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ANALISI DEL TESTO: APOLOGIA DI SOCRATE

Il termine apologia, nella sua accezione etimologica, significa ‘discorso a difesa’, d’altronde è
proprio questo uno degli intenti dell’autore, Platone: presentare le argomentazioni di cui Socrate
dispone per confutare le accuse mosse nei suoi confronti e che l’avevano portato dinanzi il
tribunale. E’ interessante il punto di vista dell’autore in quanto il filosofo stesso (come si evincerà
dal testo) siede in tribunale insieme ai cittadini ateniesi e quindi rivolge al lettore un punto di vista
non del tutto passivo ed esterno alla vicenda. Il processo nell’Antica Grecia aveva la sola durata di
un giorno e aveva inizio quando l’accusatore presentava l’accusa all’assemblea (più un numero
arbitrario di cittadini prescelto in qualità di giudice). All’accusato veniva lasciata la possibilità di
difendersi, poi l’assemblea proponeva di deliberare due pene: una da parte dell’accusatore e
l’altra da parte dell’accusato. La maggioranza dei voti (quindi ci troviamo in un contesto
democratico) sanciva il destino dell’accusato. Il testo è suddiviso in tre parti:

 I parte: L’effettiva replica di Socrate alle accuse mosse contro di lui


 II parte: Socrate viene dichiarato colpevole e ha quindi la possibilità di proporre una pena
alternativa
 III parte: Il discorso di Socrate agli Ateniesi dopo la condanna a morte
Socrate deve difendersi sia dalle accuse dei nuovi, che dalle accuse degli antichi accusatori. Egli
sostiene che, come prima cosa, sia meglio difendersi dagli antichi accusatori, in quanto sono più
numerosi e lo accusano da più tempo e con più fervore, ‘manipolando’ le menti degli Ateniesi sin
dalla tenera età. La prima accusa mossa contro Socrate è quella di essere un criminale e un
perditempo, di aver intrapreso studi naturalistici fuori dalla ‘norma’ e di aver divulgato la sua
conoscenza per soldi, contaminando le menti degli altri; tant’è che anche Aristofane in una delle
sue commedie, dipinge Socrate, in modo derisorio, come un nullafacente che dice solo
sciocchezze. La nuova accusa, presentata da Meleto, riprende i concetti precedenti elargendoli e
accusando Socrate di corruzione verso i giovani e di non credere ‘nelle divinità tradizionali in cui
crede la città’ ma di averne introdotte lui di nuove. Socrate imposterà tutta la sua difesa su due
precetti importanti: dimostrare che l’accusa non sussiste, che sia un assurdo e che, benché molte
volte possa apparire agli occhi degli Ateniesi altezzoso e fastidioso, dirà sempre il vero. Socrate
afferma di non aver mai dispensato insegnamenti ai giovani in cambio di denaro, al contrario di
molti altri educatori; ne cita alcuni, in particolare, Callia che ‘ha pagato ai sofisti più soldi di tutti gli
altri insieme’ per istruire i suoi due figli. Segue una spiegazione sulla provenienza della sua
diffamazione. Egli afferma di possedere un certo tipo di sophia, sapienza, accertata dall’oracolo di
Delfi, il quale afferma che non c’è conoscenza superiore a quella di Socrate. Egli però ‘è
consapevole di non essere affatto sapiente’. Per esserne certo si reca da chi invece è
convenzionalmente considerato sapiente: uomini politici, poeti e artigiani. Tutti però si macchiano
di superbia (anche gli ultimi che avrebbero dovuto dare solo conferme e che spaziano in un campo
che Socrate effettivamente non conosce, si dimostrano immodesti) e dimostrano la fallacità della
loro sapienza, pertanto solo Socrate che riconosce di non sapere, è da considerare il vero sapiente.
Socrate si occupa poi della difesa contro Meleto, da lui considerato un uomo gravemente
negligente; il quale sostiene che Socrate sia l’unico ad influenzare negativamente i giovani. Allora
Socrate gli pone un quesito, che annienta l’accusa: nel caso dei cavalli è la maggioranza che li
migliora e i pochi esperti di ippica che li rovina, oppure il contrario? Meleto non si pronuncia.
Secondo l’accusa però Socrate corrompe volontariamente i giovani, ma si parte dal presupposto
che impartire questi insegnamenti sia un male e che così il discepolo viene reso malvagio e a sua
volta Socrate trae il male da questi… Ma nessuno al mondo vuole volontariamente essere
danneggiato (Meleto concorda), di conseguenza neppure Socrate. In più Socrate sostiene che se
avesse davvero corrotto i giovani in passato, allora quelli sarebbero giunti in tribunale a deporre
contro di lui; eppure ne individua alcuni che però non parlano a suo sfavore perché ‘sanno bene
che Meleto mente e io (Socrate) dico la verità’. Socrate prosegue e passa al confutare l’accusa di
empietà dimostrando, per mezzo di esempi, che è assurdo pensare che qualcuno creda in creature
demoniache (figlie, seppur ‘bastarde’, di dei) e non in divinità vere e proprie, zittisce quindi ancora
una volta l’accusa. Socrate vuole però anche lasciare un insegnamento (che suona a tratti come un
ammonimento) ai cittadini ateniesi: la sua missione, dice, permane da un’incontrovertibile volontà
divina che l’ha portato, anche a costo di rischiare e morire, a fare sempre il giusto. Li avverte:
quando lo condanneranno, non troveranno facilmente qualcuno che venga assegnato dal dio alla
città come ad un cavallo grande e nobile, che ha bisogno di essere scosso da qualche tafano
(analoga situazione che ritroviamo con Socrate, tafano, che smuove gli animi degli Ateniesi).
Socrate però si astiene dal prendere parte attiva alla vita politica, nonostante sia già stato membro
della Bulé un tempo, per quale motivo? Egli è mosso da questa voce (divina e demoniaca) che
grava su di lui, in ogni situazione, come una forte opposizione; inoltre afferma che non c’è
possibilità di salvezza per chi si oppone alla maggioranza, quindi il suo ruolo in politica non
avrebbe beneficiato né i cittadini né lui stesso.
Nel momento in cui Socrate deve pronunciare la sua pena alternativa, egli sostiene di essere un
uomo meritevole, di aver compiuto del bene, pertanto indegno di qualsiasi altra punizione.
Socrate, vistosi costretto a considerare una pena, spiega che un pover uomo come lui (che si è
sempre sottratto da qualsiasi atto disonesto ed è sempre stato ligio alla legge) merita secondo
giustizia, di ‘mangiare nel Pritaneo’ (un edificio dove venivano raccolti tutti i cittadini greci
considerati meritevoli). Espone, come, pene quali l’esilio e la pena pecuniaria sono da scartare: la
prima perché non avrebbe fatto altro che giovare all’anziano uomo, che avrebbe soggiornato di
città in città con un largo seguito di giovani alle spalle; la seconda perché Socrate non possiede
nessun tipo di ricchezza, quindi è naturalmente impossibilitato nel pagare il tributo richiesto.
Questo si evince anche da un passo precedente in cui egli afferma: ‘Credo che basti produrre la
povertà come testimone a mio favore’. Il rapporto col denaro però non è tormentato, in quanto
più volte Socrate afferma che, chi si preoccupa solo di arricchirsi è un uomo vergognoso, da
rimproverare perché ‘disprezza quello che vale di più (la saggezza, la verità e l’anima) e apprezza
quello che vale di meno.’ Missione che chiederà di portare a termine ai cittadini ateniesi, che lo
stavano ascoltando, in quanto lui non potrà.
Socrate, inoltre, non vede mai la morte come qualcosa di estremamente negativo, anzi, è convinto
che sia anch’essa volontà divina e che in realtà sia molto più facile sfuggire a lei che alla malvagità
(di cui consequenzialmente si dovrebbe avere più paura), la quale avanza celere. E’ convinto di
non doversi opporre alla sua condanna perché ‘quella voce’ non l’ha portato a trattenersi. Inoltre
riprende e riporta due precetti antecedenti alla sua scuola: (ipotizzando) quello parmenideo,
secondo il quale chi muore non ha percezione di nulla, e quello dei pitagorici, secondo il quale
l’anima dopo la morte trasmigra, in attesa che tutti peccati vengano espiati. Nel primo caso chi
muore e non prova più sentimenti è come una notte in cui non si sogna né si prova qualcosa (di
conseguenza si riescono anche ad allontanare i mali), da preferire al giorno in cui si sogna e si vive.
Nel secondo caso, supposta l’esistenza di una dimensione alternativa ove l’anima si reca dopo la
morte, sarebbe per Socrate grande gioia confrontarsi con i grandi sapienti e condottieri del
passato e procedere nelle stesse attività che conduceva in vita sua. ‘Perché se pensate che basti
uccidere le persone per impedire di criticarvi perché non vivete rettamente, non pensate bene. Non
è questa la liberazione.’ Queste le ultime parole che Socrate riserva a chi ha votato a favore della
sua condanna a morte, prima di congedarsi, in cui è racchiuso un messaggio profetico fortemente
attuale. Non è infatti che zittendo il dissenso esso si placherà. Nel contesto del testo, Socrate è il
dissenso, in quanto ha sempre usato la voce della verità, anche se spesso ‘scomoda’; uccidendolo
viene creduto erroneamente che la sua voce verrà zittita, eppure egli lascerà un seguito
larghissimo alle sue spalle di cittadini che lo sostengono, di alcuni le cui menti sono state aperte e
di altri che si pronunceranno per Socrate. Naturalmente il dissenso non è stato e non verrà
attanagliato.

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