di miosina. Al centro della banda H si trova la linea M, rappresentata
dall’unione dei filamenti di miosina.

Ogni sarcomero è identico agli altri e sia sviluppano all’interno di tutta la lunghezza della fibra.

I filamenti funzionali sono actina e miosina, le quali modificando la loro conformazione


permetteranno la contrazione del muscolo. È necessario che nella miofibrilla sia presente il calcio per
permettere la contrazione. Il calcio si trova immagazzinato nel reticolo sarcoplasmatico.
Il reticolo sarcoplasmatico, attraverso invaginazioni della membrana forma i tubuli T, che si uniscono
(alle estremità del sarcomero) alle cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico, che sono
magazzini di calcio.
Il calcio viene liberato permettendo lo slittamento dell’actina sulla miosina in modo tale da
determinare come risposta finale la contrazione muscolare.
Il calcio, una volta terminata la contrazione, viene recuperato e riportato attraverso le pompe SERCA
all’interno del reticolo sarcoplasmatico (cisterne sarcoplasmatiche e tubuli T).

Organizzazione dei filamenti di actina e miosina


Miosina e actina sono proteine strutturalmente molto diverse ma tramite la loro interazione
permettono la contrazione muscolare.
- Miosina: è un filamento pesante con una struttura particolare formata da una coda e da due teste.
Coda: formata da due alpha eliche, rappresentano la parte leggera della proteina
Testa: catena pesante, strettirà che sarà in grado di interagire con Latina
- Actina: proteina più leggera della miosina e lineare. Formata da G actine (actina globulare) unite a
formare F actina (actina filamentosa). Non si trova mai libera ma sempre avvolta da altre due proteine
con funzione di controllo sull’interazione tra actina e miosina: troponina e tropomiosina.
Tropomiosina: proteina lineare avvolta attorno all’actina filamentosa
Troponina: proteina con tre domini che permette attraverso i legami con il calcio di spostare la
tropomiosina dall’actina liberando i siti di legame su cui la miosina andrà ad inserirsi.

183
Quando non c’è calcio a livello citoplasmatico: troponina e tropomiosina si trovano avvolte
all’actina. Quando è presente il calcio, questo si lega al sito di legame per il cacio della
troponina (la subunità C). La subunità C modifica la sua conformazione trascinando la subunità T
legata alla tropomiosina, determinando lo spostamento della tropomiosina e la conseguente
liberazione del sito di legame dell’actina per le teste della miosina.

Oltre a queste ci sono altre proteine strutturali e di controllo per il mantenimento del sarcomero:
• alfa actinina: mantiene in sede i filamenti di miosina ancorandoli a livello della linea Z.
• distrofina: perde funzionalità in caso di distrofia muscolare. Mantiene tutta la struttura del
sarcomero fissandolo al sarcolemma. La mancanza di questa proteina determina la perdita di
ordine della struttura della fibra, impedendo dunque lo sviluppo della contrazione e del
movimento.

184
Controllo delle fibre muscolari
Le fibre muscolari sono controllate dal SNC. Il SNC
a livello delle cortecce motorie crea le vie
discendenti di controllo motorio, il cui attore finale
è rappresentato dal motoneurone alpha.
Il motoneurone alpha è una cellula nervosa presente
nelle radici ventrali del midollo spinale, le cui fibre
uscenti vanno a far sinapsi con le cellule muscolari
scheletriche tramite le giunzioni neuromuscolari.
Il neurotrasmettitore è l’acetilcolina.
Per unità motorie si intendono tutte le cellule
sinaptate da un singolo motoneurone alpha. Tutte le
fibre di un unita motrice si contrarranno
contemporaneamente.
Le unità motorici possono essere formate da un numero diverso di cellule muscolari e hanno
caratteristiche differenti, legate alle diverse caratteristiche delle fibre. Avremo unità motrici veloci
con funzionalità veloce, e unità motrici più lente con capacità metabolica differente.

Contrazione muscolare
Il motoneurone riceve informazioni dalle cortecce motorie attraverso vie discendenti. Il motoneurone
libera acetilcolina a livello della giunzione neuromuscolare.
L’acetilcolina determina sempre l’insorgenza di potenziale d’azione, perché è un comando dettato
dalla volontà. Tutte le informazioni che arrivano alla giunzione neuromuscolare di un muscolo
scheletrico generano una risposta motoria.

Il potenziale d’azione dei muscoli scheletrici è molto veloce, nell’ordine dei millisecondi (5-6, non
più di 10 ms), a differenza delle cellule della muscolatura cardiaca che generando potenziali dalla
durata di anche 200 ms. Il potenziale d’azione libera acetilcolina che si lega ai recettori postisinaptici
sulla fibra muscolare e si crea un potenziale d’azione che decorre lungo la mamebrana della cellula
muscolare.
Questo potenziale determina la liberazione di calcio. La concentrazione di calcio intracellualare deve
aumentare per permettere la contrazione. Se non c’è calcio l’interazione tra actina e miosina non
avviene e quindi neanche la contrazione.

Il motoneurone libera acetilcolina, i recettori nicotinici a livello muscolare determinano una


depolarizzazione che crea potenziale d’azione sul sarcolemma. Il potenziale decorre sul sarcolemma
e attiva recettori specifici per rianodina e di-idropiridina, i quali si trovano collegati tra loro da ponti
proteici sui tubuli T. Una volta che il potenziale arriva al tubulo T, attiva questi recettori
determinando:
1. ingresso di ioni calcio dallo spazio extracellulare,
2. la liberazione di una grande quantità di calcio nel citoplasma. Il recettore della rianodina è
direttamente legato alle cisterne del reticolo sarcoplasmatico, quindi determina l’apertura di
canali sulla cisterna terminale del reticolo sarcoplasmatico che inducono la liberazione di
calcio.
Quindi si ha una variazione enorme di concentrazione di calcio.

185
Nel grafico:
-Linea rossa verticale: è il potenziale d’azione a seguito della liberazione di acetilcolina (evento molto
veloce, non più di 5/10 ms)
-Linea tratteggiata: quantità di calcio che si libera a seguito del potenziale d’azione dalle cisterne e
dallo spazio extracellulare.
-Linea blu: forza della contrazione, se la contrazione è singola prende il nome di scossa, rappresenta
lo slittamento della miosina sull’actina.

Il potenziale d’azione indotto dalla stimolazione può essere singolo o una scarica di potenziali
d’azione, seguendo i ritmi dei periodi refrattari, che determinano una contrazione prolungata nel
tempo. Quando la frequenza di scarica del motoneurone alpha è tale da determinanre una contrazione
che si mantiene per un certo periodo di tempo a un plateau di forza, si definisce contrazione tetanica.
Un tetano muscolare (NON inteso come malattia!), generato delle cellule muscolari striate è una
risposta ad una frequenza di scarica di potenziali d’azione particolarmente intensa, che determinano
una contrazione del muscolo che si mantiene nel tempo. Il tetano può essere considerato completo o
incompleto a seconda se tra il primo potenziale d’azione e quelli successivi ci sia una riduzione della
forza della contrazione.
- Il tetano completo è quando la forza si mantiene ad un plateau perché la forza raggiunge il massimo.
- Se la frequenza dei potenziali d’azione si riduce, la massima forza potrebbe essere una linea
sinusoidale e il lieve recupero tra un picco di potenziale nazione e l’altro da vita al tetano incompleto.

Recupero del calcio


Il calcio usato in una contrazione viene poi recuperato e riutilizzato per le successive. Per fare ciò
viene impiegata la pompa SERCA, la quale pompa il calcio nelle cisterne terminali.
Una serie di proteine di controllo sono in grado di controllare la presenza nelle cisterne terminali e la
liberazione del calcio stesso nella porzione intracellulare.

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Il potenziale decorre lungo il sarcolemma e lungo i tubuli T, il recettore di di-idropiridina modifica
la conformazione e i recettori della rianodina e permettono l’entrata di calcio. Il calcio è necessario
per la contrazione muscolare, data dallo scorrimento della miosina sull’actina.
A riposo la troponina è legata alla tropomiosina che si avvolge sul filamento di actina. L’actina è
separata dalla miosina perché non c’è sufficiente calcio per permettere l’interazione.
Quando la concentrazione del calcio è sufficiente, Ca2+ si lega alla troponina modificandone la
conformazione permettendo la liberazione dei siti di legame per la miosina. La testa della miosina si
può dunque legare all’actina.
- Quando la concentrazione di calcio è bassa: il legame tra actina e miosina è debole e può essere
facilmente spezzato
- Quando c’è tanto calcio: il legame è particolarmente forte e ci permette di utilizzare ATP per
generare lo slittamento per accorciare la fibra e quindi generare contrazione.
Ogni troponina, per determinare lo spostamento della tropomiosina, si deve legare a 4 ioni Ca2+, per
questo motivo la quantità di ioni calcio all’interno della cellula deve essere elevata.

Ciclo di contrazione muscolare


L’interazione tra actina e miosina prende il nome di ciclo dei ponti traversi.
Ciò che è di estrema importanza per la contrazione muscolare è:
• La presenza di calcio
• Idrolisi di ATP per determinare lo spostamento della testa di miosina sull’actina tramite lo
scatto

Il ciclo è suddiviso in 4 fasi

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1. Fase di riposo: nella cellula non c’è sufficiente presenza di calcio che permetta alla cellula di
iniziare la contrazione. In questa fase, in alcuni casi le teste di miosina sono legate all’actina tramite
un legame debole, la massima parte delle teste invece non è legata all’actina. Nella testa di miosina è
presente un ATP moderatamente idrolizzato.

2. Dopo l’entrata del calcio si libera il sito di legame della troponina per la tropomiosina, liberando i
siti di legame dell’actina per la miosina.

3. Viene liberato il fosfato inorganico nella testa della miosina con conseguente rilascio di energia.
Per ogni ATP idrolizzato si libera energia sufficiente per determinare lo spostamento della testa della
miosina lungo lattina determinando lo scatto.

4. Terminato questo processo la miosina si scarica dell’ADP e del fosfato inorganico e torna nello
stato di riposo.

La fibra a riposo recupera una molecola di ATP all’interno della testa della miosina. Viene
parzialmente idrolizzato e si torna così nella fase iniziale del ciclo.
Durante una contrazione muscolare questo ciclo si sviluppa un miliardo di volte: le teste di miosina
scorrendo sul filamento di actina generano una riduzione della lunghezza della fibra muscolare.
Una contrazione muscolare determina, a seconda dell’intensità, un accorciamento evidente quindi
necessariamente questo ciclo si svilupperà per un numero elevato di volte in grado di permettere un
accorciamento apprezzabile macroscopicamente.
Quando manca ATP (in caso di morte) la testa di miosina rimane legata ai siti di legame dell’actina
e si genera il rigor mortis: i muscoli rimangono contratti perché non c’è più la possibilità di staccare
le teste di miosina dall’actina.

Chiarimento in seguito a domanda:


Il ciclo non è mai fermo, quindi fase 5 e fase 1 sono la stessa cosa.
ATP che entra nella miosina viene subito idrolizzata perché i nostri muscoli scheletrici mantengono
una contrazione di base che viene definita tono basale generato da questo tipo di meccanismo ma
richiede una quantità ridotta di ATP. Quando si attiva una contrazione muscolare tutta la miosina
delle fibre coinvolte entra nel ciclo dei ponti trasversi.

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Fisiologia, lezione numero 16 del 16/11/2021
Sbobinatori: Peter Vetricini, Giulia Villa
Revisore: Riccardo Panevino

CICLO DEI PONTI TRASVERSALI


Riprendendo il ciclo dei ponti
trasversali, ovvero quei legami che ci
permettono di definire la contrazione
muscolare, ciò che permette questa
contrazione è la concentrazione di
calcio all’interno della nostra cellula:
finché la concentrazione non supera gli
0,1 micromolare, la contrazione
muscolare non avverrà mai. È
necessario quindi l’aumento di tale
concentrazione per l’attivazione di
tutto questo meccanismo. Lo
slittamento dei filamenti di miosina
sull’actina è un meccanismo regolato,
anche dal punto di vista strutturale,
proprio perché i due filamenti sono
integrati gli uni con gli altri per
formare una struttura esamerica in cui ogni singolo filamento è circondato dall’altro: 1 filamento di
actina è circondato da 4 filamenti di miosina, mentre 1 filamento di miosina è circondato da 6
filamenti di actina.
Sui due libri consigliati c’è scritta una cosa diversa rispetto al movimento della testa di miosina: nel
Berne-Levy è indicato che il riposo della testa di miosina è generato dall’idrolisi dell’ATP che si lega
ad essa.
In realtà quando si ha la contrazione e la miosina slitta permette di spostare l’actina, ADP e Pi
vengono liberati dalla testa della miosina determinando un’alta concentrazione di energia che
permette un movimento di quest’ultima. La miosina ha un’affinità altissima per l’ATP quindi non
può rimanere per molto tempo senza di esso. Quindi l’ATP (che è sempre presente nella cellula) si
lega alla testa della miosina molto velocemente causando il rilassamento della testa e il ritorno alla
posizione iniziale. Quindi a seguito del legame dell’ATP avviene un’idrolisi che però non è la causa
di questo meccanismo. Questo meccanismo continua finché c’è una certa quantità di Ca++ che
permette il proseguimento della contrazione, quindi un’eventuale diminuzione della concentrazione
di calcio causerebbe un’inibizione della contrazione muscolare. Tale concentrazione è generata dalle
pompe SERCA presenti sul reticolo sarcoplasmatico che recuperano il calcio presente nello spazio
intercellulare. Nel muscolo scheletrico le cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico insieme al
tubulo T che penetra all’interno del sarcomero, formano la triade: due cisterne comunicano con un
singolo tubulo T. Nel muscolo cardiaco la triade diventerà invece una diade.

190
TIPOLOGIE DI FIBRE E UNITA’ MOTRICI
Tutte le volte che si ha lo spostamento della miosina sull’actina, si crea un accorciamento del
sarcomero di soli 10 nm ma che se ripetuto nel tempo può portare anche ad un accorciamento di
centimetri. La funzionalità delle masse muscolari è differente a seconda delle fibre che formano i
nostri muscoli e nel nostro corpo sono presenti 2 gruppi particolari di fibre scheletri:
• Fibre di tipo I
• Fibre di tipo II
Le due fibre hanno una funzionalità differente nella loro velocità di contrazione ma uguale meccanica.
Le fibre di tipo I sono anche definite fibre lente mentre il tipo II sono definite veloci. Tra le due
cambia la velocità di risposta ad uno stimolo generato dal motoneurone alfa e quindi la velocità di
scorrimento delle fibre.
Le fibre di tipo II ha 2 sottogruppi:
• IIA
• IIB
N.B: La seguente tabella è presa dal Berne Levy ma per un errore di stampa le fibre IIA e IIB sono
invertite. Qui è riportato l’ordine corretto
Tipo IIA: Tipo IIB:
rapida glicolitica rapida ossidativa

Le fibre di tipo II quindi hanno una velocità di contrazione molto veloce e sono distinte in tipo A e
tipo B. Nell’uomo il tipo B è poco presente ed è più tipico degli animali mentre nell’uomo è presente
un altro tipo definito X che ha le caratteristiche intermedie tra A e B.
Domanda: Si può sostenere che la contrazione muscolare dipende unicamente dal calcio
considerando che ATP è sempre presente nella cellula?
Risposta: Si, se non c’è calcio la contrazione non avviene.
Le fibre tipo I sono lente (alcuni ms) con un metabolismo di tipo ossidativo e sono le fibre definite
rosse. Quest’ultime hanno una concentrazione elevata di capillari e sono ricche di mioglobina
(proteina simile all’emoglobina con capacità di trasportare ossigeno).
Le fibre di tipo II hanno una capacità di contrazione molto più rapida, un metabolismo
prevalentemente glicolitico, la capacità di sviluppare una gran quantità di forza in brevissimo tempo
ma possono affaticarsi (a differenza delle fibre di tipo I). Sono fibre attivate per contrazioni di breve
durata che devono sviluppare una gran forza mentre quelle di tipo I sono utilizzate per contrazioni
prolungate in quanto non si affaticano. Le fibre di tipo II sono anche definite bianche perché sono

191
meno vascolarizzate e presentano meno mioglobina. Le fibre di tipo IIA hanno un metabolismo
ossidativo, ma sono meno presenti rispetto le fibre IIX.
A seguito di una domanda viene precisato che le fibre X sono presenti solo nell’uomo
Tante fibre sinaptate da un unico neurone formano le unità motrici che, in base al tipo di fibre che
le costituiscono, sono divise in:
• Tipo I
• Tipo II

Le unità motrici rispecchiano le


caratteristiche delle fibre che le
compongono. In base a cosa una fibra
diventa lenta o veloce? Dipende,
durante l’embriogenesi, dalla presenza
di un innervazione differente. I
motoneuroni alfa non sono tutti
uguali, ma hanno grandezze differenti
e un quantitativo diverso di
neurotrasmettitori.
Le fibre sinaptate dai motoneuroni alfa
grandi, con una quantità di acetilcolina
elevata, diventeranno di tipo I. Sennò
diventano di tipo II.
I due tipi di unità motrici hanno anche
un numero di fibre differenti: quelle di tipo I (più lente ma non affaticabili) sono formate da un numero
di fibre piuttosto piccolo mentre quelle di tipo II sono costituite da molte più fibre. Esistono anche
muscoli misti che contengono entrambi i tipi di fibre e sono reclutati per funzioni diverse. I muscoli
rispecchiano le caratteristiche delle fibre che li costituiscono e un esempio di muscoli formati da fibre
di tipo I sono quelli antigravitazionali. Essi sono costantemente contratti senza affaticarsi, ma non
devono sviluppano molta forza. I muscoli misti invece si affaticano lentamente e sono anche in grado
di sviluppare una forza maggiore.
Domanda: nell’uomo le fibre di tipo B è poco presente perché non più funzionale?
Risposta: le fibre sono state inizialmente studiate negli animali ma nell’uomo sono state trovate solo
fibre simili alle IIB mentre le IIB identiche sono pochissime. Non tendono a scomparire ma ce ne
sono solo molto meno rispetto alle IIX le quali però spesso identificate con le IIB

192
DIFFERENZA DEL METABOLISMO NELLE FIBRE

Per quanto riguarda il metabolismo delle fibre, esso può essere ossidativo o glicolitico/anaerobico.
Quali sono le vie metaboliche interessate? La glicolisi (anaerobiche) e le vie ossidative (con ossigeno)
rappresentate dalla fosforilazione ossidativa e dal ciclo di Krebs. La risposta finale è data dalla
produzione di ATP che viene usato per: la contrazione (innescando il ciclo dei ponti trasversali),
attivare la pompa SERCA e che può, insieme alla creatina, formare la fosfocreatina. Quest’ultima è
all’interno delle fibre e può essere usata come fonte di energia per la contrazione muscolare. Queste
vie metaboliche creano sostanze di scarto, come l’acido lattico, a cui si attribuisce l’affaticamento e
dolore muscolare. In realtà non è proprio così. L’affaticamento muscolare è un evento generato dalla
riduzione dei substrati necessari per la contrazione muscolare presenti nel nostro muscolo. Quindi
l’affaticamento è causato da una ridotta concentrazione di glicogeno e di fosfocreatina. Il substrato si
riduce ad ogni ciclo e ciò causa l’affaticamento vero e proprio. Esiste anche l’affaticamento mentale
che non riguarda la concentrazione dei substrati ma è solo una questione mentale. In alcuni casi, per
nostra volontà, si è in grado di utilizzare dei substrati che solitamente non vengono utilizzati per tale
scopo (come i corpi chetonici). Così si va incontro ad affaticamento ma si continua a mantenere la
contrazione grazie a quest’altri substrati. Quindi il cervello non tiene conto della riduzione dei
substrati che sta avvenendo nei muscoli e continua a mantenere la contrazione. Quindi va distinta la
fatica fisiologica (riduzione del substrato) dalla fatica mentale. Il dolore è comunque legato in parte
all’acido lattico in quanto causa una lieve dolore, ma il dolore protratto, che si prolunga
successivamente alla contrazione, prende il nome di DOMS e non dipende dall’acido lattico. Questo
infatti viene recuperato a livello epatico e trasformato in glucosio per dare nuovo glicogeno. Se quindi
il dolore è protratto si parla di DOMS ed è causata da un danneggiamento della membrana cellulare
delle cellule muscolari, che determina la fuoriuscita di sostanze dalla cellula che causano
un’infiammazione.
Domanda: un allenamento in apnea è collegabile in qualche modo all’affaticamento mentale? (non
ben udibile)

193
Risposta: bisogna distinguere l’ossigeno a livello muscolare che permette il metabolismo ossidativo
e l’ossigeno circolante nel flusso sanguigno che è rilevato dai recettori a livello centrale. Sono
meccanismi diversi: con un allenamento in apnea i muscoli attivati devono usare poco ossigeno
(quindi evitare la via ossidativa), mentre nell’affaticamento mentale vengono usati dei substrati che
creano prodotti potenzialmente nocivi. La mente può non considerare anche l’affaticamento di un
muscolo anaerobico e quindi svolgere una contrazione ma fine ad un certo punto. Infatti quando
l’ossigeno si riduce anche a livello vascolare, non si può più sviluppare una contrazione in quanto
l’ossigeno è richiamato a livello cerebrale e cardiaco. Vengono quindi usate vie alternative con
diverso metabolismo non comunemente utilizzato (es. i grassi durante le maratone).
Quale tipologia di fibre vengono per prime attivate/reclutate in un movimento qualsiasi? Ovviamente
vengono sempre attivate entrambe le fibre, ma per tutelare l’organismo e quindi attuare dei controlli
nelle strutture esterne, vengono reclutate sempre prima le fibre lente. È vero che queste sviluppano
poca forza ma intanto iniziano ad attivare una contrazione muscolare. Se invece c’è bisogno di
utilizzare capacità differenti, il cervello (non conscio di ciò) va ad attivare inizialmente le fibre lente
(che possono contrarsi per più tempo) poi va ad attivare le fibre di secondo tipo che generano una
forza molto ampia mentre quelle lente sono ancora attive in base alle necessità.
Domanda: Le fibre bianche vengono mai attivate per prime?
Risposta: No, le fibre lente vengono attivate sempre per prime e poi se non necessarie vengono
silenziate mentre vengono attivate quelle veloci.
Domanda: Per quanto riguarda i riflessi invece?
Risposta: I riflessi motori sono molto diversi e non sono controllati dalle strutture corticali. Il riflesso
vero e proprio non è controllato dal SNC e il circuito di movimento avviene a livello del midollo
spinale. Il riflesso comunemente inteso (ad esempio alzare una mano per bloccare una palla in faccia)
è un meccanismo di controllo corticale e quindi si attivano comunque le fibre di tipo I poi le II. Questo
perché NON è un riflesso motorio .

Ogni unità motoria ha le proprie caratteristiche e il sistema di controllo motorio è in grado di attivare
quelle specifiche unità che ci permettono di attuare il nostro compito motorio. Le unità motorie che
hanno un controllo più fine del movimento sono quelle lente, mentre quelle rapide possono sviluppare
una gran forza. Le unità motorie lente sono quelle che possono essere più controllate dal punto di
vista corticale.

194
STIMOLAZIONE DELLE FIBRE
Tutte le volte che si genera
una contrazione muscolare
si da vita ad una scossa:
ovvero una singola
contrazione muscolare che è
la riposta di un singolo
potenziale d’azione.

Nell’immagine: linea rossa è rappresentata la quantità di calcio presente; linea blu: forza sviluppata
dalla contrazione.
A sinistra è presente una singola scossa con un potenziale d’azione che fa entrare una grande quantità
di calcio che determina lo sviluppo di una forza.
Se i potenziali d’azione si ripetono nel tempo, si può andare incontro ad un fenomeno definito tetano
che consiste nel mantenimento di una contrazione muscolare nel tempo. (N.B non è il tetano
patologico che inibisce la disattivazione del ciclo dei ponti trasversali e quindi fa rimanere i muscoli
contratti causando morte per soffocamento). Si può parlare di tetano incompleto o completo in base
al fatto che tra un potenziale d’azione e l’altro ci sia un certo intervallo che permette di ridurre la
concentrazione di calcio all’ interno della cellula. In questo caso il tetano incompleto è rappresentato
dalle curve centrali dell’immagine soprastante: la forza del nostro muscolo aumenta ad ogni
potenziale d’azione. È una sorta di sommazione simile a quella che avviene nelle cellule neuronali.
Infatti va anche tenuto in considerazione il periodo refrattario delle cellule muscolari. Se si generà
una frequenza di scarica tale per cui il periodo refrattario viene mantenuto con la giusta tempistica,
la concentrazione di calcio potrebbe arrivare anche ad un plateau che determina un tetano completo
(la curva più a destra nell’immagine). Col tetano completo, il muscolo è in grado di sviluppare la sua
massima potenza/forza per un certo periodo. La durata del tetano dipende dalla quantità di calcio
presente all’interno della cellula. Il tetano sviluppa una forza diversa in base al tipo di fibra in cui
esso avviene: nel tipo I la forza è minore rispetto al tipo II.

TIPO DI CONTRAZIONE
Durante il meccanismo di contrazione muscolare,
possiamo considerare due tipi di versi di contrazione:
• Contrazione isometrica (a)
• Contrazione isotonica (b)

La contrazione isometrica (a) è una contrazione in


cui si sviluppa una certa forza ma la lunghezza rimane
identica (o quasi). Il muscolo non si accorcia in realtà
perché lo slittamento viene tamponato dalla struttura
elastica tendinea del muscolo stesso. Questa
contrazione permette di sviluppare forza ma non di
creare lavoro (non c’è spostamento). Es: tenere
sospeso un peso fermo.

195
Se invece si decide di sollevare un peso si va ad attuare una contrazione isotonica (b) in cui
il muscolo va incontro ad accorciamento, cambiando la lunghezza della massa muscolare
stessa. Però in questo caso la forza viene mantenuta costante.
Questi due meccanismi avvengono continuamente nei muscoli scheletrici: la contrazione
isometrica solitamente avviene in un muscolo costituito da fibre di tipo I, che rimangono
contratte nel tempo, e svolge un compito antigravitazionale.
Per studiare questo tipo di contrazione sono state usate delle fibre muscolari animali e ne sono
stati analizzati i parametri biofisici che possono cambiare all’interno di tale fibra (come
riportato nell’immagine sopra). Per analizzare uno dei due parametri (lunghezza o
forza/tensione) basta tenere costante un parametro ed analizzare l’altro, riportando il tutto su
dei grafici tensione-lunghezza.
Andiamo ad analizzare i grafici relativi alla relazione tra la tensione sviluppata nel muscolo e la sua
lunghezza.

Si effettuano delle analisi attraverso un apparato con una singola fibra muscolare in cui viene appesa
una determinata massa e da qui è possibile registrare sviluppo di una forza piuttosto che misurare
l’allungamento della fibra stessa. Ovviamente dobbiamo considerare questo tipo di relazione in due
momenti diversi:
- il primo momento è quando la fibra agisce in modo passivo ad una tensione, quindi attacco
semplicemente un peso alla mia fibra che non è in contrazione e vediamo come si allunga.
- Il secondo momento è una relazione legata all’attivazione della fibra, cioè in una fibra che ha
una determinata lunghezza innesco il meccanismo della contrazione e vedo quale tipo di
tensione è in grado di sviluppare.
I grafici sono rappresentati da questa linea nera e questa linea rossa. La linea nera è la relazione che
intercorre tra la lunghezza della fibra e la tensione applicata in modo passivo; si tratta di una fibra a
riposo, alla quale applichiamo un peso che va via via crescendo e vediamo come si modifica la
lunghezza della fibra. All’inizio appena si collega il peso alla fibra muscolare ci sarà una tensione
passiva che andrà ad opporsi al peso attaccato alla fibra, quindi la lunghezza della fibra tenderà ad
aumentare, appunto perché siamo in una struttura passiva, non è una situazione di contrazione. La
lunghezza aumenta con un andamento che all’inizio è abbastanza leggero (non tanto pendente come
grafico), poi aumentando la quantità di peso che attacchiamo alla fibra muscolare, la lunghezza della
nostra frazione tenderà ad aumentare, fino ad arrivare a un livello massimo oltre il quale
necessariamente non si sarà più in grado di andare per una questione di struttura anatomica della fibra
muscolare.
Quindi l’angolo di rapporto lunghezza-tensione che si sviluppa in una fibra muscolare passiva è
questo: una fibra che tende ad allungarsi all’aumentare della tensione che viene applicata alla fibra
con un andamento che all’inizio è più lento rispetto a quello che si sviluppa quando la forza che si

196
applica aumenta. Questo L0 è il punto di riposo o di equilibrio della fibra, in cui il lavoro non esiste
(lavoro=0), quindi la fibra è nella fase di riposo estremo. È un punto che non si trova sull’asse del
grafico. Il punto che è sull’asse del grafico è definito come lavoro d’equilibrio. Il lavoro d’equilibrio
è il lavoro che si sviluppa in una fibra estratta da un muscolo in cui non ci sono i tendini che lo
tengono in tensione. Quindi il lavoro d’equilibrio è il punto in cui la nostra fibra estratta dalla massa
muscolare generale, è proprio all’equilibrio perché non ha nessun tipo di tensione che la mantiene.
Invece il punto L0 è da considerare come il punto di equilibrio di tutta la massa muscolare in cui ci
sono i tendini invece che tengono la massa muscolare in una situazione ben definita.
Il grafico della relazione lunghezza e tensione che si sviluppa quando la fibra è attiva, quindi quando
è in grado di contrarsi, è molto diverso rispetto a quella passiva. Siamo ad una determinata lunghezza
della fibra, che è una lunghezza generata dalle caratteristiche della fibra stessa, perché non tutti i
filamenti di miosina e di actina presenti all’interno dei sarcomeri saranno posizionati nello stesso
modo. Ci saranno filamenti di actina e di miosina che sono in parte sovrapposti gli uni agli altri, o in
parte molto distanti gli uni dagli altri con una sovrapposizione minima. Questo punto di attivazione è
differente a seconda di quanto miosina e actina sono sovrapposte le une alle altre. Il sarcomero della
fibra muscolare avrà anche una lunghezza diversa. La contrazione della fibra muscolare inizia quando
questa si contrae e genera una forza, questo lo si vede perché la tensione che si sviluppa inizia a
crescere, finché non si arriva a un punto massimo oltre il quale la fibra non è in grado di andare. A
quel livello succede che la fibra si arrende alla contrazione perché non è più in grado di mantenere
quella tensione per un certo tempo, così va in contro a una arresa: la fibra si allunga perché non siamo
più in grado di mantenere la contrazione di quel tipo di fibra.
Questo succede ad esempio quando dobbiamo sollevare un peso: vogliamo sollevare un peso
particolarmente grande, quindi iniziamo quella che è la contrazione muscolare che ci permette di
sviluppare una forza o una tensione che è in grado di sollevare in parte il peso, quindi le fibre saranno
attivate per quel tipo di contrazione. Se la massa che vogliamo sollevare è troppo alta rispetto alla
capacità e alla tensione che è in grado di sviluppare la nostra fibra muscolare, questa semplicemente
cede, perché altrimenti rischia la rottura. Quel cedimento porta all’allungamento della fibra, perché
non siamo più in una situazione di contrazione.
Per cui i grafici che mettono in relazione tensione e lunghezza nelle nostre fibre muscolari sono
diversi a seconda della caratteristica della fibra muscolare, rappresentata da una situazione passiva
dove semplicemente si mette un peso sulla fibra muscolare e si vede come reagisce, o una situazione
di attività in cui la fibra genera essa stessa ad una determinata lunghezza una certa contrazione
muscolare.
La relazione totale è rappresentata da questa riga che è un po’ rosso e un po’ nero e semplicemente è
la somma dei due grafici.
In realtà questa relazione è una relazione molto specifica per qualunque muscolo che prendiamo in
considerazione, i muscoli hanno caratteristiche assolutamente diverse, per cui a seconda delle
caratteristiche del muscolo e della forza che è in grado di sviluppare la contrazione di quel particolare
muscolo avremo un grafico diverso.
Questo è un grafico generale, ma ci sono anche grafici muscolari legati al rapporto tra lunghezza e
tensione che sono diversi rispetto a questo.
In questo grafico c’è scritto “normale ambito di lavoro” che è questa piccola parte di lunghezza della
nostra fibra che ci permette di sviluppare il massimo della forza o della tensione a seguito di
un’attivazione della fibra muscolare. È generato dalla sovrapposizione tra i filamenti di actina e di

197
miosina. Actina e miosina si trovano in situazioni molto variabili, situazioni che possono determinare
una sovrapposizione abbondante oppure una sovrapposizione quasi inesistente. Se ci troviamo in una
situazione in cui actina e miosina sono appena sovrapposte le une alle altre, la capacità della fibra
muscolare di contrarsi e di generare un’ampia forza sarà bassissima, perché servirà una quantità
enorme di slittamenti di actina e miosina per permettere l’accorciamento della fibra muscolare.
Quindi più actina e miosina sono distanti tra di loro, meno il nostro muscolo sarà in grado di generare
una contrazione che svilupperà una forza ampia.
C’è una posizione ideale tra sovrapposizione di actina e miosina in cui la fibra muscolare genera il
massimo della forza, se i nostri muscoli si trovano sempre in questa situazione in cui miosina e actina
sono sovrapposti quasi per il 50%, in quella situazione i nostri muscoli saranno sempre in grado di
generare una contrazione muscolare che sviluppa una forza molto intensa.
La generazione di un’intensità di tensione dipende dal grado di sovrapposizione di actina e miosina
che genera quel meccanismo di ciclo di ponti trasversali che permette la riduzione della fibra
muscolare. Quindi questo normale ambito di lavoro è quello in cui le nostre fibre sono in grado di
accorciarsi maggiormente e di dar vita alla maggior intensità di forza.

In questa immagine si vede un meccanismo di contrazione muscolare generata dal sollevamento di


un peso. In generale quando sviluppiamo una contrazione muscolare non si tratta mai di una
contrazione solo isometrica o di una contrazione solo isotonica, ma di un insieme delle due.
Si pensi al sollevamento di un peso: c’è il bilanciere per terra, lo afferriamo con le mani e cerchiamo
di sollevarlo. Per cercare di sollevarlo la prima cosa che dobbiamo fare è sviluppare una forza che sia
almeno pari al peso del bilanciere: questa forza è generata da una contrazione isometrica si sviluppa
una forza che deve superare il peso del bilanciere per sollevarlo, altrimenti non sarò mai in grado di
sollevarlo. Quindi al punto zero, prendo il peso e si sviluppa una contrazione isometrica che genera
un certo tipo di forza che crea un determinato tipo di accorciamento nel muscolo. In realtà nella
contrazione isometrica l’accorciamento è minimale, quasi nullo. Quando ho superato con la
contrazione isometrica il peso del bilanciere e vado a sollevarlo, a quel punto la contrazione si
trasforma da isometrica a isotonica, in cui avrò un accorciamento molto ampio della mia massa
muscolare, e la generazione di una tensione particolarmente elevata. Quella tensione si manterrà nel
tempo se voglio tenere sollevato il bilanciere e sarà pari alla somma della tensione sviluppata per
raggiungere il peso del mio bilanciere e la tensione sviluppata per sollevarlo. Quindi sarà una somma
di tensioni generata da una contrazione prima isometrica e poi isotonica. Dopo di che non restiamo
con il bilanciere sollevato per un’ora, ma lo riabbassiamo e succede esattamente il contrario: si riduce
lo sviluppo della tensione muscolare e si riduce la contrazione con un rilasciamento prima isotonico
e poi isometrico. Questo succede in una contrazione di una massa muscolare come potrebbe essere il

198
bicipite del nostro braccio, non c’è mai solo una contrazione isometrica o solo isotonica, è un mix di
entrambe le contrazioni.

L’ultimo grafico che analizziamo è legato alla velocità della contrazione della nostra fibra rispetto ad
una forza che viene sviluppata. Nel momento in cui il nostro muscolo è a riposo, quindi siamo a
lavoro pari a zero, la velocità che il muscolo può sviluppare per raggiungere una forza è massima.
Ovviamente le nostre fibre sono assolutamente a riposo e non ci sono già dei ponti trasversali attivati.
Entra una certa quantità di calcio, tutte le miosine del nostro muscolo si legano all’actina e iniziano a
fare la contrazione e iniziano a creare una contrazione muscolare. La velocità che si sviluppa in questo
momento è la velocità massima (Linea nera), che tende a ridursi aumentando il carico (quindi
aumentando la tensione). Stesso esempio del bilanciere: se il muscolo è a riposo la contrazione che
deve scattare all’inizio del sollevamento pesi è una contrazione che sviluppa una forza con una
velocità elevatissima, al di là dei gruppi di fibre che vengono attivati quindi di tipo 1 o tipo 2. Qui si
riesce a sviluppare una forza molto elevata perché certo verranno attivate fibre di tipo 1, ma
soprattutto verranno reclutate con l’avanzare del mio lavoro fibre di tipo 2.
Quindi si sviluppa una forza elevata, la velocità di sviluppo di quella forza tenderà a ridursi
aumentando il peso che voglio sollevare, perché il muscolo avrà una soglia oltre il quale non è più in
grado di sviluppare tensione per poter sollevare il peso.
Aumentando la tensione si va incontro a una riduzione di quella che è la velocità di accorciamento
del nostro muscolo, quindi la velocità di contrazione, fino ad un punto massimo dove la tensione è
massima e il muscolo non è più in grado di mantenere la tensione, e così la fibra andrà incontro a un
allungamento che ha una velocità che diventa quasi negativa.
Esistono meccanismi di controllo di questi fenomeni di sviluppo di tensione rispetto alla lunghezza
della fibra muscolare, e di variazione della velocità di contrazione rispetto sempre alla tensione che
viene sviluppata dalla forza applicata alla fibra muscolare. Questi grafici servono per valutare la
funzionalità delle fibre muscolari.

199
MUSCOLO CARDIACO

Il muscolo cardiaco è un muscolo striato anche se a controllo involontario. È formato da fibre


identiche a quelle della muscolatura scheletrica, con striature esattamente identiche alla muscolatura
scheletrica, ciò che varia è il fatto che queste cellule sono unite tutte tra di loro a formare quella che
è definita una giunzione o un sincizio funzionale meccanico ed elettrico. Le cellule muscolari
cardiache sono unite tra di loro da gap junctions (viste nella trattazione di sinapsi elettriche e
chimiche) che permettono il passaggio di ioni e corrente tra una cellula e l’altra, permettendo la
continuità elettrica tra le cellule muscolari. Oltre a queste continuità elettriche ci sono anche delle
strutture di connessione meccaniche, rappresentate da quella che viene definita fascia aderente, e dai
desmosomi, che non sono nient’altro che delle strutture che permettono di mantenere la struttura delle
cellule muscolari cardiache in modo tale che durante la contrazione non vadano a deformarsi. Quindi
sono strutture proteiche che permettono il mantenimento della struttura del sincizio funzionale.
Queste cellule a differenza del muscolo striato scheletrico presentano meno tubuli T, e il reticolo
sarcoplasmatico che è presente intorno ai sarcoplasmi comunica coi tubuli T solo attraverso una
terminazione, una cisterna terminale. Questo gruppo formato dal tubulo T e dalla cisterna terminale
del reticolo sarcoplasmatico, prende il nome di diade (anziché la triade).

200
Il muscolo cardiaco è formato da due tipi di cellule differenti:
- I cardiomiociti comuni e sono quelle cellule che formano la struttura cardiaca, quindi le
pareti di atri e di ventricoli.
- i cardiomiciti specifici che sono cellule muscolari che hanno cambiato la loro funzionalità e
si sono trasformate non tanto in cellule in grado di generare una contrazione ma in cellule
pacemaker, cellule che sono in grado di generare un potenziale d’azione autonomamente,
senza uno stimolo continuo da parte di strutture nervose.

Il miocardio specifico, cioè queste cellule modificate per dar vita alla frequenza della contrazione
muscolare, nel nostro cuore si trovano a livello del nodo senoatriale che si trova nella parte alta-
posteriore dell’atrio destro: questa è la struttura pacemaker primaria, cioè la struttura da cui si origina
il ritmo della frequenza di contrazione. In quelle cellule si attiva un potenziale d’azione che decorre
prima lungo tutta la struttura del miocardio specifico e poi si distribuisce in tutta la struttura del
miocardio comune.
Quindi in realtà le cellule del miocardio comune recuperano semplicemente quello che è un potenziale
d’azione generato a livello del miocardio specifico e danno come risposta a questo potenziale
d’azione una contrazione.
Il pacemaker primario è rappresentato dal nodo senoatriale, poi però esiste a livello della porzione
che separa l’atrio e il ventricolo un’altra struttura: il nodo atrioventricolare che è il pacemaker
secondario. Nel caso in cui il pacemaker primario non funzionasse si può attivare una ritmicità (una
frequenza cardiaca) da parte del pacemaker secondario, anche se la frequenza è un po’ più bassa di
quella generata dal pacemaker primario. Si parla di 70-80 battiti al minuto per l’attivazione generata
dal pacemaker primario e di 50-60 per l’attivazione generata dal pacemaker secondario.
Dal nodo atrioventricolare il miocardio specifico continua con il fascio di His, che si divide in due
branche che decorrono lungo tutta la parete interventricolare. Poi c’è parte terminale che risale
dall’apice del nostro cuore verso la base il miocardio specifico, che è rappresentato dalle cellule del
Purkinje.
Le cellule del Purkinje sono cellule che sono in grado di dare una ritmicità al nostro cuore. Nel caso
sfortunatissimo in cui un soggetto perda la funzionalità del pacemaker primario e del pacemaker
secondario, il cuore di questo soggetto può continuare a battere, ma con una frequenza che è molto
bassa, 20-30 battiti al minuto, che è una frequenza che non permette ad un soggetto di mantenere una
vita normale. In questo caso va assolutamente installato un pacemaker esterno.

201
Queste cellule del miocardio specifico hanno una serie di canali della membrana cellulare un po’
specifici che permettono la genesi di un potenziale d’azione senza stimoli esterni: i canali funny. I
canali funny sono canali presenti su queste cellule del miocardio specifico che si aprono quando la
cellula è iperpolarizzata e sono in grado di permettere il passaggio di ioni sodio e ioni potassio,
portando il potenziale della nostra cellula ad un valore molto vicino alla soglia. È definito canale
funny perché la corrente che entra all’interno della cellula è una corrente strana rispetto alle correnti
a cui siamo abituati a considerare parlando di cellule a riposo. In queste cellule il potenziale d’azione
è generato dall’ingresso di ioni calcio, quindi questo canale funny permette l’ingresso di ioni positivi
che porta la cellula a depolarizzarsi e a raggiungere una soglia. In questo caso si attivano i canali del
calcio voltaggio dipendenti che genereranno un potenziale d’azione con una frequenza pari a quella
che è la nostra frequenza cardiaca. Ad ogni potenziale d’azione, questo potenziale d’azione si
distribuisce in tutta quella che è la massa dei cardiomiociti comuni che generano una contrazione. La
contrazione avviene quasi all’unisono perché è assolutamente necessario che le pareti degli atri si
contraggano contemporaneamente un attimo prima della contrazione dei ventricoli. Questo è
fondamentale per mantenere la nostra circolazione.
Nelle cellule del miocardio comune l’accoppiamento tra eccitazione e contrazione avviene
esattamente come abbiamo visto per le cellule della muscolatura scheletrica: arriva il potenziale
d’azione generato dal pacemaker principale del nostro cuore che si distribuisce attraverso questo
sincizio funzionale sulle cellule del miocardio comune. Come abbiamo visto per la muscolatura
scheletrica il potenziale decorre lungo il nostro sarcolemma, entra all’interno dell’invaginazione del
sarcolemma che dà vita al tubulo T, e il potenziale d’azione che decorre lungo la parete determina
l’apertura di canali per il calcio.
I canali per il calcio determinano l’ingresso di calcio all’interno della cellula muscolare cardiaca, così
nel tubulo T c’è una forte quantità di calcio rispetto all’interno della cellula. Il calcio che entra nella
cellula funziona da trigger, attivando il recettore della rianodina che si trova nella cisterna terminale
del reticolo sarcoplasmatico. (Il calcio e non il recettore della diidropiridina come succedeva per le
cellule della muscolatura striata, nel caso del miocardiocita comune entra calcio attraverso i canali
e questo funge da trigger per l’apertura dei canali della rianodina)
I canali della rianodina si aprono e determinano la fuoriuscita di calcio presente a livello del reticolo
sarcoplasmatico, che va a generare quel ciclo di formazione di ponti trasversali esattamente identico
a quello della muscolatura scheletrica.
La differenza tra il muscolo cardiaco e la muscolatura scheletrica sta nella lunghezza del potenziale
d’azione e nella lunghezza della contrazione muscolare.
Mentre per la muscolatura scheletrica si è detto che il potenziale d’azione non dura più di 5 ms, nella
miofibrilla muscolare cardiaca il potenziale d’azione dura 200-300 ms.
Questo ha come scopo quello di mantenere una contrazione più lunga rispetto a una singola scossa
della muscolatura striata semplicemente, perché le nostre pareti ventricolari devono contrarsi per un
tempo sufficiente per determinare la fuoriuscita del sangue a livello dei vasi, quindi è assolutamente
necessario che fisiologicamente queste cellule mantengano una contrazione più lunga rispetto alla
muscolatura scheletrica (stiamo parlando di una singola scossa semplice).
Nelle cellule del miocardio comune non si svilupperà mai un tetano. Questo perché le caratteristiche
di refrattarietà della cellula del miocardio comune sono tali per cui non siamo in grado di sviluppare
una contrazione che si mantenga per un tempo particolarmente lungo. Si genera una scarica di
potenziale d’azione che non potrà mai essere superiore a quella attivata dal nostro pacemaker

202
primario. Poi siamo in grado di aumentare la frequenza della nostra contrazione cardiaca, in una
situazione a riposo abbiamo una frequenza di 60-70 battiti al minuto, in una situazione di sforzo fisico
arriviamo anche oltre i 200 battiti al minuto, ma oltre 200 battiti al minuto non si è in grado di andare,
perché le nostre cellule del pacemaker primario, ma anche le cellule dei cardiomiociti comuni, hanno
una tempistica di periodo di refrattarietà che non ci permette di superare quel tipo di frequenza. Quindi
non raggiungeremo mai il fenomeno del tetano completo a livello cardiaco, anche perché andremmo
in contro a morte se il nostro tessuto muscolare cardiaco rimane contratto per molto tempo senza
rilasciarsi, e la funzione di pompa del nostro cuore andrebbe a perdersi.

Qui si vede il meccanismo per cui la linea nera è la genesi del nostro potenziale d’azione nella cellula
del miocardiocita comune, l’azzurro rappresenta la quantità di calcio che entra all’interno della nostra
cellula e il rosso è la tensione, quindi la forza che viene sviluppata dalla contrazione del nostro
muscolo. Si vede che la quantità di calcio che entra all’interno della nostra cellula o che viene liberata
dal reticolo sarcoplasmatico è molto importante e determina questo fenomeno -> la linea che si vede
nel potenziale d’azione del cardiomiocita comune viene chiamato plateau, cioè una fase in cui il
potenziale che ha subito una forte depolarizzazione tende piano piano a ripolarizzare, ma rimane
costante per un certo periodo di tempo, i famosi 200 ms, grazie alla presenza di calcio all’interno
della nostra cellula che è generato dalla apertura delle cisterne del reticolo sarcoplasmatico ma e dal
mantenimento di questi canali voltaggio dipendenti nello stato di apertura. Questi sono canali per il
calcio L (long lasting). Quindi anche se la massima quantità di calcio viene liberata dal nostro reticolo
sarcoplasmatico, questi canali comunque rimangono aperti per un periodo tale da poter mantenere
l’entrata di calcio per circa 200 ms.
[I canali per il calcio sono L (long lasting che rimangono aperti per una tempistica molto elevata) o
T (transient o fast sono quelli che si aprono e si chiudono con una tempistica molto ridotta)].
Domanda: si può pensare al muscolo cardiaco come a un muscolo scheletrico in cui si genera un
tetano incompleto?
In realtà no, perché la forza di contrazione del nostro muscolo cardiaco non aumenta all’aumentare
delle scariche del potenziale d’azione, può succedere in determinate condizioni che venga aumentata
la forza di contrazione che viene sviluppata dal nostro cuore, ma in realtà la frequenza dei potenziali
d’azione che abbiamo a riposo che si mantiene costante nel tempo, non genera un accumulo o una

203
sommazione, quindi non si crea un tetano. Nel tetano comunque ci deve essere un aumento di forza
perché è un meccanismo che genera una sommazione, nel caso del cuore non è così. Questo
meccanismo viene sviluppato quando c’è una stimolazione, ad esempio del sistema nervoso
simpatico, quindi l’adrenalina che arriva a livello del nostro cuore e si lega ai recettori beta-
adrenergici che sono in grado di attivare una sorta di tetano incompleto: aumentano la quantità di
calcio (cioè la frequenza di scarica che determina un aumento di calcio) che induce un aumento
dell’intensità della contrazione cardiaca, con anche un aumento della frequenza. Quindi può essere
assimilato ad un tetano incompleto.
In realtà questo non succede perché la quantità di calcio che entra all’interno della nostra cellula è
enorme.
Questo calcio per altro deve essere recuperato, quindi anche nei cardiomiociti comuni è presente la
pompa SERCA che serve per recuperare il calcio e riportarlo all’interno del reticolo sarcoplasmatico.
Ma non solo, esiste anche una pompa presente a livello della membrana del miocardiocita comune
che è in grado di portar fuori calcio dalla cellula permettendo l’ingresso di tre ioni sodio. Questa è
una pompa attiva, che quindi richiede il consumo di energia, perché la concentrazione di calcio che è
all’interno della cellula è molto ridotta rispetto a quella che è all’esterno. La pompa SERCA fa
rientrare il calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico, quindi riduce la quantità di calcio
all’interno dello spazio intercellulare e contemporaneamente contro gradiente butta fuori calcio per
ridurlo il più possibile, per riportare la cellula in una situazione di riposo. Questo è il meccanismo
che determina la contrazione del nostro cuore.

204
Fisiologia cellulare, lezione 17 del 17/11/2021
Sbobinatori: Beatrice Zucca, Edoardo Zanga
Revisore: Jessica Kandyba
Docente: Sandra Guidi
Argomenti: terminazione muscolo cardiaco, muscolo liscio

Continuando la lezione precedente…

La contrazione della cellula muscolare


cardiaca, o mio-cardiocita comune, è un
evento elettrochimico, ovvero occorre
che una piccola quantità di calcio entri
nella cellula.
La presenza di un potenziale d’azione
permette l’apertura dei canali per il calcio
di tipo L presenti sulla membrana dei
tubuli T, che attivano la liberazone di
calcio a livello delle cisterne terminali
delle cellule del miocardiocita comune
per iniziare il meccanismo della
formazione dei ponti trasversali.

La quantità di calcio che si libera all’interno della cellula muscolare cardiaca è minore di quella
liberata all’interno delle cellule della muscolatura striata, questo perché l’efficacia della
contrazione della cellula muscolare cardiaca è maggiore rispetto a quello della cellula
muscolare scheletrica, questo è dato dalla sua conformazione strutturale.

Il calcio viene poi recuperato a livello delle cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico
grazie alla pompa SERCA regolata, all’interno del miocardiocita comune, dalla proteina
FOSFOLAMBANO, che conferisce alla pompa la capacità di recuperare il calcio dallo spazio
intercellulare e portarlo al reticolo sarcoplasmatico.

Il fosfolambano agisce sulla pompa SERCA grazie alla modifica della sua conformazione:
- Quando non è fosforilato non permette l’attivazione della pompa SERCA: la quantità di
calcio nella cellula muscolare cardiaca rimane alta (non viene riportato nel reticolo
sarcoplasmatico)
- Quando fosforilato è in grado di attivare la funzionalità della pompa: quindi il calcio
presente nella cellula viene ritirato nelle cisterne terminali e la contrazione si riduce
gradualmente.
➔ La concentrazione di calcio si riduce grazie anche alla presenza di proteine canale sulla
membrana che attraverso l’idrolisi di ATP permettono la fuoriuscita di ioni calcio, così
che la concentrazione di calcio torni alla concentrazione inziale di riposo.

Nella formazione dei ponti trasversali all’interno del miocardiocita comune la miosina e
l’actina si spostano di 70 nm ad ogni piccola contrazione, che sono di più dei 10nm della cellula
muscolare striata. Lo scorrimento maggiore permette una maggiore efficienza della
contrazione cardiaca.
Siamo in grado di modificare la capacità di contrazione del cuore agendo sulla concentrazione
di calcio, esistono una serie di farmaci capaci di farlo.

205
Il nostro sistema nervoso simpatico, sistema autonomo che ci permette di controllare in modo
autonomico la funzionalità dei nostri organi interni, attraverso la liberazione di
NORADRENALINA è in grado di generare una modificazione della concetrazione di calcio
nella cellula muscolare cardiaca.
Questo tipo di meccanismo può variare una serie di parametri caratteristici del cuore:
- Sviluppo della tensione generata dalla contrazione cardiaca
- Velocità di rilasciamento della muscolatura che porta ad una variazione della frequenza di
contrazione. (Se riduciamo il tempo di rilasciamento possiamo generare una frequenza
aumentata.)

Sia il sistema nervoso simpatico che alcuni farmaci possono generare questi meccanismi.

MECCANISMO INOTROPO POSITIVO


Capacità di una sostanza di modificare la tensione che si sviluppa
durante la contrazione del miocardio.
Il neurotrasmettitore (noradrenalina o adrenalina) legato ai canali
presenti sulle cellule muscolari cardiache è in grado di aumentare la
quantità di calcio intracellulare che porta ad un aumento della
generazione di intensità durante la contrazione.
Il sistema nervoso simpatico ha un effetto inotropo positivo:
aumenta la forza di contrazione grazie all’aumento intracellulare
di calcio.

MECCANISMO LUSITROPO POSITIVO


Il sistema nervoso simpatico è in grado di ridurre la tempistica di
rilasciamento della muscolatura cardiaca agendo sul
FOSFOLAMBANO, quando fosforilato attiva con una velocità
maggiore il recupero del calcio nella nostra cellula.
Il meccanismo lusitropo positivo si identifica con un aumento della
velocità di rilasciamento che provoca una contrazione più breve nel
tempo, se la contrazione è più breve possiamo aumentare la frequenza
determinando un meccanismo CRONOTROPO POSITIVO.

La variazione delle concertazioni di calcio cellulari possono andare a modificare la


frequenza cardiaca. Esattamente come accade durante uno spavento, l’aumento improvviso
della frequenza cardiaca è generato dal rilascio di noradrenalina da parte del sistema nervoso
simpatico o di adrenalina da parte della midollare del surrene.

Il sistema nervoso parasimpatico fa esattamente l’opposto, la liberazione di acetilcolina


genererà un meccanismo INOTROPO NEGATIVO, LUSITROPO NEGATIVO e
CRONOTROPO NEGATIVO.

Così come nella contrazione passiva e attiva della muscolatura striata, anche in quella cardiaca
possiamo valutare la generazione di una tensione passiva o attiva.

206
In questo grafico
sono messe in
relazione le
tensioni passive e
attive generate
nella muscolatura
cardiaca e in
quella scheletrica

Le due curve che indicano le tensioni passive si assomigliano di forma ma hanno pendenze
differenti, la muscolatura cardiaca ha la capacità di sviluppare una tensione passiva molto più
velocemente, generando un allungamento delle fibre muscolari più ridotto di quelle striate.
Questo è determinato dalla conformazione e posizione che hanno l’actina e la miosina.
Possiamo considerare questo un meccanismo di protezione del cuore, permette di sviluppare
una tensione massima oltre la quale non siamo in grado di andare senza modificare la
conformazione della fibra muscolare.

Nella contrazione della muscolatura striata, ad un certo punto le fibre di actina e miosina
possono arrivare ad essere così distanti l’una dall’altra che la contrazione non avviene più o
avviene con una bassa efficienza.
Nel caso della muscolatura cardiaca questo non succede perché la muscolatura cardiaca genera
una tensione passiva molto grande in pochissimo tempo.
La tensione passiva è generata dal ritorno del sangue nelle camere cardiache.
Alla fine della diastole il muscolo è completamente rilasciato, entra sangue nel ventricolo e
questo genera una tensione passiva nel ventricolo sul muscolo rilasciato, questa non può
andare oltre un certo limite perché le fibre non si allungano oltre il limite.
Qualunque quantità di sangue che entra nel ventricolo (si tratta sempre di una quantità finita
ovviamente), le nostre fibre muscolari genereranno una tensione tale per cui siamo in grado di
contrarre la muscolatura e permettere la fuoriuscita del sangue.
Si tratta di un meccanismo di controllo intrinseco che ci permette di mantenere la capacità di
contrarre le fibrille muscolari cardiache.

La relazione lunghezza-tensione attiva nel cuore è simile a quella


della muscolatura striata, l‘unica differenza riguarda lo spazio di
lunghezza della fibra muscolare in cui questa lavora.
L’area di lavoro della muscolatura cardiaca è molto più ristretto
che nella muscolatura striata, la funzionalità cardiaca può sempre
generare una tensione passiva che gli permette di contrarsi
generando una tensione massima attiva molto alta modificando
però di poco le lunghezze dei sarcomeri: questo consente di avere
un’efficienza di contrazione molto alta, necessaria per la nostra
sopravvivenza.
Le fibre di actina e miosina sono sempre nella posizione giusta,
in grado di generare uno slittamento l’una sull’altra molto
efficiente.
È fondamentale perché il cuore deve mantenere una contrazione ripetuta nel tempo per tutta la
vita del soggetto. Queste cellule muscolari devono avere un’efficienza molto alta.

207
Le caratteristiche di tensione passiva sono generate dalla struttura del sarcomero e dalla
presenza di strutture elastiche. All’interno del cuore l’elasticità è determinata dalla presenza
di strie Z a cui sono collegati filamenti di titina, proteina in grado di mantenere la struttura
ordinata dei sarcomeri.
Nel sarcomero cardiaco la titina ha una conformazione molto più solida, difficile da deteriorare,
rispetto che nella muscolatura scheletrica.

Nella muscolatura scheletrica a seguito di uno sforzo intenso si possono creare dei danni
tessutali generati dalla rottura delle strutture che formano i sarcomeri e la struttura interna delle
cellule, nel cuore questo non accade. Le proteine che mantengono la struttura dei sarcomeri
cardiaci regolare sono particolarmente stabili, non andremo mai incontro ad affaticamento a
livello cardiaco o danni generati da un esercizio particolarmente intenso.

Le fibrocellule muscolari striate e cardiache sono in grado di essere allenate, un atleta molto
allenato possiede una massa muscolare maggiore di una persona poco allenata.
L’aumento di massa non è generato dall’aumento del numero di cellule muscolari ma
dall’aumento del numero dei sarcomeri, vengono prodotte un numero maggiore di proteine
(miosina ed actina).
Questo avviene sia a livello di muscolatura striata che di muscolatura cardiaca.

Atleti particolarmente allenati presentano un’ipertrofia del ventricolo sinistro generata da un


aumento di massa cardiaca.
Il ventricolo sinistro è quella porzione di cuore che è in grado di spingere il sangue a livello
periferico. Quando un soggetto si allena con un’intensità particolarmente alta, il cuore
svilupperà delle contrazioni con una frequenza molto più alta che un soggetto a riposo e
un’intensità di contrazione maggiore perché è necessario che arrivi molto più sangue ai muscoli
periferici per mantenere elevata la loro funzionalità.
Un allenamento fisico genera anche un allenamento cardiaco.
Si parla di atleti molto allenati non di una persona che va 2/3 volte in palestra alla settimana.

L’ipertrofia del ventricolo destro è sempre un evento patologico perché la parte destra del
cuore sospinge il sangue verso la circolazione polmonare. Il sangue non deve superare grandi
resistenze, la circolazione polmonare è molto vicina (fisicamente) al cuore e non possiede una
forte resistenza a livello vascolare, a differenza di quello che accade a livello periferico nei
muscoli scheletrici.
➔ Significa che il cuore si sforza per espellere il sangue dal ventricolo destro, questa forza
è probabilmente generata da un danno polmonare; da una stenosi di qualche tipo che
impedisce il passaggio del sangue e porta il ventricolo destro ad insistere nella
contrazione e determinarne un’ipertrofia.

Domanda: l’ipertrofia ventricolare sinistra è problematica? Ci sono molti maratoneti che sono
diventati bradicardici e ad un certo punto questo diventava problematico
Durante l’elettrocardiogramma si può misurare un asse cardiaco che deve stare entro una
certa ampiezza, lo spostamento dell’asse ci permette di identificare una serie di danni che sono
legati ad ipertrofia ventricolare destra o sinistra. L’ipertrofia ventricolare sinistra
normalmente se è legata a soggetti molto allenati non è dannosa, perché si tratta di soggetti
con cuori molto allenati.
Ovviamente si vanno a modificare i ritmi, se si abitua un cuore ad una frequenza
particolarmente alta perché è sempre sotto sforzo e quindi aumenta sia la massa che la

208
frequenza, non appena il cuore è a riposo la prima cosa che fa è recuperare energia quindi la
frequenza si riduce, il soggetto può diventare bradicardico (frequenza di 40-50).
Sotto i 30 la frequenza è considerata problematica, intorno ai 35 è difficile che una persona
stia in piedi più che altro per una questione legata alla pressione cardiaca.
I soggetti allenati in genere presentano a riposo una brachicardia sostenibile.

Si possono incontrare situazioni di ipertrofia ventricolare sinistra patologiche che non sono
legate all’attività fisica. l’ipertrofia ventricolare sinistra generata dalla stenosi di un vaso è
meno frequente di quella destra perché è più facile raggiungere un organo periferico piuttosto
che uno polmonare essendo il numero di vasi sostanzialmente maggiore.
Quello che negli atleti può essere pericoloso è la funzionalità del miocardio specifico, l’attività
di pacemaker. Negli atleti molto allenati si vanno a modificare le concentrazioni degli ioni a
livello intracellulare-extracellulare, dovrebbero essere continuamente sotto controllo proprio
perché per esempio la concentrazione di potassio può creare gravi scompensi che possono
anche portare alla morte.

Tutto è controllato da una serie di eventi caratteristici delle nostre strutture muscolari.

MUSCOLO LISCIO

Il muscolo liscio è la terza muscolatura presente nel nostro organismo, si tratta di una tipologia
muscolare che non presenta alcun tipo di striatura.
Non esiste una conformazione regolare, la presenza di quei sarcomeri così ben definiti che
caratterizzano la muscolatura striata sia scheletrica che cardiaca.

Il muscolo liscio è un muscolo che si trova a livello delle pareti degli organi interni:
- Pareti del tubo gastro-intestinale
- Pareti dei vasi
- Strutture che formano le vie aeree

La contrazione di questa muscolatura permette il procedere di materiale come la peristalsi nel


tubo intestinale, oppure lo sviluppo di tensioni passive a livello dei vasi che portano ad un
aumento/riduzione della pressione sanguigna.

o Possiede la capacità di sviluppare un’intensità di forza molto bassa rispetto a quella che si
sviluppa con la muscolatura scheletrica.
o Si tratta di cellule che possono mantenere una contrazione per lunghissimo tempo con un
consumo ridotto di ATP.
o La contrazione di questi muscoli non è gestita a livello centrale, non c’è un controllo diretto
corticale che determina la contrazione/rilasciamento.

Queste cellule non vanno mai incontro ad affaticamento, simili alle cellule di tipo 1 della
muscolatura striata.
Possono essere classificate in cellule di strati differenti con funzionalià diverse. La differenza
principale con le cellule della muscolatura striata è che queste sono uninucleate.

Durante la contrazione cambiano la loro conformazione, sono in genere cellule affusolate che
si trasformano in cellule cuboidali durante la contrazione muscolare.

209
STRATI MUSCOLARI DIFFERENTI
Il muscolo liscio può essere considerato unitario o multiunitario a seconda che le cellule che lo
formano siano collegate le une alle altre da giunzioni.

Muscolo liscio unitario


Si tratta di cellule unite tra di loro da gap junctions
che permettono la creazione di un sincizio
funzionale, permettono il passaggio diretto di
correnti ioniche tra una cellula e l’altra che
garantisce la contrazione all’unisono di tutte le
cellule che formano lo strato muscolare.
Queste cellule sono in grado di andare incontro a
plasticità, che può determinare la modificazione
delle cellule che formano il muscolo liscio unitario
a seguito di un certo tipo di contrazione. Possono
comunque modificare la loro conformazione.

Il muscolo unitario così come quello multiunitario


non ha necessità di un potenziale d’azione per
generare una contrazione, inoltre sono strati
muscolari che non necessitano di un motoneurone
che liberi un neurotrasmettitore.
I neurotrasmettitori sono contenuti all’interno di
varicosità del neurone autonomico (simpatico e
parasimpatico).

Muscolo liscio multiunitario


Le cellule non sono connesse tramite gap junctions, si tratta di singole cellule in grado di
contrarsi in modo autonomo intorno alle quali corre la struttura nervosa del sistema nervoso
autonomico. Oltre alla presenza di neurotrasmettitori del sistema nervoso autonomico possono
essere attivati anche dalla presenza di ormoni e dalla presenza di sostanze esterne (es: farmaci).

Essendo formato da cellule lontane le une dalle altre è in grado di generare una contrazione
con controllo molto fine. È un muscolo multiunitario quello che determina l’apertura/chiusura
dell’iride importante per l’entrata della luce che richiede un movimento particolarmente
controllato e definito.

Sono in grado di mantenere una contrazione prolungata nel tempo anche se l’intensità di
sviluppo della forza è particolarmente bassa.
Gli sfinteri, per esempio, sono strutture formate da muscolatura liscia con andamento circolare
normalmente contratti: hanno una funzionalità contratta e possono andare incontro a
rilasciamento quando è determinato dal sistema nervoso autonomo.

210
CELLULE DI TIPO FASICO E TONICO
o Gli eventi tonici si mantengono nel tempo: forza costante
per un lungo periodo.
o Gli eventi fasici si alternano nel tempo
(attivazione/inattivazione veloce): contrazione ritmica.

Si notano muscolature toniche (di norma contratto), fasiche (con


una fase di attivazione ed una di inattivazione: peristalsi come nel
sistema gastrointestinale), ci sono sfinteri normalmente contratti o
normalmente rilasciati poi fasicamente contratti (vescica urinaria).

Oltre alle gap junctions, vie di bassa resistenza che permettono


il passaggio di ioni, le cellule sono unite anche attraverso
giunzioni aderenti che assumono lo stesso ruolo delle strie Z nei
sarcomeri e permettono il mantenimento di una struttura
meccanica ben definita.
Sono riconoscibili a microscopio elettronico perché generano
delle placche dense di colore più scuro.

Le cellule muscolari lisce non presentano le cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico,
e non presentano i tubuli T. Ma all’interno del reticolo sarcoplasmatico vi è una quantità
minore di calcio .
Il calcio entra nelle
cellule anche attraverso
le caveole, piccole
vescicole a livello del
sarcolemma che hanno
la capacità di contenere
una quantità di calcio
non presente a livello
del reticolo sarcoplasmatico. Vengono attivate grazie alla liberazione di calcio all’interno
della porzione intercellulare.
Le caveole sono disposte in maniera ordinata vicino al reticolo sarcoplasmatico, e si pensa
che contengano altre molecole di segnalazione utili per il controllo della muscolatura liscia.
Così come per la muscolatura striata e cardiaca è importante che venga liberato calcio a
livello della cellula per attivare il meccanismo di slittamento tra actina e miosina, poiché le
proteine filamentose che formano la struttura contrattile di queste cellule sono le stesse
delle altre cellule muscolari, anche se disposte in modo differente.

Non ci sono le strutture della muscolatura striata all’interno delle quali è contenuta una
grande quantità di calcio ma viene liberato dal reticolo sarcoplasmatico e dalle caveole. Si
libera calcio grazie alla presenza di canali per il calcio di tipo L, ovvero long lasting: sono in
grado di aprirsi, far entrare all’interno della cellula una piccola quantità di calcio che va a
scatenare la liberazione di calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Esistono diversi canali del
calcio coinvolti, che sono regolati da risposte differenti.

211
Ad esempio il canale della RIANODINA, presente anche nelle cellule striate e cardiache, è in
grado di permettere l’apertura dei magazzini di calcio nel reticolo sarcoplasmatico. Questo
recettore si apre grazie alla presenza di calcio, che entrando attraverso canali voltaggio
dipendenti per il calcio di tipo L va ad attivare il recettore RYR che permette l’apertura del
reticolo sarcoplasmatico e fa uscire una maggior quantità di calcio dando vita alla
formazione dei ponti trasversali e alla contrazione del muscolo.
Esistono però anche altri canali del calcio in grado di essere attivati e alcuni di questi sono
controllati dalla presenza dell’inositolo 1,4,5 – trifosfato, già visto parlando di secondi
messaggeri e recettori metabotropici. Il risultato finale della cascata di reazioni è la
liberazione di inositolo trifosfato che funge da ligando per i recettori sul reticolo che
permettono l’apertura dei canali e l’uscita del calcio.
Sono due meccanismi chimica pertanto si parla di funzionalità ELETTROCHIMICA che
permette la contrazione della cellula muscolare.

Il calcio viene liberato e quando non è più necessario mantenere la contrazione, viene
recuperato attraverso la pompa SERCA e riportato nel reticolo sarcoplasmatico.
Muscolatura liscia è presente una pompa per il calcio che tramite l’idrolisi dell’ATP permette
di trasportare il calcio contro gradiente verso lo spazio extracellulare.

Le cellule contengono anche molti mitocondri, deputati alla formazione di ATP. L’ATP serve
a determinare il movimento della testa della miosina a contatto con l’actina e quindi la
contrazione.

Le cellule della muscolatura liscia non sono


organizzate in sarcomeri. Esistono le unità
contrattili che però hanno struttura differente
rispetto ai sarcomeri. I filamenti sono
principalmente rappresentati da actina e
miosina, è presente tropomiosina ma non
troponina.
Questi filamenti sono strutturati in piccoli
gruppi, in cui il rapporto tra miosina ed actina
aumenta rispetto a quello delle strutture
muscolari. C’è una sola molecola di miosina
collegata a una decina di filamenti di actina.

All’interno dell’unità contrattile sono presenti


altre proteine strutturali che permettono il
controllo della struttura contrattile, e sono
rappresentate da caldesmone, importante per il
controllo della contrazione, e calponina.

Nella struttura contrattile sono presenti anche dei CORPI DENSI, che sono le zone più dense
al microscopio e hanno le stesse funzionalità delle linee Z che si trovano a livello della
muscolatura striata. Sono posti ai bordi delle unità contrattili e tengono in sede le unità
contrattili delle cellule della muscolatura liscia.

212
Inoltre sono presenti proteine con peso molecolare intermedio tra actina e miosina, per
questo definiti filamenti intermedi, che sono in realtà proteine che formano il citoscheletro
della cellula muscolare liscia. Sono presenti filamenti sottili e pesanti come nelle cellule
striate e filamenti intermedi che funzionano come proteine strutturali del citoscheletro.

Le cellule si contraggono quando c’è un aumento di calcio all’interno dello spazio


intercellulare.
Il calcio va ad attivare il meccanismo di formazione dei ponti trasversali. Actina e miosina si
uniscono grazie a calcio che (in questo tipo cellulare non determina lo spostamento di
troponina in quanto non è presente) attiva meccanismo che è in grado di spostare la
tropomiosina e liberare i siti di legame dell’actina per la miosina.

L’ingresso di calcio è attivato o da uno stimolo elettrico o dalla presenza di determinate


sostanze che sono in grado di generare una variazione di potenziale della cellula muscolare
liscia che può anche non arrivare ad un potenziale d’azione ma scatenare comunque una
contrazione muscolare.
Non è sempre necessario il potenziale d’azione per attivare la contrazione.

Il potenziale a riposo delle cellule muscolari lisce è compreso tra -60 e -40 mV.
Può succedere che una depolarizzazione generi un potenziale d’azione che determina
l’apertura dei canali del calcio che attiva l’apertura dei canali sul reticolo, attivando la
contrazione muscolare.

Nell’immagine vediamo la genesi di picchi di potenziali d’azione (anche solo 1) a seguito di


lievi depolarizzazioni. Questo avviene a livello dell’apparato digerente, dove esiste un
meccanismo di mantenimento dell’attività di depolarizzazione, una sorta di onda lenta,
depolarizzazione costante fasica. Quando si avvicina alla soglia di attivazione del potenziale
d’azione si genera anche un solo potenziale d’azione che attiva il meccanismo della
contrazione.
Questi due tipi di contrazione, innescati da un potenziale d’azione diretto o da un piccolo
potenziale d’azione che si genera a seguito di depolarizzazioni fasiche è la classica
contrazione che si sviluppa in un muscolo liscio unitario.

Esistono anche muscoli non unitari che si attivano a seguito di piccole depolarizzazioni lente
che non arrivano alla genesi del potenziale d’azione.

213
La cellula multiunitaria funziona da sola ed una piccola variazione di potenziale di quella
membrana è in grado di permettere l’ingresso di calcio all’interno della cellula perché si
genera un’apertura di canali voltaggio dipendenti in numero molto piccolo. Ciò che si genera
è una piccola variazione di potenziale che scatena la fuoriuscita di calcio che attiva la
contrazione di questo tipo di cellule, che non dipende dal potenziale d’azione ma è generata
da una modificazione del potenziale della membrana a riposo.

Inoltre queste cellule si possono contrarre grazie a sostanze chimiche come farmaci che si
legano a recettori sulla membrana delle cellule che sono canali ionici del calcio. La sostanza
esogena crea una depolarizzazione parziale che permette l’ingresso di ioni calcio nella
cellula che a loro volta permettono il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico attivando
la contrazione muscolare. La contrazione si blocca quando la sostanza si slega dal recettore
chimico specifico.

È un’attivazione non volontaria che può essere scatenata da meccanismi differenti.

In queste fibre muscolari la contrazione e l’accorciamento della struttura è molto evidente,


possiamo parlare di centimetri pensando al digerente durante la peristalsi, o durante i
fenomeni di onde lente durante il periodo intraprandiale, queste hanno una contrazione
molto intensa e una tensione elevate che determinano una contrazione molto intensa
visibili anche ad occhio nudo.

214
MECCANISMO DI FORMAZIONE DEI PONTI TRASVERSALI NELLE CELLULE MUSCOLARI LISCE

È un’attivazione elettrochimica: la variazione del potenziale determina ingresso di calcio


attraverso canali di tipo L, il calcio attiva l’apertura dei canali della rianodina che
permettono l’uscita del calcio dal reticolo sarcoplasmatico.

Lo ione calcio è in grado di legarsi alla calmodulina, che è indispensabile per la contrazione
della muscolatura liscia, in quanto il calcio di per se non è in grado di andare a permettere il
legame tra actina e miosina.
La calmodulina legata al calcio si lega alla proteina caldesmone (legata alla testa della
miosina in situazioni di rilasciamento, inibendo il contatto tra miosina e actina), rompendo il
legame tra il caldosmone e la testa della miosina, rendendola attiva.

Contemporaneamente la calmodulina legata al calcio si lega essendo ad alta affinità con la


proteina chinasi della catena leggera della miosina (MLCK), andando a fosforilare la testa
della miosina, trasformandola in una porzione attiva della miosina in cui è presente ATP, che
è il punto cardine dello slittamento e quindi della contrazione.

La contrazione è regolata dalla presenza della fosfatasi della miosina, che trasforma l’ATP
presente nella miosina in ADP: trasforma la miosina attivata in miosina non attiva: quando
viene defosforilata la proteina caldesmone è in grado di legarsi alla testa della miosina,
rendendola definitivamente inattiva.

Questa cascata di reazioni è alla base della contrazione della muscolatura liscia, va a
recuperare quello che era il ruolo della troponina nella muscolatura striata.

215
Il controllo è generato da tre proteine differenti: calmodulina, chinasi della catena leggera
della miosina e fosfatasi della miosina.

Il meccanismo si ripete finché nella cellula è presente calcio.

Ci sono della patologie legate alla muscolatura liscia generate dalla mutazione del gene
della calmodulina: una singola mutazione crea una patologia che da vita ad una sorta di
distrofia della muscolatura liscia che è molto dannosa.
È importante che la funzionalità della muscolatura liscia sia controllata nel modo più fine
possibile (ad esempio per la pressione arteriosa, vasodilatazione, vasocostrizione).
È la muscolatura responsabile di molti meccanismi legati agli organi interni.

Molte sostanze chimiche sono in grado di andare a modificare questa contrazione, sia a
livello di intensità che di durata.

Adrenalina e noradrenalina sono fondamentali: normalmente funzionano come attivatori


della contrazione. Esistono una serie di recettori per adrenalina e noradrenalina che vanno
ad indurre un rilassamento della muscolatura liscia. Dipende dal tipo di recettori a cui si
lega. L’attivazione di recettori alfa determina accentuamento della contrazione, sia in
intensità che in durata. L’attivazione di recettori beta determina una risposta esattamente
opposta.

La stessa cosa vale per l’acetilcolina: esistono recettori muscarinici e nicotinici che danno
una risposta diversa sulla muscolatura liscia.
Altre molecole in grado di influenzare intensità e durata sono la vasopressina (fondamentale
nel parto per la contrazione della muscolatura uterina), l’adenosina (importantissima per i
meccanismi di rilasciamento della muscolatura liscia) e l’endotelina (attiva la contrazione
delle muscolature che controllano la struttura epiteliale).

Le reazioni che si sviluppano grazie ad un recettore piuttosto che ad un altro sono in grado
di produrre risposte differenti.

216
CONTRAZIONE TONICA E FASICA

La differenza tra contrazione tonica e fasica riguarda la genesi di una tensione di contrazione
differente, la velocità del tipo di contrazione (molto più elevata nella contrazione fasica) e la
capacità di mantenere una elevata contrazione nel tempo.

Nell’immagine sono
messi a confronto la
quantità di calcio che
entra in seguito ad una
certa stimolazione, e la
velocità di generazione
di ponti trasversali ed il
tempo per cui viene
mantenuta l’intensità
della forza.

L’attivazione della fosfatasi che va a defosforilare la miosina avviene con tempi diversi: nella
contrazione tonica la miosina rimane legata all’actina, e la testa rimane piegata verso
l’interno determinando il mantenimento della contrazione nel tempo.

In questo caso non consumiamo tutta l’ATP presente nelle cellula: basta l’ATP che genera lo
scatto, poi la testa rimane piegata verso l’interno dell’unità contrattile e viene inibita la
defosforilazione di questa struttura.

Questo è fondamentale per la contrazione degli sfinteri, che devono rimanere contratti per
tantissime ore al giorno.Non viene infatti consumata tanta energia quanta ne sarebbe
necessaria per mantenere contratta una struttura muscolare striata.

ATTIVAZIONE DELLA PROTEINA SERCA PER IL RECUPERO

Oltre a questa proteina esiste una


pompa che consumando ATP fa
fuoriuscire il calcio e induCe il
rilassamento della muscolatura liscia.
Oltre a questa esiste uno scambiatore
(lo abbiamo visto parlando delle
cellule cardiache) in cui il calcio viene
fatto uscire dalla cellula a scapito
dell’ingresso di sodio.

217
Anche a livello della muscolatura liscia possiamo fare una valutazione del digramma
lunghezza-tensione, che sia da un punto di vista attivo sia da un punto di vista passivo è
molto simile alle cellule muscolari striate.
Cambia la tensione attiva della muscolatura liscia, l’area di lavoro che è molto più ampia
perché la posizione di actina e miosina è molto più stabile: non essendoci i sarcomeri le
strutture piccole e condensate hanno capacità di mantenere contrazione anche se le fibre di
actina e miosina non sono perfettamente allineate. Comunque vanno a interagire perché lo
spazio fisico su cui sono disposte è molto piccolo, e la quantità in proporzione tra actina e
miosina è molto diversa, favorendo la possibilità di legame.

Vediamo a destra il diagramma velocità – tensione: le curve differenti sono generate dalla
quantità di miosina fosforilata: per poter attivare la contrazione serve fosforilazione, e la
percentuale di fosforilazione della miosina aumenta la velocità di contrazione muscolare in
rapporto alla tensione che la stessa fibra muscolare è in grado di genere.

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Sbobina lezione 18, del 18/11/2021
Sbobinatori: Creati, Crudeli
Revisionatore: Grazioli
Docente: Sandra Guidi
ARGOMENTI: domande Kahoot sul muscolo, Riflessi spinali e motori, attività riflessa

DOMANDE KAHOOT
1. L'unità motrice è rappresentata da: tutte le cellule muscolari innervate dallo stesso
motoneurone alfa.
Non è detto che siano tutte con la stessa funzionalità metabolica, quindi potrebbero esserci
unità motorie miste, seppur molto rare.
2. Il recettore della di-idropiridina è un canale del Na+ voltaggio-dipendente: falso.
Perché in realtà è un canale Ca2+ voltaggio-dipendente.
3. Durante il tetano completo la concentrazione intracellulare del calcio nella cellula muscolare
striata: aumenta.
Abbiamo visto che si mantiene costante, in realtà, quando c’è una scossa singola. Quindi entra
nella nostra cellula una certa quantità di calcio: ovviamente la scossa è talmente veloce, se si
tratta di una singola scossa, per cui la quantità di calcio resta una quantità idonea per
mantenere le concentrazioni intracellulari. Quando abbiamo parlato di tetano incompleto,
abbiamo detto che è generato da un intervallo di tempo tra una scarica di potenziale d’azione
e la successiva; per cui la forza della nostra contrazione muscolare aumenta, ma in realtà la
quantità di calcio è oscillante perché sale quando c’è il primo potenziale d’azione, poi si riduce
perché le pompe iniziano a riportare nel reticolo sarcoplasmatico il calcio e poi, ovviamente,
risale quando si genererà un altro potenziale d’azione. Quindi in un tetano incompleto la
concentrazione di calcio oscilla.
Nel tetano completo deve per forza aumentare perché le cellule devono sviluppare una forza
altissima e la scarica dei potenziali d’azione è talmente tanto ravvicinata che non permette
alle pompe che sono presenti a livello del reticolo sarcoplasmatico di farlo rientrare nel
reticolo stesso. Quindi, per tutta la durata del tetano, il calcio continua ad uscire dal reticolo
sarcoplasmatico. Ovviamente quando c’è una scossa singola, non tutto il calcio che entra nel
reticolo sarcoplasmatico viene fatto uscire, ne esce una quantità necessaria per attivare la
contrazione muscolare. Quando il tetano è completo e il potenziale d’azione ha una scarica
elevatissima e non c’è tempo di recupero, il calcio continua ad uscire dal nostro reticolo
sarcoplasmatico accumulandosi nella cellula e aumentando la concentrazione di calcio.
4. Un singolo potenziale d'azione non è mai sufficiente a generare una scossa semplice nella
fibra striata: falso.
Si tratta di scossa, ovvero una semplice contrazione. Quindi un singolo potenziale d'azione
può generare una scossa semplice: non è necessaria una scarica di potenziali d’azione per
generare una scossa semplice, ne basta anche uno solo. L’importante è che esista nelle cellule
(muscolari striate, in questo caso) che ci sia un potenziale d’azione che determina tutto quel
meccanismo che determina una genesi del potenziale d’azione nella cellula muscolare
5. Le unità motrici a scossa lenta sono: le prime ad essere reclutate.

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Sono le fibre di tipo 1, quindi lente e ossidative con una frequenza di contrazione bassa, la
mantengono nel tempo, non si affaticano e sviluppano una forza/tensione ridotta rispetto alle
altre.
6. Si definisce isotonica una contrazione in cui la lunghezza del muscolo è mantenuta costante
al variare della tensione: falso.
Si mantiene costante la tensione, ma varia la lunghezza; viceversa, si dice isometrica quando
varia la tensione, mentre la lunghezza si mantiene costante. “Isotonica” vuol dire che il tono
si mantiene costante e quindi varia la lunghezza.
7. La contrazione delle cellule muscolari: è sempre preceduta dal potenziale d'azione.
Le strutture corticali sono sotto controllo volontario, mandano un segnale attraverso i
motoneuroni alfa verso le strutture muscolari. Il motoneurone alfa per generare una
contrazione deve permettere l’attivazione di un potenziale d'azione, altrimenti non sarebbe in
grado di generare una contrazione. Iperpolarizzazione no, perché si deve sempre andare
incontro prima a una depolarizzazione che scateni un potenziale d’azione e quindi che riesca
a superare la soglia. La frase: "Mai preceduta da un potenziale d’azione" potrebbe far
riferimento alle cellule della muscolatura liscia, potrebbero attivare una contrazione senza
generazione di un potenziale d’azione. Ma per le muscolari striate è sempre necessario un
potenziale d’azione.
8. La cellula muscolare cardiaca è impermeabile al calcio: falso.
Così come per le cellule striate, anche per le cellule muscolari cardiache è necessario
l’ingresso di calcio all’interno della cellula per poter permettere il meccanismo di contrazione,
altrimenti questo non avviene.
Domanda: però è permeabile grazie alle pompe. Certo, ma potrebbero non esserci le pompe
sulla membrana cellulare. Una cellula ha molti canali, su quei canali potrebbero esserci
canali per il sodio e, in quel caso, la cellula sarebbe impermeabile al calcio che non può
entrare. Se non ci sono canali per il calcio, la cellula è necessariamente impermeabile perché
il calcio non passa attraverso la membrana citoplasmatica. È permeabile nel caso in cui ci
sono canali per il Ca che ne permettono l’ingresso.
9. La concentrazione di calcio citoplasmatico durante la contrazione: è minore rispetto a quella
delle cellule striate.
Nelle cellule cardiache la quantità di calcio che si libera nel reticolo sarcoplasmatico è minore
di quella che si libera nelle cellule striate, anche perché queste cellule hanno delle cisterne
terminali del reticolo che sono più piccole rispetto a quelle del muscolo scheletrico; quindi, la
quantità di calcio che viene liberata durante la contrazione della cellula cardiaca è più bassa.
È questione di anatomia cellulare: non viene attivata in maniera maggiore l’attivazione di
calcio, ne è proprio presente di meno.
10. Le cellule muscolari lisce si contraggono in modo intermittente sono chiamate fasiche: vero.
Le altre sono chiamate toniche e si contraggono in modo continuo.
11. Nella cellula muscolare liscia, il rilascio di calcio intracitoplasmatico è sempre mediato da:
ingresso di Ca dal LEC. (liquido extra cellulare
E’ un sincizio elettrochimico, quindi è necessario che entri calcio nella cellula per attivare la
liberazione di calcio dal reticolo sarcoplasmatico. La produzione di cAMP non è un evento
che avviene nella cellula muscolare liscia; mentre un potenziale d'azione potrebbe, ma non è
esclusivamente quello: se si attiva un potenziale d’azione sulla membrana della nostra cellula
muscolare liscia, potrebbe esserci un ingresso di ioni calcio, ma non è indispensabile dato che
può avvenire anche con altri meccanismi.
12. Il potenziale di riposo delle cellule muscolari lisce è circa -50mV: vero.

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È compreso tra i -30 e i -50 mV, in relazione alla cellula presa in considerazione. In realtà,
sono più le cellule della muscolatura liscia che hanno un potenziale di riposo intorno ai -50
mV piuttosto che inferiore.
13. La contrazione del muscolo liscio è attivata: da stimoli nervosi e chimici.
Tra gli stimoli chimici sono inclusi anche gli umorali, dato che gli ormoni si legano comunque
a recettori chimici. Gli stimoli possono essere sia nervosi sia chimici, intrinseci (prodotti
direttamente dal nostro organismo) come gli ormoni o estrinseci (es. farmaci).
14. La contrazione delle cellule muscolari lisce è regolata a livello dei filamenti sottili: falso.
È regolata a livello dei filamenti pesanti, quindi la miosina, è la struttura che determina il
controllo della contrazione. Ci sono delle proteine che, legandosi al calcio, determinano tutta
un’attivazione di fenomeni che permettono la liberazione della testa della miosina. Quindi, in
realtà, i filamenti sottili hanno un ruolo nella contrazione vera e propria, ma non vengono
modificati strutturalmente e funzionalmente per determinare la contrazione a livello delle
cellule muscolari lisce.
15. Il cuore può aumentare la sua forza di contrazione tramite: l'aumento del rilascio di Ca
intracellulare.
E’ un sincizio funzionale in cui tutte le cellule vengono coinvolte nella contrazione, non
possono come nella muscolatura scheletrica essere reclutate da altre fibrocellule per dare una
contrazione maggiore e aumentare quella che è l’intensità della contrazione. Le fibrocellule
della muscolatura del cuore vengono tutte attivate contemporaneamente e non possiamo
attivarne o reclutarne altre. Per quanto riguarda “L’aumento del rilascio del calcio
intracellulare”, il sistema nervoso parasimpatico ha effetto opposto del simpatico, va a ridurre
la liberazione di calcio intracellulare, la generazione di forza a livello cardiaco e la frequenza,
rendendo il rilasciamento delle cellule più lungo, inibendo la funzionalità cardiaca. Ciò che
aumenta è il sistema nervoso simpatico (adrenalina e noradrenalina) che va ad aumentare la
frequenza, la forza e lo fa andando ad aumentare la liberazione del calcio intracellulare.

RIFLESSI SPINALI
I riflessi spinali generano una risposta motoria, sono eventi non controllati e che possono essere eventi
motori e non solo. È un compito che si ripete normalmente nel tempo con la stessa caratteristica e
sono in genere risposte improvvise, nel senso che non siamo noi che, coscientemente, siamo in grado
di dar vita ad un determinato compito che sia di tipo motorio o di altra natura.
In realtà i riflessi possono essere classificati in differenti tipi: riflessi motori (spinali, mono o
polisinaptici a seconda delle cellule coinvolte in questi meccanismi) e riflessi condizionati e innati
(riflessi comportamentali, che si generano in base ad un determinato comportamento innato o
indotto).
Gli innati li possiamo riscontrare, ad esempio, in un neonato: sono risposte motorie non dettate da
un apprendimento. Tra questi abbiamo come esempio il riflesso della suzione: nessuno insegna ad un
neonato come succhiare il latte, è un evento innato comandato da circuiti motori che in parte vengono
coordinati dalle strutture corticali, ma non sempre sono completamente sotto controllo: infatti, basta
avvicinare un dito alla guancia del neonato per far partire questo riflesso motorio, i meccanismi di
contrazione e rilasciamento muscolare generano questo riflesso, di norma indirizzato alla suzione del
latte e quindi al mantenimento della sua vita. Stesso discorso vale per il movimento di apertura e

221
chiusura delle palpebre, sono meccanismi automatici generati da una serie di stimoli e controllati da
circuiti piuttosto semplici che ci portano ad una risposta motoria.
Oltre ai riflessi innati, esistono dei riflessi definiti condizionati. Il condizionamento di un riflesso
può essere definito classico od operante.
• classico: è il condizionamento di
Pavlov. Pavlov era un
neuroscienziato che nel 1800
circa identificò la possibilità di
condizionare, ovvero far
apprendere ad un soggetto
sperimentale, un cane, un
determinato riflesso. Il cane
iniziava l'evento della
salivazione quando gli si
presentava la ciotola con il cibo,
ovvero uno stimolo
incondizionato per il soggetto:
il cane vede il cibo, lo riconosce come materiale da poter ingerire e inizia il meccanismo della
salivazione. La salivazione è una risposta, quindi, incondizionata: tutte le volte che il cane
vede qualcosa che può sostenere la sua vita, il cane inizia a produrre una quantità di saliva
maggiore della sua quantità basale. Questa viene definita risposta incondizionata. Pavlov
iniziò ad associare alla presentazione del cibo, un altro stimolo: il suono di una campanella.
Se Pavlov suonava la campanella in presenza del cane, ma senza cibo, il cane non mostrava
interesse a quello stimolo, considerato stimolo neutro. Associando lo stimolo neutro a quello
incondizionato per diverso tempo, condizionando il soggetto a riconoscere il cibo in
associazione al suono della campanella, il cane iniziava la salivazione perché era presente lo
stimolo condizionato (il cibo) che determinava la risposta incondizionata classica (la
salivazione) in una situazione con questo suono che era singolarmente uno stimolo neutro.
Pavlov si accorse che semplicemente somministrando al soggetto sperimentale lo stimolo
neutro, il soggetto rispondeva generando salivazione. Questo portò Pavlov a comprendere che
si poteva condizionare un certo riflesso tramite l’addestramento e renderlo possibile solo in
seguito a determinate condizioni.
• operante: viene fatto in una gabbia in cui è presente un roditore, nel pavimento della gabbia
può scorrere una piccola corrente elettrica. Nella gabbia esiste un pulsante che può essere
premuto dal soggetto sperimentale stesso. Il condizionamento operante può essere svolto con
due meccanismi:

222
o rinforzo positivo: l’animale viene messo nella gabbia e il roditore, essendo un animale
molto curioso, si muove nella
gabbia e casualmente pigia il
bottone. Pigiando il bottone,
esce del mangime. Quindi,
l'animale associa il bottone
(elemento colorato e ben
riconoscibile) con la
ricompensa positiva: gli viene
donato del cibo e può
mangiare. Si definisce
“operante” perché il soggetto
deve attivamente andare a
pigiare il bottone per ottenere
la ricompensa.
o rinforzo negativo: è l’opposto del positivo. Nella gabbietta possiamo far passare una
piccola corrente elettrica, questa tocca i piedi del nostro soggetto sperimentale e crea
un disturbo al soggetto. Pigiando il bottone nella gabbia, la corrente elettrica viene
interrotta e l’animale non avrà il fastidio generato da quello stimolo. L'animale tenderà
a muoversi nella gabbia a causa della corrente e questo porta l'animale a pigiare,
sempre casualmente, il bottone che terminerà la stimolazione dello stimolo negativo.
In questo caso è il fastidio, quindi la condizione negativa, che crea un
condizionamento: se premo il pulsante che casualmente ho premuto mentre cercavo di
allontanarmi dalla mia fonte di fastidio, mi rendo conto di poter eliminare quel fastidio
e tutte le volte che sento il fastidio posso andare a pigiare il bottone e ad eliminarlo.
Questi condizionamenti sono eventi che possono essere appresi e fanno parte di riflessi che si
svolgono continuamente nella vita del soggetto.

RIFLESSI MOTORI
Sono dei compiti motori che hanno come
conseguenza una contrazione muscolare.
I riflessi sono eventi non direttamente
controllati dal sistema nervoso centrale, quindi
non coscienti e non volontari, ma che in parte
possono essere controllati dalle strutture
discendenti. Il motoneurone alfa determina
l’evento finale del riflesso spinale.
Il motoneurone alfa viene considerato come
l'effettore finale di ogni attività motoria, sia di
eventi volontari e controllati dalle vie
discendenti motorie che arrivano alle strutture
corticali, sia nel caso di un riflesso in cui non c’è un controllo diretto delle strutture corticali, ma che
ha come effettore sempre il motoneurone alfa.

223
I motoneuroni alfa si trovano nel midollo spinale, nella porzione anteriore della sostanza grigia, dove
sono presenti i corpi cellulari dei motoneuroni; le branche afferenti dei motoneuroni arrivano ai
muscoli scheletrici (periferici) attraverso le corna anteriori del midollo spinale e qui svolgeranno il
loro compito motorio. Questa organizzazione si mantiene costante per tutta la lunghezza del midollo
spinale: nella parte anteriore del midollo spinale saranno sempre presenti dei motoneuroni alfa che
andranno ad innescare un compito motorio su strutture periferiche.
Esistono non solo motoneuroni alfa, ma anche altri motoneuroni come i motoneuroni gamma: si
trovano nelle corna anteriori del midollo spinale e permettono la fuoriuscita degli assoni attraverso le
corna anteriori. Sono generalmente più piccoli dei motoneuroni alfa e hanno la capacità di generare
una sorta di controllo sulle risposte riflesse.
I riflessi motori sono presenti sia nelle strutture assiali del nostro organismo, ma anche a livello del
viso. I riflessi presenti a livello del viso sono controllati da motoneuroni che si trovano nei nuclei dei
gangli cervicali: uno di questi è il ganglio stellato. Il nervo in grado di controllare le informazioni
motorie a livello del viso è il nervo trigemino.
Questi motoneuroni vanno a fare sinapsi con le cellule muscolari striate periferiche attraverso la
formazione di unità motrici. Per nucleo motorio si intende l’insieme di tutti i motoneuroni che
innervano un singolo muscolo; mentre l’unità motoria è data da tutte le fibre muscolari che sono
innervate da un singolo motoneurone. In un unico muscolo possono essere presenti diverse unità
motrici perché la quantità di fibre che formano i nostri muscoli scheletrici è piuttosto numerosa. Non
tutte le fibre dello stesso muscolo sono innervate da un singolo motoneurone; succede nei muscoli
molto piccoli in cui può essere presente una singola unità motrice, ma è certo che negli altri muscoli
scheletrici sono presenti altre unità motrici, comandate da motoneuroni presenti nello stesso nucleo
motorio.
I muscoli presentano fibre cellulari differenti di tipo 1 e di tipo 2, che sono coinvolte anche loro, oltre
che nelle contrazioni volontarie, in strutture generate da riflessi motori. Così come abbiamo visto per
le volontarie, nelle contrazioni involontarie vengono sinaptate prima le fibre lente e poi si ha il
reclutamento delle fibre più veloci, con una produzione di tensione maggiore.
Vengono reclutate in questo modo grazie anche al principio della dimensione. Nelle cellule
muscolari striate le unità motrici formate da fibre di tipo 1 sono più piccole rispetto a quelle di tipo 2
e quindi vengono attivate prima.

INNERVAZIONE
Come i motoneuroni vanno ad innervare i diversi muscoli presenti a livello delle nostre strutture
periferiche?
L'innervazione da parte dei motoneuroni alfa sui muscoli periferici dipende da come il motoneurone
alfa si trovi a livello del midollo spinale. C’è un’organizzazione ben specifica della posizione dei
motoneuroni che vanno a controllare la contrazione dei nostri muscoli. L'organizzazione può essere
considerata in senso medio-laterale (nel midollo: prossimo-distale) e in senso dorso-anteriore: i
motoneuroni alfa che si trovano nella parte più mediale della sostanza grigia del midollo spinale
vanno a controllare i muscoli più prossimali, come quelli del busto; mentre i motoneuroni che si
trovano più lateralmente nel midollo spinale vanno a far sinapsi con i muscoli più distali, quindi i
muscoli degli arti.

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All'interno di questa organizzazione, i
motoneuroni che si trovano nella parte
più dorsale del midollo spinale (nucleo
rosso) in genere innervano i muscoli
flessori; mentre i più ventrali (nucleo
arancione) vanno ad innervare i
muscoli estensori.
I recettori sono in grado di dar vita ad
una mappa sensoriale a livello delle
strutture corticali e talamiche grazie
alla trasmissione di informazioni ben
impacchettate in posizioni ben
specifiche all’interno delle corna
dorsali nel midollo spinale, lo stesso avviene anche nei motoneuroni, presenti nelle corna anteriori.
C’è un’organizzazione specifica che permette di andare a controllare i diversi muscoli in posizioni
differenti con funzionalità diverse. La disposizione viene sempre mantenuta per tutta la lunghezza del
midollo.
La risposta è sempre la stessa: il motoneurone alfa viene attivato, crea un potenziale d’azione e dà
vita ad una risposta motoria, ovvero ad una contrazione muscolare per i muscoli estensori, flessori,
prossimali o distali.

ATTIVITA' RIFLESSA
I riflessi motori sono eventi stereotipati, che si ripetono sempre nello stesso modo, che non sono
controllati volontariamente e che vengono prodotti in seguito a uno stimolo esterno. I riflessi motori
sono generati sia nei muscoli periferici esterni (muscoli somatici periferici), ma anche a livello
viscerale: ci sono riflessi viscerali che hanno esattamente le stesse identiche caratteristiche dei riflessi
spinali e che vengono generati da stimoli.
I circuiti che danno vita a questi riflessi sono circuiti semplici che si trovano a livello di quelle che
sono le strutture midollari e hanno una organizzazione segmentale: all’interno di ogni segmento che
forma il midollo spinale, ci sono circuiti che si organizzano in modo tale da poter generare riflessi
spinali in tutte le regioni del nostro organismo.
Il circuito base di un riflesso spinale è formato da:

• una branca afferente, che recupera le informazioni generate dallo stimolo e che va verso il
midollo spinale;
• un centro che si trova a livello del midollo spinale e che corrisponde alla struttura in cui si
formeranno le sinapsi tra la branca afferente e la branca efferente;
• una branca efferente, ovvero l’assone del motoneurone alfa che andrà a recuperare le
informazioni derivate dalla fibra afferente, si genererà un potenziale d’azione nel motoneurone
che porterà all’attivazione della fibra muscolare scheletrica.
Questo è il circuito base di un riflesso che prende il nome di arco riflesso. Gli archi riflessi sono
presenti a livello midollare, per quanto riguarda le informazioni legate ai riflessi somatici, sono
posizionati anche nei nervi cranici per le informazioni legate ai movimenti meccanici a livello della
nostra testa e del nostro viso, vi sono altri archi riflessi che si trovano a livello delle strutture del
sistema nervoso simpatico e parasimpatico per attivare i riflessi viscerali.

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Riflesso Miotatico o da stiramento:
il primo riflesso spinale da considerare è il riflesso miotatico (o da stiramento).
Il recettore del riflesso
miotatico è il fuso
neuromuscolare che è una
struttura piccola a forma di
fuso formata da una serie di
fibre intrafusali. Le fibre
intrafusali sono fibre
muscolari modificate che
hanno perso la loro
capacità di contrarsi in
massima parte, anche se la parte più apicale della fibra è comunque in grado di contrarsi e andrà a
gestire il controllo della funzionalità dei fusi neuromuscolari. All’interno del fuso neuromuscolare
sono presenti non più di una decina di fibre disposte in parallelo rispetto alle fibre extrafusali (fibre
che formano il muscolo) e avvolte da connettivo poiché il fuso è una struttura recettiva ben separata
dal muscolo scheletrico.
Le fibre intrafusali possono essere:

• A catena di nucleo;
• A sacco di nucleo;
La nominazione dipende dalla presenza di una serie di nuclei della cellula multinucleata muscolare
classica che si raggruppano al centro della fibra intrafusale (a sacco di nucleo) o che si dispongono
come una catena lungo tutta la fibra intrafusale (a catena di nucleo). Oltre a questa differenza
anatomica, è presente anche una differenza funzionale nel caso dei fusi neuromuscolari, dovufatto
che le fibre intrafusali sono sinaptate da neuroni sensitivi primari differenti. Le fibre sensoriali che
raggiungono i fusi neuromuscolari sono di TIPO 1A o di TIPO 2.
Le fibre di tipo 1A avvolgono in modo
anulospirolato (intorno al centro delle
fibre) tutti e due i tipi di fibre intrafusali,
ovvero sia quelle a sacco di nucleo e sia
quelle a catena di nucleo. Questo tipo di
fibra è la così detta fibra afferente
primaria, cioè è la fibra sensoriale per
eccellenza. Quindi il neurone sensitivo
primario trasporta l’informazione
generata dal fuso neuromuscolare fino
all’interno del midollo spinale; perciò,
questa tipologia di fibre rappresentano
la branca afferente del riflesso.
Le fibre di tipo 2 hanno una capacità di risposta più lenta rispetto alle fibre di tipo 1A e avvolgono le
fibre intrafusali a catena di nucleo (sempre nella porzione centrale).

226
È presente anche un’innervazione motoria delle fibre intrafusali generata dalla presenza di assoni
di motoneuroni γ.
L’innervazione motoria permette il
controllo della funzione del fuso
neuromuscolare andando a
controllare la parte apicale delle
cellule intrafusali che è ancora in
grado di contrarsi. Il fuso
neuromuscolare, essendo una
struttura in parallelo con le fibre del
muscolo striato in cui è situato, andrà
semplicemente a modificare la
lunghezza delle sue fibre in base alla
modificazione della lunghezza del
muscolo. Il fuso neuromuscolare sarà sinaptato da motoneuroni γ differenti che sono in grado di
permettere la contrazione delle parti apicali delle fibre intrafusali controllando la risposta del fuso
neuromuscolare.
Le fibre motorie che sinaptano le fibre intrafusali del fuso neuromuscolare sono suddivise in:
- Fibre dinamiche → fanno sinapsi con
le fibre intrafusali a sacco di nucleo
di tipo 1;
- Fibre statiche → fanno sinapsi con le
fibre intrafusali a sacco di nucleo di
tipo 2 e con le fibre intrafusali a
catena di nucleo;

Vengono denominate statiche e dinamiche perché svolgono una funzione differente e perché i
motoneuroni γ che innervano le fibre del fuso neuromuscolare vanno a generare una risposta diversa
nel fuso neuromuscolare e quindi nella muscolatura stessa.
È stato così descritto il sistema recettivo, ovvero l’insieme di fibre afferenti. Per fibra afferente si
intende la fibra che recupera l’informazione sensitiva e la trasporta all’interno del midollo spinale
dando vita al circuito, che è l’arco riflesso, che permette di attivare la risposta motoria riflessa.
I fusi rispondono alle variazioni della lunghezza delle fibre extrafusali. Considerando il muscolo
scheletrico formato da una serie di cellule muscolari con l’interposizione dei fusi neuromuscolari, se
la fibra si allunga il fuso neuromuscolare si allunga, mentre se la fibra si contrae il fuso
neuromuscolare si accorcia. Questa variazione di lunghezza provoca una variazione della scarica delle
fibre afferenti.

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Le scariche hanno frequenza differente a seconda del tipo di fibra sensitiva considerata.

L’immagine va a porre l’attenzione sulle fibre di tipo 1A e di tipo 2, ovvero le fibre sensitive primarie
che vanno ad avvolgere il fuso neuromuscolare. Le fibre di tipo 1A danno risposta dinamica.
Normalmente le fibre, anche a riposo, hanno una loro frequenza di scarica tonica che si mantiene nel
tempo, è una frequenza molto bassa, mentre l’aumento di frequenza o la riduzione di frequenza tonica
crea una risposta che genera il meccanismo riflesso. Esiste una serie di stimoli differenti che possono
essere somministrati ai muscoli. Prendendo in considerazione uno stiramento lineare, il muscolo si
stira linearmente fino ad una certa lunghezza e dopodiché ritorna alla sua posizione iniziale. La fibra
di tipo 1A ha risposta dinamica, aumenta la frequenza di scarica durante lo stiramento e
successivamente ritorna alla sua situazione di riposo, quindi genererà una risposta di tipo motorio. La
fibra di tipo 2 è molto più statica e aumenta lievemente la frequenza di scarica a seguito di uno
stiramento lineare, la risposta che da è particolarmente bassa di intensità e perciò se fossero attivate,
in quel tipo di informazione, solo le fibre di tipo 2 non si avrebbe alcun tipo di risposta riflessa perché
non si andrebbe a generare un circuito tale per cui viene attivato il motoneurone α che da la risposta
motoria. Perciò in seguito a modificazioni degli stimoli, per esempio una percussione, uno stiramento
sinusoidale con una certa frequenza di stiramento o un rilasciamento, le fibre sensitive primarie danno
risposte differenti.
Questa genesi di risposte differenti creerà l’attivazione di un
riflesso motorio, in particolare creerà una risposta generata
dall’allungamento (quindi dallo stiramento) di un muscolo. Il
riflesso miotatico (o da stiramento) fasico o guidato dalle fibre
1A (fibre dinamiche) è il classico riflesso patellare (quando
con un martelletto si batte sul ginocchio del paziente,
quest’ultimo solleverà la gamba che è in scarico dalla posizione
seduta). Questo è un esempio di risposta motoria riflessa
generata da uno stiramento, il martelletto incide sul tendine del
muscolo retto femorale determinando l’allungamento delle
fibre di questo muscolo che sono vicine al tendine, questo
allungamento genera una risposta coordinata dei fusi
neuromuscolari che porta alla contrazione del muscolo
allungato. Il riflesso miotatico è un riflesso semplice in cui
l’arco riflesso è sia monosinaptico e sia polisinaptico.
L’immagine a destra va a descrivere quello che è un circuito
monosinaptico semplice (riflesso patellare).

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Il muscolo e il fuso si allungano e l’allungamento del fuso neuromuscolare va a modificare la
conformazione del neurone sensitivo primario, che è avvolto attorno alle cellule che formano il fuso
neuromuscolare, determinando l’apertura di canali sulla parte terminale del neurone sensitivo
primario e generando un potenziale d’azione all’interno del neurone sensitivo primario che corre
lungo tutta la fibra e arriva a livello del midollo spinale.
Si descrive, quindi, come il neurone sensitivo primario recupera l’informazione dal fuso
neuromuscolare e la trasporta all’interno del midollo spinale. A livello del midollo spinale il neurone
sensitivo primario può fare sinapsi diretta con il motoneurone α che va a comandare la contrazione
dello stesso muscolo da cui è partito il segnale. L’allungamento di un muscolo potrebbe rappresentare
un evento traumatico poiché le fibre muscolari possono raggiungere solo una certa lunghezza. Il
meccanismo di allungamento muscolare crea un riflesso spinale (miotatico) che induce la contrazione
dello stesso muscolo che è stato allungato, questo va a ridurre la lunghezza della fibra muscolare
riportandola alla lunghezza corretta. Questo meccanismo è esattamente uguale a quello che si attua
quando il medico mette alla prova il riflesso patellare. Il riflesso patellare, infatti, è un circuito
semplice (monosinaptico) in cui il neurone sensitivo primario, quindi con fibre di tipo 1A, recupera
l’informazione dal fuso neuromuscolare di un muscolo striato qualunque che si sta allungando e fa
sinapsi direttamente con un motoneurone α che innerva il muscolo omonimo, cioè lo stesso muscolo
che è stato allungato. Questo meccanismo crea, quindi, un accorciamento della fibra muscolare
dovuto alla contrazione del muscolo, si parla di riflesso monosinaptico perché c’è una sinapsi diretta.
Il motoneurone α, in questo caso, è la fibra efferente che va dal midollo fino al muscolo per generare
la risposta motoria.
Il riflesso miotatico presenta anche delle vie collaterali generate dallo stesso neurone sensitivo
primario che permette il controllo di altri muscoli che sono coinvolti in questo meccanismo. Questi
altri muscoli sono:
- I muscoli sinergici (che hanno lo stesso compito motorio del muscolo che è stato allungato);
- I muscoli antagonisti (che hanno un compito motorio opposto rispetto a quello che svolge il
muscolo che è stato allungato, in questo caso la risposta riflessa non è monosinaptica ma è
una risposta plurisinaptica).
Il riflesso miotatico è, come detto in precedenza, formato da una componente monosinaptica → la
fibra sensitiva primaria è in grado di generare una sinapsi diretta con il motoneurone α che insiste sul
muscolo omonimo (sullo stesso muscolo che si è allungato) e contemporaneamente la fibra sensitiva
primaria è in grado di andare ad attivare motoneuroni α che insistono sui muscoli sinergici rispetto al
muscolo omonimo e attraverso la presenza di interneuroni inibitori va a inibire la contrazione dei
muscoli antagonisti.
I riflessi sono risposte motorie non volontarie di muscoli scheletrici periferici (compiti motori) che
permettono, ad esempio, il mantenimento dell’equilibrio. Questo tipo di riflesso miotatico è
controllato, quindi, da fibre di tipo 1A dinamiche (veloci, creano una risposta miotatica immediata a
seguito dell’allungamento di un muscolo), esiste inoltre, un altro tipo di riflesso miotatico, ovvero il
riflesso statico controllato da fibre di tipo 2.
Per essere certi che l’arco riflesso funzioni e che venga attivato nel più breve tempo possibile (per
evitare la genesi di un danno a livello tessutale del muscolo allungato), il circuito, oltre che essere un
arco riflesso monosinaptico deve coinvolgere interneuroni inibitori che sono presenti nella parte
intermedia della sostanza grigia del midollo spinale, producono GABA o Glicina e vanno ad inibire
la funzionalità della muscolatura antagonista rispetto alla muscolatura stimolata, dando vita

229
all’innervazione reciproca. L’innervazione reciproca permette di ridurre o bloccare la funzionalità di
un muscolo antagonista andando a bloccare il nucleo motorio dei motoneuroni che insistono su un
determinato muscolo antagonista.
È importante sottolineare che i riflessi si generano anche durante una contrazione muscolare
volontaria, ma in quel caso sono sotto il controllo della via discendente motoria. In generale quindi i
riflessi sono eventi involontari che hanno un controllo che si integra con il controllo discendente. Per
esempio, se mentre si sta eseguendo un controllo del riflesso patellare il paziente contrae il muscolo
del polpaccio, la gamba non si solleverà anche se si va a battere col martelletto sul ginocchio. Perciò,
in una situazione di contrazione improvvisa e non controllata si attiva il meccanismo riflesso, mentre
in una situazione di controllo motorio volontario discendente i circuiti riflessi vengono inibiti. Quindi
generalmente i riflessi vengono attivati in maniera automatica ma, se si sta svolgendo un compito
motorio ben preciso, i circuiti vengono ridotti di funzionalità, ovvero vengono inibiti dalle strutture
corticali discendenti (altrimenti non si potrebbero eseguire compiti motori).
È presente un controllo generato da motoneuroni γ sul sistema di riflessi, esistono quindi motoneuroni
γ statici e dinamici che vanno a sinaptare con le fibre intrafusali. La principale funzione dei
motoneuroni γ è quella di permettere il controllo dei fusi neuromuscolari in tutte le situazioni di
funzionalità muscolare.
Per esempio, a sinistra sono identificabili tre situazioni in cui si può trovare il fuso neuromuscolare.
Nel caso A ci si trova in una situazione di
riposo, il muscolo è nella sua lunghezza
naturale, la fibra più in alto è intrafusale,
mentre la fibra in basso è extrafusale, in
questa immagine sono rappresentate della
stessa lunghezza ma solitamente non è
così (la fibra intrafusale dovrebbe essere
più piccola poiché si trova all’interno del
muscolo stesso). Quando la fibra
muscolare extrafusale ha lunghezza di
riposo non accade nulla perché il fuso
neuromuscolare ha la sua scarica tonica
perché tonicamente scarica ma non
cambia la frequenza di scarica del fuso e
perciò non si ha alcun tipo di risposta.
Come detto in precedenza, il riflesso può
generarsi quando il muscolo si allunga e di
conseguenza la fibra muscolare
extrafusale va a contrarsi.
Quando invece il muscolo si contrae e
quindi al posto di allungarsi si accorcia, la
fibra intrafusale appartenente al fuso neuromuscolare potrebbe diventare flaccida, non più distesa.
Questo accade perché la fibra extrafusale si sta accorciando e quindi se il fuso neuromuscolare è
messo in parallelo rispetto alle fibre extrafusali anche la lunghezza del fuso neuromuscolare si
accorcia e perciò la fibra intrafusale non è più tesa e perde la sua forma. I motoneuroni γ vanno a
sinaptare le parti apicali delle fibre intrafusali che mantengono la loro capacità di contrarsi dando una
contrazione minimale che però, se viene messa in atto in questo evento (durante la contrazione della

230
fibra extrafusale), permette al fuso neuromuscolare di recuperare la sua lunghezza ottimale rispetto
alla fibra extrafusale. Perciò in condizione di riposo, ovvero la situazione in cui non c’è allungamento
muscolare, il fuso neuromuscolare ha lunghezza perfetta e quindi si trova esattamente nella lunghezza
che può dar vita ad una risposta in caso di allungamento.
In caso di accorciamento della fibra extrafusale, il fuso neuromuscolare perde la sua lunghezza
corretta. Durante questo evento di accorciamento muscolare generato da una contrazione volontaria
improvvisamente potrebbe succedere qualcosa per cui il muscolo si allunga. Per esempio, se mentre
si sta sollevando un peso, si aggiungesse un ulteriore peso, oltre a quello già presente, che non si è in
grado di sollevare, la fibra intrafusale si andrebbe ad allungare. Se perciò ci si trova in quella
situazione in cui la fibra muscolare è contratta e il fuso neuromuscolare è in uno stato di flaccidità, il
fuso neuromuscolare, prima di rispondere all’improvviso allungamento della fibra, dovrebbe tornare
nella sua giusta posizione iniziale in modo da poter dar vita al meccanismo del riflesso. I motoneuroni
γ che vanno a sinaptare gli apici del fuso neuromuscolare lo mantengono sempre alla lunghezza giusta
anche quando la fibra muscolare extrafusale è contratta. Perciò, in questo caso, il fuso neuromuscolare
potrà rispondere immediatamente ad un allungamento improvviso del muscolo contratto e non si
andrebbero a perdere microsecondi utili per poter rispondere, attraverso un riflesso miotatico, ad un
allungamento improvviso della fibra muscolare.
I motoneuroni γ controllano la funzionalità del fuso neuromuscolare perché permettono la contrazione
delle parti terminali, che sono le uniche che mantengono la loro funzionalità muscolare e che sono in
grado quindi di contrarsi. Queste porzioni terminali, perciò, contraendosi riportano il fuso
neuromuscolare nella posizione corretta durante qualsiasi evento di contrazione del muscolo
scheletrico. In questo modo, se si attiva un evento straordinario per cui da una contrazione si passa
direttamente e in modo improvviso ad un allungamento, si genera questo tipo di risposta. I
motoneuroni γ hanno, quindi, una caratteristica importante nel mantenimento dell’evento riflesso. Se
si sta camminando, per esempio, il muscolo scheletrico è contratto, in seguito a una storta questo
muscolo viene allungato mentre era contratto per poter svolgere la nostra camminata normale, se il
fuso neuromuscolare non fosse nella posizione giusta per recuperare e dar vita ad una risposta che
permette il mantenimento dell’equilibrio, sarebbero necessari dei millisecondi in più che fanno
perdere l’equilibrio. Il motoneurone γ controlla la risposta che permette il mantenimento
dell’equilibrio, viene sempre mantenuta la corretta posizione del fuso neuromuscolare per garantire
questa determinata risposta.
Nel caso del riflesso miotatico involontario in cui si ha l’articolazione posta in una posizione neutra
e sulla quale viene caricato un
peso che non si è pronti a
sostenere, la muscolatura viene
inizialmente allungata per
sostenere il peso e poi si
effettuerà una contrazione che
permetterà di riportare
l’articolazione nella posizione
iniziale, la contrazione finale
viene definita contrazione
riflessa.
Esiste anche il così detto riflesso da scarico, che rappresenta l’opposto del riflesso miotatico. Questo
tipo di riflesso si ha quando si sta sostenendo un peso quindi il muscolo è tonicamente contratto e

231
improvvisamente il peso viene eliminato, quello che accade è che il muscolo subisce un ulteriore
contrazione perché si ha una mancanza di segnale eccitatorio, che deriva dai motoneuroni che
innervano il muscolo, che di conseguenza produce un rilassamento del muscolo. Quando il peso viene
eliminato quindi la frequenza di scarica della fibra afferente primaria si riduce e perciò si va incontro
ad una risposta opposta che permetterà di rispondere a quella variazione di tensione.
RIFLESSO DA STIRAMENTO TONICO:
è il riflesso generato dalle fibre di tipo 2. In questo caso l’arco riflesso è molto più complesso
rispetto al precedente, ovvero le informazioni monosinaptiche sono inferiori rispetto alle informazioni
polisinaptiche. Questo tipo di riflesso da stiramento permette di mantenere il tono di certi muscoli.
Considerando i muscoli gravitazionali, l’allungamento di questi ultimi generato dalla forza di gravità
crea come risposta l’attivazione di una fibra sensitiva primaria di tipo 2 che a sua volta da come
risposta l’attivazione dei motoneuroni α che insistono su quei muscoli antigravitazionali. Questa
risposta si mantiene nel tempo e permette di dar vita ad una contrazione muscolare con una tensione
più bassa rispetto a quella di un riflesso da stiramento fasico. La risposta è appunto quella di una
contrazione muscolare lieve, tonica e mantenuta nel tempo. Le unità motrici, ovvero le fibre
muscolari che sono sinaptate dai motoneuroni attivati dalle fibre sensitive di tipo 2 nel riflesso da
stiramento, sono di tipo 1, quindi sono fibre lente, ossidative, che non vanno incontro ad
affaticamento e che sono in grado di mantenere la contrazione per lungo tempo. Ad esempio, i muscoli
del collo che sostengono il capo sono muscoli di questo tipo, il sostenimento del capo per tutta la
giornata è un continuo riflesso miotatico di tipo tonico perché i muscoli mantengono un tono di
contrazione generato dalla forza di gravità che crea questo tipo di informazione. La risposta delle
fibre sensoriali di tipo 2, che viene generata dall’allungamento del fuso neuromuscolare, crea una
contrazione di quel muscolo che si mantiene nel tempo sviluppando una tensione molto bassa. Questo
tipo di contrazione muscolare è involontaria. Oltre a questi tipi di riflessi muscolari periferici che
coinvolgono gli arti, questo tipo di riflessi sono presenti anche a livello del viso (Esempio: cavità
orale). I muscoli elevatori della mandibola vanno molto spesso incontro a questo riflesso durante la
masticazione. La masticazione è un evento che inizia volontariamente e che poi successivamente
viene mantenuto, attraverso un meccanismo che si trova in circuiti presenti nel tronco dell’encefalo,
come evento ritmico non controllato. Insieme a quel ripetersi di eventi ritmici (contrazioni e
rilasciamenti muscolari che inducono la masticazione), ci sono anche riflessi da stiramento che
producono questo tipo di risposta. È importante che durante una visita il medico vada a valutare
questo tipo di riflesso perché questa attività è in gradi di provare l’integrità dei circuiti spinali. In
soggetti che hanno avuto dei danni spinali i riflessi spinali motori sono assolutamente indispensabili
per capire la posizione e l’entità del danno spinale.

232
Lezione di fisiologia del 22.11.2021
Sbobinatrice 1: Sofia Basaglia
Sbobinatrice 2: Beatrice Bernabei
Revisore: Sara Fumagalli
Docente: Sandra Guidi
Argomento: riflessi spinali

Informazioni sugli esami:


A Bologna solitamente si fa un appello poco dopo le vacanze natalizie, uno ad aprile e uno a dicembre
dell’anno accademico successivo (la prof. vorrebbe sapere da noi se riteniamo utile inserire anche
quest’ultima data). L’idea della docente è quella di mettere il primo appello il 25 o 28 gennaio, in base alla
disponibilità delle aule, in presenza, e garantire la modalità online nei 2/3 giorni immediatamente successivi,
il secondo appello sarebbe invece a metà febbraio (15/16 febbraio). La data seguente potrebbe essere ad
aprile, non d’estate (quando inizieranno gli orali di fisiologia degli apparati e applicata) e si potrebbe
decidere di non prevedere una data a dicembre.
Le date scelte tengono conto del calendario di prenotazione delle aule, ovviamente le date degli appelli dei
vari corsi non possono sovrapporsi.
Si ricorda che la prova scritta di fisiologia cellulare si può tentare due volte (verrà considerato il secondo
voto in qualsiasi caso) e se anche il secondo voto non dovesse essere sufficiente o soddisfacente, ci si può
iscrivere agli appelli che prevedono una prova orale di 3 domande (fisiologia cellulare oltre a fisiologia degli
apparati ed applicata), anziché di 2 (come invece avviene per chi ha superato la prima prova scritta e ha
accettato il voto). Chi si fosse perso le informazioni dettagliate sulle modalità d’esame le può trovare a questo
link: https://www.unibo.it/it/didattica/insegnamenti/insegnamento/2021/456799

RIFLESSO MIOTATICO
Il riflesso miotatico si suddivide in due tipi, che si differenziano tra loro in base alla tempistica:
riflesso miotatico tonico e fasico, entrambi (in realtà sono solo due diverse modalità in cui si
manifesta un unico riflesso) coinvolti nel mantenimento di equilibrio e postura.
Si tratta di riflessi autonomi, che non implicano il coinvolgimento delle strutture superiori, nonostante
in realtà la corteccia e le vie discendenti motorie siano in grado di regolarne l’attivazione e lo
svolgimento, grazie ad un meccanismo di inibizione pre-sinaptica. Questo tipo di inibizione riguarda
la riduzione del segnale che, dal neurone pre-sinaptico, passa alla cellula effettrice (es: altro neurone
o cellula muscolare striata).
Questo controllo viene messo in relazione con la diversità di risposta che le fibre afferenti primarie
(tipo 1a) generano in seguito ad una stimolazione, infatti ogni fibra ha una diversa tempistica di
attivazione e di trasporto dell’informazione verso il centro dell’arco riflesso (midollo spinale). La
velocità variabile dipende dalla latenza, dovuta a sua volta alle caratteristiche classiche della cellula
eccitabile stessa.

È possibile osservare (immagine a fianco) una registrazione


elettromiografica di un muscolo del polso, in un soggetto a cui
viene chiesto di tenere il braccio sollevato con la mano in avanti
cercando di non flettere il polso verso il basso. Mentre
l’individuo mantiene questa posizione viene somministrato uno
stimolo molto forte per cui il polso si flette, si ha perciò un
allungamento del muscolo brachiale. A questo punto ci si aspetta
che si crei un riflesso miotatico particolarmente intenso. Ciò però
non succede perché c’è una differenza di latenza nella risposta
delle fibre sensitive 1a del fuso motorio (generano una contrazione del muscolo omonimo in
tempistiche differenti).

233
Oltre a questo, il riflesso miotatico, come detto in precedenza, può essere controllato da strutture
corticali, quindi, se si cerca volontariamente di mantenere il polso esteso con la mano sollevata, quel
controllo corticale incide sulla risposta del nostro riflesso. L’azione della corteccia è principalmente
diretta verso gli interneuroni inibitori, presenti nel centro spinale dell’arco riflesso, che sono in
grado di controllare la contrazione muscolare (risposta motoria del riflesso).
A seguito di questa importante stimolazione si ha una prima risposta riflessa ampiezza ridotta,
perché l’inibizione (data dalle strutture corticali) risulta esser molto forte rispetto a quel tipo di riflesso,
che però è sempre presente e non viene del tutto annullato. Alla fine della risposta elettromiografica,
l’ultima curva (“Vol”) è generata dal controllo motorio discendente, che chiude i circuiti riflessi
generando una risposta volontaria: si ha contrazione del muscolo e la mano torna al punto di partenza.
Si tratta di meccanismi di controllo a feedback: il muscolo si contrae a seguito di uno stiramento (se
non c’è stiramento non c’è contrazione), non sempre però il meccanismo si attiva, a causa delle
strutture corticali che possono modulare la risposta riflessa.

RIFLESSO T

Il riflesso T è un tipo di riflesso spinale/miotatico ed è la flessione della gamba generata dal


martelletto che batte sul tendine d’Achille. Viene verificato ponendo il paziente in posizioni
differenti:
• Da sdraiato → il soggetto è in grado di sviluppare il
riflesso in pochi secondi (latenza molto bassa), se tutte le
vie di segnale che controllano le afferenze motorie
discendenti e le vie spinali sono intatte; la registrazione
dell’attività di contrazione del muscolo omonimo
risulterà piuttosto ampia.
• Da in piedi → l’ampiezza del riflesso è molto ridotta a
causa del contributo dei controlli discendenti corticali
motori e delle informazioni vestibolari (equilibrio
diverso rispetto al soggetto sdraiato) e visive (diversa
visione dell’ambiente), che condizionano la risposta
motoria.
Questo riflesso è molto importante nella valutazione delle vie discendenti del controllo motorio,
infatti viene utilizzato per controllare l’integrità delle vie spinali lombari e sacrali: in caso di
lesioni, se si batte col martelletto, la gamba non risponde flettendosi.

RIFLESSO H e ONDA M

Un’altra risposta motoria riflessa è dovuta alla stimolazione elettrica del nervo tibiale, che allunga
il nervo stesso e quindi anche l’apice della massa muscolare, causando stiramento e contrazione.
Quello che si genera a livello del nervo tibiale, in particolare, è il riflesso H, che si sviluppa nel nostro
muscolo a seguito della stimolazione elettrica del nervo (che conduce corrente alle fibre muscolari)
e della conseguente attivazione vera e propria delle fibre muscolari (che si contraggono). Questo tipo
di informazione si genera esclusivamente quando la stimolazione elettrica ha intensità limitata (es:
40 V).
Se aumentiamo l’ampiezza della stimolazione, oltre all’onda H si sviluppa un’altra onda, detta onda
M, che porta la prima a rimpicciolirsi e scomparire. H crea una risposta riflessa alla stimolazione
elettrica, M è invece generata dalla stimolazione intensa e viene data dai motoneuroni alpha che
fanno contrarre il muscolo.
A livello diagnostico è possibile generare informazioni riflesse con una piccola stimolazione elettrica,
che permette la contrazione di un muscolo e la registrazione di una risposta elettromiografica, se però
si esagera con l’ampiezza della stimolazione, si nota una contrazione diretta e non riflessa. Devono

234
dunque essere calibrate bene le correnti utilizzate per generare questo tipo di risposta, così da non
confonderla con altre reazioni motorie di diversa natura.

CELLULE DI RENSHAW

Il controllo di questi riflessi è operato dalle strutture corticali


superiori tramite interneuroni inibitori. A livello della porzione
intermedia del midollo spinale, in particolare si trova una specifica
forma di interneuroni inibitori, le cellule di Renshaw, che
presentano una serie di terminazioni differenti. Oltre a ricevere
informazioni dalle strutture corticali discendenti, queste cellule
ricevono anche le terminazioni sinaptiche dello stesso motoneurone
alpha convolto nel riflesso miotatico.
La fibra 1a afferente viene attivata dall’allungamento del muscolo e,
attraverso una stimolazione mono-sinaptica, si dovrebbe attivare in
risposta la contrazione del muscolo stesso, tramite il motoneurone
alpha.
In realtà la fibra contrae il muscolo (mono-sinapsi), ma lo stesso motoneurone alpha attiva
l’interneurone inibitorio che inibisce il motoneurone alpha spinale, il quale a sua volta inibisce i
motoneuroni dei nervi agonisti, i quali inibiscono i motoneuroni dei muscoli antagonisti. Questo
controllo a catena, che si sviluppa su tutto il circuito del riflesso, prende il nome di inibizione
ricorrente. È quindi lo stesso motoneurone alpha attivato dal riflesso da stiramento, a dare il via
invece ad un circuito inibitorio. Questo evento risulta necessario per bloccare il riflesso ed evitare che
si mantenga di continuo nel tempo, autoalimentandosi: essendo la risposta motoria molto intensa, si
potrebbe creare una sorta di ciclo ridondante continuo, per il quale se si ha uno stiramento muscolare
intenso, segue una contrazione muscolare altrettanto intensa, che genera a sua volta un altro riflesso
di rilasciamento eccessivo del muscolo e così via.
Le cellule di Renshaw hanno come neurotrasmettitori GABA e glicina e sono in grado di controllare
anche i motoneuroni gamma presenti sulle corna anteriori del midollo spinale, che si occupano di
posizionare correttamente il fuso neuromuscolare all’interno del muscolo.

RIFLESSO MIOTATICO INVERSO


Il riflesso miotatico inverso coinvolge fibre afferenti di tipo 1b, ovvero il prolungamento delle
fibre terminali che si trovano all’interno della capsula dell’organo tendineo di Golgi.
L’organo tendineo del Golgi è un recettore propriocettivo posizionato nella parte apicale del muscolo
e spesso a livello delle fibre collagene del tendine e possiede terminazioni nervose avvolte da una
capsula connettivale e disposte in serie rispetto al fibre muscolari.

235
Le fibre afferenti 1b hanno il corpo cellulare all’interno dei gangli della radice dorsale del midollo
spinale e le terminazioni a livello dell’organo del Golgi, sono cellule pseudo-unipolari a T e hanno
quasi la stessa velocità delle fibre 1°, pur essendo più piccole.

Questo riflesso si sviluppa a seguito di una contrazione muscolare: quando


il muscolo si contrae, l’organo tendineo del Golgi viene “stropicciato” e
vengono schiacciate le sue terminazioni, si aprono i canali e si crea un
potenziale d’azione, poi il segnale viene trasportato lungo la fibra afferente
fino al midollo spinale, dove si sviluppa un arco riflesso poli-sinaptico.
È un meccanismo opposto rispetto a quello del riflesso miotatico: in questo
caso il muscolo è contratto e deve rilasciarsi allungandosi.
Per rilassarsi il muscolo omonimo dev’essere inibito da un interneurone
inibitorio: dal muscolo contratto l’informazione arriva al midollo spinale
attraverso una fibra sensitiva 1b, una cui parte attiva un interneurone
inibitorio il quale inibisce il motoneurone alpha che insiste sul muscolo
omonimo e così il muscolo viene rilasciato. Il ramo centrale del neurone
sensitivo primario, inoltre, attiva un interneurone eccitatorio (o bianco) che
sinapta con i motoneuroni alpha del muscolo antagonista, amplificando la
risposta dei primi interneuroni (inibitori). Se il muscolo preso in
considerazione è un flessore, verrà inibito il suo motoneurone alpha e attivato
quello dell’estensore in modo tale che non si crei una perdita di equilibrio.
Si parla anche in questo caso di risposta muscolare e di arco riflesso, perché quest’ultimo è identico
come posizione rispetto a quello del normale riflesso miotatico (fibra afferente in centro e fibra
efferente).
In questo tipo di riflesso, in seguito alla contrazione muscolare, esiste anche la coordinazione di
un’altra serie di stimoli e risposte generati da recettori articolari e da fibre cutanee, che risentono
anch’essi del movimento muscolare. Sia gli stimoli cutanei che quelli articolari sono in grado di
controllare gli interneuroni presenti nel sistema di arco riflesso.
Il meccanismo di controllo del riflesso miotatico inverso è complesso già a livello della struttura
midollare: esistono una serie di interneuroni inibitori 1b (sinaptati da fibre 1b), che sono in grado
generare il rilasciamento muscolare di un muscolo già contratto e la contrazione di un muscolo
antagonista. Questo tipo di risposta riflessa è in realtà gestita da una serie di interneuroni inibitori o
eccitatori di vari tipi, i neuroni eccitatori, in particolare, sono attivati da fibre diverse dalle afferenti
1b, ovvero da stimoli articolari e cutanei e, a loro volta, attivano altri interneuroni inibitori.
Questo tipo di riflesso, in una situazione fisiologica, protegge il muscolo da un’eccessiva contrazione,
che potrebbe rivelarsi dannosa (es: nel sollevamento pesi) e quindi risulta essere un meccanismo di
controllo.

236
RIFLESSI NON FISIOLOGICI

Fino a qualche tempo fa si pensava che gli organi tendinei del Golgi fossero coinvolti in una serie di
riflessi non proprio fisiologici, come ad esempio quello del coltello a serramanico, un tipo di risposta
che si genera in soggetti i cui muscoli sono in una condizione di spasticità (tonicamente contratti a
seguito di un danneggiamento centrale, es: braccio sempre flesso verso il corpo).
In questi casi il riflesso miotatico inverso non si attiva se lo stimolo è di bassa intensità, se lo facesse,
infatti, la contrazione tonica darebbe vita ad un circuito di rilasciamento del muscolo contratto. Se
però la forza applicata è particolarmente intensa e supera una certa soglia (ancora non ben definita),
si crea una risposta improvvisa di allungamento del braccio. Non si tratta di un riflesso fisiologico
perché viene generato da uno stimolo eccessivo e non si ha invece alcun riflesso miotatico inverso
automatico.
Si pensa che la spasticità modifichi la risposta degli organi tendinei del Golgi a seguito di una sorta
di assuefazione alla contrazione muscolare.

Un altro evento anomalo è il crampo muscolare: anch’esso provoca una contrazione di intensità
variabile, che richiede allungamento attivo per ritornare ad una situazione di normalità. Anche in
questo caso sembra che l’organo tendineo del Golgi non funzioni perché il riflesso miotatico inverso
non si attiva spontaneamente.
La teoria elaborata in seguito a numerosi studi su registrazioni elettromiografiche è che un
disquilibrio degli ioni nel LEC, di norma la causa scatenante del crampo, crei anche un disequilibrio
nella genesi del potenziale d’azione all’interno dell’organo tendineo del Golgi, che pertanto non
riesce a rispondere in modo efficace.

RIFLESSO DI FLESSIONE e DI ESTENSIONE CROCIATO

Il riflesso di flessione si attiva a seguito della stimolazione di un recettore sensoriale e


permette di allontanare l’arto interessato da un evento doloroso (es: se mentre si cammina a piedi
nudi si calpesta un oggetto appuntito, istantaneamente si solleva il piede per allontanarsi dalla
sorgente del danno).
L’informazione dolorifica viene recuperata
dalle terminazioni sensitive libere (che hanno
il corpo cellulare all’interno dei gangli delle
corna dorsali del midollo spinale), le quali
trasportano il segnale alle strutture superiori
corticali, dove si ha elaborazione del segnale.
Una fibra efferente dal midollo spinale
permette invece all’organismo di controllare la
risposta motoria, ovvero la flessione per
allontanare l’arto dalla sorgente dolorifica.
Il circuito del riflesso di flessione è
particolarmente ampio e complesso: la fibra
afferente sensitiva fa sinapsi, all’interno del
midollo spinale, con un interneurone, connesso
a sua volta con altri interneuroni inibitori ed
eccitatori. Le numerose cellule coinvolte
permettono il coinvolgimento anche della parte
controlaterale del midollo spinale, rispetto a

237
quella di entrata dello stimolo dolorifico, per stabilizzare ed estendere l’arto controlaterale, al fine di
garantire il mantenimento dell’equilibrio.
Questi interneuroni, per permettere la flessione dell’arto coinvolto, inibiranno il muscolo estensore
ipsilaterale dell’arto stesso ed attiveranno il muscolo flessore del medesimo arto portandolo a flettersi.
Nell’arto controlaterale, invece, la risposta sarà opposta: si avrà una inibizione del muscolo flessore
ed un’attivazione del muscolo estensore.
Il riflesso di flessione riguarda solamente l’allontanamento dell’arto dall’insulto, mentre l’intero
circuito dà vita al riflesso di flessione e di estensione crociato.
Le fibre in grado di attivare questo circuito sono le afferenze del riflesso flessorio (ARF), coinvolte
anche nella locomozione, poiché sono in grado di mantenere l’attivazione ritmica di muscoli
differenti, alternando l’attivazione dei loro interneuroni. Il meccanismo della locomozione, infatti,
viene attivato dalle strutture superiori, nello specifico dai centri generatori di ritmi (central pattern
generators), posizionati nel tronco encefalico, ma è mantenuto dalle ARF.
Questo meccanismo è stato analizzato stimolando
le vie motorie periferiche (dei riflessi) di animali
da laboratorio precedentemente sottoposti a
deafferentazione corticale (taglio delle vie di
controllo motorio discendenti). La stimolazione è
stata generata ponendo gli animali su una specie di
tapis roulant e si è osservato che essi erano ancora
in grado di sviluppare la contrazione ritmica
responsabile della locomozione. Questo
esperimento ha dimostrato che, a seguito di una
stimolazione elettrica del centro delle afferenze
del riflesso flessorio, si aveva il controllo della
ritmicità della locomozione anche in animali
deafferenziati.

FACILITAZIONE SPAZIALE e TEMPORALE


Nell’immagine si notano due
neuroni in grado di attivare riflessi
motori diversi. Le due branche
sono separate tra loro e hanno la
capacità di attivare un numero
differente di motoneuroni. Per
valutare se fosse possibile
facilitare spazialmente e
temporalmente questo tipo di
riflesso, sono stati somministrati
degli stimoli alle branche afferenti
del circuito riflesso che insistevano
sullo stesso muscolo, analizzando
poi il tipo di risposta ottenuta.

238
Attivando due branche differenti facenti parte dello stesso circuito riflesso si sono ottenute:

• Una risposta riflessa di tipo A di grandezza 2 (RA): la branca afferente A, una volta attivata,
è in grado di attivare solo due motoneuroni alfa che determinano la contrazione del muscolo,
l’ ampiezza elettromiografica, quindi, dipende solo dall’attivazione di questi 2 motoneuroni
alfa.
• Una risposta riflessa di tipo B di grandezza 2 (RB): la branca afferente di tipo B, una volta
attivata, è in grado di attivare anch’essa solo due motoneuroni alfa

Attivando contemporaneamente le due branche presenti sul circuito dell’arco riflesso (che permette
la contrazione del muscolo) si è ottenuta, a livello elettromiografico, una risposta più grande rispetto
alla somma esatta dei due riflessi singoli, poiché generata da un numero di motoneuroni pari a sette
(RA+RB), ovvero:

-i due motoneuroni alfa di ogni branca (A e B) → in totale quattro motoneuroni

-i tre motoneuroni collocati in una zona intermedia (zona di facilitazione) tra i motoneuroni alfa
attivati dalle due branche in seguito alla risposta allo stimolo

In questo caso la risposta è una sommazione spaziale, per cui due branche diverse sono in grado di
attivare un numero diverso di motoneuroni alfa, i quali generano una risposta riflessa di intensità
maggiore rispetto alle singole risposte A e B, ovvero una facilitazione.
La facilitazione spaziale, considerati quelli che sono i tempi refrattari delle cellule, genera a sua volta
una stimolazione ravvicinata nel tempo che non incide sui tempi refrattari, attivando una risposta di
contrazione muscolare generata dalla facilitazione temporale, che sarà anch’essa di intensità
maggiore, rispetto ad un singolo stimolo.

239
OCCLUSIONE
Il meccanismo inverso alla facilitazione prende il nome di occlusione.

In questo meccanismo, si hanno due branche afferenti differenti che vanno ad agire sui motoneuroni:
• La branca A coinvolge almeno sette motoneuroni alfa, generando, se stimolata singolarmente,
una risposta riflessa rappresentata dalla curva RA
• La branca B coinvolge anch’essa sette motoneuroni alfa, generando, se stimolata
singolarmente, una risposta riflessa con pari grandezza elettromiografica di A (curva RB)

La grandezza dell’arco riflesso della branca A e della branca B mette in comunione un numero di
motoneuroni, che vengono attivati sia dalla branca A che dalla branca B.
Se si ha la stimolazione di entrambe le branche contemporaneamente si ottiene una risposta in cui il
tracciato elettromiografico avrà una ampiezza che sarà minore rispetto alla somma dei singoli
tracciati delle rispettive branche (RA+RB), che sarebbe pari a quattordici attivazioni dei motoneuroni
alpha (7+7)
Ciò avviene perché le due branche, avendo in comune alcuni motoneuroni alfa, se stimolate
contemporaneamente attivano i motoneuroni solo una volta, mentre se venissero stimolate in tempi
diversi, i motoneuroni in comune verrebbero attivati due volte: una volta durante la stimolazione della
branca A e una volta durante la stimolazione della branca B.
Si deduce che non tutte le stimolazioni congiunte, ovvero convergenti sullo stesso nucleo motorio,
danno una risposta amplificata, perché dipende da quanti motoneuroni vengono coinvolti nelle
diverse branche afferenti che generano questo arco riflesso; quindi si può avere una sommazione
spazio-temporale oppure una occlusione (riduzione della risposta).

240
CONTROLLO DA PARTE DELLE STRUTTURE CORTICALI
Il soggetto in questa immagine è in una condizione per cui la
trazione del braccio può generare una serie di risposte riflesse
diverse, che variano in base al livello di stabilità
dell’individuo stesso.
In generale la postura dell’uomo in questione è piuttosto
instabile: nel primo caso ha un braccio appoggiato sul tavolo
e ciò lo stabilizza un po’, ma se si esercita una trazione la sua
posizione di equilibrio viene spostata ed egli reagisce con una
risposta motoria riflessa classica per contrastare lo stimolo.
Nel secondo caso l’appoggio manca e il soggetto ha in mano
un bicchiere colmo, la cui presenza inibirà il riflesso normale
di contrazione e favorirà il rilasciamento, perché la corteccia
manda l’indicazione di non versare l’acqua e ciò prevale sul
tentativo fisiologico di mantenere l’equilibrio (priorità).
I riflessi motori si attivano in maniera autonoma ma, a seguito
delle risposte corticali, anche dovute all’esperienza, si ha il controllo o addirittura la completa
inibizione del riflesso motorio.
Pensando ad un soggetto che sta correndo, vi sono una serie di circuiti riflessi che gli permettono di
mantenere la ritmicità, ma se vi fossero solo riflessi miotatici e miotatici inversi, senza la gestione
motoria corticale, il soggetto non sarebbe in grado di muoversi.

POSIZIONE DEGLI ARTI NELLO SPAZIO


Il riflesso motorio è condizionato anche dalla posizione dei nostri
arti nello spazio. Questo concetto è stato dimostrato attraverso un
altro esperimento in cui è stato esaminato un animale
deafferenziato (gli unici circuiti che si attivano sono quelli spinali),
sulla cui zampa è stato posizionato un pezzettino di carta imbevuto
di una sostanza acida. L’eliminazione del pezzettino di carta, che
rappresenta uno stimolo irritante per l’animale, avviene tramite lo
spostamento della zampa posteriore che andrà a toccare lo stimolo
per rimuoverlo. In base alla posizione dell’arto su cui vi è lo stimolo,
il movimento che la zampa posteriore compie è diverso:
• nel caso a: si hanno una flessione e una distensione
particolarmente ampie dell’arto posteriore
• nel caso b: si ha flessione lineare con un ritorno di ampiezza minore

La posizione degli arti, quindi, viene valutata tramite recettori propriocettivi, infatti, i fusi
neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi, oltre a generare gli archi riflessi a livello spinale,
mandano delle afferenze anche alle strutture superiori, soprattutto alle strutture cerebellari (del
cervelletto). Questo permette di identificare la posizione degli arti in un determinato momento e di
calibrare la risposta riflessa a seguito di queste informazioni (ulteriore controllo).

241
Lezione di Fisiologia cellulare
Sbobinatori: Diego Cataldi e Giacomo Cinelli
Revisore: Antonio Drammis
Prof: Sandra Guidi

LESIONI AL MIDOLLO SPINALE


I riflessi spinali vengono a mancare in caso di una lesione a livello del midollo spinale; questa lesione
può essere completa o incompleta. Nel caso di una lesione completa i riflessi spinali, che si generano
dalla posizione della lesione a scendere, non sono più in grado di essere evocati; nel caso di una
lesione non completa invece (in cui magari sono semplicemente danneggiate alcune vie di
segnalazione, che dalle strutture corticali scendono o salgono trasportando le informazioni sensitive)
alcuni eventi riflessi di mantengono.

In generale, comunque, quando si ha un danno a livello del midollo spinale si crea quell’evento che
prende il nome di shock spinale in cui l’evento più classico è l’areflessia (mancanza completa di
riflessi). Succede, però, in una buona percentuale di casi, che parte di questa areflessia si riesca a
recuperare; ovviamente dipende dal tipo di gravità, ma in genere quando c’è una lesione incompleta
per un periodo si sviluppa lo shock spinale, per cui non si ha nessun tipo di riflesso spinale per qualche
tempo (varia da 2-3 giorni fino alle 6 settimane), dopo di che si crea un fenomeno di aumento di
quella che è la risposta riflessa spinale generata da una fortissima stimolazione di quei circuiti che
non sono sinaptati dai controlli superiori e poi il tipo di riflesso tende a stabilizzarsi come ampiezza,
come grandezza della risposta motoria.

Se la lesione non è completa, i riflessi che si generano a seguito di questo tipo di lesione ci permette
di capire in che posizione è avvenuta la lesione del midollo spinale. Queste lesioni non devono essere
per forza delle “rotture” del midollo spinale, ma basta anche un’emorragia che crea la compressione
di certe strutture nervose che non permettono più la genesi di questo tipo di risposte.

RIFLESSI IDENTICI AI RIFLESSI SPINALI


Oltre a quelli che sono i riflessi spinali veri e propri, che si attivano a livello di archi riflessi presenti
nel midollo spinale, ci sono gli stessi identici riflessi a livello del viso. In questo caso non parliamo
di riflessi spinali perché l’arco riflesso non è presente a livello del midollo, ma è presente grazie a
circuiti che forma il nervo trigemino. Il nervo trigemino innerva tutta la porzione orale nel nostro
viso, si divide in 3 brache (oftalmica, mascellare e mandibolare) ed è in grado di recuperare le
informazioni somatosensitive e dolorifiche (recuperate dalle sue terminazioni libere) ed esiste una
struttura in grado di controllare queste informazioni sensitive, ossia il nucleo spinale del trigemino
in cui vengono recuperate e gestite tutte queste informazioni tra cui è presente anche il nucleo
mesencefalico del trigemino in cui arrivano le informazioni recuperate dai fusi neuromuscolari che
si trovano nei muscoli elevatori della mandibola. Nei muscoli abbassatori nella mandibola non sono
presenti fusi neuromuscolari per cui l’attivazione dei riflessi è legata alla modificazione della
lunghezza dei fusi neuromuscolari presenti nei muscoli elevatori della mandibola.

I riflessi a livello della cavità orale sono identici come risposta ai riflessi spinali, quindi avremo: un
riflesso miotatico, un riflesso miotatico inverso e un riflesso di flessione.
• Il riflesso miotatico a livello orale prende il nome di riflesso di chiusura: è un riflesso che si
genera picchiando con un martelletto sul mento del paziente quando la mandibola è rilassata.
La risposta è quella del sollevamento della mandibola e quindi della chiusura della cavità
orale. Questa risposta deriva dall’allungamento dei fusi neuromuscolari nei muscoli elevatori

242
della mandibola a seguito di questo stimolo (esattamente come succede nel riflesso patellare),
quindi la risposta è una contrazione.
• Il riflesso miotatico inverso presente a livello della cavità orale prende il nome di riflesso da
scarico. Anche in questo caso non è ancora chiaro se esistono organi tendinei del Golgi a
livello di quelli che sono i muscoli scheletrici che sono presenti sul nostro viso, ma di sicuro
sono presenti dei recettori che sono in grado di percepire l’aumento di tensione che si sviluppa
quando il muscolo è in contrazione. Questo riflesso di scarico si attiva quando stiamo
stringendo tra le arcate dentarie una nocciolina, quindi un elemento duro che pone una certa
resistenza alla chiusura delle arcate dentarie, e improvvisamente la nocciolina si spezza; in
questo caso quello che succede è un immediato rilassamento di quello che è la muscolatura
che permette l’avvicinamento delle arcate dentarie, rilasciamento che impedisce alle 2 arcate
dentarie di andare a sbattere l’una sull’altra e quindi di andare a creare un danno.
• Il riflesso di apertura è un riflesso che è identico (come risposta) al riflesso di flessione e di
estensione crociata: si sviluppa quando ci mordiamo all’interno della guancia o la lingua,
quello che succede è che la bocca si apre. In questo caso è il dolore che si sviluppa all’interno
della bocca che crea un circuito che si sviluppa in tutti e 2 i nuclei mesencefalici del nervo
trigemino che determina l’apertura immediata della bocca in modo che l’evento traumatico
non posso creare un danno ulteriore all’interno della cavità orale.

Questi 3 circuiti riflessi sono, come struttura, identici ai riflessi spinali: circuiti polisinaptici in cui
sono presenti anche delle correlazioni monosinaptiche. I circuiti sono identici, l’unica cosa che
cambia è la posizione perché non viene coinvolta la struttura midollare, ma le strutture del tronco
encefalico dove sono presenti i nuclei su cui agisce la funzionalità del trigemino.

RIFLESSI PER VALUTARE LE VIE DI CONTROLLO SUPERIORE


Ci sono dei meccanismi, delle analisi che ci permettono di evidenziare che gli archi riflessi, che si
ottengono da questi riflessi midollari, siano integri o anche che ci permettano di evidenziare, con la
comparsa di determinati riflessi, che le vie superiori (ad esempio le vie piramidali) sono vie integre
che possono controllare la riposta riflessa generata da determinati stimoli.

Il meccanismo più classico che viene fatto più


spesso ai pazienti che presentano delle
difficoltà motorie è il riflesso di Babinski. Il
riflesso di Babinski viene in genere effettuato
per valutare l’integrità delle vie piramidali (vie
discendenti di controllo motorio). Il soggetto
che presenta questo tipo di riflesso è in genere
un soggetto con un riflesso patellare nella
norma senza eventi strani, così come presenta
un riflesso miotatico inverso e flessorio non
danneggiati. Questo tipo di risposta è generata
dal controllo delle vie piramidali sulla parte
più bassa del midollo spinale che determina la genesi di un riflesso di questo tipo. Quando si fa questo
tipo di esame si fa scorrere uno stimolo sulla pianta del piede del nostro soggetto (dal tallone verso le
dita) e quello che succede, se tutto è nella norma, è la flessione delle dita (generata dunque da uno
stimolo somestesico, sensoriale esterno).

Quando ci sono dei danni nelle vie di controllo, la risposta a questo stimolo è l’estensione dell’alluce
con l’apertura a ventaglio delle altre dita. Questo tipo di risposta si trova normalmente nei neonati

243
perché le vie di controllo motorio discendente non sono ancora completamente strutturate. Negli
adulti rappresenta, invece, un danneggiamento delle vie motorie discendenti.
Altri tipi di riflessi che vengono considerati per valutare l’integrità delle vie piramidali discendenti
sono:
• il riflesso di Oppenheim à nella parte anteriore della gamba
• il riflesso di Gordon à nella parte posteriore della gamba
• il riflesso di Schaeffer à riflesso generato dal martelletto sul u

In tutti questi 3 casi si ha sempre come riposta l’estensione dell’alluce. Questi tipi di riflessi si
generano sempre a livello midollare, ma sono controllati dalle strutture superiori.

RIFLESSI MOTORI NELL’APPARATO DIGERENTE

Esistono riflessi motori:
• estrinseci à causati da muscolatura scheletrica
• intrinseci à viscerali

Tra questi, quelli che vengono presi in considerazione, sono i riflessi che riguardano l’attività
dell’apparato gastrointestinale in cui gli stimoli meccanici (come il passaggio di cibo) sono in
grado di generare una risposta motoria in livelli più profondi del tratto gastrointestinale. Un esempio
classico è quello fornito dal riflesso gastrocolico per cui, a seguito di assunzione di cibo, si attivano
dei meccanismi che sono generati dal sistema nervoso gastroenterico (una rete di neuroni che si
trova a livello intestinale) in cui sono presenti recettori somatici (in grado di percepire le variazioni
di tensione all’interno dello stomaco) che attivano dei circuiti presenti al livello del sistema nervoso
enterico e di controllo da parte del sistema nervoso autonomo, che stimolano la motilità intestinale
per liberare spazio all’interno dell’intestino in previsione del materiale alimentare arrivato nello
stomaco e che dovrà defluire nel resto del tubo intestinale. In questo caso sono sempre riflessi motori
perché quello che si attiva è sempre un aumento della contrazione della muscolatura che forma le
pareti dell’intestino, generata da un controllo autonomico (del sistema nervoso autonomo) in
relazione alla funzionalità del sistema nervoso enterico che ricopre tutto il nostro tubo digerente.

Inoltre, esistono riflessi motori causati da sostanze chimiche, quindi riflessi che possono essere
definiti umorali. La presenza di certi ormoni è in grado di aumentare o ridurre la contrazione della
muscolatura involontaria e questo tipo di attività è molto presente nel tratto intestinale in cui la
liberazione di determinati ormoni a livello del nostro stomaco è in grado di influenzare l’attività di
contrazione dei muscoli nelle strutture intestinali a seguito di introduzione di cibo all’interno dello
stomaco.

244
Quindi le risposte che si possono avere sono molto differenti e i comandi che sono in grado di dar
vita a questo tipo di risposte sono anch’essi molto diversi tra loro.

RIFLESSI MOTORI A LIVELLO DEGLI OCCHI

Altri riflessi motori che si sviluppano all’interno del nostro organismo sono i riflessi di movimento
dei nostri occhi. I movimenti degli occhi sono causati da una serie di eventi che possono essere eventi
volontari, ma anche piccolissimi movimenti generati dal sistema involontario. Questo tipo di
risposta può essere generata dall’integrazione delle informazioni vestibolari che riguardano la
posizione del capo all’interno dell’ambiente in relazione a quello che è il movimento di un’immagine
sulla nostra retina.

Esempio per capire: mentre spostiamo la testa verso destra le informazioni luminose che dall’esterno
arrivano all’interno della retina si spostano se noi teniamo lo sguardo dritto e non spostiamo gli occhi.
La posizione in cui le onde luminose entrano all’interno del nostro occhio, mantenendo fisso lo
sguardo in avanti e spostando la testa a destra, cambiano il punto in cui arrivano sulla nostra retina.
Quella variazione di posizione, se noi non ci obblighiamo a mantenere lo sguardo in avanti, permette
quello che è il movimento dell’occhio in relazione allo spostamento del nostro capo.

Quindi sono informazioni che vengono integrate a livello di struttura corticali e di cervelletto che ci
permettono di sviluppare una serie di movimenti, che in questo caso prendono il nome di nistagmo
(movimenti orizzontali dell’occhio), che ci permettono di calibrare il nostro punto focale rispetto al
movimento della nostra testa. Questi sono tutti circuiti riflessi che mettono in comunicazione quelle
che sono le informazioni vestibolari rispetto alle informazioni elaborate a livello della corteccia
visiva.

Queste informazioni visive sono le stesse che ci permettono di mantenere l’equilibrio.

Altro esempio: pensiamo a un soggetto che sta camminando all’interno di un treno fermo e vicino si
ferma un altro treno che inizia a muoversi. La sensazione del soggetto è quella che il treno sul quale
si trova è in movimento, non quello di fianco. Quest’informazione è anch’essa un’informazione
riflessa che mette in relazione lo spostamento dei nostri occhi rispetto alla posizione del corpo. Il
movimento riflesso permette di integrare un evento visivo con un evento vestibolare che il nostro
cervello percepisce come movimento, ma che viene subito corretto da quelle che sono le informazioni
vestibolari (perché in realtà noi stiamo fermi).

Quindi tutte le informazioni che vengono recuperate dall’esterno vengono gestite attraverso le
strutture corticali che possono dare vita a risposte riflesse, in particolare riflessi motori (perché si
tratta sempre di contrazioni o rilassamenti muscolari).

RIFLESSI POSTURALI
Esiste un sistema che ci permette di mantenere l’equilibrio e ciò che ci permette questo mantenimento
dell’equilibrio sono una serie di riflessi posturali (oltre che vestibolari). Tra i riflessi posturali sono
presenti anche i riflessi miotatici, miotatico inverso e anche quello di flessione, ma solo quando si
sviluppa una sensazione dolorifica. Il riflesso miotatico statico, in cui si genera una contrazione di
determinati muscoli che si mantiene nel tempo, come ad esempio i muscoli del collo che ci
permettono di mantenere la testa sollevata, sono riflessi che ci aiutano a mantenere la nostra postura.

245
Per valutare
questi riflessi
posturali si
utilizza una
piattaforma
su cui il
soggetto
viene messo
in piedi e
questa
piattaforma è
in grado di
sviluppare un
certo
movimento.
Quando il
soggetto è fermo, in realtà non è mai immobile perché ciò che un soggetto fa è un continuo
spostamento di peso anche per piccolissimi spazi (come indicato nei grafici da tutti quei segni blu
all’interno del cerchio rosso). Quindi quando un soggetto è immobile ciò che succede è la
registrazione di punti di pressione diversi che permettono al soggetto di rimanere immobile in quella
posizione anche se non è completamente fermo in quanto c’è una piccola variazione di contrazioni
muscolari che ci permettono di variare quelli che sono i punti di pressione sulla pianta del nostro
piede e di mantenere quel tipo di posizione.
Ciò che si fa per valutare l’integrità di queste riposte motorie è far chiudere gli occhi al soggetto. La
vista permette di mettere in relazione la posizione del nostro corpo rispetto all’ambiente in cui siamo
(come si diceva prima); per cui se si è fermi su una piattaforma (con gli occhi aperti), è possibile fare
un confronto continuo con le strutture che ci circondano e quindi capire se si è fermi o in movimento.
La chiusura degli occhi crea una piccola variazione di quelli che sono i punti di pressione sulla pianta
del piede del soggetto stesso (perché non si ha più il feedback dell’ambiente che ci circonda) e in
alcuni casi si assiste proprio a piccoli movimenti abbastanza evidenti dei piedi del soggetto atti a
fargli mantenere l’equilibrio.

Questo è l’evento che permette di identificare come tutte queste risposte siano coordinate da un
insieme di sensazioni e di stimoli che derivano dall’esterno dell’organismo e dalla contrazione dei
muscoli, quindi dal tono muscolare che si sviluppa attraverso i riflessi miotatici statici e che
permettono il mantenimento dell’equilibrio e della postura. In genere quello che succede è
l’elaborazione di una posizione nello spazio attraverso le informazioni visive, il mantenimento di
quello che è la contrazione statica dei muscoli del collo (che permettono di mantenere il capo ben
direzionato all’interno dell’ambiente in cui siamo) e a seguito di questi 2 tipi di informazione c’è
l’aggiustamento posturale: il mantenimento della posizione se si vuole mantenere quel tipo di
posizione oppure la contrazione di un muscolo per permetterci di mantenere questo tipo di postazione.

Nell’immagine a destra, sono state fatte delle variazioni nell’analisi di questo tipo di riflessi posturali,
ad esempio con un soggetto libero con la possibilità di vedere, con uno libero con gli occhi chiusi e
con un soggetto con la caviglia bloccata. A causa di questi eventi (come è possibile vedere) si ha
l’aumento dell’oscillazione che permette il mantenimento della postura; aumenta l’oscillazione
perché la costrizione obbliga il soggetto a mantenere una posizione assolutamente immobile, ma ciò
che si è abituati a fare è il controllo di punti di pressione differenti sulla pianta del piede. Per cui
quando tutto rimane immobile ciò che succede è una destabilizzazione del nostro sistema perché non

246
si ha più quello che è un ritorno, un feedback che permette di controllare che la nostra posizione sia
giusta.
!!Questo è ciò che riguarda i riflessi motori in generale, ma a noi interessano soprattutto i riflessi
spinali che sono parte integrante del programma di fisiologia cellulare

DOMANDE DAL KAHOOT


1) L’arco riflesso può essere:
a. polisinaptico
b. monosinaptico
c. entrambi

Risposta C. All’interno di riflessi polisinaptici ci sono anche collegamenti monosinaptici, quindi c’è
sia l’uno che l’altro.

2) Le fibre afferenti del riflesso miotatico sono solo mieliniche di gruppo II


Falso. Le fibre afferenti del riflesso miotatico sono di tipo IA, non sono mai di tipo II

3) Il motoneurone gamma innerva:


a. solo le fibre muscolari fusali
b. solo le fibre extrafusali
c. solo le fibre fusali a catena di nuclei

Risposta A. Le fibre muscolari extrafusali sono innervate da motoneuroni alfa. I motoneuroni gamma
sono quei motoneuroni che servono per controllare la lunghezza del fuso neuromuscolare per cui
fanno sinapsi con gli apici delle fibre intrafusali (sia quelle a catena di nucleo, che quelle a sacco di
nucleo) e contraggono l’apice dei nostri fusi neuromuscolari che è l’unica porzione delle fibre
intrafusali che mantiene la capacità di contrarsi per rendere il fuso neuromuscolare della lunghezza
giusta per rispondere sempre a tutte le variazioni di lunghezza della fibra neuromuscolare

4) Gli organi tendinei del Golgi non sono innervati dai motoneuroni gamma
Vero. Gli organi tendinei del Goldi non c’entrano assolutamente nulla con i motoneuroni gamma. Gli
organi tendinei del Golgi si trovano nelle porzioni terminali dei muscoli scheletrici (a livello di quello
che è la connessione tra la struttura muscolare e il tendine), sono strutture capsulate disposte in serie
rispetto alle fibre terminali del muscolo o all’interno di quelle che sono le fibre collagene che formano
il tendine. I motoneuroni gamma fanno sinapsi solo con le fibre intrafusali che non rispondono alle
stesse stimolazioni a cui risponde l’organo tendineo del Golgi. Quindi sono 2 strutture che rispondono
a stimolazioni differenti in 2 archi riflessi ben diversi.

5) Questo arco riflesso rappresenta:


a. il circuito del riflesso miotatico inverso
b. il circuito del riflesso di flessione ed estensione crociata
c. il circuito del riflesso miotatico

Risposta B. È infatti un circuito che riguarda entrambe le porzioni del


nostro midollo spinale perché permette la flessione di un arto e
l’estensione dell’altro; per cui è un circuito molto complicato in cui sono
presenti molti interneuroni che sono sia inibitori che eccitatori. Nel
riflesso miotatico inverso e riflesso miotatico vi è un arco riflesso più
semplice perché il numero di interneuroni che sono coinvolti è minore.

247
6) Il riflesso miotatico inverso non è implicato in processi atti a favorire il mantenimento della
postura

Falso. È assolutamente implicato in quelli che sono i riflessi posturali. Sono riflessi che permettono
la giusta contrazione dei muscoli scheletrici e il mantenimento del nostro equilibrio. Quindi sia il
riflesso miotatico che il miotatico inverso sono coinvolti nel mantenimento della postura

7) Il motoneurone gamma innerva tipicamente:


a. le porzioni equatoriali delle fibre fusali
b. le porzioni apicali delle fibre fusali
c. tutto il fuso neuromuscolare

Risposta B. Si trova agli apici della fibra intrafusale perché serve per contrarre quella piccola
porzione ancora contraibile della fibra intrafusale per mantenere la giusta lunghezza del fuso
neuromuscolare. Nel centro della fibra intrafusale si trova la fibra sensitiva che, in questo caso, è la
fibra di tipo IA che si avvolge intorno al nostro fuso neuromuscolare.

8) La risposta dinamica delle fibre fusali a sacco nucleare è legata all’elasticità delle porzioni
apicali delle fibre

Falso. L’elasticità delle fibre intrafusali non ha niente a che fare con quella che è la risposta dinamica
perché non c’è differenza tra una fibra a sacco di nucleo e una fibra a catena di nuclei; non c’è
differenza nella composizione, nell’elasticità della porzione di fibra, sono esattamente identiche,
l’unica differenza sta nella posizione dei nuclei e nel fatto che facciano sinapsi con fibre sensoriali
differenti, ma la risposta non è generata dall’elasticità della porzione apicale, ma dalle fibre sensoriali
che le avvolgono e che quindi danno una risposta differente (dinamica o statica a seconda del tipo di
fibra che noi prendiamo in considerazione).

9) L’attivazione dei motoneuroni gamma:


a. riduce la sensibilità del fuso neuromuscolare
b. aumenta la sensibilità del fuso neuromuscolare
c. inibisce la sensibilità del fuso neuromuscolare

Riposta B. Mantiene il fuso neuromuscolare nella giusta posizione in modo tale che questo risponda
sempre, quindi aumenta quella che è la sua sensibilità. Se fossimo in una situazione di contrazione
muscolare, il nostro fuso neuromuscolare non avrebbe la contrazione generata dai motoneuroni
gamma e la sensibilità di quel fuso all’allungamento sarebbe molto più lento, quindi molto più bassa
la sensibilità rispetto all’allungamento muscolare.

10) Il riflesso miotatico e quello miotatico inverso possono essere attivati contemporaneamente

Vero. Ovviamente possono essere attivati contemporaneamente solo su muscoli differenti.

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DOMANDE FATTE NEL CORSO DELLA PAUSA:
1) Quando uno fa palestra o più esercizio fisico che il muscolo diventa, in gergo, più “tonico”,
cosa cambia nel muscolo?
RISPOSTA: in questo caso aumenta la quantità di sarcomeri, perché chiaramente, non aumenta la
quantità di cellule, ma siamo in grado di produrre una quantità maggiore di proteine che vengono
messe nella giusta posizione per dare vita a una struttura contrattile maggiore.

2) Perché è necessario prima di fare sport, o uno sforzo fisico inteso, fare il riscaldamento?
RISPOSTA: Si fa il riscaldamento, poiché, in questo modo, si favorisce giá un iniziale avvicinamento
dell’actina e della miosina al fine di sviluppare una forza ottimale nel corso dell’ allenamento vero e
proprio, attivando il meccanismo della contrazione muscolare.

3) A livello della retina lo strato più esterno è lo strato delle cellule pigmentate che forma
l’epitelio; quindi, è quello a diretto contatto con la coroide?

RISPOSTA: Si, è nello strato più interno dell’occhio, cioè più profondo, della retina dove si trovano
i recettori.

4) Abbiamo detto che le cellule gangliari sono le uniche che possono generare un potenziale
d’azione che poi scorre lungo il nervo ottico e arriva in corteccia.
Quindi quando vengono colpite alla periferia o nel centro OFF si genera comunque un
potenziale ma di bassissima intensità. Perciò, se colpiscono le cellule amacrine, orizzontali o
bipolari il segnale si blocca perché non sono in grado di generare un potenziale d’azione,
giusto?
RISPOSTA: esatto, si tratta di una cascata di reazione di diverse cellule che porta a quel tipo di
risposta.

DINAMICA DEI FLUIDI NELL’ORGANISMO


Lo studio del moto e del trasporto dei fluidi all’interno del nostro organismo affonda le proprie radici
a partire dal XVII-XVIII secolo da diversi fisiologi, molti dei cui studi furono effettuati in Italia,
presso l’università di Padova, una delle più antiche università dove vi era un cospicuo gruppo di
fisiologi nostrani e esteri che analizzava questi eventi.
Tra di essi uno dei più importanti fu Hales, il quale analizzò lo spostamento di fluidi Newtoniani
all’interno di vasi e condutture, giungendo a sviluppare una serie di regole e leggi che potevano essere
applicate anche al nostro organismo.

Il fluido che circola all’interno del nostro organismo è il sangue.


Esso circola all’interno del sistema vascolare, ovvero un insieme di condotti con caratteristiche
diverse che mantengono la quantità di fluido al suo interno costante. Il sistema cardiocircolatorio è
infatti un sistema chiuso, per cui il sangue che vi circola rimane all’interno, cosa che per noi può
risultare banale ma che nel XVIII secolo rappresentò una scoperta eccezionale
.
Esistono vasi diversi che permettono il passaggio di sangue, alcuni di questi partono dal centro del
nostro organismo, dove c’è il cuore, e si dirigono verso la periferia. Al contrario, altri vasi effettuano
un percorso opposto partendo dalla periferia (dove recuperano anidride carbonica e altri metaboliti)
e ritornando al cuore.

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Il cuore è il motore che permette lo spostamento di tutti i fluidi all’interno del nostro organismo, è
una struttura muscolare che ha la funzione di contrarsi ed è separata in due porzioni distinte, una
destra e sinistra, ognuna delle quali è suddivisa in due camere: l’atrio, superiormente, e il ventricolo,
inferiormente.
La distinzione tra cuore destro e sinistro è indispensabile per non permettere il rimescolamento del
sangue ossigenato (che dalla circolazione polmonare si dirige verso la periferia) con il sangue carico
di anidride carbonica (che dalla periferia torna verso il centro).

Le camere atriali hanno un diametro e una grandezza diversa da quella del ventricolo.
Il passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo è:
- passivo, per cui il peso del sangue che entra all’interno dell’atrio determina, per caduta,
l’ingresso del sangue stesso nel ventricolo,
- SEMPRE unidirezionale, ovvero tutto il sistema cardiocircolatorio si dirige in un’unica
direzione e tale unidirezionalità è garantita dalla presenza di valvole che impediscono il
ritorno del sangue controcorrente.

La porzione destra del nostro cuore è quella che permette la circolazione polmonare e, quindi, il
trasporto del sangue verso i polmoni dove recupererà l’ossigeno; questo sangue sarà poi riportato a
livello dell’atrio sinistro, si dirigerà poinel ventricolo sinistro e da qui sarà eiettato attraverso l’arteria
aorta in tutta la periferia del nostro organismo, all’interno di quella che è la circolazione sistemica.
Ciò che succede nella funzionalità cardiaca è che il cuore si contragga in modo ritmico e il flusso che
ne risulta sia intermittente, sebben la circolazione che si attiva (al di là di quella che è la fuoriuscita
dal ventricolo e quindi all’ingresso delle arterie) assuma un flusso continuo.
Questa capacità è generata dalle caratteristiche dei vasi che formano il nostro sistema circolatorio:
- le arterie sono i vasi che partono dai ventricoli, hanno una capacità elastica elevata e sono in
grado di ridurre l’intermittenza del flusso di sangue che esce dal nostro cuore
trasformandola (attraverso la capacità elastica che hanno) in un flusso regolare e
uniforme.

L’evento con cui il sangue viene fatto fuoriuscire dal nostro cuore ed entra in quelle che sono i vasi
arteriosi viene definito sistole, mentre, l’evento opposto, ovvero il rilassamento della muscolatura
cardiaca prende il nome di diastole, permettendo con questo loro continuo alternarsi di trasportare il
sangue in tutta la periferia dell’organismo.
La quantità di sangue che viene eiettato ad ogni contrazione del cuore prende il nome di gittata
sistolica, mentre la gittata sistolica moltiplicata per la frequenza da quella che è la gittata cardiaca,
quindi, tutto il sangue che viene fatto uscire dal cuore in un minuto.
La gittata sistolica è di circa 70mL ed è esattamente la quantità che rientra, essendo esso un circuito
chiuso.
Se aumenta il ritorno venoso ( = la quantità di sangue che ritorna all’atrio dalla periferia) si hanno
delle modificazioni che sono, in parte intrinseche al cuore grazie alla sua capacità di contrarsi e in
parte di controllo della pressione periferica e mirano ad un ritorno della quantità di sangue circolante
che sia esattamente identica.

250
VASI SANGUIGNI
I vasi che permettono il flusso sanguigno in tutto il nostro organismo sono diversi:
- i vasi arteriosi garantiscono il passaggio del sangue dal cuore alla periferia,
- i vasi venosi recuperano il sangue dalla periferia e lo portano verso il centro del sistema
cardiocircolatorio.
Queste strutture presentano diametri, strutture e calibri differenti.

I diversi vasi che formano una determinata categoria


vascolare (es. arterie, venule, arteriole etc.) sia del
sistema arterioso che del sistema venoso si presentano
in serie, cioè sono tutti in parallelo l’uno con l’altro.

I vasi arteriosi più grandi sono quelli che fuoriescono


dai ventricoli, in particolare, l’arteria aorta che
fuoriesce dal ventricolo sinistro e permette il passaggio
del sangue verso la periferia è il vaso più grande
presente all’interno del nostro organismo, ha una
struttura elastica molto rilevante e, per questo, permette
la trasformazione del flusso intermittente che esce dal
cuore in un flusso che diventa regolare. Essendo un
vaso con un diametro particolarmente importante le
resistenze al flusso all’interno di questo vaso sono
piuttosto basse.

ESEMPIO PER CHIARIRE: si pensi ad un fiume con


un letto grande e ad un fiume con uno piccolo. Le
resistenze che il fiume piccolo genera sul flusso
dell’acqua sono maggiori rispetto a quelle di un letto
molto grande che permette il passaggio di molta più
acqua con una resistenza inferiore.

All’interno dell’aorta la caduta di pressione, cioè la


variazione di pressione che c’è nel punto d’ingresso e nel punto di uscita del vaso è bassissima, per
cui la pressione del sangue nell’aorta si mantiene costante.
Il sangue dall’aorta passa poi in arterie periferiche con un diametro minore e successivamente nelle
arteriole, le quali sono indispensabili per il mantenimento della pressione arteriosa perché queste
sono i veri vasi di resistenza.
Le arteriole sono vasi di dimensioni piuttosto piccole con una parete in cui la componente muscolare
è molto più abbondante rispetto all’aorta e alle arterie periferiche, aumentando conseguentemente
quella che è la resistenza, infatti, se la muscolatura si contrae la resistenza del flusso di sangue al
loro interno è particolarmente elevata.
Perciò, le arteriole sono il punto del sistema arterioso in cui si è in grado di controllare e valutare
quella che è la variazione di pressione, quindi, la maggior resistenza all’interno di questo sistema.
In esse la caduta di pressione è una grandezza piuttosto importante, perché aumenta la resistenza al
flusso e il sangue che vi entra avrà una pressione e velocità minore di quello che esce.

Dalle arteriole il sangue passa al circuito della microcircolazione formato dai capillari.
Essi sono vasi che hanno un diametro piccolissimo, non presentano muscolatura nella loro parete
e nei capillari più periferici la parete è formata da un singolo stato di cellule, permettendo la
distribuzione dell’ossigeno a livello dei tessuti periferici e la loro funzionalità.

251
Il numero di capillari che si trova a livello periferico è enorme e se si unissero insieme tutti questi
capillari come se fossero un unico vaso, l’area della sezione trasversa di questi capillari diventa più
grande di quello dell’aorta.
Questa enorme area della sezione trasversa crea una resistenza diversa rispetto a quella che ci si
aspetterebbe all’interno di un vaso molto piccolo: grazie ad essa, infatti, il flusso che si sviluppa
all’interno del letto capillare ha una velocità molto ridotta e questo garantisce lo scambio di ossigeno
dal sangue all’interno dei capillari verso la periferia. Se il flusso all’interno dei capillari fosse della
stessa entità presente a livello dell’arteria aorta non si riuscirebbe ad aver nessun tipo di scambio tra
il sangue e i tessuti periferici, perciò è indispensabile che questo meccanismo venga mantenuto

Nell’immagine è presente una caratterizzazione di quelli che sono i vasi, distribuiti in base alla
grandezza degli stessi. L’arteria aorta presenta un diametro enorme e uno spessore della parete
abbastanza importante, dicirca 2mm.
Quindi, nelle arterie è maggiore la quantità di tessuto elastico che permette la trasformazione del
flusso intermittente in un flusso continuo, le vene, invece, a differenza dei vasi del sistema arterioso,
hanno una capacità elastica ridotta.
(NOTA DEL REVISORE: Di seguito riporto per dovere di cronaca un’affermazione della prof che,
sulla base delle conoscenze pregresse, reputo essere errata:
Le vene hanno una struttura muscolare maggiore rispetto a vasi arteriosi anche più grandi,
rispetto anche all’aorta stessa.)

Dai capillari il sangue ritorna in vasi sempre più grandi, confluendo infine nelle vene cave superiore
e inferiore che drenano nell’atrio destro.
In realtà, anche in questo caso le vene che arrivano all’atrio hanno un diametro maggiore rispetto alle
venule, ma, se si mettessero insieme tutte le venule presenti nella periferia, l’area della sezione
trasversa totale è maggiore di quella delle vene.
Quindi, a livello delle vene il flusso si riduce arrivando a livello del cuore dovela velocità del flusso
è bassissima.

252
In questa diapositiva sono rappresentate tutte quelle che
sono le caratteristiche che vengono considerate nei vari
distretti vascolari:
- come si modifica la pressione a livello dei diversi
vasi,
- la velocità del sangue,
- l’area della sezione trasversa.

E’ possibile notare che la pressione è enorme nelle


strutture arteriose, soprattutto nelle arterie maggiori dove
si ha l’eiezione del sangue da parte del cuore, il quale
permette l’ingresso del sangue in questi vasi con una
pressione elevata che raggiunge i 100-110 mmHg.
Successivamente la pressione diminuisce sempre di più
perché ci si allontana dal cuore e, quindi la forza di
espulsione del sangue perde di intensità fino ad arrivare ai
capillari dove la pressione è bassissima, circa 10-15 mmHg
e la pressione tende a mantenersi costante dai capillari alle
vene.
La linea tratteggiata azzurra rappresenta il ciclo polmonare
dove le resistenze sono particolarmente basse essendo più
corto del circolo sistemico; la quantità di sangue che viene
espulsa dal ventricolo destro è la stessa quantità di sangue
espulsa dal ventricolo sinistro ma con una pressione
minore perché le resistenze che devono essere superate
sono più basse. Si nota perciò che nel cuore destro, ovvero
a livello dell’arteria polmonare, la pressione del sangue è molto ridotta rispetto all’aorta e questo è
assolutamente fisiologico.
Anche la velocità (linea nera nel secondo grafico) tende a ridursi dall’aorta fino ai vasi più piccoli:
nei capillari la velocità del flusso è pari a zero per permettere lo scambio dell’ossigeno e dei
metaboliti e aumenta tornando verso il cuore ma la pressione della velocità che si sviluppa a livello
di vena è comunque una velocità ridotta rispetto a quella che si sviluppa nel sistema arterioso.
Questo dipende dalla grandezza dell’area della sezione trasversa dei nostri vasi, una maggior area
della sezione trasversa è rappresentata a livello capillare.

(Ribadendo il concetto: mettendo insieme 10000 capillari contro una singola arteria, ovviamente
l’area trasversa totale è maggiore nei capillari rispetto a quella dell’arteria aorta o di una singola
vena, per cui, questa grande variazione di area della sezione trasversa determina una variazione di
velocità e pressione).

253
Nell’immagine a destra è rappresentata la quantità
di sangue presenta all’interno delle varie porzioni
sia del circolo sistemico che del circolo polmonare.
Ovviamente la percentuale maggiore è quella che si
ritrova a livello delle piccole vene che permette il
recupero del sangue periferico con ritorno verso il
cuore.

Vene ed arterie hanno caratteristiche diverse:


- le arterie sono elastiche e permettono la
trasformazione del flusso intermittente in
un flusso continuo,
- le vene hanno la capacità di funzionare
come da “serbatoio” della quantità totale di
sangue perché non hanno la stessa elasticità
del tessuto arterioso e perciò non si
allargano e contraggono a seguito di quello
che è l’impulso generato dalla contrazione cardiaca. Questo permette il mantenimento
all’interno della loro struttura di una quantità di sangue stabile che si mantiene fino a
livello delle vene cave.
Quindi in realtà questa differenza legata alla struttura di questi vasi determina una caratteristica
funzionale ben diversa: le arterie controllano il flusso di sangue verso la periferia trasformandolo in
un flusso costante, mentre, al contrario, le vene fungono da magazzino del sangue che dalla periferia
deve tornare verso il centro mantenendo la quantità in uscita e in entrata costante nel tempo.

Ovviamente, tutto ciò che permette lo studio della dinamica dei fluidi all’interno del nostro organismo
riguarda il sangue che è un tessuto connettivo specializzato composto da una base fluida
rappresentata dal plasma (all’interno del quale sono distribuite una serie di sostanze, tra cui: i gas, gli
elettroliti, le proteine, le vitamine etc. che servono per il mantenimento del nostro organismo) e,
soprattutto, una porzione corpuscolata formata da diverse popolazione cellulari.
Il sangue è indispensabile per il trasporto di sostanze verso la periferia, come ossigeno, e il ritorno di
metaboliti che potrebbero essere dannosi per il mantenimento in vita delle cellule periferiche e che si
sviluppano durante la funzionalità stessa delle cellule.
Sono molte le funzioni del sangue all’interno del nostro organismo, tra cui:
- il trasporto,
- la respirazione (permettendo il trasporto di ossigeno e anidride carbonica),
- funzione omeostatica perché il sangue gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento
dell’equilibrio acido-base, della concentrazione degli idrogenioni all’interno del fluido
stesso, della temperatura e di tutte quelle caratteristiche che mantengono l’omeostasi
dell’organismo, regolate in maniera fine sia a livello periferico sia nel sangue stesso (il pH del
nostro sangue varia tra 7.35-7.40 e le variazioni che si possono sviluppare sono molto piccole).

In realtà ogni organo ha un proprio pH generato dal flusso sanguigno che arriva nell’organo e
dalla capacità metabolica dell’organo stesso, la variazione di quel pH è mantenuta costante con
una specificità altissima perché anche piccole variazioni possono creare scompensi
importantissimi nell’organismo che danno vita a acidosi o alcalosi metabolico-respiratorie e
quindi è indispensabile che il sangue sia in grado mantenere costante le proprie caratteristiche nel
tempo.

254
Lezione di Fisiologia Cellulare del 25/11/2021
Professoressa: Sandra Guidi
Sbobinatori: Matteo Collinelli, Rosanna Lo Bianco
Revisore: Giulia Di Massa
CARATTERISTICHE DEL SANGUE
Il volume di sangue che circola all’interno del sistema vascolare prende il nome di volemia e
rappresenta circa il 7% del peso corporeo di un individuo quindi se consideriamo un individuo di 70
Kg la sua quantità di sangue è di circa 5 L. Tale volume in 1 minuto raggiungerà i diversi
compartimenti dell’organismo grazie all’azione dei ventricoli cardiaci (gittata cardiaca). La volemia
deve essere mantenuta costante ed oltre ad essa devono essere mantenuti costanti una serie di valori:
• Concentrazione osmotica: simile a quella di tutti i liquidi del nostro organismo, è di 300
mosm/l a 37°C.
• Concentrazione di glucosio nel sangue, concentrazione glucidica: deve essere compresa tra
80 e 110 80-110 mg/dl di sangue anche se durante il giorno questa può variare a seconda
della presenza di pasti o periodi di digiuno.
• La viscosità: varia tra 3.50 e 5.50.
Il sangue non è un fluido newtoniano, non è quindi in grado di mantenere la viscosità costante al
variare della velocità. La modificazione di viscosità crea delle variazioni nei valori di velocità,
flusso e resistenza all’interno del sistema.

GLOBULI ROSSI
Il sangue è formato da una porzione liquida, il plasma, e da una porzione corpuscolare,
maggiormente rappresentata da globuli rossi, detti eritrociti. Sono cellule che non contengono il
nucleo, hanno una forma particolare a lente biconcava. Questa forma è mantenuta da una serie di
proteine di ancoraggio all’interno del globulo rosso permettono l’adesione della parete esterna alla
parte citoscheletrica del globulo stesso. Questa forma è molto importante poiché permette ai globuli
rossi di passare attraverso vasi di diametro più piccolo (7-8 micron).
Non potendo produrre nuove proteine hanno una vita limitata nel tempo, circa 120 giorni, in quanto
non vi è la sintesi di nuove proteine al loro interno. Quando le proteine svolgono il loro compito e si
degradano, il globulo rosso non è più utile alla sua funzione e viene anch’esso degradato.
All’interno di questa cellula è presente un enzima molto importante che è l’anidrasi carbonica che
ha il compito di facilitare la reazione di idratazione dell’anidride carbonica e la reazione di
dissociazione dell’acido carbonico che si forma. Questa reazione è estremamente utile nel
mantenimento del PH corporeo.
CO2 + H2O ↔ H2CO3 ↔ H+ + HCO3
Ciò che si crea alla fine della reazione è uno ione idrogeno che viene utilizzato per mantenere
costante il PH nei vari distretti corporei.
Un’altra proteina fondamentale per la funzionalità del globulo rosso è rappresentata
dall’emoglobina, proteina particolarmente grande come dimensioni, formata da 4 subunità diverse.
Ogni subunità contiene al suo interno un atomo di ferro nel suo stato di ossidazione minore (+2) che
risulta indispensabile nel legame con l’ossigeno. L’emoglobina è la proteina deputata al trasporto di
ossigeno all’interno dei vari distretti, in quanto il ferro presente nel gruppo eme permette il legame

255
con l’ossigeno, che normalmente è poco diffusibile nel sangue libero. La quantità di ossigeno
disciolto liberamente nel sangue è molto bassa e tutto quello che viene trasportato è trasportato
all’interno dei globuli rossi legato al gruppo eme dell’emoglobina.
Il legame con il gruppo eme dell’emoglobina è un legame che favorisce il legame successivo: la
prima molecola di ossigeno si lega al primo atomo di ferro libero, a quel punto la seconda molecola
di ossigeno si legherà con una affinità maggiore rispetto alla prima al secondo gruppo eme, fino ad
arrivare alla quarta che avrà l’affinità maggiore. Si parla in fatti di legame cooperativo. Questo
meccanismo permette di trasportare una quantità maggiore di ossigeno in tutte le strutture
periferiche. Il legame dell’ossigeno con il ferro non è un legame di ossidazione (il ferro non cambia
la sua valenza) ma un legame di ossigenazione. La differenza sta nel fatto che il legame di
ossigenazione con il ferro è un legame che si rompe facilmente, mentre il legame di ossidazione è
più forte e non sarebbe possibile liberare l’ossigeno dal ferro e farlo tornare nel suo stadio di
ossidazione +2.
Esistono delle modificazioni della struttura dell’emoglobina che derivano generalmente da
mutazioni genetiche, che creano delle patologie. Ad esempio, la formazione dell’anemia falciforme,
generata dalla singola mutazione di una piccola porzione di catena amminoacidica dell’emoglobina
che ne cambia la struttura riducendone la capacità di legare l’ossigeno e cambia la forma della
cellula in una struttura che ricorda una falce. Ci sono altre patologie legate alla mutazione della
struttura amminoacidica dell’emoglobina come, ad esempio, la talassemia in cui vengono a
modificarsi le percentuali di subunità che formano l’emoglobina, in particolare l’alpha e la beta.
Anche in questo caso il mancato trasporto di ossigeno causato da questa modifica può causare gravi
problemi all’organismo.

La vita media dell’eritrocita è di 120 giorni. Viene distrutta a


livello della milza quando le proteine che essa contiene
vengono degradate a causa di una perdita di funzione. Le
cellule vengono assorbite dai macrociti presenti all’interno
della milza e vengono fagocitate. Gli elementi che
compongono le proteine presenti all’interno del globulo
rosso vengono in parte recuperati al fine di essere riutilizzati.
In particolare, il ferro viene staccato dal gruppo eme e
recuperato dal sistema vascolare e linfatico e trasportato nel
midollo osseo rosso dove vengono prodotti gli eritrociti. Con
l’avanzare dell’età si perde la capacità di produrre globuli
rossi, che vengono prodotti a livello degli apici delle ossa
lunghe e nelle ossa piatte dove è ancora presente il midollo
rosso. Nel meccanismo di degradazione dei globuli rossi,
detto emocateresi, viene prodotta una certa quantità di
bilirubina, sostanza tossica per l’organismo, che verrà poi
degradata ed eliminata a livello epatico.

256
GLOBULI BIANCHI e PIASTRINE
Oltre ai globuli rossi, che sono presenti in numero differente tra uomo e donna con una percentuale
leggermente più bassa nella donna, sono presenti anche i globuli bianchi, cellule deputate alla
immunità del nostro organismo. Sono cellule nucleate che circolano all’interno del sangue e sono
distinte in due classi: granulociti e cellule linfoidi.

I granulociti si dividono in neutrofili, basofili ed eosinofili mentre le cellule linfoidi sono divise in
linfociti B e T ed i monociti. Queste cellule hanno la caratteristica di attivarsi nelle fasi di immunità
ed hanno una vita media molto differente da un tipo cellulare all’altro. Ad esempio, le
immunoglobuline della memoria sono in grado di sopravvivere all’interno del nostro organismo per
anni. Riusciamo quindi a mantenere la capacità di difesa grazie a questo meccanismo di memoria.
Oltre ai globuli bianchi un altro tipo di cellule che fanno parte della frazione cellulare del sangue
sono le piastrine. Sono cellule senza nucleo dalla forma discoidale e la loro funzione è quella
emostatica, ovvero generare coaguli. Grazie ad una serie di reazioni ed il coinvolgimento di una
serie di fattori di coagulazione si avrà la formazione di trombi che permetteranno la chiusura dei
vasi lesionati.
EMODINAMICA
Il sangue è il tessuto che circola all’interno della struttura vascolare. Da un flusso intermittente
generato dalla contrazione cardiaca (sistole ventricolare), il flusso diventa continuo a livello
vascolare, grazie alle caratteristiche delle pareti dei vasi che sono particolarmente elastici,
soprattutto l’arteria aorta che ha una componente elastica molto ampia. Il sangue viene spinto con
una pressione particolarmente elevata dal nostro ventricolo sinistro, 75 ml di sangue vengono spinti
ad una pressione di circa 100-120 mmHg, per poi giungere nell’aorta che, essendo elastica, si
allarga e permette l’ingresso del sangue in pochi millisecondi. La forza elastica che si genera
dilatando le pareti dell’aorta poi si scarica, determinando il ritorno della dimensione dell’aorta alla

257
sua grandezza originaria. Questa forza di ritorno permette lo spostamento del sangue verso la
periferia trasformando quindi quell’intervallo di tempo tra una sistole e l’altra in un flusso continuo
di sangue che non più intermittente. Nelle vene invece succede l’opposto, infatti nelle vene vi è una
componente elastica bassissima. Questi vasi fungono quindi da magazzino in quanto sono in grado
di mantenere al loro interno una quantità piuttosto abbondante di sangue, poiché non sono in grado
di allargarsi e ritornare alle loro dimensioni normali. Semplicemente si dilatano e mantengono al
loro interno una certa quantità di sangue. La maggior parte del sangue che circola all’interno del
sistema vascolare è contenuta nelle vene.
Per capire come il sangue circoli all’interno del sistema vascolare si è sviluppata una branca della
medicina che viene chiamata emodinamica. L’emodinamica studia il flusso del sangue a livello dei
vasi sanguigni mettendo in relazione il flusso di un fluido perfetto all’interno di condotti rigidi,
quindi sfruttando le leggi dei fluidi perfetti, per adattarli al flusso ematico che scorre in vasi elastici
(o comunque con parete fibrosa che permette una dilatazione/contrazione).
Prima di parlare delle leggi che regolano questi flussi bisogna capire cos’è un flusso, cos’è una
velocità e la loro importanza.
La velocità di un fluido è la distanza che una particella del fluido percorre nell’unità di tempo
(cm/s).
Il flusso è la velocità di dislocamento di un volume di fluido espresso in unità di volume su unità di
tempo (cm3/s).
Se prendiamo in considerazione un condotto rigido, viene mantenuto il principio di conservazione
di massa. Per mantenere questo principio è necessario che la velocità del fluido che scorre
all’interno di questo condotto, il flusso (Volume) e l’area della sezione trasversale del condotto si
mantengano in relazione tra loro in modo tale da generare tra loro una situazione di equilibrio.
Questa situazione di equilibrio è rappresentata da quest’equazione:

𝒗 = 𝑸/𝑨.
La velocità del fluido è rappresentata dal flusso in rapporto all’area della sezione trasversale del
condotto.
Nell’immagine è mostrato come variano le tre grandezze:
Mantenendo costante il
flusso di fluido all’interno
del nostro condotto rigido
(10 ml/s), andando a variare
l’area della sezione trasversa
del condotto, la velocità
cambia.
Se rimane costante il flusso a
cambiare saranno gli altri
parametri. Aumentando
l’area della sezione, la velocità si riduce al contrario diminuendo l’area della sezione trasversa la
velocità aumenta.

258
All’interno del nostro organismo troviamo classi di condotti diverse, ad esempio i capillari sono
moltissimi quindi se andiamo a valutare la sezione trasversa di tutti i capillari troveremo un’area
maggiore rispetto agli altri vasi. Per questo a livello dei nostri capillari la velocità si riduce
moltissimo. Questo succede perché bisogna tenere in considerazione l’area totale della sezione
trasversale e non l’area del singolo capillare. Queste velocità variano a seconda del diametro del
vaso e il diametro varia a seconda della caratteristica del vaso stesso.
Se prendiamo dei vasi in cui la parete è completamente contratta, il diametro del vaso si riduce di
molto rispetto ad un vaso rilasciato, avremo nello stesso vaso una serie di modificazioni riguardanti
la velocità di scorrimento del sangue. Non ci sarà mai una situazione in cui la velocità del sangue si
mantiene costante in tutto l’organismo.
L’aspetto che valutiamo nella funzionalità e nello scorrimento di un fluido è l’energia presente
all’interno di un sistema. L’energia che troviamo all’interno di un sistema idraulico è dettata da tre
componenti: pressione, velocità del fluido all’interno del condotto (rigido in quanto stiamo ancora
parlando di fluidi ideali) e la gravità che insiste sul nostro condotto.
Secondo la legge di Bernoulli il flusso di un fluido ideale prevede che l’energia totale all’interno di
un certo tratto di condotto rimanga costante. La pressione totale del fluido che scorre all’interno del
condotto rigido è una pressione rappresentata da due componenti: statica e dinamica.
Considerando un condotto rigido, le strutture più esterne, quelle a contatto con le pareti del nostro
vaso avranno una velocità diversa rispetto a quelle all’interno, nel centro del condotto. Questa
variazione di velocità causerà delle variazioni nelle funzioni di pressioni dinamica e statica del
fluido all’interno del condotto rigido.
Se consideriamo questo esempio, vediamo che nel condotto ci sono porzioni con diametro diverso.
Consideriamo il condotto disteso in modo
che la gravità sia uguale in tutti i punti e
non vada ad incidere sulle diverse
porzioni del condotto.
Secondo la legge di Bernoulli, siccome
questo è un sistema di equilibrio, la
pressione dei tre segmenti deve essere
identica in quanto il sistema si deve
mantenere in equilibrio. È perciò
necessario che la velocità si modifichi al
fine di mantenere la pressione costante.

La velocità va quindi a modificare la pressione dinamica. L’effetto della velocità sulla componente
dinamica è indicato dall’equazione:

𝑷𝒅𝒊𝒏 = 𝝆𝒗2/𝟐
Dove ρ è la densità del liquido (g/cm3) e v la velocità (cm/s).
Se si considera il fluido con una densità di 1 g/cm3 possiamo andare, conoscendo le velocità del
liquido all’interno del condotto, a calcolare la componente dinamica del fluido nelle diverse
porzioni del condotto.

259
Se la densità è 1 g/cm3 e 1mmHg=1330 dine/cm2 (la prof nella slide utilizza come unità di misura
della pressione il mmHg facendo un’equivalenza con il dine /cm2) nella sezione A la pressione
dinamica sarà 3,8 mmHg mentre nella sezione B sarà 15 mmHg. Poiché l’energia totale rimane
costante, la P statica nella sezione ristretta sarà minore rispetto a quella più estesa. La pressione
totale però deve essere identica in tutti i distretti. Siccome la pressione totale è data dalla pressione
statica e da quella dinamica, cambiando la componente dinamica cambia la componente statica.
Nella porzione B, perciò, si avrà una porzione statica più bassa rispetto alle altre zone dove la
porzione dinamica è più bassa. Nell’immagine è possibile notare la grandezza, misurata come
risalita capillare, della pressione statica. Nel punto B è minore in quanto la pressione dinamica è
maggiore. Questo ci permette di capire quale sarà il comportamento anche nei nostri vasi.
ESEMPIO PRATICO
Se consideriamo un’arteria, un vaso abbastanza grande con una parete elastica, la pressione
dinamica del nostro fluido ha una rilevanza particolarmente piccola in quanto non ci sono resistenze
in quel vaso. Il fluido scorre in maniera continua senza variazioni.
Se però nell’arteria si trova una placca aterosclerotica, si va a ridurre il diametro del vaso
modificando perciò la velocità, che tenderà a ad aumentare. In questo caso l’aumento di velocità va
ad aumentare la componente dinamica della pressione rispetto ad un vaso che non presenta
ostruzioni. Si va perciò a ridurre la pressione statica, anche detta pressione laterale in quanto insiste
sulle pareti esterne del nostro vaso. Se la parte esterna perde la sua staticità si va a ridurre la
capacità del sangue di uscire ed andare a irrorare le porzioni periferiche. Se un capillare non
periferico si restringe (nei periferici il restringimento non permetterebbe il passaggio di sangue) si
va a ridurre la componente statica della pressione e questa riduzione va a ridurre il tempo in cui il
sangue rimane a contatto con le pareti del vaso e per poter fuoriuscire e irrorare i tessuti periferici.
Aumenta la velocità, aumenta la componente dinamica della pressione quindi per il sangue sarà più
difficile fuoriuscire e irrorare il tessuto periferico. All’interno di un sistema chiuso, come il nostro
sistema vascolare, è necessario che queste pressioni vengano mantenute costanti. Ciò che succede a
livello della nostra struttura vascolare, è un controllo del diametro dei nostri vasi. Questo controllo è
eseguito dalla funzionalità del SNA, il quale è in grado di aumentare la contrazione delle cellule
muscolari lisce che formano le pareti dei vasi sanguigni, o di determinarne il rilascio. A seguito di
un simile evento ci sarà un compenso, da un punto di vista di dilatazione della struttura vascolare,
per permettere un ripristino della giusta velocità di scorrimento di sangue, e quindi un giusto flusso
di sangue nelle varie componenti distrettuali del nostro organismo, per permettere e mantenere la
perfusione. Ci sarà sempre equilibrio tra la funzionalità del SN parasimpatico e simpatico (anche se
in realtà questo meccanismo è quasi interamente dovuto alla funzionalità del sistema parasimpatico)
che permetterà la regolazione dei diametri dei vasi della struttura vascolare, e di conseguenza il
mantenimento di un flusso idoneo alla perfusione dei distretti periferici.
Nei distretti interni del nostro organismo ci sono vasi che hanno diametri maggiori rispetto a quelli
periferici, per cui il flusso sanguigno nelle strutture centrali del nostro organismo è molto più facile
da controllare.

260
LEGGE DI POISEUILLE
Regolamenta il flusso di fluidi all’interno dei nostri condotti rigidi.
È importante perché permette di valutare il flusso di un fluido ideale
all’interno di un condotto rigido nel momento in cui il fluido stesso
mantiene un flusso laminare. Nel flusso laminare il fluido circola
all’interno del condotto come se fosse suddiviso in tante lamine, che
hanno una velocità differente in base alla posizione della lamina
presa in considerazione. Le lamine più esterne, quindi le più vicine
alla parete del nostro condotto, hanno una velocità molto bassa,
quasi nulla. Le lamine più interne presentano velocità maggiore
(quella centrale ha velocità maggiore rispetto a tutto il fluido). Le
caratteristiche di questa differenza di velocità dipendono dal fatto
che il fluido che scorre lungo le pareti del nostro condotto deve sviluppare una certa resistenza alla
forza d’attrito che si sviluppa con il contatto con la parete, e quindi la velocità va riducendosi, cosa
che non avviene nella porzione centrale.
Considerando un fluido ideale con un flusso laminare, la portata (il flusso) di questo fluido
all’interno di un condotto di una determinata grandezza è rappresentato dalla seguente formula:

in cui vengono messe in relazione le differenti pressioni che il fluido esercita sul nostro condotto
all’ingresso e all’uscita del condotto stesso; altro fattore determinante nell’equazione è la grandezza
del condotto. I fattori al denominatore sono: la viscosità del fluido, e la lunghezza del condotto.
Il flusso di un liquido ideale in un condotto rigido sarà direttamente proporzionale alla differenza di
pressione che il liquido presenta all’interno del condotto; è in relazione diretta con il raggio del
condotto. Mentre è inversamente proporzionale alla viscosità del liquido e alla lunghezza del
condotto stesso.
Questa legge tiene conto di come sia possibile valutare il flusso del sangue che scorre all’interno dei
nostri vasi.
LA RESISTENZA
La grandezza da valutare maggiormente è la resistenza che il fluido deve superare scorrendo
all’interno dei nostri vasi. Se consideriamo il flusso del fluido all’interno del nostro vaso come un
flusso di corrente potremmo valutare la resistenza, ovvero la differenza di gradiente pressorio tra
l’ingresso e l’uscita del nostro condotto.
Per analogia con la legge di Ohm, secondo cui R=E/I, la resistenza idraulica è rappresentata dalla
variazione della pressione rispetto al flusso del fluido all’interno del vaso.

261
Il flusso viene ricavato dall’equazione di Poiseuille, e dunque è possibile ricavare la resistenza
all’interno di un condotto.

La resistenza è direttamente proporzionale alla viscosità del fluido ed alla lunghezza del condotto,
perché maggiore è la lunghezza e maggiore è la forza che il fluido deve sviluppare per scorrere fino
alla fine di esso. Viceversa, è inversamente proporzionale al raggio del condotto.
Ciò che in realtà influenza la resistenza dello scorrimento del fluido all’interno del condotto, è in
particolar modo il raggio del condotto stesso.

In quest’immagine è rappresentato il flusso che il


sangue sviluppa all’interno delle differenti parti del
sistema vascolare, in base alla relazione tra la
resistenza e la lunghezza del vaso stesso. La
resistenza maggiore che si riconosce nel nostro
sistema vascolare, nel grafico è rappresentata dal
capillare, perché ha il diametro minore. Via via si
riduce all’aumentare del diametro dei condotti in cui
il sangue fluisce.

Il singolo capillare ha una resistenza altissima al flusso, e la velocità del flusso a livello capillare è
molto bassa, perché la resistenza è molto alta.
Quello che ci aspetteremmo di vedere è che il crollo della pressione arteriosa, e dunque l’aumento
di resistenza a livello dei vasi che formano il nostro sistema vascolare, fosse massimo a livello
capillare, ma in realtà non è così.
Le arteriole hanno la capacità di generare un’altissima resistenza nei confronti del flusso del sangue,
grazie alle caratteristiche della loro parete, ovvero una forte parete muscolare controllata dal SN
autonomo nella contrazione e nel rilasciamento. Ciò succede perché, considerando l’area totale
della sezione trasversa dei nostri vasi, i capillari hanno un’area maggiore rispetto a quelle delle
arteriole, che sono numericamente minori. Sono un po’ più grandi rispetto ai capillari, ma sono
numericamente minori, per cui la somma totale di quei raggi in realtà è diversa nei capillari rispetto
alle arteriole. Per cui, passando dai vasi grandi, la
resistenza aumenta molto a livello delle arteriole,
anche se il raggio è maggiore rispetto a quello dei
capillari, semplicemente perché i capillari hanno
una sezione totale trasversa maggiore rispetto alle
arteriole, e perché scorrono tutti in parallelo.
È possibile suddividere i vasi dei nostri sistemi in
categorie: arterie, piccole arterie, arteriole,
capillari, venule e vene. Ogni categoria è in serie
rispetto alle altre, ma all’interno della stessa
categoria tutte le componenti sono in parallelo. Il
numero di componenti di ogni categoria fa la

262
differenza. Quindi, le arteriole sono le strutture che sono maggiormente implicate nell’aumento
della resistenza, nel controllo della pressione, a scapito di vasi più piccoli (capillari).
Il crollo maggiore si ha a livello delle arteriole, nonostante nei capillari ci sia un abbassamento di
pressione.
Ci sono dunque strutture disposte in serie, e strutture disposte in parallelo. La resistenza dei sistemi
in serie è molto diversa rispetto a quelli in parallelo.

Guardando questo disegno, ci sono delle restrizioni nei nostri vasi che creano punti di resistenza, si
riduce il raggio del condotto, ma il flusso all’interno di esso dovrebbe rimanere costante. Quello che
si può valutare è la differenza di pressione (Pi-Pu) che si somma, parte dopo parte, seguendo il
circuito in serie. In ogni porzione intermedia si modifica nei restringimenti, resistenze che
modificano la componente dinamica e statica della pressione del fluido che scorre all’interno del
nostro vaso. È possibile calcolare il differenziale di pressione tra il punto iniziale e il punto finale
del sistema in serie come la somma di tutti i differenziali di pressione. Andando a dividere le
differenze di pressione per il flusso del liquido all’interno del sistema in serie, si ottengono delle
resistenze.
Nel sistema in serie, le diverse differenze di pressione di ogni compartimento, divise per il flusso
del fluido all’interno dello stesso sistema, danno come risultato la resistenza totale, rappresentata
dalla somma delle varie resistenze che si generano nel sistema in serie.
Quindi, la resistenza che si trova nel compartimento indicato con P1 sarà minore alla resistenza che
si trova nella parte terminale del sistema in serie, perché la resistenza totale è data dalla somma di
tutte le resistenze del sistema in serie.
Considerando il sistema vascolare, la somma totale delle resistenze sarà data dalla somma delle
resistenze di ogni comparto. Somma delle resistenze arteriose, arteriolari, capillari, venule e vene.
Ma all’interno della stessa componente, le diverse strutture che formano quella componente sono in
parallelo tra loro.

263
In questa situazione, il flusso è generato dalla somma dei flussi che si sviluppano nei vari rami del
circuito in parallelo (il flusso che entra è uguale al flusso che esce). Ogni porzione di questo circuito
ha una sua resistenza; la pressione iniziale del fluido, che si trova all’inizio del circuito, sarà simile
a quella che si trova alla fine di esso, perché le resistenze poste in questa posizione non si sommano.
Dividendo il flusso per la differenza di pressione (valore molto piccolo, perché il flusso viene
mantenuto costante, per cui c’è solo una piccola differenza di pressione legata alla resistenza
presente all’interno di quelle componenti), si ottiene l’inverso della resistenza totale, rappresentata
dalla somma dell’inverso delle varie resistenze nelle diverse componenti del sistema in parallelo.
Se le tre resistenze sono uguali, si ottiene una Rt= Rt/3
In un sistema in parallelo all’interno di una categoria di vasi, la resistenza totale non potrà mai
essere superiore rispetto alle resistenze che sono presenti all’interno di ogni componente.
Esempio pratico
La resistenza periferica totale è rappresentata dal rapporto tra la differenza di pressione che si
sviluppa nel sistema vascolare (tra arterie e vene=100ml Hg) e il flusso attraverso l’intero distretto
vascolare, rappresentato dalla gittata cardiaca (5000ml). È possibile valutare la resistenza periferica
totale sostituendo i numeri di queste due grandezze: (Pa-Pv) e la gittata cardiaca. Il risultato è di
circa 0.02 URP.
Prendendo la struttura renale e volendo calcolare la resistenza vascolare a livello di questa struttura,
bisogna tenere in considerazione il rapporto tra la differenza della pressione arterovenosa all’interno
del rene (identica a quella a livello del sistema vascolare) e il flusso di sangue che scorre all’interno
del rene in un minuto (circa 600ml). Quindi, la resistenza renale totale è di 0.17 URP (unità di
resistenza periferica), numero molto maggiore rispetto a 0.02. Si sviluppa una resistenza così alta
perché nel sistema totale il sangue è in grado di scorrere in un numero di vasi maggiore rispetto a
quello presente nella struttura renale. Questi vasi sono posti in parallelo all’interno della stessa
categoria; quindi, avendo vasi occlusi si possono sfruttare gli altri per far scorrere il sangue
all’interno del sistema. Nel rene, avendo un minor numero di vasi, il sangue che scorre all’interno di

264
questi non può prendere vie diverse in caso di occlusioni, per cui la resistenza che si sviluppa è
maggiore rispetto ad una struttura molto più grande, che presenta un’area maggiore in cui il sangue
può scorrere.
La resistenza che il sistema vascolare è in grado di sviluppare dipende dalle strutture che vengono
prese in considerazione, dalla caratteristica dei diversi vasi, e dal numero di componenti all’interno
di ogni categoria. Più sono le componenti all’interno della categoria, minore sarà la resistenza
sviluppata. Per cui, a livello capillare, nonostante il diametro minore e la velocità ridotta per una
questione di area, la resistenza è relativamente bassa, perché sono vasi disposti in parallelo, e
dunque permettono al flusso del sangue di sfruttare vie alternative per distribuire il sangue in tutto il
nostro sistema.

RISPOSTA: per resistenza periferica si intende la resistenza di tutti i vasi del nostro sistema; poi
possiamo scorporare dal nostro sistema solo quelli che sono i diversi organi.

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Lezione 24 di Fisiologia Cellulare del 26/11/2021
Sbobinatori: Jessica Kandyba, Sara Fumagalli
Revisore: Silvia Crudeli
Docente: Sandra Guidi
Argomenti: flusso lineare e turbolento, formula di Reynolds, caratteristiche reologiche del sangue, viscosità.

Nella lezione precedente si è parlato di resistenza periferica totale e di resistenza legata ad un singo-
lo organo, e quindi alle difficoltà che il flusso incontra nel passaggio attraverso sistemi collegati in
serie piuttosto che a sistemi in parallelo.

All’interno del nostro organismo il flusso dei liquidi è un flusso che si può presentare in due moda-
lità:
- flusso laminare.
- flusso turbolento.

FLUSSO LAMINARE:
Il flusso laminare è dato dalla presenza di una serie di lami-
ne concentriche identiche tra loro, tranne che nel diametro,
che scorrono in parallelo l’una rispetto all’altra all’interno
del condotto. Le lamine più esterne, che scorrono contro la
parete del condotto, hanno una velocità minore rispetto alle
lamine centrali. Questa velocità minore è generata
dall’attrito che le diverse componenti della lamina più ester-
na hanno contro la parete del vaso.
Nel grafico è tratteggiata la velocità del flusso laminare in
cui la parte centrale, a contatto solo con altre lamine di flui-
do, presenta la maggiore velocità in assoluto.

Il flusso da lineare laminare può trasformarsi in un flusso turbolento.

FLUSSO TURBOLENTO:

Nel flusso turbolento non c’è un ordine, le varie componenti del fluido circolano in modo disordina-
to. Questo flusso turbolento è in genere riconoscibile perché crea rumori auscultabili.
Ad esempio, il soffio cardiaco è un rumore auscultabile con fonendoscopio ed è generato dalla tur-
bolenza del sangue all’interno di una camera cardiaca. La turbolenza può essere generata dalla non
chiusura ermetica delle valvole cardiache; pertanto, rimane una piccola area dove i lembi delle val-
vole non si chiudono, che permette il passaggio di sangue in maniererà non ordinata (ovvero non
seguendo vie classiche rappresentate dalla chiusura e apertura delle valvole) che a sua volta crea un
ritorno con moto turbolento rumoroso.
Per creare un modo turbolento occorre un’energia maggiore nel sospingere il fluido all’interno dei
vasi, occorre quindi che il cuore svolga un lavoro maggiore. La differenza di pressione tra
l’ingresso e l’uscita del condotto è molto maggiore rispetto a quella che si può valutare in un con-
dotto con flusso laminare.
Occorre un’energia maggiore, generata dal cuore, per permettere la fuoriuscita del fluido turbolento
dalla camera cardiaca verso i vasi.

266
Un esempio di flusso turbolento è rappresentato dalla misurazione della pressione arteriosa.
Quando il medico misura la pressione utilizza uno strumento che è uno sfigmomanometro, un brac-
ciale che si inserisce intorno al braccio del paziente con all’interno una camera d’aria che viene
gonfiata, andando a occludere i vasi che si trovano a livello del braccio, bloccando la circolazione.
Il medico con il fonendoscopio o con lo stetoscopio va ad auscultare, per valutare la pressione, i
rumori che si sentono a valle della chiusura del manicotto quando questo viene lentamente aperto.
In situazioni normali, quando il bracciale non è chiuso intorno al braccio del paziente, il sangue
all’interno dei vasi ha un flusso laminare, e quindi non fa nessun tipo di rumore.
Chiudendo il vaso, e riaprendolo lentamente, a valle della stenosi inizia un flusso di tipo vorticoso.
Andando a sgonfiare lentamente il manicotto, il vaso tende ad aprirsi e il sangue che passa avrà un
movimento vorticoso. Il rumore generato dal movimento ci permette di valutare il valore della
pressione sistolica del paziente.
Aprendo completamente il vaso il sangue si muove con moto laminare, e i rumori poco alla volta
diminuiscono d’intensità fino a quando non scompariranno del tutto; in tale situazione il sangue
all’interno del vaso sarà di moto laminare, è tale momento rappresenta il valore di pressione diasto-
lica.
Questo tipo di flusso all’interno dei vasi può essere generato dall’esterno (chiudendo il vaso) ed è
un movimento che ci permette di testare alcuni parametri del soggetto.

Numero di Reynolds:

Il flusso vorticoso crea una serie di movimenti e rumori, e per determinare quando un flusso passa
da laminare a turbolento è stata identificata una grandezza rappresentata dal numero di Reynolds.

Il numero di Reynolds viene calcolato valutando la densità del fluido, la grandezza del diametro del
condotto, la velocità media del fluido all’interno del condotto e la viscosità del fluido che scorre
all’interno del condotto. È un numero puro (non c’è unità di misura) e può assumere diverse gran-
dezze.
All’interno dei vasi, se il valore del numero di Reynolds è pari o al di sotto di 2000, il flusso è lami-
nare. Tra 2000 e 3000 il flusso è leggermente turbolento. Sopra i 3000 il flusso è completamente
turbolento e si crea un rumore.

Il numero di Reynolds serve per identificare come il flusso del sangue si trasformerà a seguito della
stenosi di un vaso, anche in casi di stenosi non generata dall’esterno, ma ad esempio da una placca
aterosclerotica, che occlude il vaso generando un moto turbolento, in quanto le dimensioni del vaso
vanno riducendosi.

267
In questa tabella sono indicati vari nu-
meri di Reynolds, in generale il numero
di Reynolds fornisce indicazioni di co-
me un oggetto sia in grado di compor-
tarsi all’interno di materiali come ac-
qua, fluidi differenti e l’aria, in base alle
caratteristiche del soggetto stesso valu-
tato.
Ad esempio, il delfino nell’acqua ha un
numero di Reynolds (circa 100 milioni)
che trasforma il nuoto in un moto linea-
re, quasi privo di consumo di energia.
Sotto sono indicati gli intervalli dei va-
lori di flusso laminare, di flusso non ben
definito (non completamente lineare e non completa turbolento), e di flusso turbolento (oltre i
3000).

Il flusso che si sviluppa all’interno dei vasi crea una tensione sulle pareti dei vasi. Questa è in grado
di andare a modificare l’estensione della parete del vaso. Questa tensione prende il nome di tensio-
ne di taglio.
La tensione di taglio (τ) è proporzionale al flusso del fluido nel vaso e alla viscosità del fluido stes-
so. Il flusso è sempre rappresentato dalla lettera Q e la viscosità dal simbolo η.

La tensione che si crea sulle pareti del vaso è inversamente proporzionale alla grandezza del vaso
stesso. Questo è dovuto non tanto alla grandezza del vaso, quanto alla quantità di liquido che passa
nel vaso più grande, che genera una tensione maggiore sulle pareti del vaso rispetto alla tensione
generata in un vaso con diametro minore.

CARATTERISTICHE REOLOGICHE:
Per valutare quelli che sono le modificazioni del sangue all’interno dei vari vasi all’interno
dell’organismo viene utilizzata la reologia: scienza che studia le modificazioni della struttura e ca-
ratteristiche di un corpo quando viene sollecitato. Il corpo può essere un fluido o anche un materiale
solido. Studia tutte le deformazioni legate a sollecitazioni.
Le caratteristiche che sono in grado di determinare delle variazioni delle caratteristiche del fluido
nei vasi sono ben specifiche: la prima è rappresentata dalla viscosità.

Viscosità:
La viscosità rappresenta la densità del fluido all’interno del vaso, è generata dal numero di cellule
presenti nel vaso stesso. Quello che viene generalmente osservato per determinare la variazione di
viscosità nei vasi è l’ematocrito.

L’ematocrito è il rapporto tra volume di cellule rispetto al volume totale del fluido. L’ematocrito è
un valore compreso tra 36-54 % nell’uomo, 38-48% nella donna. Questa variazione di ematocrito, e
quindi nel numero di cellule vanno a modificare la viscosità del sangue.

268
Nel grafico a destra si può osservare la viscosità messa
in relazione con la grandezza del l’ematocrito in sog-
getti diversi.
Partendo da soggetti con ematocrito di 0,95 (un valore
molto alto), questi presentano una viscosità molto alta
rispetto alla viscosità lineare del plasma, che è una so-
luzione fisiologica. La viscosità del sangue può modi-
ficarsi leggermente in seguito alla presenza di proteine
molto grandi, ma generalmente rimane lineare. Quindi
con un elevato ematocrito la viscosità aumenta, ridu-
cendosi l’ematocrito la viscosità si riduce.

Oltre al diametro dei vasi, perciò, anche la viscosità e l’ematocrito del nostro sangue sono in grado
di andare a modificare la velocità di scorrimento del sangue.
Nel grafico a sinistra si vede la differenza tra viscosità in un
arto posteriore di un animale da esperimento (possiamo pa-
ragonarlo ad un arto inferiore dell’uomo), rispetto alla vi-
scosità che si può misurare in un fluido ideale attraverso uno
strumento chiamato viscosimetro capillare, che è un capilla-
re di vetro che permette la risalita del liquido e in base alla
concentrazione (alla densità del liquido) si crea una curva di
viscosità.
Nell’arto posteriore dell’animale la viscosità tende ad au-
mentare all’aumentare dell’ematocrito, cosa che non succe-
de, se non con una ampiezza ridotta, in un fluido ideale.

Per ogni valore di ematocrito la viscosità dipende dalla


grandezza del condotto che viene impiegato per valutare
anche quella che è la viscosità del fluido stesso.

Nell’immagine sottostante sono rappresentanti 3 diversi vasi, che hanno grandezza diversa con nu-
mero di cellule (Globuli rossi) al loro interno.

Nel grafico possiamo osservare la viscosità del liquido rispetto


al diametro del condotto in cui scorre.
La viscosità tende a ridursi quando il diametro raggiunge un
punto limite di 0,3 mm.
Fino a questo valore il fluido scorre nei vasi con un flusso la-
minare senza creare problemi. Quando la grandezza dei vasi
diminuisce sotto gli 0,3 mm, la viscosità tende a diminuire ve-
locemente perché all’interno di vasi con diametro minore entra
un numero di cellule minore.

269
In un vaso di grandi dimensioni il sangue scorre di moto laminare, la parte liquida scorre intorno
alle pareti e la parte cellulare scorre nella parte centrale del vaso. In questo modo la resistenza gene-
rata sulle pareti è limitata, perché contro le pareti del vaso scorre una soluzione fisiologica con una
velocità, generata dallo spostamento del plasma, minore rispetto al fluido che scorre nella parte cen-
trale. Se si tratta di un moto laminare questo si mantiene nel tempo.
Quando invece il flusso laminare si trasforma in un flusso turbolento a seguito di riduzione della
grandezza del vaso, il flusso diventa disordinato, e le cellule non si trovano più concentrati nella
parte centrale, ma si distribuiscono all’interno del diametro totale del vaso.
Riducendo ancora la grandezza del vaso, accade che passa una fila di cellule (una dietro l’altra) per-
ché non vi è lo spazio fisico per permette il passaggio di più cellule. Quindi la viscosità diminuisce,
perché diminuisce il numero di cellule, e quindi diminuisce l’ematocrito.
L’ematocrito di un capillare è minore rispetto all’ematocrito di un vaso più grande perché il passag-
gio di cellule in un vaso con diametro minore, è inferiore rispetto a quello presente in vasi maggiori.

Quindi aumentando la velocità del fluido nel condotto ciò che suc-
cede è una riduzione della viscosità. La viscosità si riduce anche in
seguito alla modificazione dell’attrito che si genera all’interno del
condotto.
Le caratteristiche che deve assumere il sangue affinché possa modi-
ficarsi la viscosità è generato dallo spostamento fisico dei corpu-
scoli presenti nel sangue:

Globuli rossi
I globuli rossi presentato una serie di proteine nella porzione esterna della membrana cellulare che,
quando si trovano ferme all’interno di un vaso molto piccolo, vanno ad unire i globuli rossi forman-
do degli aggregati.
Quando i vasi sono piccoli gli aggregati sono formati da poche cellule, in quanto l’ematocrito è mi-
nore. Aumentando la velocità questa aggregazione si riduce, perché le cellule hanno uno spazio
maggiore in cui distribuirsi; quindi, la viscosità del sangue nei vasi dove la velocità è elevata è mol-
to bassa.

Tutte queste caratteristiche permetto di identificare il flusso del sangue all’interno dei vasi. Inoltre,
oltre alla presenza di proteine sui globuli rossi, anche il plasma è in grado di aumentare la capacità
di aggregazione dei globuli rossi grazie alla presenza di proteine come il fibrinogeno, proteina mol-
to grande che ha la capacità di legare i globuli rossi creando degli aggregati.

Queste caratteristiche (viscosità che si modifica rispetto alle caratteristiche legate al flusso del san-
gue) sono assolutamente importanti per valutare i rischi di coaguli e trombi.
Quando un soggetto rimane in piedi (situazione di ortostatismo) per molto tempo, il sangue va a
fermarsi negli arti inferiori a causa della forza di gravità.
La difficoltà nel riportare il sangue in circolo può essere calcolata grazie ai parametri visti in prece-
denza che ci permettono anche di identificare a quali pericoli può andare incontro un soggetto che si
trova fermo in piedi per molto tempo.
I rischi sono generalmente legati a riduzione di pressione improvvisa, perché non c’è un ritorno ve-
noso che permette il mantenimento della gittata cardiaca, a lungo andare si possono creare anossie
(riduzioni di concentrazioni di ossigeno in porzioni particolare dell’organismo come il cervello),
scatenando fenomeni come lo svenimento. Lo svenimento è un fenomeno che ci permette di blocca-
re le attività di consumo di energia dell’organismo, cercando di mantenere intatto quello che è il
metabolismo cardiaco e cerebrale, che sono gli unici metabolismi che ci permettono la sopravviven-
za.

270
In caso di variazioni di viscosità legate alle caratteristiche viste, si può andare a fare valutazioni cli-
niche sul soggetto, come nella formazione di trombi in zone particolari dell’organismo che possono
sviluppare risultati particolarmente dannosi. Si può anche andare a valutare l’incidenza di un infarto
in un tessuto qualunque dell’organismo causato da una variazione di diametro dei vasi o di viscosità
aumentata del fluido che scorre nei vasi, si può quindi andare ad agire in modo terapeutico sulle
possibili cause che possono creare questo particolare fenomeno.

Quando i vasi diventano particolarmente piccoli (es. Capillari con diametro massimo 7-8 micron) il
sangue scorre con una fila di cellule. In realtà i globuli rossi hanno la capacità di scorrere anche in
capillari molto più piccoli (con diametro minimo di 3 micron), grazie alla loro conformazione di
disco biconcavo, che permette la modificazione della struttura cellulare permettendo al globulo ros-
so di entrare anche in vasi piccoli e contrattili.
Questa variazione è importante perché permette la fusione di tutte le strutture del nostro organismo,
anche le più periferiche e anche in situazioni in cui a livello periferico i capillari sono particolar-
mente costretti, come in situazioni di bassa temperatura. Ad esempio, nell’epidermide delle mani, vi
è la costrizione dei vasi superficiali per evitare l’abbassamento della temperatura del sangue.
Il flusso di sangue si riduce perché a livello superficiale i capillari si vasocostringono e sono parti-
colarmente sottili, questo crea una riduzione del flusso sanguigno nel capillare con un aumento del-
la viscosità del sangue, determinando un risparmio in termini di temperatura perché non c’è scam-
bio tra superficie cutanea e sangue, e quindi viene mantenuta costante la temperatura interna.

Tutte le caratteristiche reologiche del sangue sono importanti per permette al sistema vascolare di
mantenere una perfusione fisiologica di tutti i tessuti anche quelli più periferici.
Ovviamente le caratteristiche dei vasi e del sangue stesso possono essere modificate, andando a
modificare, di conseguenza, anche la capacità di perfusione delle strutture periferiche.

Ad esempio, le cause della modifica dell’ematocrito sono:


• Aumento a causa di tumori delle cellule del sangue, infezioni e infiammazioni, disidratazio-
ne/estrema sudorazione (viene ridotta la quantità di fluido in cui le cellule sono immerse);
• Riduzione a causa di riduzione della quantità di ferro disponibile per la costituzione del
gruppo eme dei globuli rossi;

Questi valori devono rimanere in un determinato intervallo di parametri, per non causare problemi
alla viscosità e quindi comportare problematiche patologiche come, ad esempio ictus (si forma un
piccolo coagulo a causa di un aumento di viscosità a seguito di un aumento di ematocrito che
ostruisce il vaso).
Tutte queste informazioni sono fondamentali nel valutare i parametri fisiologici per mantenere in
salute il paziente.

VISCOSITA’:
La viscosità è un parametro valutabile tenendo conto del
movimento di un fluido all’interno di un condotto rispetto ad un
punto zero (t0), in cui il fluido inizia a scorrere con velocità
iniziale nulla (v=0). Tutte le particelle del fluido a contatto con la
parete subiscono il fenomeno dell’aderenza, per cui rimangono
“attaccate” alla parete. La velocità aumenta al crescere della
distanza da t0 (parete), fino allo strato limite. Il fatto che la
velocità sia diversa in base allo strato indica che le componenti
del fluido sono sottoposte ad una forza che si oppone allo

271
scorrimento del liquido nel condotto, si tratta della viscosità.
Nell’immagine sottostante sono rappresentate due lamine di fluido che scorrono l’una sull’altra, con
una certa area in contatto reciproco e con uno spessore specifico. I due strati devono vincere la
tensione generata dallo scorrimento delle parti sovrapposte, è una tensione/resistenza che aumenta
all’aumentare della viscosità; perciò, maggiore sarà la forza che si oppone allo scorrimento del
fluido (viscosità), maggiore sarà la tensione che le due lamine che scorrono l’una sull’altra creano.
La tensione è indicata con la formula nell’immagine in basso e si può notare come dipenda dalla
viscosità del fluido.

La resistenza viscosa è proporzionale al gradiente di velocità delle due lamine e viene valutata
come la capacità del fluido di cambiare la propria forma rispetto alla velocità con cui scorre. È una
caratteristica specifica per ogni fluido, il plasma (soluzione fisiologica in cui sono disciolte solo
alcune proteine), ad esempio, ha una viscosità costante (tranne che in situazioni patologiche), per
cui il rapporto tra lo stress generato sul fluido e la velocità di scorrimento è costante. Quando
l’ematocrito aumenta si ha una modificazione esponenziale della forma del fluido rispetto alla
velocità: più il fluido è denso, più forza serve per garantirne lo scorrimento, mantenendo la velocità
invariata. La viscosità è dinamica e viene differenziata da quella cinematica, che è il rapporto tra
viscosità e densità del fluido.

Anche le pareti vascolari hanno una propria viscosità perché sono formate da un insieme di
componenti a percentuali variabili, in base al tipo di vaso: endotelio, parte elastica, parte muscolare
e parte fibrosa distribuite nelle tre tonache intima, media e avventizia. Le caratteristiche vascolari
specifiche sono dette visco-elastiche.

272
L’elasticità dei vasi è la capacità con cui essi sono in grado di deformarsi se sollecitati e di ritornare
in poco tempo alla forma originaria quando lo stimolo cessa, ciò è fondamentale per la
trasformazione del flusso intermittente (o alternato), generato dal cuore, in flusso continuo, che si
sviluppa all’interno delle arterie).
La deformazione conformazionale unitaria (ε) è direttamente proporzionale alla tensione
applicata sulla parete del vaso (σ), con deformazione conformazionale si intende la modifica della
forma a seguito di uno stimolo e viene misurata e calcolata anche per piccolissimi spostamenti
rispetto alla posizione di equilibrio. Considerando una situazione ideale (che non si verifica mai nel
nostro organismo) in cui un vaso è riempito di un liquido immobile, si può valutare la deformazione
unitaria generata dalla pressione/tensione sviluppata dal fluido quando esso si mette in movimento,
su ogni singolo segmento del vaso.
La deformazione unitaria è il rapporto tra l’allungamento assoluto del vaso, a seguito del passaggio
di liquido, e la lunghezza di partenza, con il liquido fermo all’interno, . Prendendo un tratto di
condotto avente lunghezza nota e facendovi scorrere un fluido all’interno, la tensione sviluppata dal
liquido genererà un allungamento misurabile, essendo il vaso elastico. Queste deformazioni sono in
stretta relazione con le caratteristiche proprie di ogni vaso e sono definibili mediante il modulo
elastico di Young, che mette in rapporto tensione e deformazione unitaria. Il modulo elastico
caratterizza ogni vaso che, quindi, risponde in modo diverso da altri vasi a parità di forza a cui è
sottoposto, perché ha qualità intrinseche variabili, date dalle varie composizioni delle pareti.

Considerando una porzione di vaso che ha raggio e


lunghezza valutabili, si nota che il sistema in questione
è tridimensionale e quindi si devono tenere in
considerazione le coordinate cilindriche e non quelle
lineari. Si notano una serie di tensioni che si sviluppano
su 3 diversi piani del condotto: direzione del raggio
( ), direzione dell’asse ( , lungo cui scorre il fluido) e
direzione della circonferenza ( ).
Se nel condotto c’è una certa quantità di sangue, si può
valutare la pressione transmurale, ovvero la
differenza tra la pressione interna al vaso (generata dal
fluido) e quella esterna, . Questo parametro si
modifica in base alla velocità di scorrimento ed alla
viscosità del fluido e crea una tensione sulla parete
vascolare, che si modifica di punto in punto seguendo il
flusso. Si ha una tensione iniziale nel punto zero,
valutata secondo i 3 piani, che si modifica poi nello
spazio in base alle caratteristiche del fluido. Questa pressione può anche mantenersi costante nei
vari tratti e quindi generare una tensione costante, se però cambia si modifica anche la tensione e
quindi la deformazione che essa causa:

273
In questo modo si può calcolare il modulo di elasticità per ogni tratto del vaso (si hanno la tensione
e quindi la deformazione in ogni punto) tenendo conto di tutte le coordinate del sistema, che quindi
si modificherà in base al vettore di ciascuna delle 3 direzioni.

Gli aspetti fisiologici sono valutabili in modo teorico ma in realtà c’è un cambiamento continuo
delle caratteristiche fisiche del nostro organismo. Alcuni parametri che si modificano nel paziente e
che potrebbero causare patologie sono prevenibili proprio grazie a queste considerazioni.
La deformazione non è mai lineare, bensì ha sempre un
andamento simil-esponenziale e per ogni punto del
condotto, in base a posizione e tensione, è valutabile il
cambiamento di un parametro rispetto all’altro.
L’aumentare della tensione crea una deformazione con
andamento curvilineo che permette di valutare il
modulo di elasticità di ogni punto del condotto,
definito come incrementale. Si parte dal modulo
elastico misurato nel punto zero del condotto, cui si
somministra una tensione che causa una deformazione;
nel punto 1 il modulo elastico è quello del punto zero,
cui viene sommata la tensione e la deformazione che si
sviluppa nel punto 1 e così via per ogni punto del
condotto. A mano a mano che ci si allontana dal punto
zero il modulo elastico dipenderà dalle caratteristiche dei moduli elastici che hanno preceduto le
porzioni del condotto in cui scorre attualmente il fluido.
La modificazione della circonferenza a seguito di una pressione transmurale viene identificata come
tensione della parete, ovvero il prodotto tra raggio del vaso e pressione transmurale (T=rP),
definizione possibile solo per i condotti del nostro organismo, che hanno una parete particolarmente
sottile.
La variazione di tensione può essere messa in relazione,
attraverso i grafici, con l’incremento della
circonferenza/raggio e anche con l’età. Da 10-19 a 70-79
anni, la percentuale di variazione della circonferenza
rispetto alla tensione/pressione transmurale si riduce di
molto a causa della modificazione delle pareti vascolari,
che perdono elasticità, irrigidendosi. Il raggio del vaso
cresce meno a parità di aumento di tensione ma il vaso
rigido sopporta anche una variazione di tensione
inferiore. In soggetti giovani con improvvisi sbalzi di
pressione e con incrementi anche elevati di pressione
arteriosa, anche se tensione e pressione transmurale sono
molto alti, non si creano particolari scompensi dal punto
di vista della vasodilatazione. In adulti e anziani ciò crea
problemi, infatti l’organismo fatica a riportare la
pressione arteriosa a livelli fisiologici, perché la modifica
delle caratteristiche strutturali del condotto rigido risulta
difficile. L’aumento di pressione, oltre ad essere corretto attraverso la diuresi (somministrando
farmaci che favoriscono l’eliminazione di liquidi), viene anche modulato attraverso la distensione o
restrizione dei vasi. Il bilancio di vasodilatazione e vasocostrizione permette di mantenere la
pressione costante o almeno entro il range fisiologico negli individui più giovani.

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Lezione 25 di Fisiologia Cellulare del 30/11/2021
Sbobinatori: Arianna De Fusco, Anna De Marco
Revisore: Matteo Collinelli
Docente: Sandra Guidi
Argomenti: Compliance, Modello Windkessel, Sistema Venoso, Sistema Respiratorio

COMPLIANCE

Si è parlato di elasticità, di flussi, di pressioni, di cambi di velocità ma un’altra caratteristica che


spiega il comportamento dei vasi è la compliance.
Si intende la distensibilità dei vasi, concetto che non va confuso con l’elasticità. Con elasticità
intendiamo la caratteristica per cui la parete si espande, contiene il fluido che fuoriesce dal ventricolo
sinistro, si allarga e dopo che la pressione esercitata dal ventricolo si riduce, perché le valvole si
chiudono, grazie alla quantità di sangue che è presente all’interno dell’arteria si crea una forza elastica
che permette il ritorno della parete del vaso alla sua dimensione originaria spingendo il sangue nella
direzione periferica.
La compliance invece è semplicemente la distensibilità, quanto questi vasi sono in grado di fungere
da magazzino, di ampliare quella che era la loro area trasversale (di allargarsi), per contenere al loro
interno liquido.
Quando i vasi, come ad esempio per i vasi venosi, distendono le loro pareti, determinano un aumento
di quantità di sangue al loro interno che però non è seguito da una forza elastica di ritorno. Il vaso
rimane più dilatato rispetto al vaso vuoto, a seguito della pressione esercitata dal sangue sulle pareti
del vaso dalla pressione transmurale, ovvero la differenza tra pressione interna e pressione esterna
del vaso.
La compliance viene considerata come la variazione del volume di sangue che si presenta all’interno
del vaso rispetto alla variazione unitaria di pressione che si genera all’interno dello stesso. Quindi in
un sistema chiuso come quello artero-venoso del nostro organismo, aumentando o diminuendo il
volume di sangue circolante si va a ridurre o aumentare quella che è la pressione del sangue sulle
pareti del vaso.
In questo grafico è
rappresentata la
compliance dei vari vasi, in
particolare quelli venosi
che hanno un enorme
compliance perché
permettono il contenimento
di una grande quantità di
sangue (quasi il 45/50% del
sangue circolante si trova a
livello venoso).

Viene rappresentata la variazione della pressione sanguigna rispetto alla variazione di volume ad età
differenti e la compliance è rappresentata dall’area che si vede nel triangolo al di sotto del grafico.
L’area che si forma in queste variazioni ci permette di verificare quanto il vaso presenti una
compliance maggiore o minore rispetto ad un altro caso o rispetto ad un dato di un paziente di un’altra
età. Consideriamo la variazione tra 50 e 75 ml di volume, se andiamo a tracciare la linea e valutiamo
quello che è il Δp, si genera questo triangolo che è assolutamente diverso rispetto a quello che
potremmo tracciare modificando di 25 ml il volume e la pressione in un soggetto che ha un’età
completamente diversa.

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Quindi se considero una variazione di volume di 25 ml all’interno del vaso venoso ottengo, a 29 anni
un certo Δp, che deriva dalla capacità che hanno questi vasi di distendersi, rispetto a quello ad esempio
a 60 anni.

Se considero la stessa variazione di volume, l’area che si genera nel grafico è un’area più piccola
rispetto a quella di un soggetto giovane, semplicemente perché la distensibilità dei vasi venosi in
questo caso va via via riducendosi. Si creano infatti dei fenomeni di sclerotizzazione, quindi le
strutture fibrose presenti all’interno dei vasi perdono col tempo elasticità e quindi viscosità.
Si va a modificare quella che è la variazione di pressione con l’avanzare dell’età. Per controllare la
variazione di pressione nel sistema artero-venoso possiamo determinare contrazione o rilassamento
attraverso il sistema nervoso simpatico all’interno dei vasi stessi. Quindi se è vero che nelle strutture
venose la quantità muscolare è ridotta rispetto a quella arteriosa, è anche vero che è possibile andare
a controllare attraverso quella che è la struttura del sistema nervoso simpatico e parasimpatico una
contrazione involontaria dei vasi generata dalla modificazione della pressione e del volume che
circola all’interno.

Ovviamente queste risposte di controllo di pressione hanno un’attivazione diversa a seconda dell’età
del paziente proprio perché il sistema simpatico può agire con una certa frequenza sulla costrizione
della muscolatura dei vasi. È vero però che se il vaso perde di elasticità il risultato va via via
riducendosi anche se il sistema simpatico continua la sua funzione di ridurre il diametro del vaso.
La compliance è importante per determinare il giusto ritorno di sangue dalla parte venosa del sistema
vascolare verso il cuore.
La distensibilità dei vasi ci permette di contenere una certa quantità di sangue che viene sospinto nelle
strutture venose da quella che è la contrazione cardiaca. Le vene non essendo elastiche non sono in
grado di generare una forza tale da permettere il ritorno venoso all’interno del cuore. Questo ritorno
venoso è generato sempre per la spinta del cuore che espelle sangue ad ogni ciclo cardiaco e dalla
forza elastica delle arterie che spinge il sangue fino alle strutture venose. Quella spinta viene
mantenuta tanto che permette il ritorno del sangue verso il cuore per mantenere il ciclo.
La compliance gioca un ruolo nell’efficienza del ritorno venoso: finché le vene sono in grado di essere
distese e in parte anche contratte rispetto alle funzionalità del sistema nervoso simpatico e
parasimpatico, il ritorno venoso è un ritorno che si mantiene stabile. Quando si inizia a perdere quella
che è la capacità di distensione delle pareti venose ovviamente anche il ritorno venoso perde di
qualità, nel senso che è più facile che rimanga nella parte periferica sangue depositato. Quindi
possiamo dire che il ritorno venoso tende a ridursi con l’avanzare dell’età proprio perché perde questa
caratteristica compliance dei vasi venosi più periferici.

MODELLO WINDKESSEL

La compliance, insieme a quella che è l’elasticità delle pareti arteriose, viene valutata per identificare
il meccanismo di passaggio del sangue verso le arterie e il ritorno venoso in questo modello che
prende il nome di Windkessel.
Secondo questo studioso tutto il fenomeno descritto precedentemente è generato da una sorta di
camera d’aria presente all’interno del sistema vascolare prodotta da una grande elasticità arteriosa e
dalla compliance delle vene. L’elasticità arteriosa può essere in realtà paragonata a quella che è la
compliance venosa perché fa aumentare il volume rispetto alla variazione di pressione.

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Pensiamo al sangue che viene spinto dal ventricolo sinistro
all’interno dell’arteria e nell’aorta. Quello che succede è
l’aumento del volume, particolarmente intenso, in un
determinato istante (sistole ventricolare). Questo aumento
viene accompagnato da un forte aumento di pressione.
A questo punto abbiamo anche qui un’indicazione di
compliance. Quindi anche nelle arterie possiamo
considerare questa caratteristica, anche se in realtà è una
caratteristica legata all’elasticità e non ad una vera
distensibilità del vaso.
Questa camera d’aria all’interno del sistema artero-venoso
è generata dalla caratteristica elastica delle pareti arteriose,
ed è proprio questa elasticità che permette al ciclo cardiaco
di generare un flusso che ha una pressione particolarmente
alta (parliamo di 120 mmHg ogni volta che il sangue viene
fatto fuoriuscire dal ventricolo sinistro) e questa pressione
non va a ridursi improvvisamente come succede
all’interno del ventricolo.

Dopo la sistole, con successiva espulsione di 75-80 ml di sangue ad una pressione di circa 120 mmHg,
la valvola aortica si chiude. In realtà non c’è ritorno di sangue all’interno del ventricolo e la pressione
di quest’ultimo crolla improvvisamente perché non c’è più la possibilità di spingere il sangue verso
l’esterno. La parete del ventricolo si rilassa e la pressione cade improvvisamente. Questo non succede
nell’aorta perché la valvola è chiusa. La quantità di sangue che è all’interno dell’aorta (quindi con
una grande variazione di volume e pressione), e la caratteristica compliance funge da camera d’aria
che permette di far scendere la pressione anche se in modo molto più lento rispetto a quello che
succede a livello ventricolare. Questa forza che si genera permette quindi la spinta del sangue
all’interno dei vasi fino a quelli più periferici grazie alla compliance, e questo permette di mantenere
la circolazione continua. Questo modello prende il nome di Windkessel.

IL SISTEMA VENOSO

Parlando invece di vene sappiamo già che


quest’ultime contengono una percentuale
di struttura elastica ridotta rispetto a
quella arteriosa e hanno al loro interno
una serie di valvole che permettono il
mantenimento del sangue in una stessa
direzione. Non è permesso quindi un
ritorno di sangue dalla vena al capillare.
La quantità di sangue che si ferma varia
in base alla pressione del sangue che
scorre nelle vene stesse, e quindi
necessariamente ad un volume di sangue
presente all’interno, e alla differenza di
pressione tra l’interno e l’esterno della
parete dei vasi.

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Le vene però possono incorrere in fenomeni di collasso. Pensiamo alle vene che partono dal cuore e
vanno verso la testa: se non c’è una quantità di sangue che viene sospinta con una particolare forza e
pressione può succedere che la pressione transmurale sia negativa, e quindi il vaso può semplicemente
collassare tra una sistole e l’altra. Il sangue viene spinto fuori dal ventricolo, fa il giro arterioso, arriva
a livello della vena e una volta che viene riportato a livello atriale nella fase della diastole la pressione
diminuisce, la forza gravitazionale risulta essere più forte rispetto alla pressione venosa, e quindi la
vena si chiude (ovviamente parliamo di vene molto piccole, molto periferiche).
Il vaso potrà riaprirsi lentamente fino al momento in cui si avrà una forte quantità di sangue all’interno
e una forte pressione che mantiene aperto il vaso e permette il passaggio del sangue verso l’atrio.
La pressione all’interno delle vene non è una pressione attiva, mentre nelle arterie c’è la spinta del
sangue diretto dal nostro cuore. La pressione arteriosa si mantiene costante anche se il soggetto è
sdraiato perché tutto dipende solamente dalla forza generata dalla contrazione cardiaca, mentre nel
caso della pressione venosa la variazione è particolarmente intensa rispetto a quella arteriosa. Si
riduce moltissimo proprio perché è un ritorno passivo.
In alcuni casi la pressione transmurale può essere anche negativa e implica la chiusura del vaso.
A livello delle caviglie o dei polpacci ovviamente la pressione aumenta molto all’interno delle vene,
si crea una situazione di ortostatismo causata dalla gravità e quindi la differenza tra pressione interna
ed esterna assume un valore abbastanza rilevante.

PRESSIONE VENOSA CENTRALE

La misurazione della pressione venosa è molto invasiva e complicata, inoltre bisogna inserire un
catetere a livello atriale, il che non rappresenta una situazione facile e piacevole. Questa pressione
che si aggira intorno a circa 0,5 mmHg quando il flusso sanguigno è praticamente a metà (quindi
quasi la metà del sangue circolante è presente a livello venoso). Quella pressione misurata a livello
di atrio destro rappresenta la pressione venosa centrale.

La pressione venosa centrale è tutta generata da quella che è la forza gravitazionale. Bisogna tenere
conto anche che le vene non sono in grado di contrarsi automaticamente; infatti, il sistema nervoso
parasimpatico e simpatico controlla la contrazione del vaso. In realtà quello che succede è più un

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flusso passivo generato dalla contrazione dei muscoli scheletrici, per cui mentre si cammina si
contraggono i muscoli della gamba e questo permette di spingere il sangue all’interno delle vene nella
giusta direzione con l’aiuto delle valvole che non permettono il reflusso del sangue.
Questo succede anche durante la respirazione dove si vanno modificare le pressioni a livello toracico
che sono in grado di andare a sospingere il sangue presente all’interno delle vene in modo alternato.
Può succedere che soggetti che si trovano in una situazione in cui il fisico è completamente immobile
per diverso tempo rischino il collasso o lo svenimento perché il sangue si accumula a livello degli arti
inferiori, non viene sospinto dalla contrazione muscolare e la pressione venosa della parte superiore
del cuore fino alla testa andrà a perdere di importanza. Si ha quindi una riduzione di quantità di sangue
presente nelle strutture superiori che aumenta invece a livello degli arti inferiori.

SISTEMA LINFATICO

Il sistema linfatico è un sistema in cui sono presenti una serie di vasi di dimensioni variabili, così
come succede per il sistema vascolare, ed è presente in tutto il nostro organismo. Ci sono dei vasi
periferici che sono una sorta di capillare linfatico che vanno via via unendosi per dar vita a quelli che
sono i vasi collettori, i quali poi arrivano a quelli che sono i tronchi linfatici che andranno a sfociare
nei dotti. Questi vasi servono per recuperare il liquido interstiziale che si sviluppa dalla filtrazione a
livello di capillari periferici (il sangue deve uscire dai capillari per permettere il passaggio di ossigeno
e sostanze nutritive a tutti i tessuti periferici).
A volte può esserci una quantità maggiore di sangue all’interno del sistema venoso e arterioso che
crea un aumento di quello che è il liquido interstiziale, a quel punto il sistema linfatico agisce e il
liquido viene filtrato all’interno di quelli che sono tutti i vasi linfatici e poi ritrasportato a livello dei
dotti toracici che poi sboccano all’interno delle vene presenti a livello toracico.
Anche in questo caso così come nelle strutture venose, il sistema linfatico presenta delle valvole
interne che impediscono il reflusso della linfa dal centro verso la periferia. I vasi non possono avere
una contrazione autonoma, ma sono normalmente contratti dal movimento generato dalla respirazione
e dai muscoli scheletrici, e solo quando la struttura dei vasi linfatici è ripiena di un certo volume di
linfa si attiva una circolazione attiva e quindi una contrazione di quello che è il vaso linfatico. È
presente uno strato sottilissimo di muscolatura liscia nella parete dei vasi che contraendosi va a

279
formare delle strutture che prendono il nome di linfoangiomi, la cui contrazione viene controllata da
quelli che sono il sistema simpatico e parasimpatico. Anche in questo caso i vasi linfatici come arterie
e vene vanno incontro ad una sorta di rigidità nell’invecchiamento e proprio per questo è più probabile
trovare situazioni di edema o di ristagno di liquidi in persone di una certa età soprattutto a livello
degli arti inferiori.

RIPASSO DELL’EMODINAMICA
1. La portata complessiva del flusso di sangue nelle arterie è uguale a quella nel segmento
vascolare delle arteriole?
a) Vero
b) Falso
Risposta corretta A. La portata complessiva del flusso quindi la quantità di sangue presente a livello
delle arterie è uguale a quello delle arteriole, sì non c’è differenza ci troviamo in un circolo chiuso
per questo la quantità di sangue nel sistema è lo stesso. La portata complessiva è sempre la stessa in
tutte le porzioni del sistema vascolare.
2. La pressione del sangue nella vena cava inferiore è:
a. Uguale a quella nell’arteria brachiale
b. Maggiore di quella nell’arteria brachiale
c. Minore di quella nell’arteria brachiale
Risposta corretta C. È minore perché si parla di vena e di arteria, la pressione di un vaso venoso è
minore di un vaso arterioso perché non c’è la spinta a livello del cuore, nei vasi venosi è una
pressione “passiva”.
3. La resistenza al flusso di sangue del circolo sistemico è localizzata principalmente a livello
delle grandi arterie?
a) Vero
b) Falso
Risposta corretta B. Perché la massima resistenza al flusso viene generata dalle arteriole.
4. In condizioni di moto laminare la velocità del flusso è
a) Minima al centro del condotto
b) Massima al centro del condotto
c) Identica in tutto il diametro del condotto
Risposta corretta B. La curva della velocità è una “campana” in cui la parte centrale è quella che ha
una velocità maggiore.
5. Se il raggio di un condotto dimezza, la resistenza al flusso laminare nel condotto aumenta di
sedici volte.
a) Vero
b) Falso
Risposta corretta A. Ricordare la formula della resistenza ricavata dalla legge di Poiseuille. Il raggio
è elevato alla quarta potenza ed è al denominatore, andando a invertire otteniamo un 2 alla 4 che è
uguale a 16. Quindi la resistenza mantenuta costante negli altri termini della formula aumenta di 16
volte.

280
6. La viscosità apparente del sangue è
a) Maggiore nel microcircolo rispetto all’aorta
b) La stessa nel microcircolo e nell’aorta
c) Minore nel microcircolo rispetto all’aorta
Risposta corretta C. È minore perché nel microcircolo la viscosità si riduce tantissimo perché il
nostro sangue è una lamina unica in cui c’è una singola linea di globuli rossi rispetto all’aorta dove
ci sono molti più globuli rossi è una viscosità apparente (la viscosità del sangue non cambia),
generata dalla dimensione del vaso in cui circola il sangue.
7. La resistenza al flusso di sangue aumenta linearmente con la lunghezza del condotto
a) Vero
b) Falso
Risposta corretta A. Nella formula della resistenza la lunghezza del vaso è direttamente
proporzionale al nostro vaso.
8. La resistenza al flusso di sangue opposta da due vasi in serie è
a) Pari al prodotto delle resistenze opposte dai singoli vasi
b) Pari alla somma delle resistenze opposte dai singoli vasi
c) Pari all’inverso delle resistenze opposte dai singoli vasi
Risposta corretta B. La resistenza di un sistema in cui i vasi sono in serie è data dalla somma delle
resistenze dei vari vasi; invece, la resistenza in cui i vasi sono in parallelo è data dalla somma
dell’inverso delle singole resistenze. Quindi la resistenza totale di un sistema di resistenze in
parallelo sarà sempre minore rispetto alla resistenza di ogni singolo vaso rispetto invece alla
resistenza in serie.
9. Il moto del sangue nei vasi capillari è generalmente laminare
a) Vero
b) Falso
Risposta corretta A. La laminarità dipende dal numero di Reynolds, che è legato alla dimensione
dove il nostro fluido circola, nei vasi piccoli generare un moto turbolento è impossibile perché il
numero di Reynolds non può diventare molto grande per le caratteristiche del vaso stesso.

10. La velocità del sangue nei vasi capillari è:


a) Minore di quella nelle arteriole
b) Maggiore di quella delle arteriole
c) Uguale a quella nelle arteriole
Risposta corretta A. perché la velocità è rappresentata dal flusso rispetto all’area del vaso, con
l’area del vaso si intende l’area totale dei vasi capillari ed essendo molto grande il valore dell’area
la velocità va riducendosi rispetto a quella delle arteriole.

IL SISTEMA RESPIRATORIO
Abbiamo parlato finora di flusso di fluidi all’interno del nostro organismo ma in realtà esiste anche
flusso di gas generato da quella che è la respirazione. L’aria entra nel nostro organismo attraverso le
vie aeree superiori, viene modificata a livello delle vie aeree inferiori attraverso gli scambi generati

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dal passaggio di ossigeno e anidride carbonica, quest’aria modificata viene espulsa a livello di
quelle che sono le vie aeree superiori per liberarci dei materiali di scarto, anidride carbonica.
Questa respirazione avviene a livello del sistema respiratorio che è formato da una parte
macroscopica generata dalle vie aeree superiore, una parte che si mantiene di una certa dimensione
detta delle vie aeree inferiori e una parte microscopica rappresentata dagli alveoli che sono la parte
terminale del sistema di scambio.
La funzionalità del nostro sistema è quella di permettere lo scambio di gas che sono ossigeno e
anidride carbonica, che vengono scambiati a livello capillari avvolti alle pareti degli alveoli. Lo
scambio avviene perché questi gas seguono un certo gradiente di pressione e quindi avranno una
direzione rispetto ad un'altra per il loro gradiente di pressione. Ovviamente questo sistema è
strettamente connesso con il sistema circolatorio perché permette di caricare il sangue arterioso di
ossigeno mentre il sangue venoso scarica l’anidride carbonica. Questo sistema ci permette di
sviluppare una serie di funzioni che sono:
1. Ventilazione polmonare: è necessario che ci sia
un meccanismo che permetta all’aria di entrare
all’interno del nostro corpo. Dalla ventilazione
polmonare l’aria arriva agli alveoli che sono la
parte terminale del nostro sistema respiratorio;
2. Diffusione alveoli-sangue: a livello degli alveoli
si ha lo scambio tra la struttura aerea, lo spazio
all’interno dell’alveolo e il sangue;
3. Trasporto di O2 e CO2: dopo la diffusione i gas
vengono trasportati dal sangue nelle diverse
componenti del nostro organismo;
4. Scambio dei gas tra sangue e cellule: scambio a
livello dei tessuti di ossigeno e anidride
carbonica.
Nel sistema respiratorio vi è una grande componente rappresentata dalle vie di conduzione del gas e
una piccola componente strutturale in cui si ha il vero e proprio scambio.
Le vie sono suddivise in vie aeree superiori e vie aeree inferiori, nelle prime si ha semplicemente il
passaggio dell’aria che viene fatta entrare attraverso naso e bocca, che vanno a condizionare l’aria,
la scaldano, la umidificano e la privano di componenti che potrebbero essere dannosi, come ad
esempio batteri e polveri. Questa funzionalità è attribuita in particolare al naso, che è il primo
elemento in cui l’aria entra in seguito a inspirazione e qui viene scaldata nelle coane, portando la
temperatura a 35 gradi per evitare shock termici e viene ripulita grazie alla presenza sulla mucosa di
una serie di flagelli che trattengono le particelle più grossolane che entrano con l’aria durante la
respirazione.
Questo è possibile grazie a cellule secretrici presenti sulla mucosa che secernono muco, sostanza
gelatinosa che ricopre le ciglia dell’epitelio nasale, permette di inglobare quelle che sono le strutture
esterne più grandi e trattenerle a livello delle ciglia per evitare che vengano introdotte a livello degli
alveoli. L’aria viene anche umidificata grazie all’alta percentuale di umidità presente in questa
zona. Vedremo come l’aria che passa all’interno di quelle che sono le vie aeree inferiori è una
miscela di gas e acqua rappresentata da questa umidità.

282
Dal naso l’aria passa attraverso la faringe posteriore, la laringe e poi nelle via aeree inferiori. Tra
faringe e laringe l’aria semplicemente passa e arriva nella trachea, passa poi per i bronchi,
bronchioli che si rimpiccioliscono di diametro approfondandosi a livello del polmone. L’ultima
parte è rappresentata dagli alveoli e la parte terminale dei bronchioli che sono l’unica parte in cui si
può avere lo scambio di gas. Fino ai 2/3 dei bronchioli sono utilizzati esclusivamente per il
passaggio dell’aria, non ci sono scambi, tutta l’aria che è presente dove non avvengono scambi
prende il nome di spazio morto anatomico, ci sono dei condotti più o meno rigidi in cui l’aria entra
e viene trasportata dal naso agli alveoli. La struttura polmonare è una struttura rigida, che non
collassa, ci sono i due bronchi principali che si dividono in bronchi secondari e bronchi che si
dividono diventando sempre più piccoli in modo dicotomico (ogni volta c’è una divisione in due
branche).
Si va via via ad aumentare l’area delle strutture di conduzione perché si rimpicciolisce come
struttura singola ma come per i vasi sanguigni quella che interessa è l’area trasversale totale che
nelle strutture più profonde è molto più grande rispetto a quella che potremmo avere a livello della
trachea. Esattamente come per l’emodinamica si riprenderanno le stesse equazioni viste per il
sangue, ciò che regola il flusso di sangue è lo stesso meccanismo che regola il flusso di aria nelle
vie aeree, la differenza è che nelle vie aeree il circuito è aperto scambiando gas con l’esterno,
invece che mantenere il circuito chiuso come a livello vascolare.
Dopo lo spazio morto anatomico c’è la struttura vera e propria dello scambio, bronchioli terminali e
alveoli.
Gli alveoli che non sono in grado di permettere lo scambio gassoso ma in cui entra aria prendono il
nome di spazio morto fisiologico. L’aria arriva ma funzionalmente non sono attivi nello scambio,
può avvenire se viene a mancare il surfactante, liquido che ricopre gli alveoli, che di conseguenza
diminuiscono il loro diametro e non sono in grado di permettere lo scambio gassoso.
Immagine al microscopio
elettronico di una porzione
terminale delle vie aeree inferiori
dove sono rappresentati gli
alveoli, sacchettini con
dimensioni diverse mantenuti
pervi grazie al surfactante che ne
ricopre la parete interna. L’area
trasversale di tutti gli alveoli è
enorme, è più o meno la stessa
area di un campo di calcio. L’area
trasversa andrà ad influire su
quelle che sono le velocità i flussi
e le resistenze del flusso del gas
all’interno di queste strutture.

Ventilazione polmonare
La ventilazione è il primo meccanismo che ci permette di far entrare gas all’interno del sistema
respiratorio grazie alla funzionalità di una serie di muscoli inspiratori. È rappresentata da due
eventi: l’inspirazione e l’espirazione. L’inspirazione è l’evento attivo generato dalla contrazione dei

283
muscoli inspiratori mentre l’espirazione è un evento passivo, si ha semplicemente un ritorno
elastico delle strutture al suo volume iniziale.
Parlando di gas, si ricorda la legge di Boyle, in cui parlando di gas in una struttura chiusa,
contenuta, il prodotto della pressione e del volume di un determinato gas devono essere mantenuti
costanti. Proprio per questo in fase di inspirazione ed espirazione andranno a modificarsi quelli che
sono i volumi di aria che entrano nel sistema respiratorio e le pressioni che si generano al suo
interno. In inspirazione entra aria all’interno e il volume aumenta e per mantenere il prodotto tra
pressione e volume costante la pressione deve diminuire, la struttura permette un aumento ulteriore
di aria nelle strutture polmonari. In espirazione il volume di gas si riduce all’interno della struttura
polmonare, riducendosi il volume per mantenere il prodotto tra volume e pressione costante la
pressione deve necessariamente aumentare.
In inspirazione la pressione è molto bassa, a livello toracico si ha una pressione negativa, siamo in
grado di permettere un ingresso di un certo volume di aria. In espirazione succede il contrario: si
riduce il volume e aumenta quella che è la pressione. Questo si ripete nel tempo, in quanto la
respirazione è un evento ritmico legato alla ritmicità cardiaca perché vi è bisogno di mantenere una
certa quantità di ossigeno per mantenere il ciclo cardiaco nella sua funzione base che è quella di
permettere il passaggio dell’ossigeno in tutte le strutture periferiche. Non vi è la stessa frequenza
respiratoria e cardiaca ma sono mantenute dalle stesse strutture centrali tronco encefaliche che
portano a una frequenza mantenuta nel tempo di 12-15 atti respiratori per minuto e 70 battiti al
minuto, un rapporto di 1 a 4 che ci permette di mantenere costante la quantità di ossigeno nel nostro
organismo.
In ispirazione de espirazione ci sono dei flussi di gas con una velocità e una certa pressione, inoltre
bisogna sapere che questa sequenza ritmica genera un flusso di gas che entra all’interno del nostro
sistema respiratorio e ne esce verso l’esterno. Questo flusso dovrà seguire delle regole, che
coincidono con quelle menzionate parlando del sangue, per cui si può parlare di velocità di un gas
quando consideriamo lo spostamento di una componente del nostro gas da un punto ad un altro
nell’unità di tempo. Possiamo valutare il flusso all’interno di un condotto valutando lo spostamento
di una massa di gas nel condotto misurata in volume su tempo. Anche nei condotti aerei possiamo
valutare una velocità del flusso, una relazione tra questa velocità e il flusso che in un sistema
perfetto segue quello che è il principio di conservazione di massa per cui la velocità del flusso di
gas che entra o esce in questi dotti sarà uguale al rapporto tra il flusso e l’area del nostro condotto.
Area che può essere l’area di un singolo bronchiolo rispetto alla trachea ma in genere si parla di
un’area totale, trasversale a tutte le strutture identiche.

284
Qui è riportata la legge di Poiseuille
che vale anche per i gas.
L’aria che entra nelle vie aere segue
questa legge per valutare il flusso
dell’aria entrante. La viscosità può
essere considerata nulla in quanto si
parla di aria.
Si potrà modificare ad esempio la
viscosità nel naso che presenta una
concentrazione di umidità minore
rispetto a quella degli alveoli quindi
la consistenza di quei gas si
modifica, ma così tanto da poter
valutare questo parametro. Rispetto
al sangue ciò che cambia è che i
condotti aerei non hanno una grandissima elasticità, ad esempio la trachea è condotto rigido
ricoperto da cartilagine ed il raggio rimane identico, cosa che non avviene nei vasi sanguigni.

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Fisiologia, lezione
1/12/2021
Prof. Guidi
Sbobinatori: Minestrini, Minguzzi
Revisore: Viviani

Nella scorsa lezione si è parlato di velocità del gas all’interno del condotto rappresentato dalle vie
aeree. La differenza fra le vie aeree e il sistema vascolare nella valutazione di tutte queste relazioni,
che ci permettono di identificare la grandezza della resistenza o la portata dei nostri condotti, è
rappresentata dalla lunghezza dei condotti.

Nelle vie aeree le lunghezze dei condotti sono limitate e finite, infatti la distanza che il gas deve
percorrere va dalla trachea agli alveoli. Invece nel sistema vascolare la lunghezza del percorso è molto
più grande rispetto a quella del sistema respiratorio e oltretutto ci possono essere delle vie di flusso
diverse a seconda di dove il sangue va a dirigersi (vasi diversi con diametri diversi).

Le leggi che regolano i flussi del sistema aereo sono esattamente le stesse dei
fluidi, in particolar modo torna la legge di Poiseuille con la quale siamo in
grado di valutare la resistenza del flusso all’interno del condotto. Il flusso di
gas (Q) all’interno del condotto è rappresentato dalla variazione della pressione
(ΔP) rispetto alla resistenza (R). Per variazione di pressione intendiamo la
differenza fra la pressione in ingresso della via aerea e quella della parte terminale del nostro sistema
respiratorio.
La resistenza è calcolabile mettendo in relazione la viscosità, la lunghezza dei condotti e la quarta
potenza del raggio. Il raggio è un fattore molto determinante nell’aumento o nella diminuzione di
resistenza del flusso all’interno dei condotti: se il raggio è grande la resistenza è ridotta, mentre se il
raggio è piccolo la resistenza è grande.

Quando si parla di vie aeree, nelle quali le ramificazioni sono piuttosto importanti, il raggio si riferisce
all’area trasversale totale, per cui si avrà una resistenza che nei condotti particolarmente piccoli(con
raggio piccolo) risulta particolarmente piccola perché la somma delle varie aree che formano i
condotti dei bronchioli creano un’unica area piuttosto grande (andando a sommare tutte le parti
dicotomiche delle strutture finali). Per cui la resistenza delle strutture piccole diventa molto piccola
e quindi il gas è in grado di passare in modo assolutamente non forzato nei condotti.

Ciò che varia è la velocità, che essendo inversamente proporzionale all’area del
condotto (A) ci si aspetta che in un condotto grande, come la trachea, la velocità del
gas sia diversa da quella nei bronchioli. Nei bronchioli la velocità, considerando che si ha un’area
trasversale molto grande, sarà molto piccola.
Questo abbassamento di velocità, come quello che avviene al sangue all’interno dei capillari, è
funzionale per permettere lo scambio dei gas; se il gas fluisse a una velocità troppo alta nelle strutture
scambiatrici (come la parte terminale del bronchiolo e gli alveoli) sarebbe molto più difficile
permettere lo scambio di O2 dall’aria all’interno del sangue che avvolge gli alveoli e il conseguente
passaggio della CO2.

Quindi il basso flusso (Q), la bassa resistenza (R) e la bassa velocità (v) permettono a queste strutture
terminali di dar modo al gas di poter svolgere lo scambio.

286
Nell’immagine vediamo le
suddivisioni delle vie aeree: le 23
ramificazioni che si sviluppano
all’interno del sistema di trasporto
del gas nelle vie aeree. La
ramificazione zero è rappresentata
dalla trachea, dopodiché si
ramificano in modo dicotomico
tutte le diverse porzioni dell’albero
respiratorio. Come si vede in
tabella la sezione trasversale totale
della trachea è di 2,54 cm2,
rappresenta un tubo non
particolarmente grande se
paragonata all’ultima porzione
dell’albero respiratorio, i sacchi
alveolari, dove l’area totale è di 10 mila cm2.
Quell’area trasversa quindi a primo impatto può sembrare piccola ma in realtà è distesissima e ci
permette di abbassare tutte quelle che sono le caratteristiche del flusso del gas all’interno di queste
strutture. Si può osservare infatti, nel grafico a destra la resistenza:
- nelle prime vie, il gas passa semplicemente senza scambio,
permettendo un aumento della resistenza; il che è funzionale
rispetto all’aumento della temperatura dello stesso.
Essendoci più resistenza il gas fa più fatica a fluire nei
condotti; la membrana che ricopre i condotti è irrorata
abbondantemente di sangue e quindi questa resistenza che si
crea all’interno del condotto permette al gas di essere adeso
a quella che è la parete del condotto stesso aumentando la
temperatura per evitare shock termici.
- nelle porzioni terminali la resistenza decade con l’aumento di quella che è l’area totale trasversa
dell’albero respiratorio.
Nelle prime 7-8 ramificazioni si sviluppa quello che è l’80% totale della resistenza al flusso del gas;
quindi, tutta la resistenza che si può sviluppare nel nostro albero respiratorio è concentrata nelle prime
ramificazioni. Questo, come si è visto anche nelle strutture vascolari, è determinato anche dal fatto
che nelle ultime porzioni del ramo respiratorio per il calcolo della resistenza si prevede un calcolo in
parallelo e visto che le porzioni terminali sono numerose questo calcolo permette di generare una
resistenza che via via si va riducendo. Invece, la resistenza dei sistemi in serie è la somma delle
diverse resistenze delle varie componenti, generando una resistenza maggiore rispetto alle singole
resistenze. Nel calcolo della resistenza in
parallelo sommando l’inverso delle
resistenze totali che formano il circuito si
ottiene una resistenza inferiore rispetto a
quella della struttura in serie.
Ci sono degli eventi che possono andare ad
aumentare la resistenza, elementi che sono rappresentati da disturbi all’interno delle strutture
respiratorie:
-durante un raffreddore nel quale il nostro sistema respiratorio viene compromesso da virus o batteri
il sistema respiratorio risponde oltre che con l’infiammazione, con la produzione di muco. Il muco è
una sostanza viscosa che ricopre quelle che sono le strutture nasali, ma quando c’è una produzione
molto importante di muco la si ritrova anche nelle vie respiratorie più profonde. La presenza di muco
all’interno delle vie respiratorie, che rende la parete molto più viscosa, va a ridurre quello che è il

287
diametro del sistema aumentando la resistenza al flusso del gas che entra all’interno dei condotti.
-l’inalazione di sostanze irritanti, come il fumo e le polveri, creano delle risposte sensoriali
producendo sostanze all’interno degli epiteli che ricoprono i sistemi di conduzione del sistema
respiratorio che generano molto spesso la contrazione dei muscoli lisci all’esterno delle pareti dei
condotti. In questi casi non si parla di vie aeree superiori: la trachea non si piò contrarre perché per
quanto ci sia tessuto muscolare non riuscirà a sovrastare la resistenza della cartilagine. Nelle strutture
più profonde, non essendoci strutture rigide, i muscoli lisci possono essere contratti da sostanze
irritanti andando a ridurre il diametro delle vie aeree.
-la presenza di asma bronchiale, che è una patologia delle vie aeree generata da risposte allergiche
o da un aumento della frequenza respiratoria. Quest’asma determina broncocostrizione a causa
dell’attivazione del sistema parasimpatico, il quale risponde anche a quelle che sono le variazioni di
pressione. Una frequenza respiratoria particolarmente alta altera il rapporto fra le concentrazioni di
CO2 e O2 all’interno del sangue circolante.
Alcuni recettori sono in grado di verificare la presenza e le
concentrazioni di O2 e CO2 e creano delle risposte a queste
variazioni, le quali sono risposte simpatiche o parasimpatiche perciò
gestite dal sistema autonomo. Questa gestione dei recettori può
generare broncocostrizione (oppure broncodilatazione anche se è più
facile che venga attivata la funzione della broncocostrizione), che va
a ridurre i raggi dei condotti tramite una contrazione dei muscoli involontari e crea un aumento
importante della resistenza del flusso.
A lungo andare questa patologia deve essere trattata farmacologicamente per non andare a ridurre la
concentrazione di ossigeno all’interno del sangue e per non aumentare notevolmente la
concentrazione di anidride carbonica, quest’ultima è alla base delle modificazioni del pH all’interno
dell’ organismo (l’anidride carbonica per effetto dell’anidrasi carbonica si idrata trasformandosi in
acido carbonico che si dissocia liberando ione H+, il quale va a modificare il pH). L’asma bronchiale
va tenuta sotto controllo sia per reazione allergica sia per attività sportiva intensa; l’unica trattazione
è variare la risposta della contrazione muscolare: lo si può fare usando dei farmaci come gli agonisti
dei recettori β, i quali limitano la costrizione marcata nel tempo e quindi rilassano le strutture
bronchiali fino a un ritorno del flusso del gas nella norma. Nella contrazione da asma bronchiale
complementarmente può aumentare anche la presenza di muco, che va ridurre ulteriormente il
diametro delle vie aeree.

Anche nelle vie aeree il flusso può essere laminare o turbolento e può essere misurato in base alla
variazione attraverso il numero di Reynolds, come si è visto per il sistema cardiovascolare.
In situazioni patologiche, come in asma bronchiale, a causa della riduzione dei diametri dei vasi ( e
conseguente aumento delle resistenza) nelle posizioni più profonde del sistema respiratorio si crea
un movimento turbolento dei gas, in un paziente in questa condizione ascoltando il respiro si possono
apprezzare dei fischi, che si generano dal passaggio del flusso da laminare (all’interno dei condotti
non vaso-costretti) a turbolento. Normalmente il flusso nelle parti profonde dell’albero respiratorio
è laminare, mentre nella parte respiratoria superiore (naso, faringe laringe e poi nella trachea si riduce)
l’ingresso di aria crea un flusso turbolento, la turbolenza è dovuta alle coane che vanno a disturbare
il flusso laminare dell’aria che entra. La presenza delle coane serve per aumentare la temperatura del
gas entrante.

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Domande:

1)Il trasporto passivo è direttamente proporzionale alla temperatura?

VERO. Perché il trasporto passivo è casuale e aumentando la temperatura si aumenta l’energia e


il movimento confuso. Maggiore è il movimento, maggiore è la possibilità che gli ioni penetrino nella
membrana

2) Il volume del LEC (liquido extra cellulare) è minore di quello del LIC (liquido intra cellulare)?

VERO. Il liquido intracellulare è molto di più di quello extracellulare.

3) L’entità del flusso mediato da carrier non dipende dal numero di carrier presenti nella membrana?

FALSO. E’ il numero dei carrier che aumenta la quantità di flusso. Più carrier ci sono e più proteine
possono essere trasportate.

4) Le proteine plasmatiche si muovono facilmente attraverso le fenestrature delle pareti dei capillari?

FALSO. Si è parlato infatti di pressione osmotica e oncotica, le proteine non passano dai capillari.
Aumentando la pressione oncotica si andrà a gestire la filtrazione o meno di queste strutture.

5) Il potenziale di riposo si calcola sommando il potenziale di equilibrio dei vari ioni diffusibili?

FALSO. Il potenziale di equilibrio non è una somma dei potenziali di riposo, perché dipende anche
dalla quantità degli ioni presenti all’interno e all’estero del comparto. Il potenziale della membrana
di un neurone a riposo è di -70mV e questa non è la somma del potenziale di equilibrio del sodio e
del potassio.

6) I canali voltaggio-dipendenti del sodio sono permeabili anche al potassio?

FALSO. I canali voltaggio dipendente sono specifici: permettono il passaggio di un solo ione e
l’apertura è catalizzata da una modificazione del voltaggio della membrana. Quindi, ad esempio, il
canale voltaggio dipendente del potassio non renderà possibile il passaggio del sodio.

7) La conduzione del potenziale d’azione non può avvenire quando il sodio extra cellulare viene
sostituito con il potassio?

VERO. I canali per il sodio voltaggio dipendenti permettono il passaggio sodio e quindi la genesi
del potenziale d’azione. Se al posto del sodio ci fosse il potassio questo potenziale non si potrebbe
attivare.

8) Gli assoni mielinici possono avere costante di spazio pari a 1-2 centimetri?

FALSO. Il trasporto degli assoni mielici è molto elevato. Il variare della costante di spazio influisce
sul potenziale: più è grande la costante e più passa il segnale. Nel caso dell’assone mielinico non è
così, perché il passaggio non è legato alla costante di spazio, ma è un passaggio forzato da quella
che è la distanza fra i nodi di Ranvier. Infatti, negli assoni mielinici la presenza dei nodi di RANVIER
fa si che non sia necessaria una grande costante di spazio. Invece in un assone amielinico una
costante di spazio alta ci aiuta (anche se non sarà mai 2 cm).

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9) Nella sinapsi chimica la liberazione del neurotrasmettitore presinaptico consegue all’arrivo del
potenziale d’azione?

VERO. Serve infatti un potenziale d’azione che arriva al terminale presinaptico per permettere
l’ingresso di calcio, il quale permetterà la liberazione del neurotrasmettitore. Nel caso in cui non
arrivasse un potenziale d’azione è impossibile che venga liberato un neurotrasmettitore.

10) Sommazione temporale: l’effetto postsinaptico risulta dalla stimolazione ripetuta dello stesso
terminale presinaptico (che insiste su quello postsinaptico)?

VERO. Si è parlato di sommazione temporale anche all’interno della stessa cellula e quindi la
sommazione temporale all’interno della stessa cellula è generata da una serie di impulsi che si
sviluppano in tempistiche differenti, ma una molto ravvicinata all’altro.

11) I recettori metabotropi si definiscono tali perché contengono canali per gli ioni sodio e potassio.

FALSO - I recettori metabotropi, distintamente dai recettori ionotropici, si definiscono tali perché
una volta legato il ligando avviano una serie di reazioni a cascata intracellulari mediata da secondo
messaggero.

12) La colina e l’acetato, dopo scissione ad opera dell’acetilcolinesterasi, diffondono nella membrana
postsinaptica.

FALSO - Vengono in realtà recuperati dalla cellula presinaptica che riutilizzerà poi le sostanze per
formare acetilcolina.

13) In un recettore sensoriale la trasduzione dello stimolo può avvenire tramite secondi messaggeri.

VERO – Per esempio ciò avviene nei recettori chimici, che sono recettori metabotropici nei quali si
attiva la via di un secondo messaggero.

14) Il potenziale generatore di un recettore sensoriale è condotto elettrotonicamente.

VERO – Il potenziale generatore non sempre crea un potenziale d’azione, perché è un potenziale
graduato, cioè un potenziale che viene trasportato in maniera elettrotonica fino alla porzione della
cellula in cui sarà in grado di attivare un potenziale d’azione (che è la zona in cui devono essere
presenti dei canali voltaggio-dipendenti). Quindi il nostro recettore sensoriale apre il canale a
seguito di uno stimolo, entrano ioni, si genera un potenziale generatore che scorre lungo la
membrana fino alla zona in cui sono presenti i canali sodio voltaggio-dipendenti. Se la variazione di
potenziale generata dal potenziale generatore attiva una quantità sufficiente di questi canali, si
genererà un potenziale d’azione perché è stata superata la soglia. In sintesi, il potenziale generatore
viene condotto in maniera elettrotonica perché è un potenziale graduato e non un potenziale tutto o
nulla come il potenziale d’azione.

15) L’ampiezza di potenziale di un recettore sensoriale dipende dall’intensità dello stimolo adeguato
che lo ha colpito.

VERO – Lo stimolo adeguato è quello stimolo in grado di attivare il nostro recettore, anche se non
è detto che si generi per forza un potenziale d’azione. Quindi se l’intensità del nostro stimolo
adeguato non è sufficiente a superare la soglia non si creerà un potenziale d’azione. L’aumento

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dell’intensità dello stimolo genera l’apertura di un numero maggiore di canali, che determina a sua
volta un’ampiezza più grande del nostro potenziale.

16) Il campo recettivo di una fibra afferente sensoriale è sempre omogeneo.

FALSO – Dipende anche da come è costituito questo campo recettivo. Potrebbe essere un campo
recettivo particolarmente grande per cui non tutte le stimolazioni che vengono generate in quel
campo recettivo creano una risposta; oppure ad esempio una fibra sensoriale è anche una fibra
ottica, nel cui campo recettivo ci sono porzioni on e porzioni off. Omogeneo significa che risponde
allo stesso modo a tutta la stimolazione che viene svolta sullo stesso campo recettivo, quindi si genera
sempre la stessa risposta, e ad esempio nei campi recettivi visivi ciò non accade.

17) I recettori uditivi sono costituiti dai neuroni del ganglio spirale che innervano le cellule cigliate
dell’Organo del Corti.

FALSO – I recettori sono le cellule cigliate, con il chinociglio che spostandosi permette l’attivazione
di un potenziale d’azione, non le cellule del ganglio spirale, che sono i neuroni sensitivi primari che
recuperano l’informazione e la trasportano altrove.

18) I bastoncelli sono più numerosi dei coni nelle porzioni di retina al di fuori della fovea.

VERO – Nella fovea la maggior concentrazione di recettori è rappresentata dai coni, invece nelle
parti più periferiche si distribuiscono maggiormente i bastoncelli.

19) Le fibre afferenti di tipo A-delta sono responsabili del dolore lento.

FALSO – Le fibre A-delta sono quelle mielinizzate che trasportano il dolore veloce, mentre le fibre
C sono quelle non mieliniche che trasportano il dolore lento.

20) Un singolo potenziale d’azione è sufficiente a generare una scossa semplice nella fibra striata.

VERO – La scossa semplice è una singola contrazione e può essere generata anche da una singola
scarica di potenziale d’azione. Tutte le volte che arriva un potenziale d’azione nella nostra fibra
striata si crea una contrazione, che può essere una contrazione semplice o scossa semplice, oppure
reclutando altre fibre si può andare incontro a quello che è il tetano, che può essere completo o
incompleto.

21) L’ingresso di calcio extracellulare è necessario per innescare la contrazione nel muscolo
scheletrico.

FALSO – Il potenziale d’azione scorre lungo la parete della fibra muscolare e va ad aprire dei canali
da cui entra il calcio extracellulare, ma a determinare la contrazione della fibra muscolare è il calcio
intracellulare che si libera dal reticolo sarcoplasmatico, che da solo sarebbe sufficiente a
determinare la contrazione muscolare. Anche se fossimo in una situazione di assenza di calcio
extracellulare la contrazione avverrebbe lo stesso, anche se in maniera più lenta perché il calcio che
entra dalla membrana plasmatica aiuta il processo.

22) Le unità motrici a scossa rapida sono le prime a essere reclutate.

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FALSO – Vengono reclutate per prime sempre le lente perché se la contrazione muscolare deve
essere protratta per molto tempo e non deve andare incontro ad affaticamento ovviamente le lente
verranno mantenute durante la contrazione.

23) Il muscolo liscio unitario è caratterizzato dall’isolamento elettrico dei singoli miociti.

FALSO – Il muscolo liscio unitario è un sincizio funzionale in cui le cellule sono unite da gap
junctions, a differenza del muscolo liscio multiunitario in cui le cellule sono separate le une dalle
altre. Il segnale elettrico nel muscolo liscio unitario passa quindi da una cellula all’altra a velocità
elevata.

24) Il potenziale di riposo delle cellule muscolari lisce è di circa -90 millivolt.

FALSO – Le cellule muscolari lisce sono caratterizzate da un potenziale di riposo meno negativo.

25) Nel muscolo scheletrico il tetano completo produce un aumento della forza contrattile.

VERO – Se consideriamo il rapporto tra una singola scossa e un tetano completo la forza di
contrazione della nostra fibra cellulare è maggiore nel tetano.

26) I fusi neuromuscolari sono disposti in serie con le fibre extrafusali.

FALSO – Sono in parallelo, è l’organo del Golgi che è distribuito in serie rispetto alle porzioni
terminali del nostro muscolo.

27) I circuiti nervosi dei riflessi spinali sono monolaterali.

FALSO – Per esempio il riflesso di flessione, che è un riflesso controlaterale, è un riflesso spinale.

28) L’attivazione dei motoneuroni gamma aumenta la sensibilità del fuso neuromuscolare.

VERO – Questa attivazione permette al fuso neuromuscolare di mantenersi nella lunghezza giusta
in modo da essere sempre pronto e attivo per rispondere alle variazioni di lunghezza del nostro
muscolo, quindi aumentandone la sensibilità.

29) Nel riflesso miotatico la contrazione di un muscolo consegue al suo stiramento passivo.

VERO – Quando il muscolo viene allungato passivamente i fusi neuromuscolari si attivano, e la


risposta è quella della contrazione dello stesso muscolo.

30) La velocità dell’aria nei bronchioli è minore di quella in trachea.

VERO – Anche se i bronchioli sono più piccoli rispetto alla trachea l’area trasversale è maggiore.

31) La resistenza al flusso di sangue aumenta con il quadrato della lunghezza del condotto.

FALSO – La lunghezza non influisce al quadrato, ma linearmente.

32) La resistenza al flusso d’aria nelle vie aeree è localizzata principalmente a livello dei bronchioli
terminali.

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FALSO – Dobbiamo tenere conto dell’area totale trasversa dei diversi condotti e non della singola
area.

33) Il coefficiente di diffusione (D) è una grandezza direttamente proporzionale alla grandezza della
molecola.

FALSO – Più una molecola è grande più difficilmente riesce a diffondere,quindi è inversamente
proporzionale.

34) La pressione idrostatica del capillare promuove la filtrazione dell’acqua.

VERO – A livello del capillare la pressione idrostatica è quella che insiste sulla pressione dell’acqua
all’interno della parete del capillare stesso.

35) Il potenziale d’azione delle cellule cardiache ha durata pari a 500 millisecondi.

FALSO – Ha durata di circa 200 ms.

36) Il tipo di energia che attiva il recettore sensoriale non dipende dai canali ionici di membrana che
possiede.

FALSO – Pensando a un recettore chimico, o ad un canale metabotropo che si attiva solo ed


esclusivamente con la presenza di una determinata sostanza chimica, un’energia chimica sarà in
grado di attivare quel recettore. Se mettiamo una sostanza chimica in un recettore tattile, esso non
si attiverà mai, quindi dipende dal tipo di recettori presenti.

37) I recettori termici e dolorifici sono costituiti dalle terminazioni nervose di fibre afferenti
amieliniche.

FALSO – I recettori del dolore sono connessi con fibre A-delta e C, che sono quindi sia mieliniche
che amieliniche.

38) Il muscolo scheletrico può aumentare la sua forza contrattile tramite il reclutamento di più
fibrocellule.

VERO – Possono essere attivate diverse unità motorie sullo stesso muscolo. Se ho bisogno di una
forza particolarmente intensa possono essere attivate più unità motorie che permettono quindi il
reclutamento di più fibrocellule.

39) Il muscolo liscio è innervato ma la sua contrazione è controllata anche per via umorale.

VERO – Anche un farmaco o un ormone è in grado di attivare la contrazione del muscolo liscio.

40) L’arco riflesso per definizione è polisinaptico.

FALSO – Ci sono anche archi riflessi monosinaptici, come nel riflesso miotatico semplice in cui lo
stesso recettore che deriva dal muscolo generico X va a fare sinapsi diretta con il motoneurone alfa
che insiste sullo stesso muscolo.

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