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STUDIO DEL C.N.N.

Numero 6/2015 del 16 OTTOBRE 2015

Focus 6/2015 - DAL DIRITTO DI ABITAZIONE AI DIRITTI


DI ABITAZIONE
Lomonaco Cristina,Metallo Serena,Musto Antonio

Focus 6/2015

DAL DIRITTO DI ABITAZIONE AI DIRITTI DI ABITAZIONE

(a cura dell'Ufficio Studi Settore Pubblicistico)

Coerentemente con lo spirito che anima i focus, anche quello


sul diritto di abitazione riassume lo "stato dell'arte" sulla base
di specifiche questioni di interesse notarile sottoposte
all'Ufficio Studi. Non quindi una trattazione generale
dell'istituto, ma una rassegna di problematiche che hanno
trovato risposta nei pareri resi nel corso degli anni, aggiornato
alle ultime pronunce giurisprudenziali.

Una trattazione generale del diritto di abitazione quale figura


unitaria, del resto, non solo sarebbe risultata estranea alle
finalità del presente lavoro, ma soprattutto avrebbe richiesto
uno sforzo notevole per ricondurre ad unità le variegate
applicazioni dell'istituto regolato dall'art. 1022 c.c.

Questo viene infatti adattato dall'ordinamento ad una


molteplicità di situazioni per le quali viene richiamato,
frammentandosi in tanti statuti giuridici diversi e dei quali
l'unico denominatore comune è rappresentato dall'utilità
costituita a favore dell' habitator di poter disporre di una casa
con la quale soddisfare il proprio bisogno abitativo e quello
dei propri familiari.
La varietà di situazioni regolate quindi dà il titolo al focus, che
inizia con la trattazione della figura paradigmatica regolata dal
codice civile, si articola nell'indagine delle questioni relative
alla coesistenza del diritto di abitazione con altri diritti reali
minori, si occupa della sua costituzione, del suo trasferimento
e delle altre vicende dispositive, esaminando poi l'influenza del
regime patrimoniale della famiglia su tale diritto. Particolare Premessa.
attenzione viene poi posta nell'illustrare le problematiche
affrontate dall'Ufficio Studi in ordine all'assegnazione del
"diritto di abitazione" della casa familiare nell'ambito della
crisi coniugale, al diritto di abitazione nel sistema delle
successioni ed infine nella normativa speciale sull'edilizia
residenziale pubblica.

***

Sommario

1. Il diritto di abitazione (art. 1022 c.c.).

1.1 Coesistenza del diritto di abitazione con altri diritti reali


minori.

1.2 Costituzione, trasferimento e altre vicende del diritto di


abitazione.

1.3. Il diritto di abitazione nel regime patrimoniale della


famiglia.

2. Il "diritto di abitazione" nell'ambito della assegnazione della


casa familiare.

3. Il diritto di abitazione nel sistema delle successioni: art. 540


c.c.

4. Il diritto di abitazione nell'edilizia residenziale pubblica.

1. Il diritto di abitazione (art. 1022 c.c.).

L'art. 1022 c.c. così dispone: «chi ha il diritto di abitazione di


una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua
famiglia».
Il diritto di abitazione, disciplinato, dal codice civile vigente,
ha un contenuto e una disciplina tipica sottratta alla Profili introduttivi.
disponibilità delle parti e consiste (come sottospecie del diritto
di uso) nel diritto di utilizzo di una casa come abitazione
limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia. E' un
diritto strettamente legato al soggetto a favore del quale è
costituito che può essere solo una persona fisica determinata.
Non ha un contenuto rigido, ma può estendersi o ridursi nel
tempo in relazione all'elasticità insita nel concetto di "bisogni"
propri e della propria famiglia che ne caratterizza il contenuto
(1).

1.1 Coesistenza del diritto di abitazione con altri diritti reali


minori.

All'interrogativo se possano coesistere il diritto di usufrutto


con il diritto di abitazione, si è data risposta positiva. Il caso
proposto all'attenzione dell'Ufficio Studi aveva ad oggetto la
possibilità che l'usufruttuario costituisse a favore di un terzo
soggetto il diritto di abitazione. Sulla scorta della prevalente
dottrina si è innanzitutto ritenuto che, in linea generale,
l'usufruttuario sia legittimato a costituire altri diritti reali il cui
contenuto sia più ristretto rispetto a quello del diritto a lui
spettante. Si è quindi ammesso, in particolare, che
l'usufruttuario possa costituire un diritto di abitazione,
giustificando tale facoltà quale ipotesi di utilizzazione
indiretta, ricompresa nel potere di godimento dell'usufruttuario
(2). Tale conclusione d'altra parte si spiega perfettamente alla
luce del contenuto dei due diritti.

Coesistenza del diritto di abitazione


Come la Suprema Corte (3) ha precisato, l'usufrutto
attribuisce il diritto di godimento della cosa nella sua piena con il diritto di usufrutto.
capacità produttiva, consentendo anche una utilizzazione
indiretta e non personale. Il diritto di abitazione, invece, è
caratterizzato dal potere di godimento della res limitato ai
bisogni del titolare e della sua famiglia. Si immagini, a mero
titolo di esempio, un immobile molto grande, rispetto al quale
l'habitator riesce a soddisfare le sue esigenze, personali e
familiari, con una utilizzazione solo parziale, cosicché residua
anche per l'usufruttuario la possibilità di goderne per la
restante parte. La dottrina precisa, al riguardo, che nell'ipotesi
in esame il rapporto tra nudo proprietario e usufruttuario
permane immutato, restando il primo estraneo al rapporto
derivato (tra usufruttuario e habitator). Da ciò consegue che
non potendosi pregiudicare la posizione del nudo proprietario
per mezzo di tale rapporto derivato, quest'ultimo è destinato ad
estinguersi laddove si verifichi una causa di estinzione del
rapporto originario (4) (es. per morte dell'usufruttuario o per
scadenza del termine) (5).

In via dubitativa, invece, l'ammissibilità della coesistenza del


diritto di abitazione del coniuge superstite con il diritto di
abitazione ex art. 1022 c.c. di natura pattizia. L'unica
pronuncia in argomento è di segno negativo, laddove si è
affermato che il diritto ex art. 540, comma 2, c.c. è riferito in
via esclusiva al coniuge superstite e solo di riflesso si estende La coesistenza tra il diritto di
anche ai figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti. abitazione ex art. 1022 c.c. e il diritto
Quando sorge conflitto tra quest'ultimi ed il coniuge superstite, di abitazione del coniuge superstite
prevale necessariamente il diritto di cui all'art. 540 c.c., anche ex art. 540 c.c.
se il figlio convivente abbia il possesso derivante dalla
comproprietà ereditaria. Il diritto attribuito al coniuge, quindi,
costituisce una deroga alla regola generale della comunione
che prevede che ciascun comunista possa fare uso della cosa
comune (6).

Infine, sempre con riferimento all'area tematica in questione,


resta da esaminare l'annosa questione relativa alla
ammissibilità del diritto di abitazione pro quota.

Anch'essa è oggetto di una precedente nota di questo Ufficio


(7), dove si è evidenziato che parte della giurisprudenza (8) e
della dottrina, sia pure risalente, riconoscendone
l'indivisibilità, hanno negato la possibilità di prevedere un
diritto di abitazione pro quota.

Tuttavia, tale conclusione è stata contraddetta da altra parte


della dottrina, posto che «non si vede per quale ragione una Il diritto di abitazione pro quota
casa non dovrebbe poter essere lasciata o concessa a titolo di
abitazione a più soggetti riducendosi soltanto il godimento nei
limiti della quota, proporzionalmente determinata sulla base
dei bisogni di ciascuno di essi e delle rispettive famiglie» (9).

Con questa precisazione, si riconosce, quindi, la possibilità di


prevedere una divisione del diritto anche tra più titolari dello
stesso diritto di abitazione, ai quali potrebbe essere attribuito
congiuntamente, nonché tra quei titolari e il proprietario stesso
(10). Par certo che, soltanto aderendo a tale ultima
ricostruzione, a fronte degli orientamenti che si sono formati in
tema di comunione nel diritto di abitazione, risulta possibile
costituire un diritto di abitazione pro quota (11).
1.2 Costituzione, trasferimento e altre vicende del diritto di
abitazione.

Con riferimento alle vicende del diritto di abitazione bisogna


innanzitutto segnalare un precedente dell'Ufficio Studi (12),
nel quale si chiedeva se fosse possibile a) limitare il diritto di
abitazione esclusivamente ai bisogni della
famiglia dell'habitator costituita dal medesimo quale famiglia
mononucleare (come risulta dallo stato di famiglia rilasciato Sulla previsione di limiti al diritto di
dal Comune), trattandosi di persona vedova, con figli abitazione in sede di costituzione del
maggiorenni che vivono in altro luogo con propri nuclei diritto.
familiari; b) consentire al predetto habitator di costituire diritti
di usufrutto in favore di terzi.

Ad entrambi i predetti interrogativi si è data risposta di segno


negativo. Con riferimento al primo, facendo leva ora su di una
nozione costituzionalmente conforme di famiglia, ora sul
contenuto tipico del diritto reale in questione. Rispetto al
secondo, perché si è segnalato che: «mai il titolare del diritto
di abitazione potrebbe costituire un diritto reale "maggiore" di
quello a lui stesso spettante, quale l'usufrutto».

Altro quesito (13) ha riguardato la costituzione del diritto di


abitazione a termine iniziale effettuata dal nudo proprietario,
con termine coincidente con la morte dell'attuale. Il dubbio, in
particolare, riguardava la possibilità che l'operazione negoziale
violasse il divieto di donazione di beni futuri ex art. 771 c.c.,
potendosi intendere il diritto oggetto dell'atto dispositivo come
un bene soggettivamente futuro.

Sulla costituzione del diritto di


Sul punto - una volta richiamati i diversi orientamenti in abitazione a termine iniziale
materia, ed aderito all'indirizzo che considera ammissibile la coincidente con la morte dell'attuale
costituzione del diritto di usufrutto (e per estensione del diritto usufruttuario e divieto di donazione
di abitazione, ex art. 1026 c.c.) da parte del nudo proprietario, di beni futuri ex art. 771 c.c.
non essendo violato il divieto di donazione di beni futuri - si è
considerata ammissibile la costituzione a titolo di donazione
del diritto di abitazione da parte del nudo proprietario per il
tempo in cui si sarà estinto l'attuale usufrutto. E si è segnalato,
altresì, che il diritto di abitazione costituito a titolo di
donazione da parte del nudo proprietario risulterà soggetto
oltre al termine iniziale coincidente con la morte dell'attuale
usufruttuario, anche alla condizione sospensiva della
premorienza di quest'ultimo rispetto al donatario (14).
Ancora si è chiesto (15) se sia ammissibile un atto di
donazione con il quale un soggetto, riservando l'usufrutto
prima a favore di sé stesso e dopo di lui a favore del suo
coniuge, costituisca contestualmente il diritto di abitazione su
quello stesso immobile a favore di un terzo. In aggiunta a ciò
si è pure domandato se la durata del diritto di abitazione,
quantunque commisurata alla vita dell'habitator, possa
eccedere la vita del donante usufruttuario.

A tale riguardo, una volta individuata la ratio ed il perimetro


applicativo della regola contenuta nell'art. 796 c.c., si è
osservato come sarebbe possibile che il donante prima alieni la
nuda proprietà dell'immobile con riserva di usufrutto per sé e
dopo di sé in favore del coniuge. Successivamente egli, in
qualità di usufruttuario, costituirà il diritto reale di abitazione
in favore del terzo. È evidente, in virtù di quanto detto, che si
tratterà di un fascio di donazioni dirette e che, essendo il diritto
di abitazione costituito da parte dell'usufruttuario, la sua durata
non potrà eccedere quella dell'usufrutto.

Una soluzione alternativa (suggerita dall'Ufficio) potrebbe


anche essere quella di far precedere la costituzione del diritto
di abitazione rispetto alla donazione della nuda proprietà. Il
donante pieno proprietario potrebbe anzitutto costituire il
diritto di abitazione, fissandone liberamente la durata (es. pari
alla vita dell'habitator). Successivamente egli, in qualità di Diritto di abitazione e divieto di
proprietario gravato dal diritto di abitazione, dona la nuda usufrutto successivo.
proprietà riservando l'usufrutto per sé e dopo di sé in favore
del coniuge. La fattispecie sembrerebbe legittima proprio
considerando che il diritto di abitazione è un diritto di
contenuto più limitato rispetto all'usufrutto per cui,
ricorrendone in concreto i presupposti, sussiste una utilità ed
un effettivo margine di godimento del bene in capo
all'usufruttuario.

In questo caso, dunque, il diritto di usufrutto che il donante si è


riservato sarà limitato dall'esistenza del diritto di abitazione
previamente costituito (e trascritto). Anche l'usufrutto riservato
al coniuge quando sorgerà, con la morte del donante, sarà
automaticamente limitato dal diritto di abitazione (laddove
ancora esistente). Il diritto di abitazione, per converso, essendo
costituito dal pieno proprietario, non risentirà della durata
dell'usufrutto, non essendo da questo derivato.

In entrambi i casi, non sembrerebbe comunque violato il


divieto di usufrutto successivo di cui all'art. 796 c.c. Nella
prima ipotesi, infatti, il diritto di abitazione è costituito da
parte dell'usufruttuario e non può eccedere la durata
dell'usufrutto. È evidente, dunque, che si tratta di diritti non
successivi, ma contestuali e derivati. Ma a ben vedere anche
nella seconda ipotesi il divieto in parola non appare violato.
Gli unici diritti che si susseguono sono i due usufrutti oggetto
di riserva, nei limiti consentiti dal citato art. 796 c.c. Il diritto
di abitazione, invece, sia pure autonomo e non derivato, è
contestuale e non successivo rispetto all'usufrutto, il quale
sorge (tanto in capo al donante, quanto in capo al di lui
coniuge) già gravato dal primo.

Stante comunque la particolare complessità del tema, la


valutazione sulla concreta percorribilità delle prospettate
alternative si è rimessa alla valutazione del Notaio.

All'Ufficio Studi si è anche chiesto (16) se sia ammissibile il


trasferimento a titolo oneroso del diritto di abitazione da parte
dell'habitator in favore del proprietario gravato dal diritto di
abitazione.

Il problema attiene chiaramente all'applicazione alla fattispecie


in esame del divieto di cessione di cui all'art. 1024 c.c. (17), il
quale dispone che «i diritti di uso e di abitazione non si
possono cedere o dare in locazione».

La ratio del divieto (18) è individuata in dottrina nella tutela


del proprietario, da un lato, e nel rispetto del principio di
tipicità dei diritti reali, dall'altro. Il terzo acquirente del diritto
di abitazione (o di uso) potrebbe essere, infatti, una persona
non gradita dal proprietario. Al contempo, la cessione
andrebbe a incidere sul contenuto stesso del diritto, stante il
suo carattere personale in quanto commisurato, nel contenuto,
ai bisogni del titolare e della di lui famiglia. Ciò, da un lato,
può mettere in pericolo l'interesse del proprietario
(chiaramente pregiudicato ad esempio laddove il terzo
acquirente avesse una famiglia numerosa) e, dall'altro, rischia
di contrastare con i principi di tipicità e numero chiuso dei
diritti reali, in quanto il contenuto del diritto reale minore non
sarebbe predeterminato, bensì mutevole in funzione del
diverso soggetto di volta in volta titolare.

La giurisprudenza, dal canto suo, ha chiarito che il divieto in


esame non ha natura di ordine pubblico, essendo volto a
tutelare il nudo proprietario e attenendo a diritti patrimoniali di La circolazione del diritto di
carattere disponibile (19). Da ciò, in particolare, la stessa ha abitazione.
ricavato la possibilità per il proprietario gravato e per
l'habitator o l'usuario di derogare congiuntamente al suddetto
divieto (20).

Alla luce di quanto detto, potrebbe ragionevolmente sostenersi


che l'alienazione del diritto di abitazione (o di uso) a titolo
oneroso in favore proprio del proprietario sia ammissibile,
perché non ricorre la sopra considerata ratio. Beneficiario della
alienazione è proprio il proprietario, ragion per cui non si pone
un'esigenza di tutelarlo in relazione al mutamento del
contenuto del diritto o alla persona dell'acquirente. Inoltre,
conseguenza indiretta dell'atto è la estinzione del diritto di
abitazione per confusione. Non sembra quindi che possa essere
in alcun modo leso il principio di tipicità. La stessa
giurisprudenza, del resto, non richiama tale principio,
propendendo anzi per la derogabilità del divieto e per
l'interesse meramente privato ad esso sotteso.

L'Ufficio Studi ha prospettato tale conclusione ma anche


avvertito tuttavia che non risulta alcun autore che abbia mai
sostenuto tale conclusione (né che vi siano arresti della
giurisprudenza al riguardo), mentre resta in piedi il divieto,
genericamente espresso, contenuto nell'art. 1024 c.c. Da ciò, il
rischio che, accedendo ad una lettura formalistica e rigorosa
della detta norma, l'atto di alienazione in questione venga
ritenuto lesivo del suddetto divieto, stante la genericità
dell'espressione usata dal legislatore, che non distingue in
funzione del soggetto acquirente.

Deve essere infine segnalato un recentissimo parere (21) reso


in tema di rinunzia al diritto di abitazione a titolo oneroso, nei
confronti del proprietario gravato, e violazione del divieto di
cessione previsto dall'art. 1024 c.c.

Al riguardo, si osserva come la rinunzia di per sé costituisce


un negozio unilaterale, causalmente neutro. Pertanto, la
rinunzia a titolo oneroso non sarebbe altro che un atto di
La rinunzia onerosa del diritto di
alienazione del diritto, che può ricondursi a diversi schemi
abitazione ex art. 1022 c.c. e divieto
negoziali a seconda della natura del corrispettivo (vendita,
permuta, ecc.). Il che la espone seriamente al rischio ex art. 1024 c.c.
di impingere nel divieto di cui all'art. 1024 c.c.

Ciò non esclude, tuttavia, che l'intento delle parti sia


perseguibile sia pure per altra via. Uno studio del CNN (22)
ha ammesso, difatti, che proprietario e habitator possano
congiuntamente vendere, ciascuno per quanto di propria
spettanza, la piena proprietà del bene.

1.3. Il diritto di abitazione nel regime patrimoniale della


famiglia.
Uno dei terreni di indagine dell'Ufficio Studi ha riguardato -
per la sua diretta incidenza sull'esercizio della funzione
notarile - la caduta in comunione legale del diritto di
abitazione (23) - (24), in considerazione del suo carattere La caduta in comunione legale.
strettamente personale, nonché della regola contenuta nell'art.
1024 c.c. (25), secondo la quale «i diritti di uso e di abitazione
non si possono cedere o dare in locazione» (26).

Il dibattito sull'intera questione è stato attentamente ricostruito


dall'Ufficio (27) che ha messo in evidenza l'esistenza di un
orientamento di segno negativo (28), e di una linea di pensiero
per così dire mediana (29), ha condiviso l'orientamento
prevalente che ammette la caduta in comunione legale anche
del diritto di abitazione, e ciò tanto nei rapporti tra i coniugi
quanto nei confronti dei terzi, e che solo al ricorrere dei
presupposti di cui all'art. 179 c.c. potrà dunque affermarsene la
natura di "bene personale" (30).

Una volta ammessa la caduta in comunione del diritto di


abitazione si è posto un ulteriore interrogativo, e cioè se possa
rapportarsi la durata del diritto di abitazione alla vita del solo
coniuge acquirente (31). Al riguardo, richiamandosi, per
affinità di materia, il discorso relativo alla durata del diritto di
La durata.
usufrutto quando all'atto sia intervenuto uno solo dei coniugi,
si è sostenuto che il diritto di abitazione, in mancanza di un più
breve termine fissato dalle parti, sarà commisurato unicamente
alla vita di costui, estinguendosi per intero con la morte di lui
(32).

Un'ulteriore questione affrontata - alla quale si è risposto in


senso negativo - attiene alla rinunziabilità del diritto di
abitazione (33) da parte del coniuge acquirente, senza il
consenso dell'altro coniuge. In merito si è precisato che una
volta ammessa la caduta in comunione legale anche del diritto
di abitazione, sembra da escludere che uno dei coniugi possa
legittimamente rinunziarvi senza il consenso dell'altro coniuge. La rinunziabilità del diritto di
La rinunzia al diritto di abitazione certamente configura, abitazione caduto in comunione
determinando l'estinzione del diritto in esame, un atto legale.
eccedente l'ordinaria amministrazione, il quale, ai sensi
dell'art. 180 c.c., deve essere compiuto congiuntamente da
entrambi i coniugi. Un'eventuale rinunzia posta in essere dal
solo coniuge acquirente non sarebbe nulla, ma solo
annullabile, su domanda dell'altro coniuge, entro il termine
fissato dall'art. 184 c.c. (34).
2. Il "diritto di abitazione" nell'ambito della assegnazione
della casa familiare

Una delle questioni ricorrenti, la cui trattazione si è rivelata


spesso pregiudiziale alla prospettazione della soluzione
richiesta, ha riguardato la natura del diritto di godimento sulla
casa familiare, assegnato in sede di separazione ad uno dei
coniugi con provvedimento giudiziale. La disciplina si
rinviene oggi nell'art. 337 sexies c.c. (aggiunto nel codice
civile dall'art. 55 del Dlgs., 28 dicembre 2013, n. 154) e prima
ancora era contenuta nell'art. 155 quater c.c. che è stato Natura giuridica.
abrogato (35).

L'incertezza interpretativa su tale tematica non ha mai portato


l'Ufficio (36), in via prudenziale, ad aderire ad alcuna delle
ricostruzioni prospettate in dottrina e giurisprudenza, come
noto divise tra quella che lo si considera un diritto analogo al
diritto reale di abitazione (art. 1022) (37) e quella - prevalente
- che lo qualifica come un diritto personale di godimento (38)
- (39).

Corollario di tale questione è l'ulteriore aspetto problematico


della opponibilità del provvedimento di assegnazione della
casa familiare al terzo acquirente del bene immobile (40). E
quindi se a quest'ultimo sia opponibile solo in presenza di
trascrizione del provvedimento medesimo, oppure anche in
assenza di essa (41).

Tale questione traeva origine dagli oscillanti orientamenti della


giurisprudenza di legittimità (42), che recentemente è tornata
a pronunciarsi con un intervento a Sezioni Unite (43) nel
quale si è affermato che il provvedimento di assegnazione
della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per
definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al
terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data
dell'assegnazione, ovvero, ma soltanto laddove il titolo sia
stato in precedenza trascritto, anche oltre i nove anni.

A tale linea di pensiero la Corte di legittimità ha inteso dare


continuità (44) in una recente pronuncia (45), precisando che
tale principio di diritto vale anche nell'ambito delle convivenze Opponibilità.
di fatto, dove il vincolo di destinazione dell'immobile a casa
familiare è opponibile al terzo acquirente, nonostante non sia
stato trascritto, e anche se l'atto di trasferimento sia anteriore
rispetto al provvedimento giudiziale di assegnazione
dell'immobile a casa familiare, se i terzi sono consapevoli della
detenzione qualificata dell'immobile da parte degli occupanti,
come della sua destinazione a casa familiare. Pronunciandosi
su tale aspetto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
facendo applicazione del suo precedente orientamento,
ancorché stabilito in tema di rapporto coniugale (46) - (47),
hanno affermato che, anche nell'ambito delle convivenze di
fatto, quando l'originario proprietario dell'immobile ha
trasferito a terzi la proprietà dello stesso, rimane «immutato e
senza soluzione di continuità il vincolo costituito dal comodato
preesistente, giustificato da un doppio qualificato titolo
detentivo: il primo costituito dalla convivenza di fatto con il
proprietario dante causa, il secondo dalla destinazione
dell'immobile a casa familiare, prima della alienazione a terzi,
e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo mediante
l'assegnazione della casa familiare» (48).

Si è pure chiesto all'Ufficio Studi (49) se l'atto di divisione sia


opponibile al coniuge assegnatario.

L'Ufficio, pur avendo rimesso la soluzione concreta al


prudente apprezzamento del notaio (in ragione della necessità
di operare una scelta tra i criteri interpretativi relativi
all'opponibilità del provvedimento di assegnazione), ha
osservato che in passato parte della giurisprudenza (50) ha
negato che potesse costituire oggetto di divisione la casa
familiare interessata dal provvedimento di assegnazione in
favore di uno dei coniugi. L'atto di divisione era infatti ritenuto
«idoneo a ridurre o a vanificare il diritto di abitazione nella
casa coniugale del coniuge assegnatario, poiché, qualora
l'immobile fosse comodamente divisibile, la ripartizione dello
stesso in natura ridurrebbe il diritto di godimento abitativo
dell'assegnatario, qualora invece fosse necessario ricorrere alla
vendita all'incanto, il vincolo impresso dal provvedimento
giudiziale, in quanto non opponibile ai terzi, sarebbe
totalmente vanificato (51) ».

La divisione della casa familiare


assegnata con provvedimento
Tali argomentazioni sembrano essere state superate dalla giudiziale.
stessa giurisprudenza, la quale, già in una risalente pronuncia
del 1963 (52), sosteneva che l'assegnazione della casa
familiare e la divisione sono fra loro «indipendenti e non
suscettibili di reciproche interferenze (53)». Il provvedimento
di assegnazione non è infatti in grado di dispiegare alcuna
«influenza sulla determinazione definitiva della titolarità
dell'immobile che potrà spettare all'uno o all'altro dei coniugi o
ad entrambi in comunione, senza che perciò possa esserne
intaccato quel regime che si ispira ad altri e diversi criteri (54)
».

Sul punto, occorre tenere in considerazione anche l'opinione di


chi (55), prima della riforma, ha ritenuto che: «tale diritto di
abitazione - ove sia stato correttamente trascritto o in ogni caso
nei limiti del novennio dalla sua costituzione, a seconda di
quale orientamento si preferisca seguire - non subisce
pregiudizi dalla divisione dei beni in comunione tra i coniugi,
in qualunque modo essa venga concretamente realizzata (56)
».

Si è anche chiesto (57) se sia ammissibile l'azione revocatoria,


ordinaria e fallimentare, contro il provvedimento di
assegnazione della casa familiare (regolarmente trascritto) in
favore del coniuge e dei figli maggiorenni con lui conviventi
in sede di separazione tra coniugi. A tale quesito l'Ufficio ha
risposto distinguendo tra l'ipotesi in cui l'assegnazione della
casa familiare sia contenuta in una sentenza e quella in cui
l'assegnazione sia stata disposta in sede di separazione
consensuale omologata.
Revocabilità (ordinaria e
fallimentare) del provvedimento di
Se con riferimento alla prima ipotesi si è ritenuto di escludere
assegnazione della casa familiare.
che «l'assegnazione della casa familiare in favore del coniuge e
dei figli con lui conviventi possa formare oggetto di azione
revocatoria, tanto ordinaria quanto fallimentare», a conclusioni
diametralmente opposte l'Ufficio è invece pervenuto nell'altra
ipotesi. Sulla scorta della giurisprudenza di legittimità si è
infatti evidenziato che nell'ipotesi in cui l'assegnazione della
casa familiare sia contenuta in accordi omologati raggiunti in
sede di separazione consensuale, questi sono assoggettati
all'azione revocatoria, tanto ordinaria, quanto fallimentare.

L'Ufficio Studi si è anche occupato della rinunziabilità del


diritto di godimento sulla casa familiare (58).

Su tale questione si è evidenziato come la soluzione del


problema muova, innanzitutto, dall'interpretazione dell'art. 155
quater (ora, come detto, art. 337 sexies) dovendosi stabilire se
la ratio della norma sia ispirata alla esclusiva salvaguardia
degli interessi dei figli oppure essa lasci intravedere interessi
distinti da questi ultimi, e parimenti meritevole di tutela (59).

Si rammenta che secondo parte della dottrina (60) la riforma


avrebbe attribuito all'assegnazione «un significato complessivo
molto diverso da quello che assumeva in base al testo del
previgente articolo», con la conseguenza che l'interesse della
prole ha assunto una connotazione recessiva rispetto ad
interessi concorrenti ed ugualmente meritevoli di tutela.

Si tratta però di un orientamento che non sembra ricevere il


pieno sostegno di altra parte della dottrina (61) e della stessa
giurisprudenza (62), i quali ritengono infatti che l'interesse dei
figli sia rimasto tuttora centrale nella mens legis della riforma.
E ciò varrebbe non soltanto con riferimento ai figli minori ma
anche con riguardo ai figli maggiorenni che non siano ancora Rinunziabilità del diritto di
autosufficienti (63). godimento della casa familiare.
All'Ufficio è stato anche chiesto se il genitore affidatario
possa, in accordo con l'altro, rinunciare al diritto di abitazione
per atto notarile senza il ricorso alla autorità giudiziaria (64).

La soluzione che si è prospettata è stata ispirata alla massima


prudenza - alla luce di un quadro ancora per certi versi
embrionale e frastagliato in materia - sicchè in piena aderenza
al dato letterale della norma (ult. cpv comma 1, art.
337 sexies), si è suggerito di invitare le parti a rivolgersi al
giudice affinché sia proprio quest'ultimo a valutare in concreto
se (come era nella fattispecie prospettata) la condizione del
figlio maggiorenne, non autosufficiente e stabilmente
convivente con il genitore non affidatario, giustifichino la
revoca del diritto di abitazione attribuito in sede di separazione
consensuale favore del coniuge affidatario (65).

Come detto il problema è stato affrontato in dottrina (66)


come in giurisprudenza (67), con esiti ermeneutici non
sempre perfettamente convergenti.

3. Il diritto di abitazione nel sistema delle successioni: art.


540 c.c.

Il diverso atteggiarsi di questo diritto di abitazione rispetto alle


dinamiche di cui all'art. 1022 ss c.c., ha portato l'Ufficio Studi
ad interrogarsi sulla struttura generale dell'istituto qui in
esame, dando conto sia delle numerose opinioni dottrinali che
della giurisprudenza (anche di merito) che si sono formate
sulla materia.

Recita la norma: «Al coniuge, anche quando concorra con altri


chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita
a residenza familiare [c.c. 144] e di uso sui mobili che la
corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti Norma.
gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia
sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge
ed eventualmente sulla quota riservata ai figli».

I diritti di cui all'art. 540 c.c. sono diretti ad assicurare al


coniuge superstite la continuità nel godimento dell'ambiente in
cui viveva e svolgeva la sua vita familiare, a prescindere dai
bisogni suoi e della sua famiglia. In buona sostanza, la ratio
della suddetta norma sarebbe da rivenire, non tanto nella
condizione di bisogno, quanto nell'interesse morale del
coniuge superstite legato alla conservazione dei rapporti
affettivi e consuetudinari con la casa familiare nonché, alla
conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle
relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il Ratio.
matrimonio (68).

Rileverebbero quindi, non tanto l'aspetto patrimoniale, quanto


gli interessi morali e psicologici del coniuge superstite.

Da ciò la conseguenza che nella genesi e nel godimento di tale


diritto, non si applicano gli artt. 1021 e 1022 c.c. nella parte in
cui limitano il diritto di abitazione al fabbisogno del titolare
(69).

Tale diritto si configura come un legato "ex lege" che viene


acquisito immediatamente dal coniuge superstite, secondo la
Natura.
regola dei legati di specie (art. 649 c.c.) al momento
dell'apertura della successione (70).

L'opinione prevalente ritiene che la "casa adibita a residenza


familiare" di cui all'art. 540 c.c. debba intendersi come quella
adibita a casa coniugale, e cioè quella in cui era stata
localizzata in modo prevalente e stabile la vita familiare (71).

La Cassazione, in particolare, osserva che il concetto di


"residenza familiare" evocato dall'art. 540, comma 2, c.c. deve
essere ricondotto a quello di "residenza" di cui all'art. 43 c.c.,
per sottolineare la effettività della dimora abituale nella casa
coniugale che ivi sia già in atto al momento della morte e
differenziandolo quindi dalla nozione di residenza di cui all'art.
144 c.c., cioè quella ove i coniugi, prima del decesso di uno di
essi, avrebbero voluto fissare la residenza della famiglia.

Residenza "effettiva" e residenza anagrafica (quest'ultima


prevista dall'art. 43 c.c.) possono però non coincidere.
É ius receptum infatti che l'effettiva residenza di una persona è
accertabile dal giudice con qualsiasi mezzo di prova, anche
contro le risultanze anagrafiche, che hanno soltanto un valore
presuntivo (72). E ciò ha condotto a ritenere che la residenza è
caratterizzata non solo da un elemento obiettivo costituto dalla
permanenza in un certo luogo, ma anche da un elemento
soggettivo costituito dall'intenzione di abitarvi stabilmente,
sebbene si lavori in altro luogo e purché vi si faccia ritorno
quando è possibile (73). Nello stesso senso il Consiglio di
Stato (74), che ha affermato che la dimora abituale è «quella
ove la persona ha la propria abitazione, ossia il "focolare
domestico"; tale luogo pertanto non si identifica
necessariamente con quello ove il soggetto esplica la sua
attività lavorativa ed economica, né è determinante l'elemento
della residenza anagrafica, trattandosi di un elemento di fatto
da accertarsi alla stregua di risultanze obiettive» (75). Oggetto.

Il diritto di abitazione che la legge riserva al coniuge superstite


(art. 540, comma 2, c.c.), quindi, può avere ad oggetto soltanto
l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del
"de cuius" come residenza familiare. Il suddetto diritto,
pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso
appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita
domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma
non utilizzato per le esigenze abitative della comunità
familiare (76).

Rileva poi l'estensione del diritto dominicale sul bene ed in


particolare è stato sostenuto che il diritto di cui all'art. 540,
comma 2, c.c. sorge esclusivamente in riferimento alla casa
che, al momento della morte del coniuge, era in proprietà del
"de cuius" o comunque in comproprietà fra questi ed il coniuge
superstite (77).

Di tal che nel caso in cui la residenza familiare del "de cuius"
sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione
del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione
della quota di proprietà del coniuge defunto, con la
conseguenza che ove, per l'indivisibilità dell'immobile non
possa attuarsi il materiale distacco della porzione
dell'immobile spettante e l'immobile stesso venga assegnato
per intero ad altro condividente, deve farsi luogo
all'attribuzione dell'equivalente monetario di quel diritto senza
che - non ricorrendo l'ipotesi di legato di prestazione
obbligatoria - possa verificarsi l'effetto estintivo per
impossibilità della prestazione, previsto dal comma 2 dell'art.
673 c.c. (78).

Ci si è interrogati sui limiti oggettivi del diritto di abitazione


del coniuge superstite ed in particolare, fin dove esso possa
spingersi considerato pure che per il diritto in questione non Segue: limiti.
opera il richiamo al concetto di bisogni abitativi di cui all'art.
1022 c.c.

Per quanto attiene una pertinenza della residenza familiare (ad


esempio, un'autorimessa), si è inteso estendervi il diritto di
abitazione ex art. 540 comma 2, c.c. sul presupposto che, nel
silenzio della norma, dovrebbe trovare applicazione la
disposizione di cui all'art. 818, comma 1, c.c., la quale
stabilisce che "gli atti e i rapporti giuridici che hanno per
oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se
non è diversamente disposto".

Peraltro, muovendo dall'accertata natura del diritto in Pertinenze.


questione quale legato ex lege, l'estensione di tale diritto alle
pertinenze della casa adibita a residenza familiare sarebbe
coerente con la disciplina del legato volontario di cui all'art.
667 c.c., la quale prevede che la cosa legata deve essere
prestata al legatario "con tutte le sue pertinenze".

Pertanto, nonostante l'autorimessa non costituisca di per sé un


bene idoneo a formare oggetto del diritto di abitazione, ma,
piuttosto, del diritto d'uso, si deve rilevare che l'utilizzazione
della stessa sia strumentale a consentire il pieno godimento del
diritto di abitazione sulla casa familiare (79).

La casa familiare va identificata con riferimento ad uno stato


duraturo e prevalente nella convivenza del nucleo familiare:
non possono per ciò considerarsi case familiari le case esistenti
nelle località di villeggiatura o quelle usate per soggiorni
Case di villeggiatura
temporanei o connessi ad esigenze stagionali, pur se effettuati
con periodica ed abituale ripetizione, data la carenza di un
rapporto di fatto permanente e corrispondente alle esigenze
primarie dell'abitazione (80).

Ribadita la natura di legato ex lege del diritto in questione,


occorre valutarne l'incidenza sulla quota disponibile e su
quelle di legittima.

L'art. 540, comma 2, c.c. è stato interpretato nel senso che,


calcolata la legittima del coniuge in base a quanto stabiliscono
gli art. 540 comma 1 e 542 c.c., in combinazione con l'art. 556,
a questa legittima - rappresentata da un certo valore - si
dovranno aggiungere i diritti di abitazione e di uso in concreto,
il cui valore, appunto, graverà la disponibile (81).

In altri termini, con riferimento alla successione necessaria, «la


disposizione di cui all'art. 540 determina un incremento
quantitativo della quota contemplata in favore del coniuge, in
quanto i diritti di abitazione e di uso (quindi, il loro valore
capitale) si sommano alla quota riservata al coniuge in
proprietà. Posto che la norma stabilisce che i diritti di
abitazione e di uso gravano, in primo luogo, la disponibile, ciò
significa che, come prima operazione si deve calcolare la
disponibile sul patrimonio relitto, ai sensi dell'art. 556 c.c. e,
per conseguenza, determinare la quota di riserva. Calcolata poi
la quota del coniuge nella successione necessaria, in base a
quanto stabiliscono gli artt. 540 comma 1, 542 e 543 comma c.
c., alla quota di riserva così ricavata si devono aggiungere i
diritti di abitazione e di uso in concreto, il cui valore viene a
gravare la disponibile, sempre che la disponibile sia capiente»
(82).

La disponibile quindi subisce una detrazione corrispondente al


valore capitale dei diritti di abitazione e di uso sulla casa Il peso del diritto di abitazione del
familiare. Né è prova la circostanza che se il testatore istituisce coniuge superstite nel calcolo della
erede il coniuge nella sola quota riservata e la compone quota disponibile e delle quote di
includendovi la piena proprietà della casa familiare, egli lede legittima.
la legittima complessiva del coniuge, al quale i diritti di
abitazione e di uso sono attribuiti dalla legge in aggiunta alla
legittima in piena proprietà (83).

In conclusione, solo se la disponibile non è sufficiente i diritti


di uso e abitazione gravano sulla quota di eredità del coniuge
riservatagli per legge, che viene ad essere diminuita nella
misura proporzionale a colmare l'incapienza della disponibile.
Se neppure la quota di riserva del coniuge risulta sufficiente i
diritti di abitazione e di uso gravano sulla riserva dei figli (o
degli altri legittimari). Va escluso invece che la quota di
proprietà della casa familiare, già appartenente alla moglie e
non caduta in successione, sia "gravata" dal legato ex art. 540,
comma 2, attribuito al coniuge stesso (84).

Sul punto è intervenuta anche la Cassazione a Sezioni Unite


affermando che "in tema di successione legittima, spettano al
coniuge superstite, in aggiunta alla quota attribuita dagli art.
581 e 582 c.c., i diritti di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, di cui
all'art. 540 comma 2 c.c., dovendo il valore capitale di tali
diritti essere detratto dall'asse prima di procedere alla divisione
dello stesso tra tutti i coeredi, secondo un meccanismo
assimilabile al prelegato, e senza che, perciò, operi il diverso
procedimento di imputazione previsto dall'art. 553 c.c.,
relativo al concorso tra eredi legittimi e legittimari e
strettamente inerente alla tutela delle quote di riserva dei figli
del "de cuius" (85).

La sentenza da ultimo citata, nell'affermare che nella


successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti
di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso
sui mobili che la corredano previsti dall'art. 540 secondo
comma c.c., conferma l'indirizzo secondo il quale la casa
familiare come i mobili che la corredano non costituiscono un
bene ereditario, ai sensi per gli effetti dell'art. 485 c.c., in
quanto il diritto di uso e di abitazione che li riguarda (ex art.
540 c.c.) costituisce oggetto di un legato ex lege (86).
«Il loro acquisto, dunque, è automatico, e il coniuge non li
perde, nel caso in cui rinunzi all'eredità» (87). Il che vuole Sull'ammissibilità della rinuncia
dire, in altri termini, che il coniuge superstite non potrebbe all'eredità.
essere considerato in possesso dei beni ereditari in questione, e
come tale non potrebbe ritenersi a lui applicabile la norma
contenuta nell'art. 485 c.c. (88).

A tale conclusione era giù giunto l'Ufficio Studi muovendo da


una triplice osservazione: vista la natura di legato ex lege del
diritto di cui all'art. 540, comma 2, c.c., considerato che il
conseguimento del legato sia indipendente dall'acquisto
dell'eredità e considerato, infine che in base agli artt. 521,
secondo comma e 552 c.c. il rinunciante può trattenere i legati
a lui devoluti, sembra che lo stesso principio debba valere
anche quando il legato non sia disposto dal testatore ma dalla
legge, come nell'ipotesi del diritto qui in esame (89).

Come già fin qui detto, il diritto di abitazione, riservato


dall'art. 540, comma 2, c.c. al coniuge superstite sulla casa
adibita a residenza familiare, si configura come un legato
"ex lege", che viene acquisito immediatamente da detto
coniuge, secondo la regola di cui all'art. 649, comma 2, c.c., al
momento dell'apertura della successione. Ne consegue che non
può porsi un conflitto, da risolvere in base alle norme sugli
effetti della trascrizione, tra il diritto di abitazione, che il
coniuge legatario acquista direttamente dall'ereditando, ed i
diritti spettanti agli aventi causa dall'erede. Nella specie, in
applicazione dell'enunciato principio, la Cassazione ha
confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la
necessità della trascrizione del diritto di abitazione ex art. 540
c.c. ai fini della sua opponibilità al ricorrente, aggiudicatario in
sede di asta fallimentare di una quota di comproprietà
dell'immobile appartenente ad un coerede (90).

Esclusa in tal modo la necessità della trascrizione di tale


diritto, essa appare emergere quantomeno come opportuna da
un altro giudicato, laddove si è sostenuto che l'ipoteca iscritta
dal creditore sulla piena proprietà del bene oggetto del diritto
di cui all'art. 540, comma 2, c.c., in forza del diritto
concessogli dall'erede, è opponibile al legatario alle condizioni
stabilite dall'art. 534, commi 2 e 3, c.c.. Non è invece
utilizzabile come regola di risoluzione del conflitto quella
dell'anteriorità della trascrizione dell'acquisto dell'erede
rispetto alla trascrizione dell'acquisto del legatario, perché la
norma sugli effetti della trascrizione, dettata dall'art. 2644 c.c.,
non riguarda il rapporto del legatario con l'erede e con gli
aventi causa da questo: infatti, il legatario acquista il diritto di
abitazione direttamente dall'ereditando, e perciò non si
verifica nè in rapporto all'acquisto dell'erede
dall'ereditando nè in rapporto all'acquisto del creditore
ipotecario dall'erede la situazione del duplice acquisto, dal
medesimo autore, di diritti tra loro confliggenti (91).

Sulla trascrizione del diritto di


La Cassazione ha quindi riconosciuto la prevalenza degli
abitazione ex art. 540, comma 2, c.c.
aventi causa dall'erede apparente nei confronti del coniuge
superstite titolare del diritto di abitazione, qualora ricorrano le
condizioni stabilite dall'art. 534, commi 2 e 3, c.c., relative
all'erede apparente. Secondo la giurisprudenza, quindi, anche
al legato ex lege spettante al coniuge superstite si applica la
regola della prevalenza degli atti di disposizione degli eredi
apparenti se l'acquisto a titolo di erede ed il successivo
acquisto dell'avente causa dell'erede prevalgono sull'acquisto
del legatario qualora vengano trascritti anteriormente.

Tale orientamento giurisprudenziale rende di fatto auspicabile


la trascrizione dell'acquisto del diritto di abitazione ex art. 540,
c.c., al fine di evitare che gli acquisti dall'erede apparente
prevalgano sul diritto del coniuge superstite (92).

A questo punto si pone il problema dell'individuazione di un


titolo con cui eseguire tale trascrizione.

Sul punto una recente dottrina ha sostenuto che quanto alla


possibilità di un obbligo di trascrizione per il notaio che
dovesse curare la successione, si può osservare che in capo al
professionista un tale obbligo non viene posto dall'art. 2671 c.
c., riguardante solo gli atti ricevuti o autenticati dal notaio
stesso. Alla constatazione della mancanza di un atto, ai fini
della trascrizione (essendo il diritto di abitazione ex art. 540 c.
c., costituito grazie ad una previsione legislativa) un'eccezione
viene posta se nel testamento sia dichiarata la volontà che il
coniuge riceva ciò che la legge gli attribuisce. In questa
fattispecie, vi è un titolo formale per la trascrizione del diritto
di abitazione de quo, che viene eseguita dal notaio officiato
della pubblicazione del testamento. Nei casi ordinari, in cui il
legato ex lege non venga contemplato dal testamento, è,
comunque, eseguibile la trascrizione, se il legatario accetta il
lascito con un negozio di accettazione specifico (negozio
atipico e non necessario per acquisire il legato stesso).
Considerando l'art. 2660 c.c., si potrebbe sostituire l'atto di
accettazione con il certificato di morte, unito alla nota di
trascrizione, riportante il rapporto di coniugio con il defunto e
l'operatività ex lege dell'acquisto previsto dall'art. 540, comma
2, c.c. (93).

4. Il diritto di abitazione nell'edilizia residenziale pubblica.


All'attenzione dell'Ufficio Studi sono stati posti alcuni quesiti
aventi ad oggetto le problematiche del diritto di abitazione nel Il diritto di abitazione a tutela del
campo dell'edilizia residenziale pubblica. Il diritto di soggetto assegnatario di un alloggio
abitazione è, infatti, lo strumento che il legislatore ha scelto di ex legge 560/1993.
utilizzare per garantire il soggetto assegnatario di un alloggio
popolare nell'ipotesi in cui lo stesso alloggio sia trasferito ad
altri soggetti con lui conviventi.

Gli interrogativi posti nascono dal comma 6 dell'articolo unico


della legge 23 dicembre 1993 n. 560, secondo cui «hanno
La normativa di riferimento: art. 1,
titolo all'acquisto degli alloggi di cui al comma 4 (94) gli
comma 6, della legge n. 560/1993.
assegnatari o i loro familiari conviventi, i quali conducano un
alloggio a titolo di locazione da oltre un quinquennio e non
siano in mora con il pagamento dei canoni e delle spese all'atto
della presentazione della domanda di acquisto. In caso di
acquisto da parte dei familiari conviventi è fatto salvo il diritto
di abitazione in favore dell'assegnatario».

Il significato della norma sopra menzionata, alla luce


dell'interpretazione dell'Ufficio Studi, è il seguente: fino a
quando il proprietario dell'alloggio è lo IACP, ente di diritto
pubblico, la posizione dell'assegnatario è garantita nella
continuazione dell'occupazione abitativa dell'alloggio, anche
con il meno sicuro strumento giuridico della locazione. Se
peraltro l'IACP cede l'alloggio a soggetto diverso
dall'assegnatario, questi avrebbe minori garanzie nel trattare La funzione del diritto di abitazione
con il nuovo proprietario privato. Da qui l'esigenza di tutelare in capo all'assegnatario.
la posizione dell'assegnatario con uno strumento che, per il
raggiungimento pieno dei suoi scopi, non potrebbe essere che
il diritto reale di abitazione, che garantisce all'assegnatario la
continuità nell'utilizzazione dell'alloggio per tutta la sua vita
(combinato disposto degli artt. 1026 e 979 c.c.). Partendo dalla
predetta conclusione si è quindi ritenuto che il diritto di
abitazione sia quello disciplinato dagli artt. 1022 e segg. del
codice civile, ancorché trattisi di diritto che nasce ex lege. (95)
.

L'Ufficio Studi si è anche occupato della possibilità di


rinunciare al diritto di abitazione in esame, ritenendo (96) che
l'assegnatario possa rinunciare al diritto di abitazione,
trattandosi di un diritto reale a suo favore.

Si è quindi osservato che pur sorgendo il diritto di abitazione


nello stesso momento in cui l'alloggio è ceduto al familiare
dell'assegnatario, nulla vieta all'assegnatario stesso di
rinunciare a questo diritto, fermo restando che egli non
potrebbe in tal caso trasferirlo a vantaggio di altro suo parente,
ostandovi l'art. 1024 c.c.

Dunque, una volta sorto il diritto di abitazione, la rinuncia ad


esso sembrerebbe essere soggetta a tutte le regole formali La rinuncia al diritto di abitazione
proprie dei negozi di rinuncia a diritti reali su beni immobili. de quo.
Se la legge, infatti, ha voluto favorire l'assegnatario,
garantendogli comunque un diritto reale minimo (diritto di
abitazione), per evitare che, con la cessione del bene a terzi
l'assegnatario ne risulti privato, si è anche ritenuto che, pur
avendo la legge previsto l'applicazione di un diritto reale
previsto dal codice civile, essa non può anche avere costretto
l'assegnatario ad occupare necessariamente l'alloggio. In altri
termini si è messo in luce come la norma è di favore per il
soggetto assegnatario, ma una norma di favore non può essere
interpretata come norma coercitiva nei confronti del soggetto
favorito. Da ciò si è dedotto che il diritto di abitazione è un
diritto che il beneficiario è libero di accogliere o meno e ciò
dipenderà, evidentemente dal grado di consonanza che
l'assegnatario abbia con i propri familiari conviventi con lui.

Le considerazioni svolte in tema di rinuncia hanno portato


l'Ufficio Studi (97), nell'ipotesi che assegnatari dell'alloggio
Morte o rinunzia di uno dei coniugi
siano i due coniugi, e che quindi il diritto di abitazione sia
titolari del diritto di abitazione.
utilizzato da entrambi i coniugi in diritto di comunione, a
ritenere che il venir meno, per morte o per rinuncia, di uno dei
due coniugi non impedisce all'altro di continuare
nell'utilizzazione del diritto di abitazione per l'intero alloggio.

Un interrogativo posto all'attenzione dell'Ufficio Studi (98)


riguarda la possibilità di far rientrare la rinuncia al diritto di
abitazione tra gli atti di cui al comma 20 della legge 23
dicembre 1993 n. 560. In particolare il comma 20 dell'articolo
unico della legge 23 dicembre 1993 n. 560 prescrive, che gli
alloggi e le unità immobiliari «non possono essere alienati,
anche parzialmente, né può esserne modificata la destinazione,
per un periodo di dieci anni dalla data del contratto di acquisto
e comunque fino a quando non sia pagato interamente il
prezzo». La norma prosegue stabilendo che «in caso di vendita
gli IACP e i loro consorzi...hanno diritto di prelazione».

In sostanza si è posto il dubbio se sia ricevibile l'atto di


Rinunzia al diritto di abitazione e
rinuncia al diritto di abitazione in quanto non rientrante nel
divieto di alienazione di cui all'art. 1,
divieto di alienazione di cui all'art. 1 al comma 20° della legge
comma 20, della legge 560/1993.
23 dicembre 1993 n. 560. Tale questione ha imposto di
verificare se la rinuncia al diritto di abitazione sul bene possa
essere considerata alla stregua di un atto di trasferimento e
quindi rientrare nel divieto di alienazione di cui al comma 20
della legge 23 dicembre 1993 n. 560. È stato sottolineato come
il comma 20 cit. si riferisce ad atti di alienazione (di cessione
del bene), e tale non sembra essere l'atto di rinuncia al diritto
di abitazione. Si è quindi concluso come, pur nel silenzio della
legge, l'assegnatario possa rinunciare a far valere detto diritto,
rinuncia che può essere fatta valere sia al momento dell'atto di
trasferimento, e sia successivamente (senza incorrere nel
divieto di cui al comma 20° della legge 560/93).

L'Ufficio Studi ha anche escluso che la rinunzia al diritto in


esame impinga nel divieto di disposizione del bene di cui al
comma 14 dell'art. 3 del D.L. 25 settembre 2001, n. 351, come
convertito con L. 23 novembre 2001, n. 410, non Rinunzia al diritto di abitazione e
determinando un trasferimento del bene e non avendo un divieto di alienazione ex art. 3
intento speculativo. E ciò in quanto il comma 14 cit. nel comma 14 del D.L. 25 settembre
stabilire che «Sono nulli gli atti di disposizione degli immobili 2001, n. 351, come convertito con L.
ad uso residenziale non di pregio ai sensi del comma 13 23 novembre 2001, n. 410.
acquistati per effetto dell'esercizio del diritto di opzione e del
diritto di prelazione prima che siano trascorsi cinque anni dalla
data dell'acquisto», si riferisce ad atti di disposizione (di
cessione del bene), e tale non sembra essere l'atto di rinunzia al
diritto di abitazione (99).

Si è inoltre chiesto se a favore dell'assegnatario degli alloggi -


nell'ipotesi in cui l'acquisto venga effettuato dai familiari
conviventi - possa essere riconosciuto il diritto di usufrutto
anziché il diritto di abitazione sull'alloggio così come previsto
dalla legge: a tale domanda l'Ufficio Studi (100) ha risposto
affermativamente. E ciò in quanto la previsione legale del La possibilità di costituire il diritto
diritto di abitazione previsto dall'art. 1 comma 6 L. 560/1993, di usufrutto (in luogo del diritto di
costituisce il riconoscimento a favore dell'assegnatario di una abitazione) in capo all'assegnatario.
situazione soggettiva reale "minima" per soddisfare la citata
esigenza abitativa. Conseguentemente proprio perché la
disposizione in esame è posta nell'interesse dell'assegnatario,
questo come potrà rinunziarvi per il venire meno di quella
necessità, così potrà ampliare il contenuto del suo diritto
facendolo coincidere con l'usufrutto che pur sempre esigenze
abitative è destinato a soddisfare.

Cristina Lomonaco, Serena Metallo, Antonio Musto


NOTE

1) Per quanto attiene alla ricostruzione dottrinale del presente istituto si rinvia allo studio n. 21-2013
/E, E. GASBARRINI , Espropriazione forzata e diritto di abitazione, in particolare note da 5 a 9.

2) A. PALERMO-C. PALERMO, U sufrutto, uso, abitazione, in Giur. sist. civ. e comm., W.


BIGIAVI (fondata da), Torino, 1978, 128.

3) Cass., 25 marzo 1960, n. 637, in Giur. agr. it., 1960, 691; in Foro it., 1960, I, 756; in Giust. civ.,
1960, I, 1163.

4) In tal senso cfr. G. PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, Tratt. dir. civ. Vassalli, IV, t. 5,
Torino, 1972, 437; F. DE MARTINO, Usufrutto, uso e abitazione, in Comm. cod. civ., A.
SCIALOJA e G. BRANCA (a cura di), Bologna-Roma, 1978, 179; A. PALERMO-C. PALERMO, U
sufrutto, uso, abitazione, Giur. sist. civ. e comm., W. BIGIAVI (fondata da), Torino, 1978,
127; L. BIGLIAZZI GERI, Usufrutto uso e abitazione in Tratt. dir. civ. e comm., A.
CICU e F. MESSINEO (diretto da), Milano, 1979, 143; R. CATERINA, I diritti reali, in Tratt. dir. civ.
, R. SACCO (diretto da), Torino, 2009, 98.

5) RQ n. 279-2014/C; RQ n. 162-2007/C.

6) Trib. Taranto, ord., 5 novembre 2011, n. 2577, consultabile in altalex.com.

7) RQ 15-2015/C.

8) Appello Bari 24 maggio 1956, in RFI 1957, voce usufrutto, uso abitazione n. 16. Si osserva come
si è giunti a tale conclusione analizzando in particolar modo il diritto d'uso ed estendendo le
argomentazioni utilizzate anche al diritto di abitazione, sul presupposto che tale diritto altro non è che
una sottospecie del diritto di uso; ossia: il diritto di uso avente ad oggetto una casa per scopo di
abitarvi (F. DE MARTINO, Art. 957-1026, in Comm. cod. civ., A. SCIALOJA e G. BRANCA (a cura
di), Roma 1967, 323). Ricostruito il diritto di abitazione come una sottospecie del diritto di uso, e
ritenuto che l'uso non si possa acquistare o perdere per parti, nonché non possa spettare in comune per
quote ideali sulla medesima cosa a più persone, una parte della dottrina ritiene impossibile costituire
una comunione sul diritto di abitazione (F. DE MARTINO, cit., 319 ss).

9) L. BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., 314. Ammette la comunione di abitazione
anche G. BRANCA, Della comunione, in Comm. cod. civ., A. SCIALOJA e G. BRANCA (a cura di),
Roma 1982, 144-147; o ancora G. PUGLIESE, Usufrutto, uso, abitazione, in Tratt. dir. civ. Vassalli,
Torino , 1972, 826 ss.

10) In questi termini, S.O. CASCIO, voce Abitazione, in Enciclopedia del Diritto,1958, 96. Vedere
anche M. DOGLIOTTI, Comunione e Condominio, in Tratt. dir. civ., R. SACCO (diretto da), Milano,
2006 , 27; R. FAVALE, La comunione ordinaria, in Il diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di),
Milano, 1997, 25.

11) Trib. Prato, 27 giugno 1989, in Foro it., 1990, I, 3300; in Riv. not., 1991, II, 228, con nota N. DI
MAURO, Legato di coabitazione e accrescimento.

12) RQ 552-2009/C.

13) RQ n. 808-2014/C.
14) In tal senso RQ n. 88-2009/I, secondo la quale, una volta accettata la donazione, «il contratto si è
perfezionato e il beneficiario ha acquistato la titolarità di un diritto sottoposto a termine iniziale e a
condizione sospensiva, sui quali non influisce la morte di Caia [ cioè la nuda proprietaria]».

15) RQ n. 279-2014/C. In argomento, cfr. pure RQ n. 151-2014/C.

16) RQ. n. 473-2015/C

17) In dottrina, da ultimo, su argomento, G. MUSOLINO, I limiti del diritto di abitazione, in Riv. not
., 2015, 87; ID., Diritto di uso e potere di disposizione, ivi, 2012, 389.

18) C. CACCAVALE-A. RUOTOLO, Diritto di abitazione, in Dizionario enciclopedico del notariato


, V, Roma, 2002, 199. Cfr. anche F. De MARTINO, Dell'usufrutto, dell'uso, dell'abitazione, in Comm.
cod. civ., A. SCIALOJA e G. BRANCA (a cura di), Bologna-Roma, 1978, 357; G. DI MARZIO,
Dell'uso e dell'abitazione, in Comm. del cod. civ., E. GABRIELLI (diretto da) Della proprietà,
A. JANNARELLI-F. MACARIO (a cura di), Torino, 2012, 723.

19) Cass. 27 aprile 2015, n. 8507, in Mass. foro it., 2015, 275: «In tema di diritto d'uso, il divieto di
cessione sancito dall'art. 1024 cod. civ. non è inderogabile, non avendo natura pubblicistica e attenendo
a diritti patrimoniali disponibili, sicché nell'atto costitutivo del diritto il nudo proprietario e l'usuario
possono derogare al vincolo d'incedibilità»; Cass., 27 giugno 2014, n. 14687, in Vita not., 2014,
1370; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5034, in Riv. not., 2009, p. 997; in Giur. it., 2008, I, 2472, con nota S.
CONTI, Diritto reale d'uso e diritto personale di godimento; in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1266,
con nota D. TESSERA, Differenza tra diritto d'uso e diritti personali di godimento sotto il profilo
contenutistico e della disciplina di circolazione: «Il carattere personale del diritto di uso è certamente
una sua peculiarità, esigenza che la legge rafforza con il vincolo di incedibilità posto dall'art. 1024 c.c.,
limite peraltro che, non risultando dettato per motivi di ordine pubblico, è ritenuto liberamente
derogabile in sede di atto costitutivo del diritto»;; Cass. 2 marzo 2006, n. 4599, in Mass. foro it., 2006,
391 «Ai sensi dell'art. 1021 c.c. il diritto d'uso, che ha natura personale, trova la sua fonte in
un'obbligazione assunta da un soggetto nei confronti di un altro soggetto, il quale può servirsi della cosa
secondo lo schema delineato dalla norma citata, con conseguente divieto di cedere il diritto stesso, ex
art. 1024 c.c., salvo espressa pattuizione di deroga delle parti»; Appello Roma, 18 dicembre 1990, in
Giust. civ., 1991, I, 448: «L'abuso che determina la decadenza del diritto di abitazione deve consistere
in un pregiudizio che incida sulla intangibilità e sull'integrità del bene e non può essere costituito dalla
sola cessione dell'uso dell'immobile da parte del titolare del diritto d'abitazione, che, per se stessa, può
comportare soltanto l'adozione di misure cautelari»; Cass. 31 luglio 1989, n. 3565, in Rep. foro it.,
1989, Usufrutto, n. 1: «Il divieto di cessione dei diritti di uso e di abitazione, sancito dall'art. 1024 c.c.,
non è di ordine pubblico e pertanto può essere oggetto di deroga ove espressamente convenuta tra il
proprietario (costituente) e l'usuario, senza che la stessa possa desumersi, implicitamente, per il solo
fatto che questo ultimo, violando la norma, ceda il suo diritto a terzi»; Cass. 13 settembre 1963, n.
2502, in Rep. giust. civ., 1963, Usufrutto, uso, abitazione, n. 17; in Giust. civ., 1963, I, 2292: « Il
divieto di cessione del diritto di uso, sancito dall'art. 1024 c.c., non ha natura pubblicistica e quindi
carattere di inderogabilità nei confronti del nudo proprietario, ma attiene piuttosto ai diritti patrimoniali
di carattere disponibile, con la conseguenza che il nudo proprietario e l'usuario possono convenire di
derogare al divieto, ed il relativo negozio è perfettamente valido ed operante in quanto riflette un diritto
di cui i titolari possono liberamente disporre»; Cass. 18 ottobre 1961, n. 2217, in Foro it., 1962, I,
59; Cass. 25 marzo 1960, n. 637, in Foro it., 1960, I, 756.

20) In particolare per quanto attiene ai profili dell'ipotecabilità dell'immobile gravato da diritto di
abitazione si rinvia a C. CACCAVALE-A. RUOTOLO, Il diritto di abitazione nella circolazione dei
beni, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, 6, 1998- 2000, Milano, 2001; RQ. n.337-
2007/C.

21) RQ 227-2015/C.
22) C. CACCAVALE-A. RUOTOLO, Il diritto di abitazione nella circolazione dei beni, in Consiglio
Nazionale del Notariato, cit. Sul punto, si rinvia a RQ 4787/C ed alle seguenti considerazioni: «l'atto
negoziale di alienazione della piena proprietà come libera dal diritto di abitazione, nel quale
intervengano congiuntamente il proprietario e l' habitator (oltre che l'avente causa), può interpretarsi
quale trasferimento della proprietà da parte del suo titolare con contestuale ( rectius: logicamente
preventiva) implicita rinuncia del diritto di abitazione da parte dell' habitator medesimo. Ma si è anche
sostenuto che è possibile che proprietario e habitator intervengano entrambi nell'atto di disposizione
per dar luogo ad un trasferimento congiunto della proprietà e dell'abitazione. La fattispecie del
trasferimento, ciascuno per i propri diritti, da parte del proprietario e del titolare del concorrente diritto
reale viene pacificamente accolta, e di frequente attuata, per i diritti di usufrutto e di superficie, in cui,
rispettivamente, "l'usufruttuario e il nudo proprietario e il superficiario e il proprietario del suolo
alienano ciascuno il proprio diritto alla medesima persona contro il corrispettivo di un prezzo". Nel caso
di specie, nessuno degli interessi in gioco - quelli, privati, del proprietario, a non veder compresso il
proprio diritto, pienamente disponibili da parte di quest'ultimo, e quelli connessi con la tipicità dei
diritti reali, che per la loro rilevanza pubblicistica si pongono quale limite all'autonomia negoziale dei
privati - è suscettibile di essere leso: né quello del proprietario, il quale, parte contrattuale, acconsente
all'atto di disposizione; né, parimenti, quello del numerus clausus dei diritti reali, in quanto il terzo
avente causa acquista, non già il preesistente diritto di abitazione, che in funzione del nuovo titolare
muterebbe – come non sarebbe ammesso - nel proprio contenuto, bensì la piena proprietà del cespite
priva del gravame dell'abitazione. Se, dunque, non vi sono dubbi sulla legittimità di una operazione
negoziale che consti della rinuncia al diritto di abitazione, da parte del suo titolare, e della
(immediatamente) successiva costituzione, da parte del proprietario, di un nuovo diritto di abitazione in
capo al terzo, non pare siano ravvisabili seri ostacoli per ammettere altresì che il diritto medesimo possa
essere ceduto unitamente alla proprietà dell'immobile cui esso inerisce e che, pertanto, possa
concludersi un atto di trasferimento da parte dell' habitator e del proprietario, ciascuno per i propri
diritti e, congiuntamente tra loro, per la piena proprietà. Lo stabilire se la fattispecie contempli la
vendita della proprietà preceduta dalla implicita rinuncia ovvero la vendita congiunta dei diritti di
proprietà e di abitazione è questione che non può essere risolta in via astratta, dipendendo invece dalla
concreta determinazione dei contraenti. In presenza di un atto cui partecipino proprietario e habitator è
dunque compito dell'interprete accertare la effettiva volontà delle parti così da addivenire alla corretta
qualificazione negoziale. Detta qualificazione potrà risentire in maniera determinante dell'orientamento
al quale l'interprete aderisca in tema di ricostruzione del negozio di rinuncia in generale. Nella
prospettiva che ne condivida la natura di negozio unilaterale meramente abdicativo, insuscettibile di
supportare qualsiasi controprestazione in favore del suo autore, e tale da non poter assumere in nessun
caso la natura di contratto oneroso, potrà rivelarsi decisiva l'indagine in ordine alla destinazione del
corrispettivo della alienazione, di modo che ben difficilmente potrà negarsi che l'atto configuri una
cessione congiunta, da parte del proprietario e dell' habitator in favore del terzo, ove anche l' habitator
benefici del corrispettivo posto a carico del cessionario».

23) Il problema è stato posto, in termini dubitativi, da S. TONDO, Usufrutto nella comunione legale,
Studio n. 1790, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici, 25 febbraio 1999, in Studi e materiali,
1998-2000, Milano, 2001, 6. 381: «Vi possono giocare in negativo, oltre al limite per la durata ( ex art.
979 - da intendervi richiamato in virtù dell'art. 1026 – "non può eccedere la vita" del titolare), anche
quelli che, imponendo un riferimento personale strettissimo, vengono a incidere, oltre che per la
quantità del godimento (art. 1021/2: "per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia"), anche
per le sue modalità (art. 1024: non cedibilità né locabilità). Tanto che, se il diritto romano vi escludeva
ogni possibilità di compartecipazione, il pensiero moderno ha sì tentato d'evaderne, ma a costo, per
l'appunto, di non lievi acrobazie. Né, a sua volta, va trascurato che, sotto il regime della comunione
coniugale convenzionale ( ex art. 215 ss.), era stata sollevata, per parte d'uno studioso autorevole, una
riserva piuttosto recisa, osservandosi che non vi si potessero ricomprendere beni sì dei coniugi ma
intrasmissibili e/o a destinazione personale (tra cui, appunto, un diritto di uso o abitazione). E, sotto il
nuovo regime della comunione coniugale legale, altro studioso è venuto a precisare che, se un qualche
effetto di comunione vi è postulabile, lo sarebbe solo nel rapporto interno. Tanto che, francamente, non
si riesce a comprendere come, discutendosi solo in termini di non rispondenza dell'incedibilità di uso e
abitazione a un'istanza d'ordine pubblico, si sia tranquillamente ripiegato all'opposta opinione. Meglio,
per questa sede, tenere la questione in sospeso, ma non senza - e sùbito - avvertire che, pur a poi
risolvere la stessa in senso affermativo, vi si potranno poi e certo estendere, solo con qualche
adattamento, le stesse osservazioni, che stiamo ora per svolgere, nella presupposta impossibilità d'una
soluzione in negativo per l'usufrutto, a riguardo di quest'ultimo». Sul punto, cfr., anche ID., Sugli
acquisti nella comunione legale, in Foro it., 1981, V, 161.

24) Riassumono puntualmente la posizione degli interpreti sull'argomento, D. TESSERA, Oggetto


della comunione legale: usufrutto, uso e abitazione (art. 177 cod. civ.), in Glossario notarile,
L. MAMBELLI e J. BALOTTIN (a cura di), Milano, 2013, 111 ss.; L. GENGHINI, La volontaria
giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 350. Con ricadute pratico-
operative, A. FERRUCCI, C. FERRENTINO, A. AMORESANO, Atti tra vivi di diritto civile, Milano,
2010, 691.

25) In questi termini, già, M. MATTIA, Comunione legale dei beni e diritti reali limitati, Studio n.
524-2011/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici 14 giugno 2012, pubblicato in CNN notizie
in data 24 settembre 2012: «Dubbi sono poi sorti con riguardo alla caduta in comunione dei diritti di
uso e abitazione in considerazione della loro natura strettamente personale. La disposizione dell'art.
1024 c.c. (in base alla quale " i diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione")
ha, infatti, indotto alcuni autori a considerare tali diritti acquisiti alla comunione unicamente nell'ambito
del rapporto interno tra i coniugi se non completamente esclusi».

26) F. PATTI, Acquisti in comunione legale e circolazione dei beni di provenienza donativa, in
Quaderni della fondazione del notariato, Milano, 2011, 52: «opponendosi il limite di durata, la qualità
del godimento da parte del titolare che, secondo il disposto dell'art. 1021 cod.civ., è limitata a "quanto
occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia", e la non cedibilità né lodabilità ai sensi del disposto
dell'art. 1024 cod. civ.».

27) RQ n. 407-2012/C e n. 28-2013/C.

28) G. DI TRANSO, Comunione legale, Napoli, 1999, 36.

29) M. COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1979, I, 74.
Contra, tra gli altri, M. DOSSETTI, L'intrasferibilità del diritto di abitazione, in Usufrutto, uso,
abitazione, G. BONILINI (a cura di), II, Torino, 2010, 1772 s.

30) RQ n. 407-2012/C, cit. Ivi per i copiosi riferimenti bibliografici. Negli stessi termini, in dottrina, P.
BASSO, Il diritto di abitazione, in Il diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di), Milano, 2007, 300.

31) Con riferimento alla questione relativa alla durata del diritto in questione, a seconda che essa debba
considerarsi commisurata alla vita del coniuge acquirente, oppure al più longevo dei due,
diffusamente, P. BASSO, Il diritto di abitazione, cit..

32)RQ n. 28-2013/C, cit. Riguardo al problema della sorte del diritto di abitazione caduto in comunione
legale al momento dello scioglimento della stessa è diffusamente affrontato in D. TESSERA, Oggetto
della comunione legale: usufrutto, uso e abitazione (art. 177 cod. civ.), in Glossario notarile,
L. MAMBELLI e J. BALOTTIN (a cura di), Milano, 2013, 111 ss. Quest'ultimo Autore, riportando le
diverse opinioni sull'argomento, distingue a seconda che si tratti di acquisto a titolo oneroso, donativo
oppure di legato, nonché a seconda che lo scioglimento della comunione sia dovuto alla morte di uno
dei coniugi oppure a cause diverse da essa. Sul punto, cfr. pure, V. TAGLIAFERRI, Abitazione, in
Trattato dei diritti reali, vol. II, Diritti reali parziari, Usufrutto, uso e abitazione, A. GAMBARO e U.
MORELLO (diretto da), Milano, 200-201.

33) Sulla operatività della rinunzia anche in materia di estinzione del diritto di abitazione, si rinvia
alla M. BELLINVIA, La rinunzia alla proprietà e ai diritti reali di godimento, Studio n. 216.2014/C,
Approvato dalla Commissione Studi Civilistici in data 21 marzo 2014, secondo il quale: «Anche i diritti
di uso e di abitazione, quali diritti patrimoniali disponibili, appaiono suscettibili di rinunzia abdicativa.
Anche in questo caso vale il richiamo agli artt. 1350, n. 5 e 2643, n. 5, c.c., dettati in tema di forma
scritta e trascrizione. La dottrina è concorde nel ritenere che i diritti in questione si estinguano in virtù
delle stesse cause previste per l'usufrutto, tra cui si annovera ovviamente anche la rinunzia. In tal senso
depone l'art. 1026 c.c., il quale estende ad essi le norme relative all'usufrutto, in quanto compatibili». Si
rinvia inoltre per la particolarità della fattispecie alla RQ n. 651-2008/C. Quanto alla giurisprudenza, in
generale, Corte Appello Bari, 20 maggio 1953, in Rep. Foro it., 1954, voce Usufrutto, uso, abitazione,
n. 13; con riferimento, più nello specifico, al tema della inconfigurabilità di una rinunzia tacita del
diritto di abitazione, Trib. Verona, 12 dicembre 1989, in Giur. merito, 1990, 716 (secondo la quale «le
disposizioni degli artt. 1014, 1015, 1026 c.c., (…) non prevedono l'estinzione del diritto di usufrutto di
uso e di abitazione a causa di tacita rinuncia»); ancora Pretura Campi Salentina, 25 novembre 1980, in
Giur. it., 1982, I, 2, 152 («per quanto concerne la rinuncia al diritto di abitazione di un immobile, essa
va rivestita a pena di nullità, della forma solenne ex art. 1350, n. 5, c.c.»). Per la dottrina, tra i tanti, P.
BASSO, Il diritto di abitazione, cit., 402.

34) RQ n. 28-2013/C, cit.

35) Per approfondimenti sulla evoluzione legislativa dell'assegnazione della casa familiare, da
ultimo, T. AULETTA (a cura di), La crisi familiare, in Trattato di diritto privato, M.
BESSONE (diretto da), Il diritto di famiglia, Torino, 2013, 340; V. VACIRCA, L'assegnazione della
casa familiare nella separazione e nel divorzio. L'opponibilità del provvedimento di assegnazione al
successivo acquirente dell'immobile e al proprietario-comodante, in Riv. not., 2008, 1434 ss.; A.
FUSARO, L'opponibilità ai terzi dell'assegnazione della casa familiare, in Familia, 2009, 89 ss. In
giurisprudenza, Trib. Bari, 30 gennaio 2009, n. 328, in Giurisprudenzabarese.it 2009.

36) RQ n. 4787/C, con riferimento al testo anteriore alla sua novellazione ad opera della Legge, 8
febbraio 2006, n. 54; nonché, nota a quesito n. 782-2008/C. In letteratura, per tutti, da
ultimo, A. BARBARISI, Uso e abitazione, in Trattato di diritto immobiliare, vol. II, I diritti reali
limitati e la circolazione degli immobili, Padova, 2013, 296 ss. Ivi per i vari riferimenti bibliografici;
ancora, G.F. BASINI, Il diritto di abitazione nella separazione e nel divorzio, in Usufrutto, uso,
abitazione, G. BONILINI (a cura di), II, Torino, 2010, 1881 ss.

37) C.M. BIANCA, Diritto civile , II, Milano, 1985, 161 (ora 2005, 161).
Analogamente, R, AMAGLIANI, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in
Rass. dir. civ., 1982, 17; A. ZACCARIA, Opponibilità e dura dell'assegnazione della casa familiare,
dalla riforma del diritto di famiglia alla nuova legge sull'affidamento condiviso, in Fam. pers. e succ.,
2006, 779 ss.

38) Sulla «finalità solidaristica di salvaguardia del nucleo familiare e di protezione dell'interesse del
figlio minore», tra le tante, la più recente, Trib. Firenze, 14 luglio 2015, in Redazione Giuffrè, 2015. Si
esprime in termini di «misura, posta ad esclusiva tutela della prole» Cass., 22 luglio 2015, n. 15367, in
Dir. & Giust., 2015, 23 luglio. Ancora, Cass., 9 agosto 2012, n. 14348, secondo il quale l'art. 155-
quater, comma 1, primo periodo, risponde alla «esigenza, prevalente su qualsiasi altra, di conservare ai
figli di coniugi separati l' habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e
delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare»; Cass., 15 luglio 2014, n. 16171, in
Dir. & Giust., 2014, 16 luglio. In dottrina, per tutti, G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia,
Torino, 1998, 205, dove è il riferimento alla esigenza di evitare che la prole, già provata dalla
separazione, sia anche allontanata dall'ambiente in cui vive.

39) In nota a quesito n. 782-2008/C. In giurisprudenza, Cass., 16 marzo 2007, n. 6192, in Foro it.,
2007, I, 728; in Fam. e dir., 2007, 775, con nota adesiva A. SALVATI, Assegnazione della casa
familiare e imposta comunale sugli immobili; in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 728; in
Fam . pers. succ., 2007, 614, con nota C. CICALA, Ici e assegnazione della casa coniugale; Cass., 3
marzo 2006, n. 4719, in Dir. fam., 2006,1097;Cass., 8 aprile 2003, n. 5455, in Vita not., 2003,
884; Cass., 18 agosto 1997, n. 7680; Cass., 22 novembre 1993, n. 11508; Cass., 17 ottobre 1992, n.
11424. In dottrina, tra i tanti, A. FINOCCHIARO, Del matrimonio, II, in Comm. cod. civ.,
A. SCIALOJA e G. BRANCA (a cura di), Bologna-Roma, 1993, 424; ID., Natura non reale
dell'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, nel corso di separazione personale, e pretesa
inopponibilità di tale assegnazione al terzo acquirente dell'immobile, in Giust. civ., 1986, 73; P.
ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Tratt. dir. priv
., P. RESCIGNO(diretto da), Torino, 1996, 261 ss.; G. OBERTO, L'assegnazione consensuale della
casa familiare nella crisi coniugale, in Fam. e dir., 1998, 463 ss.; F. GAZZONI, Assegnazione della
casa familiare e trascrivibilità della domanda giudiziale, in Fam e dir., 2008, 742 ss.

40) Nota a quesito n. 4787/C, con riferimento al testo anteriore alla sua novellazione ad opera della
Legge, 8 febbraio 2006, n. 54; nonché, nota a quesito n. 782-2008/C. In letteratura, per tutti, da
ultimo, A.BARBARISI, Uso e abitazione, in Trattato di diritto immobiliare, vol. II, I diritti reali
limitati e la circolazione degli immobili, Padova, 2013, 296 ss. Ivi per i vari riferimenti bibliografici;
ancora, G.F. BASINI, Il diritto di abitazione nella separazione e nel divorzio, in Usufrutto, uso,
abitazione, G. BONILINI (a cura di), II, Torino, 2010, 1881 ss.

41) Il diritto di assegnazione alla casa familiare, in base all'art. 155 quater, è trascrivibile ed
opponibile. La portata applicativa di tale norma è stata lungamente discussa. L'intero dibattito è stato
ricostruito nella RQn. 683-2013/C, alla quale si rinvia, con riferimento alla diverse tesi riguardo alla
necessità o meno della trascrizione ai fini della opponibilità al terzo acquirente del provvedimento
giudiziale di assegnazione della casa familiare.

42) Per un verso, nel caso di assegnazione infranovennale non trascritta si ritiene estensibile la regola
contenuta nell'art. 1599 c.c., che prevede in tal caso l'opponibilità della locazione purché avente la data
certa anteriore all'acquisto del terzo, Cass., 10 dicembre 1996, n. 10977, in Foro it., 1997, I,
3331; Cass., 18 agosto 1997, n. 7680; peraltro, si obietta che l'assegnazione della casa familiare non
costituisce certamente un istituto affine alla locazione, e, stante perciò il difetto di ogni espressa
previsione, da ciò conseguirebbe l'inapplicabilità della norma in tema di opponibilità al terzo delle
locazioni infranovennali. L'opponibilità, al terzo acquirente, dell'immobile assegnato sarebbe
consentita, pertanto, soltanto in presenza della trascrizione del provvedimento di assegnazione, ed, in
difetto di quest'ultima, essa non opera non solo per quanto riguarda il periodo successivo ai nove anni
dall'assegnazione, ma neanche per quanto riguarda il periodo precedente, non esistendo alcuna
eccezione ricavabile dalla normativa vigente che consenta una distinzione in funzione della durata
dell'assegnazione stessa. Così, Cass., 6 maggio 1999, n. 4529.

43) Cass., Sez. Un., 26 luglio 2002, n. 11096, in Dir. giust., 2002, 33, 39, con nota G. CASU,
Assegnazione della casa familiare, trascrizione e diritti dei terzi; in Fam e dir., 2002, 461, con nota V.
CARBONE, Assegnazione della casa coniugale: la cassazione compone il contrasto giurisprudenziale
sull'opponibilità ai terzi; in Giust. civ., 2003, 93; in Riv. not., 2003, 706, con nota A. PISCHETOLA,
Opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale al terzo acquirente; in Vita not.,
2002, 1459; in Guida dir., 2002, 36, 35, con nota M. FINOCCHIARO, Un'interpretazione della
volontà legislativa che sembra forzare il dettato normativo; in Giur. it., 2003, IV, 1133, con
nota A. CARRINO, Opponibilità dell'assegnazione in uso della casa familiare in seguito alla crisi del
rapporto familiare; in Foro it., 2003, I, 1, 183; in Riv. dir. civ., 2003, IV, 984; in Corr. giur., 2003,
361, con nota B. LENA, Le Sezioni Unite si sono pronunciate: il provvedimento di assegnazione della
casa familiare, anche se non trascritto, è opponibile ai terzi; ivi, 365, con nota B. BETTINA; in
Notariato, 2003, 15, con nota P. ZARRILLI, Assegnazione della casa familiare: opponibilità in difetto
di trascrizione interesse della prole; in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, con nota A. BUSANI, Alle
sezioni unite il tema dell'opponibilità ai terzi aventi causa del provvedimento di assegnazione della
casa familiare; in Rass., dir. civ., 2003, 984, con nota W. FINELLI, Trascrizione ed opponibilità a
terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare: la Cassazione fa il punto; in
Studium iuris, 2003, 105, con nota R. PASQUILLI, Opponibilità ai terzi del provvedimento di
assegnazione della casa familiare. In tal senso, anche Cass., 2 aprile 2003, n. 5067, in Dir. & giust.,
2003, 18, 102; in Fam. e dir., 2003, 488 e ivi 2004, 17, con nota S. WINKLER, Assegnazione della
casa familiare e opponibilità ai terzi; Cass., 29 agosto 2003, n. 12705, in Riv.not., 2004, 161; in
Giur. it., 2004, 1176; in Dir. fam., 2003, 943; Trib. Napoli, 29 novembre 2004, in Merito, 2005, 9.

44) Cass., 23 ottobre 2014, n. 22593, in Dir. & giust., 2014, 24 ottobre, 36, con nota E. BRUNO, Il
provvedimento di assegnazione della casa coniugale è opponibile anche se non trascritto; Cass., 18
dicembre 2013, n. 28229, in Dir. & giust., 2013, 20 dicembre, 1650, con nota A. GRECO,
L'assegnazione della casa coniugale è opponibile al compratore anche in mancanza di trascrizione
; Cass., 18 settembre 2009, n. 20144 (in Fam. e dir., 2010, 137, con nota E. PATANIA, Opponibilità
al terzo acquirente dell'immobile del provvedimento di assegnazione della casa coniugale di proprietà
esclusiva di un coniuge; in Nuova giur. civ. comm., 2010, 393, con nota C. ABATANGELO,
Questioni in tema di opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare), secondo la
quale, una volta passati nove anni dalla data di sua emissione, non è di per sé solo, senza trascrizione,
opponibile al terzo. Per la giurisprudenza di merito, Trib. Bari, 10 febbraio 2015, in Ilfamiliarista.it,
2015, 5 giugno.

45) Cass., 11 settembre 2015, n. 17971, in Cnn notizie del 2 ottobre 2015, con nota C.
LOMONACO e A. MUSTO, Anche nell'ambito di convivenze di fatto, l'immobile adibito a casa
familiare può essere assegnato al genitore collocatario dei figli minori. La recente pronuncia della
Corte di Cassazione 11 settembre 2015 n. 17971; in Dir. & giust., 2015, 102, con nota R. VILLANI,
La casa destinata ad habitat familiare va all'ex convivente che vive con i figli, anche se non
proprietario né conduttore. Consultabile in www.iusexplorer.it/Dejure e massimata in
Cortedicassazione.it: «in caso di cessazione della convivenza di fatto, il genitore collocatario dei figli
minori, nonché assegnatario della casa familiare, esercita sull'immobile un diritto di godimento
assimilabile a quello del comodatario, la cui opponibilità infranovennale è garantita, pur in assenza di
trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione, anche nei confronti dei terzi acquirenti
consapevoli della pregressa condizione di convivenza».

46) Cass., Sez. Un., 21 luglio 2004, n. 13603, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 799, con nota W.
FINELLI, Le sezioni unite tornano sul tema dell'assegnazione della casa familiare: è opponibile anche
al comodante il provvedimento presidenziale di assegnazione al coniuge affidatario della prole minore;
in Foro it., 2005, I, 442; in Familia, 2004, 867, con nota L.A. SCARANO, Comodato di casa
familiare e provvedimento di assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio;
in Corr. giur., 2004, 1440, con nota E. QUADRI, Comodato e "casa familiare": l'intervento delle
Sezioni Unite; in Fam. e dir., 2005, 601, con nota E. AL MUREDEN, L'opponibilità del
provvedimento di assegnazione della casa familiare tra tutela dei figli e diritti del comodante; in Arch.
civ., 2004, 1387, con nota V. AMENDOLAGINE, Contratto di comodato e diritto di proprietà:
prevalenza del primo sul secondo. Analogamente, Cass., Cass. Sez. Un., 29 settembre 2014, n. 20448,
segnalata in Cnn notizie del Consiglio Nazionale del Notariato del 15 ottobre 2014, con nota C.
LOMONACO e A. MUSTO, Sulla sorte del contratto di comodato di casa familiare assegnata in sede
di separazione a uno dei coniugi-comodatari: la Cass. Sez. Un., 29 settembre 2014, n. 20448; in Dir.
& giust., 2014, 26, con nota A. FANELLI, Casa familiare in comodato e interessi protetti: quando il
proprietario ha diritto alla restituzione; in Corr. giur., 2015, 19 ss., con nota E. QUADRI, Il nuovo
intervento delle Sezioni Unite in tema di comodato e assegnazione della "casa familiare"; in Foro it.,
2015, I, 1280; in Fam. e dir., 2015, 10, con nota R. RUSSO, Le Sezioni Unite si pronunciano
nuovamente sul comodato di immobile destinato ad abitazione della famiglia; in giustiziacivile.com,
2015, T. PERTOT, Le Sezioni Unite tornano a pronunciarsi sulla questione relativa alla disciplina
applicabile al comodato di casa familiare. Più recente, negli stessi termini, Corte Appello Catania, 20
maggio 2015, in Ilfamiliarista.it, 2015, 1 luglio; Trib. Cassino, 2 febbraio 2015, in Diritto di famiglia
e delle persone, 2015, I, 611, secondo il quale costituisce « jus receptum che non si modifica la natura
(ed il contenuto) del titolo del godimento della casa, ma si determina una concentrazione (…) del titolo
di godimento, che resta regolato dalla disciplina dell'originario contratto di comodato, con la
conseguenza che si debba consentire la continuazione del godimento per l'uso e la destinazione nel
comodato previsti». Cfr., pure, Cass., 18 dicembre 2012, n. 23361, in Dir. & giust., 2012, 1194, con
nota P. PALEARI, L'assegnazione della casa coniugale non modifica la natura e il godimento stabilito
nel contratto di comodato.

47) Con riferimento alla applicabilità dell'art. 155- quater anche ai procedimenti relativi ai figli di
genitori non coniugati, ancora, Cass., 15 luglio 2014, n. 16171, in Dir. & Giust., 2014, 16 luglio: «in
tema di assegnazione della casa familiare, l'art. 155- quater c.c., applicabile anche ai procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati, tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'
habitat domestico, postulando, oltre alla permanenza del legame ambientale, la ricorrenza del rapporto
di filiazione (…) cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone anche a presidio dei
rapporti affettivi ed economici che non involgano, in veste di genitori, entrambi i componenti del
nucleo che coabitano la casa familiare».
48) Prima del mutato orientamento della Cassazione l'Ufficio Studi (RQ 650-2007/C) si era occupato
della opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale non trascritto ai coeredi
comproprietari pro indiviso dell'immobile che, sulla base di un comodato precario (art. 1810 cod. civ.),
avevano consentito che uno degli altri comproprietari vi fissasse la residenza familiare. In
quell'occasione, risolvendo in senso affermativo la questione, aveva precisato anche che tale
opponibilità va intesa nel senso che il provvedimento giudiziale di assegnazione in favore del coniuge
non proprietario, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma
determina una concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta
regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che i comodanti sono tenuti a consentire la
continuazione del godimento, fino al termine dell'uso previsto nel contratto così come imposto dal
vincolo di destinazione dell'immobile alle esigenze abitative familiari

49) RQ n. 683-2013/C. In letteratura, fra i tanti, G. TEDESCO, Divisione della casa coniugale di
proprietà comune e provvedimento di assegnazione del bene ad uno solo dei coniugi separati o
divorziati, in Giust. civ., 2003, II, 113; M.G. CUBEDDU, Provvedimento di assegnazione della casa
familiare e divisione del bene, in Per. fam. succ., 2005, 237; C. SPACCAPELO, Casa coniugale e
giudizio di divisione, in Studium iuris., 2008, 1418.

50) Trib. Monza, 24 ottobre 1991, in Giust. civ., 1992, I, 539, con nota critica di M. FINOCCHIARO,
Assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi e diritto dell'altro di chiedere la divisione: o
della pretesa indissolubilità della comunione incidentale; in Dir. fam., 1992, 685; Trib. Monza, 21
aprile 1989, ivi, 1989, I, 2199; Trib. Roma, 4 aprile 1985, in Temi rom., 1985, 963, con nota
F. STORACE, Domanda di divisione della casa familiare di proprietà di entrambi i coniugi proposta
dal coniuge non assegnatario; A. CRISCUOLO, La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la
dottrina, Libro I delle persone e della famiglia (artt. 79-230 bis), A. CRISCUOLO e M.
G. PUTATURO DONATI, S. RUPERTO (con il coordinamento di), Milano, 2012, Vol. 1, 1105.

51) Ricostruisce in questi termini l'evocato orientamento dottrinale, A. NERI, Del rapporto tra il
giudizio di divisione dei beni in comunione legale tra i coniugi, lo scioglimento della comunione stessa
e il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, in Giust. civ., 2001, 827.

52) Cass. 24 maggio 1963 n. 1360, in Giust. civ., 1963, I, 1360. «É ammissibile l'azione di
scioglimento della comunione avente ad oggetto la casa familiare, di proprietà di entrambi i coniugi e
già assegnata in sede di separazione coniugale ad uno di essi (atteso che la destinazione dell'immobile
non muta in quanto il provvedimento di assegnazione conserva la destinazione dell'immobile nella
funzione di residenza familiare, nell'esclusivo interesse della prole)»; Trib. Bologna, 21 gennaio 1993,
in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 700, nota F. TAFURO, Ammissibilità dell'azione di divisione della
casa coniugale; Trib. Roma, 29 maggio 2000, in Giust. civ., 2001, I, 819. «L'assegnazione della casa
familiare al coniuge affidatario della prole, ai sensi dell'art. 155, comma 4 c.c., è immediatamente
rilevante nei confronti del coniuge non affidatario, in quanto escluso dall'abitazione; lo diviene, nei
confronti dei terzi, per effetto della trascrizione. Per questi motivi la domanda di divisione della
comunione relativa alla casa coniugale assegnata ad uno dei coniugi è pienamente ammissibile sul
piano processuale e accoglibile su quello sostanziale» Trib. Bologna, 27 ottobre 1992, in Vita not
., 1994, 1141, con nota S. CATENACCI, Assegnazione della casa familiare di proprietà comune ad
uno dei coniugi, sua opponibilità ai terzi e ammissibilità della domanda di scioglimento della
comunione. Così, anche Trib. Torino, 9 ottobre 2001, in Giur. merito, 2002 p. 1271; Trib. Torino, 12
ottobre 2001, in Giur. it., 2002, 1197; Giur. merito, 2002, 398. Recentemente, in materia, Cass., sez.
II, 17 aprile 2009, n. 9310, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, p. 645; in Vita not., 2009, 914; in Dir.
famiglia, 2010, 73:«L'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi in sede di divorzio è atto
che, quando sia opponibile ai terzi, incide sul valore di mercato dell'immobile; ne consegue che, ove si
proceda alla divisione giudiziale del medesimo, di proprietà di entrambi i coniugi, si dovrà tener conto,
ai fini della determinazione del prezzo di vendita, dell'esistenza di tale provvedimento di assegnazione,
che pregiudica il godimento e l'utilità economica del bene rispetto al terzo acquirente». In senso
contrario a questa ultima pronuncia sembra essersi espressa Cass., sez. I, 17 settembre 2001, n. 11630,
in Giust. civ., 2002, I, 55; in Giur. it., 2002, 1147; in Familia, 2002, 868. Secondo tale pronuncia
«L'assegnazione, in sede di divorzio come di separazione personale dei coniugi, della casa familiare al
coniuge affidatario dei figli minori integra un diritto personale atipico di godimento, il quale non
costituisce un peso sull'immobile destinato ad abitazione, come avviene per un diritto reale. Detta
assegnazione non può, pertanto, essere presa in considerazione in sede di determinazione del valore
dell'immobile, in caso di divisione, tra i coniugi, dell'immobile stesso ove comune (e il valore del
cespite, quindi, deve essere accertato, ai fini del giudizio di divisione, come se non esistesse il
provvedimento di assegnazione in questione)».

53) Così, G. TEDESCO, Divisione della casa coniugale di proprietà comune e provvedimento comune
di provvedimento di assegnazione del bene ad uno solo dei coniugi separati o divorziati, in Giust. civ
., 2003, 114.

54) Cass. 24 maggio 1963 n. 1360, in Giust. civ., 1963, I, 1360.

55) A. NERI, Del rapporto tra il giudizio di divisione dei beni in comunione legale tra i coniugi, lo
scioglimento della comunione stessa e il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare,
in Giust. civ., 2001, 825 ss.; L.A. SCARANO, L'assegnazione della casa familiare: presupposti e
funzioni, in Familia, 2004, 613 ss.

56) A. NERI, Del rapporto tra il giudizio di divisione dei beni in comunione legale tra i coniugi,
cit., 828. Sul regime giuridico dell'assegnazione dei beni in caso di locazione come di
comodato, G. TRAPUZZANO, Assegnazione della casa familiare, in Giur. merito, 2011, 1742-1743.
In giurisprudenza, Trib. Udine, 27 giugno 2013, n. 6460 Cfr., Cass., 10 aprile 2013, n. 8678; Cass., 17
maggio 2010, n. 1204; Cass., 23 marzo 2004, n. 5741; Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.

57) RQ. n. 76-2009/C.

58) Così, RQ n. 603-2015/C. Negli stessi termini, già, RQ n. 4787/C, con riferimento alla previgente
disciplina, anteriore alla Legge di riforma del 2006, n. 54, si è distinto a seconda che l'assegnazione
della casa familiare sia avvenuta sul presupposto dell'affidamento dei figli. Se, infatti, in presenza di
figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, il potere di disposizione trova un limite, diversamente,
sarebbe a dirsi se il diritto di godimento della casa familiare sia stato attribuito in assenza di figli,
perché si tratterebbe di un diritto personale di godimento pienamente disponibile, del quale sarebbe ben
possibile anche la rinunzia. Per le implicazioni fiscali, si rinvia alla nota a quesito n.ro 348-2014/T,
Rinuncia coniuge assegnatario e diritto di abitazione ex art. 155 quater; nota a quesito n.ro 36-2006/C,
Rinuncia al diritto di abitazione da parte dell'assegnataria dell'immobile, dove, in termini generali, si
osserva che «Il diritto di abitazione, infatti, al pari di qualsiasi altro diritto reale di godimento, può
essere dismesso per rinuncia (considerato, infatti, che la funzione del diritto di abitazione si identifica
nell'assolvere ai bisogni abitativi dell' habitator, questi, venuto meno il proprio interesse ad abitare la
casa sulla quale vanta il diritto, può senz'altro rinunciarvi), con l'unica conseguenza che il diritto reale
parziario si estingue, consolidandosi con la proprietà». Sempre sul piano fiscale si veda anche RQ n. 70-
2011/T su agevolazioni Prima casa, separazione dei coniugi e assegnazione casa familiare.

59) M. NOVELLI BUGETTI, Le rinunzie ai diritti contenute nell'accordo di separazione, in Riv.


trim. dir. proc. civ., 2012, 957.

60) A. LUMINOSO, Obbligazioni di mantenimento nella separazione e nel divorzio e prestazioni in


natura, in Fam. e dir., 2008, 1062.

61) «Infatti, l'art. 155- quater c.c. con formula sostanzialmente analoga prevede che il godimento della
casa familiare sia attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli» C. TRAPUZZANO,
Assegnazione casa familiare, in Giur. merito, 2011, 1740. Cfr., in argomento, C. IRTI, Affidamento
dei figli e casa familiare, Napoli, 2010; G. CATTANEO, La casa familiare, in Fam. pers. succ., 2011,
366 ss.V. CARBONE, Assegnazione della casa coniugale, in Corr. giur., 2003, 319.

62) Corte cost., 30 luglio 2008, n. 308, in Rass. dir. civ., 2009, 186, con nota di M.M. PARINI, Profili
di costituzionalità del provvedimento di revoca dell'assegnazione della casa coniugale; in Corr. giur.,
2008, 1663, con nota E. QUADRI, Vicende dell'assegnazione della casa familiare e interesse dei figli;
in Giur. it., 2009, 1156, con nota F. SUBRANI, Riflessi della convivenza more uxorio su assegno
divorzile e assegnazione della casa familiare; in Fam. pers. succ., 2009, 20, con nota S. CANNATA,
La revoca dell'assegnazione della casa familiare nell'affidamento condiviso: questioni di legittimità; in
Nuove leggi civ. comm., con nota di R. VILLANI, Assegnazione della casa familiare e cause di perdita
del diritto al godimento dell'immobile: l'interpretazione dell'art. 155-quater operata dalla Corte
Costituzionale. Per la giurisprudenza di merito, Trib. Aosta, 16 febbraio 2010, n. 77, Guida al diritto,
2010, 38, 77: «Il disposto dell'art. 155 quater c.c., come introdotto dalla l. n. 54 del 2006, nel fare
riferimento all'interesse dei figli, conferma che il godimento della casa familiare è generalmente
finalizzato alla tutela della prole, stante la natura prevalentemente conservativa del provvedimento di
assegnazione, in quanto volto a soddisfare il preminente interesse dei figli alla conservazione
dell'ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, interessi e consuetudini familiari. In un
momento delicato come quello della separazione, l'intento è, pertanto, quello di salvaguardare le
abitudini di vita, la rete di relazioni e la stabilità della prole, di fatto dipendenti anche dal contesto
spaziale in cui vive e dal significato che lo stesso assume».

63) G. FERRANDO, L'assegnazione della casa familiare, in G. FERRANDO e L. LENTI (a cura di),
La separazione personale dei coniugi, Padova, 2011, 327-328. In giurisprudenza, sull'assegnazione
della casa di abitazione al coniuge con il quale convivono i figli maggiorenni non ancora
autosufficienti, Cass., 26 aprile 1991, n. 4620, in Dir. fam. pers., 1991, 944; Cass., 6 aprile 1993, n.
4108, ivi, 1993, 1023; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2070, in Mass. Giur. it., 2000.

64) RQ n. 603-2013.

65) A conclusioni non dissimili sembra pervenire anche autorevole dottrina, secondo la quale «tra le
cause che determinano l'estinzione del diritto all'abitazione (art. 155 quater, comma 1) non è compreso
il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli. Il che significa che le loro esigenze abitative,
anche se maggiorenni, meritano tutela, potendo suggerire, in sede di revisione dei provvedimenti di
separazione o divorzio, la revoca del provvedimento di assegnazione quando il coniuge proprietario
dimostri che essi hanno raggiunto l'indipendenza economica (o questo risultato non sia stato conseguito
per causa ad essi imputabile), o che comunque il raggiungimento della maggiore età (insieme ad altre
circostanze) giustifichi una riconsiderazione dell'interesse ad abitare la casa familiare». G.
FERRANDO, L'assegnazione della casa familiare, in G. FERRANDO e L. LENTI (a cura di), La
separazione personale dei coniugi, Padova, 2011, 327-328. In giurisprudenza, sull'assegnazione della
casa di abitazione al coniuge con il quale convivono i figli maggiorenni non ancora
autosufficienti, Cass., 26 aprile 1991, n. 4620, in Dir. fam. pers., 1991, 944; Cass., 6 aprile 1993, n.
4108, ivi, 1993, p. 1023; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2070, in Mass. Giur. it., 2000.

66) M. NOVELLI BUGETTI, Le rinunzie ai diritti contenute nell'accordo di separazione, in Riv.


trim. dir. proc. civ., 2012, 957.

67) Trib. Matera, 24 novembre 2007, in Giur. merito, 2008, 1609. In termini dubitativi, riguardo a tale
pronuncia, G.F. BASINI e F. TOMMESO, Lo scioglimento del matrimonio, in Cod. civ. comm
., P. SCHLESINGER (fondato da), F.D. BUSNELLI (diretto da), Milano, 2010, 844, nt. 239: «Curiosa,
peraltro, è Trib. Matera, 24 novembre 2007 (…). Con il che parrebbe che il giudice possa vietare al
genitore che vive con la prole di stabilirsi a risiedere in un luogo diverso da quello in cui risiedeva la
famiglia unita, o, almeno, che possa condizionare la collaborazione della prole al mantenimento di quel
luogo di residenza».

68) Cass., 12 giugno 2014, n. 13407, in Vita not., 2014, 1243, con nota P. CASTELLANO,
L'incidenza della separazione dei coniugi sui diritti di abitazione e uso ex art. 540 comma 2 c.c.; in
Dir. fam. e pers., 2014, 1358; in Nuova giur. civ. comm., 2014, 1190, con nota, A. BENNI DE SENZA,
Il coniuge separato senza addebito e il legato di abitazione della casa adibita a residenza familiare; in
Riv. not., 2014, 1031; Cass. 22 ottobre 2014, n. 22456, in Giur. it., 2015, 1599, con nota M. COCCO,
Coniuge superstite e diritto di abitazione; Cass., 27 febbraio 1998, n. 2169, in Giur. it., 1998, 1794,
con nota E. BERGAMO, L'oggetto del diritto di abitazione riservato al coniuge superstite. In dottrina,
sul fondamento della riserva dei diritti di cui all'art. 540, secondo comma, c.c., G. MUSOLINO, I
diritti di abitazione e di uso del coniuge superstite nella fattispecie del coniuge separato, in Riv. not.,
2014, 1034; A. TULLIO, La successione necessaria, in Nuova giur. di dir. civ. e comm., W.
BIGIAVI (fondata da), G. BONILINI (diretto da), Torino, 2012, 25 ss.; M. IEVA, La successione
necessaria, Successioni, donazioni, beni, vol. II, Le successioni e le donazioni, I, Tratt. dir. civ., N.
LIPARI e P. RESCIGNO (diretto da), A. ZOPPINI (a cura di), Milano, 2009, in 53-54; F. PARENTE,
Tecniche acquisitive dei diritti di abitazione e di uso riservati al coniuge superstite, in Giur. it., 1982,
II, 152.

69) Trib. Palermo, 13 giugno 2003, in Giur. merito, 2004, 2472; App. Cagliari, 26 settembre 2005, n.
331, in Riv. giur. sarda, 2006, 285, con nota M. DI FORTUNATO, Il diritto di abitazione del coniuge
superstite: natura e funzione; Trib. Salerno, 28 maggio 2004, in Redazione Giuffrè, 2004; Cass., 13
marzo 1999, n. 2263, in Vita not., 1999, 337; in Notariato, 1999, 309; in Nuovo dir., con nota S.
NAPPA, L'oggetto e la disciplina dei diritti di abitazione e di uso riservati al coniuge superstite; App.
Venezia, 3 febbraio 1982, in Riv. not., 1983, 534; in Giur. it., 1983, I, 2, 292, con nota R.
PACIA DEPINGUENTE.

70) Trib. Roma, 22 gennaio 2015, 1413; Cass., 30 aprile 2012, 6625, in Fam. e dir., 2012, 869, con
nota R. CALVO, L'opponibilità dell'abitazione riservata al coniuge; Trib. Monza, 27 dicembre 2011,
in Ilcaso.it; Cass. 15 maggio 2000, n. 6231, in Guida al diritto, 2000, 28, 61; Cass. 10 marzo 1987, n.
2474, in Vita not., 1987, 750. In dottrina, per tutti, G. CAPOZZI, Successioni e donazioni,
A. FERRUCCI e C. FERRENTINO (a cura di), Milano, 2009, 440 ss. Ivi per la bibliografia di
riferimento. Con riferimento alle precedenti note di questo Ufficio studi, si rinvia a: RQ n. 289-2011
/C; RQ n. 894-2014; RQ n. 3363.

71) Cass., 27 febbraio 1998, n. 2169, in Giur. it., 1998, 1794, con nota E. BERGAMO, L'oggetto del
diritto di abitazione riservato al coniuge superstite; in Fam. e dir., 1998, 390. In dottrina, M.
SESTA (a cura di), Codice delle successioni e donazioni, Milano, 2011, 910; App. Genova 4 aprile
2007.

72) Cass., 10 marzo 2000 n. 184.

73) Cass., pen. 13 gennaio 2010 n. 5035.

74) Cons. Stato, Sez. IV, n. 680/1986, in Foro Amm., 1986, 2091.

75) RQ n. 271-2010/C–87-2010/T.

76) Cass., 14 marzo 2012, n. 4088.

77) Cass. 23 maggio 2000, n. 6691, in Dir. fam., 2001, 156, in Giur. it., 2001, 248, con nota E.
BERGAMO, Brevi cenni sui diritti ex art. 540, 2° comma, c.c. riservati al coniuge superstite; in Rass.
dir. civ., 2002, 396, ss., con nota G.R. FILOGRANO, Sui diritti di abitazione e di uso in favore del
coniuge superstite nell'ipotesi di casa familiare in comunione di proprietà tra il defunto ed un terzo; in
Nuova giur. civ. comm., 2001, 586; in Dir. fam. e pers., 2001, 156, con nota W. FINELLI, Il diritto di
abitazione non spetta al coniuge superstite se la casa familiare è in comunione con terzi; in Foro it.,
2001, I, 2948.

78) Cass., 10 marzo 1987, n. 2474, in Vita not., 1987, 750. Sul punto, in dottrina, A. TULLIO, La
successione necessaria, in Nuova giur. di dir. civ. e comm., W. BIGIAVI (fondata
da), G. BONILINI (diretto da), Torino, 2012, 39, al riguardo, rileva come «Neppure compete, al
coniuge superstite, il diritto di abitazione qualora il coniuge fosse titolare, esclusivamente, della nuda
proprietà dell'abitazione, giacché il de cuius, essendo privo del godimento dell'immobile, non può
trasmettere, mortis causa, tale facoltà, all'altro coniuge. Il coniuge superstite, del parti, non acquisisce i
diritti di cui all'art. 540 c.c., nel caso in cui il de cuius fosse titolare, soltanto, dell'usufrutto della
residenza coniugale, tale diritto di godimento essendo temporaneamente circoscritto alla durata della
vita del beneficiario, sì da estinguersi alla sua morte».
79) RQ n. 208-2006/C. In giurisprudenza, ricomprende nel concetto di «centro di aggregazione e di
unione della famiglia (…) tutto ciò che serva ad individuare lo standard di vita familiare oggettivato in
quella organizzazione, inclusi i servizi e, dunque, anche l'autorimessa» G. di Pace, 29 gennaio 2011,
citato in G. OBERTO (a cura di), Gli aspetti di separazione e di divorzio nella famiglia, Padova, 2012,
926.

80) In giurisprudenza, Cass., 13 luglio 1980, n. 3934, in Dir. fam. e pers., 1980, 1121; in Giur. it.,
1981, I, 1, 544, con nota A.C. JEMOLO, Intorno al rispetto dei figli verso i genitori. Stando a tale
pronuncia la casa familiare «va identificata con riferimento ad uno stato duraturo e prevalente nella
convivenza del nucleo familiare, senza che possa identificarsi con gli immobili esistenti nelle località di
villeggiatura, o quelli usati per soggiorni temporanei e connessi ad esigenze stagionali, per se effettuati
con periodica ed abituale ripetizione, e ciò per la mancanza di un rapporto di fatto permanente e
corrispondente alle esigenze primarie dell'abitazione». Cfr., anche, Cass., 27 febbraio 1998, n. 2159, in
Giur. it., 1998, 1704, con nota E. BERGAMO, L'oggetto del diritto di abitazione riservato al coniuge
superstite. In essa si esclude che possa farsi rientrare nel concetto di residenza familiare la casa in cui
era in progetto il trasferimento della residenza, perché ciò che contra è soltanto la destinazione attuale
in concreto. In dottrina, A. TULLIO, La successione necessaria, in Nuova giur. dir. civ. e comm., W.
BIGIAVI (fondata da), G. BONILINI (diretto da), Torino, 2012, 40; A. MASCHERONI, Art. 540, in ,
in Comm. cod. civ., V. CUFFARO e F. DELFINI (a cura di), E. GABRIELLI (diretto da), Torino,
2009, 562.

81) L. FERRI, I diritti di abitazione e di uso del coniuge superstite, in Il regime patrimoniale della
famiglia a dieci anni dalla riforma-Convegno di studi organizzato dal Comitato regionale dei Consigli
Notarili dell'Emilia Romagna-Milano, 1988 , 34 ss.

82) Cass., 6 aprile 2000, n. 4329, Vita not., 2001, 141, con nota R. TRIOLA, Osservazioni in tema di
diritto di abitazione del coniuge superstite; in Notariato, 2001, 357 ss., con nota R. CICCARIELLO,
Il diritto di abitazione del coniuge superstite; in Giust. civ., 2001, I, 2198, con nota G. TEDESCO, I
diritti di abitazione e di uso del coniuge superstite nella successione legittima.

83) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Successione legittima, Milano, 1983, 151.

84) RQ n. 289-2011/C.

85) Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2013, n. 4847, con nota A. MUSTO, La «riconcettualizzazione» dei
criteri di determinazione del valore dei diritti del coniuge superstite nella successione legittima, in
CNN notizie del 26/04/2013; in Nuova giur. civ. comm., 2013, 748, con nota T. PERTOT, I diritti di
abitazione ed uso nella successione legittima del coniuge: la soluzione delle sezioni unite; con
riferimento alla ordinata di rimessione alle Sezioni Unite, 4 maggio 2012, n. 6474, si rinvia a ID., I
diritti di abitazione e di uso nella successione legittima: opportunità di un intervento delle sezioni unite,
in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 773.

86) In dottrina, C. COPPOLA, I diritti d'abitazione e d'uso spettanti ex lege, in La successione


legittima, in Tratt. dir. succ. e don., 3, G. BONILINI (diretto da), Milano, 2009, 106 ss. Ivi per la
bibliografia richiamata. In giurisprudenza, Cass., 10 marzo 1987, n. 2474, cit.; Cass., 6 aprile 2000, n.
4329, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 440, con nota S. MOSCA, Considerazioni sui diritti di
abitazione ed uso del coniuge superstite.

87) G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2013, 163. Diffusamente, in
argomento, A. RUOTOLO, Abitazione del coniuge superstite (rinuncia eredità), in Dizionario
giuridico del notariato: nella casistica pratica, Ufficio studi del Consiglio nazionale del notariato (a
cura di), Milano, 2006, 7.

88) RQ n. 894-2014/C.
89) RQ 3363/C; RQ 5420/C.

90) Cass., 30 aprile 2012, n. 6625; Trib. Roma, 22 gennaio 2015, n. 1413.

91) Cass., 24 giugno 2003, n. 10014, in Riv. not ., 2003, 1621, con nota F.
FORMICA e D. GIANCARLI, Prime riflessioni sulla sentenza della Corte Suprema di Cassazione,
Sez. III n. 10014; ivi, 2004, 547, con nota M. LUPETTI, Concessione di ipoteca dall'erede in parte
apparente e diritto di abitazione del coniuge superstite: un importante monito alle banche; in Giust. civ
., 2004, I, 3063, con nota adesiva V. BELLOMIA, Diritti di abitazione sulla casa familiare ex art. 540,
comma 2, con iscrizione di ipoteca ad opera di terzi: un caso di conflitto tra diritti dei creditori e tutela
della famiglia; in Corr. giur., 2004, 1492, con nota A. NAPOLITANO, Sulla tutela del diritto di
abitazione ex art. 540 c.c. leso da una disposizione testamentaria incompatibile.

92) RQ n. 5519/C.

93) G. MUSOLINO, Diritto di abitazione del coniuge superstite e trascrizione, in Riv. not., 2012,
1389 ss. Sull'argomento, cfr., anche, C. COPPOLA, Questioni in ordine alla trascrizione dei legati
ex lege, in Tratt. dir. succ. e don., Vol. 3, G. BONILINI (diretto da), Milano, 2009, 148 ss.

94) Si noti che secondo il comma 4 dell'art. 1 della legge 560/1993: « Le regioni, entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge, formulano, su proposta degli enti proprietari,
sentiti i comuni ove non proprietari, piani di vendita al fine di rendere alienabili determinati immobili
nella misura massima del 75 per cento del patrimonio abitativo vendibile nel territorio di ciascuna
provincia fermo restando che gli alloggi di cui al comma 2, lettera a), possono essere venduti nella loro
globalità. Trascorso tale termine, gli enti proprietari, nel rispetto dei predetti limiti, procedono alle
alienazioni in favore dei soggetti aventi titolo a norma della presente legge».

95) RQ n. 1715; RQ. n. 36-2006/C; RQ n. 356-2009/C; G.CASU, Studio n. 171-2008/C, L'edilizia


residenziale pubblica. Problematiche notarili .

96) RQ. N. 356-2009/C.

97) R.Q. n. 527-2011/C.

98) RQ. n. 36-2006/C; RQ. 132-2009/C.

99) RQ. n. 343-2013/C.

100) RQ n. 3342.

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