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LA CAVERNA

La caverna evoca immediatamente l’idea del buio e scendere nelle profondità del buio mette paura.
Salire su una montagna riempie di orgoglio, dà un senso di potenza.
Montagna e Caverna sono le due opposte Colonne del Tempio della Natura, nella sua immagine interiore, del
rapporto dell’uomo con se stesso, mentre si muove nel Mondo.
Come due Sorveglianti che si incrociano ad occidente, Montagna e Caverna simboleggiano orgoglio ed umiltà.   
Da piccolo io avevo paura del buio.
Un’altra paura che mi dominava da piccolo era quella delle altezze.
Fu forse accorgendosi della prima di queste paure, che mio padre, un giorno, mi portò al Luna Park e mi
condusse nel castello del Terrore. Avrò avuto 7-8 anni e non volevo entrare in quello strano baraccone: con i
suoi colori della facciata esterna mi appariva strano, contraddittorio, più che terrifico. All’interno però quel buio,
e ragnatele sulla faccia ed improvvisi trabocchetti sotto i piedi, sensazioni di vuoto improvviso, di soffi di vento;
la sensazione di cadere ad ogni passo mi bloccava … Non ce la feci a terminare il percorso; gli chiesi di andar via
e lui trovò il modo di tornare indietro e farmi uscire. Non mi propose più una cosa del genere … Eppure è tutta
una illusione mi disse, niente di tutto questo è vero.
Qualche anno dopo avrei superato la paura del buio, decidendo di entrare nel cantiere di un edificio in
costruzione. Lo feci da solo; fuori c’erano i miei amici, ai quali volevo e dovevo mostrare il mio coraggio. Mi
prefissai l’obiettivo di arrivare al primo piano di quell’edificio, attraverso una scala interna , di cui avevo studiato
il percorso durante il giorno. Mi sarei poi affacciato ad uno degli squarci rettangolari della parete, ove doveva
sorgere una finestra. Non ero certo entrato nella Caverna del Tempio di Iside; nessun Gran Sacerdote mi aveva
aperto il cancello; le prove alla mia vanità erano puerili e non avevano certo le forme tentatrici di una bella
etiope che mi porgeva la coppa della afrodisiaca pozione. Tuttavia ci riuscii e fui pieno di orgoglio. L’immagine
mentale del percorso, studiato durante il giorno, guidava i miei passi come una mappa e illuminava il corridoio
davanti a me, come una torcia, su quel pavimento realmente sconnesso, con ponti di tavole di legno, fra fossati
di cemento, per accogliere tubi e cavi elettrici.
Nell’età della ragione, le circostanze, mi obbligarono ad affrontare anche la paura delle altezze.
Lo feci con una divisa militare, un bel cappello alpino, con una lunga penna nera ed uno zaino sulle spalle,
chiudendo una colonna di giovani, robusti fisicamente e solidi emotivamente, guidati da un baldanzoso, ma
prudente capitano.   
In anni più recenti decisi di entrare nell’interno della montagna, nella caverna iniziatica.
Ancora buio ed intralci lungo il cammino, rumori scomposti e poi armonie, incertezza ad ogni passo ed
ignoranza della meta finale. Questa volta, però, c’era al mio fianco un Fratello Esperto, che sosteneva la mia
volontà assolutamente ignorante, ma fermamente disposta ad affrontare le prove. Le sue mani mi sostennero
paternamente e mi consentirono di superare vittorioso quelle prove. All’uscita da quella caverna trovai tanti
Fratelli, che mi accolsero in mezzo a loro. Il mio orgoglio fu pervaso da un turbamento, che aveva la sottile
tensione della responsabilità.
Oggi penso che la fortificazione della mia volontà e il proposito di non fermarmi alle apparenze, accattivanti od
inquietanti che possano essere, mi hanno dato il coraggio per entrare nella caverna della sofferenza umana,
non da protagonista, ma da accompagnatore, qualche volta da Straniero, nell’esercizio profano del mio lavoro,
per cercare di far riflettere, chi mi sta davanti, sulle contraddizioni che credo di aver colto.
Il buio ha lì uno spessore diverso e la paura è un sentimento più sottile ed insidioso, meno acuto e più
prolungato.
Ho dovuto fare appello a tutto il mio coraggio, per accompagnare mio padre all’ingresso della caverna fra i due
mondi, anche se non ero io colui che doveva percorrere quella caverna, per entrare nella dimensione
dell’Eterna Luce.
Una parte di me che non conoscevo, straniera, una insospettabile forza, che mi ha condotto alla soglia della
accettazione, di quelle cose alle quali non posso oppormi, ma delle quali posso raccogliere il senso, l’eredità, il
mandato da sviluppare.
Se la caverna è un tramite fra due dimensioni, c’è un prima ed un dopo, un cambiamento irreversibile,
propiziato da uno Straniero, che pur tuttavia deve già abitare un angolo recondito del nostro essere. Senza
questa figura, che ci scuote dal nostro smarrimento ed indirizza i nostri passi incerti, non varrebbe la pena di
affrontare quella situazione. Senza la meta non c’è il viaggio, ma solo vagabondaggio. Prima di essere
interiorizzato, il percorso deve essere guidato. Vuol dire che in quel luogo dovremo tornare molte volte, non
sarà sufficiente andare una sola volta; ci saranno false partenze, ci perderemo in vicoli ciechi, più volte ci
capiterà di cadere.
C’è una dimensione strettamente personale ed una che è possibile condividere, del viaggio per arrivare alla
caverna e di quello che prosegue all’interno di essa. Ci sono delle prove comuni, ma per ognuno di noi c’è una
prova, che quella caverna ci chiede di affrontare. Alcune caverne ce le scegliamo; altre ci si parano lungo il
nostro cammino esistenziale. Decidere di percorrerle dipende da noi e ad ognuno di noi lo Straniero dà un
indizio. Può avere il volto di un Fratello; può darci un aiuto lungo la strada, ci può accompagnare al foro di
ingresso. La volontà di uscire dall’altra parte, trasformati, è sola, lo Straniero interiorizzato deve farci trovare la
motivazione ed il coraggio necessari.
Ciaula, il protagonista della Novella pirandelliana, non ha paura del buio della caverna: ha paura invece del buio
della notte:
“ … La paura che egli aveva del buio della notte gli proveniva da quella volta che il figlio di zi’ Scarda, già suo padrone,
aveva avuto il ventre e il petto squarciati dallo scoppio della mina, e zi’ Scarda stesso era stato preso in un occhio …”.
La sua caverna da affrontare non sta dentro le viscere della terra, ma fuori di esse:
“ … La paura lo aveva assalito, invece, nell’uscir dalla buca nella notte nera, vana, ove un brulichio infinito di stelle fitte,
piccolissime, non riusciva a diffondere alcuna luce. S’era messo a tremare, sperduto, con un brivido per ogni vago alito
indistinto nel silenzio arcano che riempiva la sterminata vacuità …”.
Zì Scarda l’aguzzino, paradossalmente provoca, con il suo atteggiamento odioso di quella notte, la parte
remissiva di Ciaula, quella dipendente, dominata dalla paura della morte, che si rinnova ogni giorno. La fa
reagire, la rende indipendente, la sgancia finalmente dal dramma del vecchio minatore; gli consente di
affermare la sua individualità al cospetto della Luna. In quella miniera di zolfo Zì Scarda diventa lo Straniero per
Ciaula, che invece di aggredire piange per la gioia. L’iniziazione della Luna colma questa lacuna della solitudine,
perché crea una dimensione interiore assolutamente nuova, in quell’anima semplice, che la scopre con i suoi
occhi, per la prima volta:
“ … Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola, eccola là, la Luna… C’era la Luna! La Luna! E
Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla
scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che
rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo
stupore .”.
La caverna è dunque una dimensione fisica, ma anche interiore, ove si nascondono le nostre paure, che
acquistano vigore nel terreno della solitudine, ma anche nei nostri intimi preconcetti, che alimentano perverse
relazioni.
Se la luna scoperta da Ciaula è un astro ascendente nel cielo, che lo porta in alto con sé, è calante la Luna che
saluta la Compagnia dell’Anello, che sta per entrare nelle viscere della miniera di Moria. Sembra lì per dare
conforto e coraggio ad ognuno dei Nani, degli Hobbit, degli Elfi e degli Uomini che partecipano all’impresa “ …
Vecchia era la notte, e ad ovest la Luna calante stava ormai tramontando, e sprazzi di luce traversavano le nubi squarciate
…” Siamo nella magica dimensione del Signore degli anelli di Tolkien; lo Straniero Esperto di quel gruppo è

Gandalf lo Stregone, che in quelle grotte sembrerà trovare la morte, facendo riflettere seriamente il gruppo su
quale fosse la motivazione di ciascuno.
Affrontare l’esperienza della Caverna vuol dire iniziare a mettere ordine, fra i cassetti della apparenza, della
immaginazione e della realtà. Però, questo processo non si può innescare finché siamo fermi, immobili,
"incatenati gambe e collo", come dice Platone, alle rocce delle nostre idee, niente altro che ombre proiettate su
di un muro, con la complicità di un fuoco acceso. Dal momento in cui l’intervento di uno Straniero ci consente di
muoverci e vedere più da vicino quelle immagini riflesse, dobbiamo allora immaginare una realtà diversa da
quella che credevamo immutabile, quando immutabile era solo la nostra posizione rispetto ad essa.
Quando devo pensare a qualcosa, cominciare a concepire un nuovo progetto, nella mia testa, sento il bisogno di
muovermi, di camminare, di mettere in movimento i miei pensieri.
La morte terrorizza e le apparenze confondono … Ma quale è la verità? La morte abita la Caverna; ma la morte
può essere una illusione?
Sappiamo che alcuni maestri, alla ricerca della Illuminazione, entravano in una condizione di morte apparente e
vi rimanevano giorni e giorni, isolati da tutto e da tutti, in una spelonca dei sensi e della coscienza.
Con l’esperienza del digiuno, provando il freddo, in silenzio, entravano nelle caverne del loro stesso corpo; le
caverne dell’aria, i polmoni, in quelle della trasformazione della materia, i visceri intestinali, ricordando la
caverna uterina, ove, immersi nell’acqua, erano stati prima della loro nascita.     
Una specie di scommessa con la morte, che poteva avere anche la meglio sull’uomo che la sfidava, ma spogliata
di ogni retorica, di ogni sovrastruttura terrifica.
Il senso comune profano ci fa dire spesso: ”… la morte è ingiusta …” e talvolta ancora “ … quell’uomo meritava
di morire ...” Tutti pronti a brandire la spada o il pugnale, a spargere quel sangue prezioso che dovrebbe essere
versato solo per una causa giusta e sacra.
La morte del Maestro Hiram è ingiusta, così come l’uccisione di Abhiram dovrebbe essere un atto di giustizia.
Ma è proprio così? Oppure può esservi una apparenza di Giustizia?
E’ come pretendere di togliere muffa da una parete coprendola con la vernice. Continuerà ad affiorare. Abhiram
è caduto sotto i miei colpi, ma rinasce senza tregua.
Quella spada va messa allora in posizione di riposo, accanto all’urna del Bene, come indicato negli emblemi del
5° e del 7° grado del Rito Scozzese, al quale ci conformiamo, ove il Maestro è Perfetto ed il Giudice è anche
Prevosto.
Bisogna andare oltre le apparenze, per capire come rendere vera giustizia al Maestro e come difendere la sua
Urna.
Mosè spinse il suo giudizio oltre ciò che esteriormente sembrava giusto, ma che era contrario alle Leggi della
sua particolare condizione di Iniziato. Fu per questo motivo che abbandonando la sua condizione di privilegio,
di principe d’Egitto, entrò nel sotterraneo del Tempio di Madian, nel Sinai.
L’uccisione di un soldato egizio, che percuoteva un inerme schiavo ebreo, rappresentò la svolta drammatica
della sua vita. Nel tradimento di una iniziazione, che gli proibiva di macchiarsi del sangue altrui, percorse il
sentiero di una opposta; rovesciò le prospettive morali, e trasformò un atto di giustizia sommaria in una
espiazione e illuminazione, sul vero senso della Giustizia.
C’è un tortuoso cunicolo, nella Caverna della Storia, che ho deciso di non percorrere, anche se ne sarei tentato,
che parla di un fratello messo a forza in una cisterna, venduto come schiavo, divenuto potente nella terra ove
giunse come schiavo. In ogni schiavo ci può essere un Principe, per le sue capacità, per il credito che può
ottenere. Alcuni cunicoli ho provato a percorrerli, ma poi sono tornato indietro; ho avuto la sensazione mi
deviassero dal percorso.
Mi fermo dunque a dire che Mosè è per così dire un Cavaliere Eletto, che entra nella Caverna della sua natura
umana istintiva. Egli reagisce istintivamente e sommariamente, alla provocazione del sopruso; cade così nella
trappola della violenza che richiama violenza, viene confuso dall'apparenza della Giustizia. Se gli servì coraggio
per compiere il gesto, ma ben più coraggio gli occorse per trasformare la sua vita. Fu in virtù di questa seconda
vita che egli entrò nella Storia e il suo nome non cadde nell’oblio, sepolto nella grotta sul monte Nebo, ove egli
morì.
Un’altra grotta avrebbero atteso Mosè e per un diverso motivo. Sarà la Caverna sull'Horeb, nella Regione del
Sinai, a consacrare definitivamente Mosè quale Guida del suo popolo, Leader profetico investito da Heloim.
Se è vero che a lui vanno attribuiti i primi capitoli del Libro della Genesi, la sua persona si completa, dopo
l'opera intellettuale, attraverso l'azione politica, secondo la Sublime Architettura.
Qual è la lezione della Storia, che coltiviamo fin dal IV° grado?
Ho imparato che, ogni giorno, si può rendere onore alla memoria del Maestro ucciso, oppure possiamo
pugnalarlo un’altra volta. In ogni cosa che faccio c’è sempre una questione di vita o di morte, per chi mi sta
accanto, se valorizzo l’altro come persona, nella sua originalità, nella sua unicità. L’impulsività non sempre è
armata di pugnale; qualche volta si serve di altre armi, quelle intellettuali, ad esempio, che non sono meno
taglienti e letali di quelle materiali. L’impulsività si nutre di ogni sofisma, di ogni sottigliezza dialettica, che svia
dalla ricerca della verità. La violenza trae vigore dall’orgoglio, che vende per sentenza qualche facile deduzione
e mai ammette l’errore, necessario presupposto della crescita interiore. L’assassino del maestro rinasce senza
tregua in ogni nostra vanità, che trattiene la nostra anima in quella caverna, senza farla uscire da essa per
renderla libera, nel cielo della immortalità.
Se la montagna è la coscienza dell’uomo e se essa si fa sviare in tal modo, è comprensibile che essa sia coperta
di sterpi.
Nei sotterranei dei Templi di Iside un intreccio di rami resinosi, disposti sulle griglie di una botola, davano
l’illusione della fornace.   
Mosè, sul monte Horeb, prima di incontrare il Maestro dei Maestri, si trovò all’ingresso di una caverna, protetta
da riarsi cespugli di terebinto.
Ancora illusioni, che la ragione deve vagliare e superare, per cogliere la lezione di ogni esempio, di ogni mezzo
empirico per progredire nella conoscenza.
Illusione di protezione, per chi cerchi di scappare, senza capire, senza confrontarsi, senza ricredersi;
illusione del blocco del tempo, perché nel buio si perde la cognizione del tempo, come la persero i giovani della
Sura 18 del Corano, che “ … accettavano la verità ed erano meglio guidati dei loro anziani”. Nella Caverna di Al
Kahf, costoro rimasero per 300 anni e credettero di avervi soggiornato una parte di un giorno.
Il terebinto è un arbusto di cui ogni parte può essere usata:
il suo legno si presta ad essere levigato, le sue bacche sono commestibili, ed anche afrodisiache; Con le galle
indotte sulla pianta da alcuni afidi si conciavano le pelli; si poteva ricavare anche una bevanda medicinale.
Illusione anche questa?
Credo di sì perché è importante capire quale parte di noi nutrire, quale parte scaldare, quale curare. La nostra
identità dovrebbe essere ricostruita su quella parte di noi che vuole cambiare ed uscire dalla caverna, lasciando
morire quella parte che vuole rimanervi. La caverna iniziatica è un luogo di trasformazione, non di tortura,
prepara alla vera vita che va oltre la morte delle apparenze, rappresenta la rinascita dello spirito, non la sua
discarica: non è la Geenna di Gerusalemme.
Scalare una Montagna riempie di orgoglio, ma c’è forse meno coraggio ad esplorarne le viscere?
Il coraggio, per me, sta nel mettere alla prova le mie false certezze; sconfiggere definitivamente la mia paura del
buio e delle altezze vuol dire accettare i miei limiti per superarli, imparando dagli altri, nel confronto paziente,
umile e tenace.
Rimuovere gli sterpi vuol dire per me rimuovere gli orpelli intellettuali, le seduzioni logiche, il canto delle sirene
delle retoriche vuote. per dare una svolta operativa, concreta, tagliente e netta come un pugnale all’azione,
animata dalla spinta morale.
Che io possa servirmi concretamente di quegli sterpi, che ostruiscono la porta della caverna, all’ingresso, così
come all’uscita. Che io possa accendere un fuoco con quei legni, come fece Pinocchio, iniziato dalla fantasia di
Disney, per far aprire la bocca al Mostro Marino e guadagnare così l’uscita dalla caverna dello stomaco.
Era stata dura ma ne era valsa la pena a nulla valsero le brame del Mostro. In quella Caverna il burattino di
legno aveva ritrovato suo padre e la forza vivificante dell’amore, che lo fece diventare uomo.
Ho detto
Fr:. Alessandro Milanfranchi IX°

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