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liturgica.
Prof. Cerruti di origine tra Roma e Napoli, abita a Firenze, sposato 2 figli,
oltre ad insegnare Teologia Morale Fondamentale ed è prof di Religione a
Firenze, ha fatto studi teologici a Roma.
Quelli del giovedì scorso le troviamo sulle pagine personali del prof. Tomasz
Grzy e la prof. Toschi Nadia.
Oggi il prof fa una lezione più sintetica di quello che troviamo sugli appunti
di caricare.
Razionalità come paradigma etico.
In questa lezione il prof cercherà di dimonstrare come la relazione
personale della persona le è fondante in ogni situazione personale.
Diventa un dato antropologico costitutivo. Non si può escludere questo
elemento che coinsiste nelle sue relazioni con glia ltri.
Senza la relazione interpersonale la personale la persona resterebbe un
mistero insolvibile.
Relazione come situazione costitutiva. Non è una aggiunta o una circostanza
dell’agire morale ma è una cosa costituente.
Una persona perfezionata o perfetta è una persona virtuosa.
Non esite la perfezione della persona senza la vita relazionale.
La dimensione relazione deve essere presente in ogni riflessione di morale e
anche in morale speciale.
Che cosa stiamo indagando nella lezione di oggi?
Vogliamoindagare ciò che è la nostra consapevolezza morale, ciò che
pssiamo chiamare coscienza personale.
Consapevolezza morale, con+sapersi dal punto di vista morale.
La consapevolezza morale è un esperienza interiore.
Quando questa consapevolezza morale sorge dentro di noi, quando ci
accorgiamo di essere sottoposto ad un’istanza del bene e del male?
Per arrivare a questa risposta mi propongo di fare un piccolo percorso in tre
tappe, piccoli passaggi.
Non sonotre momenti da considerare cronologicamente.
Ma in queste tappe possiamo capire diversi livelli in cui trovare la nostra
consapevolezza.
1)La relazione con il mondo
2) La genesi della consapevolezza di se
3) Genesi della consapevolezza di sè nell’esperienza di responsabilità.
Il testo biblico di riefrimento è Genesi 2,4b ss
Il prof ci propone di fare un esercizio da fare con i ragazzi, provate a far
sviscerare il rapporto che c’è tra le mie relazioni e la mia consapevolezza.
Proviamo a scrivere un curriculum vitae.
Quando parlo di me dico il mio nome e cognome, poi c’è la mia genealogia,
il luogoe la data della mia nascita, le scuole dove siamo andati, gli insegnanti
che hanno avuto un ruolo particolare con me, i sacerdoti, le esperienze, etc
No parliamo di noi in questo modo. Di per se parliamo delle cose che sono
fuori da noi stessi. Ciòche so di me stesso sono le relazioni in cui mi sono
trovato. Non solo relazioni con persone, ma anche con luoghi, con il tempo.
Tutte queste cose parlano della nostra irreperibile identità. Non è lo stesso
nascere e crescere in Italia, in grecia, in Polonia o in Africa. Essere nati oggi,
nel medioevo o nella preistoria. Così nascere come figlio di contadini, di
artisti o essere figlio con un solo genitore. La nostra coscenza è costituita
dalle nostre relazioni, queste relazioni costituiscono la consapevolezza di se.
Sono le relazioni che dicono la mia identità.
Lui non chiede neanche cosa deve chiedere, nn chiede cosa deve pensare,
quali riti religiosi deve compiere.
Non dce chi si salverà. Chiede cosadevo fare qui ed oggi per arrivare ad
ereditare la vita etrne nella sua interezza.
Probabilmente per gl ebreinavere conoscenza di questo non doveva essere
facile. Al tempo di Gesù c’ernao i mizuot 613, (448 ossa comandamenti
positivi, e i precetti negativi) precetti registrati nella tradizione talmudica
che contenevano le prescrizioni, sociali, alimentari, morali che guidava la
vita degli uomi.
uesta moltitudine di precetti creavano molti problemi di discernimento sulla
gerarchia di questi precetti. Un avolta gli fu chiesto quale era il
comandamento più grande.
La domanda più importante è Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?
in questa visione in cui erano presenti tutta quetsta serie di cose di fare era
un po come se venisse ricompensato da Dio con la vita eterna per quello
che aveva fatto seguendo i precetti che “Dio “aveva dato.
Non bisogna subito pensare nella vita dopo la morte, il dottore non chiede
come è fatta la vita eterna, ma sembra che sia interessato al presente in
vista della vita eterna. Quando la vita umana èpiena di eternità, come posso
fare per superare il limite di questa vita.
Gesù risponde con un’altra domanda, non gli da una ricetta pronta o gli
propone la gerarchia tra i 613 precetti.. Gesù vuole stimolare l’interlocutore
affinchè si risponda da se.
Gesù dice, tu che sei esperto che hai in mano ogni giorno la torah risponditi
da solo.
Amerai il tuo Dio e amerai il tuo prossimo come te stesso, il dottore rispose
in amniera perfetta. In un certo senso la sua risposta è anche originale
perchè mette insieme due testi dell’antico testamento che non sono vicini,
dal Deuteronomia 6, 5 e dal levitico. Originale è l’accostamento senza dire
quale dei due è più grande. Ne parla come se fosse un unico
comandamento.
Siamo qui di frnte ad una risposta nuova, creativa e molto origuinale. Gesù
dirà hai risposto bene e lo loda pubblicamente. Anche qui Gesù aggiunge, fai
questo vivrai. Si torna all’agire, all’azione concreta del fare. La vita piena è
questione del fare quindi è una questione morale. A questo punto il dottore
della legge si trova in difficoltà. Poi il dottore della legge chiede chi è il suo
prossimo, volendosi riscattare per mettere in difficoltà Gesù chiede chi sia il
suo prossimo. Con questa ulteriore domanda morale si rimanda alla
consapevolezza morale che viene generata nel rapporto con gli altri.
Riflettiamo ad entrare dentro questa domanda “chi è il io prossimo?”
Quale è la domanda che uno si fa per sapere chi è il suo prossimo?
Porre questa domanda vuol dire cercare di definire il suo limite. Ccercare di
definire il limite, l’orizzonte per me. Se si dicesse che tutti sono prossimo il
concetto di prossimità non avrebbe più senso, si dovrebbe dire tutti. Così si
vuole capire fno a dove arriva la mia prossimità. Fino a dove devo amare.
Una domanda così sa di relativismo Lui vuo, sapere che è che rimane fuori
dal limite dell’obbligo morale di prossimità.
Il popolo di Israele si considerava eletto e l’alleanza lo fece diventare popolo
esclusivo di Dio, in alcuni ambienti questa cosa ha degenerato pensando che
questo sentimento di appartenenza a Dio fosse una cosa di esclusività. Così
essere prossimi per il dottore della legge doveva essere sicuramente
qualcuno che faceva parte del popolo eletto di Dio. Pensiamo che gli eretici,
dovevano essere esclusi e sicuramente anche i smaritani e anche tutti gli
altri popoli non semitici. Pensiamo di porci questa domanda per i tempi in
cui viviamo. Oggi il prossimo cambia con una grande velocità. Oggi mondo in
cui viviamo è molto complesso, molto più complesso di un tempo.
La chiamiamo Parabola di Buon Samaritano, ma da nessuna partec c’è
scritto che è una parabola o che il samaritano è buono.
I generi letterari, secondo il Concilio Vaticano II bisogna accorgersi quale sia
il suo genere letterario. Non sappiamo quale sia il genere letterario di
questo testo.
Così possiamo tentare tre letture diverse.
Lettura storica, questi avvenimenti sono realmente accaduti e Gesù li ha
raccontati.
Lettura Patristica, Teologica e simbolica, una lettura cristologica,
Poi lo potremo leggere come lettura morale, racconto di un modello etico.
Ritorneremo a questo testo quando parleremo della morale del nuovo
testamento.
Vogliamo anche fare si che la nostra riflessione morale sia nutrio dalla sacra
scrittura.
Nel racconto del samaritano vediamo i suoi passaggi, tra i dialoghi del
Dottore della Legge e Gesù.
Inizia dicendo un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico.
Un uomo viene introdottoc he si tratta di un uomo.
Qualche traduzione addirittura dice un tale, espressione molto, molto vaga.
Indefinita e volutamente generale. Si tratta di un tale di cui non sappiamo
nulla. Gesù non dice nessun altra caratteristica che possa qualificare questa
persona.
La vita del picchiato è nelle mani dei passanti. Glia hanno portato via tutto.
E’ rimasto un uomo, lo hanno spogliato di tutto ma no la sua dignità.
Richiamiamo queste caratteristiche che il prof ha rammentato l’altra volta,
le caratteristiche dell’uomo.
Alterità dell’altro, quando incontriamo qualcuno, fa parte della sana
conoscenza della persona umana, un valore intrinseco, non attribuibile e
non attribuito, fa parte della natura intrinseca dell’uomo.
Il prof ci rimanda al documento che possiamo trovare nel discite
Credo che la password sia TM01
Lezione relativa al gg 22/10/2020
Prof Toschi
Lezione che troviamo nel III capitolo del manuale di Teologia Morale
Fondamentale.
La prof inizia con delle affermazioni dette da un redontrista morto nel 1990,
il più grande storico della Teologia Morale scrive:
I° posizione estrema: rifiuto totale del supporto della bibbia, la bibbia non
avrebbe più nulla da dire oggi, La bibbia ci dice solo quello che Dio ha fatto
per l’uomo, ma non quello che devo fare io
Qui entrerebbe tutte quelle obiezioni che vedono la bibbia come un libro
storico.
II° poszione estrema: si colloca all’estremo punto rispetto all’altra,
Fondamentalismo Biblico: sempre possibile. Lettura della parola di Dio
come facesse una lettura morale fondamentale della bibbia, noi dobbiamo
solo applicare questi precetti.
Abbiamo un testo della pontificia commissione biblica, che porta il titolo
“l’interpretazione della bibbia nella chiesa”:
documento prezioso perchè presenta diversi approicci con cui è possibile
interpretare la lettura delle sacre scritture.
Alla fine di tutti gli approcci che il libro elenca, si parla della lettura
fondamentalista della bibbia, come approccio. Oggi è totalemte rifiutato
dalla tradizione biblica.
Due fasi sono necessarie nella riflessione teologica.
La prima fase appartiene ad un biblista esegeta, nonè possibile aprocciarsi
al testo senza avere gli strumenti, le informazioni per avere una fedele
comprensione delle sacre scritture. Solo dopo arriva il lavoro del teologo
morale.
Quindi questo è il lavoro ermeneutico della bibbia. Il testo della sacra
scrittura mi porta a capire la mia vita, il “testo della mia vita “ mi aiuta a
capire il testo deklka sacra scrittura.
Paolo VI fa eco ad un’antica tradizione formulata nel catechismo della
chiesa cattolica dai numeri 115 in poi che ciparla del catechismo dei sensi
nella sacra scrittura.
Il prof cilegge qualche passaggio:
secondo la tradizione si possono distinguere due sensi quello letterale e
quello spirituale.
Poi il testo continua dicendo che il testo spirituale appartene alla
riflessione teologica si divide in tre altri sensi: allegorico, morale,
anagogico.
116 Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l'esegesi che
segue le regole della retta interpretazione. « Omnes [Sacrae Sripturae] sensus fundentur super unum,
scilicet litteralem – Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello letterale ». 138
117 Il senso spirituale. Data l'unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma anche le
realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni.
2. Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente. Sono
stati scritti « per ammonimento nostro » (1 Cor 10,11). 140
3. Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci
conduce (in greco: •<"(T() verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme
celeste. 141
119 « È compito degli esegeti contribuire, secondo queste regole, alla più profonda intelligenza ed
esposizione del senso della Sacra Scrittura, affinché, con studi in qualche modo preparatori, maturi il
giudizio della Chiesa. Tutto questo, infatti, che concerne il modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto
in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare ed
interpretare la Parola di Dio ». 143
« Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas – Non crederei
al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica ». 144
Nel 110 della chiesa cattolica sta scritto:
III. Lo Spirito Santo, interprete della Scrittura
109 Nella Sacra Scrittura, Dio parla all'uomo alla maniera umana. Per una retta interpretazione della
Scrittura, bisogna dunque ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto
affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le loro parole. 128
110 Per comprendere l'intenzione degli autori sacri, si deve tener conto delle condizioni del loro tempo e
della loro cultura, dei « generi letterari » allora in uso, dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare,
consueti nella loro epoca. « La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi secondo
se sono storici o profetici, o poetici, o altri generi di espressione ». 129
111 Però, essendo la Sacra Scrittura ispirata, c'è un altro principio di retta interpretazione, non meno
importante del precedente, senza il quale la Scrittura resterebbe « lettera morta »: « La Sacra Scrittura
[deve] essere letta e interpretata con l'aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta ». 130
Il Concilio Vaticano II indica tre criteri per una interpretazione della Scrittura conforme allo Spirito che
l'ha ispirata: 131
112 1. Prestare grande attenzione « al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura ». Infatti, per quanto
siano differenti i libri che la compongono, la Scrittura è una in forza dell'unità del disegno di Dio, del
quale Cristo Gesù è il centro e il cuore aperto dopo la sua pasqua. 132
« Il cuore 133 di Cristo designa la Sacra Scrittura, che appunto rivela il cuore di Cristo. Questo cuore era
chiuso prima della passione, perché la Scrittura era oscura. Ma la Scrittura è stata aperta dopo la
passione, affinché coloro che ormai ne hanno l'intelligenza considerino e comprendano come le profezie
debbano essere interpretate ». 134
113 2. Leggere la Scrittura nella « Tradizione vivente di tutta la Chiesa ». Secondo un detto dei Padri, «
Sacra Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus instrumentis scripta 135 – la Sacra
Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali ». Infatti, la Chiesa porta nella
sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l'interpretazione di
essa secondo il senso spirituale (« ...secundum spiritalem sensum, quem Spiritus donat Ecclesiae
– ...secondo il senso spirituale che lo Spirito dona alla Chiesa »). 136
114 3. Essere attenti all'analogia della fede. 137 Per « analogia della fede » intendiamo la coesione delle
verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della Rivelazione.
Dio ha voluto parlare a noi alla maniera umana, bisogna intendere l’intenzione degli autori
sacri, tenendo conto del tempo, il genere letterario, ciò che ci voleva comunicare l’autore.
Dobbiamo stare atenti alla molteplicità dei generi letterari che compongono la bibbia, che in
se è una biblioteca di libri.
Si arriva a parlare di morale rivelata. Di per se il cvII ha parlato nella dei verbum della morale
che è risultato frutto della rivelazione divina.
Questo concetto dobbiamo capirlo bene (morale rivelata).
Potrebbe portarci a intendere che la bibbia è un manuale dove troviamo tutte le soluzioni
pronte alle situazioni in cui viviamo.
Dire che la morale cristiana ha senso ed è fruttuoso, è l’enrgia atutte le riflessioni successive
a condizione in cui abbiamo ben chiaro cosa è la rivelazione divina .
La dei verbum dice che il dio della bibbia non svela un codice ma se stesso nel suo mistero, il
mistero della sua volontà.
Piacque a Dio rivelarsi nella sua persona, rivelando il suo mistero. Con questa rivelazione, il
dio invisibile parla agli uomini come amici per ammetterli alla comunione con se.
Altro che un codice morale eseguito.
Quindi la bibbia non è un insieme di virtù da praticare, ne un insieme di precetti morali.
Labibbia è un progetto di Dio di comunicarsi con i suoi amici. Quando parliamo di morale
rivelata dobbiamo capire che sitratta di una morale che prende ispirazione dalla rivelazione
di Dio., il desiderio di dio di entrare in dialogo, in comunione con noi
Nella bibbia, la morale senza essere secondaria è seconda.
Ciò che è fondante è il dono di Dio a noi, la rivelazione.
Rapporto tra dono e risposta umana.
la Bibbia laprima cosa che fa decivel’agire di Dio, il dono di Dio. Soltanto dopo come
conseguenza, come nuova possibiltà aggiunge i compiti che crede possibili di essere relaizzati
nella vita degli uomini.
Ogni gruppo di libri della sacra scrittura ha contenuti propri, e volendo studiare la morale
biblica è importante dipassare da libroa libro per trovare le linee comuni. Ci sono due
proprietà che costuituiscono il fondamento della morale ditutto l’antico testamento:
1Dono della creazione
2Dono dell’alleanza
Quest’ultime sono le cornici su cui inquadrare la morale nell’antico testamento.
Dell’uomo viene detto che viene creato ad immagine e somiglianza di Dio, quindi ha un
valore inestimabile:
volontà,
libertà,
capacità di entrare in realzione con glia altri e il creatore,
lacapacità di imtare il creatore.
Tutti questi doni diventano anche un cmpito, devono essere vissuti con responsabilità.
Morale basata sulla razionalità, capacità di autodeterminazione., diventare custodi e
coltivatori delle relazioni con gli altri e dio stesso.
Vediamo che la creazione stessa essendo un dono antecedente chiama ad una risposta.
Un evento storico del tutto particolare e rilevante per la comprensione dell’antico
testamento è il dono dell’Alleanza che porta in avanti.
Un invitopersonale fatto da prof, ci chiede di dedicare, anche per la nostra vita cristiana, di
entrare nelle profondità di questo concettobiblico dell’allenaza, perchè esprime il tipo di
rapporto che ha scelto per instaurare con il suo popolo ed ogni singolo presente.
Il concetto che abbraccia tutti ed è polifunzionante è il concetto dell’alleanza, relazione
stabile, patto, impegno che però ha bisogno di un’accoglienza di colui che viene scelto dal
Signore. Questo concetto lo troviamo 300 volte, diverse alleanza che vengono descritte nella
bibbia. Ci soffermeremo su una sola alleanza.
C’è l’alleanza con Noè, Abramo, Mosè, Pinecas (il sacerdote), con Davide , etc...
Ma noi ci soffermeremo sulla nuova allenza che si realizza in pienezza nella salvezza di Gesù
Cristo che ci donerà lo Spirito Santo.
1. L'ALLEANZA E IL DECALOGO
Arrivo al Sinai
19 Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno,
essi arrivarono al deserto del Sinai. 2 Levato l'accampamento da Refidim, arrivarono al
deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte.
Promessa dell'alleanza
3
Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla
casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: 4 Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto
all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. 5 Ora, se
vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la
proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! 6 Voi sarete per me un regno di
sacerdoti e una nazione santa. Queste parole dirai agli Israeliti».
7
Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli
aveva ordinato il Signore. 8 Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore
ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo.
Preparazione dell'alleanza
9
Il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube,
perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano sempre anche a te».
10
Il Signore disse a Mosè: «Và dal popolo e purificalo oggi e domani: lavino le loro
vesti 11 e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore
scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo. 12 Fisserai per il popolo un limite
tutto attorno, dicendo: Guardatevi dal salire sul monte e dal toccare le falde.
Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte.
13
Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito con tiro di
arco.
Quando suonerà il corno, allora soltanto essi potranno salire sul monte».
14
Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece purificare il popolo ed essi lavarono
le loro vesti. 15 Poi disse al popolo: «Siate pronti in questi tre giorni: non unitevi a
donna».
La teofonia
16
Appunto al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa
sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era
nell'accampamento fu scosso da tremore.
17
Allora Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento incontro a Dio. Essi stettero in
piedi alle falde del monte.
18
Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il
suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. 19 Il suono
della tromba diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con
voce di tuono.
20
Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò
Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì.
21
Poi il Signore disse a Mosè: «Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il
Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! 22 Anche i sacerdoti, che si
avvicinano al Signore, si tengano in stato di purità, altrimenti il Signore si avventerà
contro di loro!».
23
Mosè disse al Signore: «Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci
hai avvertiti dicendo: Fissa un limite verso il monte e dichiaralo sacro».
24
Il Signore gli disse: «Và, scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il
popolo non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro
di loro!».
25
Mosè scese verso il popolo e parlò.
Il decalogo
20 Dio allora pronunciò tutte queste parole: 2 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho
fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: 3 non avrai altri dei di
fronte a me. 4 Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di
ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 5 Non ti
prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio
geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione,
per coloro che mi odiano, 6 ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per
quelli che mi amano e osservano i miei comandi.
7
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà
impunito chi pronuncia il suo nome invano.
8
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: 9 sei giorni faticherai e farai ogni tuo
lavoro; 10 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai
alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il
tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11 Perché in sei giorni il Signore
ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno
settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.
12
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà
il Signore, tuo Dio.
13
Non uccidere.
14
Non commettere adulterio.
15
Non rubare.
16
Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
17
Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il
suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
18
Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il
popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano.
19
Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio,
altrimenti moriremo!».
20
Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e
perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate».
21
Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura, nella
quale era Dio.
2. IL CODICE DELL'ALLEANZA
Legge dell'altare
22
Il Signore disse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Avete visto che vi ho parlato dal
cielo! 23 Non fate dei d'argento e dei d'oro accanto a me: non fatene per voi! 24 Farai
per me un altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di
comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio
nome, verrò a te e ti benedirò. 25 Se tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con
pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. 26 Non
salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità.
Una delle vie possibile è analizzare queste profezie che ritornano anche nella liturgia
cristiana.
Cosa c’è di nuovo o di diverso.
Ritorniamo a sottolineare che è una cosa nuova. Non si tratta della riparazione della
vecchia, non è che lavecchia alleanza viene rinnovata, che si cerca un nuovo Mosè.
Quindi è indispensabile cogliere in pienezza la sua novità.
Geremia nome del Signore dice...
Anche Ben XVI nel suo Dueus Caritas Est all’inizio parla di un nuovo
orizzonte, una decisione difinitva una direzione essenziale.
La vita morale del cristiano è legata alla sua adesione alla figura di gesù
Cristo.
Con questo presupposto he il cuore della morale cristiana è la figura di
gesù, non il decalogo, non una legge ma il conformarsi alla figura di gesù.
Oggi il prof ci fa vedere qualcosa per dare nontinuità a questo corso.
Nella terza lezione abiamo parlato della lettura del buon dsaaritano luca 10,
dando a questo racconto una lettura teologico morale.
In quel occ s il prof ci ha detto che non si sa se questo sia un racconto o una
parabola che è stat inventata. Oggi leggeremo questa parabola con un
approccio cristologico che trova un posto eminente nella nostra tradizione
liturgica. Abbiamo un testo liturgico, prefazio n.8, per la preghiera
eucaristica che segue, porta il titolo “Gesù buon samaritano”.
Il prof legge il prefazio sintesi di quello che dirà,
.......................................
Ora il prof passa ad altri brani che ci parlano dell’importanza del seguir
eGesù come esempio.
Le 10 parole, i 10 comandamenti sicuramente non bastano, sono il minimo.
La carità scrltta come norma è stata scelta come una cosa importante,
coraggiosa, perchè il limite che si dava alla carità nella manualistica, è il
fatto che la carità lascia molto spazio alla sua declinazione, alla sua
realizzazione; ancora la carità, norma molto alta, magari troppo alta per
essere presa come riferimnento.
Prima del concilio nei manuali troviamo ben poco sulla carità.
La messa in guardia nei confronti della cartà.
Il concilio scegli di collocare la carità come fondamento normativo, norma
delle norme, coerente in questo progetti il principio formale, la costituzione
della creatura cheè nata per essere fatta ad immagine di Cristo, di
conformarsi a Cristo, in visione della figira di Cristo, precisa volontà di
collocare l’amore al centro della teologia morale.
il concilio fa un altro passaggio, usa altri due liguaggi che sno coestensivi con
l’espressione normativa della carità, perchè prospetta la santità e
l’imitazione di Cristo come sinonimi della carità.
La santità è una vocazione universale, tutti siamo chiamati alla santità come
esigenza intrinseca del vivere con Cristo.
Santità come perfezione della carità a cui tutti siamo chiamati.
Esigenza che si fonda sul battesimo, tutti siamo chiamati a diventare santi.
Ricevuto il dono, siamo chiamati a restituire questo dono.
Categoria che usa il concilio è “imitazio Christi” come carità,
Lumen gentium 40
per tutti i fedeli, sono chiamati alla perfezione della vita cristiana.
Gesù si è relazionato con noi grazie alla sua incarnazione, così Gesù è
cartterizzato dal modo di porsi con gli altri, dei più mlati, reietti, poveri,
emarginati. Gesù manifesta una sua coerenza nella sua fedeltà alla sua
missione, si manifesta come sincero, retto, umile di cuore, per il grande
cuore, per la sua misericordia, per una persona vera, si identifica nelle
beatitudini, la ricerca della pace. Tutte caratteristiche che ci sono ben
familiari, abbiamo un ritratto interiore di come ha vissuto la sua vita, punto
imprescindibile per capire che cosa dobbiamo fare per vivere la carità.
L’altro punto di riferimento è l’insegnamento.
Gesù parla, ma anche i suoi silenzi hanno una forte carica. Gessù come
maestro, ci mostra i suoi insegnamenti di vita, propone un insegnamento
autorevole, si presenta superiore a Mosè, le sue parole vanno ascoltate
tutte. Gesù ci lascia tanti insegnamenti che giustamente tutti.
Gesù nel suo insegnamnto ci ripropone il decalogo, ripropone la regola
aurea, ci prospetta tutte le esigenze profetiche e insegna durante la sua
predicazione. Ci sono degli insegnamenti morali nelle parole di Gesù.
Nella lettera Efesini c’è un senso cristologico, il progetto cristico che
attraversa tutta la creazione, quello che cerchiamo di cogliere come modo di
concretizzare la morale, la carità, ruolo cosmico di Cristo. La sapienza
creatrice che in vista di Cristo, per Cristo, in ricapitolazione di Cristo.
Gaudium et Spes al numero 16, i padri conciliari ci parlano dellacoscenza
morale, dove la carità viene prospettata come compimento della legge
naturale,anch’essa cristica. La cu pienezza è la carità stessa.
Abbiamo queste tre vie:
la vita di Cristo,
insegnamento di Cristo,
progetto della creazione,
da cui possiamo cogliere le indicazioni fondamentali per vivere con carità.
Il CVII ha avuto il coraggio, ci sono stati secoli incui la teologia non ha
parlato di carità nella morale, ne parlava nell’aspetto spirituale.
L’orizzonte morale di tipo casistico ha difficoltà a confrontarsi con
l’infinitezza dellacarità.
Dooo secoli in cui nella manualistica si parlava della carità come virtù da
coltivare nell’ambito della vita di grazia, della vita ascetica. Nella vita morale
c’è posto per le norme.
Lezione del 3 dicembre 2020 lezione registrata caricata su drive