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MAURIZIO FIORAVANTI

QUALE FUTURO PER LA ‘ COSTITUZIONE ’?

(A proposito di: E.W. BÖCKENFÖRDE, Staat, Verfassung,


Demokratie. Studien zur Verfassungstheorie und zum
Verfassungsrecht, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1991;
e di D. GRIMM, Die Zukunft der Verfassung, Frankfurt
am Main, Suhrkamp, 1991)

1. Ernst Wolfgang Böckenförde e Dieter Grimm sono Staatsre-


chtslehrer, appartengono cioè a quella cospicua tradizione dottrinale
tedesca che occupa certamente nel quadro complessivo europeo degli
studi di diritto pubblico un posto di sicuro ed indubbio rilievo. È noto
infatti come la giuspubblicistica tedesca abbia svolto in diverse fasi tra
Otto e Novecento un ruolo di primissimo piano: nella costruzione della
stessa identità disciplinare di diritto pubblico da Carl Friedrich von
Gerber in poi, nella sistemazione degli istituti dello Stato liberale di
diritto sul piano del diritto pubblico generale soprattutto con Georg
Jellinek, nella costruzione degli istituti e dei princı̀pi generali del diritto
amministrativo soprattutto con Otto Mayer, nella definizione del campo
complesso e tormentato della dottrina della costituzione al tempo della
Repubblica di Weimar, ed infine nella riflessione sullo « Stato sociale di
diritto » dopo la messa in vigore delle costituzioni democratiche
dell’ultimo dopoguerra; ed è noto anche come e quanto la giuspubbli-
cistica italiana sia lungamente dipesa, per alcune scelte fondamentali, da
quella tedesca (1).
Per altro, poiché ora il tempo delle « dipendenze », delle « scienze
nazionali » dominanti, e delle loro « recezioni », sembra volgere al
termine — basterà ricordare la recente fortunata e fervida stagione di
studi costituzionali in Spagna, o il rinnovato interesse francese, dopo la
lunghissima stagione di positivismo legislativo, per i problemi della
« costituzione » (2), o un certo progressivo sgretolarsi della classica

(1) Sul punto si è ormai accumulata abbondante letteratura. Alcuni saggi di sintesi
si trovano ora in Stato e cultura giuridica in Italia dall’Unità alla Repubblica, a cura di A.
SCHIAVONE, Bari, Laterza 1990.
(2) Si veda ora D. ROUSSEAU, Une résurrection: la notion de constitution, in « Revue
du Droit Public et de la Science Politique en France et a l’Etranger » 1-1990, pp. 5-23,

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opposizione dei modelli anglo-americano ed europeo-continentale: tutti


fenomeni che complicano non poco l’assetto dei tradizionali schemi
comparatistici —, si tratta oggi semplicemente di capire quanto gli
ultimi prodotti teorici della Staatsrechtslehre tedesca (3) pongano
problemi che possono e debbono interessare la giuspubblicistica
europea, e dunque anche quella italiana.
Iniziamo dicendo questo: se un secolo fa la « recezione » della
giuspubblicistica tedesca avvenne, anche in Italia, sotto il segno del
« metodo giuridico », che qualcuno volle intendere allora come rigida
ed assoluta distinzione tra campo della politica e campo del diritto, oggi
la lettura dei volumi di Böckenförde e di Grimm provoca reazioni in un
certo senso opposte. A fronte di una giuspubblicistica non di rado un
pò troppo chiusa — sia in Italia che in Germania, come anche altrove:
per altro con notevoli, ed anche crescenti, eccezioni — nella propria
tradizione disciplinare i nostri due volumi propongono un tipo di
riflessione sul diritto pubblico contemporaneo che torna ad affrontare
i grandi problemi di fondo: i diritti fondamentali, la rappresentanza
politica, il potere costituente, ed in genere la sorte che la stessa
« costituzione » potrà avere nel futuro delle democrazie occidentali; ed
appare subito chiaro come la risposta a problemi di questo genere non
possa più essere quella positivista e statualista di un secolo fa, ma debba
collocarsi sul terreno di una dottrina e di una cultura della costituzione
che è destinata a sfidare i giuristi, nel senso che li sospinge a riaprire
completamente il dialogo con la storia costituzionale, e con le scienze
sociali e politiche.

2. Il rapporto tra diritto pubblico e storia costituzionale: questo


sembra essere il primo problema da prendere più specificamente in
considerazione. Ed in questo senso i volumi di Böckenförde e di Grimm
ci offrono indubbiamente materia abbondante, sulla quale conviene
riflettere più da vicino. Certo, nel caso della giuspubblicistica tedesca
agisce a questo livello un noto fattore in più, che costringe al confronto
con la storia, e che può dirsi sicuramente « nazionale »: si tratta di
prendere posizione sulla tormentata « specificità » della storia costitu-
zionale tedesca, sulla nota e cosı̀ a lungo perdurante vigenza del
principio monarchico, e sul nesso tra questa medesima « specificità » e

che analizza le decisioni del Conseil constitutionnel, che anche in Francia sembrano
attribuire alla « costituzione » lo statuto di norma positiva direttamente fondante i diritti,
e come tale superiore all’autorità del legislatore. Sulla precedente incorporazione, a
partire dalla Rivoluzione, dei diritti medesimi nella legge quale massima fonte di diritto,
si veda M. FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, I, Le libertà:
presupposti culturali e modelli storici, Torino, Giappichelli, 1991, spec. pp. 50 e ss.
(3) Da menzionare anche R. ALEXY, Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main,
Suhrkamp, 1986, che dovrebbe essere discusso a parte.

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la successiva tragedia della Repubblica di Weimar (4). Tuttavia, non è


questo il tipo di confronto con la storia che qui più interessa. Ben più
rilevante ai nostri fini appare il tentativo di Böckenförde e di Grimm —
specialmente di quest’ultimo — di riflettere sui caratteri fondamentali
dell’età liberale complessivamente intesa, a partite dalle grandi rivolu-
zioni di fine Settecento. La problematica in questo senso privilegiata è
certamente quella dei Grundrechte, delle libertà fondamentali, sulla
quale anche noi ci soffermeremo brevemente (5).
Come mostra Dieter Grimm in alcune pagine particolarmente
limpide ed efficaci (6), l’età liberale ha costruito il suo ordine sociale
complessivo soprattutto con lo strumento del diritto privato: è il codice,
ben più della costituzione intesa come atto normativo formale, a fissare
le linee della « costituzione » liberale, dettando i princı̀pi fondamentali

(4) Il giudizio sulla « specificità » della storia costituzionale tedesca si trova


prevalentemente in altre opere dei nostri due giuristi, di cui terremo conto — qui e più
avanti — accanto ai due volumi oggetto di recensione: si veda soprattuto E.W.
BÖCKENFÖRDE, Der deutsche Typ der konstitutionellen Monarchie im 19. Jahrhundert
(1967), ora in ID., Recht, Staat, Freiheit. Studien zur Rechtsphilosophie, Staatstheorie und
Verfassungsgeschichte, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1991, pp. 273-305, secondo il
quale la monarchia costituzionale tedesca non rappresentò affatto un’autonoma forma
politica, ma semplicemente un sistema regolato di compromessi destinato ad evolversi
verso la sovranità popolare; D. GRIMM, Deutsche Verfassungsgeschichte 1776-1866. Vom
Beginn des modernen Verfassungsstaats bis zur Auflösung des Deutschen Bundes,
Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1988, spec. pp. 110 e ss., che risolve la questione della
« specificità » della storia costituzionale tedesca in modo più complesso ed articolato
rispetto a Böckenförde, avvicinando le costituzioni tedesche del diciannovesimo secolo
al tipo « occidentale-liberale » con argomenti simili a quelli adoperati da Böckenförde —
decisivo pare anche a me quello relativo alla sanzione costituzionale della non libera
modificabilità della costituzione da parte del monarca —, ma mettendo anche in rilievo
la specifica continuità in Germania del principio monarchico inteso come presunzione di
competenza a favore del monarca stesso in assenza di esplicite previsioni di competenza
a favore delle rappresentanze parlamentari, come conseguenza della mancanza in
Germania di un « potere costituente » agente dal basso in modo fondante le istituzioni
politiche, e tale quindi da non presupporre più la monarchia come istituzione storica per
suo conto legittimamente esistente. Per il giudizio di Grimm sulla tradizione costituzio-
nale tedesca, è rilevante anche, su un piano diverso, D. GRIMM, Die Entwicklung der
Grundrechtstheorie in der deutschen Staatsrechtslehre des 19. Jahrhunderts (1987), in ID.,
Recht und Staat der bürgerlichen Gesellschaft, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1987, pp.
308-346. Sulle differenze di valutazioni, e di prospettive, tra Böckenförde e Grimm
torneremo alla fine di questo contributo.
(5) A questa problematica sono dedicati i saggi contenuti nella seconda parte del
volume di Böckenförde oggetto di recensione (pp. 115 e ss.); si veda inoltre in modo
particolare D. GRIMM, Die Grundrechte im Entstehungszusammenhang der bürgerlichen
Gesellschaft (1988), ora in ID., Die Zukunft der Verfassung, Frankfurt am Main,
Suhrkamp, 1991, pp. 31-65.
(6) D. GRIMM, Die Grundrechte, cit., pp. 92 e ss.; ID., Grundrechte und Privatrecht
in der bürgerlichen Sozialordnung (1981), ora in ID., Recht und Staat, cit., pp. 192-211;
ID., Deutsche Verfassungsgeschichte, cit., pp. 39 e ss.; ID., Bürgerlichkeit im Recht (1987),
in ID., Die Zukunft, cit., pp. 27 e ss.

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della intangibilità della proprietà privata individuale, della autonomia


negoziale, della responsabilità contrattuale. Rispetto a tutto questo la
costituzione in senso formale svolge solo una funzione aggiuntiva,
equilibrando in vario modo i poteri pubblici, o anche sancendo qualche
ulteriore principio in materia di diritti, ma sempre sul presupposto che
la « società civile » degli individui agenti secondo le norme dello Stato,
e soprattutto del codice, sia realtà preesistente, in sé definita, capace di
autoregolarsi. Questo è il presupposto che è stato quasi subito, e sempre
più, smentito dai fatti. Quella « società civile » del codice, protetta dal
principio costituzionale di non ingerenza da parte dello Stato (7), ha in
realtà generato conflitti e disordini, riproducendo al proprio interno
vere e proprie « strutture di potere », finanziarie, economiche, nella
sfera delicatissima dell’informazione, che hanno finito per escludere dai
diritti di cittadinanza ampi strati di popolazione (8). Le costituzioni
democratiche dell’ultimo dopoguerra, come il Grundgesetz tedesco, o
anche la Costituzione italiana del 1948, nascono appunto dalla perce-
zione di questa realtà, o meglio ancora dalla convinzione che non sia più
possibile presupporre una « società civile » in sé ordinata: se l’ordine
sociale è da costruire, allora la costituzione in senso formale, come
norma giuridica, può e deve pretendere di assumere ad oggetto della
propria regolazione la società stessa. Ne consegue una struttura di
fondo, ed una concezione complessiva, del tutto diversa dei diritti
medesimi. Questi rimangono vivi nella forma classica dei diritti indivi-
duali di libertà, della tutela della propria sfera individuale — e come
poteva esser altrimenti dopo i regimi totalitari degli anni Trenta? —, ma
il punto è che la somma di queste « sfere » non produce più una sintesi
denominabile « società civile » in sé data e definita, cosicché i medesimi
diritti fondamentali assumono anche la veste di pretese giuridicamente
fondate ad un ordine sociale più conforme alle grandi scelte di principio
contenute nella costituzione, dirigendosi ora non più solo verso lo Stato,
ma anche verso le molteplici « strutture di potere » inserite nel contesto
della società medesima (9).

(7) Quel principio era stato efficacemente espresso nell’articolo quarto della
Dichiarazione dei diritti dell’89: « La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non
nuoce agli altri; cosı̀ l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo
quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento dei medesimi diritti.
Tali limiti possono essere determinati solo dalla legge ».
(8) Böckenförde fa risalire la « scoperta » della insostenibilità di uno sviluppo
sociale puramente auto-regolato a Lorenz von Stein: vedi E.W. BÖCKENFÖRDE, Lorenz von
Stein als Theoretiker der Bewegung von Staat und Gesellschaft zum Sozialstaat (1963), in
ID., Recht, Staat, Freiheit, cit., pp. 170-208; ed ID., Die Bedeutung der Unterscheidung von
Staat und Gesellschaft im demokratischen Sozialstaat der Gegenwart (1972), in Recht,
Staat, Freiheit, cit., pp. 209-243. Si veda sul medesimo punto D. GRIMM, Die sozialge-
schichtliche und verfassungsgeschichtliche Entwicklung zum Sozialstaat (1988), in ID.
Recht und Staat, cit., pp. 138-164.
(9) Si inserisce qui la problematica della c.d. « Drittwirkung » dei diritti fonda-

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Torniamo ora al nostro problema di fondo del rapporto tra


costruzioni giuspubblicistiche e storia costituzionale. È evidente che le
soluzioni che si scelgono in materia di diritti fondamentali — in
definitiva la Grundrechtstheorie che orienta l’interpretazione delle
norme costituzionali in materia di libertà — dipendono in larga misura
dalla visione che si ha del passaggio dallo Stato liberale di diritto del
diciannovesimo secolo ai regimi democratici del presente. Se quel
passaggio è letto nel senso sopra indicato, muovendo dalla riconosciuta
impossibilità storica di una « società civile » in sé conchiusa, allora si
dovrà accettare la difficile coesistenza all’interno dei diritti fondamen-
tali della dimensione « classica » del limite all’arbitrio dei governanti e
della dimensione nuova della pretesa orientata da scelte costituzionali di
principio come una sorta di difficile destino obbligato dei nostri sistemi
politici. È quanto ci suggeriscono Grimm e Böckenförde, che in questo
modo ci invitano a non considerare praticabile un « ritorno » ad un
concezione puramente liberale dei diritti di libertà (10).
Del tutto diversa sarebbe stata la conclusione di questa dottrina
tedesca se essa fosse rimasta ferma alle note conclusioni di Ernst
Forsthoff, ben conosciute anche in Italia (11). In questo caso quella
dottrina avrebbe dovuto fornire un giudizio addirittura liquidatorio
della esperienza dello Stato sociale di diritto dell’ultimo dopoguerra,
tornando alla convinzione — rappresentata appunto da Forsthoff, ed a
sua volta fondata su precise acquisizioni di carattere storiografico, sulle
quali non è possibile qui soffermarsi — che una sola « costituzione » sia
in assoluto possibile: quella con i caratteri propri della « costituzione »
dell’età liberale, che in Germania assunse la forma dello Stato di diritto
monarchico; e che quanto su di essa si è in seguito sovrapposto abbia la
natura « politica » del « programma », che può essere utile per orientare
l’attività della pubblica amministrazione, ma che comunque non può
assurgere alla dignità — come si è preteso con le costituzioni dell’ultimo
dopoguerra — di principio costituzionale, con una connessa ambizione
di normatività nei confronti dell’intero ordinamento.

3. Dunque, i diritti fondamentali non possono più essere solo


subjektive Freiheitsrechte, diritti di libertà nel senso liberale « classico »,
e sono invece necessariamente anche objektive Grundsatznormen,
norme oggettive di principio, che pretendono di valere — come ab-

mentali, cosı̀ dibattuta nella dottrina tedesca: sul punto si veda E.W. BÖCKENFÖRDE, Staat,
Verfassung, Demokratie. Studien zur Verfassungstheorie und zum Verfassungsrecht,
Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1991, pp. 170 ess.; ed in particolare ID., Freiheitssiche-
rung gegenüber gesellschaftlicher Macht (1975), in ID., Staat, Verfassung, cit., pp. 264-276.
(10) Si veda in particolare D. GRIMM, Rüchkehr zum liberalen Grundrechtsverstän-
dnis? (1988), in ID., Die Zukunft, cit., pp. 221 ess.
(11) E. FORSTHOFF, Rechtsstaat im Wandel, Stuttgart, 1964; trad. it. Stato di diritto
in trasformazione, Milano, Giuffré, 1973.

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biamo visto — anche nei confronti delle « strutture di potere »


affermatesi nello spazio che una volta era semplicemente quello della
« società civile » degli individui. A questa conclusione la dottrina
tedesca è giunta dopo aver sconfitto l’opposta interpretazione di
Forsthoff, che a partire dalla rigida opposizione tra « diritto » e
« politica » cosı̀ a lungo coltivata in età liberale negava ogni valore
giuridico cogente alle norme di principio contenute nella costituzione
(12). Abbiamo sottolineato sopra — e lo ribadiamo — che una simile
svolta si è resa possibile nella dottrina perché è mutato il giudizio
sull’età liberale sul piano storico: quell’età non ha prodotto il « diritto »
in assoluto — nella doppia veste della legge dello Stato espressione della
sovranità politica e del negozio giuridico espressione della autonomia
dei privati —, ma una particolare forma storica di esso, che anzi non è
riuscita affatto a dominare il conflitto sociale, che quindi può e deve
essere superata quando mutano le circostanze storiche, che non
propongono più ora « Stato » da una parte, e « società civile » dall’altra,
ma piuttosto un complesso di « strutture di potere », pubbliche e
private, o più spesso al confine tra pubblico e privato, che possono
essere ricondotte ad unità — o magari più modestamente ad un’efficace
opera di reciproca cooperazione — solo a partire dalla costituzione, ed
in particolare proprio dalle sue norme di principio.
Tuttavia, una volta acquisito tutto questo, le grandi problematiche
di fondo si riaprono di nuovo, seppure ad un livello diverso; né si può
certo dire che i nostri giuristi tedeschi, una volta difese le scelte
costituzionali dell’ultimo dopoguerra, tendano poi di conseguenza a
fornire un quadro pacificato e rassicurante del presente. Il primo
problema, ed il più evidente, è quello del ruolo del legislatore. Infatti,
se si parte dal presupposto che la costituzione sia essenzialmente
Grundordnung, che attraverso le norme di principio contiene in sé in
nuce l’intero ordinamento, ne consegue il fatto che lo stesso legislatore
non può essere più considerato il soggetto che consente alla società
civile di esistere politicamente attraverso la forma privilegiata della
legge generale ed astratta: quel legislatore non determina più in via
primaria l’ordinamento giuridico, ma concretizza invece con la legge ciò
che la costituzione ha già indicato in modo prescrittivo. Ciò vale in
particolare proprio per la questione dei diritti, che vengono ora fondati

(12) Per la critica a Forsthoff si veda soprattutto D. GRIMM, Recht und Staat, cit.,
pp. 157 e ss.; e ID., Die Zukunft, cit., pp. 321 e ss. e pp. 339 e ss. Al di là delle diversità
di punti di vista all’interno della dottrina tedesca, sarebbe utile che questa fosse
consapevole del fatto che la discussione sulla normatività piena delle disposizioni di
principio contenute nella costituzione è stata — ed è ancora — una discussione europea.
Per l’Italia, che a questa discussione ha dato un contributo notevole con personaggi di
primo piano come Costantino Mortati e Vezio Crisafulli, si veda M. FIORAVANTI, Costitu-
zione, amministrazione e trasformazioni dello Stato, in Stato e cultura giuridica in Italia
dall’Unità alla Repubblica, cit., pp. 3 e ss., pp. 51 e ss. per l’argomento che qui interessa.

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direttamente nella costituzione, nel senso che la legge li riconosce e li


disciplina solo in quanto sia essa medesima strumento di concretizza-
zione dei precetti costituzionali.
Tuttavia, una volta che si sia portata fino in fondo questa tendenza
— nella pratica, in verità, più per la evidente attitudine delle classi
politiche democratiche ad eludere i grandi nodi di fondo, ed i confronti
aperti su questi nodi nelle assemblee rappresentative, che non per
convinzione acquisita di un effettivo primato della costituzione —,
bisognerà pure domandarsi, sulla scia delle riflessioni di Böckenförde e
di Grimm, se tutto ciò corrisponda ai caratteri fondamentali — ancora
una volta storici — delle costituzioni dell’Europa continentale. Che la
pretesa del legislatore d’interpretare in via primaria, ed anzi esclusiva,
l’interesse generale sia stata ridimensionata, è cosa che può apparire del
tutto ragionevole in modelli politici fortemente orientati in senso
pluralistico; che la necessità di superare i vecchi modelli argomentativi
legati al positivismo giuridico d’impronta statualistica sia sempre più
diffusa, è cosa da salutare con favore; ma rimane comunque aperto un
problema: se la costituzione che sempre più avremo non è altro che il
risultato di un continuo lavoro d’interpretazione e di concretizzazione
condotto a partire da alcune grandi, e necessariamente assai generali,
norme di principio, non si giunge forse alla conclusione che l’indirizzo
fondamentale, o costituzionale, e in definitiva la costituzione stessa
come Grundordnung, è in realtà determinato dalla giurisprudenza,
soprattutto da quella della Corti Supreme? Non segna questo forse il
punto di approdo ad una sorta di « governo dei giudici », che come tale
è del tutto fuori dalla tradizione storico-costituzionale dell’Europa
continentale? Saremo davvero capaci, in assenza di una diversa tradi-
zione, ed a partire dai casi concreti, di costruire una vera e propria
living constitution? E che cosa rimarrà, una volta giunti a questo punto,
del tradizionale processo democratico d’investitura dal basso dei
rappresentanti, quando tutti saranno consapevoli del fatto che l’indi-
rizzo fondamentale si costruisce quasi per intero di fronte ai giudici?
Ecco perché Böckenförde riporta in campo, accanto alla conce-
zione della costituzione come Grundordnung, anche quella della costi-
tuzione come Rahmenordnung, che anzi finisce decisamente per privi-
legiare. Da questo secondo punto di vista, la costituzione non contiene
affatto in sé in nuce l’intero ordinamento, ma si preoccupa invece
principalmente di delimitare con sicurezza gli spazi entro cui il libero
gioco democratico può dispiegarsi. In questo modo riprende vigore
l’idea che il legislatore svolga un ruolo di primo piano, proprio perché
la costituzione, interpretata dai giudici, non determina più in modo
vincolante i precetti da concretizzare legislativamente, ma si limita a
segnare i confini al di là dei quali si opera contro la costituzione:
quest’ultima potrà stabilire, ad esempio, che certi beni particolarmente
protetti sul piano costituzionale, come la salute, o l’istruzione, non

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possono essere liberamente negoziati dalle forze politiche, ma non potrà


imporre a queste medesime una vera e propria gerarchia di beni e di
valori, in modo da vincolare fino a questo punto decisioni che sono e
devono rimanere politiche, risultanti dal libero gioco democratico (13).
Tuttavia, anche questa concezione della costituzione come mera Rah-
menordnung ha i suoi problemi, e la sua possibile degenerazione, che
consiste nel rendere possibili nella pratica tutte le operazioni politiche,
anche in materia di diritti, purché attuate con le forme previste dalla
costituzione, e nei confini da essa disegnati. Ecco perché alla fine lo
stesso Böckenförde tende a non eslcudere del tutto una funzione
d’indirizzo della costituzione, che si aggiunga in senso correttivo a
quella tipicamente « negatoria », puramente creativa di vincoli negativi,
piuttosto che di obblighi positivi, che abbiamo visto poco sopra. In
ultima analisi, la soluzione scelta è dichiaratamente « intermedia » (14):
si tratta di contrastare una possibile evoluzione del sistema verso un
vero e proprio Jurisdiktionsstaat, senza per questo rinunciare alla
funzione normativa dei diritti fondamentali come oggettive norme di
principio, objektive Grundsatznormen. Contro lo « Stato di giurisdi-
zione » si può e si deve riaffermare anche il ruolo del legislatore, non
riducendolo a quello di un qualsiasi « soggetto » incaricato di concre-
tizzare i precetti costituzionali, ma non fino al punto di ritornare alla
vecchia incorporazione positivistica dei diritti nella legge dello Stato,
che contrasterebbe evidentemente con la maggiore novità portata in
campo dalle costituzioni dell’ultimo dopoguerra, ovvero con la pretesa
di quelle costituzioni di determinare il quadro complessivo su cui
basare direttamente le stesse libertà fondamentali. Come si vede, siamo
di fronte ad una soluzione di compromesso, che più che altro sottolinea
la necessità di mantenere in piedi un faticoso e difficile equilibrio: se poi
questo equilibrio sia in sé artificioso, determinato in primo luogo dal
timore di soluzioni peggiori, o se esso non corrisponda invece alle
caratteristiche stesse dei nostri sistemi politici, lo potranno dire solo gli
sviluppi successivi.

4. Nella prefazione al suo volume, Dieter Grimm scrive che oggi


è in discussione la capacità normativa di quella mirabile costruzione
intellettuale degli ultimi due secoli che siamo soliti chiamare « costitu-
zione ». Per l’analisi di questo progressivo indebolimento della capacità
normativa della costituzione, e soprattutto al fine di ottenere preziose

(13) Alla problematica della costituzione come Grundordnung o come Rahmen-


nordnung è dedicato in un certo senso l’intero volume di Böckenförde oggetto di
recensione, ad iniziare dalle pagine di prefazione. Per il timore di una possibile
evoluzione verso lo Jurisdiktionsstaat cui ci riferiamo nel testo, si veda in particolare
E.W. BÖCKENFÖRDE, Staat, Verfassung, cit., pp. 187 e ss.
(14) Ibid., p. 191.

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indicazioni per il futuro — ricordiamo che al « futuro della costitu-


zione » è dedicato il volume di Grimm —, è ancora un volta decisiva la
riflessione sul piano storico. Su tale piano, si deve essere consapevoli del
fatto che il passaggio al « moderno » è in sintesi consistito nella
transizione da un significato puramente empirico-fattuale della costitu-
zione ad un significato normativo-prescrittivo, che è stato inaugurato
dalle rivoluzioni di fine Settecento. Un tale passaggio fu esemplarmente
sintetizzato nell’articolo sedicesimo della Dichiarazione dei diritti
dell’89 — « Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è
assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costitu-
zione » —, nel quale si volle esprimere la convinzione che fosse
finalmente possibile distinguere tra società dotate, e società prive, di
costituzione — evidentemente contro il significato « antico », empirico-
fattuale, di costituzione, che vuole che ogni società, per il fatto stesso di
esistere, possieda una « costituzione » —, creando cosı̀ un parametro
normativo-ideale di « costituzione » cui si sarebbero dovute uniformare
le società future, e soprattutto i loro rispettivi sistemi politici. Ebbene,
secondo Grimm il bilancio che oggi, a distanza di due secoli, si può
stilare di questa pretesa di normatività è necessariamente complesso, e
non privo di aspetti che possono e debbono giustamente preoccupare
non solo il costituzionalista, ma anche tutti coloro che abbiano
sinceramente a cuore le sorti dei sistemi politici contemporanei.
L’opinione di Grimm sul punto è grosso modo la seguente: più si
è andato estendendo nel tempo l’intervento dello Stato sulla società, più
è aumentato il condizionamento della seconda sul primo, con la
conseguenza di un progressivo indebolimento della forza autonoma
della Staatsgewalt, ridotta ora alla dimensione di uno dei soggetti
politicamente agenti, anche se ancora tutto sommato ben contrasse-
gnato dalla sua capacità esclusiva, per quanto condizionata, di valersi
del sostegno coattivo del diritto. C’è insomma una sempre più ampia
zona del « politico » che risulta da complicati processi di selezione e di
mediazione tra interessi organizzati — portati in campo dai partiti e
dalle Verbände: tutte realtà costituzionamente rilevanti come tali sco-
nosciute all’età liberale (15) —, e che si colloca in una fascia non più
sicuramente ascrivibile al « pubblico » o al « privato », che torna a
configurarsi come « costituzione » in senso empirico-fattuale, nella
quale operano « strutture di potere » che la costituzione in senso
moderno, in senso normativo-prescrittivo, ben difficilmente raggiunge,
che essa può solo influenzare, ma non certo determinare.
Il fatto è che — e qui Grimm beneficia di analisi di tipo essenzial-
mente sociologico e politologico — la « società » contemporanea è in

(15) Sulla analisi di queste realtà insiste in modo particolare D. GRIMM, Die
Zukunft, cit., pp. 241 e ss., spec. pp. 269 e ss. Si veda anche, sugli stessi argomenti, E.W.
BÖCKENFÖRDE, Staat, Verfassung, cit., pp. 406 e ss.

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realtà composta di una serie più o meno coordinata di sotto-sistemi,


come quello tecnologico, o quello economico-finanziario, o quello
dell’informazione, o altro ancora, che costruiscono ciascuno per pro-
prio conto le proprie « strutture di potere », ed anche il proprio diritto,
immediatamente funzionale alla risoluzione dei problemi pratici interni
a ciascun sotto-sistema, e tendono quindi a respingere, o a mettere ai
margini, un’ipotesi di regolazione complessiva come quella contenuta
nella costituzione in senso moderno. Esemplare è in questo senso la
vicenda dei diritti fondamentali: più i Grundrechte tendono ad eman-
ciparsi dalla tradizionale figura liberale dei diritti di libertà — e d’altra
parte non si può tornare indietro, anche secondo Grimm, da questa
tendenza, se non si vuol dare ragione a chi come Forsthoff pensa che
solo la civiltà liberale sia stata capace di creare « diritti » —, più quei
diritti pretendono di valere come norme oggettive di principio che
indicano prescrittivamente la direzione di marcia dell’intero sistema
politico e sociale, e più di fatto essi vengono ridotti a variabili più o
meno rigide di politiche sociali contrattate in senso neo-corporativo da
una quantità crescente di soggetti politicamente agenti: i diritti fonda-
mentali pagano la pretesa di estendersi al di là della tradizione liberale
con un’indubbia perdita di peso e di forza normativa; in una parola, essi
avrebbero voluto normativizzare il politico, e vengono da esso impie-
tosamente relativizzati (16).
Come reagire a tutto questo? La domanda è di rigore per chi come
Grimm, al di là delle fredde considerazioni di carattere scientifico, certo
non guarda con favore alla progressiva eclissi del progetto normativo
della costituzione in senso moderno. Il lavoro di Grimm è dichiarata-
mente analitico, e non si prospettano dunque per il momento soluzioni.
Qualche accenno in senso propositivo è percebile in modo solo
sfumato, come quando Grimm, giurista europeo-continentale, ma da
sempre attento al mondo della common law, ed in genere alla compa-
razione, invita in modo più o meno esplicito a riconsiderare il concetto
stesso di « Stato » come punto estremo di imputazione di ogni azione
politicamente rilevante, in rapporto alla diversa tradizione anglo-
americana. Anche se certo non si può affermare che questa sia la via
indicata da Grimm, per altro verso ben consapevole delle peculiarità
delle costituzioni europeo-continentali, del ruolo che in esse ha tradizio-
nalmente svolto il legislatore (17), dei pericoli che in esse produrrebbe un

(16) In questo senso esplicitamente D. GRIMM, Die Zukunft, cit., pp. 24-25. Le tesi
in generale di Grimm sul « futuro della costituzione » sono esposte con particolare
chiarezza in D. GRIMM, Die Zukunft, cit., pp. 17 e ss., pp. 61 e ss., pp. 151 e ss., e pp. 397
e ss.
(17) Per l’aspetto comparatistico dell’opera di Grimm cui ci riferiamo nel testo, si
veda D. GRIMM, Der Staat in der kontinentaleuropäischen Tradition (1986), in ID., Recht
und Staat, cit., pp. 53-83. Si vuole anche ricordare come Grimm abbia sempre usato nei
suoi saggi più specificamente storici un metodo ampiamente comparatistico, occupan-

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troppo accentuato « governo dei giudici »: tutti problemi che già


abbiamo avuto modo di richiamare. Sembra allora che si sia di fronte ad
una sorta di vicolo cieco: da una parte si percepiscono tutti i rischi
connessi alla progressiva perdita di rilevanza della costituzione come
norma giuridica prescrittiva, dall’altra non si è capaci d’indicare rimedi
e vie di uscita da una simile situazione, che siano veramente diversi dalla
semplice rassegnazione — certo da Grimm non condivisa —, dalla mera
accettazione di un presente sempre meno costituzionalmente normati-
vizzabile.

5. Giungiamo cosı̀ alle conclusioni, che sono in parte dedicate a


mostrare anche le differenze tra i due autori considerati. Sarebbe errato
infatti parlare in modo indifferenziato di « recenti tendenze » della
dottrina tedesca, ed è quindi opportuno mostrare come Böckenförde e
Grimm finiscano in realtà per percorrere vie in parte anche diverse.
La differenza principale che intendiamo mettere in rilievo è relativa
al ruolo del « politico » nelle società contemporanee. Abbiamo detto
sopra che Grimm non fornisce in modo esplicito soluzioni alla crisi di
normatività della costituzione. Ebbene, ciò che ora possiamo aggiun-
gere è che per Grimm queste soluzioni non possono essere comunque
reperite all’interno di un progetto di « restaurazione » di un ruolo
centrale e decisivo del « politico ». Ciò accade perché Grimm tiene ben
fermo un punto: che la forza normativa del « politico » opposta al diritto
positivo che di fatto abbiamo, per quanto sia esso disperso nelle pieghe
di una sempre più ampia contrattazione in senso neo-corporativo, sia in
ogni caso foriera di pericolose ed artificiose unificazioni dall’alto, come
tali senz’altro da respingere. Da questo punto di vista, la frammenta-
zione che abbiamo di fronte a noi, per quanto possa essere assunta
come dato negativo, corrosivo — come abbiamo visto — della sostanza
stessa del progetto moderno della costituzione in senso normativo-
prescrittivo, è comunque figlia, secondo Grimm, di un processo
positivo di relativizzazione di quel « politico », che in passato, soprat-
tutto in Germania, aveva assunto le vesti autoritarie e minacciose del
primato dello « Stato » sulla « costituzione », o della opposizione secca
e radicale, alla fine della Repubblica di Weimar, di una « vera »
costituzione fondata sulla unità del popolo tedesco — il « politico » per
eccellenza — ad una costituzione « falsa », che era poi quella formale
positiva weimariana (18).

dosi a più riprese anche del modello anglo-americano, ed in particolare delle origini del
costituzionalismo negli Stati Uniti: si veda D. GRIMM, Deutsche Verfassungsgeschichte,
cit., pp. 10 e ss.; ed ID., Die Zukumft, cit., pp. 31 e ss. Sul legicentrismo europeo-
continentale, e sulla diversa tradizione statunitense di supremazia della costituzione, si
veda anche M. FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni, cit., pp. 47 e ss.
(18) Si veda in particolare D. GRIMM, Die Zukunft, cit., pp. 143 e ss. Esemplare

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Qui è la radice della differenza tra Grimm e Böckenförde.


Quest’ultimo pensa infatti, a differenza di Grimm, che la grande
tradizione specificamente tedesca di stampo decisamente statualistico
possa ancora oggi essere attuale. In un saggio piuttosto noto su Carl
Schmitt, Böckenförde è attento a non offrire valutazioni di merito, ma
in sostanza pone il problema della attualità — ciò che per Grimm
sarebbe in sé inammissibile — di una dottrina costituzionalistica, che ha
sempre predicato la priorità dello « Stato » come rappresentazione della
unità politica del popolo sulla costituzione come norma giuridica, che
ha sempre sostenuto la priorità dell’elemento « politico » della costitu-
zione su quello « giuridico », che ha sempre tradotto il moderno
pluralismo politico e sociale in « occupazione » del « politico » da parte
degli interessi organizzati (19).
Certo, niente di tutto questo è riproponibile oggi come tale, tanto
che in un saggio sul potere costituente (20) lo stesso Böckenförde, dopo
aver riaffermato la natura essenzialmente « politica » del potere costi-
tuente quale decisione precedente e fondante i poteri costituiti, in realtà
pone il problema — che per Schmitt sarebbe stato inammissibile — dei
vincoli giuridici allo stesso potere costituente, essendo quest’ultimo,
non solo volontà politica fondante, ma anche volontà che tende a
disciplinarsi, ad ordinarsi in un complesso stabile di competenze e di
funzioni. Rimane però il fatto, piuttosto significativo, che Böckenförde
abbia iniziato il suo volume con un saggio sui compiti e sul ruolo della
Staatsrechtswissenschaft, della quale egli — a nostro avviso ben più di
Grimm — si sente evidentemente erede e parte integrante (21). È

nella direzione indicata nel testo è D. GRIMM, Der Akteur als Historiker. Zum Abschluss
von Hubers Deutscher Verfassungsgeschichte, in « Rechtshistorisches Journal », 5 (1986),
pp. 83-90. Naturalmente, tutto questo non vuol dire che Grimm pensi ad una sorta
d’integrale normativizzazione e giuridicizzazione del « politico », che egli stesso reputa
impossibile; pensa piuttosto che la Verfassungswirklichkeit possa e debba stare in un
rapporto dialettico d’integrazione con la costituzione in senso positivo-formale, senza
però che in essa si possa reperire un vero e proprio « principio » sul quale far leva in
funzione di dichiarata opposizione al diritto positivo vigente. Sul punto si veda anche D.
GRIMM, Die Zukunft, cit., p. 331.
(19) E.W. BÖCKENFÖRDE, Der Begriff des Politischen als Schlüssel zum staatsrechtli-
chen Werk Carl Schmitts (1988), in ID., Recht, Staat, Freiheit, cit., pp. 344-366, spec.
pp. 351 e ss.
(20) E.W. BÖCKENFÖRDE, Die verfassungsgebende Gewalt des Volkes. Ein Grenz-
begriff des Verfassungsrechts (1986), in ID., Staat, Verfassung, cit., pp. 90-114. Il saggio
apparirà in traduzione italiana in un volume sul « potere costituente » d’imminente
pubblicazione presso la casa editrice « Il Mulino ». Il volume è stato curato da Paolo
Pombeni, ed oltre al saggio di Böckenförde vi appariranno contributi dello stesso
curatore, di John Burrow, di Lucien Jaume, e di Maurizio Fioravanti.
(21) E.W. BÖCKENFÖRDE, Die Eigenart des Staatsrechts und der Staatsrechtswissen-
schaft (1983), in ID., Staat, Verfassung, cit., pp. 11-28. Da segnalare l’insistente presenza,
fino dalla prima nota del saggio in questione, della dottrina dello stato di Heller, cui

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possibile cioè per Böckenförde affrontare i problemi del presente


riutilizzando gli strumenti di questa grande tradizione dottrinale, che
sono quelli del « metodo giuridico », ovviamente rivisto e corretto, di
Gerber, di Laband, e di Jellinek, o quelli della più tarda dottrina della
costituzione, ad iniziare da Hermann Heller, qui in verità visto come
ideale, ed anche comodo, « punto medio » tra impostazioni troppo
spiccatamente formalistiche ed altre troppo spiccatamente sostanziali-
stiche, tra le quali ultime, anche se in modo inespresso, è da annoverare
anche lo stesso Schmitt. Vi è quindi evidentemente la convinzione che
ripartendo dallo « Stato » e dalla sua capacità di racchiudere l’orizzonte
del « politico », ed anche dalla capacità in senso specifico dei giuristi di
lavorare sulle norme di diritto pubblico positivo entro quell’orizzonte,
sia possibile ricucire molti dei fili dispersi, o quanto meno contrastare
efficacemente la tendenza, che qui più volte abbiamo richiamato, ad un
incremento continuo della frammentazione.
Naturalmente, la differenziazione sopra tratteggiata tra la prospet-
tiva di Grimm e quella di Böckenförde non deve essere assunta in modo
schematico e meccanico. È evidente infatti che anche Böckenförde
teme, come Grimm, le pretese troppo unilaterali di dominio del
« politico », tanto da opporvi — più dello stesso Grimm, per un certo
verso — una certa permanenza del principio liberale, ovviamente rivisto
e corretto, della necessaria distinzione tra « Stato » e « società »; e per
converso è evidente che anche Grimm teme, come Böckenförde, la
frammentazione che abbiamo di fronte a noi, la analizza sicuramente in
modo freddo e distaccato, ma nel momento in cui invita i giuristi — e
non solo loro — a discutere del « futuro della costituzione » ciò che lo
muove è secondo noi proprio la preoccupazione per un futuro non
troppo lontano in cui ogni forma di « politico », anche quella necessa-
riamente insita in una costituzione democratica orientata in senso
pluralistico, sia posta ai margini di una società che pretenda di
funzionare ormai solo come insieme coordinato di sotto-sistemi, volu-
tamente non più dotato di alcuna prospettiva, o di alcun significato, che
possa ancora dirsi « costituzionale ».
Per quanto ci riguarda, riteniamo che la riflessione costituzionali-
stica del futuro debba svolgersi in uno « spazio intermedio » tra i due
poli opposti sopra indicati, evitando di farsi catturare dalla nostalgia per
un ruolo forte e totalizzante del « politico » da restaurare nel presente,
ma anche, in modo non meno deciso e convinto, di adagiarsi placida-
mente su uno stato di fatto sempre più privo di ogni vocazione a
costruire una « costituzione ». Se cosı̀ è, ne consegue la necessità, prima
di tutto, di ripensare la nozione stessa della « costituzione ». Essa non
potrà più con ogni probabilità esprimere l’ambizione a contenere in sé,

Böckenförde ricorre assai spesso. Sul significato di questa operazione dottrinale si


dovrebbe discutere a parte in modo più approfondito.

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ed in pochi princı̀pi, il destino normativizzato di tutta la collettività, ma


non potrà neppure limitarsi a rappresentare passivamente l’equilibrio
delle forze in campo. Quella « costituzione » dovrà essere sufficiente-
mente « aperta » alle evoluzioni che il libero gioco democratico saprà
suggerire, ma anche sufficientemente prescrittiva di fronte al pericolo di
una lenta ma inesorabile dissoluzione di ogni tipo di ordine politica-
mente e costituzionalmente significativo.
Ma i saggi di Böckenförde e di Grimm ci suggeriscono altro ancora:
una riconsiderazione di questo tipo della nozione stessa della « costi-
tuzione » non può prodursi nello spazio tradizionale delle discipline
giuspubblicistiche, del diritto costituzionale e del diritto amministra-
tivo. È necessario piuttosto che i giuristi riaprano una discussione ad
ampio raggio sulle grandi concettualizzazioni del diritto pubblico
moderno, sulla sovranità e sulle libertà, sulla rappresentanza e sulle
forme di Stato e di governo, sullo Stato di diritto e sullo Stato sociale,
sulla legislazione e sulla giurisprudenza come attività produttive di
diritto, sulla democrazia stessa, in uno spazio disciplinare che deve
rimanere giuridico, ma nel quale i giuristi stessi dovranno sempre più
utilizzare gli strumenti della storia costituzionale, delle discipline
politologiche, della stessa filosofia politica intesa quale costante rilettura
della grande tradizione politico-intellettuale europea. Uno spazio di
questo genere, entro il quale riflessioni come quelle di Böckenförde e di
Grimm potranno liberamente prodursi e confrontarsi, manca dovunque
in Europa, forse con la sola eccezione proprio della Germania, che però
lo contrassegna ancora, come nel caso di Böckenförde, con l’etichetta di
« Staatswissenschaft », in modo a nostro giudizio del tutto non corri-
spondente alle problematiche odierne. Non si tratta infatti, nella nostra
proposta, di « restaurare » un qualche antico primato perduto, come
potrebbero suggerire anche le denominazioni disciplinari disponibili in
italiano, come « Dottrina dello Stato », o anche « Diritto pubblico
generale », ma di indicare la necessità di uno spazio nuovo, nei termini
sopra indicati. Ed anzi, per sottolineare il carattere di novità di tutto
questo, non parleremmo a questo proposito di « Dottrina della costi-
tuzione » — che sembrerebbe la soluzione più ovvia, ma che dal nostro
punto di vista ha il difetto di richiamare troppo un orizzonte tradizio-
nale, tutto sommato non troppo distante dallo Staatsrecht tedesco —,
ma di « Teoria e Storia della costituzione ».
Se la « storia » occupa un posto di primo piano nella denomina-
zione proposta, non è certo per ragioni di appartenenza disciplinare del
recensore — in questo caso di professione storico delle costituzioni —,
ma per l’oggettivo e continuo prodursi nel nostro presente di problemi
che — come abbiamo visto anche in queste note (22) — possono essere

(22) Del resto, come si diceva all’inizio di questo contributo, la storia occupa un
posto di primo piano anche nei due volumi oggetto di recensione. Si vuole qui ricordare

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affrontati solo a partire da consapevolezze di tipo storico, qualche volta


attinenti alle trasformazioni intervenute dalle rivoluzioni di fine Sette-
cento ad oggi, e che qualche altra volta implicano addirittura un
giudizio su quella dimensione intera del « moderno », che evidente-
mente dobbiamo ancora integralmente conoscere ed interpretare.
Del resto, che tutto questo non si risolva in un futile gioco
accademico, ma sia motivato invece dalla necessità di attrezzare meglio
le scienze giuridiche di fronte alle sfide del presente, è cosa che spero
risulti da tutte le precedenti considerazioni: la posta in gioco è infatti
molto alta, tutt’altro che accademica, e tremendamente pratica, finendo
per coincidere con la sorte stessa, oggi del tutto aperta e problematica,
di quella ipotesi complessiva di normazione che fino ad oggi abbiamo
chiamato « costituzione ». Speriamo che la consapevolezza di tutto ciò
cresca sempre più, e che qualcuno, anche in Italia, voglia raccogliere la
proposta di discussione che abbiamo ritenuto di dover formulare
concludendo queste note. Che la « costituzione » sia ormai solo una
« sopravvivenza » (23) di un passato più o meno remoto è infatti
tutt’altro che un’ovvietà: è questione al contrario ancora pienamente
aperta, che sicuramente incontreremo molte volte sulla nostra via nel
prossimo futuro.

in particolare come la storia dei concetti costituzionali svolga nella dottrina tedesca una
esplicita funzione di tipo costruttivo: si veda E.W. BÖCKENFÖRDE, Geschichtliche
Entwicklung und Bedeutungswandel der Verfassung (1984), in Staat, Verfassung, cit., pp.
29-52; e D. GRIMM, Der Verfassungsbegriff in historischer Entwicklung (1990), in ID., Die
Zukunft, cit., pp. 101-155.
(23) L’accenno alla « sopravvivenza » avrà certamente richiamato alla memoria il
celebre saggio di G. BURDEAU, Une survivance: la notion de constitution, Parigi, Sirey,
1956 (originariamente scritto per gli studi in onore di Achille Mestre; del saggio esiste
anche una versione tedesca: G. BURDEAU, Zur Auflösung des Verfassungsbegriffs, in « Der
Staat », 1-1962, pp. 389-404).

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