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DARIO BELLEZZA
Dario Bellezza è nato a Roma nel 1944. Scoperto e lanciato da Pier Cerca
Paolo Pasolini, si è imposto all’attenzione del grande pubblico con
l’Innocenza, romanzo breve presentato da Alberto Moravia. Ha
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pubblicato, di poesia: Invettive e licenze (Garzanti, 1971), Morte
segreta (Garzanti, 1976, Premio Viareggio), Morte di Pasolini
(Mondadori, 1981), Libro d’amore (Guanda, 1982), Io 1975-1982
(Mondadori, 1983), Serpenta (Mondadori, 1987), Libro di poesia ! "
(Garzanti, 1990), L’avversario (Mondadori, 1994), Proclama sul
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(Rusconi, 1986), Nozze col diavolo(Marsilio, 1995). Di teatro: Salomè (Libria, 1991), Testamento di sangue La poesia della settimana
(Garzanti, 1992). Di saggistica: Il poeta assassinato. Una riflessione, un’ipotesi, una sfida sulla morte di Pier
Paolo Pasolini (Marsilio, 1996). Per Garzanti ha tradotto l’intera opera di Arthur Rimbaud, suo poeta di
riferimento soprattutto negli anni della giovinezza. Malato di AIDS, è morto nel 1996 a Roma. Articoli recenti

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8 Marzo 2023

GIANI: TRA FISICO E


METAFISICO
POESIE 7 Marzo 2023

Per sempre FOTOTESSERA DI FABIO


Eri una emozione per vivere, BARBON
per stridere durante il pasto 28 Febbraio 2023
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GUERRA-WAR, antologia
italiano-inglese Traduzioni e
Accuse per andare avanti.
cura di Paolo Ruffilli
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17 Febbraio 2023
al delitto del non detto
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O rima che dirti non sapevo Archivi Articoli
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Marzo 2023
di terzine squilibrate
Febbraio 2023
sul dolce stil vecchio della
Gennaio 2023

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Musa canterina a presiedere Dicembre 2022


gli ozi di Sodoma. Dirti Novembre 2022
che ero pieno di sonno . Ottobre 2022
se l’immortalità era un pio Settembre 2022
desiderio, lugubre sospiro Agosto 2022
ti avrebbe annoiato. Luglio 2022
Talvolta una stradina Giugno 2022
mi risucchia indenne Maggio 2022
dove non alberga strepito di auto; Aprile 2022
allora sciolto dai tuoi lunghi Marzo 2022
sensi camminare ti vedo per sempre. Febbraio 2022
Gennaio 2022
Roma 1989 Dicembre 2021
È avventizio il mio essere reale. Novembre 2021
Sleale è insistere su chi sono io. Ottobre 2021
‘Il punto partenza e scontato Settembre 2021
l’arrivo è certo nello stato Agosto 2021
attuale: morte come sostanza Luglio 2021
o strato finale di un cuore malato. Giugno 2021
Oh, vorrei rinascere, ritornare indietro Maggio 2021
ma non posso. Troppo ho peccato Aprile 2021
di peccati non miei, attribuiti Marzo 2021
a posteri, mancati inganni. Febbraio 2021
Cerco amori nuovi, violente sere. Gennaio 2021
Perdono chiedo a chi non amai. Dicembre 2020
Forse verrò domani ad un prato Novembre 2020
verde, e non sarò più solo. Ottobre 2020
Settembre 2020
In Calabria
Agosto 2020
Davanti immacolate montagne
Luglio 2020
nel sole meridiano indicano
Giugno 2020
al viandante la sosta e la calma.
Maggio 2020
Ma fino a quando? E io chi sono
Aprile 2020
se ancora ardo di voluttà segreta
Marzo 2020
nel giorno finito, anzi nei giorni
Febbraio 2020
finiti del mondo caduto?
Gennaio 2020
Dicembre 2019
La casa è decrepita
Novembre 2019
come piace a me, ma troppo tardi,
Ottobre 2019
mi dico, è arrivata, come tutto
Settembre 2019
ormai tardi è arrivato agli umani.
Agosto 2019
Panni stesi al balcone al vento
Luglio 2019
del Pollino, letti disfatti, aurore
Giugno 2019
così si placa nel risentimento
Maggio 2019
la vita che ci è data vivere.
Aprile 2019
Il mio io è distrutto, non esiste:
Marzo 2019
la realtà è un nome assiderato.
Febbraio 2019
Gennaio 2019
A Elsa Morante
Dicembre 2018
I ragazzo drogati, guardie del corpo
Novembre 2018
dell’Assoluto, vanno per il mondo
Ottobre 2018
mattutino fino alla sera della loro
Settembre 2018
sopravvivenza: come passerotti

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mangiano distrattamente Agosto 2018


tutti presi dai loro sogni d’avventura. Luglio 2018
Giugno 2018
E la sciagura che li coglie per strada Maggio 2018
e li fulmina pienamente stecchiti Aprile 2018
li lascia preda delle iene umane Marzo 2018
che scrivono i loro necrologi sui giornali. Febbraio 2018
Gennaio 2018
Le loro dita sono piene di anelli,
Dicembre 2017
la loro grazia bugiarda di mentire
Novembre 2017
sa che io non ho bisogno di droghe.
Ottobre 2017
Settembre 2017
E mi guardano come un povero reietto,
un infelice, ma troppo non m’offendo.
So che vanno per le vie del mondo
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con in bocca il sapore della polvere
e del tossico:
strepito vano è il loro baloccarsi
bambino, orgoglio luciferino
di chi si consuma, strugge come cera,
ma anche così la mia voce smorta
li vorrà sempre al mio capezzale.

Il mare di soggettività sto perlustrando


Il mare di soggettività sto perlustrando
immemore di ogni altra dimensione.
Quello che il critico vuole non so dare.
Solo oralità invettiva infedeltà codarda petulanza.
Eppure oltre il mio io sbudellato
alquanto c’è già la resa incostante
alla quotidianità. Soffrire umanamente
la retorica di tutti i normali giorni delle
normali persone. Partire per un viaggio
consacrato a tutte le civili suggestioni:
pensione per il poeta maledetto dalle sue
oscure maledizioni.

Dio mi moriva sul mare


Dio mi moriva sul mare
azzurro, sul suo pattino dove
mi aveva invitato ad andare.

Ma fu la gelosia, la normalità
dei ragazzi a spingermi a rifiutare,
ad alzare le spalle alle battute salaci.

L’odore del mare riempiva


le navi e tu cantavi negli occhi
ridarella di vittoria.

Fuori di me
Alla follia, non badate, datemi retta!
Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui

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immergere la vostra vita perduta dietro


l’apparenza delle cose. Cercate l’immortalità,
l’eterna questione del mare splendente
dentro il sole di giugno che diventa nero
a notte e scompare nelle tenebre.
Io dimenticato relitto di una civiltà
passata sono il solo che piango i defunti
miraggi di un’età morta e ancora
coprendomi di ridicolo scrivo lettere
d’amore a traditi amori di un’epoca trascorsa,
la giovinezza, e ricordo lo studente
che piegava la sua retta immagine
a misurare l’angolo della sua carnale diversità,
a versare nel seno asciutto di una madre
occasionale la solitudine futura dei suoi
giorni tutti uguali. Lasciatevi andare
verso il mare della vita! Assaporatene
la musica sbiadita, e trionfatore sarà
solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!
Mentre io ancora scriverò che il poeta
chiude in stremate parole il suo cervello
mirando il muro in alto della sua stanza
e le poesie scivoleranno via, senza pietà,
e nessun Dio le registra, incarnandosi per un attimo.
Il ritmo non sa di mirtillo acerbo
e piegarsi sulla bianca pagina di un diario
il meglio dell’ispirazione fa in un fiato dileguare.
Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone
di un deserto da percorrere in una torrida
estate, senza acqua raccolta nella gobba
di un domestico dromedario, e la mia poesia
definitela con crudeltà e livore come lubrica,
oscena, interessata e manigolda consigliera
di sventura o furto di anime giovanili
in cerca di nuove reincarnazioni.
Sappiate però che brucio di gioia, di allegria
feroce dentro la mia casa buia, prigioniero
di calamitose idee, slabbrando la mia merda
in privata visione senza lo scempio
di immagini e talenti altrui. Sono un genio
geniale che la vita spassa da un dolore all’altro,
teatrale, senza ferite apparenti che non siano
d’amore, piaghe purulente lasciate da una donna
fatale che nessuno conosce.
Slabbro la mia merda in privata visione:
ghirigori collettivi e birbanti.
Muratemi in una galera con la bibbia e i santi.

Dopo un anno, feroce giorno


in cui un poeta è caduto
1976
Pasolini sparito, ucciso come un cane bastardo

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in una sgomenta periferia di fango in un giomo di novembre


mai più ritornerai in questa Italia del miracolo
dove la tecnocrazia fra poco trionferà, il conformismo
dei nuovi padroni, laidi nazisti atei o cattolici di un dissenso
solo nominale che perseguita i diversi, distruggendo
ogni anarchia, ogni bellezza ideale;
vista mai dimenticata per te vivendoti accanto
per tanti anni ormai poeta dimenticato, incrostato
nelle tue menzogne radiose di poeta civile
sublime compagno di notti in terra ferma
parlando di libri e di amori.

Pasolini, ti hanno ucciso, non meritavi di morire


né di vedere lo scempio del tuo corpo sacro
mentre tutti i poeti ermetici neorealistici o avanguardisti
coprono con le loro poesie di fetore l’umile Italia
e il mondo, né sanno quando tutto prenderà la via dell’Eterno
e le morte stagioni sapranno l’odore della tua scomparsa
immedicabile ferita mi avanza per tutto il resto della vita
abbandono il sentimento e la fortuna vuole che io sappia
sopravvivere al lutto, ma è come fosse ancora il primo giorno
della tua partenza da questo unico consesso dei vivi.

A Pier Paolo Pasolini


Non mi rassegnerò mai alla tua morte.
Sei stato così indispensabile per me, così necessario
che a pensare che la terra più non ti prevede, e la
vita ti ha abbandonato urlo di un dolore
senza tregua o pace in qualche conforto. L’idea
che non avevi nessuna voglia di morire, pur
se come tutti i poeti la morte l’avevi tante volte
invocata, fino ad esorcizzarla, mi fa terrore.
Non volevi morire, lo so; non così almeno, ucciso,
dilaniato, calpestato, e questo limite assurdo
del destino mi colpisce come una violenza incredibile.
Vieni a dirmi perché sei morto, perché ci hai lasciato,
se esiste Dio in qualche parte del Creato!
Tu solo eri intelligente e padre tanto
da acquietare la mia fame e sete di pianto!

Vedi: ti rendo omaggio con qualche stenta rima;


tu mi hai voluto poeta, ed io mi sono reso
tuo schiavo, tu hai difeso in me la diversità
e io ho compensato il mio fare con la tua cortesia
di lettore attento e curioso. Com ‘eri intelligente,
caro Pier Paolo, com’eri strano e misterioso;
come ci hai lasciato qua tutti orfani di un padre
che non volle mai essere padre ma che lo era, negli atti,
e nelle parole, più padre di tutti., più maestro.
Ti ho tradito anch’io tante volte, ma eri così
presente, cosi sempre necessario da dover distinguere
con te ogni riga che scrivevi per non sentirmi soffocato;
ma tu amavi tanto la tua libertà da amare nella tua

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quella altrui, e la mia consigliavi amorosamente


distratto e divino.
Non mi consolerò mai della tua scomparsa, e ti andrò
cercando ormai solo in quel pianto che è la memoria
dove non c’è spazio per la vita, o per l’ansia di incontrarti
ancora, a Sabaudia, al ristorante, a casa di Elsa o di Laura!

Vere lacrime mi bagnano le guance, ora, e scrivendo


questa mia testimonianza non mi vergogno di essere
sentimentale. Ci si accorge di tutto l’amore che si aveva
per qualcuno solo all’atto pratico della sua morte.
Non la volevo, né la prevedevo. E ora che è una realtà
che offende e brucia dentro senza tregua, scusa, caro
se ricordo al mondo quello che, morendo, ha perso.
Una luce, uno spazio infinito di poesia, un cuore
tormentato e quieto nella sua voglia di vivere.
I tuoi nemici avranno gongolato. Uno di meno, hanno
detto. Vergogna! Vergogna! Piangete, ragazzi, almeno
voi la morte di Pier Paolo; nessuno piu di voi può
essere lì dove Pier Paolo voleva vivere e operare.

L’avversario
Non furono immagini, raggianti e regali
immagini del reale salutare il mio forte:
il forte di ogni ora rimescolata, nella
siesta o controra della brame assolute.
E trascorsi i secoli in ghingheri
trasecolammo con scheletri tardivi di Musa
antiquata lungo le cime dei monti Tiburtini
invano cercati da mani infantili.
Non cercammo i cuori lacerati e indecisi
né il lieto sapore dei muscoli d’Acciaio.

Si, immagini, rumori: mai il mio forte,


il vero forte, o panforte della poesia.
Truccata idea dai sensi inquieti
o calpestati singhiozzi nel letto
ospite e ospitale, orinale mentre tendo
l’orecchio alla salita delle scale,
le mani collegiali chiuse e derise
dentro la palma umida, liquida,
vivendo al capestro le sensazioni virginali.
Stanze illuminate, poi. Garbate
ingiurie del vino, ma il giorno è
passato ormai, orfano innamorato
agitandomi in piedi, in ansia: apro
la finestra nel freddo lunare
spio la mortalità terrestre e serale:
tombale silenzio, e noia, noia
calamità naturale del poco amarsi
nel riaccendere la luce
perché svaniscano gli incerti fantasmi della notte.

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Da Angelo, 1979
Non sono né invincibile ne Dio;
ma mortale assaporo i sapori più forti della vita
e vomito, considerandomi fallito
agli occhi di Dio.
E tu, donna, vienimi incontro.
Portami in salvo. Brucia le resistenze.
Satana mi vuole perduto e peccatore.
Io devo smettere l’orgoglio
di sapermi diverso, irreale
amante dei diversi.

Ho deciso di non più frequentare la tua perfidia


Immonda di terrestre consumato dall’invidia
Delle mie celesti opere che nel mondo illuminando
La verità del destino, il fato aguzzino dei soavi
Ragazzini incatturabili dai mostri osceni e turpi
Come te, lasciano l’irrealtà, per sprofondare
Nella mia straordinaria coscienza. Dilato
Il mio giudizio su di te, corruttore di bambini
E straripante lemure che la ristorante mi afferri
E con le tue stregate pargolette di scostumato
Poeta di periferia, m’infilzi, bivaccando
Presso i barbari drogati dell’Assoluto Relativo.
Non sei niente, ma vorrei assistere al tuo funerale.
Vederti mentre mi vedi
Venire al tuo funerale senza poter obiettare
A questa assente presenza che sarei io, a lutto
Vestita, in attesa di parlare di te
Al ristorante con i miei cortigiani.

Andiamo a rubare
Andiamo a rubare: il furto si addice a un poeta!
Nessuno veramente sa che cosa sia, intero,
un poeta! Un grande sapiente o veggente?
Magari! O soltanto un criminale! Un ladro
di lumi, di vite clandestine vissute
nel silenzio dei giorni tutti uguali.

Ma non saprai giammai perchè sorrido


Ma non saprai giammai perché sorrido.
Perché fui il pedante Amleto
della più consolatrice borghesia.
Perché non ho combattuto il Leviatano
Stato che vuole tutto inghiottire
nella macchinosa congerie
della sua burocrazia inesorabile.
Ora mi nascono le unghie come ai morti.

Nella luce fioca mi lecco


Nella luce fioca mi lecco
le ferite mortali e la mia
anima foglia leggera va

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in cerca del Padrone


Chi è nell’ombra solo sa
quanto il giorno è mortale
Bianca statua solare
che non incanta più la mia
morta anima.

*
Forse mi prende malinconia a letto
se ripenso alla mia vita tempesta e di
mattina alzandomi s’involano i vani
sogni e davanti alla zuppa di latte
annego i miei casi disperati.

Gli orli senza miele della tazza


screpolata ai quali mi attacco a bere
e nella gola scivola piano il mio
dolore che s’abbandona alle
immagini di ieri, quando tu c’ eri.

Che peccato questa solitudine, questo


scrivere versi ascoltando il peccatore
cuore sempre nella stessa stanza

con due grandi finestre, un tavolo


e un lettino di scapolo in miseria.

E se l’orecchio poso al rumore solo


delle scale battute dal rimorso
sento la tua discesa corrosa
dalla speranza.

*
Se un poeta, io, regalo al cupo silenzio
della notte metà del tempo che m’ incalza
ostinato inquisitore di un corpo
sbalordito dall’abitudine, decomposto,
in ansia perpetua di non lasciare traccia
di sé nei corpi altrui o stampo caldo
nelle fresche leggere menti adolescenti

né la Storia, l’ordalia infernale


dei tiranni assetati di sangue e morte
non considero, ne viene anzi, rabbia,
sgomento, urlo lontano nella gola secca,
pianto sommesso o gridato, abbiate pietà!,
vi scongiuro, trattenete l’angoscia che sale
alle mie stanze, feritela, fate qualcosa!
grida la mia voce isterica e arrotata
dallo snobismo clientelare con il Diavolo;
ne viene tutto come meta finale un nulla,
un ghiacciato nulla senza escrementi
o virtù viziosa di drogato. Talché scrivo

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in privato, di nascosto, che nessuno sappia,


per carità, madre di un attimo, amante
passeggero dentro un treno o una fratta,
scrivo un testamento o calendario, a seconda
dei temi giornalieri destinati dal Caso,
non umili o meschini o facili o malati
ma sempre datati come ogni cosa deriva
dall’anno il suo profumo e la menzogna,
spera di trovare l’occaso salutare
fuori di qui, terra bruciata, di nessuno
di là dal mondo certo e pellegrino.

*
Racconto l’affamato scontro di due vite
per impietrare nella vita idiota
la promessa felice della vittoria
sul ricordo del lupo e del pugnale
e voi assonnati adolescenti odorosi
di fumo presto sfiancati dalla maturità
rispettate il codice cupo di chi vi volle
strumento assurdo dell’eternità.

Il pane muffo e le patate bollite che mangiai


con uno di voi sonnolento buffone meritano
la muffa eterna della vigliaccheria o
la forza della misericordia che s’elimina
crescendo verso la dolcezza estrema
del suicidio più lento: vivere.

*
Come le stelle da secoli spente
ancora inviano lor luce splendente
ai nostri casti occhi che guardano
la luna e le stelle e tutto
il firmamento remoto,
amore solitario
il tuo pallido ricordo
arriva in ritardo all’appuntamento
sperduto nella vastità
della mia solitudine.
Arriverà la notte suicidale
a ricoverarci lo spremuto
cervello che s’accende ancora
di questo deserto e spaventoso
“A presto!”

*
Amato o no il mondo era vero
vero simulacro del fabbisogno di Dio
sembrava un sogno ad occhi aperti
occhi aperti sugli abissi e i confini del sonno
Sogno o son desto era il mio motto
le parole del cuore consolavano i pianti smisurati

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gli assalti del cuore raggelavano i pieni


del cinema – la voluttà di baciare
Liside era spenta nelle braccia della fortuna.
Chiamate il bisogno – amaro o dolce –
della carne più sincero di ogni strazio
e ogni pentimento della ragione silenzio accorato.

LA PATRIA E’ LA LINGUA
Per una mattina il male e il vero si confondono;
nessuna bestemmia per l’opera esaurita
da chi, come me, non spazia più nei sentieri
della poesia. Forse sbagliai arte, la sovrumana
fine non cercai con accanimento; non avevo
mestiere; così passai ad invidiare i pittori.
Ma quali? I mentali, tutti figurativi
e anormali, astratti e immaginosi vigliacchi
nel rifiuto dell’Antico e della Tradizione,
ma virili nell’accettazione del Caos
del mondo moderno. Creatori d’immagini, sì,
beati, mentre il poeta s’arrangia anche
in estreme parole, afferrando, magra
consolazione, che la sua patria è la lingua!

Assassino, scuoti il poeta, discreto infantile


tessitore d’inganni, scuotilo, con la tua magia:
fallo fuori con gli occhi della mente bruta;
calpesta l’orgoglio di chi rimane attaccato
alla Realtà! La Realtà non esiste, ma esiste
un mattino in cui ci si sveglierà perfetti
e ciechi nella ridondanza dei corpi,
o della loro fresca resurrezione. E noi saremo
là, angeli di fiamma e ghiaccio, a cantare
la gloria del Signore per aver saputo
registrare l’orrore del mondo mendico
in Marocco o a New York, non ha importanza.

*
La sedia di paglia si è rotta,
ne conservo solo lo schienale.
Fu regalo di un amico defunto
ormai sparito, suicida, arrivato
nel buio calmo degli Inferi.
A presto mi dice nel sogno
a presto dentro la stufa aspettando
l’Inverno dove butterai lo schienale
e della vecchia sedia non resterà
traccia, come noi mortali.
Diventerà fuoco, poi brace
piena di tizzoni ardenti
sfrigolando nel pianto sommesso
della cenere.

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Tu, tu,
sempre tu
calzando mattutine babbucce
ti riscalderai al fiato
solenne di una statua
bottiglia di Centerbe.

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