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Jacques Ellul

IL SISTEMA
TECNICO
La gabbia delle società contemporanee

Prefazione di
Jean-Luc Porquet

Jaca Book i
i
Titolo originale
Le Systèrne technicien

Traduzione dal francese di


Guendalina Carbonelli

©2004
le cherche midi éditeur, Paris

©2009
Editoriale Jaca Book Spa, Milano
tutti i diritti riservati

Prima edizione italiana


febbraio 2009

Copertina e grafica
Ufficio Grafico Jaca Book

In copertina
Foto di John McGrail/Marka. In P.P. Poggio, C. Simoni,
Gli orizzonti del presente, Jaca Book, Milano 2002

Redazione e impaginazione
Gioanola Elisabetta, San Salvatore Monferrato (Al)

Stampa e confezione
Grafiche Flaminia, Foligno (Pg)
gennaio 2009

ISBN 978-88-16-40851-7

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma


ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA - Servizio Lettori
via Frua 11, 20146 Milano, tei. 02/48561520-29, fax 02/48193361
e-mail: serviziolettori@jacabook.it; internet: www.jacabook.it
INDICE

Prefazione: Ellul l’aveva detto, di ]ean-Luc Porquet 7

Introduzione: Tecnica e società 15

Parte prima
CHE COS’È LA TECNICA? 39

Capitolo primo
LA TECNICA IN QUANTO CONCETTO 41

Capitolo secondo
LA TECNICA COME AMBIENTE 55

Capitolo terzo
LA TECNICA COME FATTORE DETERMINANTE 75

Capitolo quarto
LA TECNICA COME SISTEMA 101
1. Idea generale 101
2. Qualificazione del sistema 109
3. Caratteri del sistema 136
4. L’assenza di «feed-back» 146

5
Indice

Parte seconda
I CARATTERI DEL FENOMENO TECNICO 151

Capitolo primo
L’AUTONOMIA 153

Capitolo secondo
L’UNITÀ 189

Capitolo terzo
L’UNIVERSALITÀ 205

Capitolo quarto
LA TOTALIZZAZIONE 241

Parte terza
I CARATTERI DEL PROGRESSO TECNICO 247

Capitolo primo
L’AUTOACCRESCIMENTO 251

Capitolo secondo
L’AUTOMATISMO 277

Capitolo terzo
IL PROGRESSO CAUSALE
E L’ASSENZA DI FINALITÀ 307
1. Finalità 308
2. Obiettivi 322
3. Scopi 325

Capitolo quarto
IL PROBLEMA DELL’ACCELERAZIONE 343

Conclusione: L’uomo nel sistema tecnico 377

Bibliografia di Jacques Ellul 397

Indice dei nomi e dei luoghi 401

6
Prefazione
ELLUL L’AVEVA DETTO
di
Jean-Luc Porquet1

All'epoca della pubblicazione de II sistema tecnico, la sua opera


principale, nella collezione «Liberté de Tesprit» diretta da Raymond
Aron, Jacques Ellul aveva 65 anni. Aveva già concepito gran parte
della propria opera e da molto tempo osservava una situazione para­
dossale: negli Stati Uniti veniva letto, commentato, conosciuto, cele­
brato. Aldous Huxley vi aveva fatto tradurre La Technique ou Venjeu
du siècle, la sua prima opera, venduta in più di 100 mila esemplari.
Corsi universitari venivano dedicati al suo pensiero. Veniva là consi­
derato alla stregua di un Marcuse o di un Illich. Studenti americani
arrivavano dalla California o dal Colorado per seguire i corsi da lui
tenuti presso l’Università di Bordeaux, dove venivano soprannomi-
nati «zaini».
Ma in Francia il suo lavoro rimaneva scarsamente diffuso. Il fatto
è che Ellul, e si dirà che l’avesse fatto apposta, aveva fatto di tutto
perché così fosse. Prima di tutto non si era trasferito a Parigi dove,
grazie al centralismo e alla mentalità parigina, si creano le reputazio­
ni. Aveva scelto di rimanere a Bordeaux, la sua città natale. Amava
inoltre definirsi anarchico. Cosa che è meglio non fare perché ri­
tenuta non seria. Peggio ancora si dichiarava fermamente antisar-
triano, quando Sartre era l’intellettuale faro dell'epoca, e anticomu-

1 Autore di Jacques Ellul, l'homme que avait (presque) tout prévu, le Cherche-
Midi, Paris 2003 (tr. it. Jacques Ellul, l’uomo che aveva previsto (quasi) tutto, Jaca
Book, Milano 2008).

7
Jean-Luc Porquet

nista, quando il PC dominava tutto il pensiero francese postbellico,


inimicandosi così buona parte della sinistra. Inoltre era un uomo di
fede. Era protestante e non lo nascondeva. Ciò lo ha danneggiato nei
confronti di coloro i quali ritengono alienante qualsiasi credenza re­
ligiosa. Agli inizi degli anni Sessanta, Ellul aveva proposto a Debord,
il quale riteneva alcuni dei suoi libri «estremamente notevoli», di
lavorare insieme. La cosa non si realizzò. La fede era di per sé valida
a rescindere raccordo.
Ma la vera ragione di questo rifiuto globale è evidentemente il ful­
cro stesso del pensiero di Ellul: egli critica il progresso tecnico. Del
resto si rifiuta di utilizzare il termine «progresso», giacché secondo
lui, se la tecnica apporta incontestabilmente dei progressi, provoca
anche danni. E non solo inquinamento o sprechi: essa mette in peri­
colo la libertà stessa dell’uomo.
Ciò, diceva Ellul, lo ossessionava dal 1954, anno di pubblicazione
di La Tecknique ou l’enjeu du siècle. In Francia era l’unico a mette­
re in questione la potenza tecnica. Il dopoguerra subiva il fascino
del «progresso» immergendosi voluttuosamente nella prosperità dei
«trenta gloriosi». Ellul recalcitrava. Da qui, evidentemente, ha avuto
origine la sua reputazione di oscurantista e tremendo retrogrado. E
la sua messa in disparte.
D'altro canto, il vero pensatore della tecnica non era forse Hei­
degger? L’intellighenzia parigina preferiva perdersi in discussioni su
quest’ultimo, i cui concetti saponosi e il linguaggio esoterico permet­
tono interminabili dissertazioni e bei battibecchi verbosi, piuttosto
che interessarsi a Ellul, il cui discorso sembrava troppo chiaro e ra­
dicale per essere degno di interesse.
L’isolamento non impediva a Ellul di lavorare, e pure con accani­
mento. Non solo insegnava diritto romano (la sua Histoire des insti-
tutions fa tuttora testo), teneva un corso sulla propaganda e un altro
su Marx (di cui fu il primo a insegnare il pensiero in Francia), ma si
impegnava nella società: con l amico Yves Charrier, creò e sostenne,
a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quello che fu uno dei pri­
mi gruppi di prevenzione della delinquenza in Francia; con Lamico
Bernard Charbonneau condusse una lotta contro il progetto gover­
nativo che prevedeva gettate di calcestruzzo lungo la costa aquitana;
amministratore dell’ospedale Bagattelle, partecipò alla creazione del
primo centro d’interruzione volontaria di gravidanza a Bordeaux.
Prefazione

Inoltre frequentava gruppi non violenti - è in uno di questi che José


Bové fa la sua conoscenza nel 1970 impregnandosi del suo pensiero;
riceveva volentieri a casa i propri studenti per lunghe discussioni;
per non parlare delle sue azioni di ampio respiro all'interno della
Chiesa Riformata, dove, di nuovo, era considerato un emarginato,
inclassificabile e incontrollabile.
Ogni mattina, dalle 6 alle 8, prima di recarsi alTInstitut d’Etudes
Politiques di Bordeaux, Ellul scriveva. Alla fine della propria vita,
aveva pubblicato una cinquantina di opere tradotte in otto lingue.

v? *

Sin dagli anni Cinquanta, Ellul si era posto la domanda: «Se Marx
fosse vivo oggi, quale sarebbe per lui l'elemento fondamentale della
società, il fattore determinante sul quale concentrare il proprio pen­
siero?». La risposta era chiara ai suoi occhi: lo sviluppo della tecnica.
E tutta la sua opera socio-politica sarebbe scaturita da questa con­
statazione.
Secondo Ellul, la tecnica è dunque il fattore determinante delia
società. Più della politica e dell’economia. Essa non è né buona né
cattiva, ma ambivalente. Si autoaccresce seguendo la propria logica.
Crea problemi che promette di risolvere grazie a nuove tecniche. Si
sviluppa senza alcun controllo democratico. E diventata una religio­
ne che non sopporta di essere giudicata. Rinforza lo stato, che la rin­
forza a sua volta. Esaurisce le risorse naturali. Uniforma le culture.
Uccide la cultura.
Ellul ha analizzato tutto ciò nel suo primo libro, La Technique ou
Lenjeu du siède, e nei seguenti, ciascuno dei quali esplora aspetti della
società tecnica. In Propagandes (1962), dimostra che le democrazie
moderne usano e abusano della propaganda, la quale di ritorno ne
mina le fondamenta. In seguito si occupa di come la tecnica privi
Fuomo politico del proprio potere (Ulllusion politique, 1965). Mostra
come essa sia all’origine di nuovi luoghi comuni che impregnano Fin­
terà società {Exégèse des nouveaux lieux communs, 1966). Spiega come
la tecnica abbia riorganizzato le classi sociali: il borghese ha lasciato
il posto al tecnico {Metamorphose du bourgeois, 1967). Reagendo a
caldo agli avvenimenti del 68, afferma che il Maggio non è stata una
rivoluzione, dato che l’unica rivoluzione necessaria è quella che con-
Jean-Luc Porquet

siste nelT«abbandonare i binari della crescita economica» (Autopsie


de la revolution, 1969). Successivamente, esplorando le possibilità di
scatenare una tale rivoluzione all’interno della società tecnica, giunge
alla conclusione che esse siano pressoché inesistenti (De la Revolution
aux révoltes, 1972). Dimostra che le religioni, a contatto con la tecni­
ca, vengono cancellate dalTapparire di un misticismo di paccottiglia e
nuovi dei (Les Nouveaux Possédés, 1973).
Nel 1977 arriva II sistema tecnico. Attraverso questo libro, Ellul
intende proporre una nuova sintesi del proprio pensiero, e ribadire
quale posto vi occupi la tecnica, un quarto di secolo dopo la prima
diagnosi. Vi rileva un cambiamento di dimensioni: attraverso l’infor-
matica, la tecnica ha cambiato natura. Se prima era una «scommessa»,
essa costituisce oggi, all’interno della società, un «sistema tecnico».
Unificando tutti i sottosistemi (ferroviario, postale, aereo, telefonico,
di produzione dell’energia, militare, ecc.), il computer ha permesso la
nascita di un Tutto organizzato che modella, trasforma, controlla, e
tende poco a poco a confondersi con essa. Ormai tutti i settori sono
interconnessi, interagiscono uno con l’altro, condizionano e sono con­
dizionati dagli altri. Banche dati, trattamento di enormi flussi d’infor­
mazione, reti di comunicazioni immediate: l’informatica permette la
crescita illimitata delle organizzazioni economiche e amministrative.
La società non è per questo diventata una Megamacchina di cui gli
uomini sono gli ingranaggi, ma la libertà dell’uomo sparisce poco a
poco. All’interno del sistema, a condizione di consumare, lavorare e
divertirsi in modo conforme alle sue direttive, l’uomo è sicuramente
libero e sovrano. Ma questa libertà è artificiale e sottocontrollo. Usci­
re da questo accerchiamento, adottare un comportamento diverso da
quello ritenuto normale esige eroismo.
Proliferando, i mezzi tecnici hanno fatto sparire ogni fine. Questo
sistema autogenerativo è cieco. Non sa dove va, non ha alcun dise­
gno. Non cessa di crescere, di artificializzare luomo e l’ambiente,
di portarci verso un mondo sempre più imprevedibile e alienante.
Senza correggere i propri errori.
* * *

All’epoca della pubblicazione II sistema tecnico venne accolto da un


silenzio assordante. Nemmeno un articolo sui principali giornali na­

to
Prefazione

zionali: niente su «Le Monde», «Libé», «Le Figaro», «LHumanité»,


«Le Nouvel Obs», «L’Express»! Solo due critici se ne occuparono.
Bernard Le Saux, in «Les Nouvelles littéraires» (12/01/78), presenta
la tesi principale del libro, e precisa che Ellul «non predica l’impos­
sibile ritorno a una società pretecnica», ma «invita più serenamente
all’esercizio di un senso critico narcotizzato dalla razionalità dominan­
te, a prendere coscienza del carattere globale del ‘sistema’, condizione
necessaria se non sufficiente per comprenderlo, se non addirittura per
tentare di agire su di esso». Conclude l’articolo: «Fin d’ora, infatti, ci
sono pochi dubbi sul fatto che ci troviamo di fronte a uno dei massimi
pensieri dei nostri tempi. Pensiero elaborato a lungo contro la moda e
che ancora oggi corre il rischio di essere occultato da essa. In partico­
lare da altri tipi di pessimismo’ più in voga». Detto benissimo.
In «La Quinzaine littéraire» (1/9/78), Jean Lacoste torna sul­
l’ostracismo di cui Ellul soffre: «E vero che la tesi che difende in­
stancabilmente da quasi più di trentanni non ha nulla di seducen­
te (soprattutto per gli intellettuali). Ma non ci si può accontentare
di opporre alla descrizione del ‘sistema tecnico’ argomenti triviali
o proteste indignate». Dissipando i malintesi che circondano la sua
opera, notando di sfuggita che egli «dimostra F onnipotenza della
tecnica col cupo gusto di un pastore protestante che parla dell’onni­
presenza del peccato», Lacoste si dice colpito dalla sua «magistrale
descrizione della tecnica», e, prendendola sul serio, la discute. «Non
si può fare a meno di pensare che la dimostrazione di Ellul si basi su
un sofisma. Egli deriva in modo astratto (e giustificato) un modello,
la Tecnica, che definisce estraneo alla politica, ai rapporti di potere
tra gli uomini, ma dice d’altra parte che la tecnica è l’espressione di
una volontà di potere e, quando si tratta di predicare la rassegnazio­
ne davanti a questo nuovo mostro freddo, Ellul menziona sempre
fenomeni in cui tecnica e politica sono strettamente legate [...]. Non
è però il potere politico che ripartisce le risorse, per la guerra o per la
pace?». Argomento accettabile, ma discutibile, e che dimostra bene,
in ogni caso, ciò per cui Ellul ha sempre fatto scandalo: dire che la
tecnica, formando un sistema, è divenuta autonoma, e che l’uomo, in
particolare l’uomo politico, non ha più alcun potere su di essa, signi­
fica infliggere un grave colpo all’orgoglio umano. Come? La nostra
creatura, la Tecnica, ci sarebbe scappata di mano? Impossibile. Ci si
rifiuta di prendere in considerazione una tale ipotesi.

11
Jean-Luc Porquet

In una rivista specializzata2, Pierre Dubois manifesterà così il pro­


prio turbamento: «La tesi è impietosamente pessimista: il sistema
tecnico si espande e si espanderà in qualsiasi caso. Se ciò è vero, per­
ché scrivere questo libro? [...] Ci vengano almeno lasciate le nostre
illusioni, sia quella di credere che la Tecnica è pervertita dal capitali­
smo, sia quella di pensare che si debbano combattere le tecniche che
causano dominazione sociale». «Ci vengano almeno lasciate le nostre
illusioni»: difficile immaginare miglior omaggio... sebbene involon­
tario. Infatti questo grido che viene dal cuore è sintomatico: ciò che
disturba tanto di Ellul è il fatto che egli osi guardare in faccia una
verità che pare accecante.

* *

Leggendo questa opera fondamentale un quarto di secolo dopo


la sua apparizione, il lettore potrà certo storcere il naso. Quando,
ad esempio, tra due pagine brillanti si intrufola un passaggio sca­
bro: Ellul, che ha sempre voluto scrivere nel modo più accessibile
possibile, che è capace di superbi slanci polemici, di dimostrazioni
serrate, di ragionamenti elevati e persuasivi, si lascia talvolta andare
a una scrittura pesante o a cavillare su un dettaglio. Fortunatamente
ciò non dura mai a lungo, li lettore potrà anche trovare alcuni rife­
rimenti datati: Ellul cita gli autori della propria epoca, come Lewis
Mumford o Henri Lefebvre, polemizza con Jacques Monod o Alfred
Sauvy. Tutto ciò non rende tuttavia la sua opera obsoleta: la maggior
parte dei dibattiti sollevati rimane di attualità.
Gli si potranno anche rinfacciare due errori di previsione: venia­
le, quando afferma che «la macchina per giocare a scacchi è pura
fantasia». Più difficilmente perdonabile quando dichiara: «Da mez-

2 «Sociologie du travail», voi. 9, n. 1. Altre recensioni sono apparse in riviste non


ufficiali di cui Joyce Hanks, l'universitaria americana che da anni raccoglie tutto
ciò che viene pubblicato su Ellul in tutto il mondo (si veda bibliografia), ci ha fatto
pervenire Felenco seguente: «Bullettin du Centre Protestant d* Études et de Docu-
mentation», n. 228 (febbraio 1978), di J. Bois; «Reforme», n. 1720 (11 marzo 1978),
di Marcel Reguilhem; «Notes bibliographiques: culture et bibliothèques pour tous»,
n. 4 (aprile 1978); «Études», voi. 348, n. 5 (maggio 1978), di Georges Morel; «Éco-
nomie et humanisme», n. 241 (maggio-giugno 1978), di A. Birou; «Bulletin critique
du livre francate», n. 391 (luglio 1978); «Tarn qu’il fait jour», n. 1 (ottobre 1978), di
Montségur; «Pour», n. 64 (gennaio-febbraio 1979).

12
Prefazione

zo secolo è piuttosto chiaro che il capitalismo classico stia perdendo


tutte le partite e si stia costantemente indebolendo proprio a causa
delle tecniche il cui sviluppo spinge verso il socialismo». Se Ellul si
è sbagliato molto meno di altri pensatori (Sartre, per esempio), gli
è capitato, chiaramente, di commettere errori di prospettiva. Il che
non è un pretesto valido a screditarlo senza guardare oltre!
Fatte queste riserve, il lettore de 11 sistema tecnico avrà il privi­
legio di entrare in contatto con un pensiero portato al suo «punto
d’incandescenza critico massimo», come nota Lucien Sfez. Scoprirà
fatti sorprendenti sulla società odierna. Sulla tirannia dei numeri. Sul
regionalismo, che Ellul vede paradossalmente come un prodotto del
sistema tecnico, dal momento che la tecnica si rivela decentralizzatri-
ce «a condizione che il fattore decentralizzato sia fortemente integra­
to nel sistema stesso». Sul fatto che la tecnica crea tempo per l’uomo,
a detrimento però dello spazio. Sulle velleità di riconciliare tecnica
e democrazia. Sulle guerre, le quali non sono altro che «banchi di
prova» per la tecnica. Sulla sempre maggiore importanza attribuita
ai divertimenti, «funzione respiratoria del sistema». Sul fatto che «in
questo mondo l’uomo lavora più di quanto abbia mai fatto». Si con­
fronterà con domande che non hanno mai trovato risposta: «Come
verranno risolti gli enormi problemi di disoccupazione, gli enormi
problemi economici scatenati ad esempio dall’automazione, nel caso
la si voglia veramente applicare? Come si convincerà l’umanità inte­
ra ad abbandonare la procreazione naturale? Come si farà accettare
all'umanità di sottomettersi a controlli igienici costanti e rigorosi?
Come accetterà l’uomo di cambiare la propria alimentazione tradi­
zionale?». Dovrà affrontare profezie agghiaccianti: «La dittatura tec­
nica astratta e benefattrice sarà molto più totalitaria delle preceden­
ti». Gli verranno ricordate verità raramente dette: «Bisogna dissipare
il mito che la tecnica aumenti le possibilità di scelta: chiaro, l’uomo
moderno può scegliere tra cento marche d’auto e mille tessuti... cioè
prodotti. A livello dei consumi, la scelta si basa su un ventaglio più
ampio. Ma a livello del ruolo nel corpo sociale, a livello delle funzio­
ni e delle condotte, vi è una considerevole riduzione».
E gli verrà posta una importante domanda alla quale Ellul dedica
le ultime pagine. La Tecnica non cessa di accrescere il proprio impero,
afferma, ma fino a quando? Questa espansione rallenterà, o si stabi­
lizzerà? «A che fine verrà utilizzata questa attesa stasi? Per mettere

13
Jean-Luc Porquet

ordine nella società perturbata, per permettere un’organizzazione effi­


ciente, per assimilare l’immensità di progressi realizzati, per permette­
re all’uomo di radicarvisi e adattarvisi?».
Questa è oggi una questione scottante, con le emergenti nozioni
di «sviluppo sostenibile» e «principio di precauzione»: il sistema si
autocorreggerà? O starà all’uomo autocorreggersi per meglio sotto-
mettervisi?
Se Ellul sembra propendere per la seconda soluzione, non è per il
pallino sadico del pessimista felice di precludere ogni soluzione. Ma
è per meglio provocare, incitare alla speranza, stimolare nel lettore
una presa di coscienza. Come Marx, Ellul ha sempre affermato che
il primo passo verso la libertà consiste nel prendere coscienza delle
proprie catene, delle proprie alienazioni. «Ai miei occhi Fimportante
è restituire all’uomo il massimo delle sue capacità di indipenden­
za, di invenzione, di immaginazione. Questo è ciò che tento di fare
spingendolo a pensare. Provo, con la mia opera, a fornirgli le carte
perché possa poi fare il proprio gioco. Non il mio. Solo la riscoperta
dell’iniziativa individuale è fondamentale di questi tempi»3. Pochi
manuali di insubordinazione sono illuminanti quanto questo.

M. Garrigou-Lagrange, À temps et à contretemps, Le Centurion, Paris 1981, p.


174.

14
Introduzione
TECNICA E SOCIETÀ

La tecnica non si accontenta di essere, e, nel nostro mondo, di es­


sere il fattore principale o determinante: essa è divenuta Sistema. Ciò
è quanto tenterò di dimostrare in questa analisi. Devo però mettere
in chiaro l’oggetto stesso della ricerca. Se venticinque anni fa ero
giunto al concetto di Società tecnica, questo stadio è attualmente
superato. Resta tuttavia il problema principale di che cosa costituisca
la specificità della nostra società, la sua caratteristica dominante. O
ancora di cercare quale sia la chiave di interpretazione della moder­
nità. Ora, se prendiamo in considerazione il campo delle definizioni
generalmente accettate oggi, ci renderemo conto che tutte le speci­
ficazioni riportate sono solo secondarie, e puntano in definitiva alla
tecnica. Facciamo qualche esempio1.
La definizione oggi più nota è quella di Raymond Aron: società
industriale. Il termine, pur largamente utilizzato, credo sia inadegua­
to. Lasciamo da parte la difficile questione di sapere se Raymond
Aron, attraverso queste parole, si riferisca a un modello o alla realtà
della nostra società. In quanto modello, tipo ideale, la sua descrizio­
ne è rigorosamente esatta, utile e interessante. Ma è chiaro che essa

1 Va da sé che, tra gli innumerevoli studi apparsi in questi ultimi anni per «de­
finire» la nostra società, ho potuto considerare solo qualche esempio, scelto tra i
migliori, scartando deliberatamente gli studi pseudorealisti, di corte vedute e senza
alcun valore di presa di coscienza, come Défi américain o Le del et la Terre e i pam­
phlet d’innocenza disarmante come Qui est aliène di Maurice Clavel.

15
Introduzione

non corrisponda più alla realtà attuale. È evidente che la società occi­
dentale nel xrx secolo fosse una società industriale, e Raymond Aron
ha ragione nel mostrare che, dal momento in cui l’industrializzazione
si sviluppa, è l’insieme dei rapporti sociali a venire intaccato, e che
l’industrializzazione conduce a un modello sociale che si riproduce,
in modo piuttosto simile, qualsiasi siano i tratti nazionali, i sistemi
politici e le differenze di partenza. Sottolineo che l’industrializza-
zione è caratterizzata dal moltiplicarsi delle macchine e da una certa
organizzazione della produzione: due fattori tecnici. Oggi l’indu­
strializzazione, sempre considerevole, non ha più molto in comune
con quella del xix secolo, e soprattutto, è immersa in un insieme
di altri fenomeni tutti ugualmente importanti, che ha parzialmente
determinato ma che si sono slegati da essa e, acquistando volume, si
sono dotati di una forza di trasformazione che sfugge all’industria in
senso stretto. La società attuale è ancora industriale, ma questo non
è più l’aspetto essenziale2.
Non è necessario trattenersi a lungo sulla contrapposizione tra
sistema industriale e sistema tecnico. Ricorderò a questo proposito
due esempi di analisi. Quello di Seurat e quello di Richta.
L’influenza della sistematica tecnica che oppone il mondo in­
dustriale alla nuova concezione è stata molto ben analizzata da Seu­
rat3, e il suo esempio è estremamente significativo: in che cosa la vec­
chia fabbrica è diversa dalla nuova? Nella prima si tratta di aggiunge­
re valore a una materia prima attraverso operazioni svolte da famiglie

2 David S. Landes, L’Europe technicienne ou Le Prométbée Ubère: revolution techin-


que et libre essor industriel en Europe occidentale de 1750 à nos jours, Gallimard, Paris
1975 (ed. or. The Unbound Prometheus -Tecbnical cbange and industriai development
in Western Europe from 1750 to thè present, Cambridge University Press, Cambridge
1969). È la più notevole storia dello sviluppo industriale in Europa nel xviii e xix se­
colo. Il capitolo dedicato al periodo posteriore al 1945, in cui, di solito, si individua il
periodo di passaggio verso la società tecnica, è però totalmente deludente. In pratica
Landes si attiene alTidentificazione Tecnica-Industria (da cui l’inesattezza del titolo
del suo libro, che dovrebbe chiamarsi invece LEurope industrielle\ ) e al solo rapporto
Industria-Economia. Quando in questo capitolo parla, ad esempio, della velocità del
cambiamento tecnico, si basa esclusivamente sulle tecniche di produzione industriale.
Perciò poco contribuisce allo studio del Sistema Tecnico, confermando semplicemen­
te un certo numero di conclusioni ricavabili dall osservazione del processo industriale
(rapporto Scienza-Tecnica, tendenza al con centramento, partecipazione di tutti allo
sviluppo della Tecnica, perdita dell’identità per via della globalizzazione, ecc.).
3 S. Seurat, Kéalités du transfert de tecbnologie, Masson, Paris-New York 1976.

16
Tecnica e società

di macchine, ciascuna delle quali assolve a una funzione. Nel caso


una difficoltà sorga in una «famiglia» di macchine, questa non si ri­
percuoterà sulle altre. Le macchine sono installate in laboratori sepa­
rati, le famiglie di macchine sono rese indipendenti le une dalle altre
da scorte e interconnessioni. Uerrore umano ha poche conseguenze.
Seurat paragona la struttura di questa fabbrica alle colonie di api o
formiche: Terrore del singolo non ha importanza. Dopo mezzo seco­
lo la trasformazione è completa e si è realizzata secondo quattro vie:
la potenza delle macchine unitarie non ha smesso di crescere. Una mac­
china che produce il doppio costa meno alTacquisto, in produzione
e nella gestione, di due macchine vecchie. «Sulla via del gigantismo
diventa ragionevole spingersi al limite del possibile, concentrando
le aziende per permettere loro di essere all’altezza delle più grandi
macchine immaginabili». Questa affermazione da parte di tale emi­
nente tecnico cancella a giusto titolo le speculazioni ideologiche sulla
riduzione di dimensioni delle imprese, la disseminazione di piccole
fabbriche nella natura, ecc. Ideologie consolatorie nate da convin­
zioni maoiste e dall'estensione illegittima della miniaturizzazione di
alcune apparecchiature. Nella realtà industriale si può concepire solo
la crescita, teoricamente indefinita, di sottosistemi. La seconda linea
di sviluppo sottolineata da Seurat è la complessificazione: «I problemi
posti dal gigantismo richiedono soluzioni spesso al confine dell’uni­
verso esplorato della Tecnologia». Ma la complessificazione implica
una semplificazione apparente. Macchine giganti e complesse non
possono più svilirsi in una famiglia di macchine. Le interconnessioni
sono troppo impegnative o fragili: una struttura ideale si impone,
quella che consiste nel disporre di una sola macchina per ogni tap­
pa del processo e nel realizzare un flusso continuo di materia prima
lungo la catena di macchine (quindi niente più laboratori separati,
scorte o interconnessioni). La precedente analogia con le «colonie di
formiche» è perciò superata, «le formiche sono scomparse» (il che
mostra a quale punto la Cina sia semplicemente rimasta indietro). Si
realizza una integrazione verticale tra macchine successive che assi­
cura a ciascuna una funzione differente. C’è un corpo enorme e com­
plesso ma uno. Il che rende maggiormente necessaria la circolazione
di informazioni. Ed ecco la quarta caratteristica: automatizzazione e
decentralizzazione delTinformazione. Niente può funzionare senza
(da cui deriva la presenza inevitabile del computer). I circuiti di in-

17
Introduzione

formazione innervano l’insieme del processo, in ogni tappa, e fanno


capo spesso a un’unica sala di comando. Biologicamente si potrebbe
paragonare questo processo a una cerebralizzazione, tenendo conto
che si tratta solo di un paragone, e che non c’è nulla di vivo in questo
enorme insieme. Perché tutto funzioni è necessario un uomo per­
fettamente adattato, conscio delle proprie responsabilità, capace di
attenzione, solidarietà, che non sia pronto al sabotaggio e allo sciope­
ro... Il danno arrecato a tutti sarebbe troppo grande • • •

Ma la dimostrazione più rigorosa del passaggio dalla società in­


dustriale alla società tecnica, dell’opposizione stessa, radicale, tra le
due ci è fornita dall’opera fondamentale di Radovan Richta (La Civi-
lisation au Carrefour, 1972). Egli fa proprio di questa opposizione la
chiave di interpretazione del fallimento del socialismo in URSS: l’URSS
si aggrappa al modello industriale senza fare il passo che la portereb­
be nella società tecnica, essendo quest"ultima completamente diversa
dalla precedente.
In un primo tempo tecnica e meccanizzazione industriale sono
state collegate, ma dopo più di mezzo secolo le due si sono trovate
su fronti opposti. Uindustrialismo ha sviluppato un sistema centra­
lizzato, gerarchizzato, a crescita lineare, che prevede la divisione del
lavoro, la divisione tra mezzi e fini. La meccanizzazione creava occa­
sioni di lavoro supplementari, aumentava l’assorbimento del lavoro
umano, funzionava per riproduzione costante e sviluppo delle mas­
se di uomini integrati nell’industrializzazione. La Tecnica moderna
contraddice punto per punto queste caratteristiche: lasciata libera
di agire, essa porta alla decentralizzazione, alla flessibilità, all’elimi­
nazione della gerarchia, della divisione del lavoro (in particolare la
Tecnica esige Feliminazione della separazione tra funzioni esecuti­
ve e direzionali), presuppone una crescita polivalente e non lineare,
reintegra fini e mezzi, sopprime occasioni di lavoro ed economizza
effettivamente sul lavoro. Ciò che produce valore non è più il lavoro
umano ma l’invenzione scientifica e l’innovazione tecnica. Pertanto
l’analisi di Marx secondo la quale tutto l’insieme economico regge
grazie al plusvalore prodotto dal lavoro salariato dell’operaio non
può più essere applicata. Il sistema industriale è un mondo chiuso,
che evolve in modo lineare e ripetitivo. Il sistema tecnico è neces­
sariamente aperto ed evolve in modo polivalente e non ripetitivo.
Infine essa può essere perseguita solo attraverso io sviluppo univer-

18
Tecnica e società

sale degli uomini, che diviene una stretta necessità affinché il siste­
ma tecnico si sviluppi. Ci si trova quindi in presenza di un insieme
totalmente diverso da tutto ciò finora esistito. Richta spiega (e credo
abbia per lo più ragione) che se la Tecnica ancora non riveste questo
ruolo è perché gli uomini (capitalisti come socialisti) non riescono a
superare il modello industriale della società, perché conservano ge­
losamente industrialismo e produzione industriale come dominanti
dal punto di vista economico come da quello sociologico, e perché
mettono la tecnica al servizio di quel tipo di sviluppo, il che va con­
tro la natura stessa della tecnica moderna. Essa diviene allora, ma
solo per questo motivo, più alienante. Perché la Tecnica, nota per il
suo aspetto di automatizzazione, chimizzazione, di economia ener­
getica, di cibemetizzazione, di informatica, di invenzione biologica
e di produzione infinita di energia atomica, non ha più molto a che
vedere con l'antica meccanizzazione industriale. Ci troviamo in pre­
senza di un'idea forte, di importanza decisiva. Vorrei tuttavia, per
non dovervi tornare più tardi, rivolgere qualche critica all'opera di
Richta (e della sua équipe). Mi sembra innanzitutto che non abbiano
completamente considerato il fatto che si tratti di un sistema e non
abbiano valutato le conseguenze che ciò implica. Sono stati guidati
da un umanismo molto simpatico e spontaneo, ma forse un po’ senti­
mentale e poco rigoroso. Hanno dato eccessiva importanza all'aspet­
to di automatizzazione della Tecnica, come se questa fosse la chiave
di tutto. Infine hanno dato prova di un grande idealismo credendo
alla positività della tecnica, a condizione che essa venga considerata
per se stessa (e non deformata) e che la si lasci libera: credono così
alla validità dell'applicazione delle tecniche pedagogiche per avviare
una nuova didattica in grado di formare l'uomo nuovo, «Fobiettivo
dell'educazione non è formare un certo tipo di uomo, ma un uomo
capace di formata in un modo o in un altro e di cambiare... l'inse­
gnamento dovrà orientarsi verso la struttura dell'oggetto e basarsi • • m

sulla generalizzazione delle facoltà creatrici». Concordo con l’auspi-


cabilità, ma come si capisce da queste righe (e potrei citare altri cen­
to esempi) Richta dà come virtualmente realizzato dalla Tecnica ciò
che è auspicabile da un punto di vista umanista. Il suo idealismo è
tale da impedirgli in realtà di porre il problema della potenza. Non
considera nemmeno per un momento che la Tecnica sia potenza,
fatta di strumenti di potenza e causata da fenomeni e strutture di

19
Introduzione

potenza, vale a dire di dominazione. Tecnica significa per lui arric­


chimento dell’individuo umano e sviluppo reciproco dell’uomo at­
traverso Puomo, mentre non viene messo in rilievo 0 passaggio dal
controllo dell’uomo attraverso l’uomo (e non attraverso se stesso) a
questa situazione che sarebbe quella del dono e dell’amore: la Tec­
nica non predispone a ciò, anzi ! Queste sono le mie critiche fonda-
mentali, che nulla tolgono alla profondità di analisi e alla validità
dell'orientamento generale, volte non certo a una maggiore preci­
sione di conoscenza del sistema, ma alla sua messa in relazione con
l’uomo e la società globale e alle scelte fondamentali ora attuabili.
h h h

Alcuni sociologi, come Daniel Bell e Alain Touraine, hanno visto


esattamente che non ci troviamo più in una società industriale e im­
piegano perciò strani termini: postindustriale o industriale avanzata.
Mi sembra estremamente significativo che in un’epoca in cui si sta
sviluppando l’uso delle matematiche nelle scienze umane si usino
vocaboli tanto imprecisi e insignificanti.
Bell definisce così le cinque dimensioni della società post­
industriale: creazione di un'economia di servizi - predominanza
della classe di specialisti e tecnici - importanza del servizio teorico
come fonte di innovazione ed elaborazione politica nella società -
possibilità di una crescita tecnologica autonoma - creazione di una
nuova tecnologia intellettuale. Ma come non accorgersi che queste
cinque caratteristiche sono immediatamente legate alla crescita e alla
predominanza della Tecnica e dei tecnici? Addirittura i termini che
egli impiega implicano ciò. In compenso non si capisce come tutto
ciò determini una società «post» • • #

Postindustriale? Significa solo che si è superato lo stadio indu­


striale. E poi? In che cosa mai ciò è in grado di fornire anche il più
piccolo carattere, la più piccola idea di ciò che è la nostra società? Si
può spiegare piuttosto precisamente che cosa siano una macchina,
l’industria, e quindi la società industriale a qualcuno che non ne sap­
pia nulla, ma come attribuire un contenuto a «post»4?

4 D. Bell, The measurement of Knowledge and Technology, in «Indicatore of Social


change», 1968.

20
Tecnica e società
Si definirebbe la società politica del xvn secolo postfeudale? O
quella del xix secolo postmonarchica? Il temine «società industria­
le avanzata o sviluppata» non ha senso: sviluppata? Può solo voler
dire: rindustria si è ulteriormente sviluppata. La si considera quindi
ancora società industriale, ma più accentuata, o, siccome l’esperien­
za storica mostra che è una tendenza fondamentale dell’industria
svilupparsi, ci si limita a dire «società industriale veramente indu­
striale» «avanzata»? ma verso che cosa? Che cosa ha avanzato? A
che cosa ha condotto questo progresso? Quale nuova caratteristica è
apparsa? Questi aggettivi, non dicendoci nulla, sono perfettamente
inutili, non definiscono la nostra società e devono decisamente esse­
re abbandonati.
D’altro canto bisogna sottolineare che Touraine5 stesso esita nel
dare una definizione, parlando, ad esempio, di «società programma­
ta». Mi trovo molto più d’accordo con lui. In questo modo rientra
nell’orientamento generale di coloro i quali ritengono che la novi­
tà della nostra società sia l’organizzazione. Sottolinea la differenza
tra l’epoca primaria (capitalista) dell’industrializzazione, e la nostra
epoca. ' Individua questa nuova società per la comparsa di nuove
«classi» sociali (tecnici, burocrati, razionalizzatori), il nuovo orien­
tamento dell’impresa (non più fondata sul rapporto potere econo-
mico-lavoro produttivo, ma sull’organizzazione e i divertimenti):
queste tre caratteristiche riconducono infatti alla demoltiplicazione
e ai bisogni del sistema tecnico che trasforma, come Touraine dice
correttamente, le lotte sociali stesse, che diventano più tecniche e
non sfociano più in una presa di potere da parte del proletariato.
Touraine aggiunge come carattere essenziale della società postin­
dustriale l’importanza del movimento studentesco, con la sua con­
testazione profonda e la sua debolezza politica. Ritengo (come ho
provato a dimostrare nei miei studi sulla Rivoluzione) che questa
caratteristica sia episodica, contingente, e che Touraine si sia lascia­
to influenzare dagli avvenimenti accaduti nel periodo in cui stava
scrivendo il proprio libro.

5 Nulla nell’opera di A. Touraine, La Sociétépost-industrielle, Denoel, Paris 1969,


giustifica questa definizione: quando la definisce tecnocratica nella sua organizza­
zione programmata, dominata dalla crescita economica nei propri motivi, non si
capisce perché l’elemento decisivo sia «l’industriale superato».

21
Introduzione

Un altro tema è spesso sviluppato sotto la definizione di «Società


Burocratica» e indubbiamente anche noi diamo importanza alla for­
ma di potere, espressione di uno sviluppo e di una influenza generale
sul corpo sociale. Lasciamo da parte la facile critica nei confronti
della burocrazia: ciò che bisogna prendere in considerazione sono il
principio di ordine, di metodo, di neutralità, di organizzazione e di
efficacia.
L’amministrazione diventa burocrazia nel senso positivo del ter­
mine quando il reclutamento è il migliore possibile, rinserimento
sociale privo di sbavature, l’intervento attivo, efficace. La burocrazia
è dotata di macchine sempre più complesse ed essa stessa deve fun­
zionare come una macchina. L’ideale sarebbe che l’amministrazione
girasse e funzionasse come un meccanismo di cui ogni ufficio è un in­
granaggio, ogni individuo un pezzo. Deve funzionare con regolarità,
continuità, al di là di opinioni e influenze... Alcuni la chiamano «so­
cietà d’organizzazione». Certamente il termine dimostra che l’aspet­
to essenziale della burocrazia è l’organizzazione, e che la burocrazia
non è solo quella dello Stato, ma concerne tutte le forme di attività
collettiva della società. In realtà c’è somiglianza tra i due aspetti. Uno
più ristretto e peggiorativo, l’altro più ampio e positivo. In realtà tut­
te le impronte e le qualità della società burocratica derivano da tec­
niche di organizzazione. Ciò che ha trasformato l’amministrazione
in burocrazia è la tecnica rivolta all’efficacia. Essa dipende da questo
ordine di tecniche. D’altra parte, appare chiaramente come questa
definizione non renda conto di tutti gli aspetti, di tutte le realtà della
nostra società: l’organizzazione e la burocrazia sono essenziali, ma
ciò che esse generano e organizzano non lo è meno! Non si può ri­
condurre la nostra società a questo unico aspetto, come carattere che la
differenzia da tutte le altre, sufficiente a specificarne tutte le attività.
Abbiamo una definizione che deriva direttamente da quella
adottata da un certo numero di economisti (sulla scia di C. Clark
e Fourastié): società dei servizi o società terziaria. Farei qui le stes­
se osservazioni fatte in precedenza: da un lato, se siamo passati a
una società dei servizi è perché, dopo le tecniche di produzione che
hanno permesso la crescita della società industriale, hanno fatto la
propria comparsa tecniche di organizzazione, di gestione, di svago,
ecc., che hanno permesso la crescita dei servizi. D’altronde, quando
si vogliono definire i tre «ordini», ci si riferisce all’uso di un certo nu-

22
Tecnica e società

mero di tecniche in ciascuno di essi. D’altra parte la nozione di ser­


vizio che designa validamente il terzo aspetto delFattività economica
non comprende tutte le forme della società, non rende conto della
complessità dei fenomeni attuali e forse non ne costituisce Faspetto
più importante.
Bisogna ovviamente parlare della definizione che ha fatto furore
nel 1968, «Società dei consumi». Questo slogan, utile per le agita­
zioni e la propaganda, ha avuto il merito di mettere Faccento su un
aspetto troppo spesso dimenticato, e di centrare la definizione sulla
vita del singolo. E però evidente che la nostra società è caratterizzata
dal lavoro e dalla produzione almeno quanto lo è dal consumo! Non
è la parola chiave che tutto spiega e tutto comprende! Il termine è
valido se si riferisce all'ideologia che risiede in ciascuno; ma se si
riferisce alla realtà economica e sociale, è estremamente limitato. Ciò
che mi sembra importante è che nel consumo ritroviamo Felemento
tecnico in una veste decisiva: che cosa provoca il consumo? La pub­
blicità, cioè le tecniche pubblicitarie. Che cosa esige sempre maggiori
consumi? La produzione di massa, possibile solo grazie alla tecnica.
Ciò che è dato consumare sono oggetti tecnici, poiché sono quelli
maggiormente prodotti. Di conseguenza la società dei consumi è in­
nanzitutto caratterizzata, sotto ogni aspetto, da diverse tecniche6.
Vicino alla «società dei consumi» troviamo la famosa «società
dell'abbondanza»... Come ci si arriva? Attraverso lo sviluppo di al­
cuni fattori tecnici, in particolare l'automazione. Non bisogna però
dimenticare che l'abbondanza in questione è soprattutto quella dei
prodotti tecnici, e che è compensata dalla creazione di nuove «scar­
sità». Scarsità di spazio, d'aria, di tempo, ecc. Queste scarsità sono
tutte risultato delFapplicazione delle tecniche necessarie affinché la
società dell'abbondanza esista. Ci torneremo. L'abbondanza è quin-

6 La migliore analisi della società dei consumi è sicuramente quella proposta da


Baudrillard nel sistema degli oggetti. Ma per quanto ampia sia la sua concezione (il
consumo non è né una pratica materiale, né una fenomenologia dell abbondanza,
non si definisce per il cibo, ecc., ma è la totalità virtuale di tutti gli oggetti e messaggi
costituiti fin d’ora in un discorso più o meno coerente... Il consumo è un’attività di
manipolazione sistematica di segni), non ha potuto dimostrare che il consumo fosse
allora in uno stadio diverso da quello odierno: vale a dire che egli lo ha analizzato
in quanto basato su oggetti tecnici, perché esercitato nell’abbondanza, perché final­
mente integrato esso stesso in un sistema tecnico più globale: solo qui la manipola­
zione sistematica dei segni trova contemporaneamente riferimento e possibilità.

23
Introduzione

di sicuramente uno dei segni importanti della nuova società, ma essa


stessa viene definita e dipende da un certo numero di tecniche.
Vediamo ora, come esempio di sintesi dei fattori precedenti, la
definizione avanzata da H. Lefebvre: società burocratica di consumo
pilotato. Questa formula in realtà comprende ben tre dei caratteri po­
steriori allo stadio industriale, e si conforma perfettamente ad alcune
funzioni e strutture della nostra società. Ma essa presenta le stesse
lacune delle precedenti: prende in considerazione solo alcuni aspet­
ti della nostra società (organizzazione, consumo, azione psicologica)
sacrificandone altri altrettanto importanti (massificazione e produ­
zione, per esempio). Essa rimane a livello piuttosto superficiale, non
considerando il fattore comune a tutti gli elementi presi in considera­
zione, che ne è al contempo ragione e modo. Questa definizione non
è quindi più scientifica delle altre, contrariamente a quanto pensasse
Lefebvre, e si presenta più come una somma di tre caratteri che come
il risultato di un’analisi fondamentale.
Tuttavia essa ci orienta verso tutto un insieme di definizioni cen­
trate su un altro ordine di fenomeni: quelli dell’informazione. Ne
prenderemo qui in considerazione due: quella di McLuhan, per il
quale il fatto decisivo è la comparsa dei nuovi «Mass Media», che
trasformano non solo il tessuto sociale ma addirittura il modo di
pensare e di essere di ciascuno. Non è la semplice moltiplicazione
delle informazioni a essere in causa, ma il mezzo di trasmissione
di queste informazioni. Non mi addentrerò nella molteplicità de­
gli aspetti menzionati da McLuhan, ma prenderò in considerazione
due elementi: in primo luogo, ancora la stessa osservazione: i nuovi
media sono essenzialmente e prima di tutto media tecnici, sono pro­
dotti dal progresso tecnico, lo accompagnano, vi sono strettamente
associati, derivano da ogni cambiamento tecnico. Non sono i media
a provocare la tecnica, ma il contrario. D’altra parte, per seducenti
che siano le tesi di McLuhan, è chiaro che egli allarghi un po’ trop­
po l’influenza dei media quando ne fa l’unico elemento esplicativo
di tutto quanto venga prodotto nella nostra società, a costo di acro­
bazie intellettuali delle quali è ammirabile l’ingegnosità, ma che non
convincono a causa dell’assenza di riferimenti a un reale verificabile.
La moltiplicazione dei media e delle informazioni è certo decisiva
oggi, ma non tutto è definibile attraverso questo unico elemento
e, anche ammettendo le moderne analisi sul linguaggio, la tecnica

24
Tecnica e società

rimane ancora l’infrastruttura e la possibilità di questa moltiplica­


zione.
Sulla stessa linea, i situazionisti hanno definito la società dello
spettacolo. Per effetto dell'ideologia borghese, il disinnesco di ogni
serietà, la rottura della prassi, la moltiplicazione delle comunicazioni,
f azione psicologica, tutto, nella nostra società, è diventato spettaco­
lo, a condizione di non intendere il termine in modo banale e sempli­
ce, ma di conferirgli l’ampiezza necessaria: lo spettacolo è uno stile di
vita completo. Il consumo è spettacolo, e l’attività politica, il diver­
timento, il lavoro, la vita familiare, la rivoluzione. L’uomo moderno
assiste a tutto come spettatore. Tutto gli viene sottoposto come spet­
tacolo, compreso ciò a cui pensa di partecipare in modo più serio.
Questa è sicuramente l’analisi più profonda, meno frammentaria, e
ha il merito di rendere coerenti le osservazioni riguardanti f indi­
viduo e quelle relative al corpo sociale. L’individuo è considerato
all interno del corpo sociale. Ma come non accorgersi che se c è una
società dello spettacolo è a causa, grazie, e in vista della tecnicizza-
zione? E il mezzo tecnico a rendere possibile la globalizzazione dello
spettacolo. E fattività tecnica a essere «essenzialmente» spettacolare
(escludendo ogni realtà interiore), è essa che esige il disinnesco della
serietà: ogni azione può esprimersi solo attraverso le tecniche, e la
società dello spettacolo appare come il quadro ideale, l’ambiente più
favorevole (perché il meno turbato dalle intempestive azioni dell’uo­
mo autonomo) per Io sviluppo della tecnica. E ancora lei la chiave
della realtà attuale.
Brzezinski (La Revolution technétronique) ha ritenuto di appor­
tare qualcosa di assolutamente nuovo coniando il termine Tecno­
tronica. Egli riconosce le seguenti differenze tra società industriale
e società tecnotronica: nella società industriale la macchina gioca il
ruolo essenziale; i problemi sociali dominanti sono la disoccupazione
e l’impiego; l'insegnamento avviene attraverso relazioni umane, la
classe dirigente è plutocratica, l’Università è una torre d'avorio isola­
ta dal reale, la lettura favorisce un pensiero concettuale proprio degli
ideologi, i conflitti politici sono essenziali, le masse sono organizza­
te in sindacati, il potere economico è personalizzato, la ricchezza è
l’obiettivo dell’attività. La società tecnotronica può esservi opposta
termine a termine: si assiste a una crescita dei servizi, l’automazione
sostituisce l’impiego industriale, la questione centrale è quella del-

25
Introduzione

le qualifiche, si accede alla sicurezza dell'impiego, l’insegnamento


è universale grazie alle tecniche di comunicazione, la conoscenza,
come mezzo d'azione, rimpiazza la ricchezza. L’Università diventa
il «serbatoio del pensiero» immerso nella vita concreta, il proble­
ma della partecipazione alla decisione è generalizzato, oltrepassa le
questioni politiche, le ideologie scompaiono, il potere economico si
spersonalizza, la ricchezza perde il proprio uso... Non negherò certo
che Brzezinski abbia sottolineato esattamente nuovi caratteri della
società nella sua fase attuale o prossima ventura, ma non vedo la ne­
cessità di coniare un nuovo termine. Tecnotronica è un misto di Tec­
nica ed Elettronica. Forse l’elettronica non è una tecnica? Apporta
qualcosa che non rientra nelle precedenti definizioni di Tecnica? An­
cora una volta la Tecnica è la Macchina e Tlndustria. Allora sì che c’è
qualcosa di nuovo: secondo la famosa definizione, nella Macchina ci
sono elementi materiali che si muovono. Uelettronica funziona senza
che alcun elemento materiale si muova. Ma se il computer non è una
macchina nel senso comune del termine, non è forse il prodotto di
un dato numero di tecniche? Perché non dovrebbe venire inserito
in un sistema tecnico? Non c’è alcun motivo di opporre Tecnica ed
Elettronica; la seconda è semplicemente parte della prima. I caratteri
che Brzezinski prende in considerazione per la società tecnotronica
sono gli stessi della società tecnica; e, malgrado tutte le simpatie per
il suo onesto libro, devo dire che ha semplicemente ceduto alla moda
di produrre un vocabolario esoterico (all’apparenza) per dare l’im­
pressione di creare qualcosa di nuovo. Ciò che descrive (nelle prime
due parti del libro) appartiene esattamente alla società tecnica; la
novità è la parola Tecnotronica, che non trova giustificazione. «Tec­
nica» è più che sufficiente a legittimare tutto ciò che propone.
k k k

Passate in rassegna le definizioni più importanti e attuali della


nostra società, abbiamo visto che ogni volta il fattore decisivo che
spiegava il carattere preso in considerazione era il fenomeno tecni­
co7 e che esso appare essere il fattore comune a tutte le definizioni

7 Jonas non comprende chiaramente nulla a questo proposito, dal momento che
definisce ideologica l’attitudine che consiste nel cercare di determinare il conte-

26
Tecnica e società

proposte. Ognuna di queste definizioni è esatta. Di nessuna si può


affermare che Fautore si sbagli (ciascuno ha perfettamente messo in
luce un aspetto essenziale del nostro tempo). Non si può dire che
una sia migliore dell'altra. Ma tutte sono limitate. Ciò che permette
di generalizzare è esattamente la considerazione del fattore comune.
Questo rende conto di tutti gli aspetti presi in considerazione. Visto
che questi sono esatti, significa che anche il fattore comune è esatto
ma si situa a un livello di analisi più profondo, più decisivo, sen­
za tuttavia cadere in un'astrazione filosofica, poiché la relazione tra
questo fattore e i diversi caratteri considerati è una relazione di fatto
immediatamente constatabile. A partire da questo fattore comune
sarebbe del resto possibile scoprire altri caratteri non meno impor­
tanti8 della nostra società. Vedremo tutto ciò mano a mano.
Prendendo in considerazione quelli comunemente accettati, otte­
niamo però un risultato inatteso: esamineremo il «sistema tecnico»,
ma sin da ora possiamo dire che questi caratteri sono dati dal sistema
tecnico considerato per se stesso. In altre parole, è attraverso questo
che ogni autore ha cercato, spesso senza accorgersene, di definire la
nostra società. Ciò che ogni volta è stato messo in luce è un elemento
del sistema tecnico, che si realizza all’interno di un’incessante cir-

nuto e la natura del fenomeno tecnico, invece di accontentarsi di approssimazioni


o di ricerche di dettaglio su alcune tecniche (H. Jonas, Technik ah Ideologie, in
«Technik im Technischen Zeitalter», 1965). La critica, ripresa da Jurgen Haber­
mas, Technik und Wissenschaft als «IdeologieSuhrkamp, Frankfurt am Main
1968, mi sembra proceda da una scelta a priori di tipo politico: considerare Fanali-
si sociologica della tecnica in quanto Ideologia (sia giustificatrice sia mistificatrice)
è in realtà il modo per conservare lo schema esplicativo ricavato da Marx. Non è
la prima volta dal 1904 che lo pseudomarxismo serve a nascondere la realtà sotto
una spiegazione dogmatica!
8 Abbiamo tralasciato altre definizioni riguardanti la nostra società perché troppo
superficiali (divertimento), troppo generali (massa) o troppo vecchie (urbana). Ma
per tutte si potrebbe fare la stessa osservazione: se c è divertimento è in funzione del
tempo liberato a vantaggio dell’uomo attraverso lo sviluppo dei mezzi tecnici, e i di­
vertimenti stessi devono essere organizzati secondo procedimenti tecnici. La società
di massa viene analizzata a giusto titolo da Friedmann in quanto: produzione di
massa, consumo di massa, cultura di massa. Questi tre fenomeni dipendono diretta-
mente dal fattore tecnico, che al contempo permette e causa ognuno di essi. Infine,
anche l’urbanizzazione è resa possibile e prodotta dalla tecnica: industrializzazione,
meccanizzazione del lavoro agricolo (causa della disoccupazione rurale), mezzi di
trasporto, moltiplicazione delle distrazioni compensatorie della pressione urbana,
ecc. Tutti questi elementi non sono caratteristiche esclusive della nostra società, ma
dipendono dallo stesso fattore.

27
Introduzione

colazione di «produzione-consumo». Bisogna tuttavia considerare


questi termini a tutti i livelli, giacché si tratta di produzione di beni
industriali come di simboli, di individui (attraverso l’educazione), di
divertimenti, di ideologie, di segni, di servizi, di informazioni. Ciò
che viene chiamato circolazione (compresa quella di esseri umani o
di informazioni) ha sempre per origine una produzione e un consumo
per fine. Questo sistema complesso è però possibile solo attraverso il
miglioramento di un’organizzazione che porta produzione e consu­
mo a coincidere in modo sempre più preciso. Progredendo in modo
costante e necessario, la Tecnica fa del sistema tecnico l’agente di una
inevitabile società dell’abbondanza. In modo reciproco, poiché tutto
viene prodotto e consumato in questo modo, il sistema presuppone
un’integrazione sempre più completa di ogni elemento, compreso
l’uomo, in qualità di oggetto. L’uomo non può più essere soggetto,
perché il sistema implica che, almeno in rapporto a esso, l’uomo sia
sempre trattato in qualità di oggetto. Questo fenomeno è oggi molto
più importante della famosa interpretazione marxista della «merce»,
definita dal sistema capitalista. Questultimo è oggi inglobato nel si­
stema tecnico, e la categoria di merce (sempre parzialmente esatta e
utilizzabile con precauzione) non spiega più granché. La categoria
di oggetto tecnicizzato è molto più decisiva e rigorosa oggi. Il si­
stema tecnico, attraverso la propria realizzazione, senza intenzione
produce successivamente, in tutti i campi in cui si applica, un og-
gettivazione che non ha più nulla a che vedere con quella di Hegel,
che non è più quella del soggetto, che non si introduce più in una
dialettica soggetto-oggetto. Ormai ciò che è incorporato, o ingloba­
to, è trattato in qualità di oggetto dal sistema attivo che non può
svilupparsi né realizzarsi se non giocando su un insieme di elementi
precedentemente ridotti alla neutralità e alla passività. Poiché nulla
può avere un senso intrinseco, ma riceve senso dall’applicazione tec­
nica - nulla può pretendere a un’azione, ma viene agito dal sistema
tecnico - nulla può ritenersi autonomo, perché è il sistema tecnico a
essere autonomo, come dimostreremo. Si vede quindi che il famoso
argomento della «reificazione» dell’uomo (attraverso il quale si ten­
de oggi a sostituire l’alienazione) trova posto e spiegazione nell’ana­
lisi del sistema tecnico. Ci torneremo. Questa preminenza e globalità
del sistema porta a definire la società moderna come società tecnica,
termine che in Francia è stato impiegato inizialmente da Friedmann

28
Tecnica e società

(1938)9. Aggiungerei, d’altra parte, «tecnicizzata» - intendendo con


il primo aggettivo il carattere attivo, dell’agente tecnico, e col secon­
do il risultato sulla società.
Tuttavia questa definizione è stata criticata, tra gli altri, anche da
Lefebvre10.
Seconda critica: la Tecnica diventa un oggetto sociale autonomo
e determinante. Ciò può avvenire solo attraverso uno strato sociale
tendente a diventare casta o classe: i tecnocrati, che agiscono attra­
verso Torganizzazione. Bisogna quindi parlare di società tecnocra­
tica e burocratica. Ed ecco che ci si lancia subito in guerra contro
la tecnocrazia. Mi sembra che il passaggio sia un po’ artificiale! Af­
fermare che la Tecnica funzioni solo attraverso una classe significa
non vedere che ciascuno partecipa a ogni livello al sistema tecnico.
Per trascurare un tale fatto è necessario voler applicare per forza
le categorie di interpretazione marxiste di classe e di forza agente
attraverso una classe. Bisogna cominciare col non ravvisare che la
crescita del sistema tecnico dissolve le classi. Il passaggio «tecnico-
tecnocrate» è completamente inaccettabile. Come ho spesso scritto,

Mi trovo in disaccordo con Friedmann quando parla di civiltà tecnica, dal mo­
mento che non sono certo quanto lui che si tratti di civiltà. Egli fa derivare la propria
valutazione dalla concezione di Mauss di «aggregato complesso dei fatti di civiltà».
Oggi i fatti di civiltà sono l’organizzazione del lavoro, la produzione in grande scala,
i mass-media, il consumo e il turismo di massa, ecc., il che produce una civiltà tec­
nica. Si veda G. Friedmann, Sept études sur l’homme et la technique, Gonthier, Paris
1966 (tr. it. L’uomo e la tecnica, etas Kompass, Milano 1968).
10 Henri Lefebvre, La vie quotidienne darts le Monde moderne, Gallimard, Paris
1968. L’intero saggio di H. Lefebvre, Position: Contre les Technocrates, Gonthier,
Paris 1967, è compromesso da una profonda confusione tra il Mito della Tecnocra­
zia (il fatto che la gente immagini che la tecnica regni), la Tecnocrazia (il tentativo
di un gruppo di tecnici di esercitare il potere, Finfluenza effettiva dei tecnici di
livello politico, economico o amministrativo) e la conformizzazione della società ad
opera del fattore tecnico, fattore determinante. In nessun ragionamento, nessuna
discussione, riesce a districare i quattro elementi e passa costantemente da uno
all’altro, il che indebolisce decisamente le sue argomentazioni. Va da sé invece che
mi trovi interamente d accordo con Lefebvre per quanto riguarda la critica della
Tecnocrazia, quando questa si presenta come la convinzione di poter risolvere tutti
i problemi della società grazie a tecniche appropriate, il che è appannaggio della
destra e della sinistra politiche. Da questo punto di vista non c’era molta differenza
tra de Grulle, Marchais e Tixier Vignancour: Funificazione del pensiero politico è
d’altronde segno dell’importanza decisiva della tecnica. Lefebvre non si accorge che
11 mito tecnocratico oggetto della sua condanna altro non è che il riflesso del primato
(involontariamente riconosciuto) della Tecnica.

29
Introduzione

non ho mai visto un vero tecnocrate. Secondo me la società tecnica è


perfettamente antitecnocratica. Nessun tecnico pretende di dirigere
la società. Non vi è alcuna necessità di considerare i tecnici come tec­
nocrati né di credere alla nascita di una classe del genere. Queste due
critiche si basano su un'interpretazione estremamente superficiale e
frettolosa della realtà tecnica.
La migliore risposta all'interpretazione mitica della Tecnocrazia
proposta da Lefebvre è Fintelligente analisi di F. Hetman11 sugli effet­
ti della Tecnica (che procura abbondanza) sulle strutture sociali. Egli
mostra in modo molto chiaro tre effetti che corrispondono alla com­
posizione sociologica di una società tecnica. Alla classificazione di
Colin Clark si sostituisce un'altra divisione: alla base gli «afunzionali
non qualificati», poi gli «operatori funzionali», e in cima i «dirigenti-
ricercatori-ideatori», con un possibile quarto settore comprendente
le attività di ricerca operativa. In altre parole, la ripartizione sociale
avviene (già) sempre meno in funzione delle attività applicate all'eco­
nomia, e sempre più in rapporto alla capacità tecnica. Entriamo in
questo modo nelFera «dei sacerdoti», i quali hanno facoltà di decisio­
ne in tutti i campi perché hanno la capacità di conoscere e utilizzare le
tecniche. Che lo si voglia o meno, come dimostra Hetman, gli esperti,
gli specialisti delle diverse tecniche si trovano ovunque, e dall’impre­
sa all’amministrazione, dal governo all’agricoltura... formano la vera
intelaiatura della società, la rete che tiene insieme i vari pezzi: è la
coerenza tecnica che oggi fa la coerenza sociale, ma non si tratta di
una tecnocrazia nel senso proprio del termine.
Ultima critica a Lefebvre: la teoria della società tecnica è in realtà
un’illusione, un mito giustificatore della situazione12. Essa è destinata

11 Francois Hetman, L’Europe de labondancey Fayard, Paris 1967.


12 La concezione di una società tecnica è direttamente contestata da Baudrillard
sotto il nome di mitologia funzionale nata dalla tecnica stessa. Il suo saggio (per altro
eccellente e che, su ogni punto, involontariamente conferma il concetto di sistema
tecnico) riprende l’argomento classico, presso tutti i marxisti, secondo il quale la
tecnica, o LI sistema di oggetti, è tale in quanto sottomessa a un certo sistema di
produzione, alla ricerca del profitto. Tuttavia la conclusione avanzata non risulta
da un’analisi del sistema tecnico nel suo insieme, ma dalla sola analisi strutturalista
degli oggetti dell’ambiente, mobili, gadget, ecc. È quindi chiaramente piuttosto fa­
cile pretendere di dimostrare che questo sistema di questi oggetti appaia come una
soluzione immaginaria ai conflitti di ogni ordine, che la ricerca del profitto distolga
la tecnica dai suoi fini reali, che i minimi perfezionamenti degli oggetti alimentino
una falsa idea di progresso che maschera l’urgenza di trasformazioni essenziali (della

30
Tecnica e società

a giustificare le situazioni privilegiate, a deviare le forze rivoluziona­


rie, a nascondere gli aspetti insopportabili della società... In altre
parole essa riveste il ruolo delT«ideologia» nella dottrina marxista.
Ammetto di non comprendere molto bene come un’analisi che di
fatto conduce a una certa interpretazione possa essere definita tale
(se non a partire da un’altra ideologia, marxista, che fa delle catego­
rie di classe, sfruttamento, proletariato, merce, ecc., categorie defi­
nitive e scientifiche, che non comprende nulla al di fuori del proprio
sistema e passa allora ad accusare ciò che non rientra nel proprio
schema esplicativo!). Come si potrebbe dire che un biologo che con­
stata la proliferazione di cellule cancerose, che esamina la crescita,
restensione del cancro, il meccanismo di generazione, l’intervento
dei fattori favorenti, «giustifica» ciò che osserva mentre tenta di in­
terpretarlo? Il tentativo di spiegazione può essere, ma non nécessa-
riamente, un mito. Come può l’individuazione della novità essere
un’illusione ideologica? Come se la scoperta del sistema tecnico in
quanto sistema possa giustificare il reale: in effetti, ho osservato che
tutti coloro che hanno preso coscienza di questo fatto hanno avuto
reazioni piuttosto negative, colti da timore, da angoscia e talvolta da
un certo panico. La realtà constatata è esattamente opposta a quella
di Lefebvre: ben lungi dal giustificare la situazione, la scoperta del
sistema tecnico appare sempre come un attacco contro la Tecnica,
una critica alla tecnicità! La rivelazione della struttura tecnica viene
sempre percepita da tecnici e intellettuali come un’accusa a essa, an­
che quando non ce alcun giudizio di valore. La denuncia di sapore
marxista di Lefebvre manca il bersaglio. Le varie critiche rivolte alla
nozione di società tecnica rivelano soprattutto il carattere ideologico
dei loro autori.
k k k

società!): tutto ciò è vero, ma fonda una conclusione generale sull’analisi parziale
di un oggetto particolarmente atto alla dimostrazione perseguita: ciò che manca è
il ricollocamento del sistema di oggetti nella totalità tecnica, comprendendone la
logica e superando i conflitti sociali (di cui modifica ogni aspetto) e i modi di produ­
zione (subordinati a essa). Per quanto profondo e preciso nel metodo, lo studio di
Baudrillard giunge a conclusioni estremamente superficiali, valide solamente per la
cosiddetta società dei consumi.

31
Introduzione

Dobbiamo superare l’idea di Società Tecnica giacché la Tecnica


ha acquistato ampiezza e organizzazione nuove. Ciò che cerco è la
sua struttura specifica, e mi sono reso conto che essa esiste in quanto
sistema, cioè come tutto organizzato. Preciserò più in là di cosa si
tratti esattamente. Per il momento vorrei solo dire che si tratta allo
stesso tempo dell’elaborazione di un modello così come di un ren­
diconto della realtà. La difficoltà principale giunge proprio dal] am­
biguità tra i due. In quanto ricerca dei caratteri specifici delle tecni­
che come insieme, e del suo funzionamento teorico, si tratterà di un
modello. Ma questo è costituito a partire dai dati esistenti in realtà,
e rende conto di tutto un aspetto del nostro mondo. Il fatto che non
prenderò in considerazione le disfunzioni accentuerà l’impressione
che si tratti di un Modello: lo studio delle disfunzioni del sistema
e della sua retroazione, della correzione degli errori, sarà oggetto
di una seconda opera indipendente. Tuttavia l’idea di un sistema
tecnico ci porta a formulare con più precisione la definizione della
nostra società: non basta più dire «Società Tecnica e Tecnicizzata».
Si può al contrario identificare la Società con il Sistema Tecnico? È
quest’ultimo a costituire il tutto? O la Società è diventata il sistema
stesso? Si è trasformata fino a diventare, come pensano alcuni, una
Megamacchina? Una Meccanismo che esprime, traduce la Tecnica in
tutto e sotto tutte le forme?
E facile constatare che tutto ciò che costituiva la vita sociale, il
lavoro, lo svago, la religione, la cultura, le istituzioni, tutto ciò che
formava un insieme ampio e complesso, in cui si inseriva la vita re­
ale, in cui Tuomo trovava al contempo ragione di vita e angoscia,
tutte queste attività «lacerate e più o meno irriducibili le une nelle
altre», tutto ciò è ora tecnicizzato, omogeneizzato, integrato in un
nuovo insieme che non è la società. Non c’è più alcuna significativa
organizzazione sociale o politica possibile per questo insieme di cui
ciascuna parte è sottomessa a tecniche, legata alle altre da tecniche.
«Regna solo l’eterna sostituzione di elementi omogenei». In rappor­
to alla realtà sociale, come alla realtà naturale o umana, la tecnica
riveste un enorme ruolo di astrazione. Già inizia a essere ammessa
l’idea di «società virtuale» che si trova presso numerosi autori e che
corrisponde a quella da me analizzata nell’Illusione politica (la poli­
tica nel mondo delle immagini). Non c’è senso alcuno: si ha astra­
zione di tutte le attività, di tutti i lavori, di tutti i conflitti, situati in

32
Tecnica e società

un’attualità senza profondità. Siamo incapaci, per esempio, come ha


notato Baudrillard in La Société de consommation, di considerare la
razionalità degli oggetti che consumiamo, di renderci conto, quando
guardiamo la tv, che quel miracolo è un lungo processo sociale di
produzione che porta al consumo dell’immagine. Perché la tecnica
cancella il principio stesso di realtà (sociale). Tutto il sociale passa a
livello astratto, con lo strano fenomeno di un’acuta presa di coscien­
za del non reale (la passione per la politica, per esempio) e di una
non presa di coscienza del reale (per esempio della Tecnica). Que­
sto spostamento nella relazione deriva effettivamente dalla Tecnica:
essa fa apparire questo non reale che viene preso per reale (i beni di
consumo, o l’attività politica), attraverso il processo di diffusione,
attraverso Timmagine - è essa a «nascondersi» (beninteso, non c’è
alcuna volontà deliberata, nessun antropomorfismo! !) dietro il gioco
luminoso di apparenze, esattamente come alcuni orologi moderni in
cui non solo il meccanismo è nascosto sotto il quadrante (che dopo­
tutto esiste sempre), ma in cui gli stessi numeri del quadrante ven­
gono eliminati e le lancette ridotte praticamente al nulla a vantaggio
deli estetica, di un’ornamentazione estrema o di un design squisito:
la funzione è quasi scomparsa sotto l’apparenza. E ciò che oggi ac­
cade nella relazione tra il reale sociale e la percezione molto visiva e
colorata di un non reale, con l’unica funzione di nascondere il mec­
canismo e di accontentarci del «miracolo-miraggio».
Se viviamo in tale società virtuale, se la nostra attenzione è tanto
distratta, monopolizzata - se da un lato, tutto ciò che una volta costi­
tuiva la società è integrato come fattore separato nel sistema tecnico
e contemporaneamente indotto dalla Tecnica - non siamo allora pas­
sati allo stadio della Megamacchina? La nostra società non è già una
macchina pura e semplice - è l’orientamento di Wiener (che ritiene
che la società sia un sistema cibernetico) e, con una connotazione
totalmente differente, di Mumford (The Myth of thè Machine)? La
Megamacchina è il sistema sociale completamente organizzato, omo­
geneizzato, nel quale la società funziona come una macchina di cui
gli uomini sono gli ingranaggi. Questo tipo di organizzazione, grazie
a una coordinazione totale, alla continua crescita dell’ordine, della
potenza, della predittibilità, e soprattutto del controllo, ha ottenu­
to risultati tecnici quasi miracolosi presso le prime megamacchine,
cioè le società egiziana e mesopotamica. Questo sistema troverà la

33
Introduzione

più perfetta espressione grazie all'aiuto della tecnologia moderna nel


futuro della società tecnologica. Secondo alcuni autori, la Megamac­
china trova compimento grazie al computer: «L’aspetto demoniaco
della macchina è nulla rispetto al conformismo della società», affer­
ma Elgozy. La Megamacchina funziona implacabilmente - il senso
stesso della libertà individuale è venuto meno. Essa possiede la fred­
dezza, l’indifferenza, Panonimato della macchina. Essa non cerca di
vessare o alienare Puomo: lo fa semplicemente per esistere. E più
l’ordine, nella Megamacchina, diventa essenziale, più si fa necessa­
rio maggiore ordine; l ordine richiede ordine e il minimo disordine
diventa intollerabile. Grazie ai mezzi di informazione e di comunica­
zione, la Megamacchina presenta inoltre alcuni dei caratteri di una
società primaria: ciascuno è conosciuto nella propria totalità (totalità
registrata nel computer nazionale). Il computer raccoglie su ogni in­
dividuo un fascicolo di informazioni fino ad ora disperse, il che ren­
derebbe intollerabile il controllo della società, tanto più che questo
controllo non viene esercitato solo dalle «autorità», ma anche dal
pubblico, dagli Altri, dall'Opinione, poiché Tutto ciò che concerne
un individuo può essere diffuso, messo sotto gli occhi di tutti attra­
verso le telecomunicazioni.
La Megamacchina funziona così contemporaneamente in modo
astratto, in quanto macchina sociale, e in modo totalitario, privando
dell’identità gli ingranaggi della macchina.
In questo carattere primario ritroviamo l’idea di McLuhan secon­
do la quale il mondo grazie alla tv diventerà un villaggio globale. Il
fatto è ancora più accentuato se si considerano non solo l’ubiquità
permessa dalla tv, il rinascente pensiero mitico, ma anche il control­
lo di ognuno ad opera di tutti permesso dall’informazione. In questa
prospettiva il sistema tecnico finisce per trasformare la società stessa
in un sistema tecnico - un rischio (o una possibilità) che tenta molti
intellettuali. E però curioso che alcuni sociologi possano accettare
questa riduzione della società allo stato di macchina. Per quanto
meccanicista o determinista si possa essere, è chiaro che nessuna so­
cietà ha mai funzionato così. E un illusione credere che la società
babilonese, o quella azteca, fosse un meccanismo: le istituzioni, la
dirigenza, la forma della società, sì, ma la realtà sociale, all’interno e
al disopra, era tutt altro. D’altronde proprio l’idea che queste socie­
tà storiche fossero Megamacchine dimostra la confusione: non sarà

34
Tecnica e società

quindi a causa della crescita tecnica della nostra civiltà che sarà così!
Al contrario, sarà il sistema tecnico a rischiare di produrre un tale
effetto. Credo tuttavia che sia molto pericoloso utilizzare questa vi­
sione apocalittica; in effetti, è troppo facile provare attraverso fatti
che la nostra società non è meccanizzata, che da un lato essa è piena
di cortocircuiti, di grippaggi, di caos, ha ampi vuoti non tecnicizzati,
e che dall’altro l’uomo di questa società non è veramente meccaniz­
zato al punto da essere solo un ingranaggio. Crozier ha ragione nel
ricordare l’importanza delle relazioni interpersonali nei sistemi più
burocratici. In realtà, non bisogna confondere sistema tecnico e società
tecnica. Il sistema esiste nel rigore, ma anche nella società, vivendo
al contempo in essa, di essa e innestato su di essa. Esiste una dualità
esattamente come tra la Natura e la Macchina - quest'ultima funziona
grazie a prodotti naturali’ ma non trasforma la natura in macchina.
Anche la società è un «prodotto naturale». A un certo livello cultura
e natura si intersecano, formando la società, in un insieme che diven­
ta natura per luomo. In questo complesso si inserisce come un corpo
estraneo, invasivo e insostituibile, il sistema tecnico. Esso non fa della
società una macchina. Modella la società in funzione delle proprie ne­
cessità, la utilizza come supporto, ne trasforma alcune strutture, ma
c’è sempre una componente imprevedibile, incoerente, irriducibile
nel corpo sociale. Una società è composta da più sistemi, da più tipi,
da più schemi, situati a diversi livelli. Dire che la Tecnica è il fattore
determinante di tale società, non significa che sia il solo! Ma la socie­
tà è soprattutto fatta di uomini, e il sistema, nella propria astrazione,
sembra non tenerne conto. Solo con un passaggio al limite si potreb­
be pretenderne l’identificazione, ma un tale passaggio non sarebbe
serio. Diremo quindi che la società tecnica è quella nella quale si è
instaurato un sistema tecnico, ma essa non è il sistema e tra i due esi­
ste tensione. Non solo tensione, ma eventualmente disordine e con­
flitto. Come la macchina provoca neU ambiente naturale scompiglio,
disordini, e mette in discussione F ambiente ecologico, così il sistema
tecnico provoca disordini, irrazionalità, incoerenza nella società e
mette in discussione F ambiente sociale. Se è sbagliato parlare della
società moderna come di una megamacchina, non bisogna tuttavia
dimenticare che alcuni desiderano ardentemente raggiungere questa
meta. Ci troviamo di fronte al dilemma perfettamente delineato da
Von Kleist (Le Théàtre de marionnettes)\ è l’alienazione assoluta che

35
Introduzione

permette di ricevere la grazia - ovvero la coscienza infinita. Essendo


questa unicamente attributo di Dio, è necessario che l'uomo sia ri­
dotto allo stato di marionetta (e la società a quello di macchina) per
ritrovare l’innocenza primordiale e la grazia. Sappiamo oggi come
l’uomo si trasformerebbe, ma Von Kleist non sembra intuirlo. Così
per accedere alla Totale Libertà, Gratuità e Indipendenza contro
gli obblighi naturali, morali e sociali, bisogna essere in uno stato di
perfetta disindividualuzzazione, di assenza in certo qual modo: la
marionetta raggiunge la grazia in uno stato di assoluta incoscienza
(ma per chi allora?). Ciò riassume le argomentazioni di numerosi ri­
cercatori che non si esprimono in termini metafisici, ma la cui ricerca
è sottesa e giustificata da questo pensiero. Sarebbe anche la posizio­
ne dei tecnocrati che cercano di sottomettere l’intera realtà sociale
al sistema tecnico. Esamineremo più avanti il problema. Prendiamo
qui in considerazione solo due esempi: uno riguarda un progetto ef­
fettivo, reale, cifrato, sostenuto dai ricercatori e dai politici più seri,
quello del «Japan Computer Usage Development Institut» di Tokyo,
che nel 1972 ha presentato il progetto di una società completamente
tecnicizzata grazie al computer - progetto a tappe, la prima da com­
pletarsi nel 1977, la seconda nel 1982. La prima si basa su un’unità
urbana sperimentale di 100.000 persone. A caratterizzare il progetto
è la riduzione della società a un dato numero di cellule (ospedali,
scuole, fabbriche, uffici, tribunali, ecc.) e un certo numero di funzio­
ni (ad esempio, elaborazione, esecuzione, controllo, informazione,
ecc.), per poi procedere alTautomatizzazione di ciascuna unità (cosa
possibile): l’uomo diventa così rigorosamente il servo di questo in­
sieme. Si procede quindi all’unione, resa possibile dal computer, di
tutte le cellule e di tutte le funzioni... A questo punto, per esempio,
i processi di decisione non sono più completamente indipendenti: la
decisione è il risultato necessario, Inevitabile delle multiple connes­
sioni. Maggiore è la completezza dell’analisi, più ci si avvicina alla
famosa Megamacchina. Esistono tuttavia numerosi impedimenti, dal
punto di vista finanziario come da quello metodologico. Ma il pro­
posito c’è.
Questo progetto dei tecnici, estremamente comprensibile dato
che non possono avere altra concezione se non quella proveniente
dall’espansione della loro tecnica sempre più perfezionata, si avvi­
cina pericolosamente a quello dei Neoutopisti. Ho spesso attaccato,

36
Tecnica e società

su più livelli, la corrente Neoutopista13. Non so per quale aberrazio­


ne Lefebvre possa essere antitecnocrate e allo stesso tempo esaltare
PUtopia. Chiaramente sono a conoscenza dei gloriosi argomenti da
lui avanzati riguardo l'apertura di immaginazione e la meravigliosa
libertà rappresentata dalPUtopia, eppure credo concretamente che
questa corrente sia un «nuovo trucco del demonio» per portarci alla
Megamacchina. Bisogna ricordare che in passato tutti gli Utopisti,
senza eccezione, hanno presentato la società come una Megamac­
china: si tratta sempre della perfetta copia di una società ideale, di
una perfetta connessione tra le parti del corpo sociale, ecc. L’Utopia
presenta la società totalitaria senza fratture, un luogo in cui Puomo
si vedrà assicurato 1 avvenire, la legalità, ecc. Una perfetta organizza­
zione che permette la soppressione del potere politico. Ciò che rende
queste descrizioni Utopie è il loro carattere di irrealizzabilità. Oggi
PUtopia ci viene presentata come meravigliosamente utile in quanto
stimolo a inventare ciò che sarà, come in effetti è accaduto nel pas­
sato. Alcuni autori che riducono PUtopia alla sua minima dimen­
sione dichiarano ad esempio che Puomo aveva formulato PUtopia
di volare, o PUtopia di essere in contatto immediato con qualcuno,
o di vedere che cosa succede a migliaia di chilometri di distanza, e
PUtopia si è realizzata... sì, grazie a procedimenti tecnici. Ci dicono:
lanciatevi nell’Utopia, sarà la realtà di domani. Ma ormai sappiamo
come essa si realizza: o è un sogno insensato o si concretizza grazie
ai progressi delle Tecniche: non c’è altra possibilità. Dal momento
che alcune Utopie si sono realizzate, veniamo invitati a formulare le
nostre, perché, per folli che siano, condizioneranno il futuro. Ma in
realtà, o vi sarà una tecnica che si impadronirà del sogno e lo metterà
in pratica, o ci sarà solo fumo senza arrosto. Sicché le Utopie delle
società future mi sembrano oggi l’orrenda seduzione per la realiz­
zazione della Megamacchina. Le attuali Utopie sono gli «uccelli di
richiamo» dei Tecnocrati. Si può star certi che per lanciarsi in volo
aspettano solo un segno delle élites intellettuali e spirituali. L’unica
Utopia è quella tecnica, e attraverso questo canale potrà realizzarsi
l’identificazione tra sistema tecnico e società tecnica. L’Utopia è nella
società tecnica l’orizzonte della Tecnica. Nulla di più.

11 Si vedano i miei libri Lm Revolution e Les Nouvcaux Possédcs.

37
Parte prima
CHE COS’È LA TECNICA?
Capitolo primo
LA TECNICA
IN QUANTO CONCETTO

Sin dai primi studi sulla Tecnica, ho usato questo termine senza
darne spiegazione, il che ha provocato numerosi malintesi. Mi sem­
brava evidente che le tecniche utilizzate in tutti i possibili campi di
attività presentassero caratteri comuni tali da permettere la dedu­
zione di un concetto generale. E risaputo: nessuno ha mai visto «il
cane», eppure tra uno spaniel, un boxer, un cocker, un danese, un
pechinese, un pincher, nonostante tutte le differenze, esistono tratti
comuni sufficienti a farci capire esattamente ciò che intendiamo con
la parola cane. Non mi addentrerò nella questione degli Universali.
Non asserirò resistenza di un'idea concreta in sé della Tecnica asso­
luta in un qualsiasi Empireo. Ma ritengo di poter costruire scienti­
ficamente un fenomeno a partire dai caratteri e dalle interrelazioni
esistenti tra i fenomeni comunemente chiamati tecniche considerati
nella nostra società, la prima in cui la Tecnica, divenuta dominante,
è un concetto. Alcuni oggi affermano che «la Tecnica» non esiste,
ma esistono solo delle tecniche. Questa affermazione si basa su un
realismo superficiale e su un Evidente mancanza di sistematizzazio­
ne. La Tecnica in quanto concetto permette di comprendere un in­
sieme di fenomeni che rimangono invisibili se ci si situa al livello
dell'evidenza percepibile delle tecniche. Il concetto, pure se indi­
spensabile alla comprensione, non è così chiaro e semplice in sé, e
nemmeno implica resistenza di un sistema tecnico. Non riaffronte­
remo il problema della definizione della Tecnica, ma esamineremo

41
Che cos’è la tecnica?

in modo genetico il modo in cui il concetto si è costituito, sempre in


riferimento alla realtà moderna.

* "k tSt

Il termine Tecnica ricopre un gran numero di fenomeni e racchiu­


de più significati. La difficoltà risiede nel fatto che questi significati
fanno riferimento a realtà diverse: da un lato realtà concrete (la tec­
nica del motore a scoppio), dall’altro oggetti di studio scientifico e
infine strati di tecniche diversificate diluiti nel tempo. A quanto pare
inizialmente si indicava con tecnica, conformemente all'etimologia,
un dato modo di fare (how to do)> procedimento o insieme di proce­
dimenti. Diderot parla di «Tecnica propria a ciascun pittore». Tutta­
via, rapidamente e nella misura in cui ciò che inizia a dominare sono
la macchina e la sua applicazione industriale, la Tecnica comincia a
indicare i procedimenti di costruzione e utilizzo delle macchine. Si
parla allora più frequentemente delle tecniche. Si inizia a studiar­
le in una scienza chiamata Tecnologia che consiste nel descrivere e
ragionare su queste tecniche, tracciarne la storia, ricercarne i perfe­
zionamenti - alla fine del XIX secolo, la tecnologia veniva classificata
in cinque rami, il che è significativo di cosa si intendesse allora per
tecnica: le materie prime, i procedimenti e le macchine relativi all’ha-
bitat (più abiti e cibo), Figiene e la sanità, l’illuminazione e il riscal­
damento, gli apparecchi e gli utensili.
Vengono poi piuttosto rapidamente distinti gli strumenti e le ri­
sorse energetiche. Si classificano quindi le tecniche riguardanti gli
attrezzi e gli strumenti, le macchine e gli apparecchi. La prima ca­
tegoria include i sistemi materiali destinati ad accrescere l’efficacia
dell’azione umana, rendendo accessibili all’uomo fenomeni di inten­
sità troppo ridotta per agire direttamente sui sensi (gli strumenti di
misurazione) o aumentando Fintensità dei suoi sforzi. Questi attrezzi
e strumenti presentano la caratteristica, dal punto di vista tecnico, di
essere direttamente manovrati dall’uomo. Le macchine costituisco­
no sistemi materiali, che si sostituiscono all’uomo per le azioni che
egli non è in grado di compiere autonomamente, spesso perché esse
richiedono una quantità di energia troppo elevata. L’ambiguo termi­
ne apparecchio, infine, indica sia strumenti complessi sia macchine
che utilizzano una quantità di energia minima. In ogni campo owia-

42
La tecnica in quanto concetto

mente c'è una combinazione di più attrezzi, macchine, strumenti per


condurre a termine un'operazione: la divisione del lavoro moltiplica
le tecniche, che producono macchine. Pertanto si giunge alla consi­
derazione che la Tecnica non si rapporta più a un'operazione parcel­
lare, ma bensì a «un insieme di esseri inanimati o eccezionalmente
animati, organizzati in modo da sostituire Tuomo nell'esecuzione di
un insieme di operazioni definite dall'uomo»1. La Tecnica comporta
allora due nuovi caratteri: non è più relativa a un aspetto, un'azione,
ma è un insieme. Si riferisce soprattutto a macchine che tendono a
sostituirsi all uomo. Tra queste macchine si distinguono quelle rela­
tive al rifornimento di energia, quelle che usano Tenergia (macchi­
ne energetiche e che rimpiazzano l’uomo nell’azione sulla materia)
e quelle che riguardano l’informazione (macchine operazionali che
rimpiazzano l’uomo nelle operazioni di creazione, trasformazione o
trasmissione dell’mformazione)2. A questo livello, la Tecnica si riferi­
sce unicamente alle operazioni industriali.
Le tappe della Tecnica vengono facilmente assimilate a quelle del­
la crescita industriale. Queste tappe sono dettate dalla produzione di
energia. Si parlerà allora di «prima rivoluzione industriale», caratte­
rizzata dall’uso del carbone come risorsa energetica e dalle macchine
costruite in funzione di quest’uso. La seconda rivoluzione industria­
le è caratterizzata dall’elettricità. Sulla terza, generata dall’invenzio­
ne dell’energia nucleare, esiste ancora qualche dubbio, ma già da
qualche anno si parla di una quarta rivoluzione industriale, quella
prodotta dal computer. Si capisce facilmente che in questo modo si
cambia registro: non si tratta più di un cambiamento o di un avan­
zamento nelle risorse di energia. U fenomeno dominante non è più

1 Couffignal, Théorie de l’efficacité de Ìaction.


2 Thorstein Veblen introduce forse per primo nel fenomeno meccanico una si­
stematizzazione presentandolo come caratterizzato da una «procedura ragionata» e
una «conoscenza sistematica». Il fulcro della sua riflessione rimane però l’applica­
zione della macchina all’industria, cioè alla produzione di beni economici. All op-
posto, Weber (Théorie de V orgamia tion sociale et économiquc) adotta per Tecnica
un significato talmente ampio da essere quasi inutilizzabile ai fini di uno studio
sociologico: «Il termine Tecnologia applicato a un’azione si rapporta alla totalità dei
mezzi impiegati come opposti al senso o all obiettivo in rapporto al quale è orien­
tata Tazione. La Tecnica razionale è una scelta di mezzi orientata consciamente e
sistematicamente secondo lesperienza e il pensiero dell’attore, ed è composta al più
alto livello di razionalità e conoscenza scientifica». Si veda la discussione di queste
definizioni nel notevole saggio di John Boli-Bennett, Tecbnization, 1973.

43
Che cos’è la tecnica?

a crescita di energia potenziale e utilizzata, ma un'apparecchiatura


>rganizzativa, di informazione, memorizzazione, preparazione alla
lecisione, che si sostituisce all’uomo in gran parte delle operazio-
li intellettuali. Come si può vedere queste tappe sono tutte legate
lTapplicazione di macchine e tecniche specifiche, ma la Tecnica vie­
te considerata una realtà indipendente di pratiche più o meno per-
ezionate da un lato, e di macchine dall’altro. Assume un carattere
li generalità in rapporto alle tecniche, senza perciò abbandonare il
ampo dell’applicazione delle macchine. Un nuovo possibile signifi-
ato è pronto tuttavia a fare la propria comparsa: è sempre più evi­
lente che tecniche e macchine causano considerevoli conseguenze
ul comportamento dell'uomo e sulTorganizzazione della società. Si
omincerà allora a parlare di società tecnica (G. Friedmann) e, sotto
[ nome di Tecnica in senso lato, si comincerà a studiare non solo la
nacchina in sé, ma la macchina in relazione all uomo e alla società3.
Tuttavia, allora (ventanni fa) il termine Tecnologia veniva inteso
lei senso stretto di studio scientifico dei processi tecnici, senza fare
iferimento a dimensioni sociologiche. Si preferiva parlare di sociolo­
ga della macchina o della Tecnica. Eppure un nuovo concetto stava
;ià facendo la propria comparsa: sembrava si potesse dare un’ampia
lefinizione della Tecnica in funzione di quello che implicitamente
ira il carattere dominante del fenomeno, sin dalle origini: l’efficacia,
ii poteva allora dire che la Tecnica era costituita dall’insieme dei
nezzi più efficaci in un dato momento. Ciò permetteva di slegare la
Pecnica dalla macchina, poiché in effetti c’erano ben altre tecniche
:he quelle relative alle macchine (quelle sportive, ad esempio). Inol-
re questa definizione aveva il vantaggio di ricordare che la Tecnica
:ra costituita da mezzi, tutti i mezzi, ma che si potevano tenere in
:onsiderazione solo quelli considerati al momento più efficaci, dato
:he questo era il criterio stesso di scelta e di progresso nelle Tecniche,
n altre parole, ovunque ci sia ricerca e applicazione di nuovi mezzi
n funzione del criterio di efficacia si può dire ci sia Tecnica. Questa
ìon è dunque definita dagli strumenti impiegati né per un campo di
izione o un altro (abbigliamento, trasporti, ecc.). Esistono tecniche
)erfettamente astratte (le tecniche di lettura rapida, ad esempio). Lo

Non esamineremo qui la sociologia della tecnica conosciuta sotto il nome di


iocietà Industriale.

44
La tecnica in quanto concetto

stesso termine veniva tuttavia ancora utilizzato per indicare le tecni­


che parcellari, meccaniche, e la Tecnica considerata in questo ultimo
senso. La maiuscola in sé ha poco significato.
Gli Americani esitano tra Technics, Technique e Technology : spesso
usano quest'ultimo termine per indicare giustamente la Tecnica nel
senso generale che abbiamo appena definito, e non la scienza delle
tecniche meccaniche, come facciamo noi. Le metamorfosi di questa
parola, corrispondenti alla diversificazione, alla complessificazione
del fenomeno non sono finite: è stato osservato che le tecniche, anche
se applicate a campi diversi, agiscono le une sulle altre, e che è im­
possibile studiarle in modo indipendente. D'altra parte, le Tecniche
sono diventate sempre più numerose ricoprendo progressivamente
ogni ambito dell'attività umana, sembrando prendere, per il fatto
stesso del loro numero e della loro densità, una nuova consistenza. Si
aggiunga infine a questi due fattori la presenza del computer, che è
un elemento di congiunzione, di coordinamento tra molte tecniche,
nello stesso tempo in cui la sua creazione è il prodotto delTunione di
diverse tecniche. Si giunge così a una nuova concezione della Tecni­
ca come ambiente e come sistema: le tecniche, combinate tra di loro
e riguardanti la totalità delle azioni e degli stili di vita umani assu-
mono un'importanza qualitativamente differente. La Tecnica cessa
di essere una somma di tecniche per giungere, attraverso la combi­
nazione e l'universalizzazione, a una sorta di autonomia e specificità.
E il punto a cui siamo arrivati, nel campo dei fatti come in quello dei
discorsi, e quindi quello delFanalisi scientifica. Ma se questa analisi
è già molto difficile e rischiosa per la sociologia della Tecnica (studio
degli effetti sui gruppi umani) lo è ancora di più per lo studio della
Tecnica in quanto sistema e realtà globale, inglobante.
Ma quando tentiamo di formulare il concetto di Tecnica, arri­
viamo forse alla costruzione di un Modello? Concetto non significa
necessariamente Modello. In molte scienze umane il «Modello» è
l'uscita di sicurezza ideale4: la costruzione di un modello permette
un’attitudine irresponsabile. Avendo descritto un dato fenomeno so­
ciologico, in caso di errore si può dichiarare che non si aveva l'inten-

4 Si veda l’eccellente critica di A. Sauvy nei confronti della mania dei Modelli,
Croissance zèro?, Calmann-Lévy, Paris 1973 (tr. it. Crescita zero?, Garzanti, Milano
1974).

45
Che cos'è la tecnica?

zione di descrivere la realtà, ma di costruire un modello «per vedere


come funziona». Non si tiene in considerazione però che, se lonta­
no dal reale, il modello funzionerà, ma il suo funzionamento non ci
spiegherà nulla. E come se qualcuno volesse spiegare la tecnica di
un pittore e per farlo prendesse un puzzle raffigurante una tela del
pittore in questione e si mettesse ad assemblarlo: il risultato sareb­
be un’immagine, ma avrebbe dimostrato come funziona un puzzle e
non come dipinge un artista! Non pretendo dunque qui di stabilire
un modello, ma di rendere effettivamente conto del reale, solo con­
siderato a un certo livello di astrazione. Mi avvicino all’ideale tipo
weberiano (Essai sur la Théorie de la Science) accentuando uno o
più punti di vista, privilegiando un dato fenomeno, collegando fatti
apparentemente isolati in modo da costruire un insieme omogeneo:
non è un modello nel quale pretendo che l’insieme sia realmente
omogeneo, ma solo che non lo si veda tale a causa di epifenomeni,
fatti accidentali, e dall’altro lato a causa delYincognito delle interre­
lazioni. Pertanto, ciò che intendo con il termine concetto, e quindi di
sistema, può assumere le parvenze di un modello riguardo al quale ci
si deve chiedere: «È vantaggioso considerare i fatti in questo modo?»,
e non la domanda: «Le cose stanno veramente così?»5. Abbandone­
remo presto questo punto per prendere in considerazione non il fun­
zionamento del modello, ma quale ne sia la problematica: cioè come
esso stesso venga messo in discussione. A questo punto integriamo
il processo distruttore del modello per rendere conto del reale, e ci
dirigiamo verso la discussione del fatto stesso all’origine del modello.
Si stabilisce così la relazione critica tra modello e reale e allo stesso
tempo si evitano il discorso retorico di una tecnologia filosofica e la
facilità della creazione di un modello senza problematiche esterne.

•fc -k "k

Il concetto presenta in ogni caso il decisivo vantaggio di sottolinea­


re la specificità della Tecnica e di evitare le solite confusioni. Come,
ad esempio, giustamente afferma Mills: «Non è esagerato affermare
che oggi uno dei maggiori pericoli della civiltà consiste nelFincapaci-
tà di cui danno prova gli intelletti esperti delle scienze della Natura

5 Si veda L. Hamon, Actions et données de l’Histaire, hi, puf, Paris 1970.

46
La tecnica in quanto concetto

di comprendere la differenza tra Feconomico e la Tecnica»6. Confu­


sione tra Tecnica e Scienza, tra Tecnica e Macchina, di cui abbiamo
in altre occasioni già profusamente parlato, confusione ancora più
frequente tra Tecnica e Economia. Appena si prova a distinguerle, i
marxisti denunciano manovre diversive e un atteggiamento idealista
antirivoluzionario! E tuttavia, per tutto il tempo in cui non si sarà
studiato il fenomeno tecnico al di fuori delle sue implicazioni econo­
miche e dei problemi di sistema economico e di lotta di classe, che ci
si autocondanna a non comprendere nulla della società contempo­
ranea (e conseguentemente a non poter intraprendere alcuna azione
rivoluzionaria!). Non c’è adeguamento tra progresso economico e
tecnicizzazione. La tecnicizzazione non ha un aspetto economico in
partenza, all’origine, e se oggi esiste una relazione (potenziale e di­
scussa) tra crescita tecnica e crescita economica, non ce n’è alcuna
tra crescita tecnica e sviluppo economico, come vedremo. Un buon
esempio di interpretazione totalmente superficiale della questione è
stato dato da M. Rocard7. Egli confonde continuamente la Tecnica
col suo utilizzo economico, accusando Fuso «capitalista» e gaullista
e, considerato che le scoperte hanno una finalità economica, l’unico
problema è capire se la crescita tecnica «permetta di soddisfare le
aspirazioni della collettività o di aumentare i profitti di un ristretto
numero ». I problemi (reali, beninteso, e che non contesto!) sono
tali da impedire di vedere la struttura della nostra società e sollevano
problemi insolubili (ad esempio, Rocard ritiene che sia la struttu­
ra capitalista a impedire un utilizzo completo delle scoperte tecni­
che, ma non spiega come, dopotutto, ciò funzioni piuttosto bene in
Giappone e nella Germania Federale). Il primo passo, quindi, quello
dell elaborazione del concetto, determina l’isolamento in relazione ai
fenomeni connessi ma che non rientrano nell’ordine della Tecnica, o
che sono costituiti da un mélange a prima vista inestricabile di tecni­
che e fattori diversi (politici, familiari, psicologici, ideologici, ecc.).
Il fatto di non isolare il concetto per considerarlo inizialmente in sé,
porta a innumerevoli errori, ad esempio nelle questioni che ci si pone

6 Charles Wright Mills, Llmagination sociologiquey Maspero, Paris 1967, p. 85


(ed. or. The Sociological imagination, Oxford University Press, New York 1959; tr.
it. Limmaginazione sociologica, Il Saggiatore, Milano 1962).
7 La crise de la recherche, «Le Monde», maggio 1970.

47
Che cos'è la tecnica?

a proposito della Tecnica stessa. Un buon elenco di questioni errate


sulla Tecnica (errate semplicemente per la mancanza di rigore) ci è
fornito da un documento del Consiglio Ecumenico, sunto di nume­
rosi altri testi che sollevano ie stesse questioni8. Vi si legge una lista
di questioni da studiare come: necessità di una politica ambientale,
problema alimentare mondiale, stabilimento delle migliori strutture
nazionali e internazionali per l'utilizzo della tecnologia, pianificazio­
ne dello sviluppo urbano, nuovi problemi relativi a spazio e oceani,
conseguenze del progresso genetico e biologico per controllare e mi­
gliorare la vita, creazione di nuovi bisogni nel consumatore, rivolu­
zione nella produzione e nell’immagazzinamento dell’informazione,
conseguenze delle tecniche di comunicazione per Feducazione e il
condizionamento dellopinione pubblica... Tutte queste questioni,
che non sono sbagliate, sono state poste senza che sia stato innan­
zitutto studiato il tatto tecnico in sé9, vale a dire che si è necessa­
riamente portati a errori e a banalità studiando aspetti minimi del
fenomeno, tralasciando lo studio del fenomeno in sé. E significativo
che questi esperti abbiano in seguito, in un secondo capitolo, posto
la questione delle «conseguenze politico-economiche della tecnolo­
gia» senza rendersi conto che già nel primo capitolo avevano studia­
to esclusivamente le «conseguenze» e non il fatto in sé. Ma come si
può parlare di conseguenze senza chiedersi prima conseguenze di
cosa? Hanno agito come se si sapesse a priori che cos’è la Tecnica • • •

Evidenza presuntuosa... che ha portato il Consiglio Ecumenico a un


insieme di lavori superficiali. Bisogna pertanto evitare di procedere
in questo modo, cominciare dall’analisi del fatto in sé, cosa che può

8 Rapporto del Consiglio Ecumenico, «Dipartimento Chiesa e Società», prepara­


torio allo studio dell’avvenire dell Uomo e della società in un mondo tecnologico,
ottobre 1969.
1 Ad ogni modo, per capire il concetto di Tecnica e 0 sistema tecnico, non biso­
gna partire dagli effetti della Tecnica sull'uomo o sulla società. Non è a partire da
considerazioni sociologiche o psicologiche che si può risalire al concetto di Tecnica:
si deve considerare f oggetto tecnico in sé, le sue interrelazioni, come ha ammi­
revolmente fatto G. Simondon, Du mode d existence des ohjets techniques, Aubier
Montaigne, Paris 1958.1 numerosissimi studi sull'alienazione, le conseguenze della
televisione, 1 organizzazione del lavoro, Peffetto dei mass-media sul voto, Turbaniz-
zazione, ecc., possono venire utilizzati in seguito, per capire un aspetto specifico
del sistema tecnico, ma non è da lì che si deve iniziare per elaborare il concetto di
Tecnica. Bisogna cominciare dal più alto livello di astrazione per poi ricongiungersi
al reale costituito dalla relazione tra la Tecnica e Tuomo o la Società.

48
La tecnica in quanto concetto

essere fatta solo stabilendo un concetto che separi la Tecnica dalle


scorie politico-economiche.
-k -k

Una tale operazione non significa che la Tecnica verrà conside­


rata d’ora in avanti in sé e come un’entità sufficiente a se stessa. Ciò
porterebbe all’errore opposto. Ovviamente non si deve mai compie­
re un’operazione di astrazione intellettuale e fermasi lì. Si devono
considerare le cose per come sono, e non delirare su una tecnica in
sé - cosa che fanno oggi molti autori che parlano della Tecnica come
se l’uomo, l’economia, la politica, la società non esistessero più o
fossero argilla malleabile: si pensi ad esempio agli incredibili libri
di D. Rorvik10. Vi si trova un immenso catalogo di ciò che alcune
tecniche di punta permettono di effettuare - addirittura non si sa
mai esattamente se, nelle sue descrizioni, ci si trovi in presenza di
tecniche già acquisite e controllate, o di esperimenti in corso di cui
ancora non si conosce il risultato, o di speranze di uno scienziato, o
di un progetto di ricerca, o della speranza che da qui a ventanni si
arriverà a... Comunque sia, presenta la concretizzazione dell’uomo
macchina, il kibert, il rapporto diretto tra cervello e computer, la
medicina elettronica, la diffusione dei robot, l’applicazione dell’ESB
(stimolazione elettrica del cervello che egli traduce meravigliosa­
mente in elettrosesso, elettromemoria, elettroeuforia), dell ARMS (si­
stema cibernetico che permette di ampliare la potenza dei sensi e
di operare a migliaia di chilometri dal luogo in cui ci si trova), del
bft (Bio-Feed-back Training, processo di retroazione biologico, per
separare lo spirito dalla materia e liberare il corpo...), ecc. Tutto ciò
presentato, come fa anche Toffler, come inevitabile realtà della Tec­
nica in un prossimo futuro. Si prende un qualunque esperimento di
laboratorio (ad esempio il collegamento di cinquanta elettrodi nel
cervello di una cavia) e si dice che quella sarà la realtà di domani.

10 D. Rorvik, Brave Nere Baby: promesses et dangers de la revolution biologique,


AJbin Michel, Paris 1972 (ed. or. Brave New Baby promise and perii of thè biological
revolution, Doubleday, Garden City NY 1971; ir. it. I figli innaturali: La manipolazi­
one biologica, Bompiani, Milano 1973) e Quand Ihomme devient machine: une nou-
velle étape de l’évolution, Albin Michel, Paris 1973 (ed. or. A man becomes machine;
thè evolution of thè cyborg, Doubleday, Garden City NY1971).

49
Che cos’è la tecnica?
Non ci si pone alcuna domanda sugli ostacoli morali, psicologici
posti dall’uomo - né sulle difficoltà economiche poste dalla diffu­
sione di tali imprese, né sulle lentezze politiche e sociologiche * • •

Tutto avviene come in un mondo onirico: il grande stregone scopre


una nuova tecnica che viene applicata alla realtà con una bacchetta
magica, e di colpo tutto si trasforma. Con ciò non voglio giudicare
una tecnica o l’altra, ma voglio dire che tra la scoperta in labora­
torio e la diffusione di una Tecnica c’è una bella differenza. Molte
scoperte che sembravano possibili non sono mai state realizzate.
Bisogna confrontarsi con il reale. Non sono i «pericoli» della cre­
scita delle tecniche a spaventarmi, ma l’infantilismo degli autori che
ritengono che il laboratorio di oggi sia il mondo di domani. Parlare
della Macchina che vede e pensa, o addirittura che si autoriprodu-
ce (Von Neumann), è infantile antropocentrismo. Dichiarare che
la macchina è dotata di una surrazionalità «che afferma la potenza
di un pensiero creatore delle proprie norme, alla lettera fondatore
di un nuovo mondo pieno di rumore e di sensi» (Beaune) signifi­
ca cadere nella fantasmagoria: vuol dire considerare aspetti della
Tecnica (in particolare il computer) e spingerli all’estremo come se
quella fosse la realtà. Necessariamente la Tecnica si insinua in un
mondo che non è inerte e può svilupparsi solo in rapporto a esso.
Per autonoma che sia, nessuna tecnica può svilupparsi al di fuori di
un certo contesto economico, politico, intellettuale. In mancanza di
queste condizioni, la Tecnica fallisce. Ancora una volta i maghi che
ci presentano la macchina - che penserà molto meglio dell’uomo
perché libera dal «tumulto delle passioni» - come perfetto sostituto
dell’uomo, cadono nello stesso errore: considerare solo un aspetto
del fenomeno tecnico e non il fenomeno tecnico stesso. Solo quan­
do si conosce il fenomeno nella globalità se ne possono misurare il
limite e la novità. Chiaramente se si esaminano alcune tecniche, una
accanto all’altra, se ne può sempre sognare lo sviluppo infinito. Ma
se si studia un sistema in cui le tecniche sono in correlazione le une
con le altre, e si comprende, inoltre, che il sistema non è chiuso, ci
si rende subito conto di non poter antropologizzare le tecniche né
sognarne lo sviluppo infinito. Questo è il motivo per cui, a partire
da una concettualizzazione della Tecnica, bisogna rifiutare vigoro­
samente le rappresentazioni fantasmagoriche e iperboliche della so­
cietà di domani, genere L’Alpbaville di Godard.

50
La tecnica in quanto concetto

Si tratta di una rappresentazione mitologica della realtà che non


sì accinge a essere né mai sarà. È tanto estranea (come Odissea nello
Spazioì) da risultare al contempo tremenda e rassicurante: si costrui­
sce un'immagine mostruosa e immaginifica del mondo a venire e la
si attacca senza pericolo, poiché a essa non corrispondono alcuna
struttura sociale e alcun gruppo. Come vedremo oltre, ciò gioca un
ruolo nello sviluppo del sistema, ma è totalmente falso per quanto
concerne la tecnica. Che Terrore sia di magnificenza, come per Ror-
vik, o di orrore, il risultato è lo stesso: non si tratta della tecnica né
del «mondo di domani».
La formulazione di un concetto tecnico permette così di misu­
rare esattamente il possibile del tecnico stabilendo una globalità, e
ricollocando il fenomeno tecnico nella relazione con il contesto nel
quale si sviluppa. Sull’altro fronte, permette allo stesso tempo di af­
fermarne Pautonomia e non cadere nell’ottimismo ugualmente sem­
plicista di un Reich11, per il quale tutto si gioca unicamente a livello
di consapevolezza. Per dirigere la tecnica «basta impadronirsi dei
comandi che nessuno conosce. Si tratta di riempire un vuoto, di met­
tere una intelligenza là dove manca...». È così semplice. È il colpo
di bacchetta magica, ma il risultato non è Pesplosione dell’applica­
zione generale delle tecniche di punta, ma la miracolosa riconqui­
sta del controllo dell’intero sistema attraverso un semplice fatto di
consapevolezza. La tecnica stessa produce la «Coscienza ili», quella
dell’uomo divenuto superiore, libero e spirituale. Hippy ovunque.
«Basta» che il sistema di valori cambi, che i comportamenti psicolo­
gici, lo stile di vita si trasformino, ed ecco che la tecnica non ha più
potere. Il trionfo dei capelli lunghi e dei pantaloni a zampa di ele­
fante ci garantisce, secondo Reich, il controllo della Tecnica. Basta
«scegliere uno stile di vita per trascendere la macchina, per stabilire
un atto di indipendenza», «basta definire il nuovo stile di vita per de­
finire la nuova società...». Guardiamoci intorno: Rorvik ha ragione
quando sottolinea l’enorme crescita delle potenzialità tecniche e il
prodigioso ventaglio di eventuali applicazioni, ma si sbaglia nel cre­
dere che la Tecnica si sviluppi nel vuoto. Reich invece ha ragione nel

11 Charles Reich, Le Regain am èrica in, R. Laffont, Paris 1971 (ed. or. The green-
ing of America, Random House, New York 1970; tr. it. La nuova America, Rizzoli,
Milano 1972).

51
Che cos’è la tecnica?

sottolineare che nulla può essere fatto senza consapevolezza, e che


la consapevolezza giochi un ruolo fondamentale nel funzionamento
delia società, ma si sbaglia a credere che il cambiamento di coscienza
costituisca la trasformazione del sistema tecnico. Da un lato si sogna
la perfetta malleabilità delbuomo e della società, dall’altro la perfetta
malleabilità della tecnica. La concettualizzazione deve permetterci di
evitare questi due errori. Per il rigore intellettuale che gli è proprio,
il concetto impedisce la divagazione: lungi dalTallontanarci dal reale
a causa dell’astrazione, ci permette invece, se le cose sono ben fatte,
di tener conto di tutto il reale e di non trascurare alcuna delle corre­
lazioni nelle quali il concetto si situa.
Il primo passo non consiste quindi nel bighellonare nel campo
del possibile cogliendo qui un iris, un trapianto di cuore, e lì un gi­
glio di campo, il computer che pensa, ma nel creare un sistema che
tenga conto dei diversi elementi e la scomposizione in fattori nei con­
fronti delle realtà che condizionano e dalle quali sono condizionati.
Si tratta di «cogliere le cose come sono» mediante l’elaborazione di
un concetto, e non di lasciarsi trasportare in qualsiasi delirante dire­
zione ci trascini il cuore, senza alcuna critica!
Poste queste condizioni, bisogna stabilire la differenza tra il con­
cetto di Tecnica e la Tecnologia12. Quest’ultimo è un discorso sulla
Tecnica, una scienza della Tecnica. Inizialmente discorso su tecniche
particolari, poi saggio di discorsi sulla Tecnica in generale, cioè sul
concetto stesso. Non ci troviamo quindi più di fronte allo studio dei
processi di una data operazione, industriale per esempio (sempre og­
getto dei corsi di tecnologia!), ma a una riflessione filosofica. Questa
presenta incertezza solo nella misura in cui non si inizia dalla defi­
nizione del concetto stesso di tecnica e di sistema tecnico. In questo
caso il Logos diviene allora una sorta di dissertazione astratta e priva
di riferimenti - tanto più interessante dal momento che, secondo la
solita mania dei filosofi, si tratta di un discorso sulla Tecnica in sé,
in qualsiasi epoca, qualsiasi ambiente, come se fosse possibile assi­
milare la tecnica occidentale precedente 0 xvm secolo con la Tecnica
attuale. Simondon affronta direttamente il fenomeno tecnico in sé, e

12 È un errore grossolano eppure frequentemente commesso dagli intellettuali


francesi (su imitazione del vocabolario americano) quello di parlare di Tecnologia
quando si intende la Tecnica.

52
La tecnica in quanto concetto

in questo senso realizza un lavoro utile, e non un discorso chimeri­


co. Si ha invece un buon esempio del discorso zoppicante, chiamato
Tecnologia, nel libro di Beaunel>. Questo saggio, ornato da tutta la
pomposa retorica strutturalista, postmarxista, linguistica, moderna
per dare un’impressione di profondità, propone quattro o cinque
definizioni di Tecnologia che non evitano i semplicismi (la macchina
vive e pensa) e le più elementari confusioni (non si possono giudi­
care i fenomeni tecnici perché «l’oggetto è indifferente ai fantasmi
gli attribuiamo», ecc.). Si tratta di un lavoro estremamente ingenuo
che assume un’apparenza di scientificità grazie al sistema retorico,
dimostrandosi da questo punto di vista «tecnologico». Un semplice
discorso su nulla di chiaramente concettualizzato.

15 J.-C. Beaune, La Ttxhnologie, puf, Paris 1972.

53
Capitolo secondo
LA TECNICA COME AMBIENTE

La tecnica, anche quando è astratta, processo, organizzazione, è


più una mediazione che uno strumento. Si ha generalmente Pidea
della tecnica come mezzo d'azione che permette all'uomo di fare ciò
che non potrebbe con i suoi soli mezzi. E chiaramente ciò è corretto.
Ma è molto più importante considerare che questi «mezzi» siano
una mediazione tra Puomo e Pambiente naturale1. Mediazione che
può essere passiva o attiva (Pabbigliamento, la casa; i prodotti tecnici
sono schermi posti tra il corpo e Pambiente). Uuomo ha così creato
intorno a sé tutto un insieme di mediazioni. Le tecniche delle socie­
tà tradizionali, sporadiche e frammentarie, rappresentavano singole
mediazioni. La situazione è cambiata con la moltiplicazione delle tec­
niche e lo sviluppo del fenomeno tecnico2. Il carattere di mediazione

1 È utile ricordare che la prima soddisfacente definizione che possiamo trovare


della Tecnica è quella che Weber dà di essa in quanto Mezzo: «La tecnica di un’atti-
vità è la somma dei mezzi necessari al suo esercizio in contrapposizione al senso o allo
scopo dell’attività... La tecnica razionale è la messa in opera di mezzi orientati in­
tenzionalmente e metodicamente in funzione di esperienze, di riflessioni e di consi­
derazioni scientifiche». Ma anche: «Il senso ultimo di una azione concreta collocata
in un contesto globale di attività può essere di natura tecnica, cioè può servire da
mezzo in rapporto al più ampio contesto. In questo caso, però, il compimento tec­
nico è il senso di quest'ultimo e i mezzi messi in opera per giungervi ne sono la tec­
nica... Ponendo la domanda della tecnica si pongono dubbi sui mezzi più razionali»;
Economie et Société, I, Plon, Paris 1971 (ed. or. Wirtsckaft und Gesellschaft, Mohr,
Tùbingen 1922; tr. it. Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano 1968).
2 Su questa evoluzione si veda il cap. I di La Technique ou Venjeu du siècle.

55
Che cos'è la tecnica?

diventa quello dell'oggetto tecnico. Come sottolinea Simondon, «la


concretizzazione conferisce all'oggetto tecnico un posto intermedio
tra l’oggetto naturale e la rappresentazione scientifica dell’oggetto
tecnico astratto, cioè primitivo e lontano dal costituire un sistema
naturale.
E la traduzione concreta di un insieme di nozioni e principi
scientifici separati gli uni dagli altri. Al contrario, F oggetto tecnico
concreto, cioè evoluto, si avvicina al modo di esistenza degli oggetti
naturali, tende alla coerenza interna, alla chiusura del sistema delle
cause e degli effetti e inoltre incorpora una parte del mondo natu­
rale che interviene come condizione di funzionamento». Se per di
più, come si è spesso detto, il lavoro è ciò attraverso cui l’uomo si
fa mediatore tra la natura e l’umanità in quanto specie, attraverso il
lavoro tecnico si crea il più grande insieme di mediazioni immagi­
nabili, dato che vi è incorporazione e durata del lavoro: «Attraverso
l’attività tecnica, l’uomo crea mediazioni separabili dall’individuo
che le produce e pensa - l’individuo si esprime in esse ma non vi
aderisce. La macchina possiede una sorta di impersonalità che fa sì
che essa possa diventare strumento di un altro uomo - la realtà uma­
na che essa cristallizza in sé è alienabile proprio perché separabile.
L’oggetto tecnico, pensato e costruito dall’uomo, non si limita solo
a creare una mediazione tra uomo e natura: è un misto stabile di
umano e naturale, contiene dell’umano e del naturale, conferisce al
proprio contenuto umano una struttura simile a quella degli oggetti
naturali, permette l’inserimento nel mondo delle cause e degli effetti
naturali della realtà umana. La relazione tra uomo e natura, invece di
essere solo vissuta e praticata in maniera oscura, acquista uno stato
di stabilità, di consistenza che ne fa una realtà con le proprie leggi e
la propria ordinata continuità. L’attività tecnica, creando il mondo
degli oggetti tecnici e diffondendo la mediazione oggettiva tra uomo
e natura, ricollega l’uomo alla natura secondo un legame molto più
ricco e meglio definito di quello della reazione specifica del lavoro
collettivo» (Simondon).
Ciò è esatto, ma bisogna aggiungere che questa mediazione di­
venta esclusiva: non c’è altro rapporto dell’uomo con la natura, tutto
l’insieme di legami, complesso e fragile, che l’uomo aveva paziente-
mente tessuto, poetico, magico, mitico, simbolico scompare: rimane
solo la mediazione tecnica che si impone e diventa totale. La tec-

56
La tecnica come ambiente

nica forma uno schermo continuo da un lato e dall’altro un modo


generalizzato di intervento. Non è solo un mezzo, ma universo di
mezzi - nel senso di Universo: al contempo esclusivo e totale. Lo
stesso avviene anche nella relazione tra individui, o nel rapporto che
si stabilisce tra individui e gruppo: tutto diventa tecnico. Le relazioni
umane non possono più essere lasciate al caso, non sono più oggetto
dell’esperienza, della tradizione, dei codici culturali, del simbolico:
tutto deve essere chiarito (dinamiche di gruppo, psicanalisi, psicolo­
gia del profondo), spiegato e poi trasformato in schemi tecnici ap­
plicabili (pedagogia, relazioni umane, ecc.), in modo che ognuno ap­
porti da un lato il proprio contributo e daH’altro rivesta il ruolo che
ci si aspetta da lui. Egli riceve gratificazione solo per se stesso mentre
gli altri vengono gratificati dalla conformità della sua condotta. Il
codice è diventato tecnico.
Baudrillard ne propone una notevole descrizione proprio per
quanto riguarda la comunione. Parlando dei giochi televisivi, dimo­
stra l’importante funzione che essi ricoprono: la partecipazione. Il
concorrente ottiene ciò che desidera, cioè la soddisfazione di essere
stato in tv, e il pubblico ha la sensazione di essere un insieme «in
contatto». Gli spettatori ottengono ciò che vogliono: la comunione
- anzi, la forma moderna, tecnica, asettica della comunione che è la
comunicazione: il «contatto». Ciò che identifica la società dei con­
sumi non è infatti la deplorata assenza di riti: il gioco radiofonico è
rito quanto lo sono la messa o il sacrificio presso le società primitive.
Ma la comunione rituale non avviene più attraverso il pane e il vino,
la carne e il sangue, ma attraverso i mass-media (che non sono solo il
messaggio, ma anche il dispositivo di emissione, la rete di emissione,
la stazione di emissione, gli apparecchi di ricezione e chiaramente
anche i produttori e il pubblico). In altre parole: «La comunione non
avviene più attraverso un mezzo simbolico ma attraverso uno tecnico
- in ciò diventa comunicazione». Baudrillard ha messo in rilievo la
realtà mediatrice più profonda della tecnica, cioè il fatto che sia mez­
zo della comunione interumana. La comunione, non più simbolica, è
divenuta unicamente tecnica. In questa maniera, e perché l’uomo si
avvia verso un modello di mediazione unico, centralizzato, esclusivo,
la tecnica è diventata mediatrice. Si può dire che lo sia sempre stata,
e che lo sia per natura: in quanto mezzo e insieme di mezzi, essa è
evidentemente mediatrice, intermediaria tra Puomo e il suo vecchio

57
Che cos’è la tecnica?

ambiente3. Ciò comporta tre significative conseguenze: la prima è


che si tratta di una mediazione autonoma; si sa che ciò che importa
non è tanto la scelta di un valore quanto la possibilità di mediazione
tra il valore e l’individuo o il corpo sociale. Siccome la tecnica è il
solo mediatore oggi riconosciuto, in realtà sfugge a ogni sistema di
valore. Non essendoci altro mediatore, chi prenderà la decisione a
favore o contro di essa, chi troverà il modo di sottometterla? L’uo­
mo? Quale uomo? Quello già inserito nel sistema. Lo Stato? E già
diventato tecnico. Il popolo? L’insieme della nazione? (Secondo il
mito accuratamente alimentato in base al quale il popolo deve fare
le «grandi scelte», e la tecnica metterle in pratica!). Ma il popolo è
in ritardo di mezzo secolo sulla realtà, e non capisce più i problemi
reali che si pongono! Tutt’al più le decisioni popolari potrebbero, se
applicabili, arrestare la crescita tecnica, causare problemi al sistema
e provocare una recessione socio-economica che il suddetto popolo
non è pronto ad affrontare! La mediazione tecnica esclude quindi
tutte le altre, e ciò sottrae completamente la tecnica ai valori deside­
rati o presunti.
Indubbiamente abbiamo ancora l’impressione che ogni sviluppo
o orientamento della Tecnica avvenga per intermediazione dell’uo­
mo, della massa o dell’opinione pubblica. Ma non dimentichiamo
che si tratta di un uomo che già si trova all’interno del sistema e sul
quale viene esercitata pressione non solo da parte della realtà esisten­
te, ma anche dal possibile prevedibile e atteso.
Quanto oggi possibile per effetto delle tecniche modella il desi­
derio dal quale ha origine l’opinione pubblica. Questa, a sua volta,
farà pressione esigendo la realizzazione di quanto possibile. Un pic­
colo esempio: tutti i rapporti degli esperti concordano nel dire che
la stragrande maggioranza degli incidenti automobilistici sono cau­
sati dall’eccessiva velocità4. A prima vista la soluzione sembrerebbe

* Lefebvre ha perfettamente individuato un aspetto di tale autonomia nei descri­


vere la derivazione della coscienza e delle sue forme sociali e individuali a partire
dalla tecnica, senza la mediazione di un pensiero, di una cultura che le diano un
senso. «Attraverso l’oggetto, la coscienza riflette la tecnica», «l’oggetto tecnico con la
propria doppia costituzione funzionale e trasparente non riceve uno stato determi­
nato». Una città diventa un oggetto tecnico, un pacchetto nel mondo moderno 1968.
In realtà fornisce numerosi esempi del fatto che la tecnica sia diventata mediatrice.
4 L’argomento non ammette ulteriori discussioni dopo l’analisi sistematica condot­
ta nella Repubblica Federale Tedesca tra il 1953 e il 1969. A parità di parco auto e di

58
La tecnica come ambiente

semplice: basterebbe che i costruttori di auto limitassero la potenza


dei motori. Se i motori non potessero superare i 110 km/h, gran par­
te dei pericoli e dei regolamenti sparirebbe. A quanto pare ciò non
può nemmeno essere preso in considerazione. Perché dal momento
che è possibile costruire motori e auto che raggiungono i 200 km/h
su strada, ciò che è tecnicamente possibile esercita una pressione di
necessità sull’opinione pubblica (perché Fuomo moderno si trova in
queWambiente) e l’opinione pubblica a sua volta non sopporterebbe
che i costruttori limitassero la velocità dei motori, e che non venisse
realizzato ciò che è possibile. Si potrebbe allora credere che sia la
pressione dell’opinione pubblica a essere mediatrice e direttrice: in
realtà essa riveste questo ruolo unicamente perché preformata, adat­
tata, sottomessa a ogni possibile tecnica, perdendo così ogni indi-
pendenza e specificità. Seconda conseguenza: la mediazione tecnica
è essenzialmente sterile e sterilizzante contrariamente a tutti i prece­
denti sistemi di mediazione, che erano plurivoci, equivoci, instabili
nelle applicazioni come profondamente radicati nell’inconscio ricco
e creatore: la Tecnica è univoca, superficiale ma stabile, implica una
mediazione chiara e ordinata, ma senza gioco e senza evocazione,
senza ricordo e senza progetto. E un vero mezzo efficace e si è impo­
sto in luogo delle mediazioni poetiche. Sterilizza intorno a sé tutto
ciò che potrebbe turbare questo rigore, dando all’uomo un universo
sterile, senza microbo e senza germe.
Infine, la terza conseguenza,Ta relazione tra Tecnica e uomo è una
relazione non mediatizzata. Oggi la coscienza, sociale o individuale,
è formata direttamente dalla presenza della tecnica, dall; immersione
dell’uomo in questo ambiente, senza la mediazione di un pensiero
per il quale la Tecnica sarebbe solo un oggetto, senza la mediazione
di una cultura. La relazione con la Tecnica è immediata, il che vuol
dire che ormai la coscienza è divenuta semplice riflesso dell’ambiente
tecnico. Ciò che McLuhan intende con la celebre formula «The me­
dium is thè message». Il messaggio che Fuomo tenta di trasmettere è

km percorsi, in mancanza di limiti di velocità si ha il 37% in più di incidenti mortali


e il 20% in più di feriti. I dati sono stati confermati agli «esperti» del traffico riuniti
in una tavola rotonda a Parigi nel 1970. Grazie alla limitazione della velocità si po­
trebbero evitare in media mille morti all anno in Francia. La tavola rotonda tuttavia
si dichiarò pessimista sulle possibilità di applicazione di misure di sicurezza a causa
della loro impopolarità.

59
Che cos e la tecnica?

diventato semplice riflesso del sistema tecnico, degli oggetti tecnici,


delle immagini e dei discorsi che altro non possono essere se non
immagini tecniche e discorsi su di essa. Perché il sistema ha invaso la
totalità del vissuto e Finterà pratica sociale5. «Lo sguardo sull ogget­
to tecnico, sguardo passivo, attento al solo funzionamento, interes­
sato alla sola struttura, affascinato dallo spettacolo piatto, tutto nella
sua sostanza trasparente, questo sguardo diventa prototipo dell'atto
sociale». Così il sistema tecnico mediatore diventa mediatore univer­
sale, che esclude ogni altra mediazione al di fuori delia propria6. È il
più alto grado della sua autonomia. La mediatizzazione attraverso la
Tecnica è fondamentale per comprendere la società moderna. Non
solo essa è mediatrice tra l’uomo e l'ambiente naturale, e poi me­
diatrice in secondo grado tra l'uomo e l'ambiente tecnico, ma è an­
che mediatrice tra gli uomini: questi entrano sempre più in contatto
gli uni con gli altri attraverso strumenti tecnici (telefono), tecniche
psicologiche (pedagogia, relazioni umane, dinamiche di gruppo),
ma, soprattutto, ognuno entra in contatto con l'umanità, l'insieme
degli uomini attraverso mezzi tecnici (tv, radio, ecc.), che costitui­
scono il regno di quelle che sono state chiamate le relazioni lunghe,
qualitativamente diverse dalle relazioni corte, non mediatizzate (o
mediatizzate da approcci culturali tradizionali poco efficaci. La me­
diatizzazione tecnica della relazione umana produce il fenomeno del
quale non si cessa di meravigliarsi, cioè il crescente sentimento di so­
litudine individuale nel mondo della comunicazione generalizzata).
Divenuta un Universo di mezzi, la Tecnica è l’ambiente dell’uomo.
Le mediazioni si sono talmente generalizzate, estese, moltiplicate da

5 L’estrema debolezza dell’analisi di H. Marcuse in L’Homme unidìmemionnel, Édi-


tions de Minuit, Paris 1968 (ed. or. One-dimensionalMan, Routledge & K. Paul, Lon­
don 1964; tr. it. Luomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967) sta nel non realizzare
che la comparsa di questo tipo di uomo è il più diretto risultato del sistema tecnico, e
dell’autonomia della Tecnica. H fatto che attribuisca questa mutazione a un regime po­
litico o politico-sociale è prova dell’inadeguatezza della sua sociologia, e probabilmente
segno della sua volontà di cavarsela a buon mercato e conservare una speranza!
6 In quanto mediatrice esclusiva la tecnica impone alla fine il proprio ordine, come
vedremo. Essa riesce a imporsi anche quando, in partenza, vi sia da parte dell’uomo
una volontà opposta. Avevo dimostrato, e Marcuse lo ha ripreso in seguito, che il
Nazionalsocialismo, partito con una filosofia dell’irrazionale, una mistica, una conce­
zione del superuomo è stato portato alla negazione di tutto ciò a partire dal momento
in cui è diventato un sistema tecnico, una razionalizzazione tecnica dello strumento:
una posizione irrazionalista non è mai forte di fronte al sistema, al contrario.

60
La tecnica come ambiente

costituire un nuovo universo, ed ecco apparire «l’ambiente tecni­


co». Ciò significa che l’uomo non è più essenzialmente nell’ambiente
«naturale» (costituito da ciò che viene comunemente chiamato «na­
tura», campagna, boschi, montagne, mare, ecc.), ma si situa ormai in
un nuovo ambiente artificiale. Non vive più a contatto con le realtà
della terra e dell’acqua, ma con quella degli strumenti e degli oggetti
che formano la totalità del suo ambiente7, ormai costituito da asfalto,
ferro, cemento, vetro, plastica. Non ha più bisogno di riconoscere i
segni del tempo che farà (tranne nel caso sia aviatore o marinaio, o
durante le vacanze per un’escursione in montagna!), ma ha un asso­
luto bisogno di conoscere i segnali stradali. Anche il problema del
tempo non viene più risolto dalla diretta conoscenza del cielo, del
vento, ecc., ma dalle trasmissioni radio dell’ONM. L’uomo si relaziona
con gli elementi naturali solo attraverso un insieme così completo di
tecniche che in realtà la relazione è solo con queste tecniche. L’am­
biente naturale in sé scompare. Bisogna considerare la città, prodot­
to essenziale della Tecnica: in città l’uomo viene a contatto con gli
elementi della natura solo accidentalmente (parchi, alberi nei giar­
dinetti). Non c’è più nulla di spontaneamente naturale. La natura al
di fuori è destinata allo svago, al relax, data la perdita d’importanza
dell’agricoltura e della vita contadina. Non bisogna tuttavia ridurre al
fenomeno dell’urbanizzazione la sostituzione dell’ambiente naturale
con quello tecnico. Anche il lavoro implica la stessa rottura: l’ope­
raio non sa più nulla del materiale che lavora, deve solo conoscere
le macchine grazie alle quali si effettuano le operazioni necessarie. E
presto si verifica addirittura una seconda astrazione con l’automa­
tizzazione. Si può prendere in considerazione qualsiasi aspetto della
vita, e si nota che ovunque si produce Io stesso movimento - tanto

7 G.W.F. Hegel, Realphilosophie, I, p. 237, citato da J. Habermas, op. cit., p. 188.


Ha individuato il punto di partenza di questa mutazione, quando scrive: «Lo stru­
mento in quanto tale prende dall'uomo il proprio potere di negazione parziale, ma
questa rimane la sua attività. Con la Macchina l’uomo supera l’attività formale che
gli è propria e la fa lavorare per sé. Egli diventa a propria volta vittima di questo
inganno al quale sottomette la natura: più assoggetta a sé ciò che strappa, più si umi­
lia. Facendo lavorare la natura con ogni sorta di macchina, non elimina la necessità
del proprio lavoro: si accontenta di ritardarne la scadenza, si allontana dalla natura
e non si regola più su di essa come essere vivente su una natura vivente; la vitalità
negativa scompare e il lavoro che gli rimane è sempre più meccanico». Notevole
chiaroveggenza.

61
Che cos'è la tecnica?

che l’educazione dei bambini è orientata verso la conoscenza di que­


sto ambiente (per un bambino è più utile sapere come attraversare la
strada e conoscere le fabbriche, che gli elementi della natura) e ver­
so una preparazione tecnica a esercitarvi un mestiere - la Tecnica è
Fambiente di vita non solo perché esclude il rapporto diretto con gli
elementi naturali o perché altera quelli rimasti (acqua, aria) o perché
Fambiente umano è costituito ormai solo da oggetti tecnici, ma addi­
rittura per il fatto di intervenire direttamente sulla vita dell’uomo e
richiedergli adattamenti paragonabili a quelli che precedentemente
aveva richiesto Fambiente naturale.
Il mondo in cui l’uomo vive è quello dell’ambiente meccanico.
Ciò causa al contempo una conoscenza e dei comportamenti relativi
a questo tipo di ambiente. Non si cerca più di conoscere [ ambiente
naturale in quanto tale.
È anche il motivo per cui il pensiero tecnico si rivela profonda­
mente diverso dal pensiero selvaggio. Il processo del pensiero è si­
curamente lo stesso, ma si applica a un altro campo che condiziona
in una data maniera. U modo del pensiero selvaggio procedeva in ac­
cordo con Fambiente naturale. Quando Fuorno si trova immerso in
un ambiente esclusivamente tecnico, il modo del pensiero selvaggio,
che sopravvive come tale nell’uomo, diventa inutile. Il pensiero sel­
vaggio è determinato dall’ambiente naturale, si applica all’ambiente
naturale, forma questo ambiente stabilendo la relazione tra ambiente
umano e naturale, ma è Fambiente naturale che serve, non solo da
ambiente, ma soprattutto da tramite nella relazione dell1 uomo con
se stesso, e degli uomini tra loro. Il sostituirsi dell'ambiente tecnico
all ambiente naturale produce un cambiamento in queste relazioni:
avviene una scissione degli uomini (separazione dei gruppi naturali),
sostituzione della comunione con una comunicazione formale. Cam­
biente tecnico diventa allora il tramite della relazione (falsa) tra gli
uomini. Perché se si ammette (cosa che farei volentieri) che il pensiero
selvaggio è parte costitutiva della «natura umana», il fatto che si ri­
trovi in un ambiente inadeguato non invita più l’uomo alla comunità,
ma a qualsiasi forma di scissione. Ciò si manifesterà in particolare con
la difficoltà o Fimpossibilità a simbolizzare. Una delle maggiori per­
dite dell’uomo moderno è proprio la simbolizzazione, possibile solo
in rapporto a un ambiente naturale. La simbolizzazione grazie alla
quale Fuomo è sopravvissuto in un mondo ostile è diventata una ope-

62
La tecnica come ambiente

razione inadeguata nei confronti delTambiente tecnico, nel quale non


trova più utilità. L’uomo moderno è combattuto: la simbolizzazione
rimane un’operazione profondamente inscritta in lui da millenni in
cui non è stato possibile annullarla, ma è tutto sommato resa vana,
inefficace, repressa perché l’ambiente nel quale Puomo si trova non
è assolutamente suscettibile alla necessità di questa operazione. Per­
tanto avremo sia una simbolizzazione di fuga in un irrazionale fittizio
(Parte moderna, ad esempio), sia una simbolizzazione fittizia (che si
rapporta bene alla Tecnica, ma perfettamente inutile e priva di signi­
ficato, come vedremo). Uapproccio, Pappropriazione, f interpretazio­
ne e la dominazione dell’ambiente tecnico non possono avvenire per
via simbolica. Quanto all ambiente naturale, la simbolizzazione è resa
completamente insignificante dalla dominazione utilitaria tecnica.
La nostra conoscenza riguarda un astrazione dell’ambiente natu­
rale colto attraverso tecniche sempre più raffinate, ma Pambiente di
vita è quello meccanico e tecnico, direttamente studiato in quanto
tale. Ci si troverà allora, ad esempio, di fronte alla teoria delle vibra­
zioni e degli urti8 come spiegazione completa dell’ambiente di vita.

8 Teoria delle vibrazioni. Sistemi discreti, approccio matriciale, modi propri,


smorzamento. Equazioni generali ed esempi.
Funzioni aleatorie. Correlazioni, analisi spettrale di un processo stazionario, fun­
zioni di trasferimento, coefficienti di coerenza, analisi statistica di ampiezza.
Vibrazioni aleatorie. Superamento delle soglie, comparazioni sinusaleatorie dal pun­
to di vista della fatica, «théorie des boTtes».
Sistemi non lineari. Metodo del piano di fase, fenomeni non lineari, risonanze non
lineari, sottoarmoniche, oscillazione, parametrici.
Prove di urto. Specificazioni delle prove d otto, analisi, spettri d'urto.
Risposta di una struttura a un eccitazione aleatoria. Risposta di un sistema semplice a
una sola entrata, risposta nel caso di più entrate, applicazione al caso particolare di
due entrate. Eccitazione acustica, correlazione spaziale, lunghezze di correlazione,
uso della decomposizione modale.
Trattamento analogico. Analisi spettrale, misura su macchine rotanti. Studio dina­
mico delle strutture attraverso l’uso di questi risultati.
Trattamento numerico. Problemi di acquisizione del segnale, campionamento,
conversione analogico-digitale, metodi generali di trattamento dei segnali, applica­
zione allo spoglio di prove di vibrazione sinusoidali, aleatorie e transitorie.
Fenomeni vibratori a bordo di missili balistici.
Impedenze meccaniche. Nozione di impedenza - applicazione all'acustica, alTelettri­
cità, e alla meccanica. Regole di associazione e teoremi generali. Impedenza mecca­
nica di sistemi semplici. Applicazione della nozione di impedenza.
Poi ci si soffermerà sulle misure riguardanti questo campo.
Amplificatori di misura. Generalità e principi. Caratteristiche fondamentali relative

63
Che cos’è la tecnica?

Questo tipo di studio non riguarda più solo un mezzo meccanico


che l’ingegnere deve usare nel proprio lavoro, ma tutto Pambiente

alle misure ambientali, diversi tipi di amplificatore. Inserimento degli amplificatori


nelle catene di misura.
Registratori. Generalità, principi di registrazione, prestazioni, diversi tipi di regi­
stratore.
Misure di tensione meccanica. Fondamenti teorici di analisi delle tensioni. Teoria dei
manometri elettrici.
Misure di tensione meccanica. Pratica dei manometri elettrici, spoglio delle misure
e interpretazione.
Fotoelasticità-Procedimento-Fotostress. Principio, presentazione di un caso partico­
lare, dimostrazione.
Sensore fluidico per la misura di grandezze meccaniche.
Misura degli spostamenti, delle velocità e delle forze.
Misura delle accelerazioni. Diversi tipi di sensore, tecnologia e realizzazione. Scelta
dei sensori.
Telemisura e infine si analizzerà il comportamento meccanico dei materiali. Inci­
denza delle sollecitazioni acustiche e termiche.
Comportamento meccanico dei materiali.
Relazioni forzate - deformazioni nell’ipotesi elastica.
Plasticità, viscosità e loro manifestazioni: scorrimento, rilascio, effetto Bauschinger.
Ammortizzamento nei materiali. Moduli complessi.
Modelli reologici lineari e non lineari.
Smorzamento nelle strutture - fattori di forma.
Principi di misura delle caratteristiche meccaniche.
Dimostrazioni di misure di modulo complesso.
Per impedenza.
Per onda stazionaria.
Con l’aiuto di un viscoelasticimetro.
Fatica dei materiali.
Processo di degradazione dei materiali.
Rappresentazione delle proprietà di fatica - diagrammi di Wòhler e Goodman.
Teorie descrittive del meccanismo di fatica - frattografia.
Evoluzione della degradazione. Misura e previsione.
Influenza delle caratteristiche del pezzo.
Fatica termica.
Limite delle conoscenze attuali e evoluzione prevedibile.
Sollecitazioni termiche.
Definizioni generali. Modi di trasmissione.
Equazioni di base del problema della conduzione.
Metodi di risoluzione.
Messa in opera e applicazioni.
Le misure di flusso termico.
Introduzione. Limitazioni del problema.
Validità delle misure.

64
La tecnica come ambiente

umano: è così possibile analizzare l’ambiente umano solo a partire


dall’ambiente tecnico. Il meccanico da solo costituisce un ambiente
pur essendo solo parte (una piccola parte!) dell’ambiente tecnico -
oggi l’uomo deve studiare il proprio ambiente esattamente come l’uo­
mo «primitivo» doveva «studiare» l’ambiente naturale. Inizialmente
per sopravvivervi, poi per cercare di dominarlo e ottenerne il meglio.
Quando ci troviamo in presenza di un ambiente intermedio tra quello
naturale e quello tecnico, vale a dire quello urbano, l’unico pensiero è
quello di trasformarlo in un ambiente puramente tecnico. L’ambien­
te urbano mantiene, dell’ambiente naturale, una certa spontaneità,
un’incoerenza in rapporto all’uomo, un’esuberanza, una diversità,
un’irrazionalità. E, come l’ambiente naturale, contemporaneamente
vicino ed estraneo all’uomo. Pur costituito esclusivamente da prodot­
ti tecnici, non è l’ambiente tecnico, poiché si è sviluppato in modo
anarchico e non tecnico: proprio ciò che ci mette a disagio. Non ci
sono il rigore, la semplicità, la razionalità delle tecniche. L’uomo vi ha
introdotto il proprio disordine, ha fatto di questo ambiente qualcosa
di proprio - le strade sono sporche e ingombre, vi sono recessi miste­
riosi, luoghi sperduti, le linee non sono rette e nulla è funzionale. Non
si tratta solo del «Conflitto» tra le città medievali e la circolazione
automobilistica - è, in modo più profondo, il prodotto di tecniche
tradizionali umanizzate dalLuomo che non soddisfa il nostro impe­
tuoso desiderio di sottomettere tutto a tecniche esatte. Gli Svedesi
ce Thanno fatta - grazie a una pianificazione rigorosa e a un efficace
sistema di trasporti urbani, con il rinnovo del centro di Stoccolma e
la creazione di sana pianta di nuove città di periferia -, sono giunti
a una tecnicizzazione quasi perfetta del tessuto urbano realizzando
un ambiente gradevole. Non è semplicemente stata soddisfatta la ra­
zionalità tecnica. Questa diventa anche piacere solo quando Corretta-

Descrizione delle rilevazioni.


Misura dei flussi di irraggiamento.
Le misure di temperatura
Metodi di misura, con e senza contatto diretto.
Validità delle misure.
Incidenza sulla validità di una prova combinata.
Dimostrazione sulle misure di temperatura.
Dimostrazione sulle misure di flusso termico.

65
Che cos’è la tecnica?

mente impiegata. Sappiamo ora che ci vogliono un certo numero di


luoghi di svago e strutture socio-culturali, tot metri quadrati di verde,
ecc. Eppure a Stoccolma aleggia una certa inquietudine: come se ci
si chiedesse che cosa accadrà una volta raggiunta tale perfezione. E
dopo? Che cosa c'è oltre il Paradiso? L’urbanistica rimane un pro­
blema anche quando tutto è stato sistemato. Si tratta delT«etema in­
soddisfazione delTuomo»? O della difficoltà di adattarsi a un quadro
troppo perfetto per un uomo rimasto primitivo? O c’è un irrimedia­
bile problema di adattamento dell'uomo all’ambiente assolutamente
tecnicizzato, anche quando gradevole? Ancora non conosciamo la ri­
sposta a tale domanda. La verità è che oggi, in quanto uomini moder­
ni, non siamo più chiamati a utilizzare delle tecniche, ma a vivere con
esse nel loro ambiente. Sicuramente Rorvik può descrivere ridilliaco
matrimonio tra uomo e robot, ma il problema è più sottile: il nostro
adattamento alle realtà naturali, che ci giunge dalla notte dei tempi,
è diventato inutile. A che cosa serve sapere se un fungo è velenoso,
o avvicinarsi a una preda... Dobbiamo adattarci a un nuovo insieme
di realtà. Dobbiamo sviluppare nuovi riflessi, imparare tecniche per
usare il cervello, per apprezzare f arte (fattasi espressione della società
tecnica), per stabilire relazioni umane attraverso tecniche. Uambiente
tecnico non è più un insieme di mezzi che usiamo saltuariamente (per
lavorare o distrarci), ma un insieme coerente che ci cinge da ogni
lato, che si introduce in noi, e del quale non possiamo più liberarci: è
ormai il nostro unico ambiente di vita.

Jc * ìfc

Dobbiamo tuttavia evitare un malinteso: si parla abitualmente di


un ambiente artificiale fatto di oggetti. Si è molto insistito, da qual­
che anno a questa parte, sull’invasione degli oggetti. Les Choses di
Perec è significativo. Viviamo in un universo di oggetti. Baudrillard
ne ha fatto un sistema. Questa presenza universale, questo bisogno
di sopperire alla mancanza d’essere attraverso un avere moltiplicato,
questo processo che porta alla reificazione delbuomo, di cui anche io
mi sono già occupato, è certo esatto. Si è anche sottolineato tuttavia
che questi oggetti non sono durevoli, sono latti per essere gettati.
Non esistono di per se stessi, vengono sostituiti a tutta velocità. Sono
completamente svalutati, possiedono un lustro apparente al momen-

66
La tecnica come ambiente

to dell'acquisto per poi cessare di essere, né veramente utili, né pia­


cevoli, né familiari, né compagni: fatti veramente, in pieno uso, per
essere distrutti e gettati. Linvasione da parte degli oggetti è accom­
pagnata dal disprezzo nei loro confronti. I due fatti devono essere
messi in relazione. Non cè da un lato una proliferazione, e dall'altro
il rimpiazzo. In realtà si produce per distruggere, si acquista per get­
tare, la moltiplicazione degli oggetti avviene per poterli eliminare.
Gli oggetti sono bersaglio del nostro profondo disprezzo. E allora?
In realtà questi oggetti non hanno alcun valore, né importanza, sono
solo prodotti del meccanismo tecnico. A caratterizzare la società non
è F oggetto, ma il mezzo. Non è l’invasione da parte degli oggetti ma
la moltiplicazione all'infinito dei mezzi. L’arte moderna è un buon
testimone di questa realtà strutturale. Questa è d’altra parte profon­
damente confermata dal fatto che ciò su cui la tecnica si basa non ha
più alcuna importanza, dato che essa permette di fare qualsiasi cosa.
La proliferazione degli oggetti non è un fenomeno a sé stante, né la
risposta a un desiderio dell’uomo, ma è l’effetto dell’applicazione dei
mezzi tecnici. Solo i mezzi vengono esaltati.
I prodotti sono considerati di poco valore. Si prenda ad esempio
la volontà comunista: condividere equamente prodotti e redditi non
appaga. Ciò che si vuole è il controllo dei mezzi di produzione. La
posta in gioco non è un maggiore potere di consumo ma il possesso
della Tecnica. Chiaramente i leninisti, nel momento in cui formulano
le proprie istanze, ignorando completamente un’analisi corretta del­
la società tecnica, non sanno ciò che fanno, ma obbediscono spon­
taneamente alla scala dei valori effettivi. Se consideriamo gli oggetti
come il reale che ci circonda, bisogna allora tenere presente Fespres-
sione sempre più frequente secondo la quale l’oggetto al limite non
esiste più. Non più del soggetto. La chiara distinzione tradizionale
scompare. A vantaggio di che cosa? Dei processi di intervento, delle
strutture di funzionamento. Dovremo mostrare che lo strutturalismo
non è un pensiero creatore, ma il semplice prodotto del primato dei
mezzi, e come ciò funzioni. Ma ciò è esclusivamente la Tecnica. E
l’universo dominato dal tecnicismo. L’aspetto interessante in questa
ondata filosofica è che essa rivela che, per dare libero spazio, libero
gioco all’attività sovraordinata dei mezzi (tecnici), il soggetto non
deve esistere (il soggetto deve solo obbedire ai mezzi), così come
non deve esistere l’oggetto (l’oggetto è solo un prodotto senza im-

67
Che cos’è la tecnica?

portanza del gioco delle tecniche). Ciò è quanto formulato da questa


filosofia. Arriviamo così alla conclusione decisiva secondo la quale il
nostro universo non è un universo di oggetti, non c'è un sistema di
oggetti, ma un universo di mezzi e un sistema tecnico.

Jr -fc

Il fatto che l’ambiente tecnico sia divenuto il nostro ambiente di


vita comporta un certo numero di cambiamenti per quanto riguarda
gli ambienti tradizionali in cui la storia dell’uomo si è fino ad ora
svolta, schematicamente Natura e Società.
La Natura Tecnicizzata, la Società Tecnica non sono più quelle
che sono sempre state. In realtà questa mutazione può essere con­
siderata come la questione finale nel percorso del nostro studio ma
bisogna sin dagli inizi scattarne alcune istantanee. Non è necessario
sottolineare l'azione della tecnica moderna sulTambiente naturale, su
quella stessa natura prodotta dal lavoro umano con tecniche dolci e
che non implicano una dominazione senza fine. Basta vedere gli am­
mirevoli studi di Charbonneau (Le Jardin de Babylone, Tristes cam-
pagnes). In modo più astratto, bisogna capire che il nuovo ambiente
agisce per penetrazione e scissione rispetto ai precedenti: non c'è
abbandono del vecchio ambiente (naturale) a vantaggio del nuovo
(tecnico). Il nuovo penetra l’antico, lo assorbe, lo usa, ma per farlo lo
fagocita e lo disintegra. Come un tessuto canceroso che prolifera su
un precedente tessuto non canceroso. L’esempio visivo più sempli­
ce è l'estensione dell'ambiente urbano in quello rurale attraverso la
crescita delle periferie. Cambiente tecnico non potrebbe esistere se
non si appoggiasse e ricavasse le proprie risorse da quello Naturale
(Natura e Società). Ma mentre lo esaurisce e lo estenua, lo elimina in
quanto ambiente e vi si sostituisce. La tecnica diviene ambiente pro­
prio perché quello precedente cessa di esserlo, ma ciò ne implica la
distruzione in quanto ambiente così come un utilizzo tanto estremo
da non lasciare nuLla - in altre parole, il famoso «esaurimento» delle
risorse naturali, del quale torneremo a parlare, non è solo il risultato
di un uso abusivo delle tecniche, ma fondamentalmente dell'instau-
rarsi della tecnica come nuovo ambiente umano. La tecnica agisce su
questi ambienti per divisione e frammentazione delle realtà naturali
e culturali. Il processo di interventi della tecnica sul reale consiste

68
La tecnica come ambiente

sempre nella rottura del reale in unità frammentarie malleabili. Ciò


corrisponde alla scoperta scientifica del discontinuo: «Gli scienziati
scoprono nel cuore della temporalità unità separabili (atomi, parti-
celle, fenomeni, cromosomi...). Lo studio dell'ignoto invade tutti gli
ambiti... ciò che cambia, ciò che sembra nascere, si definisce per una
composizione di unità elementari...»9.
Questa analisi riconduce Finterò movimento a elementi e a un in­
sieme immobile. Le macchine operano a partire da questi dati. La
riduzione del reale al discontinuo attraverso la scienza si presenta,
grazie alla tecnica, in una rottura del reale in elementi effettivamente
(e non teoricamente) separati, quindi ognuno utilizzabile indipen­
dentemente, suscettibili di composizioni, combinazioni nuove, atte a
diventare oggetto di qualsiasi quantificazione, qualsiasi classificazio­
ne. Si tratta perciò allo stesso tempo di un sistema nuovo (tecnico) e
della realtà concreta nella quale l’uomo è chiamato a vivere.
La tecnica riduce un insieme a unità semplici attraverso una sorta
di analisi e compartimentazione generalizzata. Il metodo Taylor per
il lavoro è un esempio perfetto: il lavoro artigianale era un insieme di
azioni e operazioni che da un lato esprimevano l'individuo lavorato­
re e dall'altro producevano un tutto completo: «un'opera». Con la
divisione del lavoro in seguito alla taylorizzazione, si raggiunge una
maggiore efficacia, un’intercambiabilità, al prezzo della scissione e
della divisione in unità gestuali perfette e insecabili. Il gesto di lavoro
è totalmente separato dal lavoratore ed esiste in sé. Si produce così
in tutti i campi una frammentazione di quanto inizialmente dato e, in
seguito, la tecnica riprende gli elementi condotti alla massima sem­
plicità per ricostituire, a partire da essi, un nuovo insieme, una nuova
sintesi in cui vengono integrati i fattori naturali precedentemente di­
sgregati. Questo insieme tecnico non è più del tutto «gratificante»
per l'uomo (forse perché egli rimane tradizionale!). Si ha sempre la
sensazione di vivere in un universo scisso. Una società scissa (sebbe­
ne più unita che mai!), una vita scissa, incoerente. Gli insiemi costi­
tuiti dalla tecnica non esprimono un sentimento di pienezza e sod­
disfazione, sono sempre vissuti come insiemi scissi. Luomo ricono­
sce qui e là frammenti del suo vecchio universo, integrati in un insie-

9 Lefebvre ha magnificamente studiato il fenomeno in Le Nouvei Eleatismo


«LHomme et la Société», 1966, ripreso in Positìon: cantre les technocrates, cit.

69
Che cos’è la tecnica?

me funzionale ma estraneo, anonimo, nel quale però bisogna vivere:


non ce ne sono altri. Contro il sentimento di scissione, l’uomo mo­
derno sente il pressante bisogno di una globalizzazione, di una sinte­
si, ma tutte quelle realizzate per una via diversa da quella tecnica
falliscono e sfociano in un nulla di fatto. Non c’è arché né un possi­
bile ritorno alla terra. L’insoddisfazione dell’uomo non può essere
eliminata finché egli rimarrà così come lo abbiamo conosciuto fino a
oggi, perché la tecnica è necessariamente semplificatrice, riduttrice,
operazionale, strumentale e riordinatrice nei confronti di tutti gli am­
bienti nei quali interviene (e oggi interviene in tutti...). Riduce tutto
ciò che era naturale a oggetto manipolabile: e ciò che non può essere
maneggiato, manovrato, utilizzato non ha valore. Viene investito di
valore nell’immensità del possibile solo ciò che può essere così utiliz­
zato - il resto, che per il momento non è ancora oggetto della tecnica,
viene abbandonato, in una società tecnica, alla contingenza e al caso.
Abbiamo così il doppio aspetto di semplificazione e riduzione di ogni
tecnica in rapporto al reale. Da un alto, un sistema rigoroso che ubbi­
disce immancabilmente, dall’altro una zona considerata sconosciuta,
abbandonata all’assurdo, «avendo innanzitutto distrutto i valori che
potevano dare senso alla libertà». Così la tecnica ritaglia nel tessuto
complesso del reale (sociale, umano) ciò che può costituire un am­
biente, ma neutralizza e priva di significato tutto ciò che non prende
in considerazione. Poiché il sistema tecnico è essenzialmente dinami­
co (molto più dell’ecosistema!), la tecnica tende ciecamente a sosti­
tuire tutto ciò che costituiva l’ecosistema naturale. Conquista sempre
più, assimila e riorganizza senza interruzione, al limite «l’ideale» per
questo nuovo ambiente sarebbe essere ambiente al punto tale da es­
sere il solo ambiente possibile - ciò che in fondo sognano autori
come Rorvik. Il guaio è che il vecchio ambiente non è del tutto scom-
parso: ci sono ancora aria e acqua e l’uomo per ora non può farne
• « •

a meno - è essenzialmente ciò a provocare l’irrazionalità e la crisi del


sistema, come vedremo. Per il momento ricordiamo che è avvenuto
un cambiamento decisivo: l’uomo viveva in un ambiente naturale e
usava struménti tecnici per vivervi meglio, difendersene e sfruttarlo.
Oggi l’uomo vive in un ambiente tecnico e l’antico mondo naturale
gli fornisce solo spazio e materie prime - l’ambiente tecnico presup­
pone quindi la sostituzione di tutto ciò che costituiva l’ambiente na­
turale, il compimento di tutte le sue funzioni. Ma evidentemente non

70
La tecnica come ambiente
raggiungiamo mai l’antica complessità dell’ambiente naturale (com­
plessità che scopriamo sempre meglio passo a passo che la distrug­
giamo!) perché la tecnica è semplificatrice. Rimane la questione di
sapere se tale complessità fosse necessaria alla vita umana. Ci torne­
remo. Non si tratta di un’imitazione, di una riproduzione dell’am­
biente naturale, ma di una vera e propria creazione di un nuovo am­
biente, sebbene in un gran numero di casi siamo obbligati a rimpiaz­
zare meccanismi naturali che si rivelano indispensabili: dobbiamo
così introdurre sempre più regolazioni esterne. Secondo una delle
leggi fondamentali dell’Ecologia si giunge alla stabilità attraverso
una complessità sempre crescente: complessità delle modificazioni e
degli scambi ambientali che permettono un adattamento diversifica­
to. Sostituendo un meccanismo naturale complesso con uno tecnico
semplice, si rende l’ecosistema «più vulnerabile e meno capace di
adattarsi». Quanto descritto, soluzione dell’ambiente tecnico (e si­
multaneamente condizione della sua espansione), vale per l’ambien­
te naturale come per quello sociale (sostituzione delle relazioni com­
plesse di una società tradizionale attraverso relazioni razionalizzate e
semplificate dalla burocrazia - nel senso tecnico e positivo del termi­
ne); questo ambiente presenta così caratteri legati all’efficacia della
tecnica ma temibili, almeno nella misura in cui non conosciamo esat­
tamente quali siano le complessità dell’ecosistema (ridotto al ruolo
di supporto) che sdamo distruggendo. Lo scopriremo dalle conse­
guenze della loro scomparsa. Questo ambiente è chiaramente del
tutto artificiale (con ciò non intendo muovere una critica: il naturale
non possiede per me un valore eminente e normativo). Ogni fattore
di questo ambiente è nato non da una creazione combinatoria di un
insieme vivente, ma da una somma di processi, tutti isolabili e com­
binati in modo tanto artificiale quanto sono stati creati - ogni fattore
può essere sottoposto a un controllo, a una misura, isolato dal resto
(dato che siamo noi a stabilire la connessione) e se ne può testare il
risultato. L’ambiente tecnico è caratterizzato dalla crescita dell’astra­
zione e dei controlli. Chiaramente a queste condizioni l’ambiente
tecnico è poco favorevole alla spontaneità, alla creatività, e non può
conoscere i ritmi vitali (essenzialmente legati all’ambiente naturale)10,
come vedremo oltre. L’artificialità implica essenzialmente che solo

10 Si veda J. Boli-Bennett, op. cit.

71
Che cos’è la tecnica?

artefatti possano fare parte di questo ambiente, e che l’uomo non


possa stabilirvi relazioni. Tutto ciò che non viene riconosciuto parte
di questo ambiente, apporta una discordanza, cosa assolutamente
intollerabile nelTambiente tecnico. Non si può pensare di mettere un
po' d’erba o qualche fiore nel motore di un’auto: è un’incongruità
(beninteso, fantasia affascinante, ecc., ma impossibile!). Senza pre­
tendere che l’ambiente tecnico sia l’equivalente di un motore, il pa­
ragone funziona - solo l’artefatto può entrarci perché fatto in modo
da adattarsi precisamente all’ambiente in questione. E fatto in modo
diverso da tutti gli elementi naturali: così lartificialità dell’ambiente
tecnico lo rende radicalmente esclusivo. Si insisterà ad esempio mol­
to (e alcuni, come J. Leclercq in La Kévolution de l’homme au xx
siede, lo faranno in modo trionfale) sul fatto che oggi lo statico sia
scomparso sostituito dal dinamico. La proprietà (il capitale) perde
importanza a favore del sapere, la materia prima assume un’impor­
tanza secondaria rispetto al Prodotto. L’accento deve essere messo
sull’azione e non sulla passività, così come l’isolamento dell’uomo,
causa di stagnazione, è rimpiazzato dalla relazione globale, il sociale,
il comunitario e i servizi pubblici. In realtà tutto ciò è il segno sociale
visibile del passaggio da un ambiente naturale a uno tecnico: era la
natura a imporci il proprio ritmo evolutivo, oggi è la tecnica. Era la
natura a determinare alcune strutture sociali (la famosa teoria dei
climi di Bodin e Montesquieu), oggi è la tecnica. Era la natura a for­
nirci le materie prime, oggi ci interessa il progresso dell’azione tecni­
ca. Era la natura a esigere che l’uomo stabilisse regole fisse di relazio­
ne tra sé e le cose (la proprietà), oggi gli oggetti, generati da un’atti­
vità tecnica continuamente rinnovatrice, non possiedono più molto
interesse: ciò che conta è il sapere che permette di inserirsi corretta-
mente e di essere al proprio posto nelTambiente tecnico.
L’ambiente tecnico ci porta da un lato a pensare che tutto diventi
un problema tecnico e allo stesso tempo, dalTaltro lato, chiudendosi
su se stesso, ci recinta in quello che da ambiente diventa sistema. Pri­
mo aspetto: abbiamo oggi una forma mentis, un certo modo di consi­
derare le situazioni, che ci porta spontaneamente a considerare ogni
questione, ogni situazione, come dipendente dalla tecnica. Siamo
smarriti quando non abbiamo una tecnica che ci aiuti ad affrontare
una faccenda amministrativa o psicologica. E necessario ridurre la
questione a termini tecnici, in modo da porre un problema realmen-

72
La tecnica come ambiente

te tecnico. Un esempio tipico (sebbene aneddotico): Mme P. Sartin


scrive un articolo su «Le Monde» (aprile 1973) intitolato Lo status
della donna nella società odierna: un problema tecnico. Il contenuto
dell'articolo non ci interessa, ma il titolo è estremamente significativo
per via deluso congiunto dei termini status e Tecnico. Lo status di
una persona in una società, situazione complessa, ambigua, legata
a variabili infinite, si trova bruscamente ricondotto a un problema
tecnico: modificate alcuni fattori studiando il problema della condi­
zione della donna con dei tecnici, e ne cambiate lo status - vale a dire
sia ['opinione che riguarda la donna sia quella che essa ha di se stessa,
la gerarchia sociale vissuta, la metafisica dell’amore e dell’opposi­
zione/complementarietà dei sessi, ecc. No, non sono solo fantasie:
esistono in effetti questioni tecniche, come il dilemma della donna
angelo del focolare o lavoratrice, la conoscenza psicologica messa in
pratica, ecc. Eppure lo status non si crea in modo tecnico! Ma Mme
Sartin, tipicamente, è convinta di sì. Potrei citare cento esempi del
genere che testimoniano fino a che punto crediamo di vivere in un
ambiente tecnico. D'altra parte è pur vero che più i fattori tecnici si
combinano, più i problemi che si pongono sono veramente tecnici.
C’è quindi effettivamente un incremento dei problemi tecnici che ci
porta a dedurre una tecnicità di tutti i problemi. Più andiamo avanti
e più aumenta la nostra vulnerabilità. Dipendiamo sempre più da
sistemi: siccome i meccanismi naturali tendono a essere irregolari,
bisogna sostituirli con meccanismi tecnici sostitutivi. Fino ad ora le
difficoltà incontrate sono state di ordine naturale, ma con i mecca­
nismi sostitutivi saranno tecniche: quando non potremo più avere
acqua potabile fornitaci dalla natura, l’approvvigionamento dipen­
derà da impianti di depurazione o dissalazione dell’acqua marina: a
queste condizioni un’eventuale mancanza d’acqua non sarà più una
questione di siccità ma di un guasto in uno stabilimento. L’esempio
può essere generalizzato. L’Ambiente Tecnico fa sì che i problemi e
le difficoltà siano di ordine tecnico. Ma non tutti per ora.
C’è infine, in questo ambiente, una tendenza a una vera chiusura.
Ciò mi sembra particolarmente importante per quanto riguarda il
linguaggio. Gli studi sul linguaggio tendono sempre più (e non solo
con lo strutturalismo) a ridurlo a un certo numero di strutture, di
funzioni e di meccanismi: si ha così l’impressione di comprendere
meglio questo strano e misterioso fenomeno. In realtà la linguistica

73
Che cos e la tecnica?

moderna porta avanti unoperazione di riduzione secondo la qua­


le il linguaggio potrà alla fine rientrare perfettamente nell'universo
tecnico, e sarà ridotto a funzione di comunicazione indispensabile
per la creazione del sistema. Il linguaggio perde il proprio mistero,
rincomprensibilità, la magia: non è più espressione di sogni - anzi
diviene, attraverso la decrittazione alla quale è sottoposto, il modo
per far rientrare anche sogni, ispirazioni, aspirazioni e deliri nell am­
biente tecnico. Oggi non ci si burla più degli innumerevoli linguaggi
ermetici che spuntano da ogni lato: Puso di parole strane (mettere a
punto un approccio prasseologico, ottimizzare le decisioni, esplorare
i campi qualitativi dell'azione, parametrare le possibilità del futuro,
ecc.) corrisponde in realtà al folle sforzo fatto per riuscire a circo­
scrivere attraverso il linguaggio il nuovo «Essere Tecnico». C’è molto
fariseismo intellettuale nel deridere lo sforzo di adeguamento del lin­
guaggio a questo ambiente. Ma questo tentativo è innocuo. In realtà
la vera aggressione sta nella tecnicizzazione del linguaggio, perché a
quel punto tutto sarebbe racchiuso all’interno dell’ambiente tecnico:
quando la parola è schiava, tutto è schiavo. E l’ultima scappatoia,
l’ultima messa in discussione, anche se ridotta a Grido. Il «Ciò» e il
«Si» che parlano implicano che il coperchio tecnico è caduto giù e
Funiverso si è chiuso. I linguisti moderni vi lavorano ardentemente.
Bisognerebbe approfondire la teoria di Todorov (Théories du
Symbole, 1977) secondo la quale la crisi romantica ha subito un to­
tale capovolgimento: di fronte alla concezione classica di identità,
di unità del mondo e del linguaggio, che porta a un comportamento
di imitazione (Mimesis)y si sviluppa Pimmagine di una diversità, di
un’incertezza (il dramma invece della tragedia), che mette in luce la
Differenza, con il tutto ridotto al concetto di produzione: come non
riconoscere l’espressione immaginifica, estetica e spirituale del pas­
saggio alla tecnica e all’indefinito della produzione tecnica?

74
Capitolo terzo
LA TECNICA
COME FATTORE DETERMINANTE1

I sociologi e gli storici di scuola moderna non credono più alla


causalità in sociologia e nella storia. È impossibile determinare una
causalità diretta e univoca. I fenomeni si determinano reciprocamente;
si possono stabilire correlazioni, analizzare sistemi, scomporre in fat­
tori un fenomeno, scoprire strutture differenziali, ma è impossibile
stabilire quale fatto ne provochi un altro. Uidea di fattore è gene­
ralmente accettata. Tuttavia i sociologi marxisti la rifiutano conside­
randola caratteristica dell’agnosticismo borghese. Essi ritengono che
(a condizione di mantenere le interazioni reciproche) sia necessario
mantenere, per un’analisi sociologica, lo schema secondo il quale esi­
stono fenomeni determinanti e determinati, che a loro volta possono
divenire determinanti.
Ritengo che il metodo migliore consista nel tenere conto delle due
posizioni. Da una parte, è vero che non si possa parlare di causalità
in sociologia. Contrariamente alle scienze esatte, non si può isolare
un fenomeno, esaminarlo allo stato puro, sperimentarlo e ripetere
l’esperienza con le stesse esatte condizioni. E tuttavia evidente che se
non si stabilisce un rapporto determinante-determinato, ci si limiterà
a descrizioni infinite e indefinite prive di alcun significato e quindi
di alcuna spiegazione del «Come» (senza neppure provare a cercare
una risposta al «Perché»). D’altra parte, procedendo secondo il me-

1 Corrisponde in modo piuttosto esatto a ciò che Habermas (Technik und Wis-
senschaft, cit.) chiama la «Preponderanza» in una società.

75
Che cos’è la tecnica?

todo marxista, si ha una «griglia» precedente ogni analisi: si sa già


qual è il determinante e quale il determinato. Lo schema esplicativo è
stato stabilito una volta per tutte (anche se lo si ammorbidisce, come
hanno fatto Plekhanov e Althusser). Non è perciò sicuro che si possa
tenere conto di nuove strutture, di relazioni diverse da quelle analiz­
zate da Marx. Credo quindi che si debba cercare simultaneamente di
considerare i fenomeni nella loro novità, singolarità, e di trovare tra
essi relazioni di determinazione conservando la nozione di fattore, la
sola accettabile.
Se considero un fenomeno sociologico relativo all’attuale società
occidentale, analizzandone la struttura il più precisamente possibile e
le relazioni con le altre, posso scoprire un gran numero di fattori de­
terminanti: se esamino ad esempio la formazione di bande giovanili,
devo considerare l’ambiente familiare, l’evoluzione morale, Fhabitat,
il consumo di beni e la pubblicità, le distrazioni, la precocità sessua­
le, ecc. Tutti questi fattori intervengono e creano il contesto generale
nel quale le bande giovanili si formano. E praticamente impossibile
affermare che tra di essi ve ne sia uno determinante, o anche isolarne
due o tre. E la loro combinazione a fornire, alla fine, una spiegazione
più o meno approssimativa. Esaminando un fenomeno sociologico
nella propria evoluzione, invece di considerarlo in un dato momento
come una realtà statica, posso, tra i fattori che ne costituiscono il
contesto, riconoscere quelli evolutisi in principio, dai quali è deri­
vato il cambiamento, e con prudenza potrei provare a stabilire una
correlazione tra due successivi cambiamenti. Mi avvicinerei così un
po' di più alla questione, tenendo conto del fatto che c’è sempre una
grande incertezza, poiché Fanalisi del contesto è difficilmente com­
pleta. Lo studio di un fenomeno in evoluzione può far apparire un
fattore che l’analisi statica non aveva rivelato.
Prendiamo ora in considerazione quello che si può chiamare un
«problema», cioè un fenomeno sociologico che per la sua evoluzione
provoca intense reazioni positive o negative negli individui, difficol­
tà di adattamento, angoscia. Questi problemi possono essere più o
meno ampi, relativamente individuali (l’automatizzazione di un’offi­
cina che provoca problemi tra gli operai) o globale (la burocratizza­
zione della società). Si capisce che i fattori determinanti sono meno
numerosi e relativamente più facili da isolare nel caso di un «proble­
ma» che in quello di un semplice fenomeno neutro. Introduciamo in

76
La tecnica come fattore determinante

effetti la dimensione del «come è vissuto il fenomeno», il che potreb­


be dare la sensazione di complicare le cose, dato che si considera un
nuovo ordine di fattori, non oggettivi. Al contrario ciò facilita, dato
che la conoscenza dell’opinione sembra essere relativamente sicura.
Per intervento del fattore «vissuto», gii altri fattori ricevono un certo
coefficiente di importanza che permette di classificarli.
Che cosa succede se invece di analizzare un fenomeno o un pro­
blema ne esaminassi diversi tutti relativi alla stessa società globale?
Appartenendo alla stessa società, sono necessariamente collegati gli
uni agli altri. Ovviamente ognuno di essi si inserisce in una certa co­
stellazione di fattori. Più mi accosto a un fenomeno, più mi accorgo
che alcuni fattori gli sono propri e non riguardano gli altri problemi.
Viceversa, alcuni fattori sono comuni a più fenomeni o problemi.
Va da sé che allargando la ricerca, cioè affrontando più fenomeni e
problemi di una data società globale, il numero di fattori comuni di­
minuisce. Bisogna quindi porsi la doppia domanda: i fattori comuni
sono determinanti in ogni caso? I fattori determinanti comuni non
sono talmente generali da perdere qualsiasi significato (si possono
ad esempio spiegare tutti i fenomeni sociologici attuali attraverso la
crescita demografica, ma sarebbe troppo generale)? Non rappresen­
tano solo... «cause lontane», di secondo o terzo grado, smarrendo
così il carattere esplicativo? Bisogna prestare molta attenzione alla
prossimità di relazione e procedere alla critica del fattore comune.
E estremamente rischioso voler ricondurre a un solo fattore deter­
minante i molteplici fenomeni o problemi di una società globale. E
la stessa difficoltà incontrata dai successori di Marx. E tuttavia pos­
sibile, tra un insieme di fattori ritenuti esplicativi, individuarne uno
più efficace, più impellente. Se nell’evoluzione di più fenomeni, nelle
componenti di più problemi ritroviamo lo stesso elemento, dobbia­
mo accettarlo (forse anche riconoscergli un coefficiente di importan­
za inizialmente non riscontrato) come determinante. Se il fattore in
questione ci permette da un lato di rendere conto di un gran numero
di fatti relativi alla società considerata e dall’altro di comprender­
ne le correlazioni e le strutture differenziali, bisogna riconoscerne
la posizione strategica e il ruolo eccezionale: ecco i due criteri che
permettono di valutare l’importanza di un fattore. In una società glo­
bale non è possibile limitarsi alla fissazione «puntiforme» di un gran
numero di fatti: bisogna cercare di spiegarne l’esistenza e disegnarne

77
Che cos’è la tecnica?

le relazioni. Un fattore che permette di rendere conto di un maggior


numero di fatti constatati, sarà necessariamente più importante, do­
vrà essere ritenuto più determinante di un altro che spiega un minor
numero di fatti. Lo stesso vale per un fattore che permette di spiega­
re un grande numero di relazioni. Ciò presuppone che si affrontino
i fatti sociali come fatti di relazione e che si cerchi di considerare il
maggior numero di relazioni possibili, cosa che non sempre avviene.
D'altra parte, c è sempre il rischio di «forzare» i fatti, come spesso si
può constatare presso i sociologi marxisti. A partire dal momento in
cui si ritiene di aver individuato un fattore determinante per un gran
numero di fatti e relazioni, si è tentati di non considerare più i fatti
contrari o quelli sui quali il fattore non agisce. Si è addirittura tentati
di modificare i fatti in modo da farli rientrare nello schema esplicati­
vo. La prima regola è quindi ammettere che il fatto, una volta defini­
to, non deve essere modificato tentando di stabilire una relazione tra
il fatto stesso e il fattore determinante ricavato da altri fenomeni.
Concluderò queste riflessioni metodologiche con un ultima os­
servazione. Se affrontiamo i maggiori problemi (dal punto di vista
sociologico) della società globale (occidentale-americana 1970), ci
accorgiamo che la maggior parte sono posti in tal modo da apparire
costituiti da dati contraddittori. E questa caratteristica, in realtà im­
barazzante, a permettere generalmente di sostenere nei loro confronti
posizioni contraddittorie. Nella società francese o americana ci sono
seri autori che affermano, per esempio, che vi sia una spoliticizzazio-
ne, e altri, altrettanto seri, che sostengono vi sia una politicizzazione
dei cittadini. In realtà il fatto è che il problema della relazione tra il
cittadino e il potere deve essere posta in termini di «politicizzazione-
spoliticizzazione»: non si tratta di un aut-aut, ma di un insieme di
fenomeni apparentemente contraddittori eppure correlativi. Altro
esempio: nella società occidentali alcuni sociologi parlano di «mor­
te delle ideologie», mentre altri affermano che l’ideologia sta acqui­
stando importanza e che tutto è fatto e vissuto attraverso l’ideologia.
Anche in questo caso il problema deve essere posto in quanto com­
plesso di «morte e crescita correlative delle ideologie». Più è globale
il problema considerato, più è importante il carattere contraddittorio
o ambivalente del fenomeno. Non si tratta di cercare cause multiple,
diverse e inverse a ciascun aspetto. Non si tratta di dire: da un lato
c è la spoliticizzazione riguardante tale settore e dovuta a tale causa,

78
La tecnica come fattore determinante

e dall’altro la politicizzazione riguardante tal altro settore e dovuta a


tali altre cause. Il frazionamento del fenomeno ne distrugge la specifi­
cità. L’importante è verificare se vi sia un fattore che determina la con­
traddizione interna al fenomeno. Se troviamo un fattore che spiega
due dati contrari di uno stesso fenomeno, molto probabilmente sarà
veramente determinante e allo stesso tempo salvaguarderemo l’unità,
la specificità e Inintelligibilità del fenomeno osservato.
Queste osservazioni erano necessarie. Applicando questo metodo
sono giunto alla conclusione che, all’interno dei fattori socio-politici
della società globale occidentale, il principale, se non il solo, fattore
determinante, è il sistema tecnico. Così formulato, ciò provoca su­
bito delle contraddizioni. Eppure l’evidenza di tale verità viene co­
munemente ammessa affermando che «la Ricerca2 è la giovinezza e il
futuro della società. Un paese che abbandona la Ricerca... è colpito
da una malattia mortale... Limitare la ricerca significa manifestare
che è il cervello stesso della società a essere malato... è la speranza di
sopravvivere che è stata colpita...» (Chombart de Lauwe): la ricerca,
quando riveste tale importanza, è quella che porta alla tecnica e non
alla semplice soddisfazione intellettuale. Questo genere di afferma­
zione ampiamente diffuso testimonia come la tecnica sia il fattore
determinante della nostra società. Esaminerò ora alcuni problemi
della nostra società a conferma di tale affermazione.
La dimostrazione sarebbe da considerarsi completa solo se inclu­
dessi tutti i maggiori problemi riscontrati nella società, ma la cosa è
chiaramente impossibile3.
* * *

2 Si tratta di ciò che viene chiamato generalmente «Ricerca e Sviluppo».


3 Lo studio pubblicato nel 1966 concorda in modo notevole con quello di R.
Aron, apparso in Les Désillusions du progrès, Calmann-Lévy, Paris 1969, in cui Aron
dimostra che il fattore determinante per lo sviluppo di situazioni contraddittorie
è il Fenomeno Tecnico: da un lato la formazione di nuove gerarchie, élitesy clas­
si dirigenti, e dall'altro l’ideologia dell’uguaglianza. Da un lato la socializzazione
della coscienza individuale (con il timore che l’individuo scompaia nella massa), e
dalTaltro l’ideologia dell’autonomia personale (con il timore che l’individuo perda
la propria identità nella solitudine). Si potrebbero apportare molti altri esempi de­
gli effetti contraddittori risultanti dalla tecnica, che Aron riconduce alla dialettica
dell’uguaglianza, della socializzazione e dell’universalità. Una delle opere più chiare
e rivelatrici sulla dominanza del fattore tecnico nei confronti di tutti gli altri, com­
preso quello economico, è quella di P. Ferraro, Progresso tecnico contro sviluppo
economico?, Feltrinelli, Milano 1964.

79
Che cos e la tecnica?

Il Problema della Statalizzazione: è sicuramente uno dei maggio­


ri e più caratteristici fenomeni della nostra società, ma presenta un
doppio aspetto apparentemente contraddittorio. Ci troviamo in pre­
senza da una parte della crescita dello Stato, e dall’altra della decre­
scita della funzione politica. La crescita dello Stato si scompone in
una crescita di funzione, organismo e concentrazione.
E facile vedere come le competenze e le funzioni di uno Stato mo­
derno aumentino senza interruzione. Non basta rifarsi alla formula
secondo la quale siamo passati dallo Stato gendarme del XIX secolo
allo Stato assistenziale del xx secolo. In effetti, da circa cinquantan­
ni, lo Stato ha assunto il controllo dell’istruzione, delTassistenza, del­
la vita economica, dei trasporti, della crescita tecnica, della ricerca
scientifica, dello sviluppo artistico, della sanità e della popolazione,
e si tende ora verso uno Stato con funzione di strutturazione socio­
logica (piani di sviluppo del territorio) e psicologica (relazioni pub­
bliche). Questo semplice elenco dimostra come lo Stato attuale non
abbia più nulla in comune con quello del xvm o del xtx secolo. Così
come è avvenuto per le funzioni e gli ambiti di intervento, anche l’or-
ganismo statale si è accresciuto. A essere interessante non è Televato
numero o l’importanza dei servizi, ma la complessità: ogni attività si
è specializzata, le connessioni tra le parti dell’organismo si sono fatte
via via più sottili, numerose e spesso ambigue. In questa molteplicità
di servizi, sempre più frammentati, bisogna creare nuovi servizi di
coordinamento. Si ha così una sorta di amministrazione di secondo
livello, incaricata di amministrare Famministrazione.
Simultaneamente si ha un movimento di centralizzazione facil­
mente prevedibile. Più il corpo è complesso, più è necessario col­
legarlo a una testa. Vi sono molte discussioni a proposito della cen­
tralizzazione. In realtà, tutti i tentativi di decentralizzazione sono
attuazioni di deconcentrazione che aumentano la centralizzazione.
Questi tre movimenti sono ancora più importanti se si considera che
non si verificano solo in paesi tradizionalmente centralizzati come la
Francia, ma anche in paesi tradizionalmente decentralizzatori come
gli Stati Uniti, dove c’è diffidenza nei confronti dello Stato. Dal 1936
si è assistito negli Stati Uniti all’aumento di competenze e alla cen­
tralizzazione dei poteri.
Di conseguenza sembrerebbe che la funzione collegata allo Sta­
to, quella politica, aumenti allo stesso tempo. Assistiamo invece alla

80
La tecnica come fattore determinante

diminuzione dell’importanza di questa funzione, nonostante alcuni


aspetti rimangano tradizionali. La decrescita è osservabile a due li­
velli: quello del cittadino e quello dell’uomo politico. Il cittadino, in
quanto individuo, è sempre meno in grado di formulare un’opinione
sui problemi reali ai quali uno Stato moderno deve far fronte. Ha
sempre minori possibilità di esprimere la propria opinione e agire
veramente sulla politica. Le elezioni, temporanea espressione di opi­
nione, e addirittura i referendum non hanno alcuna influenza sulla
macchina politica. Il cittadino deve essere inglobato in un corpo più
ampio - partito, sindacato, ecc. - che agirà come gruppo di pres­
sione: una rappresentanza di interessi più che d'opinione. In que­
sti gruppi Findividuo ha ben poco peso di fronte a opinion leader e
specialisti. Ancora più fondamentale è comprendere che l’individuo
non ha praticamente alcun mezzo di difesa o pressione nei confronti
di quello che è diventato di gran lunga l’aspetto di azione più im­
portante dello Stato: la funzione amministrativa in senso ampio. Il
cittadino non può nulla di fronte alla decisione amministrativa. Si
può dunque affermare che più aumenta l’importanza dello Stato, più
quella del cittadino (titolare teorico della sovranità politica) diminu­
isce. E significativo il fatto che anche l’uomo politico tradizionale,
il deputato, il senatore, addirittura il ministro, hanno sempre meno
potere reale. Le moderne analisi dei processi decisionali dimostrano
che, da un lato, lo spazio dell’uomo politico è molto ridotto in questi
processi, e dall altro lato che il «luogo della decisione» reale spesso
non è l’ufficio del ministro o F Assemblea Nazionale. La famosa di­
stinzione tra i «grandi orientamenti» e le «decisioni ordinarie o la
messa in opera», secondo la quale le prime sarebbero affidate alla
politica e all’uomo politico, le seconde rimesse agli amministratori,
è una leggenda. L’uomo politico ha sempre meno autonomia per il
semplice fatto che oggi, quando deve prendere una decisione, questa
è molto più condizionata dalle scelte precedenti di quanto lo fos­
se in passato (nel 1900, ad esempio, era piuttosto facile rovesciare
un’alleanza. Nel 1960 era praticamente impossibile sconvolgere un
piano economico in corso di attuazione, e il piano successivo era
necessariamente condizionato da quello precedente: il margine di
decisione politica è in realtà estremamente ridotto). Non insisterò
sulla mancanza di competenza dell’uomo politico: è un argomento
troppo facile. Ma l’enormità, la complessità delle questioni fanno

81
Che cos’è la tecnica?

sì che luomo politico dipenda strettamente dagli esperti che pre­


parano i dossier. Una volta che la decisione presa è stata presentata
dal politico, essa non gli appartiene più: sono gli uffici a metterla in
opera, e oggi sappiamo che tutto dipende dalla messa in opera. Luo-
mo politico riveste un ruolo di facciata e assume la responsabilità di
qualcosa che conosce solo molto superficialmente'1.
Da che cosa deriva questo doppio fenomeno? Credo che la causa
del sistema sia la crescita tecnica. Se lo Stato aumenta le proprie com­
petenze non è il risultato di una dottrina (ad esempio l’interventismo
socialista), ma di una sorta di necessità derivante dalla tecnica. Tutti
gli aspetti della vita si fanno più tecnicizzati e man mano le azioni
diventano più complesse, si compenetrano (a causa dell'estrema spe­
cializzazione) e sono più efficaci. Ciò vuol dire che i loro effetti sono
più ampi, la loro realizzazione implica la costruzione di apparecchia­
ture più costose e la mobilitazione di tutte le forze. La program­
mazione diventa necessaria in tutte le attività tecnicizzate. Questa
deve possedere un quadro nazionale, o addirittura internazionale.
Pertanto solo l’organismo statale è adatto a portare a termine tale
coordinazione e tale programmazione, così come è il solo capace di
mobilitare tutte le risorse di una nazione per F applicazione di una o
più tecniche, e ancora l'unico in grado di prevedere e farsi carico de­
gli effetti a lungo termine della tecnica. Potremmo condurre questo
studio in dettaglio e apportare innumerevoli esempi a dimostrazione
del fatto che, nella società moderna, è sempre la tecnica a causare
l'aumento delle competenze dello Stato.
Per quanto riguarda la crescita dell’organismo statale, si potrebbe
essere tentati di vedervi una semplice conseguenza dell’aumento di
complessità, e affermare: «Più numerose sono le cose di cui lo Stato
deve occuparsi, più servizi devono essere creati e più funzionari es­
sere nominati». Ovviamente questo è un aspetto del problema, ma
solo uno. Esiste anche un'influenza diretta della tecnica sulla crescita
e la complessità dell’organismo statale. E già possibile notare una
influenza le cui conseguenze sono ancora sconosciute: l’applicazione
di macchine elettroniche di ogni tipo nel lavoro di ufficio. Ciò im-

4 Sebbene gli studi recenti abbiano messo in dubbio la crescita del potere dello
Stato centrale, disperso a vantaggio dei poteri periferici. Si veda ad esempio P. Gré-
mion, Le Pouvoir périphérique, Editions du Seuil , Paris 1976.

82
La tecnica come fattore determinante

plica una trasformazione delle strutture burocratiche, e quindi una


nuova analisi dei compiti, da cui deriva una nuova analisi giuridica
delle funzioni amministrative. Ma a cambiare ancor più 1 organismo
statale è l’applicazione delle tecniche di organizzazione. Ci troviamo
in presenza di un imperativo di efficacia legato chiaramente alFau-
mento delle funzioni. Non si può più lavorare con una burocrazia
paragonabile a quella derisa da Courteline. Nasce una nuova bu­
rocrazia, più rigorosa, più precisa ma anche meno «pittoresca» e
umana. I due fenomeni vanno di pari passo, e se c’è ad esempio uno
sforzo di deconcentrazione, non è per ragioni ideologiche o umani­
stiche, ma per raggiungere il massimo dell’efficacia da parte di un
certo organismo amministrativo.
Dazione della tecnica svaluta così reciprocamente Fazione politi­
ca, il ruolo del cittadino e dell’uomo politico. Il cittadino è alle prese
con problemi per lo più tecnici, perché ciò su cui lo Stato si trova a
decidere è generalmente di ordine tecnico (e sempre più raramente
di ordine puramente «politico»), e non può nemmeno decidere dei
grandi orientamenti di un piano economico, dato che tali orienta­
menti dipendono in realtà da dati stabiliti da tecnici, si collocano
in una «forbice» fissata dal tecnico e comportano conseguenze che
il cittadino non è in grado di valutare. Oltre a ciò, un altro ordine
di tecniche trasforma la condizione, la partecipazione eventuale del
cittadino: si tratta delle tecniche di informazione e di orientamento
psicologico. Ho già dimostrato altrove5 che uno Stato moderno, per
quanto democratico, non può più assolutamente fare a meno di una
certa azione psicologica volta a «creare un’opinione», e che il citta­
dino, immerso in un mare di informazioni, desidera che i problemi
gli vengano semplificati, chiariti, spiegati, cioè che venga realizzata
una sorta di propaganda nei suoi confronti in modo che gli venga
facilitata la scelta politica. Alcuni psicologi tendono ad affermare
che l’unico compito del cittadino è quello di scegliere «una squa­
dra direttiva» (in funzione delle simpatie, delle qualità umane, e non
dell’ideologia). Ciò conduce alla perdita di valore del ruolo dell’uo­
mo politico. Anche questa svalutazione deriva dalla tecnicizzazio-
ne della società. Nella molteplicità dei servizi l’uomo politico non
può esercitare alcun controllo. Dipende totalmente da tre soggetti:

5 J. Ellul, Propagandes, Armand Colin, Paris 1962.

83
Che cos’è la tecnica?

l’esperto, il tecnico, l’amministratore (anch’egli tecnico dell’organiz­


zazione e delTesecuzione). Solo essi possiedono le conoscenze e i
mezzi per agire. Per l’uomo politico esiste una soluzione: smettere
di essere uomo politico nel vecchio senso del termine, specializzarsi
in modo estremamente preciso in un ambito, e diventare tecnico di
tale ambito (tenendo conto che oggi non è più possibile essere un
tecnico dell’Economia, ma solo di un suo piccolo ambito). Ciò im­
plica la nascita di una tecnocrazia? Assolutamente non nel senso del
potere politico esercitato direttamente da tecnici, né di una volontà
da parte dei tecnici di esercitare il potere. Il secondo aspetto è pra­
ticamente irrilevante: ci sono pochissimi tecnici interessati all’eserci­
zio del potere politico. Il primo, invece, si situa ancora in un’analisi
tradizionale dello Stato: si immagina un tecnico seduto alla poltrona
di un ministro. Ma sotto l’influenza della tecnica è lo Stato intero a
venire modificato: si può dire che presto non avrà più (o avrà sempre
meno) potere politico (con tutto il contenuto di ideologia, autorità,
potere dell’uomo sull’uomo, ecc.). Sorge invece uno Stato Tecnico,
tutt’altra cosa rispetto alla tecnocrazia, uno Stato che ha soprattutto
funzioni tecniche, un'organizzazione tecnica e un sistema di decisio­
ni razionalizzato.
Questo è il primo esempio, sommariamente analizzato, della si­
tuazione della Tecnica in quanto fattore determinante.

Jc * *

Il secondo esempio deriva da tutt’altro ambito. Si tratta del feno­


meno della crescita demografica legata all’aumento della produzio­
ne. E difficile attribuire una «causa» alla crescita demografica, dato
che, come gli storici sanno, in alcuni periodi si produce un brusco
aumento della popolazione senza che sia possibile affermare che ci
siano state delle cause precise. In particolare non si può rispondere
alla seguente domanda: la crescita demografica è causa o conseguen­
za della crescita economica? Entrambe le possibilità possono essere
sostenute. E probabile che i due fenomeni si generino a vicenda.
Eppure oggi il fattore determinante delTaumento di produzione è
indiscutibilmente lo sviluppo tecnico. Non dovrebbero esserci molte
contestazioni su questo punto. Con minore evidenza, sembra però
che la Tecnica abbia ampiamente contribuito, in campi diversi, an-

84
La tecnica come fattore determinante

che airaumento della popolazione. Le tecniche mediche, igieniche,


di bonifica, il miglioramento della qualità della vita e la creazione di
stili di vita più adeguati si coniugano per permettere, se non causare,
una crescita demografica. La Tecnica elimina i vecchi meccanismi di
regolazione (mortalità infantile, carestia, ecc.). Non si può più cre­
dere a ciò che, ventanni fa, sembrava una realtà scontata, cioè che
l’innalzamento della qualità della vita e la ricchezza dell’alimenta­
zione avrebbero automaticamente portato al calo del numero delle
nascite. Il nuovo slancio demografico degli Stati Uniti contraddice
tutto ciò. Sicuramente, partendo da un livello di vita piuttosto basso,
il miglioramento della possibilità di consumo produce un'impennata
nelle nascite. Senza forzare le cose, sembra si possa affermare che la
tecnica, pur non essendo il fattore determinante, è un fattore deter­
minante prioritario considerando i due fenomeni congiunti. Sarebbe
allora legittimo pensare che se per i due fenomeni esistono una con­
giunzione e un fattore determinante prioritario, la crescita avvenga
in modo armonioso.
In altre parole, le tecniche di produzione permettono un con­
sumo di beni corrispondente alla crescita demografica. Forse la
corrispondenza non è precisa, forse, in alcuni casi, la curva della
popolazione tenderà a superare quella della produzione - o vicever­
sa. Ci saranno forse anche differenze di produzione, un ventaglio
sempre più ampio di oggetti prodotti, che farà sì che non tutti i bi­
sogni delTaccresciuta popolazione vengano esattamente soddisfatti.
NelFinsieme, tuttavia, le differenze dovrebbero compensarsi e si do­
vrebbe verificare un'espansione equilibrata. In realtà non è quanto
constatiamo. Al contrario vediamo come non ci sia un adattamento
dell’aumento di produzione alle necessità di consumo di una popo­
lazione accresciuta. Sembrerebbe addirittura che si possa parlare
di una divergenza crescente delle curve - cioè che la popolazione
aumenti, in cifre assolute, un po' più rapidamente nelle regioni in
cui la produzione rimane praticamente stagnante (appena miglio­
rata per permettere l’impennata di nascite). Viceversa il consumo
aumenta notevolmente nei paesi a limitata crescita demografica. Lo
scarto tra bave e bave not aumenta costantemente a causa di questo
doppio movimento.
Prenderò qui in considerazione proprio il problema costituito da
questo scarto crescente. Fino ad ora ci siamo imbattuti in diagnosi e

85
Che cos’è la tecnica?

terapie chiaramente semplicistiche. Alcuni, partendo dal presuppo­


sto che per vivere sono necessarie 3.200 calorie e che un occidentale
ne consuma 3.800-4.000, suggeriscono di limitare il consumo e di dare
il surplus ai paesi poveri. Si può migliorare notevolmente la questio­
ne della malnutrizione procedendo a una ripartizione più equa delle
ricchezze. Da un punto di vista morale, sarebbe un lodevole atto di
giustizia, ma la ripartizione del surplus agricolo, seppur legittima,
non è la soluzione, primo perché il surplus alimentare dei popoli ric­
chi poco aiuterebbe gli altri, e secondo perché questi rimarrebbero
in uno stato di assistiti. Non è possibile affermare che si tratti sem­
plicemente di un problema di ridistribuzione e che l’ostacolo risieda
nell’egoismo nazionale o nella mancanza di generosità. Più seria è la
posizione di quanti affermano che i popoli tecnicamente sovradotati
mal orientano le proprie possibilità di produzione producendo beni
superflui e inutili a danno della produzione di base. Se si lanciasse la
potenza produttiva americana e occidentale verso una produzione di
beni di consumo di prima necessità, alimentazione, abbigliamento,
utensili di base, si potrebbe sicuramente, e per un periodo piutto­
sto lungo, rispondere alla domanda di una popolazione mondiale in
aumento. Invece la produzione si sviluppa molto più rapidamente
nel campo dei magnetofoni o dei rasoi elettrici. Il problema sarebbe
quindi un cattivo orientamento dell’uso della potenza tecnica, che
non tiene conto dei reali bisogni mondiali. Ciò viene maggiormen­
te accentuato dal fatto che una parte sempre maggiore della mano­
dopera viene assegnata a compiti improduttivi. Non bisognerebbe
tendere a una diminuzione del tempo di lavoro o a una crescita del
settore terziario, ma alf applicazione di tutta la forza lavoro alla pro­
duzione di base per far fronte alla crescita demografica. Questa tesi,
diffusamente sostenuta, ha tutte le apparenze di un’analisi ragione­
vole. Sfortunatamente, però, ritengo poggi su un presupposto discu­
tibile e su una mancanza di visione globale della società tecnica. Il
presupposto consiste nel credere che vi sia una totale fluidità di adat­
tamento delle forze di produzione e delle possibilità tecniche: «basta
decidere» di produrre più grano, più carne, ecc., e se ciò non avviene
è per cattiva volontà, per via della struttura capitalista dell’economia,
in cui si rivolge maggiore interesse ai rami di produzione che assicu­
rano un profitto più elevato. Ritengo che ciò sia inesatto e che tale
presupposto si basi su un errore di analisi. C’è una rigidità piuttosto

86
La tecnica come fattore determinante

elevata nell'orientamento del progresso tecnico e nelle sue possibilità


di applicazione.
Il primo fatto di cui bisogna tener conto (ben noto e mai discus­
so) è che il progresso tecnico non può realizzarsi ovunque contem­
poraneamente. Esistono aspetti privilegiati dal progresso tecnico
che, come vedremo più avanti, riguardano essenzialmente i progressi
tecnici precedentemente realizzati, dato che la velocità della crescita
tecnica tende ad avvenire secondo una progressione geometrica. In
questo senso, non possiamo aspettarci di provocare, partendo dal
nulla, un balzo tecnico nei paesi sottosviluppati. Per quanto le tappe
possano essere abbreviate, bisogna riconoscere che i duecento anni
di progresso tecnico del mondo occidentale non possono ridursi a
cinque o dieci anni in Africa o in Asia! Così r aiuto autonomo che ci
si può aspettare da questi paesi per risolvere il problema «Popola­
zione-Consumo» sarà lento e debole. Bisogna sicuramente aspettar­
si molto dai paesi a elevato sviluppo tecnico. Ma ecco il problema:
si può semplicemente applicare la potenza tecnica a questo tipo di
consumo? Non si tiene conto del fatto che, dove si produce forte
sviluppo tecnico nasce un nuovo universo. Uipotesi comunemente
ammessa è che ci troviamo in presenza di una società tradizionale
dotata di una straordinaria potenza di produzione e di un uomo sem­
pre uguale, solo consumatore privilegiato. Se così fosse, si potrebbe
dire all’uomo di ridurre i propri consumi e alla società di produrre
solo il necessario per tutti. Sfortunatamente si tratta di un ipotesi
errata. Il massiccio sviluppo della tecnica causa un certo numero di
trasformazioni nell’individuo (in particolare per quanto riguarda la
creazione di bisogni tutt’altro che falsi o artificiali) e nella società,
incapace di conservare le stesse strutture. Consideriamo due fatti:
l’uomo può vivere e lavorare in una società tecnica solo se riceve un
dato numero di soddisfazioni complementari che gli permettano di
superare gli inconvenienti. I divertimenti, le distrazioni, la loro orga­
nizzazione, non sono un superfluo facilmente eliminabile a vantaggio
di qualcosa di più utile, non rappresentano un reale innalzamento del
livello di vita: sono strettamente necessari per compensare la man­
canza di interesse del lavoro, la tendenza a sottrarsi alTinfluenza del­
la cultura tradizionale provocata dalla specializzazione, la tensione
nervosa dovuta all’eccessiva velocità di tutte le operazioni, Taccele-
razione del progresso che richiede difficili adattamenti: tutto ciò che

87
Che cos’è la tecnica?

lo sviluppo tecnico provoca può essere tollerato solo se l’uomo trova


compensazioni a un altro livello. Allo stesso modo il cambiamento
nell’alimentazione, l’aumento di consumo di azotati e glucosio non è
un sovraccarico dovuto alla gola, ma una risposta compensatoria al
dispendio nervoso causato dalla vita tecnicizzata.
Non si può chiedere a un uomo immerso nelle attività tecniche e
nell’ambiente urbano di nutrirsi in modo uniforme e di essere per lo
più vegetariano: non può farlo fisiologicamente. I gadget sono indi­
spensabili per tollerare una società sempre più impersonale, i rime­
di sono necessari agli adattamenti, ecc. L’orientamento del potere
produttivo verso prodotti considerati di lusso o superflui deriva più
da necessità fortemente avvertite dall’uomo che vive nell’ambiente
tecnicizzato che da un desiderio capitalista di profitto o da un in­
sieme di bisogni anormali. Se questi bisogni non fossero soddisfatti,
l’uomo non potrebbe vivere. Si ha l’impressione che, aumentando la
produzione e la tecnicizzazione, i bisogni si accrescano in numero e
qualità. La potenza produttiva è quindi sempre più indirizzata alla
soddisfazione di questi bisogni. Se non riuscisse nell’intento, signifi­
cherebbe solo che è bloccata da una sorta di impossibilità umana ad
adattarsi a questo genere di vita: in ogni caso, la potenza produttiva
non potrebbe essere applicata a qualcosa di più utile. Credo ci sareb­
be addirittura il rischio di regressione. Le produzioni inutili sono de­
terminate da motivi di cupidigia capitalista solo in minima parte. In
urss, con l’avanzare dell’industrializzazione e della tecnicizzazione,
appaiono le stesse produzioni rispondenti allo stesso atteggiamento
nei confronti della vita. Non si è liberi di decidere in favore di una
data produzione utile, e più la produzione aumenta, più si cresce
nei propri aspetti secondari, ma i bisogni ai quali risponde sono fu­
tili solo in apparenza. In realtà essi sono incoercibili giacché creati
dalTambiente artificiale nel quale l’uomo è obbligato a vivere. Più
l’universo tecnico si esprime attraverso rumori intensi e continui, più
aumenta il bisogno di silenzio, più è necessario applicare la ricerca
e stanziamenti alla creazione del silenzio. Lo stesso vale per l inqui-
namento dell’aria o dell’acqua. In questo caso ci troviamo davanti a
problemi che non possono essere risolti semplicemente attraverso
nuove produzioni, ma con servizi e organizzazioni.
Arriviamo così al secondo aspetto da prendere in considerazione.
Come è noto, lo sviluppo tecnico implica la crescita del «settore ter-

88
La tecnica come fattore determinante

ziario». Ciò appare come una deviazione di forze verso settori non
immediatamente utili, ad esempio, per l’umanità. Non si potrebbe,
anche in questo caso (come talvolta viene proposto), diminuire i ser­
vizi nelle società avanzate e applicare tutte le forze alla produzione
utile? Anche questa opzione è impossibile. Perché una società per
svilupparsi richiede la creazione di tutto un insieme di organizza­
zioni che permettano lo sviluppo delle tecniche. E impossibile «in­
collare» semplicemente una certa potenza tecnica su una società
«naturale». Perché vi sia crescita delle tecniche di produzione, sono
necessarie reti di trasporti (i viveri spediti in India da diverse nazioni
giungono con molte difficoltà nelle zone colpite da carestia a causa
della mancanza di trasporti; l’eccellente raccolta del 1968 è parzial­
mente andata perduta per questa ragione), di servizi organizzativi,
di sistemi di distribuzione ecc. Più il meccanismo di produzione è
ampio e perfezionato, più i servizi organizzativi diventano complessi
e numerosi. Sembrerebbe così che le risorse della società vengano
utilizzate in settori non produttivi, ma in realtà i settori produttivi
possono svilupparsi e perfezionarsi solo grazie alle e sulle fondamen­
ta di tali organizzazioni, servizi, uffici che rappresentano una pura
spesa, non sono redditizi, ma senza i quali nulla potrebbe funziona­
re. La diffusa creazione di servizi psicologici e lo studio dei problemi
lavorativi sotto questo aspetto potrebbero sembrare assurdi; in real­
tà l’operaio non sarebbe più un produttorlee adattato alla propria
nuova apparecchiatura tecnica se non fosse inquadrato e sostenuto
da tali servizi. Saremmo addirittura tentati di affermare che oggi,
in una società tecnica, ogni progresso nel campo della produzione
(industriale o agricola industrializzata) può avvenire solo se vi è in­
nanzitutto un'enorme organizzazione, di tipo amministrativo attivo,
che permette tale progresso e lo integra nell’insieme senza traumi.
Vorrei qui sostenere la doppia conseguenza derivante dalla ben nota
constatazione della crescita del settore terziario. Prima conseguenza:
l’interpretazione marxista definisce infrastruttura le forze produtti­
ve, e tutto il resto (Stato, diritto, ecc.) sovrastruttura. Credo che nella
società tecnica le forze produttive non siano più infrastruttura, ma
sovrastruttura. Vale a dire che non possono svilupparsi, fare nuovi
progressi a meno che ci sia un’infrastruttura sociale organizzativa in
grado di effettuare le ricerche indispensabili a tale progresso e di ac­
cogliere tale progresso nel corpo sociale. Il meccanismo di produzio-

89
Che cos’è la tecnica?

ne è ormai condizionato dai servizi. Non è più il cuore dell’universo


tecnico, il fattore determinante.
Seconda conseguenza: si potrebbe menzionare, con molte pre­
cauzioni, un nuovo aspetto della legge dei rendimenti decrescenti.
Come noto, questa legge, attualmente ritenuta inesatta, è stata formu­
lata per la produzione agricola. Ritengo tuttavia che oggi possa essere
applicata alla produzione industriale. Diciamo schematicamente che
all’inizio dell’applicazione della tecnica alla produzione industriale la
crescita avviene in ragione del progresso tecnico. Più la produzione
aumenta, più presuppone un inquadramento di molteplici servizi. I
progressi tecnici si spandono allora su insiemi più complessi e ampi
e solo una parte di tale progresso può essere applicato direttamente
alla produzione. Più si va avanti, più la parte applicata alla produzio­
ne diminuisce in modo proporzionale all’insieme dei progressi tec­
nici. In altre parole, per ottenere un nuovo aumento dei beni utili, è
necessaria una quantità sempre maggiore di forze tecniche applicate
a settori non direttamente utili. Pertanto la crescita di produzione di
beni utili tende a essere sempre più debole all’interno di un sistema
tecnico in costante avanzamento. La nozione di rendimento utile de­
crescente vale solo a due condizioni: se si considera la produzione
globale da una parte, e dall’altra si prende come settore di studi un
paese tecnicamente molto sviluppato. Il fenomeno può essere os­
servato a partire da una soglia di produzione già molto elevata. Ma
eravamo partiti dall’idea che per il momento dovessero essere i paesi
tecnicizzati a garantire la vita degli altri. Non sembra quindi che ciò
sia realizzabile. Non si può affermare insomma che ci sia da fare una
scelta tra la produzione di grano e quella di gadget. A prima vista
sembra evidente, ma tale evidenza si basa su un errore di analisi di
ciò che la società tecnica in realtà è. Si pensa normalmente che una
società naturale (ad esempio quella africana o quella europea me­
dievale), una industriale (ad esempio quella europea del XVIII e dei
primi del xix secolo) e una'tecnica siano soggette agli stessi criteri
di giudizio, abbiano strutture paragonabili e lo stesso processo di
sviluppo. Si pensa anche che in questi diversi tipi di società i bisogni
dell’uomo siano rimasti identici. Non è così. Un’analisi strutturale
delle società rivela differenze che non sono più solo di ordine quanti­
tativo, ma qualitativo, tanto che non c’è quasi più paragone possibile
tra i tre tipi di società. I concetti applicabili a una non lo sono all’al-

90
La tecnica come fattore determinante *

tra. Non c’è una misura comune. Ciò spiega ad esempio il fallimento
del «balzo industriale» cinese basato sugli altiforni dei villaggi. Le
differenze di natura tra i tipi sociali sono determinate dalla comples­
sità crescente del fenomeno tecnico, che bisogna considerare come
un tutto, e non come pezzi scollegati utilizzabili indipendentemente.
Al di là di un certo livello di tecnicizzazione, si passa da una società
determinata da fattori naturali a una determinata da fattori tecnici,
in cui nasce una mutazione della struttura della società, dei bisogni e
degli atteggiamenti dell’uomo. E dunque impossibile ragionare sen­
za tener conto di tale mutazione, come avviene quando si pretende di
risolvere il problema della sopravvivenza del surplus di popolazione
applicando la forza di produzione della tecnica moderna. La corri­
spondenza è in realtà impossibile: non c’è parallelismo tra crescita
demografica e crescita di produttività di beni utili per la sopravvi­
venza. Il problema è posto dalla specificità della crescita tecnica. La
tecnica appare come fattore determinante, non solo nei confronti dei
due termini considerati separatamente, ma nei confronti del proble­
ma stesso, nella sua formulazione e in quanto problema nato da una
contraddizione. Non voglio con ciò dire che l’aiuto ai paesi sottosvi­
luppati sia impossibile, ma deve essere impostato in modo diverso da
come viene fatto dalla politica.
•k * k

Ho scelto come esempi, in modo per nulla arbitrario, due dei fe­
nomeni sociologici più consistenti e di considerevole ampiezza del
nostro tempo. Abbiamo constatato che questi fenomeni sono segnati,
nella struttura interna, da un insieme di contraddizioni fondamentali,
apparentemente difficili da spiegare. In entrambi i casi esiste tuttavia
un fattore che sembra giocare un ruolo importante sia nello sviluppo
del fatto stesso sia nella determinazione delle contraddizioni che lo
caratterizzano. Abbiamo individuato tale fattore nello sviluppo tecni­
co, nei diversi settori di applicazione della tecnica. Chiaramente per
ogni fenomeno preso in esame ci sono altri elementi costitutivi, pro­
babilmente importanti, per ciascuno di essi, quanto la tecnica. Questi
elementi però non sembrano in alcun caso in grado di spiegare le
contraddizioni del sistema. E soprattutto non ritroviamo gli stessi ele­
menti nei vari sistemi, mentre in tutti troviamo il fattore tecnico.

91
Che cos’è la tecnica?

Ci sembra quindi che questo possa essere individuato come fat­


tore determinante, anche se un’analisi non significativa e non dif­
ferenziale di un dato fenomeno sociologico (un'analisi quantitativa,
ad esempio) non ci permette di indicare nella tecnica il fattore più
importante.

k k k

Sapendo quanto sia stata criticata la teoria del fattore determinan­


te6, ritengo necessario precisare ciò che intendo con essa. Viene spes­
so rimproverato a questa teoria di isolare artificialmente i fattori per
poi privilegiarne uno. Non si tratta di dichiarare che ci sia una causa,
ma che tra gli innumerevoli fattori in gioco in una società, uno, in un
determinato momento, risulta più determinante degli altri. II fattore
stesso ha molteplici origini socio-intellettuali, ideologiche, politiche,
ecc. Tutte le critiche di Hamon dimostrano solo che il fattore tecnico
non è indipendente dalT«episteme», dall’economia, ecc., e non che
esso non sia, in definitiva, il fattore che determina tutto il resto (dato
che anch’esso è stato determinato), poiché ciò che lo determina, in
qualche modo, lo mette in rilievo facendone un fattore determinante.
Bisogna inoltre evitare di generalizzare: non dico assolutamente che
la tecnica sia stata, sempre e in tutte le società, fattore determinante
(esattamente ciò che rimprovero a Marx), ma che lo sia nel mondo
occidentale (e da vent’anni si può generalizzare). Le critiche proven­
gono per la maggior parte da autori che non percepiscono il nuo­
vo carattere della nostra società, per cui P esperienza storica relativa
all’esistenza o all’irrealtà del fattore determinante attuale è incalcola­
bile. Più vicino alla realtà è parlare di fattore determinate quando esso
evoca un fatto, una situazione, non lo crea ma gli dà forma, lo mette
in rilievo, sotto la luce dei riflettori dell’attenzione umana (mentre il
fattore determinante rimane in ombra!), e lo integra con altri fattori
sociali: un tale lavoro di catalisi si discosta notevolmente dalla crea­
zione ex nihilo. In questi termini, la teoria del fattore determinate mi
sembra esatta, e nel nostro tempo tale fattore è la tecnica.
Bisogna ancora chiedersi che cosa tale fattore determini. Si sa­
rebbe tentati di stilare un elenco. Se la tecnica costituisce veramente

6 Si veda L. Hamon, Acteurs et données de l’Histoirey I, cit.

92
La tecnica come fattore determinante

un ambiente, si potrebbe essere tentati di rispondere «Tutto». Non


è così - sarebbe come commettere l ingenuo errore di Toffler, per il
quale stiamo entrando in un’era di cambiamento totale e di costante
rinnovamento. Si potrebbe provare a stilare una sorta di inventario,
come ha fatto B. Cazes nella sua eccellente sintesi7, nella quale man­
tiene costanti, «certezze strutturali» (de Jouvenel). Cazes considera,
ad esempio, l’avanzamento scientifico, la funzione politica e le leggi di
sviluppo dell’essere umano necessità permanenti che non subiscono
mutazioni. Tuttavia, se ricordiamo la definizione di fattore determina­
te che ho dato, direi che la tecnica conferisce attualmente una forma
diversa sia al progresso scientifico sia alla funzione politica, e procede
a nuove integrazioni delle due costanti. Cazes insiste sull’effetto de­
strutturante della tecnica in rapporto a tutte le realtà sociali, morali e
umane in genere, le strutture acquisite, le compartimentazioni intel­
lettuali, i ruoli sociali, ecc. Quando la contestazione dei ruoli arriva
a rifiutare la separazione dei ruoli maschio/femmina, giovani/adulti,
specialisti/non specialisti, insegnanti/discenti, pazzi/sani, ecc., credo
si possa dire che la tecnica, col proprio effetto destrutturante, rivesta
il ruolo di fattore determinante. Ma non si deve neppure ricondurre
tutto a essa, e bisogna, come fa Cazes, distinguere attentamente le
vere mutazioni da quelle false o apparenti.
k k k

Possiamo dimostrare fino a che punto la tecnica sia un fattore


determinante grazie a un metodo molto meno complesso. La tecnica
è causa di un numero di conseguenze sulle quali sostenitori e oppo­
sitori concordano. Gli uni citeranno tali fatti a prova dell’eccellenza
della tecnica, gli altri a prova del pericolo. Si tratta solo della sfuma­
tura, perché in fondo si concorda, e l’insieme di conseguenze non
contestate è piuttosto impressionate. E quasi impossibile elencarle.
Se ne può solo dare una minima idea - sottolineando che non si
tratta di un ritorno al metodo delle «autorità»: non sono qui in que­
stione delle opinioni, ma semplicemente fatti sui quali c’è accordo.
NelFinsieme, la tecnica è considerata modificare in modo radicale
i rapporti interumani, così come gli schemi ideologici o le qualità

7 B. Cazes, Vraies et fausses mulations, «Contrepoint», 1971.

93
Che cos’è la tecnica?

dell’uomo stesso. Senza dover risalire fino a Whyte e L’Homme de


l’organisation, che molti ritengono troppo di parte, è nota la sintesi
in cui Friedmann (Sept essais sur l’Homme et la Tecbnique) dimostra
fino a che punto l’uomo sia trasformato addirittura nella propria fi­
siologia per il fatto di vivere in un ambiente tecnico. L’argomento è
ripreso in La Puissattce et la sagesse (1970) a livello di malattia men­
tale, ricordando le conseguenze messe in luce da un certo numero
di psichiatri su questo problema: aumento delle psicosi, degli stati
depressivi, delle angosce e delle inadattabilità. Sembra che si sia or­
mai d’accordo nel considerare che gran parte di tali fenomeni siano
provocati dall’esistenza imposta all’uomo nell’ambiente tecnico.
Ci si allaccia a quello che Reich8 chiama Coscienza il. Il suo ri­
tratto dell’uomo integrato nel sistema tecnico può essere accettato
abbastanza facilmente poiché ciò che egli critica è l’uomo di ieri,
quello che possiamo definire del «capitalismo industriale». Il ritratto
classico, banale, grossolano assomiglia a quanto detto sulla psicolo­
gia e i valori di tale uomo, il che sembra corrispondere a una certa
realtà, considerata a questo livello, sicuramente basso ma non errato.
Bisogna ricordare che per Reich, anche la Coscienza ni (compieta-
mente positiva ai suoi occhi!) è risultato del processo tecnico. Perché
se afferma che la rivoluzione è prodotta dalla «coscienza», dimostra
nello stesso tempo che la «coscienza» è causata dalla tecnica.
Questi abbozzi riprendono i romanzi dell'epoca (1930-1960),
cosi come famosi studi quali Fonie solitaire o Les Cols blancs. Ciò che
sembra caratterizzare più profondamente l’uomo che vive nell’am­
biente tecnico è la crescita della volontà di potenza. Nei miei studi
precedenti avevo provato a dimostrare che la tecnica è una realiz­
zazione, e quindi un compimento, e quindi un accrescimento dello
spirito di potenza, il che porta l’uomo a polarizzarsi sulla potenza.
De Jouvenel (Arcadie) riprende e dimostra brillantemente tutto ciò
studiando accuratamente come la ricchezza moderna sia espressio­
ne della volontà di potenza (il progresso tecnico è essenzialmente
una manifestazione della potenza umana, un’occasione per l’uomo
di ammirarsi. Lo scopo era lo sviluppo della potenza, e il benessere
crescente è un sottoprodotto). Allo stesso modo, il progresso tec­
nico è per lui una variante dello spirito di conquista, il quale viene

8 Si veda C.A. Reich, Le Regain américain, cit.

94
La tecnica come fattore determinante

simultaneamente soddisfatto e rinforzato dalla tecnica. Lo spirito di


conquista causa la divisione dell’uomo in produttore/consumatore e
la sua obbedienza all’imperativo di efficacia. Nello studio di de Jeu-
venel è interessante notare come egli non solo mostri le conseguenze
di tali fenomeni arcinoti, ma che li inserisca nella teoria economica.
Con questo primo insieme di semplici osservazioni, ci troviamo
davanti a ima straordinaria mutazione dell’essere umano, cosa che
sicuramente si ripercuote, ad esempio, su quella che viene chiamata
cultura. In effetti l’impatto tecnico ne causa una trasformazione -
che si tratti della nascita della cosiddetta cultura di massa, o del cam­
biamento delle relazioni umane attraverso la moltiplicazione delle
comunicazioni che trasformano le relazioni corte in relazioni lunghe
(Ricoeur), o ancora della presenza al mondo per il gioco delle infor­
mazioni, da ogni punto di vista si assiste alla ben nota mutazione del­
la cultura. A causa dell’esigenza tecnica «la cultura generale è carta
velina e la sua conquista un passatempo»9. È essenziale sostituire la
cultura generale, insipida e senza importanza, con una cultura tecni­
ca, con la formazione permanente, ad esempio. È il concetto stesso
di cultura a essere cambiato, non solo il suo contenuto, la pratica o
i metodi di acquisizione. «Ogni volta che le parole generale o cul­
turale vengono pronunciate, vengono immediatamente integrate da
commenti che precisano che si tratta di un adattamento al progresso
tecnologico, di una migliore conoscenza dei meccanismi economici
o del miglioramento di una competenza»10.}. Gritti11 ha presentato
una buona panoramica della mutazione, in particolare con un ten­
tativo di analisi delle «coppie dialettiche»: cultura/specializzazione,
tradizione/modemità, enciclopedismo/assimilazione, gratuità/effi-
cacia, sforzo/piacere, parola/immagine, ecc.
Allo stesso modo Baudrillard dimostra fino a che punto la cultura
generata dalla Tecnica sia assolutamente opposta a quella nota come:
1. Patrimonio ereditario di opere, pensieri, tradizione.
2. Dimensione continua di una riflessione teorica e critica.
Trascendenza critica e funzione simbolica. Entrambe negate dalla

9 M. de Montmollin, Les Psychopitres, puf, Paris 1972 (tr, it. Gli psicoistrioni,
un’autocritica della psicologia industriale, Il Saggiatore, Milano 1976).
10 H. Hartung, Les Enfants de la promesse, Fayard, Paris 1972.
11 J. Gritti, Culture et Techniques de masse, Casterman, Tournai 1967 (tr. it. Cultura
e tecniche di massa, ave, Roma 1969).

95
Che cos’è la tecnica?

sottocultura ciclica, fatta di ingredienti e segni culturali obsolescenti,


dall’attualità culturale... come si può vedere il problema del consu­
mo culturale non è legato ai contenuti culturali propriamente detti,
né al pubblico culturale... il punto è che la cultura non è più fatta per
durare... è la rapidità del progresso tecnico a condannare la cultura
a essere l’opposto di ciò che è sempre stata, consumo immediato di
un prodotto tecnico senza sostanza. Baudrillard nota correttamente
che in fondo non c’è più differenza tra cultura di massa (che combi­
na contenuti) e la creazione d’avanguardia (che manipola le forme).
Entrambe sono determinate dall’imperativo funzionale della tecnica
che implica che tutto deve essere sempre attuale.
Ancora una volta, non si tratta di decidere che cosa sia giusto, ma
di constatare che a causa della tecnica l’insieme culturale ha subito
una mutazione, e non solo una modificazione. Non si tratta tanto di
ciò che i Francesi chiamano generalmente «cultura generale», quan­
to di ciò che questo termine indica nel vocabolario anglosassone.
Facciamo qualche esempio: la trasformazione di una società gerar­
chica in una società egalitaria.
La società tradizionale, tutte le società tradizionali, sono società
gerarchiche, e quando Dumont chiama l’uomo Homo hierarchicus,
intende un carattere non meno essenziale di quello indicato dal ter­
mine faber. Non ci sono mai state società egalitarie. La gerarchia
ha sempre fatto parte dell’universo culturale generale. Solo qualche
utopista poteva pretendere di costruire una società egalitaria, il che,
contrariamente a quanto credono i moderni, non esprimeva alcuna
rivendicazione popolare di fondo. I rari movimenti egalitari (i Lewe-
Iers, ad esempio) non avevano in animo alcuna uguaglianza reale, ma
una conquista di potere a proprio vantaggio! Dopo il xvm secolo,
l’idea di uguaglianza si diffonde, appare evidente e la sua realizzazio­
ne sembra possibile.
Tutto ciò è un risultato diretto della crescita tecnica. La tecnica
non può sopportare le discriminazione irrazionali, le strutture socia­
li fondate su credenze12. Ogni disuguaglianza, ogni discriminazione
(ad esempio razziale), ogni particolarismo è condannato dalla tec­
nica, poiché essa riduce tutto a fattori commensurabili e razionali.
Lo scopo di una società in cui la tecnica è il fattore principale è, dal

12 J. Boli-Bennett, op. cit.

96
La tecnica come fattore determinante

punto di vista statistico, un’uguaglianza totale per ogni dimensione


adeguata e ogni gruppo identificabile. Ciò corrisponde al processo di
specializzazione: l’uguaglianza deve necessariamente regnare là dove
tutto è specializzato, dove tutte le specialità sono tecniche, ugual­
mente necessarie dal punto di vista tecnico. E possibile affermare
che la necessità di uguaglianza assoluta (che si ritrova ad esempio
presso Marx) altro non è che il prodotto ideologico dell'applicazione
illimitata della tecnica.
Un altro «valore culturale» ampiamente modificato dalla tecnica è
la proprietà. Nonostante lortodossia marxista porti ancora una volta
a negare la realtà, si constata in effetti la mutazione della proprietà. Il
fatto che 1 organizzazione sia divenuta la condizione principale della
produzione ha necessariamente provocato un cambiamento di natu­
ra della ricchezza e della proprietà privata. Le «organizzazioni» non
appartengono più al «capitalista»; ciò che costituiva la proprietà si
è scisso in diritti di partecipazione agli utili degli azionari, in potere
del management di stabilire una linea di condotta, nel diritto degli
impiegati a uno statuto e alla sicurezza, in diritto di regolazione a
beneficio del governo, ecc. Nuove forme di ricchezza hanno preso
il posto del vecchio «capitale»: l’impiego, il diritto alla pensione, la
licenza di gestione o di concessione, la Sécurité Sociale, il privilegio di
ospedalizzazione a vantaggio di un medico in una clinica sono nuove
forme di ricchezza che rappresentano rapporti con organizzazioni.
Il denaro posseduto conta meno di quello che può essere speso, e
quest’ultimo dipende dalla capacità tecnica e dallo status (ingegnere
alla Renault, dottore in economia politica, ecc.), sicché lo status av­
vicina la condizione degli uomini nella società socialista e capitalista.
La proprietà si trasforma in relazioni, la Nuova Proprietà fondata
sulla «capacità tecnica» che garantisce lo status, Il legame che collega
l’uomo attuale allo status è forte quanto quello che in passato esisteva
con la proprietà. Le decisioni non vengono più prese in seguito alla
predominanza di colui che detiene i capitali, ma per una combina­
zione tra coloro che possiedono gli status relativi alla data decisione.
In questo modo deve necessariamente realizzarsi la cogestione da
parte di tutti i partecipanti, ma, allo stesso tempo, l’autogestione da
parte degli operai rimane una pericolosa utopia!
In questo sommario delle note mutazioni provocate dalla tecni­
ca, non può mancare quella di cui più ci si è occupati: quella del

97
Che cos’è la tecnica?

lavoro. La tecnica ha iniziato da qui la trasformazione generale più


immediatamente evidente della società. Rimandiamo alle numerose
opere pubblicate a riguardo in mezzo secolo, aggiungendo solo due
osservazioni più recenti. In primo luogo, come abbiamo già visto, è
comune dichiarare che l’uomo moderno debba prepararsi, per via
delle tecniche, a «cambiare mestiere due o tre volte» nel corso della
propria vita. Tuttavia, secondo la sensata osservazione di Montmollin
non esistono più mestieri, ci sono solo impieghi o attività. «E sbagliato
affermare che oggi un lavoratore debba cambiare mestiere due o tre
volte nel corso della propria esistenza: non cambia mestiere perché
non ce ne sono più. Deve perciò adattarsi praticamente in continua*
zione. La più importante misura da prendere negli anni Ottanta nel
campo della riqualificazione professionale sarà abolire l’idea stessa di
riqualificazione. Dovremo essere così abituati alla formazione nell’in-
dustria da non dover più pensare in termini di formazione e riqualifi­
cazione, ma solo di formazione e ancora di formazione...»13.
Inoltre il lavoro, contrariamente a quanto spesso viene afferma­
to, è lungi dalTaver perso, grazie alla tecnica, la propria «gravosità».
Al contrario, sembrerebbe che, addirittura dopo Fera della semplice
meccanizzazione, in cui si sono conosciuti gli effetti della macchina
sulTuomo, il lavoro si sia fatto in realtà più faticoso, più logorante
che in passato. Il passaggio al lavoro completamente automatizzato,
alla fabbrica «telecomandata» è ancora raro e lento. E non per via
del regime capitalista: nei paesi socialisti il ritmo non è più rapido.
Non è la ricerca del profitto a causare questo blocco, ma la prodigio­
sa mutazione dovuta aU automazione, di non facile adozione in tutti
i campi. Per la maggior parte dei lavoratori la crescita tecnica com­
porta un lavoro più duro e più spossante (ritmi non dovuti a esigenze
capitaliste, ma a esigenze tecniche e di servizio nei confronti della
macchina!). Ci si è inebriati con il tempo libero, con Fautomazio-
ne universale: per molto si permane in un lavoro sprecato, alienato.
L'alienazione non è più capitalista: è tecnica.
Tutti concordano nelFattribuire alla sola tecnica Fimmensa mu­
tazione che ha coinvolto tutti gli aspetti appena presi in esame14. In
altre parole, tutto l’insieme delle relazioni umane interindividuali o

13 Seymour citato da Montmollin.


14 Si veda l’opera collettiva Civilisation et bumanisme, A. Colin, Paris 1968.

98
La tecnica come fattore determinante

globali è stato modificato. Come non ritenere quindi la tecnica «fat­


tore determinante»?

tAt * ★

Non si può fare a meno di ricordare il ruolo del computer - senza


esagerare, e soprattutto senza credere che possa già essere applica­
to a tutto, o che ne verranno realizzate tutte le possibilità. Bisogna
ugualmente sottolineare fino a che punto tale settore della tecnica
possa essere determinante. Una tecnica, la stampa, ha dato vita a
una civiltà; un'altra, la televisione, come McLuhan ha dimostrato,
modifica il campo cerebrale; un'altra, il computer, ci fa passare dal­
la cultura dell'esperienza a quella della conoscenza. La stampa ha
permesso F enorme accumulo di una quantità di informazioni per lo
più inutilizzabili perché ingestibili da un'intelligenza individuale: la
stampa ci ha fornito un'eccellente memoria collettiva, ma la memoria
individuale non ne è all'altezza: Finformazione detenuta della me­
moria collettiva era assopita. U computer è diventato il collegamento
tra la memoria collettiva e il suo utilizzo da parte dell'uomo: riveste
il ruolo della memoria individuale e rende Finformazione acquisita
utilizzabile. Allo stesso tempo si è potuto affermare con precisione
(R. Lattès) che fino a oggi l'uomo ha dedicato tutti i propri sforzi alla
risoluzione dei problemi che si ponevano, o anche che si ponevano
problemi tali da essere risolti dal cervello umano (numero di varia­
bili molto ridotto): il computer permette ora di passare allo stadio
della riflessione sui problemi, con la possibilità di porli in modo tan­
to complesso quanto si desidera. E da notare la particolarità della
«coincidenza»: proprio quando l'informazione (accumulata, scritta)
diventa inutilizzabile, «compare» il computer. La riflessione sui pro­
blemi esiste da circa mezzo secolo. Conosco bene il fenomeno nel
campo della storia, che ormai non è più il risultato dello studio di
archivi, ma di un’elaborazione di problemi sempre più complessi:
anche la «comparsa» del computer risponde a questa riflessione sen­
za uscita. 11 computer non è quindi il fattore alla base della creazione
della novità, ma è esso stesso la novità che permette alla creazione di
concretizzarsi. Di conseguenza, sul piano collettivo e concreto, costi­
tuisce il fattore determinante. Con esso la conoscenza diventa forza
di produzione, un potere decisivo in politica, a condizione che vi

99
Che cos’è la tecnica?

sia coesione tra tutti i fattori economici e tecnici in un insieme colto


razionalmente. Con il computer ci troviamo di fronte alla contrad­
dizione, già annunciata in tutto il movimento tecnico, oggi portata a
completo rigore, tra il razionale (i problemi posti grazie al computer
e le risposte date) e l’irrazionale delle attitudini e tendenze dell’uo­
mo: il computer mette in risalto ciò che vi è di irrazionale nelle deci­
sioni umane, dimostra come una data scelta considerata ragionevole
sia in realtà passionale. Il che non significa che ciò si traduca in una
razionalità assoluta, ma chiaramente tale conflitto introduce Fuorno
in un universo culturale diverso da tutti quelli finora noti. Per l’uomo
il problema centrale, metafisico si potrebbe dire, non è più la propria
esistenza e quella di Dio, in funzione di tale misterioso sacro, ma il
conflitto tra la razionalità assoluta e ciò che fino a oggi ha costituito
la sua persona: questo è il fulcro di tutta la riflessione attuale, e per
molto tempo, la sola questione filosofica.
In questo modo, il computer non è diverso dalla tecnica, non è
nulla di più. Tuttavia esso porta a compimento quella che era virtual­
mente Fazione dell’insieme tecnico, la porta alla perfezione, le dà
evidenza. La tecnica conteneva in sé la trasformazione completa del
rapporto con il reale. Baudrillard (La Société de consommation) lo ha
dimostrato in modo eccellente. E importante considerare che in real­
tà la tecnica, spesso accusata di materializzare l’uomo, di incatenarlo
all’ambiente materiale (e che basa ogni propria attività sul materiale),
derealizza tutto, trasforma tutto in «segno-di-nulla-da-consumare».
«La scoperta della Natura sotto forma di campagna ridotta allo stato
di campione, circondata dall’immenso tessuto urbano, tagliata a qua­
dretti e servita a temperatura ambiente sotto forma di spazi verdi,
di riserve naturali o di scenario per la seconda casa, è in realtà un
riciclaggio della Natura - vale a dire non più una presenza originale,
specifica, in opposizione simbolica alla cultura, ma un modello di
simulazione, un consommé di segni della natura rimessi in circolo».
«Più ci si avvicina al documento verità, più si persegue il reale col
colore, il rilievo, ecc., più si scava di perfezionamento in perfezio­
namento tecnico l’assenza reale al mondo». La Tecnica, mediatrice
e nuovo ambiente, rende ogni realtà altra da sé astratta, lontana e
priva di contenuto. Come non attribuirle ancora una volta, in questa
enorme mutazione, il ruolo di fattore determinante?

100
Capitolo quarto
LA TECNICA COME SISTEMA

1. Idea generale

Esistono oggi numerose concezioni di «sistema»1. Di solito si par­


te dall'oggetto che si vuole studiare e si definisce il sistema in fun­
zione di tale oggetto. Deutsch (citato da Hamon) afferma che «un
sistema è un insieme di parti o di sottoinsiemi che interagiscono in
modo tale che le componenti tendono a cambiare tanto lentamente
da poter essere provvisoriamente trattate come costanti. Le parti a
lenta mutazione possono essere chiamate strutture «se gli scambi che
avvengono nelle loro relazioni reciproche si rivelano orientati verso il
mantenimento o la riproduzione dei sistemi, possono essere definite
funzioni». Hamon precisa che si tratta di un insieme di elementi ra­
zionali, la cui evoluzione è caratterizzata soprattutto dalla retroazio­
ne (feed-back). Egli ritiene tuttavia che sia la retroazione dell'insieme
sulle parti ad assicurare l'autonomia del sistema nell'insieme della
realtà. Il sistema non è quindi un insieme di oggetti uno accanto
all'altro, né un aggregato senza peculiarità.
Molti altri insistono sul feed-back come «chiave» del sistema.
Henri Lefebvre invece non ne parla, e mantiene solo la differenza tra

1 Alla base di tutte le concezioni c’è L. Von Bertalanffy, Théorie générale des systè-
mes, Dunod, Paris 1973 (ed. or. General System Theory: foundations, development,
applications, Alien Lane, London 1968; tr. it. Teoria generale dei sistemi: fondamenti,
sviluppo, applicazioni, ili, Milano 1971).

101
Che cos’è la tecnica?
il tutto e la somma delle parti: «Il sistema è un insieme di relazioni
che aggiunge qualcosa alla somma dei diversi elementi. Perciò si può
parlare del principio dell’isomorfismo del sistema. Elementi molto
diversi possono avere leggi energetiche omologhe, in altre parole un
sistema è una totalità con le proprie leggi di composizione. Per que­
sto motivo gli aggregati appaiono sempre subordinati». Egli ne desu­
me la contestabile idea che il sistema evolva unicamente in funzione
della propria logica interna. Per Meadows (rapporto di Roma): «La
struttura di ogni sistema - cioè le numerose relazioni tra elemen­
ti, che formano concatenazioni, in alcuni casi a effetto sfalsato nel
tempo - ha un’importanza, nell’evoluzione del sistema, equivalente a
quella della natura di ogni singolo elemento che lo compone...».
Infine la definizione di Parsons (due o più unità collegate in
modo che a un cambiamento di stato della prima segua un cambia­
mento di stato di tutte le altre, che sarà seguito a propria volta da un
nuovo cambiamento della prima, costituiscono un sistema) che, pur
individuando un aspetto del sistema tecnico, rimane troppo vaga.
Ciò che nel pensiero di Parsons si applica bene al sistema tecnico è
l’idea che un sistema sia necessariamente integrato e integratore (o
una «organizzazione strutturale di interazione tra unità»). Ciò com­
porta un modello, un equilibrio, un sistema di controllo2.
Personalmente prenderei in considerazione più caratteri: il siste­
ma è un insieme di elementi in relazione gli uni con gli altri di modo
tale che ogni evoluzione di uno di essi provoca un’evoluzione dell’in­
sieme e che ogni evoluzione dell’insieme si ripercuote sul singolo
elemento.
È chiaro quindi che non ci troviamo in presenza di oggetti isolati
ma di una rete di interrelazioni. E altrettanto evidente che i fattori
che compongono il sistema non sono di natura identica. Vi sono, ad
esempio, elementi quantitativi e altri che non lo sono. E certo, infine,
che la velocità del cambiamento non sia uguale per tutti i fattori - il
sistema ha il proprio processo e la propria velocità di cambiamento
specifici in rapporto alle parti. Così come comporta leggi partico­
lari di sviluppo e di trasformazione. Il secondo carattere che vorrei
ricordare è che gli elementi che compongono il sistema presentano

2 T. Parsons, The Social System, Routledge &. Kegan, London 1951 (tr. it. Il sis­
tema sociale, Edizioni di comunità, Milano 1965).

102
La tecnica come sistema

una sorta di attitudine preferenziale a combinarsi tra loro piuttosto


che combinarsi con fattori esterni. Il sistema economico implica una
relazione preferenziale, il che comporta una tendenza al cambiamen­
to per motivi interni e una resistenza alle influenze esterne. Il terzo
carattere è che un sistema, pur potendo essere colto in un momento
della propria composizione, è tuttavia dinamico: le interrelazioni tra
le parti non sono del tipo di quelle esistenti tra gli ingranaggi di un
motore che agiscono gli uni sugli altri e in funzione gli uni degli altri,
e che ripetono la stessa azione ali infinito. In un sistema i fattori in
gioco modificano gli altri elementi e Fazione non è ripetitiva ma co­
stantemente innovatrice. Le interrelazioni producono un'evoluzio­
ne. Il sistema non è mai fìsso, pur rimanendo un sistema e potendo
essere riconosciuto come sistema x anche dopo numerose evoluzio­
ni. Il quarto carattere è che il sistema, che esiste in quanto globalità,
può entrare in relazione con altri sistemi e con altre globalità. Infine,
come è noto, uno dei tratti essenziali, pur senza costituire esso stesso
il sistema, è il feed-backy cioè «le strutture di rinvio», senza farne
sistema in se stesso.
Un sistema è caratterizzato quindi da una parte dalle interrela­
zioni tra gli elementi principali e significativi dell'insieme e dall'altra
dalla relazione organica con Festemo: un sistema nelle scienze socia­
li è necessariamente aperto. Non può mai essere considerato in sé
escludendo ogni altra relazione.
Se scegliessi tale termine per descrivere la tecnica nella socie­
tà attuale non sarebbe sicuramente perché è di moda, ma perché
il concetto corrisponde adeguatamente a ciò che la tecnica è - è
uno strumento indispensabile per comprendere di che cosa si trat­
ti quando si parla di tecnica, prescindendo dallo spettacolare, dal
curioso, dagli epifenomeni che rendono impossibile Fosservazione.
Prendiamo Fesempio della medicina: c era (soprattutto in passato!)
la descrizione del modello ideale di una data malattia, ma la febbre
tifoide reale, ad esempio, non presentava tutte le caratteristiche de­
scritte nei libri, quelle della malattia astratta, e finiva col parossismo
e la morte. Ma se il medico non avesse avuto a disposizione lo schema
della malattia astratta ottenuto eliminando ogni rischio secondario,
non avrebbe mai potuto riconoscere nell'insieme di sintomi presi in
considerazione la febbre tifoide. Il sistema implica quindi una scelta
di sintomi, di fattori, un'analisi delle loro relazioni. Non si tratta mai

103
Che cos'è la tecnica?

di una semplice costruzione intellettuale: il sistema esiste effettiva­


mente così come esisteva la malattia espressa dalla correlazione tra i
sintomi che si potevano individuare e indicare con un nome.
La tecnica ha ormai una tale specificità che è necessario conside­
rarla di per se stessa, in quanto sistema3.
Parlando del sistema tecnico voglio rendere conto di una parte
importante del reale. Non si tratta della semplice ipotesi di uno svi­
luppo aleatorio, né dell’estrapolazione di una curva tracciata consi­
derando dati quantitativi del passato in un dato settore. Attualmen­
te la tecnica è sviluppata nei propri aspetti qualitativi e quantitativi
in modo tale che si può comprenderne lo sviluppo «normale»: esiste
una logica che fa il sistema. Di conseguenza voglio rendere conto
del reale analizzando tale sistema e la sua evoluzione.
Chiaramente non posso farlo con completa certezza, dato che
il sistema tecnico non è completo: non è chiuso, non evolve unica­
mente secondo la propria logica interna. Comporta perciò un am­
pio margine di alea, ma anche una gran parte di probabilità. Non
serve a nulla prevedere le «invenzioni» tecniche (nel 1990 ci sarà
questo e quello, ecc.), poiché la previsione può essere condotta solo
in funzione dello studio globale del sistema in quanto tale, e non
sommando innumerevoli innovazioni e applicazioni. Infine, non es­
sendo «ripetitivo», il sistema tecnico risulta più difficile da studiare
rispetto a sistemi come quello fisico o quello ecologico, che presen­
tano ripetuti cicli osservabili4.

3 Uno dei primi a presentare la Tecnica come sistema, senza tuttavia utilizzare
il termine, è stato B.B. Seligman, A most notorious victory, Free Press, New York
1966. Si veda anche l’introduzione di G. Weippert alla raccolta Technik im technis-
cben Zeitalter, Schilling, Dusseldorf 1965, che descrive la tecnica in quanto sistema
pur non rendendosi completamente conto del senso di tale constatazione - come
nel caso di Habermas. Generalmente sono i sociologi americani ad avvicinarsi mag­
giormente alla comprensione della realtà del mondo tecnico, probabilmente perché
vi vivono! Anche A. Schon, Technology and Change: thè neiv Heraclitus, Delacorte
Press, New York 1963, intuisce questa realtà quando scrive quello che è il punto di
partenza di ogni riflessione attuale sul sistema tecnico, cioè che «[ innovazione tec­
nica ci appartiene meno di quanto noi le apparteniamo». D’altra parte impiegando
il termine sistema non voglio ricollegarmi al pensiero strutturalista: ritengo che la
tecnica costituisca oggi un sistema come tempo fa si parlava di un sistema termico o
di forze. Non faccio alcun riferimento al Sistema, realtà assoluta, esistente in tutte le
organizzazioni sociali, in tutti i rapporti, ecc.
4 Richta considerava il modello determinista della società e dell’evoluzione legato
al regime industriale e riteneva che tutto cambiasse con la rivoluzione scientifica e

104
La tecnica come sistema

tV *

U sistema è costituito dall'esistenza del fenomeno tecnico e


dall'avanzata tecnica. Considero qui il fenomeno tecnico con il si­
gnificato già attribuitogli in La Technique ou Tenjeu du siècle, di­
stinguendolo dalToperazione tecnica sempre esistita nel corso della
Storia5.
Il fenomeno tecnico è specifico della civiltà occidentale a partire
dal xviii secolo6. E caratterizzato dalla coscienza, la critica, la razio­
nalità7. Non vi tornerò. Ma il fenomeno tecnico non è sufficiente a
costituire il sistema. In effetti può essere considerato essenzialmente
statico: si potrebbe essere tentati di prendere il fenomeno tale e qua­
le e considerarlo, analizzarlo così comò8. Così facendo, però, non

tecnica. In questa occasione accede all’idea di sistema: «La situazione cambia quan­
do uno o più fattori (dell’industria) vengono sostituiti da una dinamica generale in
ciascuna delle numerose dimensioni delle forze produttive e nella rete di circos­
tanze generali, appena la soggettività propria agli elementi diretti diventa il fattore
fondamentale da cui non si può prescindere, appena la semplice razionalità esterna
delle cose cede il posto a una razionalità superiore dei sistemi in sviluppo e muta­
mento...». Egli conclude però che ciò implica la cooperazione creatrice dell’uomo,
cosa che mi sembra meno ovvia (op. cit., p. 290).
5 Richta fa notare, seguendo la linea di Simondon e Daumas, che il grado di svi­
luppo della tecnica non viene distinto abbastanza chiaramente quando si considera
piattamente la macchina uno strumento perfezionato, l’automa una macchina perfe­
zionata: la macchina non è uno strumento, è un meccanismo che dispone dei propri
strumenti, il che implica un capovolgimento di soggetto e oggetto. La macchina
usa l'uomo per farsi servire. Il sistema automatico non è più una macchina, ma
un aggregato o un processo di comandi che utilizzano le macchine: ce dunque un
nuovo livello di soggettività, l’automa ha tutt’altra importanza per l’uomo rispetto
alla macchina.
6 Non riporterò qui la lunga trattazione che gli ho dedicato, riguardante i fattori
che ne hanno favorito l’apparizione e le caratteristiche.
7 La lunga analisi di Habermas della nozione di Coscienza Tecnocratica è lo svi­
luppo di ciò di cui mi sono occupato in La Technique ou lenjeu du siècle per spie­
gare il passaggio dall’operazione tecnica al fenomeno tecnico. E ciò che Habermas
traduce filosoficamente quando parla dell’eliminazione della differenza tra pratica
(prassi) e tecnica. Cancellazione del desiderio di una comunicazione senza domina­
zione dietro il volere di disporre tecnicamente delle cose.
K Chiaramente mi trovo in completo disaccordo con Habermas {La Technique
et la Science comme idéologie, cit.), che confonde tecnica e discorso tecnologico, e
che inoltre mi sembra totalmente superato quando vuole spiegare ciò che intende
con Tecnica! Il suo prefatore Ladmiral scrive: «Le tecnologie, o norme tecniche,
sono applicazioni del sapere empirico formalizzato dalle scienze sperimentali che
mettono in opera mezzi tecnici, in questo caso ogni oggetto materiale suscettibile

105
Che cos’è la tecnica?

solo si commetterebbe l’errore comune a questo tipo di «spaccato»


relativo a un dato momento, ma si mancherebbe il sistema stesso,
essendo esso evolutivo. Gli oggetti o il fenomeno tecnico evolvono,
è ovvio. Tutti sanno che le auto del 1970 non sono più quelle del
1930. In ciò l’oggetto tecnico, o più in generale il fenomeno, non
è diverso da qualsiasi altra cosa. Diciamo che il sistema tecnico è
costituito dal fenomeno e dal progresso. Questo non consiste nella
modificazione dell’oggetto, né nella sua evoluzione, contrariamente
a quanto siamo tentati di pensare. «Tutto scorre», il tempo passa, e
dunque l’oggetto cambia. Si potrebbe quasi affermare che l’evolu­
zione dipenda dallo scorrere del tempo, una sorta di forza esterna
all’oggetto, un fiume nel quale viene bagnato e trasportato. In realtà
con la tecnica ci troviamo di fronte a una situazione completamente
diversa: la tecnica produce il proprio cambiamento. Si tratta di ciò
che de Jouvenel chiama «rivoluzione permanente dei processi». Il
pregresso, in qualche modo, fa parte dell’oggetto stesso: ne è costi­
tutivo. Non c’è tecnica se non c’è progresso. Il progresso tecnico
non è la Tecnica che evolve, non sono oggetti tecnici che cambiano
perché perfezionati, non è una somma di influenze sulle macchine o
sulle organizzazioni che li spingono ad adattarsi. La tecnica compor­
ta la propria trasformazione. Dal momento in cui esiste nella realtà
moderna, essa produce il fenomeno di progresso: il progresso di cui
siamo imbevuti e la cui ideologia influenza ogni nostra opinione è un
prodotto diretto della tecnica. «Non è la tecnica che progredisce»,
è una nuova realtà indipendente: è l’unione tra il fenomeno tecnico
e il progresso tecnico che costituisce il sistema tecnico. Vi sono ca­
ratteristiche, regolamentazioni, «leggi» (se si può ancora dire così)
di uno e dell’altro. Il progresso tecnico si verifica secondo alcune
modalità e presenta particolarità che lo distinguono da altri tipi di
evoluzione: la crescita economica o lo sviluppo culturale non avven­
gono secondo le stesse modalità del progresso tecnico. Il sistema
tecnico è caratterizzato da un insieme di peculiarità che lo differen-

di essere riutilizzato in modo sistematico nel quadro di alcune sequenze di attività


strumentale». Definizione semplicistica applicabile alla tecnica del xix secolo» ma
che non ha più nulla a che vedere col fenomeno attuale! Rispetto tuttavia la mode­
stia di Habermas nel sottolineare che le sue idee sulla Tecnica sono uno «schema
di interpretazione che può essere affrontato nel quadro di un saggio, ma non essere
seriamente verificato in quanto utilizzabile».

106
La tecnica come sistema

ziano dagli altri sistemi constatabili9. La singolarità di tale sistema


si manifesta già nel fatto che un fattore tecnico si associ sempre in
modo preferenziale con un altro fattore tecnico. Esiste una «attra­
zione» tra di essi, che non ha a che fare con la «natura» di ciascu­
no, ma col fatto che appartengono allo stesso sistema. Pertanto le
associazioni con fattori esterni, dipendenti da altri sistemi, politico,
economico, ideologico, non sono certo escluse, ma saranno sempre
secondarie. Utilizzando il termine sistema non voglio dire che la
tecnica sia estranea all'ambiente politico, economico, ecc. Non è un
sistema chiuso, ma è sistema dal momento che ogni fattore tecnico
(una data macchina, per esempio), è prima di tutto collegata, relativa
a, dipendente dalTinsieme degli altri fattori tecnici, prima di essere
in rapporto con elementi non tecnici. La tecnica, essendo diventa­
ta ambiente, si situa alTinterno di questo ambiente e lo costituisce
nutrendosene. Vi è sistema come può essere considerato sistema il
cancro. Cè una modalità di azione simile in tutti i punti dell'orga­
nismo in cui il cancro si manifesta, c'è la proliferazione di un nuovo
tessuto in rapporto a quello vecchio, c'è relazione tra le metastasi.
Il cancro, inserito in un altro sistema vivente, è un organismo, sep­
pur incapace di vivere autonomamente. Lo stesso vale per il sistema
tecnico: da un lato, non può manifestarsi, svilupparsi, esistere se
non inserendosi in un corpo sociale esistente. Non si può pensare
la tecnica come la «natura», capace di vivere autonomamente. La
natura sociale preesiste al sistema tecnico ed è in essa che il secondo
trova posto, possibilità, supporto. Dall'altro, la crescita della tecnica
non lascia intatto il corpo sociale, né permette ai differenti elementi
di svilupparsi in modo autonomo e indipendente. La famiglia, ad
esempio, a causa della Tecnica cambierà trovando un nuovo equili­
brio: l'impatto tecnico mette in questione il fatto familiare in loto,
che cessa di essere una realtà sociologica legata al corpo sociale per
dipendere innanzitutto dal sistema tecnico. La famiglia diventa «fa­
miglia nell'ambiente tecnico»10. Ogni fattore tecnico è innanzitutto

9 Non credo che la struttura di un dato sistema permetta di interpretare gli al­
tri sistemi. A caratterizzare ciascuno è la specificità della struttura, del carattere e
dell’ordinamento. Ritengo perciò che l’impiego del sistema linguistico per analiz­
zare o spiegare gli altri sia un errore di metodo scientifico.
,u II disegno che qui perseguo è molto diverso dalle due linee indicate da J. Bau­
drillard, Le Systèrne des ob/ets, Gallimard, Paris 1968 (tr. it. Il sistema degli oggetti,

107
Che cos’è la tecnica?

inserito nel sistema tecnico e non legato a un dato gruppo, fenome­


no economico o sociale. Lo stesso vale per il lavoro d’ufficio: l’idea
più diffusa è che il complesso «Stato-amministrazione-ufficio» sia
dominante e la tecnica vi si inserisca.
Si aggiunge all’organizzazione burocratica un elemento tecnico
supplementare, integrato nel meccanismo amministrativo e colle­
gato a tale attività. Questa visione delle cose porta a considerare
la Tecnica costituita da pezzi e frammenti disparati, con relazioni
aleatorie e incerte. In realtà è il contrario: ogni elemento tecnico è
associato a tutti gli altri in modo privilegiato. Quando la meccaniz­
zazione entra negli uffici, è come se fosse una punta spinta in quella
direzione dal sistema tecnico. Uamministrazione viene modificata
perdendo il proprio carattere determinante: è determinata dalla
nuova macchina. L’unità non si realizza nel vecchio quadro (Stato-
amministrazione) ma per mezzo delle correlazioni tra le diverse tec­
niche. Non ci sono quindi fattori tecnici sparsi, inseriti in contesti
politici, sociali, economici diversi che comportano propri principi
di organizzazione, propria unità, ecc. C’è al contrario un sistema
tecnico dalle modalità di intervento diversificate; queste ricollegano
al sistema tutti i frammenti della realtà umana o sociale dissociati
dal tessuto nel quale erano inclusi dalFoperazione stessa. Ogni fat­
tore tecnico, associato agli altri, forma così un insieme più o meno
coerente (che possiede una coerenza interna non necessariamente
evidente), sicuramente rigoroso.

Bompiani, Milano 1972). Egli studia da un lato «i processi attraverso i quali la gente
entra in relazione con gli oggetti tecnici», quale sia la sistematica delle condotte che
ne risultano. Dall’altro ritiene che si possa studiare la tecnologia tenendo conto solo
degli oggetti tecnici che formano un insieme suscettibile di essere studiato, come
un sistema linguistico attraverso un’analisi strutturale. Io mi colloco qui, invece, a
livello della società e in presenza di una tecnica fatta non solo di oggetti, ma anche
di metodi, di programmi, ecc., il cui sistema non può essere studiato al di fuori della
relazione, dell’inserimento nel gruppo sociale. Il fatto di aver trascurato questi due
aspetti rende lo studio di Baudrillard, per quanto fine e interessante, inutile. Egli
pretende di stabilire la relazione Uomo-Oggetto Tecnico senza collocare l’uomo
nell’universo tecnico. Gli attribuisce alcuni atteggiamenti, alcuni comportamenti la
cui spiegazione risiede nella globalità della tecnica, mentre egli colloca l’uomo sem­
pre come soggetto. Inoltre la doppia influenza marxista e freudiana, non confessata,
non dichiarata, riduce notevolmente il valore del sistema di oggetti.

108
La tecnica come sistema

2. Qualificazione del sistema

Mostreremo proseguendo perché la tecnica costituisca un sistema


e come esso funzioni, ma in questo paragrafo voglio dare una giusti­
ficazione generale all’impresa.
Si ha una tecnicizzazione totale quando ogni aspetto della vita
umana è sottomesso al controllo e alla manipolazione, alla sperimen­
tazione e all’osservazione in modo da ottenere in ogni caso un’effica­
cia dimostrabile11. Il sistema si rivela nel cambiamento (cambiamen­
to tecnologico, sociale, mobilità, adattamento, ecc., cambiamento
necessario per risolvere ininterrottamente i problemi che sempre
più rapidamente sorgono proprio a causa della tecnica), per via
dell’interdipendenza di tutte le componenti, per via della globalità e
in ultimo per la stabilità acquisita. Quest’ultimo punto è particolar­
mente importante: non è più possibile «detecnicizzare». Il sistema ha
un’ampiezza tale che non si può più sperare di tornare indietro: ten­
tare una detecnicizzazione sarebbe come per i primitivi della foresta
appiccare il fuoco al loro ambiente natale. Questi quattro caratteri
della tecnica danno una prima rapida idea di ciò che, affrontato in
modo globale, può essere chiamato sistema. Simondon12 ha tuttavia
dimostrato che l’oggetto tecnico richiede, per essere compreso e per
poter poi cogliere un sistema, un trattamento a parte. U problema
della conoscenza specifica dell’oggetto tecnico posto da Simondon
tende a mostrare che si tratta di un sistema da cui non si può separa­
re F oggetto tecnico. Bisogna considerarlo nella totalità dei rapporti e
in modo genetico. Secondo Simondon la modalità di esistenza degli
oggetti tecnici è definita perché derivante da una genesi, creatrice
non solo di oggetti, ma innanzitutto di una «realtà tecnica», e poi di
una tecnicità generale. «E l’insieme, l’interconnessione (delle tecni­
che) a rendere l’universo politecnico, naturale e umano al contem­
po... Nell’esistenza, nel mondo naturale e in quello umano, le tecni­
che non sono separate. Per il pensiero tecnico esse rimangono come
separate perché non esiste un pensiero tanto sviluppato da permet­
tere di teorizzare la reticolazione tecnica degli insiemi concreti... al
di sopra delle determinazioni e delle norme tecniche, bisognerebbe

M J. Boli-Bennett, op. cit.> pp. 101 ss.


12 G. Simondon, op. citpp. 20, 220, 245ss.

109
Che cos’è la tecnica?

scoprire determinazioni e norme politecniche e tecnologiche. Esiste


un mondo della pluralità delle tecniche con strutture proprie...».
Simondon ritiene che questo sia il vero compito della filosofia. Mi
sembra che il filosofo (in generale, giacché Simondon arriva a di­
mostrare il contrario!) sia piuttosto mal equipaggiato per procedere
a una tale scoperta. In verità si tratta della scoperta di un universo
artificiale che deve essere considerato in sé, nella propria specificità.
«L’oggetto tecnico divenuto separabile può essere raggruppato con
altri oggetti tecnici secondo tale o tal altro criterio: il mondo tecnico
offre una disponibilità infinita di raggruppamenti e connessioni • • •

costruire un oggetto tecnico significa approntare una disponibilità:


il raggruppamento industriale non è il solo realizzabile con oggetti
tecnici - si possono realizzare anche raggruppamenti non produt­
tivi che hanno come scopo il collegamento, attraverso una precisa
concatenazione di mediazioni organizzate, dell’uomo alla natura. Il
mondo tecnico interviene qui come sistema di convertibilità». Il si­
stema tecnico esiste così non solo per la relazione intrinseca, ma an­
che per il fatto che gli oggetti ai quali le tecniche vengono applicate
sono anchessi sistemi. La «Natura», la «Società». Essendo «Natura»
e «Società» esistite in quanto sistemi (l’Ecosistema, per esempio),
poiché la tecnica si applica inizialmente ad aspetti separati, specifici,
differenziati delTuna e dell’altra, ha finito col ricoprirle interamente.
Tali operazioni parcellari (corrispondenza di una tecnica, o creazio­
ne di un oggetto tecnico in rapporto a tale bisogno naturale, tale
sfida della natura) avevano tra esse una relazione, non per la loro
iniziale qualificazione tecnica, ma per la loro applicazione a dei siste­
mi. Solo progressivamente, con l’acquisizione di tecniche di secondo
e terzo grado, costituendosi come vero tessuto continuo, poi come
ambiente, la tecnica è diventata a propria volta, indipendentemente
dal proprio oggetto, un sistema. A questo punto le tecniche si fanno
coerenti e organizzate le une rispetto alle altre. Gli elementi, i fattori
tecnici non sono semplicemente giustapposti, si combinano tra loro.
Si stabilisce un insieme di «solidarietà», di connessioni, di coordina­
zione tra tutti gli oggetti, i metodi, ecc., della tecnica.
Bisogna tuttavia fare una precisazione. Quando parlo di sistema,
non intendo un sistema destinato all’analisi descrittiva e operaziona­
le basata sulla simulazione attraverso il modello informatico. Potrei
al limite intendere, in una certa misura, l’applicazione dell’analisi si-

110
La tecnica come sistema

stemica a un insieme reale. Credo piuttosto di poter constatare che


i fenomeni tecnici si sono combinati in modo da presentare ormai le
caratteristiche di un sistema realmente esistente. Non si tratta quindi
di una formalizzazione in vista di un'analisi a computer, ma della
constatazione di un certo reale (non tutto) che permette di formulare
la teoria. Ritengo, anzi, che non sia utile procedere a una simulazione
computerizzata prima di avere completato la teoria del sistema in
questione. Mi è parso in modo evidente che i sistemi formalizzati
di cui mi sono occupato presentavano tutti un'estrema debolezza
concettuale, una povertà nella comprensione dei fatti che li rendeva
totalmente inadeguati. Le operazioni che ne derivano, per quanto
perfette sul piano matematico, non hanno molto senso! Mi pare che
il limite d'applicazione dipenda dalla dimensione stessa dell'oggetto.
Allo stesso modo ritengo possibile Tapplicazione di tale metodo per
oggetti precisi e relativamente limitati. Un'organizzazione o un'in­
sieme di organizzazioni, con lo studio del sistema di informazione e
del sistema di decisione che vi si riferisce13, mi pare altrettanto im­
possibile per una società globale, per l'economia occidentale o per
la politica generale dell'Europa, per esempio. La formalizzazione in
sistema potrebbe qui rivelare, al massimo, ciò che non è possibile
ottenere con l1 interpretazione. In questo libro mi colloco, tuttavia,
molto più vicino all'ottica di Parsons nell'opera Le Système des so-
ciétés modernes.

* -k *

È necessario affrontare una critica seria. Si può considerare la


tecnica come se avesse una sorta di vita autonoma? Si può analizzare
il sistema tecnico come un orologio che funziona autonomamente?
La tecnica esiste solo perché vi sono uomini che vi partecipano, che
la fanno funzionare, che la inventano, che scelgono. Pretendere di
analizzare la tecnica senza tener conto delle alee, delle irregolarità
causate dall'uomo, significa procedere a un'astrazione illegittima
oltre che impossibile. Il sistema tecnico è puramente immaginario:
non lo si può vedere. Ciò che si può vedere sono uomini che utilizza-

Si veda ad esempio J.L. Le Moigne, Les Systèmes de décision dans ies organisa-
tions, puf, Paris 1974.

Ili
Che cos'è la tecnica?

no gli strumenti. La tecnica non esiste, esistono prodotti, macchine,


metodi ma considerarli un insieme è artificioso. Lefebvre vuole
• « »

dimostrare che esistono tecniche diverse, senza relazione le une con


le altre, che ci sono oggetti tecnici sparsi, sparpagliati, con finalità
divergenti, mai relativi allo stesso ambiente. Ci sarebbe quindi un in­
sieme, una somma e non un sistema. Mi rendo conto che analizzando
il sistema tecnico come oggetto a sé stante, senza considerare ( uo­
mo, o i gruppi, mi scontro con una delle tendenze principali della
sociologia attuale. Nello stesso modo si rimprovera a Weber di aver
studiato la burocrazia come sistema, enunciandone caratteristiche e
leggi di funzionamento. Si mette in risalto il fatto che siano i fun­
zionari, gli impiegati a contare, e che, in fin dei conti, in uno studio
concreto, non c'è traccia delle leggi e dei principi posti da Weber, ma
si trovano rapporti umani, azioni e reazioni di gruppi e di individui,
«disfunzioni» dovute a scelte e iniziative: questa è la realtà constata-
bile di un amministrazione. Anche nel caso della cosiddetta tecnica è
l'uomo, in ultima analisi, a scegliere e agire. Anche in presenza di una
certa realtà del tecnico, è un errore pretendere di condurre un’analisi
a prescindere dalla presenza deiruomoH. Eppure, nonostante cono­
sca tale obiezione e ne riconosca la totale correttezza, è ciò che ho
provato a fare qui. Per due ragioni.
In primo luogo, affermare che si «vedono» solo oggetti tecnici
separati, che non formano un sistema, significa (con tutto il rispetto)
assumere un atteggiamento limitato. Quando l uomo, considerando
le cose della natura, vi vede oggetti separati: nuvole e erba, pietre
e acqua, ecc., tutto separato e senza relazione, non si può dire che
assuma una posizione intellettuale molto soddisfacente. Sappiamo
che fin dalle origini l’uomo ha cercato di stabilire un sistema della
natura: da una parte un sistema di relazioni, dall’altra uno esplicati­
vo. Si è spesso ingannato, con spiegazioni e corrispondenze magiche
o metafisiche, ma ogni volta un sistema ne ha rimpiazzato un altro,
fino alla formulazione di un sistema di relazioni razionali, che chia­
miamo scientifiche. Esattamente la stessa operazione che ho tentato

14 B.B. Seligman, A most notorìous victory, cit., ha compiuto una sorta di analisi
delle principali argomentazioni diffuse negli Stati Uniti contro l’idea che la tecnica
sia divenuta autonoma. Ritiene che coloro che avanzano tali argomenti lo facciano
grazie a «una distorsione dei fatti, a una fondamentale ignoranza della nuova tec­
nica, a concezioni semplicistiche e arcaiche...».

112
La tecnica come sistema

qui. Non voglio dire che la mia descrizione del sistema tecnico sia
scientifica e determinante, ma si tratta di un primo passo indispen­
sabile, e senza di esso nulla può essere fatto per la comprensione del
nuovo universo nel quale l’uomo si trova.
Per di più, procedendo all’astrazione delle disfunzioni umane, as­
sumo l’atteggiamento dello scienziato che enuncia «fermo restando
ogni altra cosa», quando si sa bene che una tale situazione non si
verificherà mai. E noto in chimica e fisica che l’analisi di un fenome­
no suppone l’astrazione da una data condizione: si giunge a una leg­
ge, ma nel momento in cui si vuole sperimentare, l’esperimento non
fornisce mai esattamente ciò che era stato previsto, perché i fattori
da cui si è fatta astrazione, non sono astratti in realtà. Ma se non si
procedesse in questo modo, non ci sarebbe scienza possibile. Per di­
scernere il fenomeno, per riconoscerne le regolarità, bisogna privarlo
artificialmente delle variabili, delle alee, delle perturbazioni acciden­
tali. Se ci si accorge che le variabili sono ugualmente sempre presenti
nella realtà, conviene reintegrarle e considerare, a partire dalla prima
analisi, le modificazioni che il fenomeno così subisce. Ciò che è ben
noto per le scienze cosiddette esatte deve essere applicato anche alle
scienze sociali. L’atteggiamento di Marx nei confronti dell’economia
politica mi sembra esemplare. Quelli che egli chiama economisti
(cioè i «classici», i liberali, i fondatori della scienza economica) ave­
vano proceduto all’astrazione del fattore umano. Marx non afferma
che avessero torto e che la loro analisi dell’economia fosse inesatta. Al
contrario si serve di tale analisi considerando i risultati acquisiti dagli
economisti scientificamente esatti. In seguito dichiara tuttavia che è
impossibile prescindere dal fattore umano in campo economico e che
è necessario vedere cosa il suo reinserimento implichi. Inoltre trae
conclusioni relative alla realtà economica dal fatto che sia stato possi­
bile studiarla scientificamente eliminando il fattore umano, e procede
a una critica dell’economia politica a partire dagli stessi dati fornitigli
dagli economisti classici; ma il loro passo iniziale era indispensabile.
Lo stesso vale per Weber e la burocrazia: lo studio delle disfunzioni e
l’analisi dei comportamenti degli impiegati è possibile solo a partire
dalla costruzione sistematica di Weber. Sarebbe errato affermare che
la burocrazia sia (esclusivamente) il sistema dimostrato da Weber.
Ma sarebbe altrettanto errato dire che sia (esclusivamente) un insie­
me di rapporti umani, di pressioni, di interessi, ecc. Essi ricavano il

113
Che cos e la tecnica?

proprio significato e la possibilità stessa di esistere solo collocandosi


all*interno e in rapporto al sistema oggettivo.
Che significato avrebbero le relazioni umane se non si sapesse da
principio che sono inserite in un insieme di regolamenti, gerarchie,
concorsi, competenze oggettivamente stabilite? E innanzitutto ne­
cessario conoscere, determinare questi elementi per capire che cosa
sia la realtà vissuta dall’uomo in rapporto a ciò. Non si deve obiettare
che Tunica realtà è quella vissuta, che è il «riconosciuto come», il
«compreso come» che conta, poiché nulla esiste al di fuori di tale
esperienza. E sicuramente esatto, ma perché vi sia un «vissuto», è ne­
cessario che ci sia una realtà esterna a tale esperienza: non voglio inol­
trarmi nel dibattito filosofico, dico solo che il funzionario può vivere
il concorso «come...», ma il concorso è istituito da una legge che gli
conferisce realtà, che ci sono regolamenti di applicazione, una giuria,
ecc. Questo insieme esiste non in quanto precedente all’esperienza,
né come occasione di esperienza, ma di per se stesso. Certamente è
vissuto attraverso una serie di esperienze personali o collettive e di
rappresentazione. Ma non lo si può ridurre a ciò, poiché se le leggi
e i regolamenti oggettivi non esistessero non ci sarebbero esperienza
né rappresentazione. E utile inoltre conoscerne Toggetto. In altre
parole, sembra che studiando il sistema tecnico non abbia tenuto
conto dell’uomo. In effetti fornisco il canovaccio sul quale interven­
gono Tazione, il rifiuto, l angoscia, Tadesione, la rappresentazione,
ecc. Nella conoscenza del canovaccio non posso non comprendere
queste esperienze e rappresentazioni, ecc. Non pretendo di restituire
la realtà, ma un certo dato indispensabile per conoscerla. In questi
ambiti non vi è certo alcuna realtà oggettiva, indipendente da ciò che
Tuomo vive, ma ciò che Tuomo vive non si riduce alla soggettività.
Bisogna tenere conto delle regole impostegli, degli ostacoli che in­
contra, ecc. Solo conoscendo il testo della legge posso comprendere
una data interpretazione, ottemperanza o infrazione. Descrivendo
il sistema non escludo le iniziative e le scelte individuali, ma solo la
possibilità che tutto sia ridotto a ciò. Non fornisco una descrizione
di «ciò che accade», «ciò che è», ma di ciò che Tuomo modifica,
accelera, perturba, ecc.
C e un altro errore che deve essere evitato: quello di credere che la
tecnica così considerata sia un oggetto, e che in rapporto a essa, Tuo­
mo sia il soggetto. Si sente comunemente dire che la tecnica fornisce

114
La tecnica come sistema

cose di cui l’uomo dispone. Tutto dipende quindi dall’uso buono o


cattivo che se ne fa... Gli stessi dichiarano che il sistema tecnico non
esiste in quanto tale, e che esistono solo oggetti tecnici. In realtà tali
oggetti non sono sparsi e senza relazione: sono inglobati in un siste­
ma. Per di più l’uomo chiamato ad agire su tale sistema, a utilizzare
gli oggetti tecnici non è soggetto assoluto: è incluso in una società
tecnica. E necessario precisare tale punto di vista piuttosto comune:
è innanzitutto quello delT«uomo della strada», che certamente non
percepisce un insieme tecnico e pensa di avere a che fare successiva­
mente con l’auto, la tv, il computer, l’aereo... momenti separati, usi
diversi, assenza di riflessione sulla loro coerenza e la loro continuità.
Tale atteggiamento deriva anche dalla specializzazione. Ogni settore
si sviluppa in modo indipendente dagli altri (in apparenza). Ciascu­
no di noi è immerso in un campo tecnico separato. Ciascuno conosce
la propria tecnica professionale, e solo essa. Si sa (teoricamente) che
vi sono altre tecniche, ma non si coglie la coerenza interna ai setto­
ri, sognando campi immensi e liberi in cui regnano l’indipendenza
e l’immaginazione. E pensando al proprio campo come quello del
rigore, dell’efficacia, della schiavitù. Questo atteggiamento deriva
anche, presso gli intellettuali, da un rifiuto sistematico di considera­
re la realtà: se la tecnica è veramente un sistema, allora la libertà di
pensiero è solo un’illusione, la sovranità dell’uomo è minacciata, ecc.
Dato che ciò è impossibile, la tecnica non può essere un sistema. E
questo riflesso di panico a guidare la maggior parte delle riflessioni
intellettuali sull’inesistenza della tecnica in quanto tale. E comodo e
rassicurante considerare solo strumenti, oggetti, metodi senza rela­
zione. Si può allora immaginare un uomo sovrano, che agisce sull’in­
sieme in completa indipendenza. Tutti gli elementi tecnici originano
da lui, non esistono al di fuori di lui e tornano a lui: è l’uomo a dargli
coerenza. C’è un forte rifiuto ad ammettere l’esistenza di un’organiz­
zazione specifica della tecnica, relativamente indipendente dall’uo­
mo, di una sorta di schematizzazione della vita da parte della tecnica.
Lo stesso rifiuto si manifesta in alcune reazioni romantiche (tutta una
parte della letteratura moderna si spiega in questo modo), nel rifiuto
intellettuale di tale possibilità, o nell’elaborazione di falsi concetti
per spiegare la nostra società, per dimostrare che in fondo nulla è
cambiato, l’uomo è sempre l’uomo, la società sempre la società, la
natura sempre la natura. La società è sempre formalmente e sostan­

te
Che cos’è la tecnica?

zialmente la stessa - cioè nulla è sostanzialmente cambiato in due


secoli. Si riconoscono la velocità, Vurbanizzazione, ecc., ma in fondo
si conserva l’immagine di una società intatta (così come di un uomo
intatto!): una società le cui strutture sono paragonabili a quelle del
passato (non le stesse ovviamente!). Si ritiene la società (di sempre)
composta come in passato da classi (con simili rapporti di classe),
e obbediente a una dialettica, sempre la stessa.... In altre parole,
c’è una realtà permanente che subisce modifiche superficiali, realtà
dell’uomo per gli uni, realtà della società per gli altri, realtà delle
classi, e vi si aggiunge un insieme di processi, di oggetti, di modalità
di lavoro, di macchine che certo cambiano dati aspetti della società,
ma alla fine vi si integrano, vi si aggiungono. Riappare continuamen­
te, anche presso i più «progressisti» l’immagine di una società mo­
derna che altro non è se non la società tradizionale più le tecniche.
Chiaramente ciò non viene enunciato in questi termini, ma il tipo
di analisi effettuata dimostra che quello è il presupposto (nascosto).
Esattamente quello di Lefebvre nella succitata frase. È molto difficile
accettare il fatto che viviamo in una società priva di misura comune
con quelle che Thanno preceduta, che l’esperienza e il pensiero degli
avi sono inutili.
Ciò che interessa e attira maggiormente è il cosiddetto «cam­
biamento rapido» (una civiltà, una società in corso di cambiamento
accelerato), concetto molto utilizzato negli studi condotti da cristia­
ni, dal Consiglio Ecumenico, ecc. Tale nozione è errata da due punti
di vista. Innanzitutto utilizzando tale nozione ci si fissa sulla rapidità
di cambiamento di un fattore anteriore conosciuto: ad esempio la
famiglia. Vi sono uno stadio a, uno stadio b e uno stadio c di famiglia,
e si constata che l’attuale passaggio da b a c è molto più rapido del
precedente passaggio da a a b. Tale problema è del tutto seconda­
rio: la questione è più la comparsa di una struttura e di un insieme
di funzioni radicalmente nuove che la rapida evoluzione di vecchi
elementi. Sicuramente, da un punto di vista morale o umanista, bi­
sogna preoccuparsi della sorte concreta degli individui o dei gruppi
interessati dal cambiamento rapido: ma ritenendolo più importante
di ogni altra cosa, ci si vota a non comprendere nulla della questione.
Bisogna interessarsi più alla comparsa di un ambiente nuovo che al
cambiamento dei vecchi quadri, più alla situazione dell’uomo nelle
strutture tecniche che alla trasformazione urbana. Il secondo aspetto

116
La tecnica come sistema

dello stesso errore appare quando si prende in considerazione l'ori-


gine del concetto di cambiamento rapido: è il risultato di un’impres­
sione particolarmente forte proveniente da un dato avvenimento sor­
prendente. Si produce di più, si va più veloce, ecc. Il «cambiamento
rapido» riguarda Paspetto spettacolare della nostra società. Implica
che ci si limiti al cronachistico puro. Al contrario è essenziale con­
centrarsi sulla mutazione globale dovuta alla comparsa del sistema
tecnico. A partire dal momento in cui si è veramente colto il signifi­
cato di ciò, le scoperte sensazionali perdono molto del loro interesse.
Andare sulla luna non è più un avvenimento: è la ragionevole e nor­
male conseguenza di quanto già esiste. Si può allora affermare che
dal momento in cui il sistema tecnico è diventato la struttura della
nostra società, non si può più parlare di «cambiamento rapido», ma
di conseguenze normali prevedibili e pressoché unilineari della mu­
tazione anteriore. Per cui mi sembra necessario rifiutare il concetto
di «cambiamento rapido», che è un diversivo.
Il sistema tecnico è un fenomeno qualitativamente differente dal­
la somma di più tecniche e oggetti. Non possono essere compresi se
li si considera separatamente o se si isola un settore d'azione della
tecnica: bisogna studiarli alTinterno e in rapporto al sistema tecnico
globale. Come si può valutare Pinfluenza della velocità delle comu­
nicazioni se le si separa dai metodi di lavoro moderno, dalle forme
d’habitat, dalle tecniche di governo e amministrazione, dalle esigenze
della produzione e della distribuzione, ecc.? Il solo fatto di isolare un
aspetto falsa completamente la questione nelPinsieme. La condizio­
ne primaria per comprendere il fenomeno tecnico, per intavolarne la
sociologia, è considerarlo nell'insieme, nella sua unità. Considerando
le tecniche separatamente, si può certo studiare per ognuna la forma­
zione, i metodi specifici, le influenze particolari, ma ciò non ci rivela
nulla sulla società nella quale viviamo e sulla realtà dell’ambiente
tecnico. Si assume così un punto di vista errato non solo sull'insieme,
ma anche su ciascuna delle tecniche particolari, poiché non possono
essere comprese se non in relazione le une con le altre: in quale mi­
sura ciascuna provoca lo sviluppo di altre tecniche, in quale misura
poggia su altre tecniche, ecc. Si tratta di un problema di metodologia
decisivo: è necessario studiare il sistema tecnico in sé, e solo a partire
da esso è possibile studiare diverse tecniche. Ciò porta al rifiuto di
ciò che chiamo Empirismo Astratto (già abbondantemente criticato

117
Che cosè la tecnica?

da Sorokin e Mills) - cioè l’atteggiamento che consiste nell’astrarre e


conservare un solo aspetto soffermandosi sulla realtà più immediata
come oggetto di studio, in modo da applicargli metodi esatti. Chiara­
mente il metodo matematico, la statistica, l’indagine possono essere
applicati ad aspetti limitati e subordinati: è sicuramente necessario
procedere a tale studio. Ma una volta fatto, bisogna sapere che esso
non costituisce il rapporto fedele né l’interpretazione esatta del tut­
to, né è una situazione esplicativa privilegiata o preminente. Se non è
parte di un’analisi della realtà globale, di una descrizione delle corre­
lazioni generali, induce all’errore chi si fida dei suoi risultati, poiché
manca l’essenziale: le interazioni.

'k * 'k

Ciò detto, possiamo tentare di tracciare rapidamente una prima


descrizione del sistema, spiegandone alcuni aspetti.
Il primo aspetto del sistema è chiaramente la sua specificità. Le
tecniche non sono comparabili a nulTaltro (ciò che non è tecnico
non ha nulla in comune con ciò che lo è) e sono accomunate da
caratteristiche simili: è possibile individuare tratti comuni a tutte
le tecniche. Ma è necessario andare oltre: tutte le parti sono in cor­
relazione, correlazione accentuata dalla tecnicizzazione delle infor­
mazioni. Ciò comporta due conseguenze: innanzitutto, non si può
modificare una tecnica senza provocare delle ripercussioni, delle
alterazioni su un gran numero di altri oggetti e metodi. In secon­
do luogo, le combinazioni tra le tecniche producono effetti tecnici,
nuovi oggetti o nuovi metodi. Queste combinazioni avvengono in
modo necessario, inevitabile. Inoltre, come tutti i sistemi, l’universo
tecnico possiede una certa propensione all autoregolazione, cioè a
costituire un ordine di sviluppo e funzionamento che fa sì che la
tecnica generi sia i propri acceleratori sia i propri freni. Tale aspetto
è tuttavia il più incerto, come vedremo. Tale sistema appare quindi
estremamente indipendente dall’uomo (come lo era Fambiente na­
turale).
Il sistema esiste essenzialmente perché tra i diversi fattori si è sta­
bilito non un rapporto meccanico (i diversi ingranaggi di un mecca­
nismo d’orologeria: non è così che si deve immaginare il sistema tec­
nico!), ma un insieme sempre più denso di rapporti di informazione.

118
La tecnica come sistema

È possibile rendersene conto già a livello della nostra interpretazio­


ne: la teoria dell’informazione, che oggi fa furore, è una «tecnologia
interscientifica» «che permette una sistematizzazione dei concetti
scientifici così come uno schematismo delle diverse tecniche». La
teoria dell’informazione non è una scienza nuova, né una tecnica tra
le tecniche: si è sviluppata per il fatto stesso che il sistema tecnico esi­
ste in quanto sistema per via delle relazioni tra le informazioni. Non
si tratta di un caso né di una geniale scoperta delLuomo: è una rispo­
sta alla necessità in cui l’uomo si trovava di tentare di comprendere il
nuovo universo. La teoria dell’informazione è un pensiero mediatore
tra le diverse tecniche (ma anche tra le diverse scienze e tra scienze
e tecniche). «Essa agisce come scienza delle tecniche e tecnica delle
scienze». Ma se le cose stanno così, se la teoria dell’informazione
sembra oggi il mezzo per penetrare nel sistema, è perché l’informa­
zione ha giocato tale ruolo nella strutturazione del sistema stesso. Le
diverse tecniche si sono unite in sistema attraverso le informazioni
trasmesse dall una all’altra e tecnicamente utilizzate in ogni settore. Si
può perfettamente applicare al sistema tecnico la formula di Wiener
(Cybernetics): «Così come la quantità di informazione di un sistema
ne misura il grado di organizzazione, così l’entropia di un sistema ne
misura il grado di disorganizzazione». Il sistema è nato a partire dal
momento in cui ogni oggetto o metodo tecnico non ha più avuto solo
la funzione di rispondere esattamente al compito per il quale è stato
creato, ma ha cominciato a emettere informazione, dal momento in
cui ogni oggetto tecnico o metodo, ha iniziato a non funzionare solo
in quanto tale, ma anche a registrare le informazioni emesse da tutto
l’ambiente tecnico (oltre a quelle emanate dall’ambiente naturale) e,
infine, dal momento in cui ciascuno ha tenuto conto delle informa­
zioni. Non è unicamente la comparsa della teoria dell’informazione
che ci obbliga a constatare ciò, ma anche il moltiplicarsi degli appa­
recchi trasmettitori di informazione e delle tecniche di informazione.
Il sistema tecnico è quindi divenuto esigente in questo settore: più la
tecnica si sviluppa e più, come condizione necessaria allo sviluppo,
aumentano le attività di informazione. La produzione materiale e lo
spostamento di oggetti sono divenuti meno importanti delle attività
non materiali. L’esplosione dell’informazione è stata necessaria alla
creazione del sistema: non è semplicemente prodotto accidentale
della capacità di produrre informazione. A partire dal momento in

119
Che cos’è la tecnica?

cui il sistema tende a organizzarsi, la domanda di informazione si


fa esplicita: appare cioè un nuovo settore informativo costituito da
tecniche che hanno come unica peculiarità quella di produrre, tra­
smettere, raccogliere informazioni.
Le informazioni sono al 90% prodotte dal funzionamento delle
tecniche di azione e intervento, e sono destinate a permettere ad al­
tri settori tecnici di perfezionarsi e adattarsi. Si tratta dunque di una
messa in relazione intertecnica, della comparsa di un insieme di me­
diazioni: ciò che fa della tecnica un sistema. Non si tratta quindi solo
(sebbene ciò abbia la propria importanza) della comunicazione di
scoperte scientifiche, di innovazioni, della loro lettura (messa a pun­
to dalla rete internazionale di informazione che integrerà le banche
dati elettroniche esistenti, ad esempio), ma ben più importante è la
relazione permanente, a livello concreto, talora estremamente mode­
sto, di tutto ciò che si realizza con tutto ciò che può essere realizzato
nei campi operazionali vicini. L’informazione scientifica ha sempre
attirato, inquietato, ma non è essa al centro del mondo: è invece il
passaggio continuo di migliaia di informazioni operazionali da un
settore tecnico a un altro. Ciò è stato reso decisamente più semplice
dalla comparsa del computer. E a questo livello che dobbiamo porci
la questione del nuovo insieme tecnico, grazie al quale il sistema tec­
nico riesce a costituirsi.
L’importanza del computer è chiaramente legata al fatto che più
avanziamo, più (cosa divenuta banale) l’informazione diventa la par­
te più significativa della nostra realtà. Non siamo più una società
dominata dall’imperativo di produzione, ma dall emissione, dalla
circolazione, dalla ricezione, dall'interpretazione di informazioni:
esattamente ciò che permette la costituzione del sistema. Le parti
non sono più solo coordinate, né semplicemente connesse le une alle
altre. Non sono materialmente unite, ma ciascuna emette e riceve
informazioni, e il sistema regge grazie alla rete di informazioni inces­
santemente rinnovate. Il che ne causa la flessibilità e l’impossibilità
di coglierlo in un momento dato: non è possibile procedere a una
sorta di «stato del sistema» perché ciò significherebbe fissare le in­
formazioni, e dunque negare il sistema stesso.
k k k

120
La tecnica come sistema

Il computer è un enigma. Non per quanto concerne la fabbrica­


zione o l’uso, ma perché sembra che l’uomo sia incapace di preve­
derne l’influenza sulla società e su se stesso. Probabilmente non ci
siamo mai trovati di fronte a un apparecchio tanto ambiguo a uno
strumento che sembra contenere in sé il meglio e il peggio, e soprat­
tutto a un mezzo del quale siamo incapaci di percepire le effettive
possibilità. Ovviamente sappiamo a cosa può servire un computer,
quanto a uso diretto. È inutile ricordare qui i possibili impieghi di un
computer. Non rientra nel nostro ambito di ricerca. Ricorderò solo
qualche verità riconosciuta. La macchina non fa tutto. L’uomo deve
innanzitutto definire lo scopo, l’obiettivo da raggiungere (a condi­
zione che sia suscettibile di una valutazione quantitativa), scegliere
un programma da installare nella memoria della macchina e tradurlo
in un linguaggio comprensibile al computer, raccogliere i dati re­
lativi al problema da risolvere. La macchina esegue le operazioni e
fornisce i risultati, ma è l’uomo a decidere che cosa fare dei risultati.
La macchina non può (in linea di massima; ce ne occuperemo oltre)
oltrepassare i propri limiti, né prendere iniziative. Funziona secondo
regole definite in precedenza. Grazie al suo impiego, l’uomo si trova
liberato da compiti secondari, automatici (si ritiene di conseguenza
che possa dedicarsi a superiori compiti di invenzione, creazione di
programmi). Mi fermerò qui in quest’elenco di banalità.
Si aprono subito questioni apparentemente insolubili. La radicale
opposizione dei ricercatori. E questa divisione, in cui sembra im­
possibile individuare una ragione per cui sostenere una posizione o
l’altra, che mi sembra attestare la reale inconoscibilità del computer
a livello più semplice. Il computer causerà disoccupazione? Secon­
do alcuni è inevitabile, perché intere categorie di impiegati saranno
brutalmente rimpiazzate, dato che un computer può svolgere il la­
voro di cinquanta o cento uomini. Secondo altri la costruzione e la
manutenzione di queste macchine, la creazione di programmi richie­
deranno una considerevole quantità di personale. Un dato program­
ma, in grado di risolvere un problema in pochi secondi, richiederà
mesi e mesi di lavoro per essere elaborato da una équipe. Tuttavia
non siamo assolutamente in grado di decidere tra le due posizioni a
causa della mancanza di esperienza reale. Si può solo affermare che
ogni progresso tecnico crea disoccupazione e nuovi, differenti posti
di lavoro di compensazione. Ciò che appare certo è che il computer

121
Che cos è la tecnica?

accentuerà la predominanza dei tecnici, degli impiegati altamente


qualificati, e dei giovani - rendendo sempre più rapidamente inutili
le competenze degli impiegati anziani.
Altro problema insolubile: il computer provocherà la centra­
lizzazione o permetterà la decentralizzazione15? Il computer ac­
celera la presa di decisioni e modifica i campi di centralizzazione e
decentralizzazione. Centralizzazione dei mezzi, coordinamento in
un solo punto del potere di decisione: il trattamento integrato per­
mette di analizzare la coerenza del processo di decisione. I processi
di memoria permettono la centralizzazione di tutti i dati utili in un
solo punto. Da ciò si può perfettamente concepire un solo centro di
decisione «politica». Le banche dati conferiscono una superiorità
decisiva al gruppo che le controlla - che sarà in grado di discutere
un piano economico stabilito dal potere a partire da milioni di dati
che sarà il solo a conoscere e che sono trattati da computer che è il
solo a possedere. Altri autori sostengono invece che il computer è
un meraviglioso strumento di decentralizzazione, che mette le ban­
che dati a disposizione di tutti, e che tutti potranno discutere la
politica con mezzi fino a oggi sconosciuti. La centralizzazione della
decisione è necessaria solo quando coordinamento e impulso la ri­
chiedono. In tutti gli altri casi la centralizzazione dei mezzi informa­
tici si può combinare con una decentralizzazione della decisione. La
decentralizzazione non è solo possibile, ma anche facilitata: il com­
puter solleva le collettività decentralizzate da compiti impegnativi e
accresce il potere decisionale aumentandone i mezzi di informazio­
ne - l’informatica coordina (e quindi rinforza) il sistema decentra­
lizzato, che del resto sarà presto reso necessario dalla congestione
del centro16.
Laspetto consolante in una tale discussione è che si tratti, ancora
una volta, di un semplice orientamento dell uomo: l’apertura a tutto
o la chiusura, il controllo delle banche dati da parte di alcuni sono
semplici questioni dipendenti dalla decisione umana. Se l’uomo lo
desidera, il sistema informatico può essere strumento di dittatura o
di democrazia. Come vedremo, non è così semplice.

” Su questo problema, si veda il notevole lavoro di L. Sfez, LAdministration pros­


pettive, Colin, Paris 1970.
16 Si veda il rapporto: ìdlnformatique et Ics libertés, 1975.

122
La tecnica come sistema

Vediamo un'ultima questione, la più centrale, apparentemente


insolubile. Quella dei limiti del computer, o della sostituzione totale
deH’uomo. Il computer rimane un semplice strumento inerte di cui
l'uomo fa ciò che vuole, o il robot acquisterà la propria autonomia
sostituendo l'uomo? L'interpretazione dell'evoluzione offerta da Le-
roi Gourhan è la seguente: l'uomo crea incessantemente al di fuori
di sé qualcosa che agisca al proprio posto rendendo così di fatto
inutile l'azione umana. La tecnica è un processo di esteriorizzazione
delle capacità dell'uomo. Ecco fatto l'ultimo passo. Davanti all'uo­
mo ce un essere in grado di fare tutto ciò che l’uomo fa ma con
più rapidità, precisione, ecc. L'interpretazione presentata dal libro
di Rorvik è caratteristica: l’evoluzione passa dall'ameba all’uomo at­
traverso successive mutazioni animali, e poi dall’uomo al computer,
che è semplicemente un ultima tappa dell’evoluzione. Ma il compu­
ter deve sostituire l'uomo come «re della creazione». La macchina
è intelligente. Non c’è limite alla sua intelligenza. All'interno di vi­
sioni che presenta come scientifiche, Rorvik descrive tutte le pos­
sibilità del computer: totale automazione delle fabbriche, capacità
di apprendere spontaneamente, di autoprogrammarsi; i computer
sono dotati di personalità, hanno crisi psicologiche, provano ami­
cizia, avversione, affetto, possono assolvere a compiti estremamen­
te eclettici: creare musica o poesia, insegnare, dedurre, dirigere una
psicoanalisi, curare malattie. Quanto alla capacità della macchina di
tradurre, formulare giudizi giuridici, leggere e utilizzare un qualsiasi
testo, Rorvik ritiene che siano cose già fatte. Basa questa affermazio­
ne su centinaia di dichiarazioni di specialisti (senza tuttavia mai dare
riferimenti precisi) ! Si possono trovare innumerevoli esempi di tali
immagini presso Elgozy (Le Désordinateur). Tale interpretazione del
fenomeno è suffragata anche da Bearne: «La macchina vive e pensa.
[Anch'egli prevede una stretta simbiosi tra computer e uomo, tenuto
conto che il computer è finalmente autonomo]. La macchina esplo­
ra fino al limite gli attributi che caratterizzano queste due finzioni
ma vive a pensa a proprio modo, riempiendo il quadro concettuale
classico di nuove virtualità e significati autonomi... Ciò afferma la
potenza di un pensiero creatore delle proprie norme, letteralmente
fondatore di un nuovo mondo pieno di senso... Le facoltà umane
come la mobilità volontaria, il processo mnemonico, la valutazione
di una situazione aleatoria, sono proficuamente simulate da tali mac-

123
Che cos e la tecnica?

chine e spiegate meccanicamente. Tali macchine non mimano più


• • •

la vita e il pensiero, ma vivono e pensano, più velocemente e meglio


dell'uomo nel silenzio delle passioni e dei sentimenti che... ci impe­
discono di vivere». Baune è stato chiaramente molto impressionato
dal celebre lavoro di Von Neumann17, del quale cita il contenuto
sulla capacità del robot di riprodursi. Neumann dimostra come, in
effetti, esso possa (teoricamente!) avere un sistema autoriproduttore.
Riproduzione che inoltre sarebbe sempre totalmente chiara e consa­
pevole, al contrario della riproduzione biologica in cui c’è sempre
una parte di contingenza. Neumann mostra come un’istruzione, nel
sistema che ha descritto, rivestirà il ruolo di padre e il meccanismo
copiatore effettuerà l’atto fondamentale della riproduzione (dupli­
cazione del materiale genetico) e uno dei sottosistemi dell’insieme
introdurrà cambiamenti arbitrari... Tuttavia, senza inoltrarmi nella
critica generale, devo constatare che in tutta la descrizione di Neu­
mann, c’è sempre un misterioso si che fornisce programmi, istru­
zioni, che mette in relazione l’automa A con l’automa B, ecc. In altre
parole, affinché il computer sia in grado di «autoriprodursi», deve
essere programmato per tale scopo. Non vedo quindi dove sia l’idea
di autoriproduzione. Baune non esita tuttavia a parlare di «inizia­
tiva» del computer, di un modello artificiale di pensiero umano, di
un «cervello elettronico», allacciandosi alle Macchine per pensare di
Couffignal. Vorrei dire a riguardo che tutti i lavori che attribuiscono
al computer un potere di identificazione con l’uomo, in meglio, e una
sorta di possibilità totale, sono vecchil8. Quasi nessun lavoro recente,
salvo qualche opera assolutamente minore19. Come si sa, fino al 1963
circa, c’è stata l’infatuazione, l’entusiasmo da parte degli specialisti:
tutto era possibile grazie al computer. Da dieci anni a questa parte vi­
viamo un periodo di esitazione, critica, incertezza. Bisogna dire che
non si è nemmeno sicuri di cosa si sia attualmente ottenuto grazie al

17 J. Von Neumann, The General and Logicai Tbeory of Automata in thè World oj
Mathematics, iv, 1956.
18 Eccezion fatta per W. Skyvington, Machina Sapiens, Éditions du Seuil, Paris 1976.
19 N. Wiener, God and golem, Chapman & Hall, London 1964 (tr. it. Dio e Golem
s.p.a.y Boringhieri, Torino 1967); J. Von Neuman, op. àt.\ L. De Broglie, Machine à
calculer et pensée humainey 1953; Toa, Brain Computer, 1960; L. Couffignal, La Machine
à penser, Éditions de Minuit, Paris 1952; É. Delavenay, La Machine è traduire, puf, Paris
1963; ecc.

124
La tecnica come sistema

computer: secondo alcuni la diagnosi di malattie è già realtà, secon­


do altri i tentativi attuali sono deludenti. La macchina per tradurre?
Esiste ed è utilizzata. Ma come dicono Elgozy, Vacca e Molès, è un
completo fallimento. La macchina fornisce «traduzioni» totalmente
incomprensibili. Allo stesso modo la macchina per insegnare e quella
per giocare a scacchi sono pura fantasia. Per quanto riguarda la di­
mostrazione di teoremi, si tratta di teoremi già noti: il computer non
ha fatto avanzare la matematica di un passo. Quanto alla possibilità
per il computer di «apprendere» in modo autonomo e sulla base di
precedenti esperienze fatte dalla macchina, come dice precisamente
Vacca, è una questione di definizioni: si possono programmare com­
puter perché reagiscano a segnali provenienti dall’esterno e utilizzino
tali segnali a proprio vantaggio. Il computer può elaborare statistiche
concernenti il comportamento dell’ambiente circostante e in funzio­
ne dei risultati orientare gli strumenti sotto il proprio controllo. Ma è
fuori questione che il computer possa rispondere in modo ottimale a
avvenimenti non previsti dal programmatore20. Chiaramente le storie
secondo le quali in computer prova piacere, affetto, ecc., sono stu­
pidaggini: si parla di psicosi quando la macchina si guasta, e di amo­
re quando risponde meglio al proprio programmatore abituale (che
semplicemente ne conosce meglio le risorse!). C’è traccia di somi­
glianza tra la macchina e il cervello, tra il meccanismo e il pensiero?
E fondamentale rendersi innanzitutto conto che il funzionamento
del cervello umano è essenzialmente di tipo non formale21. Sebbe­
ne attraverso una via per nulla comparabile a quella del pensiero,
il computer può ottenere un certo numero di risultati che l’uomo
ottiene attraverso il pensiero, ma nel pensiero umano c’è sempre una

20 Per la critica dei sedicenti risultati già raggiunti e delle previsioni si vedano R.
Vacca, Demain, le Moyen Àge, A. Michel, Paris 1973 (ed. or. li Medioevo, prossimo
venturo: la degradazione dei grandi sistemi, Mondadori, Milano 1971); G. Elgozy, Le
Désordinateur: lepérilinformatique, Calmann-Lévy, Paris 1972. Quest’ultimo risulta
panicolarmente interessante poiché l’autore toma su sue precedenti posizioni molto
più positive (espresse in Automation et Humanisme, Calmann-Lévy, Paris 1968). J.-
M. Font, J.-C. Quiniou, Les Ordinateurs, mythes et réalités, Gallimard, Paris 1968,
che analizzano magnificamente il mito del computer universale, robot pronto a tu­
tto, creatore di musica e divertimenti, ecc.
21 Si veda l’eccellente studio del problema condotto da R. Escarpit, Tkéorie gé-
nérale de VInformation et de la communication, Hachette, Paris 1976 (tr. it. Teoria
dell'informazione e della comunicazione, Editori Riuniti, Roma 1979).

125
Che cos’è la tecnica?

parte di imprevedibilità e sorpresa inaccessibili al computer. Inoltre


quello umano non è un mondo esclusivamente razionale. E meravi­
glioso sentir dichiarare tranquillamente che passioni e sentimenti ci
impediscono di vivere! Non voglio discuterne. Per un tempo ancora
indeterminato saremo esseri di passione, sofferenza, gioia, speranza,
disperazione, ecc. Le decisioni che siamo chiamati a prendere non
possono prescindere da ciò. Così nelle nostre decisioni entrano fat­
tori inaccessibili al computer. L uomo prende decisioni anche aven­
do a disposizione informazioni incomplete, e se le informazioni sono
complete, vi aggiunge fattori irrazionali. Per decidere una guerra, chi
può misurare in anticipo un fenomeno di panico che colpisce tutta
una popolazione e blocca Tesercito, come ad esempio nella Fran­
cia del 1940? La decisione presa dall’uomo non è mai (certamente
non per incapacità, incompetenza, mancanza da parte dell’uomo) la
soluzione a un problema (cosa che il computer è in grado di forni­
re), ma lo scioglimento di un nodo gordiano (cosa che il computer
è incapace di fare!). Il procedimento logico è solo una parte della
decisione, dato che il mondo nel quale la decisione si deve inserire
non è razionale. Non si deve dunque immaginare una perfezione del
computer atto a fare qualsiasi cosa e a rimpiazzare Tuomo. Elgozy
afferma correttamente che «è proprio dello spirito umano non fare
calcoli, ma sapere di fare calcoli e conoscerne il significato»: cosa che
il computer non può fare!
A queste condizioni, qual è il vero ruolo del computer, al di là
delle operazioni parcellari spesso descritte (raccolta, conservazione e
trasmissione di dati) e degli altrettanto parcellari campi di applicazio­
ne? In realtà è il computer che permette al sistema tecnico ài costituirsi
definitivamente in sistema: è innanzitutto grazie a esso che i grandi
sottosistemi si organizzano. Ad esempio, il sistema urbano può essere
dedotto solo a partire dalle banche dati urbane (risultato di censimen­
ti, permessi di costruzione concessi, creazione di reti idriche, telefoni­
che, elettriche, di trasporti, ecc.), così come il sistema di comunicazio­
ni aeree può funzionare solo grazie ai computer, data la complessità, il
numero in rapida ascesa dei problemi derivanti dalla moltiplicazione
dei trasporti combinati col progresso tecnico in tali campi (non si
tratta solo della prenotazione di posti, di cui spesso si parla, ma per
esempio del continuo contatto di ogni aereo, in ogni istante, con un
gran numero di centri di controllo a terra). È grazie a lui che possono

126
La tecnica come sistema

apparire le grandi unità contabili, cioè le infrastrutture per un'illimi­


tata crescita delle organizzazioni economiche e amministrative. E ne­
cessario ricordare l’importanza del computer in quanto memoria per
il lavoro scientifico? E la sola soluzione all’annientamento del ricer­
catore e dell’intellettuale ad opera della documentazione. La maggior
parte del tempo di uno scienziato è dedicata alle ricerche bibliogra­
fiche (esistono attualmente più di centomila volumi unicamente bi­
bliografici, il cui elenco costituisce una seconda bibliografia - World
Bibliography of Bibliographies). Il computer permette al sottosistema
scientifico di organizzarsi in modo efficace a questo scopo, così come
per la registrazione di scoperte, innovazioni, invenzioni, ecc. Solo il
computer permetterà l’adattamento dei sottosistemi amministrativi,
dei servizi pubblici, commerciali, ecc. alla crescita demografica. Biso­
gna tuttavia ricordare che il computer può funzionare unicamente sui
grandi numeri: è ridicolo utilizzarlo, come spesso accade, per medie
imprese commerciali o per piccoli istituti che lavorano con un nume­
ro ridotto di ricercatori. La maggior parte dei computer che conosco
vengono sottoimpiegati da gruppi che non hanno capito che, secondo
la valida formula di Font e Quiniou, «il computer è un bulldozer ed
è impensabile utilizzarlo per vangare l’orto». Non si è capito nulla di
ciò che in realtà è il computer se si considera unicamente il fatto che
effettua operazioni più rapidamente di un contabile.
Sfez ha ad esempio dimostrato che tutto il sistema amministrativo
deve essere modificato in funzione di tale apparecchio. Nel sottosi­
stema amministrativo rappresenta un fattore di conoscenza e forma­
zione (esigenza avvertita dagli amministratori di concettualizzare in
modo rigoroso i problemi affrontati), ma turba i rapporti di autorità.
La decisione politico-amministrativa cambia carattere. Il programma­
tore diventa capo dello strumento amministrativo. «Colui che deci­
de» è obbligato al dialogo e non può più conservare il proprio status
su base giuridica o gerarchica. Esiste una totale contraddizione tra
la rigidità dello status della funzione pubblica e la fluidità del settore
informatico. Il personale esecutivo tenderà a scomparire, acquistan­
do una funzione di rapporto col pubblico, di sondaggio o di ricerca.
Dal punto di vista delle strutture, il computer fa passare i servizi di
gestione dalla gestione parallela a quella integrata (ad esempio, gli
stipendi precedentemente gestiti da ogni ministero per il proprio per­
sonale, verranno gestiti per tutti da una sola macchina dipendente da

127
Che cosè la tecnica?

un servizio unico e indipendente). Allo stesso modo ci sarà gestione


integrata dell’informazione di tutti i servizi. Inoltre il computer tra­
sforma le procedure e le strutture dei controlli amministrativi (elimi­
nandone la maggior parte), causa Firnificazione delle procedure e il
concatenamento delle decisioni amministrative. Ciò comporta quasi
necessariamente nuovi poteri da parte dell’amministrazione (rischio
di conoscere tutto ciò che riguarda tutti gli individui di una nazione:
ogni individuo verrà schedato...). Infine il computer permette l’orga­
nizzazione dei sottosistemi stabilendo legami e rapporti tra le diverse
parti dell’insieme. Chiaramente continuare a parlare dell Amministra­
zione è un’astrazione intellettuale. Ci sono in realtà amministrazioni
multiple, indipendenti le une dalle altre, concorrenti, che conservano
i propri segreti, ecc. Ciò non sarà più possibile con il computer: o si
sceglie di non utilizzarlo o, se lo si usa, ci si trova obbligati a collegare
le diverse reti di informazione e di decisione amministrativa: non si
tratta di collegarle, come attraverso una sorta di comitato intermini­
steriale, ma di integrarle. Tutto ciò che abbiamo appena ricordato, e
che è stato brillantemente analizzato da Sfez, mostra come la funzio­
ne del computer sia integrare le parti dei sottosistemi tecnici (poiché
può essere validamente utilizzato solo nel caso di attività umane tec­
niche, altrimenti l’ambito sarebbe troppo vago. Ovviarne si potrebbe
far dipingere un quadro da un computer, ma ciò non rivestirebbe
alcun interesse, a parte soddisfare una curiosità). Quando si vuole
introdurre il computer nel settore culturale, come nel caso di Mo-
lès, le possibilità sono due: o si tratta di folklore o ciò comporta la
tecnicizzazione totale del mondo culturale e la sua trasformazione in
sottosistema tecnico22. Il computer può relazionarsi unicamente a dati
tecnici, poiché sono i soli cifrabili e redditizi. Questo è il motivo per
cui dovrà passare ancora molto tempo prima che possa essere appli­
cato al puro uso scientifico (non redditizio, malgrado la celebre for­
mula «ricerca e sviluppo») e non può essere utilizzato in attività che
sarebbero redditizie, ma che non possono essere ridotte a tecniche
perché non matematizzabili. Il computer opera in funzione e attra­
verso sottosistemi tecnici o che obbliga a diventare tecnici. Non c e
altra possibilità. Tale integrazione è tanto forte che il computer stesso

22 Ci occuperemo di tale problema specifico nello studio dell’Arte nella società


tecnica.

128
La tecnica come sistema

non ne rimane escluso. Il progresso in parallelo delle diverse tecniche


di comunicazione è superato: informatica, televisione, telecomunica­
zione si incontrano per formare realizzazioni sempre più numerose
che costituiscono veri sistemi elettronici di comunicazione che asso­
ciano dispositivi di emissione e ricezione audiovisiva, capacità di ela­
borazione, memorizzazione, e mezzi di trasmissione a distanza. Più
che di computer, circuiti televisivi o reti telefoniche, bisogna ormai
parlare di sistemi elettronici di comunicazione. Questo nuovo organi­
smo specifico costituisce il nuovo rapporto tra sottosistemi tecnici e
permette la costituzione del sistema tecnico nel proprio insieme. Ma
non bisogna farsi prendere dall'entusiasmo, come afferma il Diebold
Research Program (1971). Lungi dal semplificare la tecnica o gli affari,
il computer ha aumentato la complessità e imposto ai ricercatori e ai
dirigenti una serie di costrizioni in continua mutazione. L’integrazio­
ne di un insieme in un sistema funzionante senza scosse si è rivelata
molto più difficile di quanto si pensasse e di quanto desiderassero i
produttori di computer.
Incredibili difficoltà che non si sa se potranno essere superate,
incredibili mutazioni di tutte le strutture e di tutti i processi esisten­
ti, che fanno sì che, come perfettamente sottolinea Vacca, «spesso
si preferisca limitarsi all’uso più basilare, a livello più semplice, del
computer». Se il progetto sequenziale, la struttura e la logica del si­
stema in questione non sono stati definiti in modo soddisfacente, se
i problemi posti dall’eventuale congestione non sono stati studiati,
non si potrà trarre alcun apprezzabile vantaggio dall’uso del com­
puter. Quando si realizza un calcolatore (e come abbiamo visto non
è ancora nulla!) senza aver effettuato precedentemente l’analisi del
sistema, per non rischiare un fallimento, si finisce col trasferire nei
programmi del calcolatore le più semplici strategie e strutture: «Esi­
stono sistemi in cui un certo numero di procedimenti sono regolati
da un calcolatore e che per questa unica ragione sono considerati
moderni e efficaci, quando invece forniscono prestazioni modeste
e poco interessanti». Non basta utilizzare un calcolatore per essere
moderni. In realtà ciò ci conduce a una scoperta essenziale: è com­
pletamente inutile parlare del computer come unità. Abbiamo appe­
na visto la connessione necessaria tra computer e telecomunicazione.
Inoltre il processo di rapidità di calcolo, la dimensione della memo­
ria, ecc., sono privi di interesse. Considerare un computer significa

129
Che cos’è la tecnica?

limitarsi alla mentalità del curioso che va alla fiera a vedere il nano o
la donna barbuta. Il computer non è un gadget per fare meglio e più
in fretta. I computer sono i fattori di correlazione del sistema tecnico.
Fino a oggi i grandi insiemi tecnici hanno avuto poche relazioni tra
di loro: venticinque anni fa non si poteva parlare di sistema tecnico
perché l’unica cosa percepibile era una crescita della Tecnica in tutti
i campi dell’attività umana, ma una crescita anarchica, poiché questi
campi erano ancora caratterizzati dalla divisione tradizionale delle
operazioni condotte dall’uomo, senza relazione tra loro. Sebbene si
cercassero mezzi tecnici per metterli in relazione, si poteva pensare
solo a un’organizzazione di tipo istituzionale, l’unica nota per creare
procedure e connessioni tra servizi diversi o settori separati di atti­
vità. Si trattava quindi di un processo di inquadratura esterna e di
«incavigliatura» rigida che impediva ai sottosistemi tecnici di svilup­
parsi gli uni in rapporto agli altri. Il processo informatico ha risolto
il problema: grazie al computer è apparsa una sorta di sistematica
interna dell’insieme tecnico, che si esprime attraverso e giocando a
livello dell’informazione. Attraverso l’informazione integrata totale
e reciproca, i sottosistemi tecnici possono simultaneamente costitu­
irsi come tali e coordinarsi. Nessuna persona, nessun gruppo uma­
no, nessuna costituzione avrebbe potuto farlo. Con l’avanzare della
tecnicizzazione i settori tecnici tendono a diventare indipendenti,
autonomi, incoerenti. Solo il computer può farvi fronte. Chiaramen­
te non si tratta di un computer, ma di un insieme di computer che
agiscono in modo coordinato gli uni con gli altri in tutti i punti di
comunicazione del sistema. Tale insieme diventa il sottosistema di
connessioni tra i diversi sottosistemi tecnici. Senza abusare del pa­
ragone, è come se fosse il sistema nervoso dell’insieme tecnico - a
condizione soprattutto di non effettuare alcun paragone con la costi­
tuzione del sistema nervoso animale (ci sono tot cellule nel cervello
e tot elementi in una memoria, cosa totalmente stupida), o il suo
funzionamento: il paragone può essere fatto a livello delle funzioni.
Riveste il ruolo del sistema nervoso nell’ordine tecnico. Ogni altro
paragone è privo di interesse, è infantile peseudoconoscenza. L’uomo
è incompetente in presenza di una funzione così puramente tecnica.
Solo il più perfetto e potente apparecchio dal punto di vista tecnico
può farcela. Il computer riveste così un ruolo inaccessibile all’uomo!
Non c’è quindi concorrenza tra i due. L’idea del computer servo o

130
La tecnica come sistema

ribelle, o del computer che sostituisce Fuomo nel processo evolutivo,


sono fantasie che dimostrano che coloro che parlano del computer
non hanno ancora capito nulla di che cosa esso sia e procedono per
antropomorfismo. Non basta dire che il computer può fare questo o
quello. Sono discorsi assurdi: la sola funzione dell'insieme informati­
co è permettere F unione agile, informale, puramente tecnica, imme­
diata e universale tra i sistemi tecnici. È dunque un nuovo insieme
di funzioni, inedite, dal quale Fuomo è escluso, non per concorrenza
ma perché fino a oggi nessuno vi ha assolto. Ciò non significa che il
computer sfugga alFuomo, ma che si realizza un insieme strettamen­
te non umano. Una volta avvenuta la tecnicizzazione parcellare dei
compiti, si è progressivamente passati a dimensioni (di produzione,
ad esempio) che hanno bisogno di nuove organizzazioni. L uomo era
ancora in grado di fare ciò: le grandi organizzazioni sono state rese
possibili dalle tecniche organizzative. Ma con la tecnicizzazione di
tutte le attività e la crescita di tutte le tecniche, ci si trova davanti a un
ostacolo, un’irregolarità per la quale ciò che viene fatto, in quantità,
complessità, velocità non è più a dimensione d uomo. Nessuna or­
ganizzazione può più funzionare in modo soddisfacente. Il fenome­
no computer appare esattamente a questo punto d'impasse. Finora
Fuomo non ha ancora realizzato ciò che esso implica da una parte e
permette dall’altra. E l’ordine tecnico, che procede attraverso molte­
plici informazioni e che produce gli adattamenti dei sottosistemi tec­
nici in seguito a tali informazioni, provenienti dal nuovo ambiente.
L'insieme dell’operazione oltrepassa la comprensione umana, anche
se Fuomo programma un computer, e poi un altro e un altro ancora:
perché non è più lì il problema - o si continua a usare il computer
come una macchina per effettuare calcoli, e allora si può dire che
non serva a nulla e tutte le critiche di Elgozy, Vacca e Quiniou sono
esatte (si potrebbe fare delFumorismo), oppure il sistema tecnico è
abbastanza potente da imporre questo reale e unico servizio del com­
plesso informatico, e allora assisteremmo alla vera realizzazione del
sistema tecnico resa possibile dalia correlazione e dall’integrazione.
In tale sistema assisteremmo alFinternalizzazione delle funzioni tec­
niche e alla loro integrazione reciproca, contemporaneamente alla
creazione di un universo virtuale (poiché totalmente fatto di comu­
nicazioni) dotato di una dinamica propria: allora il sistema tecnico
sarebbe completo. Non lo è ancora. Ma il complesso di computer lo

131
Che cos e la tecnica?

rende possibile. Se si vuole comprendere (e non descrivere tecniche


informatiche, o enumerare possibilità parcellari) che cosa sia il com­
puter, ci si può arrivare unicamente in questa prospettiva.
La condizione è quindi quella di esaminare il Tutto dell’informa­
tica (e non un computer) nelle relazioni con il sistema tecnico globa­
le (e non con l’uomo). Ogni altra impresa è superficiale e condanna
Puomo a non comprendere la propria invenzione.
Il computer ci colloca in una situazione radicalmente nuova, in
cui le applicazioni apparentemente magiche forniscono una falsa idea.
Questo apparecchio crea una nuova realtà. La perfetta trascrizione,
trasposizione che si verifica attraverso la sua intermediazione provo­
ca una svalutazione del reale tangibile, sempre incerto, frammentario,
soggettivo, a vantaggio di una comprensione globale, cifrata, oggetti­
va, sintetizzata, che si impone a noi come la sola realtà effettiva. Ciò è
provocato non solo dalla straordinaria efficacia dell’apparecchio, ma
anche dall’atteggiamento che abbiamo progressivamente acquisito.
Ad esempio, siamo sempre più abituati all’idea che ciò che conside­
riamo reale (addirittura sensibile) è solo la proiezione su una griglia
culturale di un reale che non cogliamo mai per se stesso. Tutto ciò che
conosciamo è l’effetto di un apprendimento culturale che ci fa vedere o
capire certe cose, senza alcuna oggettività. Viviamo in questo universo
incerto, ed ecco che un organismo rigorosamente oggettivo, neutrale,
ce ne offre una trasposizione che ci appare esatta perché matematica.
Come potremmo non credere che tale immagine sia vera? Il compu­
ter (anche se programmato da qualcuno appartenente a una definita
cultura) non è tributario dei nostri veli culturali. L’altra caratteristica
mentale che contribuisce a inserirci nella realtà del computer è sicura­
mente la nostra abitudine a tradurre il mondo in cui viviamo in cifre,
o a considerarlo nell aspetto dell’infinitamente grande (le galassie) o
dell’infinitamente piccolo. Probabilmente quest’ultimo elemento è il
più decisivo. Quando scopro che il legno che tocco è fatto di vuoto
e atomi che si muovono a velocità inaudita, quando scopro che tutto
l’ambiente solido è in realtà minacciato dall’antimateria, che massa e
energia sono intercambiabili, mi inserisco in un universo astratto, il
reale che mi circonda non è più significativo né certo, e colgo come
unica certezza il numero, indipendente e autonomo. Siamo pertanto
pronti ad accettare la realtà di tale universo cifrato, sintetico, globaliz-
zante, indiscutibile creato dal computer. Non siamo più in grado di re-

132
La tecnica come sistema

lativizzare: la visione dataci del mondo in cui ci troviamo ci sembra più


vera della realtà che viviamo. Almeno là c’è qualcosa di indiscutibile,
e ci rifiutiamo di vederne il carattere puramente fittizio e figurativo.
Sprofondiamo in un abisso se ci mettiamo a pensare che «qualcuno»
abbia potuto falsificare uno dei dati del computer o abbia modificato
il programma a nostra insaputa: qualsiasi sia l’alea, il risultato è tenuto
per buono. Come potremmo dimostrare che il computer si è sbaglia­
to? Anche se venisse rilevato un errore, ciò non metterebbe in causa il
fatto che l’universo cifrato del computer sta diventando progressiva­
mente l’universo considerato reale nel quale ci inseriamo23.
Quanto alla mutazione del ragionamento, del pensiero umano
che ciò implica, non posso qui riprendere il conflitto specifico tra
Immagine e Parola (che ritroveremo più avanti), ma bisogna notare
un punto interessante: l’integrazione completa tra uomo e computer
comporterà la scomparsa del pensiero dialettico, del ragionamento
dialettico e della comprensione dialettica del reale. Il computer è
fondamentalmente non dialettico, è basato sul principio esclusivo di
non-contraddizione. Col sistema binario, bisogna scegliere, è sempre
sì o no. Non si può ingaggiare un pensiero evolutivo che inglobi gli
opposti. Tale pensiero può servirsi dei dati del computer, ma il com­
puter lo condurrà necessariamente a delle scelte. Non c’è mai uso
massimale del computer, che rimane sempre sottoutilizzato. Se l’ap­
parecchio viene impiegato a pieno regime, allora il pensiero dialettico
diventa impossibile. E necessario riconoscere che il computer è ma­
nicheo, ripetitivo e non comprensivo. Con un uso prolungato di tale
meraviglioso apparecchio, non si giungerà a tale modello di pensiero?
L’uomo vi è spontaneamente portato! Il pensiero dialettico sarà ab­
bandonato grazie alla complicità dell’uomo e dell’apparecchio.
* * *

21 Ciò è stato messo in luce in particolare nel romanzo di Morris West, Harlequin,
Collins, London 1974 (tr. it. UArlecchìno, Mondadori, Milano 1975). Un cambia­
mento di programma, in seguito eliminato, appare come una mancanza enorme in
un’azienda multinazionale, poiché comporta la probabile truffa da parte di uno dei
direttori. Si parla di cifre tanto elevate e affari tanto complessi da essere inimmagi­
nabili. Nessuno potrebbe verificarli completamente: solo il computer. È allora che
il risultato fornito dal computer diventa reale, e considerato tale dall opinione pub­
blica, anche se gli interessati affermano di non aver fatto nulla e che l’azienda è sana.
Ma nessuno può in effetti verificarlo • * *

133
Che cos è la tecnica?

Desistenza del sistema trasforma considerevolmente la nostra va­


lutazione dei fatti, delle scoperte tecniche parcellari. In effetti, con­
serviamo la convinzione di essere liberi di scegliere in presenza di un
nuovo fattore, di poterlo accettare o rifiutare. Tentiamo di valutare la
«pillola», Pauto, i razzi interplanetari, il marketing, il video e con-
» • •

statiamo che ogni nuovo elemento apportato dalla tecnica potrebbe


costituire un elemento di libertà supplementare (ma potrebbe anche
essere un elemento di dittatura...). Ce sempre una nuova scelta. In
realtà non è mai così, perché ogni nuovo elemento tecnico è solo un
altro mattone dell'edificio, un ingranaggio della macchina che viene
a rivestire una nuova funzione, un vuoto che si percepisce ora come
una lacuna: esiste un’attrazione magnetica del sistema, per la quale
tale unità tecnica va a colmare una mancanza, e che attribuisce a tale
apparecchio o metodo una funzione precisa, chiara, limitata, esatta,
alla quale è impossibile sottrarsi. Davanti a tale attrazione, quel poco
di libertà che l uomo possiede non ha alcuna portata né efficacia.
È perciò inutile pretendere che il computer applicato alla dimen­
sione politica possa diventare un organismo di decentralizzazione, di
diffusione, di personalizzazione delle informazioni e di agevolazione
del controllo politico. Si tratta di utopia volta a tranquillizzarsi e a
permettere quindi al sistema informatico di realizzarsi. Ci troviamo
qui in presenza di un fatto di importanza decisiva: l’uomo rifiuta
radicalmente di riconoscere il processo, e ponendo la questione in
termini metafisici e assoluti, si convince che tutto sia ancora possibi­
le, che considerandolo in modo tanto ampio da non potersi in real­
tà formare un'opinione, il nuovo fattore tecnico sia liberatore. Così
tranquillizzato, lascia progredire il meccanismo e poi, quando vede
il risultato, dice: «Ma questo non era ciò che avevamo previsto». Il
danno è fatto. L’ottimismo della pillola liberatrice o del computer
democratizzatore è una semplice operazione di anestesia inconsape­
vole. Se non ci fosse un sistema politico che tende ovunque a cen­
tralizzarsi (compreso in Cina!), se non vi fosse una classe di tecnici
detentori del potere, se non ci fosse un sistema tecnico precisamente
orientato, se, in altre parole, il computer comparisse in un deserto e
alla nascita di una società, allora potrebbe essere fattore di progres­
so individuale. Ma nessuna di tali condizioni è reale: il computer si
inserisce in un sistema perfettamente orientato. Non porterà alcuna
democratizzazione né decentralizzazione: al contrario accentuerà il

134
La tecnica come sistema

movimento inverso. Alan F. Westin24 ha perfettamente analizzato le


conseguenze del computer nei confronti della libertà. Gli innumere­
voli dossier d’archivio creati da particolari burocrati a proprio uso,
possono essere raccolti in un computer centrale. Tutte le informazio­
ni su ciascun individuo possono essere riunite, con un’abbondanza
di dettagli per noi inimmaginabile (tutte le infrazioni, le operazioni
mediche, quelle bancarie, ecc.).
Di fronte alla totalizzazione, viene proposta una regolamentazio­
ne giuridica per l’uso di tali archivi, una legge per la salvaguardia
della privacy. In altre parole, tutto ciò che si è riusciti a ideare è un in­
sieme di mezzi di protezione desueti: il diritto, già impotente davanti
allo Stato autoritario. Inoltre, i mezzi giuridici sarebbero controllati
dallo stesso potere pubblico che li ha previsti. Col segreto sulla pri­
vacy si impedisce l’intervento di un individuo nella via di un altro.
Ma è possibile credere che le autorità che possiedono l’apparecchio
e ne controllano l’uso obbediranno all’interdizione? Saranno sem­
pre padrone di utilizzare o meno tale enorme sistema di controllo.
Quis custodiet custodenti Se si rispondesse «il popolo», bisognereb­
be allora rimettere il computer centrale a disposizione del singolo,
riaprendo la possibilità di utilizzarlo contro tale o talaltro individuo.
Non c’è uscita. In nessun caso il regime giuridico relativo al compu­
ter è utile. Se il potere centrale è onesto, rispettoso degli individui,
decentralizzatore, democratico, e soprattutto se non viene messo in
condizione di doversi difendere (da rivoluzionari, ad esempio), non
c’è bisogno di diritto. Non utilizzerà tale ineguagliabile strumento
di potere. In caso contrario, scavalcherà le leggi entrando nel campo
del puro intervento di fatto. Non c’è protezione, e il computer pro­
cede nel senso già stabilito dall’insieme del sistema25.
La comprensione della Tecnica come sistema porta a una conclu­
sione essenziale: è completamente inutile considerare una tecnica o
un effetto tecnico in modo separato. Non serve a nulla. Da un lato
non si capisce che cosa sia in realtà, dall’altro si trovano consolazioni
a buon mercato. E l’errore che rilevo in quasi tutte le opere sulla
tecnica. Ci si chiede se sia possibile modificare l’uso dell’auto, o se la
TV abbia un effetto negativo, ecc. Ciò non ha alcun senso, perché la

24 A.F, Westin, Privacy and Freedom, Atheneum, New York 1967.


25 Si veda il succitato rapporto sull’informatica e sulle libertà.

135
Che cos è la tecnica?

televisione, ad esempio, esiste solo in funzione di un universo tecni­


co, in quanto distrazione indispensabile per chi vive in questa realtà,
in quanto espressione di questa realtà. Non è «nociva» o «culturale»
in sé semplicemente perché non esiste in sé! E la tv più tutte le altre
azioni tecniche! Per quanto ne sappia nessun autore è sfuggito a tale
comoda parcellizzazione. Quando si colgono gli inconvenienti di tale
aspetto del sistema, si può dimostrare senza problema che è possibile
controllarli e addirittura riorientare l’apparecchio che li provoca. Tali
inconvenienti non esistono tuttavia in sé! Perciò tutte le «soluzioni»
proposte nei vari libri specializzati non sono in realtà soluzioni.

3. Caratteri del sistema

Il primo carattere, sul quale non insisterò poiché evidente, è che


il sistema stesso è composto da vari sottosistemi: sistema ferrovia­
rio, postale, telefonico, aereo, sistema di produzione e distribuzione
dell!energia elettrica, processi industriali di produzione automatiz­
zata, sistema urbano, sistema militare di difesa, ecc. Tali sottosistemi
si sono organizzati senza che coloro che li hanno progettati abbiano
stabilito piani a lungo termine. Si sono organizzati, adattati, modifi­
cati progressivamente per rispondere a esigenze provenienti, tra gli
altri, dalla crescita di dimensione dei sottosistemi, e dalla relazio­
ne che si stabilisce poco a poco con gli altri sottosistemi. Si cerca
talvolta di riorganizzare completamente, a partire da zero, un dato
insieme, ma si è obbligati a constatare che ci si riesce sempre meno,
perché ogni insieme è ormai legato, condizionato dagli altri: il ruolo
di ciascuno si fa sempre meno agile mano a mano che si rivela essere
innanzitutto un semplice sottosistema del sistema tecnico globale.
Ormai nulla può essere fatto spontaneamente: i grandi sottosistemi
sono diventati tanto complicati che tutto deve passare per ranalisi
degli obiettivi, della struttura, del flusso di informazioni delTinsieme.
Tale analisi implica che gli obiettivi siano ridefiniti in modo formale
e matematizzabile, che la logica delTinsieme sia messa in chiaro (sta­
bilire ciò che deve accadere a ogni elemento in ogni situazione in cui
potrà trovarsi durante un processo di funzionamento completo): in
altre parole bisogna stabilire che ciò che vogliamo avvenga in tutte le
eventualità possibili per ogni telefonata, ogni treno, ogni aereo... la

136
La tecnica come sistema

cui storia deve essere determinata e regolata dal sistema. Una volta
definite in dettaglio le funzioni di ogni sottosistema, bisogna ancora
definire la struttura (ad esempio i problemi di centralizzazione/de-
centralizzazione) e i controlli interni. E necessario quindi prendere
coscienza del fatto che il sistema tecnico non è astratto né teorico,
ma semplicemente la risultante della relazione tra molteplici sottosi­
stemi, e che funziona solo nella misura in cui ogni sottosistema fun­
ziona e la relazione tra sottosistemi è corretta. Quando si produce
un cortocircuito tra sottosistemi o un guasto in un sottosistema, si
blocca tutto l’insieme. E ciò che ha portato Vacca ad avanzare la
teoria della fragilità dei grandi insiemi tecnici.
Il secondo carattere è l’agilità. Ciò che abbiamo appena detto dà
una sensazione di grande rigidità, e gli imperativi sono di fatto sem­
• V

pre piu numerosi e difficili. Sembra però che, nonostante le cose stia­
no così a livello di sottosistema, l’insieme tenda in realtà a funzionare
in modo più agile, e che la forza e la stabilità della tecnica risiedano
proprio in questa adattabilità. E una contraddizione apparente, de­
rivante da un diverso livello di analisi, che causa l’opposizione tra
le due interpretazioni. Indubbiamente Crozier ha ragione quando
sostiene (La Société bloquée) che Forganizzazione delle grandi orga­
nizzazioni moderne non sembra avvenire in direzione oppressiva: «Il
miglioramento costante dei mezzi di previsione permette maggiore
tolleranza nelTapplicazione delle regole. L’organizzazione può fun­
zionare con un minore grado di conformità. La conoscenza permette
di limitare la costrizione perché è possibile prevedere senza ricorrere
alla costrizione per assicurare la certezza dei pronostici...». Si po­
trebbe dire che il sistema diventa più tollerante nei confronti dell’uo­
mo nella misura in cui quest’ultimo è maggiormente adattato - più
l’uomo vi si conforma, minore è la necessità di costrizione da parte
del sistema. Il sistema tecnico produce meccanismi di conformiz-
zazione sempre più efficaci. E possibile una notevole indipendenza
quando l’azione dell’uomo non mette in gioco il sistema.
Quest’ultimo tende a divenire sempre più astratto, a istituirsi in
un secondo o terzo grado: di conseguenza i conformismi superfi­
ciali possono scomparire - l’uomo sembra acquisire una maggiore
libertà: può ascoltare la musica che preferisce, vestirsi come vuole,
adottare credenze religiose e atteggiamenti morali completamen­
te aberranti: tutto ciò non mette in questione alcunché alFinterno

137
Che cos’è la tecnica?

del sistema tecnico. Le tecniche stesse producono i mezzi necessari


all’uomo per questa diversificazione. Questi esistono se le tecniche
funzionano, e queste funzionano solo se U sistema tecnico si perfe­
ziona. L'errore commesso da molti pensatori, come Reich o Onimus,
consiste nel pensare che ci sia una conquista di libertà26, o una mes­
sa in discussione del sistema, o la comparsa di un fenomeno nuovo
indipendente dalla tecnica attraverso comportamenti del genere. In
realtà i giochi di indipendenza sono strettamente dipendenti, ma la
tecnica, divenendo più sicura, lascia zone di indifferenza sempre
più ampie. Evidentemente i conformismi sociali sono in proporzio­
ne divenuti meno pesanti mano a mano che i conformismi tecnici
sono stati interiorizzati e sono divenuti evidenti. Poiché la struttura
è diventata più tecnica, il vero conformismo sociale è ormai quel­
lo relativo alla tecnica. Il sistema tecnico lascia fuori dal proprio
campo quelle che una volta erano le maggiori preoccupazioni della
società (per esempio il riconoscimento dei comportamenti morali).
Per questa ragione è necessario evitare di porre in termini mora­
li classici i problemi attuali: parlare di libertà o responsabilità nel
sistema tecnico non ha senso. Sono termini morali inadatti a ren­
dere conto della situazione effettiva dell'uomo. Eppure è vero che
il sistema tecnico sembra conferire all'uomo un più ampio campo
di possibilità, ma solo all'interno del campo tecnico, a condizione
che le scelte si basino su oggetti tecnici e che Pindipendenza sfrutti
gli strumenti tecnici: cioè che esprima adesione. Tale agilità non ri­
guarda solo l'apparente indipendenza dell’uomo: essa è anche, que­
sta volta in modo estremamente reale, un carattere del sistema in
rapporto ai sottosistemi. Questi possiedono un'indipendenza che
fa sì che spesso vengano considerati in sé, come se avessero una
propria esistenza senza relazioni con la tecnica, come provvisti di

26 B. Charbonneau dimostra come vi sia necessariamente contraddizione tra il si­


stema tecnico e l’uomo. «La sola cosa che non può darci è il pretesto dell’organizza­
zione, cioè la libertà... Realizza le ‘condizioni della libertà’ per principi opposti, cioè
attraverso l’organizzazione. Così ogni processo lasciato a se stesso finisce col ridurre
l’autonomia individuale: la libertà presuppone la potenza, quella della macchina
quindi. Ma la macchina presuppone gli ingranaggi: la potenza collettiva è costi­
tuita dalTimpotenza individuale. Nelle nostre società sempre meglio organizzate,
siamo forse più liberi perché meglio nutriti e istruiti, il che si ottiene attraverso la
proliferazione degli ordini e dei divieti in tutti i campi» (in Le Chaos et le Sy stèrne,
Anthropos, Paris 1973; tr. it. li sistema e il caos, Arianna, Casalecchio 2000).

138
La tecnica come sistema

una propria originalità e quindi origine, come se avessero proprie


leggi di funzionamento senza legami con la tecnica. Lo stesso vale
per il culturale, la religione o l’organizzazione, divenuti parte del
sistema tecnico ma con una grande agilità di relazioni. Considerare
Fautonomia dei sottosistemi in questo modo porta spesso a com­
mettere Terrore di trovarvi (o di sperare di trovarvi) un rimedio alla
tecnica. Ho già dimostrato in passato come Torganizzazione non
sia un rimedio alla tecnica ma un ulteriore passo nelTelaborazione
del sistema tecnico. Charbonneau fornisce un buon esempio di tale
apparente indipendenza dei sottosistemi in Régionalisme et sociéié
technicienne (Cahiers du Boucau, 1973): tutte le teorie regionaliste
hanno la stessa funzione: affinare o giustificare la dinamica riduttri-
ce delle differenze. Il regionalismo è un prodotto della società tecni­
ca, malgrado la tecnica paia sempre centralizzatrice: essa può anche
essere decentralizzatrice a condizione che il fattore decentralizzato
sia integrato in modo più forte nel sistema stesso. In questo modo
il regionalismo può essere un aspetto della tecnocrazia nonostan­
te si presenti come un’applicazione di liberalismo. E il motivo per
cui la discussione e i referendum sul regionalismo in Francia negli
ultimi anni non hanno alcuna rilevanza. La riforma regionale sarà
un'apparente acquisizione di autonomia che permetterà un maggio­
re progresso tecnico: è un regime più adeguato alla crescita tecnica
rispetto al centralismo autoritario, ormai superato. Più il sistema
tecnico diventa complesso e totale, più, chiaramente, deve essere
agile. Gran parte dei disordini che constatiamo attualmente proven­
gono dalla rigidità del sistema. Il caos non è provocato dalla tecnica,
ma dalla rigida organizzazione centralizzata che non può causare
altro che incoerenze, data la dimensione. Ma la tecnica possiede già,
come abbiamo visto, l apparecchio che permette al tutto di essere
agile: il computer. Grazie a esso si può passare dall'organizzazione
formale e istituzionale alla relazione per informazioni e alla struttu­
ra dinamica per flussi. L’agilità permette così di mantenere le diver­
sità culturali laddove la centralizzazione non ha ancora avuto luogo.
Sicuramente ci sono ancora una cultura khmer e una sahariana. La
loro sopravvivenza è perfettamente tollerata dalla tecnica, ma sono
classificate da essa come sopravvivenze del passato, del folclore, fa­
centi parte del museo vivente delTetnografo. Tali culture maschera­
no la realtà di un sistema tecnico ovunque simile (ma a diversi stadi

139
Che cos’è la tecnica?

di sviluppo..,), e quando si corre il rischio di un conflitto, la cultura


locale scompare (ad esempio, nel corso di una guerra, quando la
tecnica mostra il proprio aspetto più brutale e crudele). In generale,
tuttavia, la tecnica è abbastanza agile da potersi adattare alle condi­
zioni locali. Lho già dimostrato nel mio precedente libro. Teniamo
presente quindi che le diversità culturali sono una testimonianza
dell’agilità del sistema e non la prova che alcune realtà umane non
ne facciano parte
Lo stesso vale per il tempo: Richta ha perfettamente ragione nel
sottolineare che il carattere fondamentale è Peconomia di tempo. La
tecnica gioca sul tempo, si potrebbe dire che produca tempo a scapi­
to dello spazio. Crea tempo per 1 uomo riducendo lo spazio. Da qui
deriva il carattere gratuito e puramente utopico della tesi di Lefebvre
secondo la quale Pimportante ormai è creare spazio. Procedendo in
tale direzione ci si può solo impaludare in un discorso irreale. Al
contrario, Richta vede giusto quando scrive: «Si ritiene che Peco­
nomia di tempo sarà la forma economica adeguata alla rivoluzione
scientifica e tecnica giunta a un certo grado di sviluppo»27. Da que­
sto principio cerca di trarre una nuova razionalità economica, che si
distingue da tutte le altre. Il problema è che tale economia di tempo
non può essere constatata in un sistema industriale e non ha signifi­
cato se ricondotta al divertimento: ha senso solo se posta in relazione
al sistema industriale stesso, vale a dire, come Richta dimostra, se il
tempo risparmiato serve alla migliore formazione degli uomini per
lavorare allo sviluppo tecnico e scientifico in una cultura integrata.
Un terzo carattere, essenziale, consiste nel fatto che il sistema tec­
nico elabora i propri processi di adattamento, di compensazione, di
facilitazione. In genere i processi di adattamento sono tecniche. Là
dove la Tecnica crea ad esempio situazioni sociali desolanti, a causa
della complessità, dell'esigenza (che relega alPimpotenza e alla mar­
ginalità giovani, vecchi, semiabili, ecc.), del gioco dei tecnici, subito
sorgono un servizio sociale, tecniche di prevenzione, di adattamento,
di riadattamento, che sono in effetti tecniche, che di conseguenza
rappresentano il sistema e sono destinate a spianare la strada verso
tale universo inumano. Si forma allora un insieme di tecniche di ri­
parazione (si vedano su questo processo di facilitazione i miei studi

27 R. Richta, op. cit., p. 85.

140
La tecnica come sistema

su la «Metamorfosi del borghese», il «Neoromanticismo» in Contre-


point e La Revolution). L’uomo, grazie a tali tecniche, può giungere
ad ottenere una vita piacevole e vivibile, che è però solo la sostituzio­
ne di un sistema artificiale e di una fatalità tecnica all’antico sistema
naturale e alla fatalità degli dei. Non c’è alcuna ostentazione, alcuna
invenzione originale dell’uomo: si tratta sempre di una facilitazione
prodotta dalla Tecnica stessa. E essa a fornire i gadget, la televisio­
ne, gli spostamenti come compensazione a una vita incolore, senza
avventura e abitudinaria. Allo stesso modo la massiccia produzione
di tremendi libri di previsioni del futuro, di Science-fiction, o di film
come Alphaville, Odissea nello spazio, Fahrenheit 431 è un mecca­
nismo di adattamento alla società tecnica quale esse è in realtà. Ci
viene mostrato un modello orribile, inaccettabile, che rifiutiamo con
forza (che non è la tecnica, ma una fantasia su ciò che la tecnica
potrebbe essere!), e col nostro rifiuto ci condanniamo a ciò: credia­
mo di aver rifiutato, condannato la Tecnica, di essere quindi lucidi e
vigili e di esserci sbarazzati di tale ansia: la tecnica (quella tecnica!)
non si impossesserà di noi. Non ci lasceremo sopraffare. Ciò facilita
l’accettazione della vera tecnica, che non è malvagia, visibile, impres­
sionante, ma piena di dolcezza e bontà.
La Tecnica, non essendo come quella che ci è stata mostrata, ci
sembra perfettamente accettabile, rassicurante: ci rifugiamo nella
società tecnica reale per sfuggire alla fiction, che ci è stata presentata
come la vera tecnica. Questa è la ragione per cui sono contrario a
tutti i film e i romanzi contro la tecnica. E sempre la stessa stra­
tegia di guerra: si simula un grande attacco, con trombe e luci, in
modo da attirare l’attenzione dei difensori della cittadella, mentre
la vera operazione avviene in tutt’altro luogo (ad esempio scavando
un tunnel). Appaiono innumerevoli altri processi di adattamento, e
si può dire che il fenomeno di Coscienza hi di Charles Reich sia solo
un processo di adattamento al nuovo stadio della società tecnica: la
Coscienza il è stato l’adattamento alla società tecnica industriale, la
Coscienza in alla società tecnica del computer. Niente di più, poi­
ché la Coscienza in non provoca alcun capovolgimento del processo
sociale. Al contrario si associa alla più moderna produzione. Reich
va in estasi perché ci sono ingegneri che portano pantaloni a zampa
di elefante e capelli lunghi: ciò che conta per me è che in quanto
ingegneri continuino a fare il loro lavoro di ingegneri come prima,

141
Che cos’è la tecnica?

e di conseguenza continuino a far marciare e progredire la società


tecnica. Il resto è infantilismo, pietosa affermazione di «personali­
tà». Il sistema tecnico, di fronte a difficoltà di adattamento da parte
deiruomo, produce soddisfazioni e compensazioni che facilitano la
crescita e il funzionamento del sistema. Allo stesso modo presenta
esigenze che potrebbero apparire come possibilità di sviluppo della
personalità: Crozier (La Société bloquée) mostra che, per far fronte
alla crescita tecnica, sarà necessaria sempre più inventiva, creatività,
anticonformismo e contestazione. La creatività e l’anticonformismo
sono valori fondamentali della società tecnica: essa infatti richiede,
per mutare, non passività, ma un'adesione entusiasta al cambiamen­
to. E la tecnica a richiedere che i vecchi valori, i costumi, la morale
tradizionale vengano attaccati: il contestatore apre la strada al pro­
gresso tecnico. Si fa appello alla creatività perché, dove la tecnica
avanza, bisogna inventare forme di vita possibili in rapporto a essa.
Ma ci si sbaglia se si crede che vi siano vera creatività (essa è affe­
rente alla sola tecnica), vero anticonformismo (esprime unicamente
il conformismo alla più forte e più profonda realtà). Quando parlo
di conformismo e Crozier di anticonformismo, semplicemente non
ci situiamo allo stesso livello di analisi. La tecnica, progredendo,
mette in discussione le vecchie strutture e i vecchi valori e incita
l’uomo a creare qualcosa che gli permetta di vivere in tale ambien­
te: ma è solo un conformismo e la creazione produce innumere­
voli gadget. I pantaloni a zampa d’elefante tanto cari a Reich sono
un tipico prodotto di tale creatività adattabile. Nascerà così anche
un’ideologia altruista (il neocristianesimo per gli altri, o l’ideologia
del socialismo dal volto umano). Più il sistema è opprimente, più
l’uomo deve compensare per l’affermazione della propria indipen­
denza; più il sistema distrugge le relazioni umane, più l’uomo deve
affermare il proprio altruismo. Si tratta di quella che Baudrillard
chiama appropriatamente «lubrificazione sociale». Ualtruismo stes­
so, appena istituzionalizzato, verrà rapidamente tecnicizzato. Non
bisogna quindi vedere il sistema tecnico come un produttore di ro­
bot umani: al contrario sviluppa quella parte della nostra umanità a
cui teniamo di più (diversità, altruismo, anticonformismo), in modo
però completamente integrato al sistema stesso - vale a dire funzio­
nando a vantaggio del sistema, poiché gli fornisce nuovo alimento,
e realizzandosi grazie a ciò che il sistema mette a disposizione. Ad

142
La tecnica come sistema

esempio, il bisogno di gioco, che si scopre tanto fondamentale pres­


so Tessere umano e che il sistema tecnico tiene in considerazione:
Tuomo potrà meravigliosamente giocare con tutte le macchine mes­
se a disposizione, e il gioco sarà tanto più eccitante e nuovo per via
della tecnicità. Allo stesso modo il sistema tecnico ha permesso di
scoprire le raffinate tecniche del gioco sessuale, che in realtà altro
non sono che tecniche.
Si potrebbe allora dire: ma se Tuomo può così, grazie alla Tecnica,
sviluppare tutte le proprie possibilità, che cosa si può volere di più?
E estremamente difficile rispondere. Come dire che la sessualità alta­
mente tecnicizzata non sia Tamore? Che il gioco praticato con appa­
recchi complessi o affascinanti non sia Tequivalente del gioco di un
bambino con pezzi di legno? Che la natura ricostituita dalla tecnica
non sia la natura? Che Tanticonformismo funzionalista non sia esi­
stenziale? Che, in altre parole, tutto ciò ci faccia vivere in un univer­
so di artificiosità, di illusione e di fax-simili? Torno sempre all’esem­
pio del soldato nazista (alfinizio della guerra) formato all’iniziativa
individuale, alla non obbedienza servile al comando, alla capacità di
assumere la direzione di un’impresa, e che per questi motivi sembra­
va l’opposto del soldato burattino che ubbidiva al minimo cenno del
maresciallo. La libertà era però all’interno dell’esercito (non poteva
consistere nella diserzione!), volta a formare migliori combattenti
all interno dell’ideologia hitleriana, e prodotta da un’estrema mani­
polazione psicologica. Tali sono la «creatività», T«anticonformismo»
deLFuomo inserito nella società tecnica. Sono condizioni ormai ne­
cessarie allo sviluppo del sistema: nient altro. Charbonneau sintetiz­
za l’essenziale: «L’ingranaggio è Tantitesi della persona; questa è un
universo volto all’Universo, quello un pezzo inerte che solo una forza
esterna può collocare nell’insieme»28.
Non si tratta più solo dell’assorbimento dell’uomo nella tecnica:
il sistema ha potuto svilupparsi tanto meglio dal momento che la
tecnica è stata assimilata da e per gruppi che si sono identificati con
essa. La presa di coscienza del pericolo avrebbe potuto avvenire più
rapidamente se gli organismi professionali detentori delle tecnolo­
gie avessero capito ciò che stava per accadere, se avessero potuto
«riflettere» su ciò che facevano. Invece, per ragioni sia ideologiche

n B. Charbonneau, Le Systèrne et le chaos, cit.

143
Che cos è la tecnica?

(credenze, ecc.) che d’interesse personale (successo, denaro), si sono


completamente identificati con la tecnica. E proprio la forza di tali
gruppi di tecnici che ha permesso il dominio della tecnica e la sua
organizzazione in sistema. Il loro dominio sulla società ha inoltre
bloccato i primi intellettuali avvertiti del pericolo. Penso ad esempio
al matematico Cournot, che nelle sue Considérations29 è forse stato il
primo a comprendere lo straordinario pericolo non solo della mec­
canizzazione, ma anche della tecnica. Molto tempo dopo Adams30
ha individuato le conseguenze della tecnica con estrema lucidità. Le
voci di questi scienziati vennero soffocate dall’esistenza del «gruppo
di pressione» costituito da tecnici e scienziati. Ciò che Galbraith ha
esplicitato in Techttostructure: il gruppo di tecnici è perfettamente
integrato nel sistema tecnico, e riveste il ruolo di staffetta tra tec­
nica e società. Kuhn ha ripreso e approfondito tale argomento in
relazione alla Scienza, dimostrando che la Scienza esiste solo grazie
all’esistenza di un gruppo sociologico di scienziati che gli conferisco­
no direzione ed esplicitazione. L’identificazione Scienziato-Scienza si
accompagna necessariamente a quella Scienza-Scienziato. La difesa
del sistema tecnico avviene attraverso la difesa della tecnica da parte
di un gruppo sociale che difende se stesso difendendo la tecnica, la
sua ragione d’essere, la sua giustificazione, il suo mezzo di guadagno,
di prestigio.
Uno dei processi di compensazione è rappresentato dallo svilup­
po del linguaggio: è fondamentale comprendere che nella prolifera­
zione di oggetti che lo invade a causa della tecnica, l’uomo reagisce
buttandosi nell’universo verbale. Più gli oggetti si fanno opprimen­
ti, più la Parola acquista importanza. Ritroviamo lo stesso nazismo
verbale di quando l’uomo si trovava in mezzo a una natura che non
controllava: possedere la parola che indicava F oggetto significava
avere un potere sull’oggetto. Oggi, non dominando l’universo tecni­
co, l’uomo, abbandonando la razionalità, torna alla magia del verbo
nei confronti e sull’oggetto tecnico. Se l’uso è lo stesso, deve esserci
però differenza per via del contesto. E quindi necessario che la lingua
assuma un’oggettività che le permetta di corrispondere all’oggetti-

2y> A.A. Cournot, Considérations sur la marche des idées et des événements dans les
temps modemes, Hachette, Paris 1872.
i0 H. Adams, The Degradatton ofDemocratic Dogma, MacMillan, New York 1919.

144
La tecnica come sistema

vita del sistema tecnico (si tratta evidentemente di magismo, poiché


la magia verbale era anche F oggettivazione della formula per agire
sull’oggettività delTambiente naturale). Il Si, il Ciò, il campo (tutto
il lacanismo) appartengono al magismo - così come, d'altronde, lo
stile di Lacan e di molti altri, in modo estremamente significativo,
appartiene al puro incantesimo. E un’espressione meccanica della
reazione compensatoria al sistema tecnico. D'altra parte è necessa­
rio che il linguaggio stesso sia integrato nel sistema per poter rivesti­
re il proprio ruolo: da cui gli studi strutturalisti sul linguaggio, tipici
della tecnicizzazione. Da cui anche la tendenza a considerare il testo
come qualcosa a sé, come un oggetto. E l’orientamento secondo il
quale l’importante è dire e non cosa si dice, per poter dimostrare
tecnicamente il dire. In ciò Barthes è stato in modo estremamente
diretto uno dei riduttori del linguaggio alla funzione compensatoria
del sistema tecnico.
Il sistema tecnico produce le proprie compensazioni, le proprie
condizioni d esistenza e di sviluppo: le qualità dell uomo ne fanno
parte. E semplicemente un mezzo per eliminare un ostacolo allo
sviluppo e ridurre le contraddizioni. Perché il sistema obbedisce
a una legge, quella dell’evoluzione infinita della tecnica. Non può
stabilizzarsi (contrariamente all immagine che alcuni hanno della
tecnica): include in sé la propria espansione. E un sistema in perma­
nente espansione. Ciò mette in discussione, ogni volta, sia l’adatta­
mento dell’uomo (e delle istituzioni, della società, come vedremo!)
sia la struttura del sistema stesso. Ma la tecnica è un insieme agile
che tende incessantemente a riorganizzarsi. Altrimenti non sareb­
be la tecnica. Un po’ come quelle bambole con la base di piombo,
che si possono far dondolare fino a coricarle e che riacquistano poi
l equilibrio, ma in una direzione diversa dalla precedente. La Tecnica
così include in sé i propri processi di riorganizzazione, dato che
è esattamente un’organizzazione tecnica. Ogni contestazione, ogni
perturbazione all’interno del sistema è solo una provocazione, una
sollecitazione affinché nuove tecniche, nuove organizzazioni, nuove
procedure vengano realizzate, integrando ogni volta un maggior nu­
mero di dati (in quantità illimitata grazie al computer). Ciò avviene
non contro l’uomo, per dominarlo o controllarlo: il sistema non ha
alcuna intenzione né alcun obiettivo. Semplicemente si realizza così.
E i suoi serventi sono convinti di agire per il bene dell’uomo. Sono

145
Che cos’è la tecnica?

animati dalle migliori intenzioni, il che fa sì che il sistema tecnico sia


sempre più umanizzato, ma attraverso l’assorbimento dell’umano
nella Tecnica. Ogni altro processo sarebbe impensabile31.

4. L’assenza di «feed-back»

Abbiamo appena detto che la Tecnica produce a vantaggio


dell’uomo compensazioni agli inconvenienti, che produce per se stes­
sa facilitazioni, e può cambiare carattere (decentralizzazione). Eppu­
re sembra sempre più che il sistema non possieda attualmente una
delle caratteristiche generalmente considerate essenziali: il feed-back,
la retroazione, il meccanismo che interviene per correggere l’errore
agendo all’origine del movimento quando un insieme, un sistema in
movimento commette un errore nel proprio funzionamento. Non
c’è «riparazione» dell’errore commesso, c’è ripresa del movimento
all’origine modificando un dato del sistema. Il feed-back non esiste
solo nei sistemi meccanici, artificiali, ma anche nei sistemi biologici o
ecologici. Implica un controllo dei risultati seguito da una correzione
del processo quando i risultati controllati sono nocivi o insoddisfa­
centi.
Perciò il sistema tecnico non tende a modificarsi quando sviluppa
ingorghi, nocività. E dotato di una crescita pura, provoca quindi un
aumento delle irrazionalità, e dall’altro lato è notevolmente pesante e
viscoso. Quando vengono constatati disordini e irrazionalità, vengo­
no messi in azione solamente processi compensatori. Il sistema con­
tinua a evolvere lungo il proprio percorso. Addirittura le minime in­
flessioni sono lentissime: non è solo per un effetto meccanico, come in
demografia, ma per la parvenza di necessità dell’operazione tecnica.
Quando ci si accorge che gli alloggi costruiti secondo le più econo-

31 I. Illich, La Convivialité, Éditions du Seuil, Paris 1973 (tr. it. La Convìvtalità>


Red, Como 1993) ha un’eccellente visione del sistema tecnico quando dimostra che
«il funzionamento e il disegno delTLnfrastruttura energetica di una società moderna
impongono l’ideologia del gruppo dominante con una forza e una penetrazione
inconcepibili per il prete... o il banchiere». E necessario continuare a ripetere Tarn-
monimento che avevo già dato in La Technique ou lenjeu di siede y e che Mumford
formula eccellentemente: «Non sono i prodotti meccanici o elettronici in quanto
tali che mettiamo in discussione, ma il sistema che li produce senza riferimento ai
bisogni umani e senza rettificazione quando tali bisogni non vengono soddisfatti».

146
La tecnica come sistema

miche norme tecniche sono disastrosi dal punto di vista sociologico


e psicologico, si continua sullo slancio, non si può tornare indietro.
Per ventanni si costruiscono gli stessi alloggi perché è impossibile
riprendere dalTinizio la questione tecnica, con F enorme complesso
di decisioni, mezzi, ecc. Allo stesso modo, quando un’operazione è
avviata, deve essere portata a termine, anche quando si riconosce che
è un disastro (a due livelli differenti e tra mille esempi: il Concorde
e l’impianto di incenerimento di Pau). In realtà, affinché un sistema
tanto ampio possa avere un comportamento autoregolatore, bisogne­
rà che le reazioni siano basate su un modello delle sue relazioni con
F ambiente che gli fornisca continuamente istruzioni. Si riscontra un
tale modello nelle società tradizionali ad esempio con la concezione
del mondo accettata da tutti i membri della società, la sua religione,
la sua Weltanschauung, le sue leggi tradizionali. Il sistema tecnico
non possiede un sistema del genere perché ha un dominio assoluto
sull’ambiente: evolve secondo la propria logica.
Ma non bisogna abbandonarsi all’idea che la tecnica non pos­
sa risolvere le difficoltà che crea: bisogna distinguere32 tra micro e
macroproblemi. Ecco l’elenco, a titolo d'esempio, stilato da Boli: le
difficoltà relative all’impiego (il lavoro, il tempo libero, la disoccu­
pazione), la subordinazione dei lavoratori e la loro «alienazione» (il
passaggio dal capitalismo al socialismo), l’inquinamento, la crescita
demografica: ecco un certo numero di problemi dovuti alla tecnica
e che potrebbero probabilmente venire da essa risolti (non li chia­
merei tuttavia, come fa Boli, microproblemi, poiché sono problemi
enormi!). Il progresso tecnico, come vedremo, deriva proprio dalla
risoluzione di tali difficoltà. Essendo la Tecnica anche ideologia, essa
conduce, come Habermas ha dimostrato, a una sostituzione delle
questioni di ordine puramente pratico con problemi tecnici (a condi­
zione di considerare «pratico» nel senso conferitogli da Habermas!).
Lo Stato, ad esempio, è portato dal politico alla gestione amministra­
tiva e tecnica. Ci sono tuttavia altri problemi che non hanno alcuna
possibilità di soluzione tecnica. Si tratta ad esempio del carattere
totalitario del sistema, della complessificazione indefinita, della ri-
costruzione dell'ambiente umano che è stato distrutto, della ricerca
della qualità di vita, del calcolo dei costi (i costi economici esterni),

32 Come fa J. Boli-Bennett, op. cit.

147
Che cos e la tecnica?

dello snaturamento dell’uomo con la scomparsa dei ritmi naturali,


della spontaneità, della creatività, dell’incapacità di giudizio morale
a causa della potenza. Ecco alcuni problemi insolvibili, perché per
rispondervi non basta porre riparo a un inconveniente, risolvere una
difficoltà, trovare una risposta a un pericolo, ma bisogna risalire alla
fonte del processo tecnico per modificarlo, apportando date infor­
mazioni alla totalità del processo e dell’organizzazione. La prima
categoria di problemi a provocare l’evoluzione e l’espansione del si­
stema è di tipo tale che essi possono essere posti in termini tecnici in
funzione di tecniche attualmente esistenti: vale a dire che vengono
risolti in modo lineare attraverso il progresso stesso della Tecnica”.
Basta lasciar funzionare l’attuale combinazione degli elementi perché
in tempi più o meno brevi le questioni trovino risposta. Mentre negli
altri casi bisogna fare il «giro», cioè tornare alla fonte del processo
per introdurvi nuove informazioni. La difficoltà emerge quando si
tratta di comunicazione di informazioni esterne. Se si parla tanto di
comunicazione oggi è perché essa è essenziale nel sistema tecnico:
abbiamo visto in precedenza che permette al sistema di costituirsi
in quanto tale, e che è una mancanza di comunicazione a causare
l’assenza di retroazione, che è sempre comunicazione, ma comuni­
cazione di informazioni esterne. KiefP4 sottolinea che la tecnica è
sprovvista di regole interne: «Essa è, per principio, abolizione dei
limiti interni. Se qualcosa è possibile, essa lo farà La tecnica non
• « M

ha regole interne volte a organizzare la vita interiore. Non ha nulla a


che vedere con la vita interiore, a parte il fatto di eliminarla. Una vol­
ta ridotta a un modello intellettuale equivalente al modello tecnico

33 L. Mumford, Le Mythe de la Macbine, Fayard, Paris 1973 (ed. or. The myth
of thè machine, Seker & Warburg, London 1967; tr. it. Il pentagono del potere, Il
Saggiatore, Milano 1973), giunge alfidea del sistema tecnico, ma lo intende in
realtà come prodotto dell’automazione, cosa che mi sembra inesatta. Al contrario
ne individua perfettamente il carattere rigido e autonomo: «Una volta instaurato il
controllo automatico, non ci si può rifiutare di accettarne le imposizioni né se ne
possono aggiungere di nuove, perché, in teoria, la macchina non permette a nessuno
di deviare i propri criteri perfetti... Una volta che il sistema diventa universale,
la principale debolezza risiede nel cuore deirautomazione. I suoi difensori, anche
quando ne riconoscono le mancanze, non vedono alcun modo per superarle se non
attraverso un’espansione deU’automazione e della cibernetica. Una volta creato, è il
sistema stesso a dare gli ordini...».
34 Kieff, in G.R. Urban (a cura di), Survivreau futur, Mercure de France, Paris 1972,
p. 51 (ed. or. Can we survive our future: a symposium, Bodley Head, London 1972).

148
La tecnica come sistema

stesso, la repressione delle forze della Tecnica avrà necessariamente


un carattere tirannico... La risposta risiederà nella ricostruzione di
un'etica profondamente radicata che produca i propri organi di co­
mando...». Goldsmith (stessa opera) fa la stessa constatazione: «I
fenomeni naturali sono capaci di autoregolazione, quelli che creano
la tecnica devono essere regolati dall esterno... Quando si usano i
concimi chimici una volta, si è condannati a continuare a usarli, una
volta che si è iniziato a combattere la malaria col ddt, si è costretti
a usarlo anno dopo anno... Se la pulizia dei corsi d'acqua dipende
dagli impianti di depurazione, saremo obbligati a mantenerli sem­
pre in funzione...». In altre parole, non c’è alcun controllo interno
dei risultati, alcun meccanismo interno di regolazione, poiché questi
risultati sono percepiti a un livello e in campi che non sono tecnici.
Il sistema tecnico non funziona nel vuoto ma in una società e in un
ambiente umano e «naturale».
Vi sono allora due difficoltà: la prima consiste nel constatare gli
effetti qualitativi della tecnica in tali ambiti, e ciò non rientra nel
campo della tecnica. Vi è tutto un insieme di fenomeni che sfuggono
a ogni strumento di misura e alla stessa immaginazione tecnologi­
ca. D'altro lato, tuttavia, una volta registrati, tali fenomeni dovranno
essere reintrodotti all'origine del processo. Come abbiamo visto il
complesso informatico potrebbe registrare un gran numero di tali
dati (ma non tutti!) ed effettuare il lavoro di reinserimento di nuove
informazioni. Ma il collegamento tra sistema informatico e il resto
del sistema tecnico non si realizza attraverso una sorta di crescita in­
trinseca, per un autosviluppo tecnico. Ci troviamo in presenza di una
novità: nel sistema tecnico il collegamento può avvenire solo attra­
verso una mediazione umana. Il computer non può autonomamente
mettersi in relazione col settore della tecnica: è l uomo che deve sta­
bilire la connessione. Ciò che sto dicendo sicuramente non sorpren­
derà coloro i quali sono rimasti all'idea ancestrale e antidiluviana che
la tecnica sia uno strumento del quale l’uomo dispone a piacimento.
Tutto l'attuale dramma tecnologico è dovuto al fatto che, nonostante
la tecnica abbia acquisito la propria autonomia e funzioni per auto­
accrescimento, il feed-back è possibile solo per pressione esterna: il
feed-back è reso possibile dal complesso informatico, ma la relazione
deve essere mediatizzata da un elemento non tecnico, il che si scontra
con l’autonomia ed è perfettamente inaccettabile. Non solo la rela-

149
Che cos’è la tecnica?

zione dipende dalTuomo, ma anche la ricezione delle informazioni e


la loro trasformazione in programmi: in questo modo la retroazione
del sistema tecnico passa necessariamente per la presa di coscienza
dei maggiori effetti della Tecnica, presa di coscienza da parte dell'uo­
mo inserito nel sistema. Non è quindi sufficiente che l'uomo agisca
con buoni sentimenti, con principi morali o umanisti, o convinzioni
politiche35. Non ci si può appellare né alTamabilità né all'umiltà. Tut­
to ciò suppone che l'uomo possa agire direttamente sulle conseguen­
ze della Tecnica. Chiaramente, per coloro che credono che esistano
solo apparecchi tecnici isolati e che l'uomo ne abbia il dominio, tutto
il problema della retroazione non si pone. Basta che l’uomo voglia
cambiare un dato utilizzo, e pian piano tutto si modifica. Ma come
abbiamo visto nulla può ancora giustificare l'universale dominazio­
ne da parte dell'uomo: non basta che l'uomo abbia fabbricato un
apparecchio o che sappia tutto ciò che vi è dentro perché gli effetti
dell'apparecchio gli siano perfettamente chiari. Siamo passati a uno
stadio di organizzazione tecnica in cui l'uomo non dovrebbe inter­
venire, ma non può fare a meno di intervenire a causa dell'assenza
di relazioni interne, dovuta non a una mancanza del sistema tecnico,
ma al fatto che esso funzioni solo per intro-informazione (informa­
zioni su se stesso) e non per extro-informazione: i veri problemi si
pongono all'esterno del sistema. Questa è l'impasse della situazione.
Non si tratta di «divenire padroni» della Tecnica, che non significa
nulla, né di avere un supplemento d'anima. Si tratta di essere in gra­
do di reinserire nel sistema tecnico informazioni qualitative esterne
suscettibili di modificare il processo alPorigine - è là che si situa il
conflitto, e non, secondo una sciocca fantasia, nella concorrenza tra
il computer robot e Puomo privato del cervello! Ci occuperemo in
dettaglio del problema nell’ultima parte del libro.

” Si veda Weinberg, «Analyse et Prévision», ottobre 1966.

150
Parte seconda
I CARATTERI
DEL FENOMENO TECNICO
Capitolo primo
L’AUTONOMIA

Simondon ha messo in luce il carattere autonomo della Tecnica


attraverso quella che chiama la «concretizzazione», cioè resisten­
za di uno schema concreto d'invenzione organizzatrice che rimane
soggiacente e stabile attraverso tutte le vicissitudini e metamorfosi
dell’oggetto tecnico. Pertanto «l'adattamento-concretizzazione è un
processo che condiziona la nascita di un ambiente invece di essere
condizionato da un ambiente già dato: è condizionato da un ambiente
che esiste solo virtualmente prima dell’invenzione... ma tale inven­
zione concretizzante realizza un ambiente tecno-geografico che è una
condizione di funzionamento dell’oggetto tecnico: l’oggetto tecnico è
quindi la condizione di se stesso come condizione d'esistenza di tale
ambiente misto, tecnico e geografico». Non si potrebbe dimostrare
meglio a partire da esempi estremamente concreti il fatto che esso
assuma la propria autonomia dall’oggetto tecnico stesso1.
La forma più elementare di tale autonomia è quella della mac­
china nei confronti dell’ambiente: come nota Seligman, la macchina
sembra acquisire una certa indipendenza, e funzionare da sola. E
subito generalizza: certo si può parlare di un’interdipendenza tra la
Tecnica e il suo ambiente, ma è in ogni caso la tecnica a dominare
ormai il proprio ambiente2.

1 J. Habermas, Technik und Wissenschaft, cit., procede alla critica dell autonomia
a partire dall’opera di Schelsky, ma ha una veduta molto sommaria e semplice di ciò
che in realtà è l’autonomia della tecnica.
2 B.B. Seligman, A most notorious victory, cit.

153
I caratteri del fenomeno tecnico

Tecnica autonoma significa che dipende ormai solo da se stessa,


traccia il proprio cammino, è un fattore primario e non secondario,
deve essere considerata come «organismo» che tende a chiudersi,
ad autodeterminarsi: rappresenta lo scopo di se stessa. Uautono-
mia è la condizione stessa dello sviluppo tecnico. Tale autonomia
corrisponde esattamente ciò che Baudrillard (Le Systèrne des objets)
chiama funzionalità, quando dice che «funzionalità non indica ciò
che è adattato a uno scopo, ma ciò che è adattato a un ordine o a un
sistema»: ogni elemento tecnico è innanzitutto adattato al sistema
tecnico, e possiede la propria funzionalità in rapporto a esso, più
che in rapporto a un bisogno umano o a un ordine sociale. Forni­
sce numerosi esempi dell’autonomia che trasforma tutto ciò che la
tecnica ingloba innanzitutto in oggetti tecnici: «La cucina perde la
funzione culinaria e diventa laboratorio funzionale... elisione delle
funzioni primarie a vantaggio di quelle secondarie di calcolo e di re­
lazione, elisione delle pulsioni a vantaggio di una culturalità... pas­
saggio da un gestuale universale di lavoro a un gestuale universale
di controllo... La meccanica più semplice sostituisce ellitticamente
un insieme di gesti, diviene indipendente dall operatore così come
dalla materia da lavorare...». Esercitando tale funzione, la tecnica
non tollera alcun giudizio proveniente dalPesterno, né alcun freno:
si presenta come necessità intrinseca.
Ricordiamo, tra le tante, una dichiarazione tipica: il professor Se-
dov, presidente della Commissione permanente per il coordinamen­
to delle ricerche interplanetarie in urss, ha dichiarato che, quali che
siano le difficoltà o le obiezioni, nulla potrà fermare l’avanzare delle
ricerche spaziali. «Ritengo che non ci siano oggi forze in grado di ar­
restare i processi storici»3. Tale significativa dichiarazione può venire
applicata a tutta la tecnica. Il sistema tecnico, incarnato dai tecnici,
non ammette altra legge, altra regola che quelle tecniche considerate
all’interno di se stesso e in rapporto a sé^.

1 Ottobre 1963.
4 Ovviamente, quando dico che la tecnica «non ammette», «vuole», ecc., non la
personifico. Sfrutto semplicemente una scorciatoia retorica lecita. In realtà sono i
tecnici di ogni rango a esprimere tali giudizi e ad avere tale atteggiamento, ma sono
talmente imbevuti, impregnati di ideologia tecnica, talmente presi nel sistema che i
loro giudizi e i loro atteggiamenti ne sono diretta espressione: si possono riferire al
sistema stesso.

154
Uautonomia

Mi sono già occupato altrove di tale fenomeno, non vi insisterò


quindi5.
Bisogna migliorare la conoscenza dell’autonomia. Sono innan­
zitutto le nozioni o le speranze a essere modificate dalla tecnica: un
importante aspetto di tale autonomia consiste nel fatto che la tecnica
modifica in modo radicale gli oggetti ai quali si applica essendone
invece assai poco modificata nei propri caratteri (se non nelle proprie
forme e modalità). Prendiamo un semplice esempio: distinguiamo
informazioni aperte e chiuse: le prime sono relative a questioni in so­
speso, hanno un contenuto indeterminato, implicano la partecipazio­
ne degli interessati. Le seconde riguardano un oggetto ben definito,
possono essere codificate e diffuse istantaneamente e non sono su­
scettibili di partecipazione. Solo le seconde si avvantaggiano di tutti i
mezzi tecnici, possono essere trasmesse rapidamente, ecc. Perciò, ap­
pena la tecnica viene applicata con maggior rigore nella codificazione,
nella trasmissione di informazioni, più accelera, e più le informazioni
tendono a chiudersi, cioè a escludere la partecipazione, nonostante vi
possano essere un’ideologia o un desiderio morale opposti.
Essendomene già occupato in La Technique ou i enjeu du siècle,
non riprenderò qui il problema della relazione tra la Tecnica e la
Scienza e dell’autonomia relativa della tecnica in rapporto alla scien­
za: aggiungerò solo quattro indicazioni derivanti da studi recenti.
Chi, ancora una volta, si è spinto più lontano in tali studi è Simon-
don. Dopo aver dimostrato le interconnessioni, non giunge a ipotiz­
zare, chiaramente, una pura e semplice autonomia della tecnica, ma
la possibilità per la tecnica di continuare a svilupparsi per un lungo
periodo di tempo, anche in assenza di qualsiasi ricerca di base: «An­
che se le scienze non avanzassero per un certo periodo, il progresso
dell’oggetto tecnico verso la specificità potrebbe continuare. U prin­
cipio di tale progresso è in realtà il modo in cui l’oggetto si causa e si
condiziona autonomamente all’interno del proprio funzionamento e
nelle reazioni tra il proprio funzionamento e l’utilizzo - l’oggetto tec­
nico, generato da un lavoro astratto di organizzazione di sottoinsie­
mi, è teatro di un certo numero di relazioni di causalità reciproca».

1 Non riprenderò il discorso che ho già dedicato allargomento: rimando invece a


La Technique ou Ienjeu du siècle, pp. 120-132. Quanto qui presentato è solo un’ag­
giunta.

155
I caratteri del fenomeno tecnico

Il testo esprime perfettamente il punto dell’autonomia dell’oggetto


tecnico, e specifica, a partire da ciò, la tecnica stessa, Nello stesso
modo, ma in maniera eccessiva, Koyré ritiene che la tecnica sia indi-
pendente dalla Scienza e non abbia influenza su di essa - il che mi
pare insostenibile (Études d Histoire de la pensée scientifique). Anche
Beaune, seguendo le idee di Hall (The Scientific Revolution), ritiene
che la Scienza e la Tecnica conducano esistenze parallele e abbiano
sviluppi autonomi, la cui convergenza è stata storicamente contin­
gente, e che il passaggio alla tecnica scientifica sia consistito nell’uni­
ficazione delle tecniche empiriche e sparse, ciò che ho definito come
passaggio dall’operazione tecnica al fenomeno tecnico. Queste tesi
riprendono semplicemente ciò che ho scritto nel 1950. Si troveranno
numerosi esempi sia di correlazione sia di indipendenza della tecnica
presso Closets. Ma non sono molto significativi!
Seconda osservazione: Boli6 presenta a riguardo della relazione
tra Scienza e Tecnica un'ottima analisi, la più nuova di cui sia a co­
noscenza, derivandola da Hempel7, Nagel8 e Popper9. Le due carat­
teristiche essenziali della conoscenza scientifica sono da una parte
la «prova empirica dell’errore»: un’affermazione non può essere
accettata come conoscenza scientifica se innanzitutto non è possi­
bile trovare dati empirici in rapporto ai quali l’affermazione non ha
valore. Dall'altra parte: l’intersoggettività, concetto che ha sostituito
F oggettività scientifica. Un'affermazione è scientifica solo se si presta
a una possibilità di verifica o di «falsificazione», non soggettiva e
individuale, ma intersoggettiva, dato che ogni scienziato è solo un
soggetto, ma ogni soggetto con una certa conoscenza e una certa
formazione può ripetere la stessa esperienza, e arrivare quindi allo
stesso risultato. Insomma, un’affermazione scientifica è quella po­
tenzialmente «falsificabile» a livello intersoggettivo. A partire da ciò
si vede chiaramente la stretta relazione che si stabilisce tra Scienza e

6 J. Boli-Bennett, op. cit.


7 C.G. Hempel, Aspects of Scientific Explanation, The Free Press, New York,
Collier-Macmillan, London, 1965 (tr. it. Aspetti delta spiegazione scientifica, Il Sag­
giatore, Milano 1986).
8 E. Nagel, The Structure of Science, Routledge & Kegan Paul, London 1961 (tr.
it. La struttura della scienza, Feltrinelli, Milano 1968).
9 K.R. Popper, The Logic of Scientific Discovery, Basic Books, New York 1959 (tr.
it. Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970).

156
L’autonomia

Tecnica, completamente diversa da quella cercata a lungo stabilendo


«causalità». Ritroveremo tale aspetto del problema Scienza-Tecnica
occupandoci delle finalità della tecnica. La relazione reciproca tra
Scienza e Tecnica non può essere separata da quella tra Scienza e Po­
litica. E a causa dell’intermediario, la Tecnica, che la Scienza si mette
al servizio dello Stato e che la Politica si appassiona alla Scienza.
In terzo luogo, l’interpenetrazione Scienza-Tecnica contiene, tra
le altre, una conseguenza radicale mirabilmente presentata da Po-
mian10, ossia la fine dell’innocenza scientifica. Non c’è più scienza
neutra né scienza pura. Ogni scienza è coinvolta nelle conseguenze
tecniche. La forza del lungo e approfondito studio fattuale di Pomian
sta nel mostrare che non vi è alcuna implicazione politica. Dimostra
in modo indiscutibile che l’elemento essenziale non è la decisione
presa dai politici di usare in un dato modo una scoperta scientifica.
È la necessaria implicazione di tutta la ricerca scientifica nella tecnica
a essere determinante.
È il dominio dell’aspetto tecnico su quello epistemico. I fattori
giocano gli uni in rapporto agli altri: Militarizzazione, Statalizzazio­
ne, Tecnicizzazione sono intercorrelate. Allo stesso modo, anche Po­
mian dimostra che non esiste un uso buono o cattivo della Scienza
o della Tecnica: i due sono indissolubili, il che lo parta ad affermare
che la Scienza non è neutra ma ambivalente. «Credere che una me­
todologia non sia buona né malvagia significa tacitamente supporre
che la felicità e la sofferenza degli uomini siano grandezze di segno
opposto che si annullano reciprocamente. Non è così: nell’aritmetica
morale, se c’è aritmetica, la somma di due grandezze opposte non è
uguale a zero». Progressivamente si capovolge l’abituale proposizio­
ne: tale decisione scientifica comporta delle conseguenze politiche.
«La decisione di costruire un acceleratore gigante comporta impli­
cazioni politiche che i fisici non possono permettersi di ignorare».
Pomian cita numerosi casi in cui gli scienziati, prendendo coscienza
di ciò che fanno, chiedono un arresto della ricerca (e non una mi­
gliore applicazione politica!), come nel caso del gruppo di lavoro
di Berg (1974) e della Conferenza di Asilomar, 1975. Rivela inve­
ce il carattere politicamente orientato del manifesto dei ricercatori

10 K. Pomian, Le Malaise de la Science, in Les Terreurs de l’An 2000, Hachette,


Paris 1976.

157
I caratteri del fenomeno tecnico

dell'Istituto Pasteur (Grupe Information Biologique), il cui oggetto


non è in realtà il problema Scienza-Tecnica, ma un dibattito politico
nel senso più banale della parola! La politica è sempre più indotta
dalla Tecnica ed è oggi incapace di dirigere la crescita tecnica in un
senso o nell’altro.
Dobbiamo infine ricordare una nuova analisi presentata nel
197511, che trasforma discretamente lo studio attualmente condot­
to sulla relazione tra Scienza e Tecnica. Bisogna innanzitutto di­
stinguere la Matematica, che si sviluppa per via deduttiva a partire
da assiomi, e opera su simboli astratti, e le Scienze Fisiche o della
Natura, che si sviluppano su base strumentale e materiale: possono
procedere solo a partire da un insieme tecnico, che altro non è che
la materializzazione di schemi teorici. La tecnica è a monte e a valle,
e addirittura nel cuore stesso della Scienza, che si proietta e assorbe
nella Tecnica, mentre la tecnica si formula nella teoria scientifica.
La scienza, essendo diventata sperimentale, dipende dalla tecnica, la
sola a permettere di riprodurre tecnicamente i fenomeni. La tecnica
riproduce astrattamente la natura per permettere la sperimentazione
scientifica: da qui nasce la tentazione di obbligare la Natura a confor­
marsi ai modelli teorici, di ridurla all’artificiale tecno-scientifico. «La
Natura è ciò che creo in laboratorio», afferma un fisico moderno. In
queste condizioni, la Scienza diventa violenza (nei confronti di tutto
ciò su cui verte) e la tecnica, esprimendo la violenza scientifica, di­
venta esclusivamente potenza. Abbiamo così una nuova correlazio­
ne, che ritengo fondamentale, tra Scienza e Tecnica: il metodo scien­
tifico stesso determina la vocazione della tecnica a essere tecnica di
potenza. La tecnica, attraverso i mezzi che mette a disposizione della
scienza, induce quest’ultima al processo di violenza (verso l’ambien­
te naturale, ad esempio). «La potenza della tecnica (teoricamente
illimitata, ma effettivamente impossibile da utilizzare) si concretizza
in una tecnica di potenza». Questo è l’ultimo punto di tale relazione,
quello che il testo qui citato chiama «Il Barocco Tecnico».

* -k *

11 Neuf theses sur la Science et la Tecbnique, in «Vivre et survivre», 1975. Testo


anonimo ma probabilmente attribuibile a Groetenduijk. Ne riassumo qui le cinque
tesi principali.

158
L’autonomia

Evidentemente parlare di autonomia nei confronti dello Stato e


della politica non significa che non ci siano interferenze o decisioni
politiche riguardanti la Tecnica. Non negherò certo resistenza del ce­
lebre «complesso militare-industriale». Lo Stato non può far a meno
di intervenire: abbiamo visto in precedenza che è strettamente mi­
schiato al tecnico, che è chiamato dai tecnici ad aumentare il proprio
campo d’intervento. Da ciò tutti gli ideologi, i politici, i sostenitori e
alcuni filosofi giungono alla superficiale conclusione che lo Stato de­
cide, la Tecnica obbedisce. Ed è necessario che sia così, è il rimedio
nei confronti della Tecnica. Invece bisogna chiedersi chi intervenga
nello Stato, e come lo Stato intervenga, cioè come venga presa una
decisione, e perché, nella realtà e non nella visione idealista. Si con­
stata allora che sono i tecnici all’origine delle decisioni politiche. Bi­
sogna poi chiedersi in quale direzione vada la decisione dello Stato:
ci si accorge rapidamente di un connubio degno di nota, e cioè che lo
Stato è dotato grazie alla tecnica dei più grandi mezzi di potenza. Lo
Stato stesso è un organismo di potenza, e non può quindi fare altro
che procedere nel senso della crescita, è strettamente condizionato
dalle tecniche a prendere unicamente decisioni di aumento di poten­
za, la propria e quella del corpo sociale12. Infine, siccome il Sistema
non è ancora completo, accade che alcuni politici intervengano e
prendano misure relative a problemi tecnici, per ragioni puramente
politiche e non tecniche: il risultato è generalmente disastroso. Que­
sti sono i quattro punti cha esamineremo rapidamente.
Habermas, partendo dal presupposto e dall’ideologia democratica,
pone indefinitamente la domanda: «Come riconciliare la tecnica e la
democrazia?» l\ Avendo una visione inesatta della realtà tecnica, facen­
do un discorso puramente ideologico, il recupero della tecnica all'in­
terno del mondo vissuto, pratico è puramente illusorio. La prima que­
stione a preoccuparci è sicuramente: che cosa ne è della democrazia?
Tra le centinaia di articoli dedicati alla questione si può segnalare
quello di Lattès14, significativo perché, essendo scritto da uno scien-

12 D. Furia, Techniques et Sociétés, A. Colin, Paris 1970, procede nella stessa dire­
zione. Opinione opposta ha invece U.E.B. Matz, Die Freiheit der Wissenschaft in der
technischen Welt, in Politik und Wissenscha/ty Beck, Munchen 1971, che si occupa
però della libertà necessaria allo scienziato in relazione a uno Stato tecnicizzato.
13 J. Habermas, op. cit.
14 R. Lattès, Energie et démocratie, «Le Monde», aprile 1975.

159
I caratteri del fenomeno tecnico

ziato, esprime ingenuamente l’insieme delle idee che sorgono dal più
irreale idealismo. Non riprenderò in questa sede le critiche che ave­
vo avanzato nei confronti di tali posizioni nell’articolo Propagande
et Démocratie[5. Mi limiterò a sottolinearne due aspetti particolari.
Lattès ritiene a ragione che per l'esercizio della Democrazia tutti i
cittadini debbano essere ben informati e giudicare con nozione di
causa. Affinché il dibattito parlamentare abbia senso i deputati de­
vono essere formati e informati. Sul problema dell’energia pone sette
domande «lampanti», delle quali è necessario conoscere la risposta
per opinare validamente nel dibattito sull’energia. Ma non sembra
pensare per un istante che tale questione tanto importante sia solo
una tra decine. I rischi di una politica militare. Le società multinazio­
nali. L’inflazione, cause e rimedi. Le possibilità e le modalità di aiuto
al terzo mondo, ecc. Il cittadino dovrebbe disporre di un dossier
completo, serio, particolareggiato, onesto su ciascuna di queste que­
stioni. Possibile non rendersi conto dell’assurdità della situazione,
quando non c’è nemmeno il tempo di «tenersi al corrente»! Altra
osservazione: Lattès sembra credere che il cittadino correttamente
informato possa decidere, al di là delle reazioni viscerali e di timo­
re, a riguardo del problema dell’energia nucleare. Il problema (ne
parlerò più ampiamente oltre) è che a caratterizzare la situazione è il
conflitto inestricabile tra le opinioni dei maggiori scienziati e tecnici.
Più il cittadino sarà informato, meno potrà schierarsi, poiché i pareri
sono completamente opposti. Lattès si culla nelle illusioni. Sicura­
mente consolante! Esiste dunque una radicale impossibilità affinché
il cittadino decida. Ma anche l’uomo politico è spodestato (si veda
Llllusion politique)16.
Nonostante i progressi nella comprensione del problema «Sta­
to Tecnico», è necessario sottolineare la frequente opinione degli
intellettuali: «Per risolvere i problemi e le difficoltà derivanti dalla
tecnica, è necessario statalizzare. E necessario affidare la gestione al
potere». E la tesi implicita di Closets, che tenta di provare che tutti i
pericoli e i danni della tecnica sono dovuti esclusivamente all’assenza
di direzione: è necessario elaborare una politica generale del pro­
gresso, avere organismi pianificatori, riorganizzare, ecc. Tutto ciò,

15 In «Revue de Science Politique», 1963.


16 C. Finzi, Il potere tecnocratico, Bulzoni, Roma 1977.

160
Uautonomia

senza che egli lo dica espressamente, può essere fatto solo dal potere
politico. Come noto, è la stessa tesi di Galbraith.
Habermas17 conduce un’analisi superficiale della relazione tra tec­
nica e politica, accontentandosi di argomenti come «rorientamento
del progresso tecnico dipende dagli investimenti pubblici», quindi
dalla politica. Sembra ignorare completamente decine di studi (tra i
quali quelli di Galbraith e i miei) che dimostrano la subordinazione
delle decisioni politiche agli imperativi tecnici. Si limita al desiderio
elementare di «riprendere in mano la tecnica», di «collocarla sotto il
controllo dell’opinione pubblica», «di reintegrarla all’interno del con­
senso dei cittadini». Ahimè, la cosa è un po più complessa! Così come
quando contrappone lo schema tecnocratico a quello decisionista.
Per comprendere l’interazione dovrebbe leggere Sfez18. La sua
descrizione del «modello pragmatico» assomiglia a un voto religioso,
a un desiderio: il processo di scientificazione della politica per lui
auspicabile è un «bisognerebbe»... Ma la realtà della tecnicizzazione
della politica avviene in realtà secondo un altro modello! Habermas
pone il problema filosofico onestamente (il vero problema è sapere
se una volta raggiunto un certo livello di conoscenze suscettibili di
comportare date conseguenza, ci si accontenti di mettere tali cono­
scenze a disposizione di coloro che sono impegnati in manipolazioni
tecniche, o se si preferisca che siano individui tra loro comunicanti a
riprenderne possesso nel proprio linguaggio), ma al di fuori di ogni
realtà. Leggendo tale testo, basta chiedersi: «Chi è quel Si che mette
la Tecnica a disposizione degli uni o degli altri? Chi esercita tale Vo­
lontà’ suprema» (se si vuole)?
E Richta si unisce a Galbraith! Pensano che lo Stato, nel pro­
muovere la Scienza, assuma la propria vera funzione di rappresentan­
te dell’interesse generale. «Significativamente» scrive Richta, «lo Sta­
to interviene più energicamente nei settori in cui la scienza si fa va­
lere più attivamente in quanto forza produttiva per natura ostile alla
proprietà privata e che incessantemente abbatte i propri limiti...».
Lo Stato americano finanzia la ricerca di base al 65%, quello france­
se al 64%... perché il profitto non è più in grado di far avanzare la
tecnica. Ma ciò significa dimenticare che lo Stato stesso è un agente

17 J. Habermas, op. cit.


18 L. Sfez, Critique de la décision, A. Colin, Paris 1974.

161
I caratteri del fenomeno tecnico

tecnico, integrato nel sistema tecnico, determinato dalle sue esigen­


ze, e allo stesso tempo modificato nelle proprie strutture in rapporto
all'imperativo di crescita tecnica. E anche il pensiero di Dumont19,
ma ovviamente non lo confessa! Si tratta solo di grandi organismi
internazionali che assumono il controllo del progresso tecnico. Ma
chi può istituirli se non un potere politico? E anche la ben nota posi­
zione di Sauvy (nel suo libro sull’automobile, ad esempio)20: chi può
opporsi alla mostruosa automobile? Solo lo Stato. Ma sicuramente,
come Sauvy ben sa, non lo Stato attuale, non lo Stato come oggi
lo vediamo funzionare. Crozier è della stessa opinione (La Société
bloquée): rinnovazione tecnica causa notevoli difficoltà nella socie­
tà, provocando lo sconvolgimento di interi settori. Le organizzazioni
economiche non sono in grado di farvi fronte: lo Stato deve fare gli
investimenti necessari allo sviluppo della capacità dei gruppi e delle
organizzazioni affinché possano gestire le conseguenze del progresso.
«E allo Stato e alle autorità pubbliche in generale che naturalmente
interessa farsene carico. Ma l’estensione dell’intervento e la necessa­
ria razionalizzazione richiedono un nuovo modello di azione com­
pletamente diverso da quello regolamentare o distributivo comune
alla maggior parte degli Stati moderni...». Si ritrova così, a livello
implicito, il richiamo segreto al potere politico quando l’eccellente
progetto di «cambiare o sparire»21 prevede (giustamente) imposte
sulle materie prime, la regolamentazione obbligatoria per la qualità
dell’acqua, dell’aria, ecc. Chi farà tutto ciò? Evidentemente lo Stato.
D’altronde, dato che la Tecnica produce una specializzazione (inevi­
tabile e che è la condizione stessa del suo successo), ma dato anche
che il sistema tecnico funziona in quanto sistema globale, nessun tec­
nico può cogliere il fenomeno tecnico. Per questo è necessaria l’espe­
rienza del corpo sociale, un organismo collettivo non tecnicamente
specializzato, cioè lo Stato. Si tratta di quanto ritroviamo nel libro
di Mintz e Cohen22: con un’enorme documentazione, questi autori

19 R Dumont, LUtopie ou la mori, Éditions du Seuil, Paris 1973 (tr. it. Lutopia o
la morte, Laterza, Roma 1974).
20 A. Sauvy, Les Quatre Roues de la Fortune, Flammarion, Paris 1968.
21 «The Ecologist», 1972.
22 M. Mintz, J.S. Cohen, America Ine.: who owns and operates in thè United States,
Pitman, London 1972 (tr. it. America Ine.: i padroni degli Stati Uniti, Editori Riuniti,
Roma 1973).

162
L5 autonomia

dimostrano che Finterà società americana è sottomessa a 200 aziende


dominanti. Per loro, l’unica soluzione è di nuovo la supremazia dello
Stato, Punico che permetta di lottare contro gli abusi tecnici, le noci-
vita (contro Pineguaglianza, lo sfruttamento, ecc.). È sempre lo Stato
a poter assicurare alla Tecnica il proprio posto e il proprio sviluppo,
dato che, affermano, il gigantismo delle aziende è causa di arresto
per il progresso tecnico (ma non si pongono il problema del giganti­
smo dello Stato). Infine (ma la lista sarebbe ancora lunga!), bisogna
ricordare Fentusiasmo di Saint-Marc per la protezione della Natura
da parte unicamente dello Stato. Il modo per salvare la Natura con­
siste nel nazionalizzarla e socializzarla - grazie a questo dominio la
Tecnica stessa è dominata, ben orientata e diventa utile.
Si rimane sorpresi e meravigliati davanti a un tale elenco di grandi
nomi. E allo stesso tempo confusi. Di che cosa si parla? Del mera­
viglioso organismo ideale, incarnazione del Diritto e della Giustizia,
che garantisce una dolce uguaglianza senza soppressioni né repres­
sioni, che favorisce i più deboli per equilibrare le opportunità, che
rappresenta Finteresse generale senza ledere quelli particolari, che
promuove la libertà di tutti attraverso una gioiosa armonia, insensi­
bile alle pressioni e alle lotte d’interesse, paziente senza essere pater­
nalista, che libera tutti essendo socialista, che amministra senza fare
burocrazia, atto a promuovere nuove attività di regolazione e con­
certazione, senza pretendere di imporre la propria legge, in modo
da permettere agli attori sociali di gestire liberamente le conseguen­
ze del progresso tecnico. Uno Stato dotato di Onnipotenza, Onni­
scienza ma che non ne abusa. Sembra di sognare di fronte a una tale
componimento bucolico! Si è mai visto uno Stato del genere? Se
la risposta è negativa, che garanzia, che possibilità abbiamo che ne
sorga uno? Chi ne farà parte? Santi o martiri? L'aspetto più grave è
che questi eccellenti autori non dicono mai una parola su tale Stato
mitico al quale affidano tante funzioni. Fino ad ora lo Stato è stato,
qualsiasi forma abbia assunto, socialista o meno, un organismo di
oppressione, di repressione, di eliminazione degli oppositori, di co­
stituzione di una classe politica che governa a proprio vantaggio • né

Mi si dica in nome di chi e di cosa domani sarà diverso, perché la


dittatura del proletariato è esattamente la stessa cosa. Il meraviglioso
Stato che dirigerà la Tecnica e risolverà i problemi è formato da uo­
mini (e perché questi smetterebbero di essere dominati dal desiderio

163
I caratteri del fenomeno tecnico

di potenza?) e da strutture, che diventano sempre più tecniche25. Si


propone di trasferire tutto il potere alle amministrazioni, di accre­
scere (cosa assolutamente ineluttabile, ma che non è un rimedio!) il
potere amministrativo - cioè trasformare una gestione aleatoria in
organizzazione tecnica.
In realtà, non solo non c’è alcuna garanzia che lo Stato di doma­
ni assuma il ruolo che ci si aspetta, ma si può dimostrare che tale
Stato, dominato dall'imperativo tecnico, sarà causa di una società
estremamente più oppressiva. Sarà forse in grado di mettere ordine
nella confusione tecnica, ma non sarà in grado di dominarla e di­
rigerla. Potrà solo accentuare i già noti caratteri. Fare appello allo
Stato (senza considerare l’autonomia del Tecnico e ciò che lo Stato
diventa sotto la pressione della tecnica) significa obbedire al riflesso
tipicamente tecnico dello specialista: nel mio settore va male, ma il
vicino ha sicuramente la soluzione. E interessante osservare che co­
loro che supportano tale posizione, pur abominando la Tecnocrazia,
la chiamano a gran voce, perché uno Stato in grado di dominare la
Tecnica può essere formato solo da Tecnici! Torneremo più tardi
sulla Tecnocrazia.
Sempre più si ammette che i grandi orientamenti tecnici costitui­
scano ambiti decisionali di alta politica24. Ma questo, secondo scien­
ziati e tecnici, non significa che i politici debbano decidere per ragioni
politiche. Al contrario, significa che per tali scelte i politici devono
seguire i consigli degli specialisti, e che in Francia, ad esempio, la fa­
mosa commissione dei Dodici Saggi è chiaramente insufficiente. Vie­
ne costantemente sottolineato che le decisioni politiche non possono
essere lasciate alla volontà ultima dei politici25. In urss si è progressi-

23 Sulla capacità dello Stato di rivestire il ruolo supposto si veda J. Ellul, La Tecb-
nique ou l'enjeu du siècle, il capitolo sullo Stato, Llllusion politique. Non ne ripren­
derò in questa sede le dimostrazioni.
24 Al contrario, pur senza riprendere il problema, è almeno necessario ricordare
che il sistema tecnico nel quale lo Stato si trova necessariamente integrato dota il
potere politico di una potenza sconosciuta a qualsiasi altro potere. Ricordo, tuttavia,
che tale potenza assume l’aspetto dell’amministrazione (si veda Llllusion politique).
Ovviamente, grazie ai computer, è possibile l’integrazione di tutti i dati sociali, con
un’inimmaginabile possibilità di controllo totale sulla vita privata grazie al tratta­
mento centralizzato di tutte le informazioni memorizzate e utilizzate.
25 Chiaramente ci troviamo qui davanti all’ambiguità del termine politico. Si tratta
di tutto ciò che concerne l’uomo in quanto animale sociale, o dell’attività speci­
fica dello Stato e del personale del governo? Marcuse passa continuamente da una

164
L autonomia

vamente giunti a capire che per pianificare la «decisione politica» po­


teva essere presa solo dopo, in funzione della determinazione tecnica
di tutti gli elementi. «Ovviamente» scrive uno degli specialisti della
pianificazione sovietica, «la pianificazione scientifica deve precedere
il piano». In realtà si pianifica solo ciò che la previsione, in quan­
to scienza (o tecnica) stabilisce come possibile e utile: la decisione è
quindi presa dagli scienziati e dai tecnici, non dai politici26.
Come sempre in campo tecnico, il Giappone rappresenta un
modello pressoché puro27. Su una crescita tecnica eccezionalmente
rapida si inserisce un intervento dello Stato (il miti, Ministero del
Commercio Internazionale e delTIndustria, con la propria Agenzia
della Scienza e della Tecnica) dovuto a motivi essenzialmente politici
e nazionalisti nei confronti degli Stati Uniti. In questo caso si vede in­
nanzitutto che il politico segue il tecnico, da un punto di vista tempo­
rale ma anche negli orientamenti principali. Quando il miti si limita
ad aiutare un settore della tecnica a trovare la propria indipendenza
economica nei confronti delle aziende americane, non c'è molta dif­
ferenza, a parte per quanto riguarda i sentimenti nazionalisti! Anche
in Giappone, tuttavia, la politica tende ad assumere la direzione. Si
assiste allora a decisioni enormi: F orientamento dell'aiuto (e quindi
della tecnica in generale) verso i «grandi programmi» (ovviamente!):
informatica, energia nucleare, spazio, ecc. Ovviamente le tecniche
dolci e la diffusione a livello individuale delle tecniche minori non
interessano allo Stato. Bisogna puntare sui settori di punta e sullo
spettacolare. Da tale tipo di interventi è possibile aspettarsi gravi
squilibri di sviluppo. Inoltre, ancora una volta, si possono constatare
i gravi errori provocati dairintervento politico: un gruppo giappone­
se aveva ideato un razzo e un satellite interamente giapponesi, senza
l intervento dei gruppi capitalisti. Il miti intervenne confinando il
programma spaziale a un organismo (masda) che include i grandi

definizione all’altra dichiarando che «l a priori tecnologico è un a priori politico


nella misura in cui la trasformazione della natura comporta quella dell’uomo, nella
misura in cui le creazioni realizzate dall’uomo provengono da un insieme sociale».
A partire da ciò, dichiara che la tecnica è sottomessa alla politica. Il che, in relazione
con tale definizione, è una tautologia. Tuttavia, subito dopo, afferma che è quindi
necessario modificare le strutture di governo.
2(S I. Bestoujev Lada, Les études sur Vavenir en URSS, «Analyse et Prévision», 1968.
21 Si veda N. Vichney, Le japon: de la technique à la Science, «Le Monde», giugno
1971.

165
I caratteri del fenomeno tecnico

gruppi, reintroducendo così l’influenza americana, ma soprattutto


giunse alla decisione che nulla potesse essere fatto in quel campo per
il momento. Ancora una volta l’intervento dello Stato si è rivelato
incoerente e limitante.
E sempre il mescolarsi e la confusione tra i due a provocare gli
errori: sia che la politica scelga o interdica una tecnica (spesso ciò
avviene per l’influenza di uno scienziato prestigioso o di un gruppo
di pressione), o che, attraverso una decisione politica, trasformi in
obbligo ciò che era semplicemente un possibile orientamento tra al­
tri. Spesso accade che la politica adotti una tecnica e la imponga a un
paese: ma la cosa non funziona perché una data tecnica fa parte di un
insieme, mentre la politica le attribuisce, scegliendola, un carattere
preferenziale e soprattutto obbligatorio. Il semplice passaggio dal
pragmatico al legale altera il tenore della tecnica e tutti i grandi errori
tecnici provengono dall’imperativo politico: la scelta della «filiera»
atomica, per esempio. O la scelta del petrolio invece del carbone
come risorsa termica, e del petrolio invece delle dighe per la produ­
zione di elettricità.
Siegei, in un bell’articolo28, dimostra il ruolo della politica su un
aspetto preciso: la maggior parte dei procedimenti elettronici di
combattimento sono noti da tempo, ma è stata la dottrina nixoniana
del ricorso all’automazione in ogni campo ad aver loro conferito un
ruolo predominante: la scelta politica si esercita in un arsenale di
tecniche che non possono essere tutte impiegate simultaneamente.
Illich attesta invece la vanità della politica davanti al sistema tec­
nico. «Le opposizioni, volendo ottenere il controllo delle istituzio­
ni esistenti, conferiscono a queste ultime una legittimazione di tipo
nuovo, mentre ne esacerbano le contraddizioni. Cambiare il gruppo
dirigente non è una rivoluzione. Che significato hanno il potere dei
lavoratori, il potere nero, quello delle donne o dei giovani se non
quello di sostituirsi a quello in carica? Un dato potere può tutt’al più
meglio gestire la crescita, così messa in grado di proseguire il proprio
glorioso corso grazie a tali provvidenziali prese di potere! La scuola,
che insegni il fascismo o il marxismo, riproduce una piramide di clas­
si di bocciati. L’aereo, con le proprie classi, riproduce una gerarchia
sociale». Sottoscrivo in pieno!

28 Siegei, Le Champ de baiatile électronique au Vietnam, in «Science et Paix», 1973.

166
L’autonomia

Per concludere, non riprenderò in modo dettagliato la questione


già trattata in La Technique ou l’enjeu du siede: quando lo Stato pren­
de decisioni puramente politiche, quando il politico decide da solo,
sul piano tecnico avvengono sempre disastri. Mi limiterò a qualche
esempio. U caso del cea francese, in cui, nel 1969, si scoprì che all’ori­
gine dell 'impasse dello sviluppo tecnico in campo atomico c’erano
motivi politici. O l’opera postuma (1964-1969) del grande economi­
sta sovietico Varga, che accusa formalmente le istituzioni politiche
(e non solo quelle burocratiche) di intervenire a torto nella crescita
tecnica (e non solo in quella economica). Farò altri esempi quando
mi occuperò dell’eventualità di un blocco della Tecnica a causa della
crescita del potere politico. Per concludere, citerò un fatto che rivela
perfettamente la dipendenza del politico e l’autonomia del tecnico.
L’esigenza tecnica dipende da mezzi tecnici e non da ideologie politi­
che. Ecco l’esempio: in Perù, a Cuajone, ci sono immensi giacimenti
di rame. Gli esperti affermano unanimemente l’incredibile ricchez­
za del giacimento, tuttavia difficilmente raggiungibile e sfruttabile.
Nel 1968 il Perù si rivolse aU’uRSS. Gli esperti sovietici, dopo aver
attentamente esaminato il problema, conclusero il dettagliato rappor­
to dichiarando che solo gli Stati Uniti disponevano dei mezzi tecnici
necessari allo sfruttamento del giacimento e consigliando di affidare i
lavori agli Americani. All’inizio del 1970 il governo peruviano si trovò
in grandi difficoltà per stipulare «il contratto di Cuajone», in seguito
alle espropriazioni deirintemational Petroleum Company. Ciò che
mi sembra qui più significativo è il fatto che la maggior parte dei pae­
si non tecnicizzati debbano lasciare le proprie ricchezze inutilizzate o
fare appello a paesi altamente tecnicizzati, quale che sia il loro orien­
tamento ideologico.
L’imperialismo ideologico è una sciocchezza, la vera superiorità è
data dalla tecnica.

le -k *

Probabilmente è utile ora precisare il concetto di autonomia nei


confronti dell’economia, dati i malintesi. Ovviamente non si può se­
parare la Tecnica dall'Economia, come Simondon sottolinea: «Esi­
ste quindi una convergenza di vincoli economici (diminuzione della
quantità di materia prima, di lavoro, di consumo d’energia, ecc.) ed

167
I caratteri del fenomeno tecnico

esigenze propriamente tecniche. Sembra tuttavia che saranno queste


ultime a dominare l’evoluzione tecnica». Simondon mostra come sia­
no i campi in cui le condizioni tecniche prevalgono sulle condizioni
economiche a essere quelli in cui il progresso tecnico avanza più ra­
pidamente. Ciò avviene, afferma, perché le cause economiche «non
sono pure», interferiscono con un’ampia rete di motivazioni e prefe­
renze che le alternano o le invertono. In qualche modo, è il carattere
«puro» del fenomeno tecnico ad assicurarne l’autonomia. Questa è la
ragione per cui presso i sociologi si registra un insensibile slittamento
dal primato (e autonomia) delFEconomico al primato (e autonomia)
del Tecnico. Ciò non è normalmente formalizzato, chiaramente for­
mulato, enunciato come realtà globale, ma è di solito un pensiero
soggiacente, una sorta di evidenza latente. Per i più «va da sé» che
sia la tecnica a determinare, provocare gli avvenimenti, i progressi,
devoluzione generale, che funziona da motore che ricava l’energia da
se stesso. Nel panorama intellettuale la tecnica gioca lo stesso ruolo
che lo spirituale rivestiva nel Medioevo o l’idea di Individuo aveva
nel xix secolo. Non si procede a un'analisi chiara e totale, ma non è
possibile concepire la società, la Storia in altro modo. Tale tendenza
è tanto forte da comparire persino presso coloro che la negano29. E
quindi necessaria qualche precisazione. Quando per la prima volta
ho analizzato l’autonomia della Tecnica nei confronti dell’Economia,
alcuni vi hanno visto una dichiarazione di autonomia assoluta - e al­
cune critiche sono state portate nei confronti di tale assoluto. Eppure
avevo già sottolineato come con questo termine non intendessi una
equivalenza tra tecnica e divinità. E inutile dire: «O c’è autonomia, e
allora è assoluta, o non è assoluta, e quindi non c’è autonomia».
Un argomento teorico del genere non va molto lontano. Tutti san­
no che un odierno Stato sovrano non può fare qualsiasi cosa desideri
della propria sovranità, e che il far parte del «concerto delle nazioni»

29 Ciò si verifica stranamente presso uno dei più rigorosi e profondi pensatori
contemporanei, B. de Jouvenel, che continua ad affermare che è l’uomo a deci­
dere e che la decisione globale viene presa a livello politico - la tecnica viene solo
in seguito. Eppure il suo ammirevole libro L'Arcadie, sedeis, Paris 1968, è la mi­
gliore dimostrazione dell’autonomia del tecnico, della sua «autosufficienza». Tale
nozione corre lungo tutte le pagine del libro e compare costantemente, nonostante
ci si chieda se l’autore non abbia scritto tale libro «a più livelli», complementari ma
diversi e talvolta apparentemente opposti.

168
L’autonomia

ne limita la sovranità. Eppure, essere sovrano o colonizzato, avere


un governo imposto dall’invasore non è la stessa cosa. Non ho mai
detto che la tecnica non dipenda da nulla e da nessuno, che sia al di
fuori tutto. Ovviamente subisce i contraccolpi delle decisioni politi­
che, delle crisi economiche. Ho detto, ad esempio, che una decisione
presa dal potere politico e non conforme alla legge di sviluppo della
tecnica, alla logica del sistema, può bloccare il progresso tecnico,
cancellare conseguenze positive, ma che nel conflitto tra politico e
tecnico è necessariamente il primo a uscire sconfitto, e che la deci­
sione politica che si oppone alTimperativo tecnico si rivela in ultima
analisi rovinosa per la politica stessa. E ugualmente evidente che la
tecnica si sviluppa a partire da un certo numero di possibilità offerte
dall’Economia, e quando mancano le risorse economiche, la tecnica
non può realizzarsi pienamente. La relazione tra tecnico ed econo­
mico è complessa: la tecnica è un fattore determinante della crescita
economica, ma è vero anche il contrario. Closets ha dimostrato che
gli effetti della Tecnica sull’Economia sono ambigui e che una più
forte ricerca tecnica non implica necessariamente maggiore svilup­
po economico. Tuttavia la tecnica si sviluppa più rapidamente nei
settori di punta, e là le fa seguito l’Economia: la relazione tra le due
è impressionante. Nel 1967, negli Stati Uniti le esportazioni sono
aumentate in media del 4%, ma del 58% per i computer, del 34%
per l’aeronautica, del 30% per le telecomunicazioni. Si ristabilisce in
questo caso la relazione diretta, pur restando la Tecnica decisiva per
l’Economia.
La relazione varia inoltre a seconda dei periodi. Innanzitutto non
sembra certo che vi sia una relazione tra i grandi movimenti di in­
venzione e la struttura economica o sociale. Le invenzioni tecniche
sembrano imprevedibili dati di civilizzazione, e non sono in alcun
modo legate al livello economico. Allo stesso modo oggi l’invenzione
tecnica non è legata a un paese: si stacca dal promotore e giova a
paesi che non hanno preso parte allo sforzo d’invenzione scientifi­
ca o tecnica. Ma quando si abbandona il campo dell’invenzione per
passare all’applicazione, la tecnica presuppone capitali sempre più
considerevoli.
Si può affermare che sia lo sviluppo industriale a condizionare la
possibilità di crescita tecnica (tenuto conto che l’industria stessa è un
prodotto della tecnica!)? Sembra che la maggior parte delle ricerche

169
I caratteri del fenomeno tecnico
tecniche del xx secolo siano condizionate e favorite dal mercato che
stimola uno sviluppo industriale.
Daumas30 afferma tuttavia con forza l'autonomia della tecnica nei
confronti dell’industria, e sostiene (quella che è sempre stata la mia
posizione): «Non si tratta di negare che Tevoluzione delle tecniche
possa essere compresa solo se ricollocata nel proprio contesto stori­
co, ma si può pensare che il compito originale della storia delle tecni­
che consista nel mettere in evidenza la logica propria dell’evoluzione
delle tecniche. Ciò si realizza con una logica interna, fenomeno ben
distinto dalla logica di evoluzione della storia socio-economia. La
ricerca di tale logica interna dell’evoluzione tecnica è Tunica in grado
di liberare ‘la storia tecnica delle tecniche’ dal proprio carattere di
storia evenemenziale».
Mano a mano che si amplia, lo sviluppo tecnico si fa più comples­
so, l’invenzione dipende da basi tecnologiche già acquisite (frutto di
applicazioni anteriori) e realizza elementi sempre più costosi: l’inven­
zione tecnica viene così a dipendere anche dalle possibilità d'investi­
mento economico. Si nota così un’influenza reciproca: da un lato la
crescita economica moderna dipende dalle applicazioni tecniche, in
tutti i campi31, dall'altro le possibilità di ricerca tecnica avanzata e di
applicazione delle tecniche dipendono dalTinfrastruttura economica
e dalle possibilità di mobilitazione delle risorse economiche32.
CEconomia può dunque bloccare lo sviluppo tecnico per man­
canza di potenza, o impedire l’applicazione tecnica. Il programma
tecnico è condizionato da due serie di imperativi economici: dalla
redditività dell’investimento (nei paesi capitalisti) e dalla possibilità
di procurarsi i capitali necessari all’investimento (ovunque). Tutta-

30 M. Daumas, «Revue d Histoire des Sciences et de leurs applications», t. 22,1969.


51 Tutti sono d’accordo nel considerare la ricerca la chiave dello Sviluppo (eco­
nomico) e vale quindi la pena di accumulare le risorse economiche per ottenere
un maggiore sviluppo economico attraverso la ricerca tecnica. Ma la relazione tra
i due è sempre meno chiara. La «R&D» è fonte di grande incertezza. Gli esperti
dell’ocsE sono giunti alla conclusione che: «Le relazioni tra R&D e la crescita eco­
nomica soffrono un paradosso. Sono simultaneamente evidenti ma non misurabili.
Anche escludendo le spese destinate alla crescita militare, non si può far apparire la
correlazione tra le spese di R&D e la crescita del pnl». Closets, con una valida defi­
nizione, afferma che per designare la relazione tra economia e tecnica si può parlare
solo di una «economia dell’incertezza». Sulla R&D si vedano le uscite di «Analyse
et Prévision» dal 1967 al 1970, e i lavori di de Jeuvenel.
32 Esamineremo oltre il problema dell'Economia in quanto freno alla Tecnica.

170
L’autonomia

via ciò è attualmente sempre meno esatto, perché ci si rende meglio


conto che è impossibile calcolare la redditività degli investimenti
della ricerca di base, e si è sempre più «convinti» che questa sia
essenziale, che non possa essere trascurata. Il rapporto diretto tra
ricerca tecnica e redditività non è più vero. Le applicazioni tecni­
che saranno quindi estremamente diverse a seconda delle forme e
dei livelli economici. Ciò provoca disuguaglianza sia nell’intensità
del progresso tecnico sia nella rapidità d’accesso al beneficio delle
tecniche. Tutto ciò è evidente. Ma ricordata l’importanza del fattore
economico, manterrò il concetto di autonomia della tecnica nel sen­
so che l’economia può essere un mezzo di sviluppo, una condizione
del progresso tecnologico, o, al contrario, può essere un ostacolo.
Ma non determina, provoca o domina la Tecnica. Come per il pote­
re politico, un sistema economico che rifiuta l’imperativo tecnico è
condannato. Non è la legge economica a imporsi al fenomeno tec­
nico, è la legge del tecnico che ordina, subordina, orienta e modi­
fica l’economia33. Quest’ultima è un agente necessario, non è né il
fattore determinante né il principio orientatore. La tecnica obbedi­
sce alla propria determinazione, si autorealizza, e nel far ciò sfrutta
molti altri fattori non tecnici. Può trovarsi bloccata a causa della
loro assenza, ma la sua ragione di funzionamento e di crescita non
proviene da nessun’altra parte. Oggi, modificare un sistema politico
o economico è inutile, e non cambia la vera condizione dell’uomo,
dato che essa è ormai definita dall’ambiente e dalle possibilità tec­
niche, e dato che l’impatto delle rivoluzioni politiche o economiche
sul sistema tecnico è praticamente nullo (tutt’al più questi problemi
possono bloccare per un periodo il progresso tecnico: ma il potere
rivoluzionario non cambia la legge intrinseca del sistema).
L’autonomia acquisterà il proprio aspetto istituzionale nell’au­
to-organizzazione: ciò significa che normalmente il mondo tecnico

33 Richta sottolinea un’importante svolta nella scuola weberiana. Agli inizi, con
Weber, si affermava che «si può razionalizzare tecnicamente solo in funzione della
ragione commerciale», «la legge della ragione tecnica deve sempre piegarsi alla legge
della ragione economica». A partire dal 1960 si nota presso i weberiani (per esempio
Papalakas) una relativizzazione della razionalità economica, un rovesciamento del
rapporto tra capitale e tecnica; «La ragione economica deve adattarsi alla dura realtà
tecnica, la razionalità tecnica diventa la dimensione fondamentale che domina così il
principale focolaio di tensione sociale». R. Richta, op. cit.y p. 80.

171
I caratteri del fenomeno tecnico

organizza la ricerca tecnica, Torientamento delle applicazioni, la ri-


partizione dei crediti, ecc. All’autonomia del sistema tecnico deve
rorrispondere l’autonomia delle istituzioni che ne fanno patte. Sarà
questa la sola autonomia accettabile nella nostra società, poiché sarà
'unica a dare una giustificazione ultima. La ricerca di base orientata
n direzione della tecnica può svilupparsi solo se sufficientemente
lutonoma! Un eccellente studio a questo riguardo è quello di Zu-
:kerkandl, direttore di ricerca al CNRS, pubblicato su «Le Monde»
tei novembre 1964.
Uno dei principali effetti dell’autonomia è che la tecnica diventa
1 principale fattore di riclassificazione degli ambiti di attività, degli
prientamenti ideologici. Nel 1950 ho studiato come la Tecnica induca
in avvicinamento dei regimi politici, una riduzione del ruolo delle
deologie (ad esempio tra il sistema sovietico e quello americano). Allo
itesso modo provoca un riassetto delle attività pubbliche e private: la
listinzione si attenua nell’attività economica tra i due ambiti. Tutto
rio viene ripreso e ampiamente dimostrato da Galbraith, Le Nouvel
itat industriel, e da Weidenbaum, Effets à long terme de la grande
Tecnologie, «Analise et Prévision», 1969. L’essenziale è tuttavia rico-
ìoscere che tali effetti provengono dall’autonomia della tecnica.
Chiaramente rimane difficile per i marxisti ammettere che la tec-
lica sia divenuta un fattore autonomo, che domina la struttura eco-
ìomica e che comporta effetti identici in un regime capitalista come
n uno comunista. L’argomento più di frequente sviluppato è che,
:on ogni evidenza, la tecnica è semplicemente al servizio del capitale,
:he comporta i ben noti effetti solo perché integrata nel capitalismo.
1 tecnico è solo un impiegato come gli altri, l’ideologia dell efficacia
ìon è tecnica ma è il riflesso del bisogno di profitto. La divisione del
avoro, la specializzazione non sono prodotti della Tecnica ma mezzi
upplementari di sfruttamento della classe operaia. Il più completo
forzo di dimostrazione sistematica di questa interpretazione è stato
rondotto da Coriat34. Questo è il motivo per cui farò riferimento al
;uo libro piuttosto che ad altre opere minori. I due temi di dimostra-

4 B. Coriat, Science, technique et capitai, Éditions du Seuil, Paris 1976. Si veda an-
:he S. Rose, Lldeologie de et dans la Science, Éditions du Seuil, Paris 1977, opera di
tretta ortodossia marxista che cerca di provare che la scienza è ideologica - molto
lotta e molto deludente.

17?
L'autonomia

zione si basano innanzitutto sul fatto che il potere decisionale appar­


tiene al capitale: il capitale è padrone di utilizzare o meno le tecniche,
le tecniche capitaliste sono tecniche di produzione così come tecni­
che di dominazione della classe sfruttata, e il capitale le utilizza solo
quando possono procurare un aumento di profitto. Ammette che la
tecnica non è neutra, nel senso che essa è esclusivamente al servizio
del capitalismo. Il sistema di produzione capitalista ha come unico
obiettivo la valorizzazione del capitale. Esaminando il contributo
che le diverse invenzioni apportano al capitale nel processo di auto­
valorizzazione si possono individuare le cause (sociali) che determi­
nano l’inclusione o il rifiuto delle diverse tecniche: solo quelle che
incrementano il plusvalore vengono utilizzate. Allo stesso modo è la
legge del valore che definisce lo spazio in cui la razionalità tecnica
può giocare. L’autore ovviamente accusa Richta di aver eluso la legge
del valore e i rapporti di produzione nei e sotto i quali la Tecnica si
realizza. Ma il fondamento della sua dimostrazione poggia sulla di­
mostrazione di Marx secondo la quale il capitale ricorre alla mecca­
nizzazione solo a due condizioni: quando l’uso del lavoro morto (ac­
cumulato nella macchina) permette di ottenere una parte maggiore
di sopralavoro (diminuisce la parte di giornata di lavoro che il lavo­
ratore dedica alla propria produzione aumentando quella che spetta
al capitale), e quando le tecniche permettono un migliore dominio
del processo di lavoro da parte del capitale. Questi sono i principali
argomenti ripetuti airinfinito in tale opera. Si rimane un po’ sorpresi,
perché vorrebbe dire che con il progresso tecnico l’operaio oggi è
più oppresso: è vero che la classe operaia è più oppressa oggi che un
secolo fa? Vorrebbe dire anche che il tasso di plusvalore è aumentato
considerevolmente, ma tutti, marxisti compresi, sono d’accordo
nell’affermare che il tasso di plusvalore diminuisce, come d’altronde
Marx aveva annunciato. Ciò vorrebbe dire anche che si effettua la
discriminazione tra tecniche applicate e non applicate secondo il
solo criterio indicato, Io sviluppo tecnico dovrebbe quindi incre­
mentare la potenza e la sicurezza del capitalismo, quando invece
chiaramente, da mezzo secolo, il capitalismo classico perde ogni sfi­
da e si indebolisce regolarmente a causa delle tecniche, il cui svilup­
po spinge in direzione del socialismo. Infine, dichiarare che il pro­
gresso tecnico può essere apprezzato solo in rapporto al concetto di
produttività del lavoro umano, l’unico produttore di valore, significa

173
I caratteri del fenomeno tecnico

chiaramente dimenticare il fatto che le tecniche moderne tendono a


eliminare il lavoro operaio, a marginalizzare l’uomo nel processo di
produzione. In realtà, ciò che più colpisce del lavoro di Coriat sono
il dogmatismo e l’incapacità di considerare i fenomeni attuali. Tutto
poggia sulla convinzione implicita che nulla sia cambiato in un seco­
lo e mezzo, che la tecnica sia la stessa nel 1848 e nel 1975, che il ca­
pitalismo non sia mutato. Il principio è che la Tecnica non abbia
modificato le condizioni di funzionamento del capitale quali Marx le
aveva stabilite. «Il Capitalismo deve riprodurre e riproduce le basi
sulle quali si fonda la divisione del lavoro in quanto insieme di rap­
porti di produzione e di lavoro che la caratterizza». Il «deve» è carat­
teristico. Il ragionamento è il seguente: dato che non si è ancora nel­
la società comunista, si è in quella capitalista. E quest’ultima non può
cambiare, è sempre la stessa, «il capitalismo è il capitalismo», tutto
qui, bisogna che la tecnica rimanga quindi subordinata e rientri nel
quadro di analisi di Marx. Da un lato c’è il capitalismo in cui lo svi­
luppo delle forze produttive avviene per accumulo di capitale,
dall’altro il socialismo con la capacità collettiva di produzione e di
iniziativa delle masse. La Tecnica non rappresenta nulla di speciale
in questa dicotomia. Considerare la scienza e la tecnica come proces­
si legati a quello di accumulazione del capitale diventa quindi una
necessità. Sì, necessità, a patto di aver dimostrato tutte le condizioni
preliminari. Il che non è stato fatto: ci troviamo di fronte a supposi­
zioni. Supponendo che Marx non si sia sbagliato, come far rientrare
la Tecnica moderna nella sua dimostrazione? Questo è il vero pro­
blema che Coriat si pone. Che ironia quando cita le parole di Marx:
«Il termine processo esprime uno sviluppo considerato nell’insieme
delle condizioni reali», mentre con Coriat viviamo in una doppia ir­
realtà, una dogmatica, l’altra passatista. Ammetterà solo: «Chiara­
mente la tecnica rimane, ma prima della tecnica ci sono la politica, la
lotta di classe e l’appropriazione della tecnica da parte del capitale».
Le due inammissibilità del suo ragionamento sono quindi la posizio­
ne dogmatica (il suo testo può convincere coloro che considerano
Marx infallibile e pensano che abbia detto tutto. Il metodo di Coriat
consiste nel prendere citazioni o concetti marxisti e svilupparli in
modo astratto, come se si trattasse di verità metafisiche, senza mai
applicarli al concreto. La situazione concreta non può essere cambia­
ta tanto da far risultare l’analisi di Marx inesatta. Questa è la base.

174
L’autonomia

Mai si trova una spiegazione dei fatti reali o una dimostrazione: si


tratta esclusivamente di una glossa di testi) e la costante mancanza di
realismo: quando gli capita di fare qualche esempio (il motivo per il
quale non c’è stato progresso chimico in Francia alla fine del xix se­
colo, o la specializzazione scientifica determinata dal capitalismo)
siamo in piena fantasmagoria. Alla facile critica che la tecnica è la
stessa in urss e nel mondo occidentale, risponde, in modo non origi­
nale, che I’urss non è socialista. Per fortuna c’è la Cina, nelle quale
possiamo riporre le nostre speranze. Proprio perché non è ancora
giunta allo stadio della società tecnica, si può dire: «Visto, là la Tec­
nica non è la stessa che c’è qui». Ma non gli viene in mente che la
ragione potrebbe essere semplicemente che il livello tecnico in Cina
(a parte qualche settore di punta che del resto è costruito in tutt’altro
modo) si trova a livello pretecnico! Possibile non rendersi conto che
sia un po’ esagerato dichiarare tranquillamente che I’ufss non sia
socialista. Nemmeno lo sfiora il fatto di sapere se per caso sia stato
l’impatto della Tecnica (e non il delirio paranoico di un uomo) a ri­
baltare gli effetti della rivoluzione del 1917 per sfociare nella situa­
zione attuale. Ma la caratteristica più tipica di tale mancanza di rea­
lismo è il passatismo: Coriat prende come esempi, modelli della Tec­
nica, il Taylorismo e la Meccanizzazione. Non ci si crede! Non è
successo nulla di fondamentale, non c’è stato cambiamento della
struttura tecnica dopo Taylor. La Tecnica si riduce alla Macchina. Si
capisce chiaramente da ciò che le analisi di Marx sono corrette per i
fatti a lui contemporanei o di poco posteriori. L’errore sta nel preten­
dere che ci troviamo ancora a quel punto. Per Coriat la tecnica è solo
l’applicazione industriale della Scienza con l’obiettivo della produ­
zione di merce (in senso stretto). Dichiara tranquillamente che le tec­
niche prive di finalità produttive di merci non sono utilizzate! Le
critiche nei confronti del taylorismo (come se fosse la situazione at­
tuale) corrispondono a una situazione del lavoro del 1930. In altre
parole, la «dimostrazione» di Coriat è accettabile solo per coloro che
concordano con un’adesione totale all’espressione letterale del pen­
siero di Marx, con un disprezzo totale degli attuali fatti relativi alla
tecnica. Coriat si chiude in una problematica basata su fatti comple­
tamente obliterati.
* Jc

175
I caratteri del fenomeno tecnico

Insisterò innanzitutto su un altro aspetto di tale autonomia nei


confronti dei valori e deiretica35. L’uomo, nel proprio orgoglio, so­
prattutto intellettuale, crede ancora che il proprio pensiero domini
la tecnica, crede di poterle ancora imporre un dato valore, un dato
significato. I filosofi sono i primi a pensarlo. E significativo constata­
re che le migliori filosofie che dichiarano l’importanza della tecnica,
addirittura quelle matèrialiste, alla fine si ripiegano sulla preminenza
dell'uomo36. Ma tale pretesa è puramente ideologica. Come si rela­
ziona autonomia della tecnica in rapporto alla morale e ai valori?
Credo si possano analizzare cinque aspetti.
In primo luogo, la tecnica non progredisce in funzione di un idea­
le morale, non cerca di realizzare dei valori, non mira a una virtù o a
un Bene. Ci occuperemo di ciò nel capitolo sul progresso causale.
Secondo aspetto: la tecnica non sopporta alcun giudizio morale.
Il tecnico non tollera alcuna invasione della morale nel proprio lavo­
ro, che deve essere libero. Pare evidente che il ricercatore non debba
assolutamente porsi il problema del bene o del male, del lecito o del
proibito della propria ricerca. Per quanto riguarda l’applicazione è
esattamente la stessa cosa: semplicemente ciò che è stato scoperto si
applica. Il tecnico applica la propria ricerca con la stessa indipenden­
za del ricercatore. Ecco il punto illogico comune a molti intellettuali:
concordano sul primo punto, che pare loro evidente, ma vogliono
reintrodurre giudizi di bene e di male, di umano e inumano, ecc.,
quando si passa al secondo: il tecnico deve utilizzare la tecnica a fin
di bene. Posto il primo termine, ciò è totalmente insensato, perché
applicazione e ricerca coincidono. L’invenzione tecnica è frutto di un

55 Due ottimi esempi di tale autonomia ci vengono dati, a partire da premesse di­
verse, da Vahanian e da Orlans. G. Vahanian, La Mori de Dieu, Buchet-Chastel, Pa­
ris 1962 (ed. or. The Death of God: thè culture of our post-cbristian era, Braziller, New
York 1961; tr. it. La morte di Dio: la cultura della nostra era postcristiana, Ubaldini,
Roma 1966) mostra come Vhow to do sia divenuto indipendente da ogni pensiero
cristiano e al contrario abbia invaso il cristianesimo subordinato all’efficacia. H.
Orlans, Toward thè year 2000, Daedalus, 1967, dimostra che «ogni sviluppo tecno­
logico non è certo desiderabile, ma non si vede come impedire che venga realizzato
tutto ciò che è tecnicamente possibile».
i6 Si può far riferimento all eccellente analisi di questo tipo di illusioni condotta da
Seligman, op. cit., che afferma che l’aspetto tragico di queste illusioni è dovuto al fatto
che la tecnica possiede la propria forza, in grado di distruggere i disegni dell’uomo, di
determinarne le ideologie: come dimostra piuttosto approfonditamente, Pautonomia
della tecnica rende «almeno discutibile» Pautonomia dell’uomo.

176
Lautonomia

certo comportamento: il problema del comportamento (nei confron­


ti del quale si vuole apportare un giudizio di valore) non si pone solo
al momento dell’applicazione37. È lo stesso comportamento a dettare
Patteggiamento di ricerca (e a volerla libera) e quello di applicazione:
il tecnico che realizza si considera libero quanto lo scienziato che
fa ricerca. E ingenuo pretendere di fare intervenire la morale nelle
conseguenze quando la si è rifiutata nel principio. L’autonomia della
tecnica si è stabilita principalmente attraverso la radicale divisione
dei due campi: «A ciascuno il proprio». La morale giudica problemi
morali. Non ha nulla a che vedere con i problemi tecnici: solo criteri
e mezzi tecnici sono accettabili in questo caso. Un tecnologo ameri­
cano ha condotto un appassionante studio a partire dalla seguente
idea38: fintanto che i problemi sono puramente tecnici, trovano sem­
pre una soluzione chiara e certa. Appena in questi problemi entra un
fattore umano o quando diventano tanto ampi da non permettere
più un trattamento tecnico diretto, essi paiono insolubili. Di fronte
a tali difficoltà si sviluppa r«engineering» sociale, che si richiama
ai buoni sentimenti, al miglioramento delTuomo basato su migliori
istinti, e crede che la soluzione sia il miglioramento delTuomo, anche
se ottenuto attraverso tecniche (psicologiche o psicosociologiche):
considerati un certo numero di esempi, si realizza che tale via è desti­
nata al fallimento e all’incertezza, perché si tiene troppo conto fattori
non tecnici. La sola scappatoia è riuscire a trasformare tutti i proble­
mi in una serie di questioni specificamente tecniche, ognuna delle
quali riceve soluzione dalla tecnica adeguata. In questo modo siamo
sicuri di ottenere risultati senza mischiare i generi. Non c’è migliore
dichiarazione di autonomia tecnica! Morale, psicologia, umanismo:
è tutto d’intralcio. Questo è il giudizio.
Tale idea è rinforzata dalla certezza filosofica che solo l’uomo
può essere sottoposto a valutazione morale. «Non ci troviamo più
in quell5epoca primitiva in cui le cose erano buone o cattive in sé: le
cose sono ciò Tuomo fa di esse. Tutto fa riferimento a lui. La tecnica
non è nulla in sé». Formulando questa idea semplicistica, Tintellet-
tuale non si rende conto che l uomo dipende dalla tecnica, e che,
una volta che essa è divenuta indenne a ogni giudizio morale, potrà

37 Ci occuperemo del conflitto tra Potenza e Valore nell ultima parte.


38 Weinberg, Technologie ou «engineering>> social, in «Analyse et Prévision», 1966.

177
I caratteri del fenomeno tecnico

fare qualsiasi cosa. L’uomo fa ciò che la tecnica gli permette di fare,
e quindi ha iniziato a fare di tutto. Affermare che la morale non può
apportare alcun giudizio nei confronti delTinvenzione o dell'opera­
zione tecnica porta in realtà ad affermare, senza volerlo, che ogni
azione dell’uomo sfugge ormai airetica: l’autonomia della tecnica
causa quindi la moralizzazione dell’uomo. La morale ormai non è
più relegata al proprio ambito, ma al nulla: appare agli occhi degli
scienziati e dei tecnici (insieme ai valori e a tutto ciò che può essere
definito umanista) come una questione totalmente privata, che non
ha nulla a che vedere con l’attività concreta (che può essere solo tec­
nica) e che non riveste alcun interesse per quanto concerne gli aspetti
importanti della vita. Un esempio: nel 1961 il Ministero dell’Istruzio­
ne aveva lanciato un’inchiesta tra gli studenti delle Grandes Ecoles
(scientifiche) e dei corsi preparatori a esse sull’insegnamento della
filosofia e della letteratura. Il risultato fu significativo: ogni valore
e significato della filosofia erano stati negati quasi all’unanimità.
Quanto all’insegnamento del francese, si faceva una distinzione: da
un lato, la letteratura non presentava alcun interesse, mentre dall’al­
tro la conoscenza della lingua veniva considerata utile per imparare
a redigere le relazioni e a esplicitare gli esperimenti realizzati. Questo
è un buon esempio. U tecnico non vede che senso possa avere uno
studio filosofico o morale in rapporto al lavoro che conduce. Ovvia­
mente ammette che gli specialisti di problemi morali, i filosofi, ecc.,
apportino valutazioni su tale lavoro, che emettano giudizi, ma ciò
non Io riguarda. E pura speculazione. I lavori riguardanti la filosofia,
la sociologia della tecnica (e comincia a spuntare la teologia della tec­
nica) si moltiplicano, ma riscuotono interesse solo all’interno della
cerchia dei filosofi e degli umanisti: non trovano sbocco tra i tecnici,
che continuano a ignorare tali ricerche. Non si tratta semplicemente
del risultato di una specializzazione: i tecnici vivono in un mondo
tecnico ormai autonomo39.
Il fatto che la tecnica non tolleri alcun giudizio morale ci porta
al terzo aspetto: essa non accetta di essere bloccata da una ragione
morale. Va da sé che opporre giudizi di bene o di male a un’opera-

59 È necessario tuttavia sfumare tale affermazione a partire dal 1968. Alcuni scien­
ziati (ma ancora nessun tecnico) hanno iniziato a porsi domande morali sulla legitti­
mità del lavoro scientifico e sulle sue finalità, senza però alcun risultato.

178
Uautonomia

zione giudicata tecnicamente necessaria è semplicemente assurdo. Il


tecnico non tiene semplicemente conto di ciò che gli pare dipendere
dalla più profonda fantasia, e del resto sappiamo quanto sia relati­
va la morale. La scoperta della «morale situazionale» rende facile
adattarsi a qualsiasi cosa: come si può vietare qualcosa al tecnico,
arrestare un progresso tecnico in nome di un bene variabile, fuga­
ce, continuamente ridefinibile? La tecnica almeno è stabile, sicura,
evidente. La tecnica, autogiudicandosi, si trova ormai libera da ciò
che ha costituito Tostacolo principale alFazione umana: le credenze
(sacre, spirituali, religiose) e la morale. La tecnica assicura così in
modo teorico e sistematico la libertà acquisita. Non deve più temere
alcuna limitazione perché si situa al di fuori del bene e del male. A
lungo si è sostenuto che facesse parte degli oggetti neutri, e quindi
non sottoposti alla morale: è la situazione che ho appena descritto.
Il teorico che collocava la situazione in questi termini non faceva al­
tro che interinare Tindipendenza di fatto della tecnica e del tecnico.
Tale stadio è tuttavia superato: la potenza e l’autonomia della tecnica
sono ormai tanto certe che essa si trasforma in giudice della morale.
Una proposizione morale verrà considerata valida solo se inseribile
nel sistema tecnico, a condizione di accordarsi con esso40.
Il quarto aspetto dall’autonomia è relativo alla legittimità: l’uomo
moderno dà per scontato che tutto ciò che è moderno sia legittimo,
e quindi che lo sia anche tutto ciò che è tecnico. Oggi non ci si limi­
ta semplicemente a dire: «La Tecnica è un fatto, bisogna accettarla
in quanto tale, non le si può andare contro». Posizione seria che

40 Suirautonomia nei confronti dei valori, bisogna leggere le ammirevoli pagine


di B. Charbonneau, op. citche riguardano in particolare la bomba atomica. «Non
è il più terribile tiranno a costruire la bomba atomica, ma la civiltà più sviluppata.
E nei 1944 non erano l’URSS o il III Reich, ma una nazione evangelica e liberale gui­
data da un presidente che si era prefisso lo scopo di liberare la Terra dalla paura.
Chi ha voluto che accadesse 1 irreparabile, se è mai successo? Sicuramente non
gli scienziati che perseguono solo la conoscenza, né i tecnici che vogliono solo la
potenza. Quanto ai politici, vogliono pace e giustizia. Sfortunatamente è Fazione a
comandare. Non è stato Roosevelt a fabbricare la bomba: sono stati Hitler prima e
poi Stalin a portare a ciò. Ma i comunisti vi dimostrano che essa è un prodotto del
capitalismo: la prova sta nel fatto che Furss ne fa esplodere di ancora più potenti.
Chi è Fautore della bomba? Il progresso (la scienza, la tecnica, lo Stato) abbando­
nato a se stesso. L’urss è stata la seconda a far esplodere la bomba atomica perché
era la seconda potenza mondiale. Marx, come Gesù, non ha nulla a che vedere con
ciò».

179
I caratteri del fenomeno tecnico

riserva una possibilità di giudizio. Ma un atteggiamento del genere


è considerato pessimista, antitecnico e retrogrado. No, bisogna en­
trare nel sistema tecnico riconoscendo che tutto ciò che viene fatto
in tale campo è legittimo in sé. Non c’è alcun punto di riferimento
esterno. Non c’è da porsi alcuna questione di verità (poiché ormai la
verità fa parte della scienza, e la verità della prassi è la Tecnica pura
e semplice), di bene o di finalità: tutto ciò non può semplicemente
essere discusso. Dal momento che qualcosa è tecnico, è anche legit­
timo, e qualsiasi contestazione è sospetta. La tecnica diventa forza di
legittimazione: è essa ormai a convalidare la ricerca scientifica, come
vedremo. Ciò è estremamente significativo, perché fino a oggi l’uo­
mo ha sempre messo in relazione tutto ciò che ha fatto con un valore
superiore, che giudicava e fondava l’azione. Tutto ciò è scomparso a
vantaggio della tecnica. L’uomo contemporaneo ravvisa l’autonomia
pretesa dal sistema (che può avanzare solo se autonomo) e simul­
taneamente attribuisce autonomia al sistema accettandolo come le­
gittimo in sé. Evidentemente non è in seguito a un conflitto tra due
divinità personificate, Morale e Tecnica, che la seconda acquisisce
autonomia! E l’uomo che, divenuto credente e fedele della tecnica,
la considera oggetto supremo: perché è necessario che ciò che trova
in sé la legittimità e non ha bisogno di nulla per essere giustificato
sia supremo! Tale convinzione nasce dall’esperienza e dalla persua­
sione, perché il sistema tecnico genera la propria potenza tecnica di
legittimazione: la pubblicità. È superficiale ritenere che la pubblici­
tà sia un’aggiunta esterna al sistema, in funzione della dominazione
della tecnica da parte della ricerca del profitto: la pubblicità è una
tecnica, indispensabile alla crescita tecnica e destinata a fornire al
sistema legittimità. Questa nasce non solo dall’eccellenza che l’uomo
è pronto a riconoscere alla tecnica, ma dalla convinzione indotta che
ogni elemento del sistema sia buono. È il motivo per cui la pubblicità
ha dovuto affiancarsi le Relazioni Pubbliche e le Relazioni Umane.
Non è «la società di massa e dei consumi ad autoplebiscitarsi», ma è
la società tecnica a integrare l’individuo nel processo tecnico attra­
verso tale giustificazione.
C’è ancora un progresso da fare, d'altra parte naturale: indipen­
dente da morale e giudizi, legittima in sé, la Tecnica diventa forza
creatrice di nuovi valori, di una nuova etica. L’uomo non può fare
a meno di una morale! La tecnica ha distrutto ogni scala di valore

180
L’autonomia

anteriore, rifiuta i giudizi provenienti dalTestemo. Ma essendo auto-


giustificata, diventa anche giustificante: se ciò che era fatto in nome
della scienza era giusto, ora lo è anche ciò che viene fatto in nome
della tecnica. Essa attribuisce la giustizia all’azione dell’uomo, il qua­
le si trova quindi spontaneamente portato a costruire un’etica a par­
tire da essa, in funzione di essa41. Ciò non avviene in modo teorico e
sistematico. Tale elaborazione avverrà evidentemente in seguito. Ma
l’etica tecnica si costruisce poco a poco, concretamente: la Tecnica
esige da parte dell’uomo un certo numero di virtù (precisione, serie­
tà, realismo, e soprattutto la virtù del lavoro!), un certo atteggiamen­
to nei confronti della vita (modestia, dedizione, cooperazione). Essa
permette giudizi di valore molto chiari (ciò che è serio e ciò che non
lo è, ciò che è efficace, ciò che è utile). È a partire da tali dati concreti
che si fonda un’etica, perché è innanzitutto necessaria un’etica vissu­
ta del comportamento affinché il sistema tecnico funzioni bene. Essa
ha quindi, rispetto alle altre morali, l’enorme superiorità di essere
veramente vissuta. Per di più comporta sanzioni evidenti e inelut­
tabili (poiché è il funzionamento del sistema tecnico a rivelarle), e
si impone quindi come autonoma, prima di costituirsi infine come
chiara dottrina, collocata al di là dei semplicistici utilitarismi del xix
secolo42.

★ 'k it

Un buon esempio dell'autonomia della tecnica ci è stato fornito


da un celebre testo: la lezione inaugurale di Jacques Monod presso
il Collège de France nel 1967. Con chiarezza e ingenuità ha spiegato
che se la nostra società si trova ne d'angoscia, se l'uomo moderno
vive nell'ansia, è a causa della «diffidenza dei contemporanei nei
confronti della scienza», del loro atteggiamento d'alienazione nei

41 Si veda la lunga analisi sul contenuto di tale etica: J. Ellul, Le Vouloir et le faire>
voi. i, Labor et fides, Geneve 1964, cap. il.
42 Per quanto riguarda l’uomo, Mumford ha mostrato dettagliatamente e in modo
decisivo in quale modo e in che cosa le più avanzate invenzioni tecnologiche non ab­
biano nulla a che vedere con il «compito storico centrale dell’uomo, quello di dive­
nire umano». Se si considerano le piu recenti imprese tecniche, allunaggio, controllo
dei climi, immortalità artificiale, nulla ha la minima relazione con il progetto di
«divenire uomo». Tutto obbedisce alla logica interna del sistema.

181
I caratteri del fenomeno tecnico

confronti della cultura scientifica (ottimo test psicologico dell'uo­


mo di scienza che interpreta la minima riserva nei confronti della
Scienza-Tecnica in termini di diffidenza e non si rende conto del­
la cieca fede, della fiducia magica, dell'irrazionale abdicazione dei
contemporanei nei confronti della scienza!). Vogliamo continuare
a vivere in una società superata, con istituzioni, una morale, un si­
stema di valori divenuti obsoleti a causa della «scienza-tecnica», e
ormai già quasi annientati. Vogliamo continuare ad attribuire loro
valore, mentre la «scienza-tecnica» dimostra che non sono più nul­
la, che non hanno più senso né fondamento. E l'attaccamento ai
vecchi valori senza riconoscere i nuovi, l'etica della scienza (e quel­
la della tecnica), a rendere l’uomo infelice. Basta semplicemente
adottare l'etica della conoscenza (aggiungendo quella delazione!)
e tutto è risolto. Il disaccordo tra gli uomini, la nuova società cre­
ata dalla tecnica, il nuovo universo conosciuto grazie alla scienza è
placato. «Il solo scopo, il valore supremo, il bene sovrano dell'eti­
ca della conoscenza non è la felicità dell'umanità, né il potere sul
tempo o il benessere, né il ‘conosci te stesso1 socratico: è la cono­
scenza oggettiva stessa. Ritengo sia necessario sistematizzare tale
etica, liberarne le conseguenze morali, sociali, politiche, diffonderla
e insegnarla, perché, in quanto creatrice del mondo moderno, è la
sola compatibile con esso». Sarebbe forse meglio dire che la Scienza
ha liquidato tutto ciò che costituiva la società tradizionale e che è
creatrice di una nuova morale. Sfortunatamente il nostro scienziato
dimentica un particolare: la scienza non è pura, si applica. È un
grave errore proseguire come fa: «Etica conquistatrice e per alcuni
aspetti nietzschiana, in quanto volontà di potenza, ma di potenza
solo nella noosfera. Etica che quindi insegnerà il disprezzo della
violenza e della dominazione temporale». Illusione, visto che si trat­
ta di una scienza che può solo essere applicata, e dal momento che
non solo fornisce gli strumenti della potenza, ma che fa in modo
che gli strumenti superino lo spirito di potenza diventando delirio
dionisiaco. È una volontaria cecità credere nell’etica sociale della
libertà per mezzo della scienza, perché è una menzogna affermare
che abbia un unico fine, la conoscenza. E falso addirittura parlando
del più astratto pensiero degli scienziati: essa ha un unico scopo
reale, l'applicazione. Il passaggio alla pratica è il vero senso, il vero
criterio della ricerca. Di conseguenza il fattore decisivo è la Tecni-

182
Lautonomia

ca, la nuova morale è tecnica. Ciò risulta direttamente dal discorso


incompiuto di Monod.

* * *

L’autonomia della tecnica rende in particolare inutile revocazione


dei pericoli e delle nocività. Si classificheranno le questioni e si cer­
cherà di specificarle in settori separati: da un lato l’analisi degli effetti
della radioattività, e dall’altro, senza poter stabilire alcuna relazio­
ne, la ricerca tecnica, con, per esempio, T applicazione dell’energia
atomica alla produzione di elettricità. Si riterrà incongruo mischiare
le due cose. Quando Sauvy afferma che quasi tutti i problemi di in­
quinamento possono essere risolti attraverso lo sviluppo dell’energia
atomica, si guarda bene dal sollevare il problema dell’inquinamento
atomico43. Nello stesso modo, pur conoscendo bene tali pericoli, i
tecnici dell’energia atomica si limitano a far avanzare la ricerca nella
propria direzione: il problema maggiore è quindi l’utilizzo di pluto­
nio. L’imperativo della tecnica basta a legittimare la prosecuzione
della ricerca senza tener conto degli usi potenziali (l’accusa rivolta
da scienziati e tecnici nei confronti di militari e politici è ingenua)
né dei pericoli effettivi. In questo senso Tarma è la «divisione» che
permette a ciascuno di sfuggire alla responsabilità dei propri atti.
Ognuno obbedisce all’imperativo di sviluppo previsto dal sistema
tecnico, e non a un giudizio nei confronti della Tecnica. E anche
ciò che fa della tecnica un sistema giustificatore. Si produce qui lo
stesso ribaltamento di cui mi sono dettagliatamente occupato per
il sacro: il fattore desacralizzante diventa a propria volta il Sacro. Il
fatto di essere divenuta autonoma offre alla tecnica una situazione
suprema: non esiste nulla al di sopra di essa che possa giudicarla. Di
conseguenza essa si trasforma in istanza suprema: Tutto deve essere
giudicato a partire da essa. Ogni cosa fatta a vantaggio della crescita
tecnica è perciò giustificata. La celebre frase «il progresso (tecnico)
non si arresta» non significa «non si può far nulla», ma «bisogna
parteciparvi». Significativamente Sauvy, giustiziere d?idee acquisite,
conclude il proprio libro sulla crescita con il luogo comune: ad ogni
modo, la tecnica non si ferma. Ammette quindi che non ne siamo

4' A. Sauvy, Croissance zero?, cit.

183
I caratteri del fenomeno tecnico

padroni, ma soprattutto che non possiamo rifiutare il «progresso».


In altre parole, la tecnica diventa valore morale: ciò che la favorisce
è bene, ciò che la ostacola è male. Si finisce per considerare norma­
li le mostruosità presentate da Rorvik o Toffler per il futuro (come
piazzare qualche elettrodo nel cervello dei neonati per accelerarne
1"educazione, accrescerne le capacità di assimilazione, di piacere,
ecc.) e quelle ormai già accettate, come gli esperimenti terapeutici
sull'uomo praticati negli Stati Uniti almeno dal 1949, e ammessi dalla
«carta delle ricerche riguardanti l’uomo»44. La giurisprudenza fran­
cese, che rifiuta di accettare qualsiasi sperimentazione, anche con il
consenso deirinteressato, è duramente giudicata dai tecnici: impedi­
sce il progresso. I medici chiedono il potere di decidere quando è il
caso di sperimentare e, alla ricerca di una morale tecnica, Fourastié
sembra dare loro ragione: «La nascita della scoperta coincide con
quella delle sperimentazioni. E inconcepibile che oggi un medico
non sia anche uno sperimentatore»45. Chiaramente bisogna accom­
pagnare tutto ciò al «contorno», vale a dire che tutti si sono messi
in movimento alla ricerca delle basi di un'etica collettiva: ci si arroga
il diritto di manipolare Findividuo per il bene della società, nell’in­
teresse comune, in funzione della solidarietà collettiva. E la sovra­
struttura ideologica destinata a ripulire la coscienza. In realtà è in
gioco solo l’autonomia della tecnica che giustifica ciò che viene fatto
in funzione del potere tecnico. Il discorso morale che vi si aggiunge
è un'ulteriore giustificazione di ciò che si sa innanzitutto oggettiva­
mente giustificato. Tale capovolgimento è evidente nell’articolo di
Melvin Kranzberg46, in cui Fautore mostra chiaramente il fatto che
non sono i valori a doverci autorizzare a giudicare la tecnica, sempli­
cemente perché è essa, la tecnica, che invece crea i valori: dimostra
che la libertà, la giustizia, la felicità sono razionalizzazioni di ciò che
la tecnica ha già fatto. I valori vengono dopo: la tecnologia li crea, ma
allo stesso modo può renderli obsoleti. L uomo ha potuto pensare e
parlare di «libertà» perché la tecnica ha eliminato schiavitù e servitù.
Pertanto non c’è più contraddizione tra un umanismo ben compre-

44 Associazione Medica Mondiale, Helsinki, 1964.


^ Dibattito sulla sperimentazione, marzo 1971.
A(ì M. Kranzberg, Technology and Human Va lues, «The Virginia Quarterly Review»,
1964.

184
L’autonomia

so e la tecnica. Tutto poggia sull’uso che l’uomo fa della tecnica:


«Il punto non è sapere se l’uomo dominerà la tecnica ma se l’uomo
possa dominare se stesso: Fimperativo tecnico è uguale alFimpera­
tivo umanista». Si incontra spesso F affermazione secondo la quale
la tecnica svela la capacità dell’uomo. Il computer è «l uomo messo
a nudo», ecc. In altre parole, in tutte queste affermazioni e pseudo­
evidenze, la tecnica è quell’ultimo, quel valore in funzione del quale
tutto deve essere giudicato, apprezzato, ordinato, e di conseguenza
la tecnica è autonoma senza che si abbia avuto l’audacia di formulare
tale oltraggiosa verità.

Ve Vr Ve

Restano, per concludere questa parte sull’autonomia, due osser­


vazioni. Una sulla relazione tecnica-limite, Faltra sulla neutralità del­
la tecnica.
Ovviamente, quando avanziamo il carattere di autonomia, dob­
biamo ricordare quanto detto a proposito del fattore determinante:
non si tratta di un'autonomia metafisica e assoluta, dato che la tec­
nica non è sottomessa ad alcuna determinazione né pressione. In
realtà c’è sempre interrelazione e Beaune47 ha ragione nel dire che
se la tecnica è dotata di autoregolazione, di normalizzazione, ecc., se
il progresso tecnico è la causa principale, ad esempio, della concen­
trazione delle imprese, reciprocamente queste costituiscono il luo­
go privilegiato della creazione scientifica e tecnica. Tutti i rapporti
sono reciproci: Tecnica-Stato, ecc., ma prima di piegarsi al condi­
zionamento di un’istanza esterna, la tecnica prosegue il proprio svi­
luppo in virtù dei propri imperativi intrinseci: l’influenza esterna
funziona da freno, o orientamento, o deviazione, o assimilazione
e adattamento, ma gioca sempre un ruolo di secondo piano, dopo
lo svolgimento del processo intrinseco. Per via di tale autonomia,
la tecnica sconvolge la relazione tradizionale tra Teoria e Pratica.
L’errore dell’interpretazione marxista della relazione tra Teoria e
Pratica in relazione alla società tecnica è stato validamente messo in
luce da Charbonneau48: «Come passare dalla teoria alla realtà, in un

47 J.-C. Beaune, op. cit.


^ B. Charbonneau, Le Systèrne et le ebaos, cit.

185
I caratteri del fenomeno tecnico

mondo in cui, mentre la teoria diviene monopolio della scienza, la


pratica diviene quello dello Stato?».
La tecnica è soppressione dei limiti. Non esistono operazioni im­
possibili o vietate per essa. Non si tratta di un carattere accessorio
o accidentale, ma è l'essenza stessa della tecnica: un limite è sempre
solo ciò che non si può realizzare dal punto di vista tecnico - sempli­
cemente perché al di là del limite c’è un possibile da realizzare. Non
c’è alcuna ragione di fermarsi a tale punto. Non esiste alcun confine
delimitante un campo autorizzato. La Tecnica si comporta nell’uni­
verso qualitativo esattamente come i razzi nel Cosmo: si può arrivare
solo fino a un certo punto perché i mezzi non permettono ancora di
raggiungere Marte o Venere. Cos'altro, a parte la mancanza di mezzi,
può impedircelo? Ma è lo stesso nel campo umano, sociale, ecc.? I
limiti, in questi campi d azione, sono qualitativamente diversi dal­
la tecnica e quindi non possono essere riconosciuti e accettati come
tali da essa. Ci sono così solo due tipi di limite: quelli dovuti alla
mancanza di mezzi e quelli qualitativamente incommensurabili (e
che quindi non possono essere riconosciuti come limiti). La Tecnica
così non è un fenomeno trasgressore, ma un fenomeno che si situa in
un universo potenzialmente illimitato perché essa stessa è potenzial­
mente illimitata: presuppone un universo a propria misura, e quindi
non può accettare alcun limite preliminare. Tutti sono d’accordo nel
dichiarare che la ricerca scientifica debba essere libera e indipen­
dente. Così come la tecnica. I moderni zelatori dell’abolizione della
morale sessuale, della struttura familiare, del controllo sociale, della
gerarchia dei valori, ecc. sono solo portavoce dell’autonomia tecnica
nella sua assoluta intolleranza nei confronti di qualsiasi limite: sono
perfetti conformisti dell’ortodossia tecnica implicita. Credono di
combattere per la propria libertà, ma in realtà è la libertà della tec­
nica, della quale essi ignorano tutto, che servono ciecamente schiavi
del peggiore dei destini.
Uultima osservazione riguarda la neutralità della tecnica. Quan­
do dico che la tecnica è autonoma, non voglio dire che sia neutra,
ma al contrario che essa possiede una propria legge e un senso in
se stessa. La tecnica non è uno strumento che l’uomo può utilizza­
re a piacimento. Possiede un proprio peso, una propria direzione.
Richta sottolinea saggiamente che tutte ie teorie sulla «neutralità»
della tecnica sono nate a partire dall’industrializzazione. Ciò è ac-

186
L’autonomia
caduto perché «in nessun periodo precedente le forze produttive
avevano assunto tale forma indifferente al commercio degli individui
in quanto individui»49. E interessante sottolineare che, quando nel
1950 ho sostenuto la non neutralità della tecnica, sono stato attac­
cato su due fronti: da un lato in funzione dell’ideologia illustrata da
Richta, secondo la quale l’uomo rimane padrone di utilizzare uno
strumento per il bene o per il male. La frase di Marx mostra chiara­
mente l’origine di tale argomentazione. Dall’altro lato mi fu rimpro­
verato da parte dei marxisti di distogliere l uomo dalla lotta politica,
di depoliticizzarlo centrando tutto sulla tecnica: ciò significa obbe­
dire ancora all’ideologia di una neutralità della tecnica credendo che
se essa non è innocente è solo perché è in cattive mani (che biso­
gna cambiare politicamente): ma anche questo è un antimarxismo.
Charbonneau’0 dimostra implacabilmente come la tecnica tenda a
divenire il proprio fine nascondendosi sotto l’idea di libertà. «Non
è neutra: lo sembra solo quando ci si impone automaticamente. Ciò
che scambiamo per neutralità della tecnica è la nostra neutralità nei
suoi confronti». Attualmente si sta verificando un capovolgimento a
questo proposito: si ammette che la tecnica non sia neutra. Ma con
un controsenso quando si intende ciò come fanno i marxisti: per i
marxisti la Scienza e la Tecnica non sono neutre perché esprimono i
rapporti di produzione capitalista. La Scienza è un’ideologia (quindi
non oggettiva) che riflette le idee della classe dominante, la tecnica è
uno strumento di dominazione di tale classe. Ritengo tutto ciò pro­
fondamente inesatto. La Scienza e la Tecnica rimangono identiche in
un mondo socialista (compreso in Cina!) con i loro effetti e le loro
strutture, ed è semplicemente un abile raggiro idealista a persuaderci
del loro cambiamento di segno, comparabile alla credenza cristia­
na in un Paradiso. Per me la non neutralità della Tecnica significa
che essa non è un oggetto inerte utilizzabile in qualsiasi modo e per
qualsiasi scopo da un uomo sovrano. La tecnica possiede in sé un
certo numero di conseguenze, rappresenta una certa struttura, certe
esigenze, comporta certe modificazioni dell’uomo e della società, che
si impongono che lo si voglia o meno. Procede autonomamente in
una certa direzione. Non dico che sia totalmente irrimediabile, ma

49 K. Marx, I,'Ideologie allemande.


50 B. Charbonneau, LeSystème et le ebaos, cit.

187
1 caratteri del fenomeno tecnico

per cambiare tale struttura o orientare diversamente il movimento è


necessario un immenso sforzo per controllare ciò che si ritiene mobi­
le e orientabile, è necessaria la presa di coscienza delTindipendenza
del sistema tecnico, alla quale si oppone la rassicurante convinzione
della neutralità della tecnica51.

51 Alcuni studi contestano tale autonomia; lo studio più approfondito è quello di


Bela Gold, Lentreprise et la genèse de l’innovation, «Analyse et Prévision», 1967.
Secondo questo autore i progressi tecnologici sono modellati dai valori preesistenti
e dalle convinzioni degli uomini che decidono di dedicare risorse alla ricerca. In
realtà, malgrado le intenzioni, Gold dimostra che la crescita tecnica al contrario ha
«portato una modificazione dei principi che servono da guida alle decisioni diret­
toriali». Le «scelte» sono in realtà intrecciate a processi dominati dagli imperativi
tecnici. Come fa giustamente notare Gold, anche se non si pone il progresso in sé
come obiettivo essenziale della ricerca, anche se rinnovazione non è coscientemente
desiderata, «l'opinione generale è che il progresso tecnologico sia inevitabile e che
non lo si possa ignorare». Lo studio non mi sembra dimostrare il suo punto di vista,
ma mette utilmente in luce il quadro nel quale avviene concretamente il progresso
tecnico, e il fatto che non bisogna chiaramente dimenticare le pressioni che agiscono
a favore e contro, i bisogni da soddisfare, le difficoltà della ricerca, gli ostacoli alla
comunicazione. In ogni caso, dimostra che si è lungi dallo scegliere e decidere razio­
nalmente una politica di «guida» delle innovazioni e della crescita tecnica.
Non ho molto da ricordare sul breve studio di M. Bookchin, Vers une technologie
libératrice, Librairies Parallèles, Paris 1974 (ed. or. ìowards a liberatory technology,
«Anarchos»), poiché non compie alcuna seria analisi del sistema tecnico e confonde
continuamente le possibilità della tecnica con Fuso effettivo. Mostra come alcune
tecniche permettano la decentralizzazione, la riduzione in piccole unità di produzio­
ne, i umanizzazione, l’economia del lavoro, ecc. Tutto evidente, ma tutto integrato
da un «se» implicito. Se l’uomo e il mondo fossero diversi da come sono, la tecno­
logia moderna sarebbe liberatrice. Ma non considera per un istante che la tecnica in
quanto sistema ha la propria legge di sviluppo che contraddice le potenzialità di una
data tecnica, che o altra parte l’adesione dell’uomo alle tecniche di potenza non è
accidentale, che non è il sistema capitalista a rendere la tecnica alienante. Non pensa
a come potrebbe avvenire il passaggio dalla Tecnica reale alla Tecnica liberatrice.
L’unica indicazione concerne la trasformazione in una società anarchica. Ma ahimè
si passa direttamente all’utopia.

188
Capitolo secondo
L’UNITÀ1

Il sistema tecnico è innanzitutto un sistema, cioè un insieme le cui


parti sono strettamente collegate le une alle altre, interdipendenti, e
obbediscono a una comune regolarità.
L'Unicità è semplicemente l'espressione concreta del sistema: le
tecniche sono legate le une alle altre in modo da esistere solo in fun­
zione reciproca. Sono completamente dipendenti. Non torneremo
su tale argomento, del quale ci siamo occupati nella parte preceden­
te. Esamineremo solo le condizioni e le conseguenze dell'Unicità.
Non si tratta di un fenomeno nuovo: esiste sin dallapparizione della
tecnica moderna. Furia, nella sua eccellente opera2, mostra come sin
dagli inizi della Rivoluzione Industriale tutte le tecniche siano legate
le une alle altre: ad esempio, le macchine tessili e quelle a vapore
avevano bisogno, per funzionare bene e a lungo, di pezzi metallici
fabbricati con precisione - da qui è nata l'importanza della fabbri­
cazione e dei perfezionamenti delle macchine e degli attrezzi. Non
sono tuttavia così certo che il prodotto della macchina fosse più pre­
ciso di quello creato da un artigiano, nonostante la certezza e gli
esempi offerti da Daumas3, secondo il quale tutte le innovazioni che
tra il 1760 e il 1830 trasformarono l’industria sono legate allo svilup-

J Ho già trattato un certo numero di elementi che qui riprenderò in La Technique


ou l’cnjeu du siede
2 D. Furia, Techniques et sociétés, cit.
1 M. Daumas, Histoìre des techniques, III, PUF, Paris 1976.

189
I caratteri del fenomeno tecnico

po della meccanica industriale. La realizzazione dell'alesatrice era


quindi indispensabile per ottenere una tenuta soddisfacente tra il
pistone e il cilindro della condensatrice di Natts. Un artigiano avreb­
be sicuramente fatto altrettanto bene, ma il lavoro avrebbe richiesto
l’acquisizione di una nuova tecnica!
«Il progresso tecnico costituisce un tutto i cui diversi elementi
sono concatenati tra loro da tensioni che li rendono dipendenti gli
uni dagli altri4. Il che significa che ogni scoperta può essere appli­
cata a un notevole numero di ambiti, ogni apparecchio è diventato
polivalente. Il computer può essere, ad esempio, applicato a tutto:
gestione, istruzione, medicina, vita pratica, impiego del tempo5, ecc.
Lo stesso vale per il laser6, e in un campo completamente diverso per
le strutture gonfiabili che possono essere utilizzate per l’agricoltura, i
trasporti, le telecomunicazioni7, ecc. Diventa un obiettivo cosciente:
si cercano sempre più tecniche polivalenti (come accade per il nuo­
vo programma della nasa), ma ciò provoca di conseguenza un'unità
fondamentale dell’intero campo della tecnica: la ramificazione delle
applicazioni tende a modificare l’insieme delle attività secondo uno
stesso modello».
•k k k

È semplice riconoscere l’identità dei caratteri del fenomeno tec­


nico, ovunque questo avvenga. Che sia in Inghilterra, in Giappone,
negli Stati Uniti o in urss, presenta le stesse cause, provoca gli stessi
effetti, dà all’uomo un simile quadro di vita, gli impone una forma
di lavoro, implica le stesse modificazioni degli organismi sociali e
politici, esige le stesse condizioni per la propria crescita e il proprio

4 Jbid.
5 Si veda lo studio dettagliato di B.B. Seligman, The Programming of Minerva.
6 II sistema di interazioni delle tecniche le une sulle altre è chiamato Sinergismo
da A.J. Wiener & H. Kahn, UAn 2000, Robert Laffont, Paris 1968 (ed. or. Theyear
2000, Macmillan, New York, Collier-Macmillan, London, 1967; tr. it. L'anno 2000,
U Saggiatore, Milano 1968). Siccome tale termine è utilizzato per designare anche
altri fenomeni, non lo adotterò. Rimando tuttavia a tale opera per i numerosi esempi
di interazione delle più diverse tecniche e anche per F analisi del fattore di impreve­
dibilità di evoluzione della tecnica che costituisce il Sinergismo.
7 Si veda lo straordinario studio di J J. Hublin, Les struciures gonflables, in Futuri-
bles, «Analyse et Prévision», 1970.

190
L’unità

sviluppo. Ciò vale quali che siano le origini storiche, le situazioni o le


possibilità geografiche, i regimi sociali o politici. Sicuramente ci sono
differenze, sfumature, ma sono ampiamente secondarie. Le esigenze
di coloro che si trovano immersi nel sistema tecnico, pur potendo
mutare leggermente a seconda dei costumi, rimangono essenzial­
mente le stesse. Ci troviamo in realtà ovunque di fronte a tratti co­
muni del fenomeno tecnico, talmente netti da rendere estremamente
semplice riconoscere cosa appartenga al fenomeno tecnico e cosa
no. Le difficoltà riscontrabili nello studio della tecnica provengono
dal metodo da impiegare, dal vocabolario, dalla complessità dei fatti,
ma non dal fenomeno in sé, eminentemente semplice da constatare.
Appare sempre più evidente che così come ci sono fattori comuni
tra oggetti così diversi quali un razzo e un televisore, così esistono
caratteri identici tra l’organizzazione di un ufficio e i metodi di co­
struzione di un aereo. C’è una straordinaria diversità di apparenze
nella proliferazione di lavori, oggetti, macchine, metodi, ma dietro
tale diversità si percepisce una trama ovunque piuttosto simile, e un
immenso sistema di correlazioni ininterrotte.
Molti autori hanno parlato di «ricadute tecniche»: quando si la­
vora a un progetto enorme, gigantesco, come la bomba atomica o la
conquista dello spazio, si è portati a creare metodi di lavoro, pro­
dotti, elementi tecnici, alcuni dei quali saranno in seguito utilizzati
in modo generale, diffuso in oggetti o in forme aventi un impatto su
tutti. Tutti sanno che le ricerche relative ai razzi interplanetari hanno
portato a un miglioramento della tecnologia dei metalli, dell’elettro­
nica, dell’informazione, della balistica, e addirittura della «minia­
turizzazione». La messa a punto dei circuiti integrati ha provocato
considerevoli trasformazioni nelle quantità di prodotti industriali.
Lo stesso vale per il notevole miglioramento di radio e televisione,
che porta alla cosiddetta «quarta epoca» dei computer, o per le ricer­
che che hanno fatto avanzare la tecnica di «affidabilità» dei materiali,
con notevoli cambiamenti per l’aviazione.
La nozione di «ricaduta» è stata vivamente contestata da Closets8,
in parte a giusto titolo. L’affermazione secondo la quale il concetto
di ricaduta è stato diffuso dai servizi militari e dalla NASA per giusti­
ficare le enormi spese dedicate alla ricerca nei relativi ambiti e spie-

* F. de Closets, En danger de progrès, Denoel, Paris 1970, cap. v.

191
I caratteri del fenomeno tecnico

gare che le scoperte tecniche risultano in ultimo utili in molti campi,


assicurando un progresso tecnico generale, è probabilmente esatta;
che si tratti di un «postulato indimostrato» secondo il quale la co­
struzione di un razzo permette automaticamente di scoprire un dato
nuovo procedimento tecnico, mi sembra meno certo. Closets rifiu­
ta di vedere la polivalenza dei prodotti e dei procedimenti tecnici.
Ovviamente i prodotti finiti realizzati per la costruzione di un razzo
non sono immediatamente commercializzabili o generalizzabili, ma
sicuramente le basi che hanno permesso la fabbricazione di tali pro­
dotti sono generalizzabili a condizione che vi sia un trasferimento.
E probabile che le ricadute più importanti siano indirette. Come
dice Closets stesso: «Si basano sui metodi di organizzazione, Parte di
utilizzare nuove tecniche...», e fa il noto esempio del metodo pert:
creato per la costruzione dei missili Polaris, è stato applicato come
modello organizzativo delle operazioni complesse nei più diversi am­
biti: ciò consiste di tecniche (di organizzazione) e dimostra meglio di
qualsiasi altra cosa l’unicità delTinsieme.
Perché il progresso avvenga in questo modo, e perché ci siano ri­
cadute, è necessaria un’ampia diffusione: si deve riconoscere in que­
sto campo la franchezza dell’informazione americana. Gli Americani
sono i soli ad aver compreso veramente il «Sistema Tecnico» e le sue
regole. Pubblicano così rapidamente le invenzioni tecniche, perché
sanno da un lato che comunque altri lo faranno più o meno rapida­
mente, e dall"altro che è questa la condizione per la velocità di cresci­
ta tecnica. In Francia, invece, una delle ragioni del blocco tecnico è
dovuta alla dispersione delle équipes, alla mancanza di coordinamen­
to dei programmi e al segreto reciproco tra laboratori. Tutte le tecni­
che hanno un'azione reciproca, le une sulle altre, si compenetrano,
si associano, si condizionano reciprocamente. Se non fossero esistiti
i trasporti veloci Furbanizzazione, la crescita industriale, il consumo
di massa non sarebbero stati possibili9. Ogni settore provoca, esige

9 I. Illich, La Convivialité, cit., ha perfettamente individuato la connessione tra


tecniche quando mostra la correlazione tra insegnamento e crescita tecnica, o tra
questa e l’organizzazione della «Sanità». Anche in questo campo: «Paradossalmente
le cure per abitante ritornano altrettanto più care del costo della prevenzione (igie­
ne), già più elevato: bisogna avere già coscienza della prevenzione e del trattamento
per avere diritto a cure eccezionali...». E più profondamente: «Gli Americani vo­
gliono destinare i venti miliardi di dollari stanziati per la guerra in Vietnam per

192
U unità

F apparizione di decine di nuove tecniche in tutti i settori - materia­


le, organizzazione, psicologia - le quali si ripercuotono suirutilizzo,
sulla crescita dei trasporti, il che implica nuove ricerche tecniche in
tale campo10. Le tecniche non esistono in sviluppo parallelo, non si
presentano in «ordine sparso» in un campo diverso e allogeno. La
possibilità di realizzazione di una data tecnica esige in realtà un certo
numero di realizzazioni di altre tecniche (talvolta molto distanti, ap-
parentemente senza rapporto!) - e, in modo reciproco, il progresso
di ogni tecnica provoca o esige per realizzarsi, un progresso di tec­
niche diverse o molteplici. Ciò è oggi così risaputo che si cerca di
associare deliberatamente tecniche che apparentemente non hanno
nulla a che vedere Funa con l’altra per vedere ciò che può accadere.
E diventato normale associare tecniche meccaniche, elettromagneti­
che, biologiche, psicologiche, ecc1A.
È importante notare che, secondo molti dei migliori sociologi del­
la tecnica, il punto basilare non è l’invenzione, ma Funione di diverse
tecniche. Il prototipo di un’invenzione è quasi sempre difettoso: si

sconfiggere la povertà o per rinforzare la cooperazione intemazionale, il che decu­


plicherebbe le attuali risorse. Né gli uni né gli altri comprendono che la stessa strut­
tura istituzionale sostiene la pacifica guerra contro la povertà e la sanguinosa guerra
contro la dissidenza. Tutti alzano ancora di un grado Y escalation che vorrebbero
eliminare». Allo stesso modo, nella stessa opera, Illich sottolinea che «i fautori del
miracolo verde tirano fuori sementi ad alto rendimento che possono essere utilizzate
solo da una minoranza che dispone di un doppio fertilizzante: quello del chimico e
quello dell educatore».
10 Per la costruzione dei satelliti artificiali, per esempio, è stato necessario tener
conto delle estreme differenze di temperatura alle quali i satelliti sono esposti nello
stesso momento: la superficie esposta al sole è sottoposta a una temperatura molto
elevata, quella all'ombra a una temperatura molto bassa. È stato necessario fare es­
perimenti in ambienti in cui vengono ricreate le condizioni del volo: si è costruito un
«simulatore» il cui irraggiamento riproduce esattamente gli effetti della luce solare,
si è «reinventato il sole». Ciò è stato possibile grazie all'applicazione di tecniche
automobilistiche (creazione di riflettori in grado di resistere all'azoto delle lampa­
de) e cinematografiche (il condensatore a nido d’ape per la distribuzione uniforme
dell’intensità luminosa). Allo stesso modo Kahn mostra gli effetti del «sinergismo»
dei laser, dell’olografia e i computer.
11 In questo modo lo studio dell’ematina del sangue a fini biologici ha permesso
di trovare la soluzione della pila elettrica a combustibile, che produce cioè corrente
elettrica per combustione fredda, senza rilascio di gas nocivi. Il prezzo di costo era
estremamente elevato: attraverso lo studio dell’azione dell’ematina è stato possibile
riprodurne il meccanismo a partire da un prodotto di costo poco elevato (ftalocia-
nina ferrosa) che permette la fabbricazione e la diffusione di una nuova fonte di
energia in grado di non viziare l’atmosfera.

193
I caratteri del fenomeno tecnico

ritiene che l’avanzata americana sia dovuta alla capacità di produrre


serie di modelli considerevolmente migliorati attraverso l’incorpora-
zione nella loro struttura di elementi provenienti da altre tecniche e
perciò capaci di prestazioni o efficacia maggiori (Freeman). In altre
parole, il problema del progresso tecnico consiste nelle correlazioni
e nelle informazioni tecniche.
Tali correlazioni portano a imporre la tecnica anche là dove non
sembra necessaria. Affinché la società si tecnicizzi, anche Pinsegna-
mento deve adattarsi. L’Università deve essere più tecnica per pro­
durre individui meglio addestrati a utilizzare le tecnica nella società,
Pena (Ecole Nationale d’Administration) deve abbandonare la ten-
denza alla formazione umanista. E necessario che i suoi allievi siano
formati all’uso di tutte le nuove tecniche, di ogni ordine, dentro e
fuori l’amministrazione: tale è l’obiettivo delle riforme dell’ENA del
1969. Chiaramente, così formati, gli ex allievi accelereranno l’appli­
cazione delle tecniche e rinforzeranno l’uso di strumenti multipli di
questo tipo. Tutto funziona per effetti reciproci. E quindi diventato
impossibile, allo scopo di un esame e della comprensione, conside­
rare una tecnica presa in sé, con relativi progressi, metodi ed effetti;
perché il vero problema, anzi, direi, la vera realtà della nostra socie­
tà, è il sistema di relazioni tra le diverse tecniche e le ripercussioni
reciproche delle une sulle altre, che si sviluppano in ramificazioni
tanto complesse che si finisce per avere conseguenze generalizzate. E
quindi necessario studiare il sistema di relazioni tra le tecniche.
Questo è oggetto di studio della sociologia, poiché la sintesi av­
venuta tra le diverse, innumerevoli tecniche ha provocato una muta­
zione del corpo sociale e della vita umana. Arriviamo così a un’altra
certezza relativa all'unicità della tecnica e aJPesistenza di un sistema.
Tutti parlano di tali trasformazioni. La famiglia, le fabbriche, gli uffi­
ci, le associazioni, le forme politiche hanno subito enormi modifiche
da un secolo a questa parte. Svaghi, viaggi, ritmi di lavoro, livello di
vita, inutile enumerare le centinaia di esempi. E ciò che ci si aspetta.
Quando ci si trova di fronte a un’impresa tecnica che non sembra
comportare grandi conseguenze pratiche per la società o l’individuo,
ci si pone subito la domanda: «A che prò?». Chiedersi per quanto
riguarda la «conquista dello spazio». «A che cosa servirà tutto ciò?»,
non significa dimostrare un tremendo atteggiamento utilitarista, ma
esprimere l'evidenza che la tecnica modifica tutte le forme di vita. Ha

194
L’unità

creato nuovi comportamenti, credenze, ideologie, movimenti politi­


ci. Determina i fattori di vita, i livelli e i modi d'esistenza. Tutto ciò
è forse accaduto per via degli aerei, degli apparecchi televisivi, dei
metodi di organizzazione, delle manipolazioni psicologiche? Se tutti
gli aspetti della vita umana e sociale sono cambiati, è fondamental­
mente perché l’ambiente in cui l’uomo si trova, il suo sistema di rife­
rimento e l’insieme delle modalità d’azione sono fondamentalmente
e globalmente cambiati12. Ciò non avviene in seguito all’apparizione
di un dato apparecchio o metodo, è al contrario necessario che sia un
nuovo ambito, un nuovo sistema di riferimento, un nuovo comples­
so globale di metodi d’azione: ciò che in effetti è il sistema tecnico.
La conoscenza, il discernimento della generalità degli effetti della
tecnica ci obbliga a risalire alla generalità del sistema. È esso ormai
a tessere il quadro di unità della nostra società. La Tecnica non è
più, come un tempo, un fattore tra gli altri di una società. La società,
generando una civiltà, creava l’ambiente in cui una Tecnica poteva
collocarsi. Al contrario, quest’ultima è diventata non solo il fattore
determinante, ma addirittura l’«elemento avvolgente» all’interno del
quale si sviluppa la nostra società. Bisogna prendere coscienza della
relazione che esiste tra ciò che ci sembra tecnico e ciò che ci sembra
altro. Addirittura le attività più indipendenti, le meno tecniche, si
collocano, che lo si voglia o meno, ali interno del sistema tecnico,
così come nel Medioevo tutto si situava (anche quando non c’era
rapporto diretto o visibile) nel sistema cristiano13. Da un lato tutto

12 Un ottimo esempio dell’Unicità del fenomeno tecnico in questo campo ci è of­


ferto nel libro di Kahn & Wiener, L'An 2000, cit., a riguardo dei «controlli sociali».
Dimostrano come in tale campo ogni tecnica reagisca sulle altre e modifichi il corpo
sociale nell’insieme attraverso la reciprocità d’azione.
13 Su questo punto sono completamente d’accordo con Habermas (op. cit.), quan­
do, nella critica su Marcuse, mostra il carattere unilaterale della Tecnica, e quando
sottolinea che non c’è alternativa per una Nuova Scienza, una Nuova Tecnica. L’op­
posizione che stabilisce tra Lavoro (che dipende dalla Tecnica) e Interazione (che si
riferisce alla pratica del vissuto) è sicuramente sensata, ma rimane completamente
prigioniero dei concetti filosofici permanenti, senza constatare il totale cambiamen­
to attuale. Ciononostante ammette che la civiltà tecnica cancella il dualismo del
lavoro e dell’interazione, «Come se il dominio pratico della nostra storia si lasciasse
ridurre a una operazione tecnica dotata di processi oggettivi». Tuttavia Habermas
abbandona tale apprensione della realtà, tale fuggevole chiarore per darsi alla dis­
sertazione politico-filosofica, come se i problemi filosofici obliterassero per lui to­
talmente il reale constatabile. Eppure l’opposizione tra lavoro (attività razionale in
rapporto a un fine) e interazione (relazione mediatizzata da simboli) è utile e può

195
I caratteri del fenomeno tecnico
è interpretato, compreso, acquisito in termini di tecnica, dall’altro
tutto è modificato dalla semplice presenza delle tecniche: se si con­
siderano la «crisi delle Chiese», l’aggiornamentoM, i cambiamenti
spirituali e liturgici, tutto ciò non accade per influenza diretta di una
data tecnica, ma perché ormai la vita religiosa ed ecclesiastica si situa
all’interno di un mondo tecnico. Il punto estremo è qui la sistema­
tica ricerca delle trasformazioni teologiche implicate e lo sforzo per
applicare direttamente le tecniche: per esempio l’informatica, la lin­
guistica, le dinamiche di gruppo, ecc. Ovviamente tali tentativi non
si spiegano con il genio inventivo degli autori, ma per il fatto che essi
sono talmente immersi nel sistema tecnico da non vedere più come
un’attività non tecnica sia concepibile. E necessario, infine, ricordare
che tale unicità gioca nel tempo. Le imprese tecniche sono avventure
di lunga durata. La tecnica non evolve per salti e variazioni: si per­
petua. Intraprende un dato orientamento tecnico, implica una tale
messa in opera di capitali, di forze umane, di organizzazione, di altre
tecniche, di progetti che è impossibile sia bloccarli, sia intraprende­
re un’altra via, sia tornare indietro. Come vedremo, gli effetti sono
cumulativi e gli orientamenti imperativi. Le apparecchiature che
influenzano la nostra vita o la qualità dell’ambiente hanno effetti a
lungo o a lunghissimo termine. Subiamo le conseguenze di decisioni
prese molto tempo fa e a riguardo delle quali non possiamo più fare
nulla. Ho tentato di mostrare dettagliatamente tutto ciò in L'Illusion
politique, come Kolm ha fatto in Economia Politica. L’unicità rende il
sistema concretamente (non ideologicamente, perché è sempre pos­
sibile immaginare un’utopia di malleabilità delle tecniche!) rigido
e coerente. NelTadottare un orientamento tecnico, bisogna dunque
prevedere tali «impegni», considerare il benessere delle generazioni
future. Ma ciò non rientra nei piani !
* *k *

Gli aspetti positivi e negativi del fenomeno dell’Unicità della Tec­


nica vengono messi in risalto in particolare dai computer. Si può dire

essere feconda per condurre (ciò che avevo già fatto in La Technique ou l’enjeu du
siècle) la critica della Tecnica.
14 In italiano nel testo originale.

196
L’unità

che i computer possiedano una potenza inimmaginabile che però


non viene utilizzata. Sono bloccati su ogni fronte dalla mancanza
di progresso nelle altre tecniche. Furia15 constata, ad esempio, che,
pur essendoci una terza generazione di computer, non c’è una terza
generazione di applicazioni. Più della metà dei computer non sono
redditizi per via di tale deficienza, li si utilizza con programmi conce­
piti per la generazione precedente, si traspongono, per mancanza di
tecniche intellettuali, le applicazione studiate per computer superati.
Il software sembra essere sempre più in ritardo sull’hardware: l’uo­
mo si vede quindi obbligato a cercare adattamenti tecnici e a inventa­
re apparecchi nei quali funzioni fino a oggi realizzate da programmi
(non più effettuabili dall’uomo) saranno integrate alla logica, alla
struttura stessa del computer: una parte del software, troppo costosa
e difficilmente aggiornata, deve essere rimpiazzata da un perfeziona­
mento del computer. Perché uno strumento come il computer trovi
il proprio spazio, è necessario che si inserisca in un ambiente tecno­
logico molto avanzato, poiché collega tutte le parti del sistema, ma
esige da parte di tutte le tecniche un «avanzamento» che le aggiorni
in funzione del nuovo venuto. In questo modo il computer è spesso
bloccato dalla mancanza di strumenti di comunicazione (Elgozy): si
può avere un servizio informatico perfetto che gli altri tipi di co­
municazione rendono però inoperante. Se il computer non rende
quanto potrebbe, è ad esempio a causa del ritardo di telefono e fax:
«privata di tali strumenti, l’informatica per l’informatica è privata di
ogni interesse». Ciò, pur presentandosi come un’esigenza, è lungi
dall’essere immediatamente realizzabile: ci vorranno nuove mutazio­
ni tecniche. Si è già assistito a tale fenomeno per le «periferiche».
Per anni le possibilità dei computer sono state bloccate dalle peri­
feriche, essenzialmente ideate per trattare carta (schede perforate o
listing) o per avvolgere nastri magnetici. Tutto ciò (e addirittura i
dischi magnetici organizzati in gruppi removibili, dispack) è infini­
tamente inferiore rispetto al computer. Nel 1972, se si era alla terza
generazione di computer (uso di circuiti elettronici integrati invece
dei transistor e dei tubi elettronici delle generazioni precedenti) e ci
si avvicinava alla quarta, per quanto riguardava le periferiche non si
era ancora alla seconda. La raccolta di dati è lenta quanto l’emissione

” D. Furia, op. cit.

197
I caratteri del fenomeno tecnico

dei risultati. In Francia la raccolta dei dati avviene ancora su carta


per il 57%. Ma non è solo una questione di innovazione tecnica: è
anche, come lo è da qualche anno per la TV, una questione di stan­
dardizzazione (altro imperativo dell’unicità tecnica). Non c’è anco­
ra standardizzazione delle interfacce computer-periferiche, perché
bisogna adeguarsi alle norme di ogni costruttore di computer: ciò,
chiaramente, blocca l’eventuale progresso delle periferiche. Queste
possono avanzare solo a condizione di una standardizzazione, che
implicherebbe anche la standardizzazione dei computer! Ciò com­
porta, in tempi più o meno rapidi, una nuova concentrazione - come
ha perfettamente spiegato Lattès16. Il progresso informatico implica,
per la creazione di macchine, una «unità di comando», così come
una teleinformatica senza frontiere, e quindi l’essenziale messa in di­
scussione tecnica di strutture economiche e politiche. Uunicità delle
tecniche tende a essere tanto stretta che non si può più introdurre
un’innovazione importante in un punto qualunque del sistema senza
provocare immediatamente perturbazioni e un’esigenza di progresso
tecnico di tutti gli altri fattori.
* * *

Uunicità del sistema tecnico comporta un gran numero di con­


seguenze. La prima, sulla quale non insisterò, è la necessità di un
ordine tecnico di secondo grado, ossia la moltiplicazione delle istan­
ze tecniche destinate a organizzare l’unicità del sistema, così come è
necessaria un'organizzazione scientifica del progresso scientifico.
Ricordiamo anche che l’unicità del sistema comporta la necessi­
tà di correlazione tra le tecniche. Questa sembra tanto decisiva che
alcuni prendono in considerazione, addirittura in un’economia libe­
rale, di creare «nuovi organismi» con lo scopo di acquisire un’auto­
nomia sufficiente in campi tecnici diversi e al contempo di stabilire
una sorta di missione diplomatica tra le imprese, in modo da aiutare
efficacemente il passaggio di conoscenze specialistiche da una dire­
zione all’altra. Si sfocia così stranamente in una sorta di rinuncia alla
concorrenza in nome della necessità alla cooperazione tecnica, che
domina tutto17.

16 R. Lattès, Les sociétés informatiques de 1980, «Le Monde», marzo 1971.


l/ Bela Gold, LEntreprise et la genèse de l’innovation, cit.

198
L’unità

Di altro ordine sono le conseguenze dovute a tale unicità: l’im­


possibilità di distinguere tra tecniche buone e cattive, la relazione tra
forme e contenuti delle tecniche, l’identità tra la tecnica e il suo utiliz­
zo, la polivalenza di ogni tecnica, l’indipendenza del sistema tecnico
nei confronti dei regimi politici o sociali, l’impossibilità di relegare
una tecnica a un uso ridotto e di impedirne il passaggio nell’uso pub­
blico, ecc18. Non vado oltre. Ricordo solo che l’unicità del sistema,
che ne permette sia il rapido sviluppo sia l’equilibrio, può, in alcuni
casi, essere anche la causa della sua fragilità: quando viene colpito
un punto, tutto rischia la paralisi. Il sistema tecnico, nel quale tutte
le tecniche sono in relazione e coordinate, deve essere paragonato
alla rete elettrica dalla quale tutto dipende. Una catenaria spezzata
comporta a causa della solidarietà-tecnica di tutta la rete notevoli
conseguenze umane ed economiche: interruzione dello spostamento
in massa dei lavoratori, arresto del lavoro nelle fabbriche interessate,
ritardo nell’arrivo delle materie prime, ore di lavoro perdute che si
ripercuotono, ad esempio, per Parigi sui 260.000 pendolari che arri­
vano alla Gare du Nord, sui 300.000 in arrivo alla Gare Saint Lazare.
Il minimo incidente costa caro alla collettività. Più il sistema è uno,
più è fragile.
Consideriamo ora un altro ordine di conseguenze: poiché il feno­
meno è dotato di unicità, nel momento in cui si cerca una risposta a
un dato inconveniente, una soluzione alle difficoltà provocate dalla
tecnica, una soluzione a un dato problema, non bisogna considerare
un fenomeno tecnico separato, isolato dal contesto; bisogna al con­
trario considerare il sistema, perché è generalmente da una veduta
globale che si comprende il motivo di un dato fattore che sembre­
rebbe assurdo, e che si misura la complessità delle questioni poste.
Abitualmente, si considera tale elemento separato, il che permette in
apparenza di trovare una risposta soddisfacente; ma ci si chiede con
irritazione perché tale risposta non venga applicata. Si cercano allo­
ra ragioni mitiche, influenze di un regime politico, di una struttura
economica, di un’ideologia alogica: la soluzione proposta è sempli­
cemente inapplicabile per via del contesto tecnico globale nel quale
si dovrebbe inserire.

18 Si tratta delle conseguenze di cui mi sono già occupato dettagliatamente e con


numerosi esempi in La Techique ou l’enjeu du ùècle, pp, 90-102.

199
I caratteri del fenomeno tecnico
Prendiamo qualche esempio. Oggi è tecnicamente facile forni­
re al pubblico un’informazione corretta, «oggettiva», generale, im­
mediata. Addirittura il difficile problema dell’onestà, della non
ingerenza di interessi politici o economici può essere tecnicamente
risolto. Va tutto bene, quindi. In realtà no.
Perché non ci si occupa dell’effettiva situazione, nel campo tecni­
co, del ricettore e utilizzatore dell’informazione, cioè l’uomo infor­
mato. Lo stile di vita creato dall’ambiente tecnico fa sì che egli non
possa essere correttamente informato; gli mancano la formazione
intellettuale, il tempo e il senso. Non è a causa di un difetto uma­
no, ma a causa della condizione tecnica. Il problema della «buona
informazione» è ormai studiato a livello delle informazioni tecniche,
apparentemente le sole a poter essere effettivamente trattate: perché
bisogna distinguere l’informazione di tipo tecnico (riguardanti i dati)
e l’informazione generale del cittadino medio. La prima è invadente,
opprimente, ma si è creduto (e i non informati ancora lo credono!)
di poterla dominare grazie al computer: tutte le informazioni devono
solo essere inserite nel computer e grazie all’informatica si arriverà
ad avere il tutto. Al contrario, l’informazione «generale» deve essere
acquisita e conosciuta da ogni cittadino, altrimenti non può essergli
utile per la formazione di un giudizio. Ci si è resi tuttavia conto che la
conoscenza diretta umana è indispensabile anche per le informazioni
tecniche19: «La distribuzione e l’uso dell’informazione pongono un
problema tanto più sensibile mano a mano che le organizzazioni si
ingrandiscono e che le loro linee di struttura si aggrovigliano. Le
decisioni che interessano il sistema di circolazione dell’informazio­
ne tecnica assumono in queste condizioni un effetto moltiplicato.
Dirigenti, esecutori, organizzatori sono ugualmente interessati dalla
regolazione di tale sistema». Abbiamo allora un interessante esempio
di unicità delle tecniche: affinché l’informazione passi e sia corretta-
mente utilizzata, è necessario un intervento di tipo psico-sociologico
per rendere un dato gruppo o una data persona adatti a ricevere
e utilizzare f informazione. Ingegneria, informatica, psicologia, ecc.
devono quindi cooperare per ottenere risultati positivi dall’insieme
delle tecniche d’informazione. Da un lato ci sono dunque blocchi

19 Barbichon & Ackemnann, La diffusion de Vinformai ioti tecbnique dans les orga-
nisatiom, «Analyse et prévision», 1968. Importante bibliografia.

200
L’unità

dovuti a certe tecniche, dall’altro cooperazioni rese sempre più ne­


cessarie.
È possibile anche trovare la migliore tecnica pedagogica, che as­
sicuri la formazione della persona e lo sviluppo delle conoscenze:
tecnicamente, si sa già. Ma la ricerca non tiene conto della crescita
demografica, né dell’aggravamento dell’«età intermedia» (la situazio­
ne dei giovani adulti la cui formazione intellettuale dura sempre più
a lungo, escludendoli dalla vita pratica), né dell’equilibrio professio­
nale in un dato corpo sociale. Anche questi sono problemi dovuti
alla tecnica.
Dal punto di vista agricolo si continua a ripetere che in Francia
la cosa migliore sarebbe la riduzione della popolazione contadina al
15% di quella totale. Evidenza di tecnica economica resa possibile
dalla meccanizzazione e dai prodotti chimici. Ma, se lo spopolamen­
to delle campagne si aggrava ulteriormente, ci si scontra con i difficili
problemi della crescita urbana, con i drammi psicologici dell’adatta­
mento a un nuovo ambiente, con le difficoltà economiche d’impiego,
ecc. Tutto ciò dipende dall’influenza dell’ambiente tecnico sull’uo­
mo sradicato, o dalle possibilità tecniche nei settori prossimi a quello
rurale. Si potrebbero fare molti altri esempi. Tutti mostrano che nella
nostra società non si può sperare di risolvere un problema in modo
isolato, perché esso si presenta come un insieme indissociabile, la cui
struttura è il sistema tecnico. Le risposte, come la società, devono es­
sere globali. Senza queste condizioni, si finisce in una delle seguenti
situazioni: ognuno vuole fornire la risposta conveniente alla propria
specialità, nel proprio campo, ma se la soluzione è ben adattata al
problema, essa è sfalsata in rapporto al resto della società, divenendo
talvolta inapplicabile, ed essendo in ogni caso inadeguata, poiché
ogni situazione tecnica dipende dall’insieme della struttura. Il campo
di ogni tecnico è infatti condizionato dalle tecniche dei campi vicini.
Il tecnico non può ambire a un lavoro esclusivamente specializzato.
Ciò è d’altronde ampiamente noto e riconosciuto: ovunque si sente
affermare che oggi il lavoro solitario non è più possibile, è possibile
solo quello d'équipe. Ogni tecnico deve lavorare con i colleghi di
specialità differenti. E un luogo comune, ma non se ne è colta la reale
portata, dato che di solito lo si applica a settori limitati: è noto ad
esempio che centinaia di specialità diverse cooperano alla realizza­
zione di razzi interplanetari. Ma è necessario applicare lo stesso con-

201
I caratteri del fenomeno tecnico

cetto a tecniche non materiali. Per la preparazione psico-fisiologica


degli astronauti ci si è resi conto che ci volevano quasi trenta specia­
listi. A livello più basso, non si parla forse di «équipe medica»? Un
malato non può più essere curato da un medico, anche se è affetto
da una malattia precisa. E necessaria una équipe. Lo stesso vale per
le tecniche sociologiche o politiche. Bisogna anzi arrivare a coordi­
nare tecniche d'ordine diverso. Incontriamo qui però una difficoltà
maggiore: meglio si conosce un problema, più se ne analizzano i dati,
e più si capisce la complessità di ogni fenomeno. Ci sono in partico­
lare le zone di frontiera, ogni problema è contornato da una sorta di
«aura», più o meno distante dal centro. SÌ deve intervenire tecnica-
mente in queste zone? Aumenta il numero di tecniche da utilizzare,
il coordinamento si fa sempre più difficile, e si finisce col non sapere
più esattamente se l’uso di una data tecnica complementare è utile, o
se alla fine si avrà l’effetto opposto a quello sperato. Ma se questa è
la situazione, ben nota ai tecnici, non si tratta d’altro che dell’illustra­
zione (e della prova) della globalità, dell’unicità del sistema tecnico.
Non tenerne conto rischia di portare a uri impasse (seconda situazio­
ne da sottolineare): un tecnico non giunge a fornire una soluzione
soddisfacente a un problema nel proprio campo particolare; pensa
allora di rinviarlo, tale e quale, a un’altra specialità tecnica. Il secon­
do specialista, tuttavia, non può prendere sul serio il problema per­
ché non lo riguarda direttamente, o potrebbe non avere alcun mezzo
per risolverlo. Un esempio: un tecnico di psicosociologia del lavoro,
di ergonomia, dell’organizzazione del lavoro potrebbe concludere
che nelle attuali condizioni non ci sia alcuna soluzione alla fatica ner­
vosa, alla depressione, all’ansia, all’«alienazione», alla «reificazione»
(per usare termini vaghi ma comodi!) del lavoro di fabbrica. Si può
però sbarazzare del problema dicendo: «Tutto ciò può essere risolto
grazie allo svago. Sta al tecnico dello svago occuparsene». Il «tecni­
co dello svago», da parte sua, giunge alla conclusione che lo svago
non ha alcuna virtù in sé, e tutto dipende dalla personalità di colui
che ne usufruisce. Esso può essere deleterio se chi ne usufruisce è
incapace di gestire la propria vita. Lo svago non ha alcun senso né
virtù se nemmeno il lavoro ne ha. Non ci sono un lavoro distruttore
e uno svago costruttivo: un lavoro senza valore né senso porta diret­
tamente l’uomo a uno svago senza valore né senso. Questo piccolo
(e grande!) esempio dimostra fino a che punto nessun tecnico possa

202
L’unità

sbarazzarsi di un problema rinviandolo a un altro specialista. Solo il


coordinamento della ricerca e delTapplicazione possono portare a
un risultato perché le diverse tecniche non funzionano separatamen­
te, ma sono integrate in un insieme coerente.
Reciprocamente, e in modo fondamentale, non si può mettere in
questione una tecnica senza guardare a tutto il sistema. Non serve
a nulla cambiare un aspetto, un procedimento se non si mira a ri­
strutturare il tutto! Ad esempio, il libro Les Conditions de travati20
rinnova la questione ormai tradizionale della critica al Taylorismo e
al lavoro industriale in generale. Mette perfettamente in luce il carat­
tere assorbente e conformizzante delle tecniche moderne e sottolinea
come una messa in discussione delle tecniche in quanto mezzi causi
in realtà la messa in discussione di tutto il sistema e dei suoi obiettivi.
Wiener, in particolare, dimostra che il processo tecnico impedisce
di procedere a veri miglioramenti del lavoro se non si mette in causa
1 obiettivo della produttività. Non si possono migliorare realmente le
condizioni di lavoro se non si rinuncia a volere accrescere la produt­
tività a ogni costo. Allo stesso modo, Montmollin mostra il potere
assorbente del sistema tecnico con l esempio del taylorismo: Fanti-
taylorismo non fa che integrare in una razionalità superiore i principi
stessi del taylorismo. Non c’è alcuna reale messa in discussione: si
mantengono i principi (che sono gli stessi della tecnica, come ho di­
mostrato nel mio libro del 1950) ma li si porta a un livello superiore e
li si inserisce in un contesto più elaborato, meno «inumano». Infine,
all’interno di questo orientamento, Simondon ha dimostrato con la
profondità che gli è propria perché vi sia (e non possa essere altrimen­
ti) unità tra le tecniche materiali rivolte alT«ambiente» e le tecniche
dell’uomo, apparse come tecniche separate in un secondo momento.
Tale rapporto non deriva solo dal rapporto tra uomo e ambiente, ma
dal carattere della genesi di questo insieme. E grazie alla sua teoria
genetica che Simondon21 dimostra tale unità, che non è fortuita ma
risulta dall’essenza stessa del fenomeno tecnico. Ci troviamo così in
una sorta di Tutto o Nulla profondamente inquietante.

20 C. Durand et al., Les Conditions de travati, Éditions du Seuil, Paris 1974.


21 Si veda Parte terza, cap. III.

203
Capitolo terzo
L’UNIVERSALITÀ1

L’universalità (cioè il fatto che ormai troviamo la tecnica ovunque


e che il sistema tecnico si estende a tutti i campi) deve essere conside­
rata da due punti di vista. Cè innanzitutto Funiversalità concernente
Fambiente e gli ambiti d'attività umana2. C è poi Funiversalità geo­
grafica: il sistema tecnico si estende a tutti i paesi.
Uuniversalismo consiste quindi innanzitutto nel fatto che «il
Mondo intero tende a divenire una vasta megalopoli in cui le bricio­
le di natura che ancora resistono all'invincibile ondata sono solo un
fenomeno residuale: lo stato logico e inesorabile è l’ambiente artifi­
ciale, fabbricato da macchine automatiche» (A. Molès). Ma il segno
dell’universalismo è il cambiamento di disposizione nei confronti del

1 Si veda La Technique ou l’enjeu du siede, pp. 107-120. In questo capitolo ho


trattato principalmente le cause dell’espansione geografica della Tecnica, gli effetti
dell’espansione sulle civiltà non tecniche, l’impossibilità di una semplice immissione
di un insieme di tecniche in una società tradizionale. Non riprenderò qui questi
diversi elementi. Mi limiterò a riportare brevemente le mie conclusioni a riguardo.
Come Simon don sottolinea con decisione, i diversi caratteri del sistema tecnico
sono legati tra loro: l'universalità è legata alTunicità e all’autonomia. Addirittura
ne risulta, tenendo conto ovviamente della razionalità: «Il mondo tecnico scopre la
propria indipendenza quando realizza la propria unità».
2 È inutile riprendere qui la dimostrazione di Lefebvre dell’invasione, della su­
bordinazione della «quotidianità» da parte della potenza tecnica: «Nulla sfugge e
deve sfuggire nel regime della quotidianità organizzata». Bisogna leggere La Vie
quotidienne dans le monde moderne, Gallimard, Paris 1968 (tr. it. La vita quotidiana
nel mondo moderno, Il Saggiatore, Milano 1978), per avere un’immagine dell’uni­
versalità del fenomeno.

205
I caratteri del fenomeno tecnico

mondo degli oggetti: non si oppone più una natura umana, benefi­
ca, corrispondente airuomo, a macchine riconosciute come un male
necessario, accettabili giusto per la produzione. C’è ormai un’accet­
tazione positiva e gioiosa, non solo mediante benefici materiali, ma
anche attraverso un consumo estetico della macchina: i valori estetici
della fabbrica, dei nuovi materiali, della pubblicità, dell’elettronica
comportano un accordo tra i mezzi di produzione e la nostra sen­
sibilità. La creazione delfuniverso di oggetti non è quindi più solo
spontanea, ma volontaria e cosciente. All’antica appropriazione ma­
nuale del mondo naturale si sostituisce un’appropriazione mentale,
attraverso il simbolo e l’immagine del mondo tecnico. L’arte è simul­
taneamente testimone delTuniversalizzazione e mezzo di adattamen­
to. Grazie a essa il «parco» degli oggetti si rinnova incessantemente
in direzione di una migliore sensibilizzazione e si estende fino alla
totalità dell’ambiente umano. Attraverso essa la tecnica non si ac­
contenta più della propria giustificazione funzionale, ma si inoltra
nel mondo dell*estetica apparentemente gratuita. E il motivo per cui
il design ci pare molto più significativo in termini di universalismo
rispetto alle ricerche di punta, realmente gratuite dell’arte cinetica,
riflesso del tecnico per gli esteti ma non creazione di un nuovo uni­
verso3. Non è solo l’ambiente totale, tutte le attività umane tendono a
essere oggetto di tecniche. Ogni attività è sottoposta a una riflessione
d’orientamento tecnico. Ogni attività è stata dotata di strumenti o
di «modi di fare» generati dalla tecnica. Non c’è praticamente alcun
settore esterno alla tecnica. Dai compiti più umili ai più elevati, tutto
è compreso nel processo tecnico. Esistono una tecnica di lettura (la
cosiddetta lettura rapida), una tecnica di masticazione, ogni sport
diventa sempre più tecnico, c’è una tecnica di animazione culturale,
una per condurre una riunione. Si potrebbe andare avanti all’infini­
to, perché non si tratta solo del noto fatto che per ogni attività si mol­
tiplicano le macchine che implicano un certo comportamento, ma è
l’attività stessa a divenire tecnicizzata: c’è unione tra la macchina e i
metodi per servirsene e la tecnicizzazione dei gesti, attività indipen­
denti dalla macchina. Da un lato c’è «l’elettrodomestico», e dall’altro
il modo migliore di agire in una data circostanza per ottenere un
dato risultato. E la compenetrazione tra due processi che produce

Journées d’Eurodesign de Nancy, 1969.

206
L'universalità

l’universalismo tecnico a livello individuale e Luniversalizzazione del


consumo del prodotto tecnico, inteso non solo come macchina ma
anche, ad esempio, come rimedi, la cui generalizzazione produce un
comportamento specifico. Il comportamento è condizionato dall'au­
tomobile, dal televisore, ma anche dalla tecnica di rilassamento o di
dinamica di gruppo.
Simondon dimostra come l’insegnamento, il cui modello è secon­
do lui quello delTEncyclopédie, coincida con lo sviluppo tecnico,
essendo anch’esso tecnicizzato. E quindi «doppiamente universale»,
per il pubblico al quale si rivolge e per Linfomi azione che dà: «Sono
conoscenze destinate a tutti. Conoscenze date nello spirito della più
alta universalità possibile secondo uno schema circolare che non
suppone un'operazione tecnica chiusa su se stessa nel segreto della
propria specialità, ma collegata ad altre e poggiante su un ridotto
numero di principi. Per la prima volta (con LEncyclopédie) si costi­
tuisce un universo tecnico. Uuniversalità consistente e oggettiva che
suppone una risonanza interna del mondo tecnico esige che Lopera
sia aperta a tutti e costituisca una universalità...». E conclude per­
fettamente: «UEncyclopédie è una sorta di Fète de Fédération delle
tecniche che scoprono la loro solidarietà per la prima volta».
L universaiismo è chiaramente segnato dall’identificazione dei bi­
sogni. Mano a mano che si accede a un certo livello tecnico, appaiono
gli stessi bisogni, apparentemente in modo spontaneo, al di là delle
differenze di nazione o di categoria sociale. Aron nota correttamente
«la tendenza di qualsiasi gruppo sociale, giunto a un ceno livello di
reddito - in qualsiasi nazione - a desiderare gli stessi beni che i gruppi
che Lavevano preceduto nell’ascesa avevano acquistato»4. Allo stes­
so modo ritengo che Touraine abbia perfettamente ragione quando
afferma che la classe sociale non è più il fattore esplicativo delle con­
dotte culturali: «Lo spettatore al cinema o l automobilista non appar­
tengono più ad alcun gruppo sociale e soffrono gli incessanti passaggi
che devono effettuare dal mondo operaio alla massa, all’indifferenzia-
zione dell’abbigliamento, degli spettacoli e degli sport». Le tecniche
non appartengono a una classe, ma modificano in modo decisivo i
comportamenti sociali e tendono a identificarli sotto la maschera di
ideologie divergenti. A partire da una tale osservazione, bisogna ri-

4 R. Aron, Les Désillusions du prògrès, cit.

207
I caratteri del fenomeno tecnico

cordare che il fenomeno tecnico modella la totalità dello stile di vita.


È una banalità, ma è implicata dall’universalismo della tecnica. Per
non parlare degli elettrodomestici: sicuramente positivi, ma si sa an­
che che hanno causato quella che viene chiamata «accumulazione e
solitudine»5. La donna si piega sotto il peso degli oggetti che compra,
ma soprattutto sotto quello più tirannico degli oggetti che non può
comprare. Ma soprattutto la donna svolge da sola tutto quel lavoro
casalingo che una volta implicava una relazione, un lavoro colletti­
vo. Questo cambiamento viene definito una liberazione dai fastidiosi
compiti casalinghi (e lo è!), ma comporta degli oneri e una nuova
concezione di vita.
Un articolo fondamentale di Jorge d Oliveira E. Sousa, Méta-
morphoses de la guerre>6, dimostra mirabilmente che ogni innovazione
tecnica agisce sia sul sistema delle norme (elimina divieti, cancella
codici etici ormai desueti, rompe le norme positive) sia sul sistema
politico (intemazionale). Ma norme e sistemi si appropriano a loro
volta delle innovazioni tecniche regolandone l’utilizzo, assegnando
loro dei limiti, imponendo loro modalità di esistenza. Ci si trova in
presenza di tre variabili che reagiscono le une sulle altre. Il progresso
tecnologico ha dato preponderanza alla variabile tecnica e il discorso
tecnologico è in contraddizione con quello etico e legale. Mostra per­
fettamente che la potenza tecnologica militare induce alla creazione
di una sorta di feudalità mondiale. Ma non è la potenza atomica a
creare la distanza assoluta tra i «grandi» e i «piccoli»: è la raffinatezza
tecnologica (la tendenza della tecnica alla miniaturizzazione), per­
ché le armi atomiche non verranno mai impiegate in conflitti locali,
mentre gli armamenti elettronici «spingono all’estremo l’asimmetria
dei combattenti e dei loro mezzi». La «guerra elettronica» fa esplo­
dere il discorso etico sulla guerra (l’orizzonte promesso non è più
la morte, ma la sofferenza), le nuove armi sostituiscono l’ambiente
naturale distrutto dai defolianti con un ambiente «naturale» elettro­
nico. «Le convenzioni legali e morali tradizionali appartengono a un
mondo passato, quello della guerra convenzionale. Le nuove forme
di violenza tecnica non hanno ancora trovato il discorso adeguato al

5 Lavenir est-il à la machine à tout faire ou au prèt jeter, «Le Monde», novembre
1969.
6 In «Sciences et paix», 1973.

208
L’universalità

proprio diritto e alla propria morale». Questa chiave mostra a che


punto la tecnica sia divenuta autonoma e determinante.
Bisogna aggiungere l’uso di fattori chimici che modificano a pia­
cimento e in particolare attività o comportamenti. Pensiamo alla
«pillola» che trasforma la relazione amorosa, o ai tranquillanti che
assicurano il collegamento tra l’individuo e l’ambiente (evitando
all’uomo il peso di assicurare e gestire autonomamente le circostan­
ze, di integrare le esperienze: è proprio a causa di tale mancanza di
capacità che il tranquillante diventa necessario), alle varie droghe uti­
lizzate per trovare l’esperienza mistica e orientare una vita religiosa.
Sicuramente l’uomo ha sempre cercato defatiganti (coca) e paradisi
artificiali. Ma qui come altrove la differenza sta nella trasformazione
dei mezzi in processi tecnici in senso moderno, e nel loro inserimen­
to nel sistema tecnico generale. L’azione dell’arabo che fuma hashish
non è la stessa dell’hippy, perché l’una si situa in uno stadio pretecni­
co e riceve il proprio significato e la pratica stessa da un certo nume­
ro di «mancanze» fisiologiche, l’altra si colloca in cima allo sviluppo
tecnico e diventa un mezzo per completare rinserimento (attraverso
un 'apparente evasione) nel sistema tecnico. Certamente si dirà: «La
pillola o la droga sono processi liberatori dell’essere umano: la don­
na è ora liberata7. E l’uso di tali mezzi è volontario, è uno strumento
messo a disposizione». Tali riflessioni presuppongono sempre un es­
sere umano perfettamente indenne, autonomo, ma abbiamo già di­
mostrato come egli sia innanzitutto integrato, modificato dal sistema
tecnico. Usa tali prodotti come complemento, espressione, segno,
aggiunta di tecniche totali che non smette di usare. Tali prodotti con-

7 Non è questo il luogo per l’analisi della libertà nella società tecnica, ma R. Aron,
Les Désillusions du progrès, ha posto il problema in modo valido mostrando sia le
discipline crescenti, l’influenza di un’opinione pubblica pesante, la manipolazione,
sia la filosofia della libertà, la possibilità di scelta prima inimmaginabile per un gran
numero di comportamenti accordata a un crescente numero di persone. Ci sarebbe
molto da dire su questa «libertà». La pillola permette di fare «qualsiasi cosa» senza
dover temere conseguenze, è quésta libertà? Permette di disporre del proprio cor­
po, aumenta l’autodecisione, ma la soppressione di responsabilità è un bene? Per­
ché non bisogna spiritualizzare e dire che poter scegliere senza obblighi, decidere
secondo il proprio gusto, il proprio desiderio è esattamente essere responsabile. Si
tratta semplicemente di una libertà in senso hegeliano, ossia una relazione negativa
con l’altro - che la pillola aumenti l’indipendenza della donna e la possibilità di
essere tanto irresponsabile delle proprie azioni quanto nemmeno l’uomo poteva in
passato esserlo, non mi sembra abbia nulla a che vedere con la libertà.

209
I caratteri del fenomeno tecnico *

tribuiscono a condizionarlo nello stesso senso. Ma ancora una volta


non formulo giudizi morali (è bene o male) o di libertà (1 uomo è cosi
liberato o asservito). Non è di questo che mi sto occupando. Sto solo
cercando di mostrare come il sistema tecnico si estenda a tutti gli
aspetti della vita umana, che assorbe e modifica. La tecnica è chiama­
ta ad applicarsi ai campi più diversi. Non c’è ambito nel quale non
possa penetrare: per molto tempo si è pensato che i lavori agricoli
potessero essere soggetti a una lieve meccanizzazione, nulla di più.
Attualmente il lavoro agricolo è sommerso dalle tecniche biologiche,
chimiche, da tecniche di allevamento di maiali e vitelli in batteria,
da tecniche per raccogliere la frutta meccanicamente, da tecniche
per rampliamento dei campi e l’eliminazione della boscaglia, si può
addirittura applicare il computer «ai campi». Difficilmente si trove­
ranno due mondi più distanti, eppure il computer assicura ancora
una volta un compito elementare: ad esempio la compatibilità di un
insieme di coltivazioni (il sistema «conteggiato», nel dipartimento
della Charente-Maritime), al quale presto si aggiungerà un servizio
di gestione agricola - l’aspetto interessante qui è che si tratta di pic­
coli agricoltori (25.000 in Charente-Maritime, dove l’esperienza è
iniziata con proprietà medie di 25 ettari) che sono obbligati a riunirsi
per poter usufruire di tale sistema, e a ricevere una certa formazione
tecnica, a partire dalla quale risparmiano moltissimo tempo.
Onimus (LAsphyxie et le cri) mostra perfettamente l’invasione
della tecnica negli ambiti più distanti: l’amore e la religione. L’amo­
re «si riconduce al piacere e alle tecniche che procurano piacere.
Si pubblicano e insegnano ricette per fare l’amore con schemi e
istruzioni per l’uso. Il sesso si riduce a un ridicolo assortimento di
procedimenti meccanici». Uno dei grandi campi, con la morte, che
sfuggivano alla tecnica ne è ormai invaso. Non è sorprendente, ma
porta a due osservazioni fondamentali: la prima consiste evidente­
mente, come sempre, nel carattere riduttore e separatore della tec­
nica. L’amore può divenire tecnica a condizione di essere privato di
ogni sentimento, di ogni impegno, di tutto ciò che è dono, slancio,
passione - della festa stessa dell’amore - e ricondotto a un atto. Così
ridotto e separato dalla globalità dell’essere, può effettivamente es­
sere tecnicizzato. L’atto sessuale separato dalla vita (quella dei pro­
tagonisti e quella che potrebbe nascerne!) è un meccanismo. Ma il
fatto stesso di proporre, di diffondere delle tecniche (dalla pillola

210
U universalità

al Kamasutra), ne fanno obbligatoriamente una tecnica, e fame una


tecnica causa necessariamente tale riduzione e separazione: è sempre
il risultato dell'applicazione di una tecnica.
La seconda osservazione è che i ferventi protagonisti di tale tecni-
cizzazione sono gli uomini di sinistra, i rivoluzionari, i progressisti, gli
appassionati della libertà: questi demagoghi della libertà lottano stre­
nuamente contro loscurantismo morale del passato per imporre la
libertà dell'amore. Ma presi ogni volta nella loro trappola fanno sem­
plicemente fare un progresso (e che progresso!) all'universo tecnico.
Sono i mitomani della libertà, ma i servi reali della tecnicizzazione.
Trasformano in questo modo F amore nel suo opposto e sterilizzano
in un colpo solo gli amori e la gioia che avrebbe dovuto accompa­
gnarli.
Onimus mostra anche Vinvasione della tecnica in ambito religioso.
Il «rinnovamento religioso» degli ultimi anni, orientato verso lo Zen e
lo Yoga, scaturisce dalla scoperta di tecniche religiose, e dal fatto che
alcune religioni si prestino meglio di altre alla tecnicizzazione. Ciò
che si cerca allora non è né una concezione del mondo, né una ragio­
ne di vita, né un senso o una verità, ma tecniche (di contemplazione,
di vuoto, di estensione dello spazio interiore). «Nello spazio mentale
delle civiltà tecniche, le filosofie più elevate si deteriorano in ricette».
Si tratta sempre di trovare un procedimento esteriore, che esige lo
sforzo minore (carattere eminentemente tecnico) per ottenere lo stes­
so risultato apparente (l'estasi attraverso una droga, 1 ampliamento
dello spazio spirituale). «Lo Zen funziona benissimo: conosce i mez­
zi per far esplodere le strutture del discorso, per liberare la coscienza
attraverso l'assunzione abbagliante e definitiva dell'Assurdo». Il pro­
cedimento diventa essenziale. Ciò esprime la necessità di espansione
delle tecniche a tutti i campi: il mondo religioso diventa poco a poco
dominato. Lo è stato sicuramente a lungo, e si può dire che i proce­
dimenti magici, i riti, le liturgie, la musica e l'incenso erano tecniche:
ma tra quelle e ciò che oggi vediamo c'è tutta la distanza dell ope­
razione tecnica dal fenomeno tecnico. Abbiamo guadagnato in ef­
ficacia, rapidità, riduzione dello sforzo. E anche in purezza, poiché
nel nuovo fenomeno tecnico non c'è più altro, non c'è più la trama
religiosa «naturale». Perché la lunga ascesi degli esercizi spirituali di
Ignazio di Loyola se una pillola può darci lo stesso risultato? Di nuo­
vo il segno preciso della tecnica. Prima di tutto l'efficacia - quando

211
I caratteri del fenomeno tecnico

un autentico religioso direbbe l'opposto: prima di tutto Tascesi. Si


assiste alla stessa influenza della tecnica tra i diversi movimenti reli­
giosi moderni: si procede incessantemente a una comparazione delle
tecniche e dei risultati - esattamente uno dei caratteri del processo
tecnico: gli adepti raccontano le esperienze e comparano i risultati.
«Il contenitore sta per rimpiazzare il contenuto, i metodi scacciano il
significato, un corpo di ricette standardizzate sta per sostituire il re­
ligioso». Bisogna sempre ricordare che oggi ogni azione che si vuole
efficace è necessariamente sottomessa alla tecnica. Non si può così
ammirare il guerrigliero in quanto rappresentante umano contro la
tecnica assimilata all'aereo o al carro armato. Non solo il guerrigliero
utilizza mezzi fornitigli dalla società industriale (armi e mezzi di co­
municazione) ma, se vuole vincere, deve innanzitutto essere lui stes­
so un tecnico, dell'organizzazione (amministrazione parallela), della
propaganda, dello spionaggio, ecc.: tecniche che non sono meno tec­
niche (ma al contrario spesso più) di quelle per pilotare un aereo! Il
trionfo del guerrigliero è sempre il trionfo della tecnica, e l'avvio del
suo paese alla tecnicizzazione.
Le tecniche universalizzate, inevitabili, si relazionano tanto bene
alle attività individuali quanto a quelle collettive, di insiemi, di orga­
nizzazioni. Gli uffici sono dotati di macchine sempre più numerose e
complesse, sono organizzati secondo principi sempre più rigorosi e
funzionano secondo processi sempre più precisi8. Non bisognerebbe
credere che ciò comporti d'altronde una maggiore tensione, un so­
vraffaticamento crescente, una minore indipendenza degli individui:
al contrario, quando ce unione tra l'apparecchiatura, la tecnica or­
ganizzativa e la tecnica operazionale individuale, l’impiegato si trova
sottoposto a un ritmo meno inquietante (anche se più rapido) e in una
situazione più distesa, con, apparentemente, maggiore autonomia. A
livello più elevato ritroviamo lo stesso fenomeno nell'ordine dell’or­
ganizzazione e della ricerca economica, amministrativa, scientifica

8 Si sa che l’amministrazione tende a trasformarsi poco a poco sotto l’influenza


delle tecniche: il migliore esempio ci è dato da L. Sfez, Administration prospective>
A. Colin, Paris 1970. Mostra come sia ormai impossibile non tener conto dei metodi
di gestione tecnica e soprattutto come il mondo nel quale viviamo implichi la pros­
pettiva, il che trasforma la concezione stessa delTamministrazione: in particolare il
suo studio dell’amministrazione non prospettiva nelle relazioni con gli organi pros­
pettivi è notevolmente e concretamente suggestivo.

212
Duniversalità

(perché affinché la scienza continui oggi ad avanzare le è necessaria


un’infrastnittura tecnica considerevole in macchine, organizzazione e
formazione metodologica dei ricercatori).
L’attività intellettuale e artistica è ormai direttamente tributaria
della tecnica - con lo stesso doppio aspetto. Da un lato ci sono le ap­
parecchiature: computer, tabulatrici, ecc. Dall’altro c’è la creazione
di tecniche musicali e pittoriche più strettamente ispirate dall'am­
biente tecnico. Conosciamo la tecnica del nuovo romanzo. Con i
nuovi metodi dell’ermeneutica affrontiamo il più astratto, il più an­
gosciante ambito per un intellettuale in cui la tecnica può avanza­
re. Sicuramente qui, come nelle tecniche politiche, si tratta ancora
di tentativi, ma, data la rapidità dell’espansione e del progresso del
fenomeno, bisogna aspettarsi lo sviluppo e l’approfondimento di
questi metodi nei prossimi anni. Ogni campo dell’attività, della vita
umana è oggetto di tecniche - a seconda dell’ambito di applicazione
le si può suddividere in tecniche meccaniche (termine molto arn-
pio che comprende anche ciò che non è propriamente meccanico,
come i computer), tecniche economiche (di ricerca e di intervento),
tecniche di organizzazione (riguardanti tutti i tipi di organismo so­
ciale, compresi lo Stato, l’amministrazione, ecc.) e tecniche «umane»
(rivolte all’individuo o ai gruppi non istituzionalizzati, pubblicità,
propaganda, dinamica di gruppo, psicanalisi, ecc.). Credo che sia
attualmente possibile affermare che nel mondo occidentale nessuna
attività, di qualsiasi ordine, possa pretendere di non essere tecnica.
Il sistema è universale9.

9 Un’interessante trasmissione su France-Culture del direttore dell Association


Franqaise de Normalisation (12 febbraio 1975) apporta una rilevante interpreta­
zione specifica sulTuniversalizzazione della tecnica. Il direttore esprimeva ciò che
per lui era un insieme di evidenze, con una totale innocenza e l’assoluta buona
coscienza dell’eccellenza delle tecniche. La standardizzazione è in sé una tecnica
universale. È stata innanzitutto applicata alla produzione industriale, cosa piuttosto
semplice, nel 1918 per garantire l’efficacia della produzione in vista della guerra.
Ma la standardizzazione ha una vocazione universale: «Bisogna standardizzare per
universalizzare». Formula estremamente profonda e completamente significativa di
ciò che la tecnica è realmente. Va da sé che il linguaggio debba essere uniformato (il
linguaggio viene d’altronde considerato come una prima standardizzazione, ma pri­
mitiva, imperfetta). Le facoltà intellettuali, gli scambi intellettuali, e certamente tut­
te le tecniche, la ricerca e le attività sociali devono essere uniformate. In ogni caso,
la standardizzazione comporta due livelli di analisi dell’oggetto da standardizzare:
l’idoneità all'impiego e l’intercambiabilità. A partire da questa doppia uniforma-

213
I caratteri del fenomeno tecnico
Ma non esiste alcuna reazione? È nota l’osservazione general­
mente ammessa che l’uomo moderno, utilizzando macchine o og­
getti tecnici, manipoli in realtà simboli, che siano i simboli in realtà
ad attrarlo verso il consumo, e che l’importante in tale universo sia il
simbolo, e non l’oggetto in sé. In questo modo si tenta di rassicurarsi
integrando il fenomeno tecnico in universo tradizionale e ben noto.
In realtà non è così! Perché il simbolo nel sistema tecnico ha muta­
to senso e valore per la semplice ragione che Toggetto simbolizzato
non è più come un tempo un oggetto simultaneamente sconosciuto
all'uomo e appartenente a un universo «naturale», nel quale tutto do­
veva essere simbolizzato. L’oggetto del mondo tecnico è ormai dotato
di efficacia propria, dotato di potenza, atto a ottenere risultati, opera
delPuomo eppure sconosciuto: il simbolo non riveste più quindi nei
suoi confronti lo stesso ruolo di un tempo. E necessario quindi com­
pletare quanto sopra detto10. Da un lato il potere di simbolizzazione
inerente all'uomo è escluso, dall'altro ogni consumo è simbolico. Il
sistema tecnico è un universo reale che si costituisce autonomamente
in sistema simbolico. Nei confronti della natura, l’universo simbolico
era un universo immaginario, un riflesso sovraordinato, totalmente
istituito dall uomo in rapporto all'universo naturale e grazie al quale
l uomo poteva distanziarsi, differenziarsi da tale realtà e allo stesso
tempo dominare il reale attraverso la mediazione del simbolico, che
attribuiva un senso al mondo peraltro indifferenziato. Nel sistema
tecnico non c’è più alcuna possibilità di simbolizzazione in questi
termini, innanzitutto perché il reale è prodotto dall’uomo, che non
prova più il sentimento di mistero e di estraneità e afferma sempre di
essere direttamente padrone. E poi perché se la simbolizzazione è un
processo di distanziamento, mentre il processo tecnico è al contrario
un meccanismo di integrazione dell’uomo. Infine perché ormai non
è più l’uomo a simbolizzare la natura, ma la tecnica a simbolizzare

zione, si definisce la totalità del prodotto o del servizio, che diventa così «normale».
Una lingua uniformata oltrepassa gli usi abituali: mira a tutti gli esseri umani e rende
servizi incomparabili. La standardizzazione è giustificata in questo discorso da tutto
ciò che giustifica la tecnica stessa ma che raramente è tanto chiaramente riconosciu­
to: produce precisione, semplicità, efficacia, universalità. Impedisce il disordine. E
come finemente sottolinea il direttore, non è mai imposta da un ukase, ma si impo­
ne autonomamente attraverso la propria evidenza, perché per applicarsi esige un
consensus omnium, ottenuto nella misura in cui gli uomini stessi sono uniformati!
10 Si veda p. 51.

214
L’universalità

se stessa: il meccanismo di simbolizzazione è la tecnica, i mezzi di


tale simbolizzazione sono i MMC. L’oggetto di consumo è un simbolo
offerto. La simbolizzazione è integrata nel sistema tecnico. Non c’è
più alcun distanziamento, alcuna possibilità di dominare il sistema
attraverso la via della specificazione dell’uomo e della sua originalità.
In particolare non è il simbolo ad apparire come complemento di
senso o accesso a una dimensione nuova: il senso è già garantito dal
sistema tecnico e tutte le dimensioni sono incluse. Allo stesso modo
il simbolo non è il mezzo umano per imporre un ordine significativo
a ciò che sfugge aH’uomo: in questo caso ciò che causa il simbolo è
• s
già un mezzo umano. Infine la funzione di simbolizzazione non è piu
un’attestazione del potere specificamente umano; è ormai subordi­
nata a un altro ordine, a un’altra funzione già creata dall’uomo. Se
essa si esercita a questo proposito, è la prova che la tecnica è ormai
il vero ambiente dell’uomo (altrimenti non proverebbe il bisogno
di fare uso di simboli a questo proposito!), e soprattutto è ormai la
prova dell’espansione totale della tecnica poiché essa provoca e in
realtà assimila la simbolizzazione di cui l’uomo è ancora capace. La
reazione hippy è la lotta disperata, incosciente, di retroguardia per
salvare tale libertà.
Habermas apporta a questa analisi una conferma eclatante mo­
strando che assistiamo a una destrutturazione del superego. «Un
maggiore sviluppo del comportamento adattativo altro non è che il
contrario o la contropartita di un dominio di interazione mediatizza­
ta dal linguaggio in via di dissolversi sotto l’influenza delle strutture
d’attività razionale in rapporto a un fine (in questo caso: il simbolico
è eliminato dalla tecnica). A ciò corrisponde a livello soggettivo la
scomparsa della differenza tra attività razionale in rapporto a un fine
e interazione nella coscienza umana. Il fatto che tale differenza sia
mascherata mostra giustamente la forza ideologica della coscienza
tecnocratica»11.

* ie iV

U secondo aspetto dell’universalismo tecnico è geografico: il siste­


ma tecnico si sviluppa in tutto il mondo, a prescindere dalle differen-

11 J. Habermas, op. citp. 49.

215
I caratteri del fenomeno tecnico

ze di razza, economia, regime politico12, Ciò, sebbene correntemente


ammesso da ventanni, non si verifica però sempre. È facile constatare
che una macchina è sempre la stessa ovunque la si trasporti, e che
non ci sono un modo arabo, un modo cinese, un modo capitalista o
uno socialista di usarla. Abbiamo tuttavia constatato che la macchina
è solo un elemento del sistema tecnico, e che esso presenta caratteri
simili a quelli della macchina.
Non sono le macchine a essere trasportate in tutti i paesi del mon­
do, ma il mondo tecnico nell’insieme, necessario perché le macchine
siano utilizzabili e conseguenza dell’accumulo delle macchine: è uno
stile di vita, un insieme di simboli, un’ideologia. Conosciamo bene il
caso delle macchine che donate a certi paesi africani rimangono inu­
tilizzate, sotto capannoni, sprecate. Non si tratta innanzitutto di una
questione di competenza, ma soprattutto di un'assenza di conformità
dello stile di vita, dell’organizzazione sociale. Non si può sfuggire al
dilemma: «O la macchina viene utilizzata, implicando così un certo
tipo di relazioni familiari, di organizzazione economica, una certa psi­
cologia, ideologia di produttività, di efficacia, ecc., oppure non verrà
utilizzata». Tutti gli elementi del sistema tecnico si condizionano a
vicenda, e la macchina è uno di essi. Non dobbiamo credere di trovar­
ci di fronte a una specie di puzzle i cui pezzi possono essere disposti
a piacimento. Ciascuno ha il proprio posto, e fino a che non lo si è
messo a posto f insieme non funziona. Ciò non significa che la forma
non possa mutare nei dettagli. Certo che può! U organizzazione poli­
tica può essere più o meno dittatoriale, più o meno democratica, ma
entro stretti limiti - vale a dire che il regime politico deve ad ogni
modo essere burocratico e fondato su esperti. Deve permettere l’uti-

12 Non riprenderò qui le indicazioni che avevo dato in La Technique ou Venjeu da


siede a riguardo del mutamento tecnico nel XVIII secolo né i caratteri dell Universa-
iismo geografico. Voglio solo segnalare a riguardo un libro essenziale: Ldequisition
des techniques par lespays non initiateurs, CNRS, Paris 1973, in cui un insieme di sto­
rici e sociologi studia le condizioni di sviluppo della Tecnica in una serie di casi pre­
cisi e Ì meccanismi di diffusione. Gli esempi sono solitamente presi dall’Europa (e
dal Giappone) nel XIX secolo, ma le conclusioni particolari possono essere tranquil­
lamente generalizzate tanto sono pertinenti. Ritengo che gli studi principali siano
quelli di M. Daumas, Orientation générale et acquisition de techniques britanniques
en France\ J. Purs, La diffusion asyndròmique de la traction à vapeur en Europe; Bal­
lon & Kimura per il Giappone; Bairo, Technique et conditions économiques\ Bucha­
nan, Innovai ion technique et conditions socia les.

216
L’universalità

lizzo ottimale dell’insieme dei mezzi tecnici: vi sarà allora un’elimina­


zione dei regimi inadatti e una selezione a vantaggio dei più adatti.
Sebbene le divergenze tra regimi si assottiglino gradualmente, quelli
che rifiuteranno l’impiego della tecnica saranno semplicemente esclu­
si - gli altri sfoceranno (certamente con le dovute differenze dovute
alla psicologia, alla storia, ecc.) in tipi simili non dal punto di vista
formale e costituzionale, ma dal punto di vista strutturale. Il Giappo­
ne è un significativo esempio di universalizzazione a partire dalla rivo­
luzione Meiji13. E il modello ideale della trasfusione delle tecniche
occidentali allo stato puro. Attualmente il Giappone è tecnicamente a
rimorchio degli Stati Uniti, cioè ogni sviluppo tecnico americano vie­
ne adottato e adattato dal Giappone, con il noto effetto: da un lato il
prodigioso balzo economico, dall’altro un pesante prezzo da pagare:
le aziende giapponesi (salvo rare eccezioni) dipendono da quelle ame­
ricane, con una conseguente dipendenza politica. Tuttavia, giunti a
un certo grado di sviluppo, la tecnica non può continuare a crescere
secondo un processo di semplice imitazione. Al di là del motivo na­
zionalista, è ciò a cui stiamo oggi assistendo: la tendenza alla creazio­
ne di un processo di crescita autonoma, che tuttavia, se mette in causa
la supremazia americana dal punto di vista economico e politico, non
è altro che la consacrazione dell’universalità tecnica. Lo stesso vale
per la vita e l’organizzazione economica. Ormai opporre socialismo e
capitalismo è perfettamente superato, è solo una questione di ideolo­
gia e propaganda. Esistono forme economiche adatte ad assorbire e
utilizzare al meglio l’insieme del sistema tecnico e altre che non lo
sono: queste ultime sono condannate, devono allinearsi o sparire1!.

n Si veda il valido studio di Vichney, Le Japon: de la technique à la science, «Le


Monde», giugno 1972.
M L’idea che il sistema tecnico sia identico in regime comunista e capitalista co­
mincia a farsi strada tra i marxisti. Prendiamo ad esempio il seguente testo, molto
significativo: «Uesperienza ha mostrato che, nella propria energia rivoluzionaria,
il socialismo poteva accelerare l’industrializzazione, e in una certa misura mode­
rare o controbilanciare i fenomeni che avevano tradizionalmente accompagnato
la rivoluzione industriale, come: il depauperamento delle masse, l’espulsione dalle
campagne, la formazione di un esercito industriale di riserva, ecc. Eppure anche il
socialismo non ha potuto eliminare alcune conseguenze profonde e gravi dell’indu­
strializzazione; non poteva impedire la tendenza inerente all’industrializzazione a ri­
durre in frantumi il lavoro, a separare l’attività di direzione da quella di esecuzione,
la necessità di mantenere alcune distinzioni sociali, la restrizione del progresso dei
consumi entro i limiti della semplice riproduzione della forza lavoro, la propensione

217
I caratteri del fenomeno tecnico

Con la tipica gelida ironia, Charbonneau1"5 riassume ITinificazione tra


paesi capitalisti e socialisti dovuta alla Tecnica con la formula: «Dopo
la tesi: il capitalismo, e Tantitesi: il socialismo, ecco il prodotto di
sintesi: la società di Plastica». Mitscherlich16 dimostra, come molti
altri, che il fenomeno tecnico produce gli stessi risultati a prescinde­
re dai regimi politici o economici: ad esempio, per quanto riguarda
Turbanizzazione e la tecnocrazia urbanistica: «Nei paesi comunisti i
limiti imposti alla proprietà privata non hanno favorito la comparsa
di uno stile originale, soprattutto non hanno significato la fine
dell’isolamento. Si è continuato a costruire villaggi lugubri». Furia17
mostra le convergenze tra diversi socialismi, russo e cinese ad esem­
pio, per via della Tecnicizzazione. I Cinesi hanno adottato le misure
raccomandate da Chruscév relative alla formazione tecnica. La tecni­
cizzazione, inizialmente compiuta dai Russi, porta i Cinesi a seguire
un cammino molto simile a quello dei loro avversari. «Sono d’accor­
do» sottolinea Furia, «nel considerare che le tecniche giocano un
ruolo fondamentale nell’evoluzione sociale, nel rimproverare al capi­
talismo di frenare la tecnicizzazione, nel ritenere che la tecnica è la
base della socializzazione, e perciò nell’attribuire all’insegnamento
tecnico il primo posto, e nel far diffondere dai dirigenti lo spirito
tecnologico presso i giovani e gli operai». Tale somiglianza mi sem­
bra ben più essenziale delie opposizioni spettacolari, apparenti e at-

a distruggere Tambiente naturale, ecc. Tali tendenze sono connaturate alla civiltà
industriale, e questo è il motivo per cui una nuova vita e nuovi rapporti umani non
possono essere durevolmente fondati su essa. In fin dei conti, l’industrializzazione
non è lo scopo della società socialista, ma una condizione preliminare, un punto di
partenza». Lhomme et la société dans la révolution technique, in «Analyse et Prévi-
sion», 1968. R. Richta ha lungamente esplicitato tutto ciò nel significativo libro, La
Civilisation au carréfoury Anthropos, Paris 1968, in cui dimostra che il socialismo
non fugge alle conseguenze della tecnica, e che con esso l’alienazione ha cambiato
forma ma non è scomparsa dal «corpo di civilizzazione industriale». Dimostra che
ciò prende le basi da Marx stesso: Marx non ha mai limitato il compito rivoluzio­
nario alla soppressione dei rapporti di produzione capitalisti e dello sfruttamento
capitalista, ma la sua critica si basava sulla civiltà industriale, di cui il capitalismo era
solo il creatore, l’iniziatore. Come effetto essenziale sul socialismo, Richta mostra
che la crescita intensiva dovuta alla tecnica comporta un abbassamento del coeffi­
ciente del capitale, il che permette di prevedere nel sistema capitalista la scomparsa
della contraddizione tra sviluppo della produzione e crescita dei consumi.
11 B. Charbonneau, op. cit.
16 A. Mitscherlich, Psychanalyse et urbanisme, Gallimard, Paris 1970.
17 D. Furia, Tecbniques et sodétés, cit.

218
L’universalità

tualizzate tra i due regimi. I Cinesi imitano i Russi nella volontà di


produttività dell’osT, la costituzione di équipes tecnologiche. I Cinesi
sono lanciati come gli altri popoli lungo la stessa via di tecnicizzazio-
ne - esattamente la stessa. Lo scrivevo nel 1952. E tutto lo conferma.
Non c’è alcuna originalità - che Mao pensi che la rivoluzione tecnica
debba accompagnarsi a una rivoluzione culturale non è nulla di nuo­
vo: era anche la posizione dei Russi nel 1927 con la Piatiletka. E se
Mao dichiara che il fattore dominante è l’uomo, non bisogna dimen­
ticare che Stalin aveva scritto un libro intitolato L’uomo, il capitale
più prezioso. Quanto alle sedicenti originalità del comuniSmo cinese,
le prove avanzate che i Cinesi hanno intrapreso un’altra via perché
associano lavoro intellettuale, rurale, industriale, perché fanno ap­
pello al fai da te e all’ingegnosità, ecc., tutti questi testimoni meravi­
gliati non vedono semplicemente che non si è su una nuova via, ma
su una strada precedente, ecco tutto, Il fai da te ha preceduto ovun­
que lo stadio delle tecniche evolute, le fabbriche costruite in campa­
gna hanno connotato lo stadio industriale di Francia e Inghilterra nel
xvi secolo. L’appello alFiniziativa dei lavoratori è lo stadio di inizio
della borghesia. In tutti i libri e racconti sulla Cina non ho mai trova­
to nulla di nuovo per quanto riguarda la tecnicizzazione: semplice-
mente si è all’alba del fenomeno, il che permette di farsi ancora illu­
sioni sugli sviluppi, e di immaginare un esito differente quando i
condizionamenti invece sono gli stessi. I Cinesi si sforzano con acca­
nimento, credendo di essere originali, di riprodurre esattamente le
condizioni di crescita tecnica e, se non le forme attuali, almeno la
realizzazione del meccanismo d’insieme che imporrà la propria legge
alle ideologie culturali. Perché non c’è altra scelta: o i Cinesi vorran­
no limitarsi entro questo apparente confine, e allora continueranno a
moltiplicare gli altiforni di villaggio e le fabbriche alla buona, e allora
raggiungeranno il limite massimo molto velocemente, oppure questa
«via cinese originale» è solo uno stadio, una tappa durante la quale i
Cinesi si abituano alla tecnicizzazione e preparano un certo numero
di basi necessarie allo sviluppo ulteriore. In questo caso la Cina di­
venterà una società tecnica esattamente paragonabile alle altre per­
ché, ripeto ancora, il sistema tecnico porta con sé un insieme di con­
dizioni e di conseguenze sempre identiche. Ma quando presento due
ipotesi, non bisogna illudersi: la scelta è già stata fatta - in favore
della seconda delle due. Infatti numerose dichiarazioni di Zhou En-

219
I caratteri del fenomeno tecnico

lai (riportate da «La nuova Cina», o in «Peking Rewiew») attestano


che la grande preoccupazione attuale è la tecnicizzazione - non im­
porta a quale prezzo - compreso accettando l’aiuto americano, rein­
troducendo gli «incentivi materiali», recuperando tecnici ed esperti
che erano stati rifiutati durante la Rivoluzione Culturale. Tutto è do­
minato dalla preoccupazione del ritardo tecnico della Cina rispetto
al mondo occidentale. Quando ci si avvia in questo tipo di concor­
renza tecnica, necessariamente si adotta tutto il sistema. Il problema
del ritardo si è posto inizialmente (1971-1972) in rapporto al «bloc­
co» e all’aggressione imperialista: è necessario che la Cina avanzi tec­
nicamente per far fronte alla politica imperialista. Non dimentichia­
mo che questo fu esattamente lo stesso argomento utilizzato da Stalin
per l’industrializzazione in massa e la tecnicizzazione. Quando si in­
traprende tale cammino, le conseguenze sono ineluttabili. Tanto più
che la tecnicizzazione comprende tutti i settori: la Cina, in particola­
re, deve fare uno sforzo speciale verso l’elettronica, l’automazione,
rinformatica. Questo stadio è ormai superato: Mao stesso ha procla­
mato la necessità di una tecnicizzazione intensiva18 «per rendere il
comuniSmo più gradevole» (sembra che Lin Piao sia stato scartato in
parte a causa del suo settarismo ascetico). Gradevolezza legata al con­
sumo, all’applicazione della tecnica a fini specificamente di consumo
di oggetti tecnici: a partire da ciò, tutti i discorsi sulla singolarità della
via cinese e il socialismo sono semplicemente parole. Il dibattito
sull’Economismo e sull’Incentivo Morale in Cina è stato caratteristi­
co. Ma il ritorno di Teng Hsiao Ping è il segno (e allo stesso tempo la
garanzia) oggi del trionfo della tecnica sull’uomo, della «politica
dell’acciaio», della modernizzazione a ogni costo, del nucleare, del
rendimento. La Rivoluzione si allinea alla Tecnica a qualsiasi prezzo,
definitivamente.
Il dramma del terzo mondo consiste nella sua inattitudine (attua­
le, ovviamente, non essenziale!) all’utilizzo delle tecniche. È perfet­
tamente morale ma intellettualmente ridicolo scandalizzarsi perché
i paesi ricchi diventano sempre più ricchi e quelli poveri sempre più
poveri. Porre il problema in questi termini è estremamente ideali­
sta e virtuoso, ma significa condannarsi sin dall’inizio a non com­
prendere nulla. Il punto non sta nel capitalismo, ma nella tecnica.

18 Giugno 1973.

220
L’universalità

Il technical gap si amplia perché il terzo mondo non è ancora com­


pletamente integrato nel sistema tecnico. Fino a quando non lo sarà,
non potrà far altro che diventare sempre più povero, essendo sempre
più surclassato dalle potenze tecniche. Non ha nessuna possibilità di
migliorare la propria posizione, né attraverso tumulti o dittature po­
litiche, né attraverso rivoluzioni nei paesi tecnicizzati: se le rivoluzio­
ni riuscissero, potrebbero tutt’al più distruggere la potenza tecnica
dell'Occidente, e ciò non migliorerebbe la situazione dei paesi del
terzo mondo. Al contrario questi cadrebbero ancora più in basso,
non avendo più F aiuto dei paesi «occidentali», né la possibilità di
esportare le proprie merci. La sola via possibile per il terzo mondo
è la tecnicizzazione (non dico Findustrializzazione!), la creazione di
regimi politici ed economici atti all'impiego ottimale della tecnica -
di una psicologia del lavoro e del rendimento, di un'organizzazione
sociale «individualista massificata», ecc. Cioè le condizioni di svilup­
po del sistema tecnico nel suo intero, in quanto sistema. Ma finché si
parlerà di «socialismo», di «nazionalismo», di «democrazia», queste
effusioni ideologiche bloccheranno ogni possibilità di tecnicizzazio­
ne, così come, in modo diverso, accade con la ricerca innanzitutto
dell'organizzazione sindacale dei lavoratori, o la diffusione in massa
di macchine, o il tentativo di industrializzazione rapida, ecc. D’altra
parte, quando dico che la sola via possibile è la tecnicizzazione, dico
solo che è la via imposta dal sistema tecnico, dall’universalismo. Non
dico che sia la via moralmente, ideologicamente, umanamente desi­
derabile, né che sia buonal9. E semplicemente inevitabile se questi
popoli vogliono sopravvivere. Altrimenti, sono condannati a essere
sempre più disgraziati, agitati da movimenti incoerenti, rivolte, lace­
razioni interne (e, ahimè, vediamo ovunque nel terzo mondo molti­
plicarsi le guerre locali, dovute più che ai Cinesi, ai Russi o alla cia,
alle tragiche reazioni alla crescente miseria dovuta alla mancanza di
tecnicizzazione), e sempre più dipendenti da potenze tecnicizzate,
anche quando queste ultime sono piene di buona volontà.
Goldsmith mostra bene come, poco a poco (e apparentemente

19 Gli effetti della tecnicizzazione in campo psicologico e familiare sono stati par­
ticolarmente ben studiati da uno psichiatra svizzero, Medard Buss, Un psychiatre
en Inde, Fayard, Paris 1971. Il suo studio è una conferma e un approfondimento di
quanto da me scritto sulla questione nel 1950.

2 21
I caratteri del fenomeno tecnico

per il loro bene), obblighiamo i popoli del terzo mondo ad abban­


donare i propri metodi agricoli, sani, che rispettano i cicli naturali,
a favore di un’agricoltura intensiva, che necessita di macchine, fer­
tilizzanti chimici e pesticidi: ciò ha il duplice effetto di sottoporre
tali popoli a una maggiore subordinazione nei confronti dei popoli
tecnici e di avviarli al ciclo infernale di una tecnicizzazione illimitata.
Ma ciò permette nell’immediato di migliorare la situazione per quan­
to riguarda il consumo di prodotti agricoli: la tecnicizzazione avviene
sempre in nome di un’evidente necessità immediata20.
L’eccellente resoconto della Conferenza sulla Tecnica nel Ter­
zo Mondo, tenutasi presso TUniversità del Ghana21, dona un pa­
norama completo della necessità di tecnicizzazione e degli effetti.
Il fine evidente della tecnicizzazione è la «fine dello sfruttamento
neocoloniale, la dignità dell’africano, la giustizia sociale, lo svilup­
po economico». Il dibattito si instaura innanzitutto tra sostenitori
dell 'intermediate technology (tecnica leggera, soprattutto rurale),
della tecnica adattata e della tecnologia indigena. La prima è rifiu­
tata in quanto non permetterebbe lo stabilirsi di un potere forte e
di un controllo del proprio futuro da parte degli interessati. Anche
la tecnica appropriata, che prevede un adattamento secondo le cir­
costanze locali, è rifiutata perché non si sa chi compirà tale adatta­
mento, e si teme, ancora una volta, che saranno i tecnici bianchi.
L’entusiasmo è tutto per la Tecnologia indigena. E curioso notare
che ciò che viene chiamato in questo modo è solo la messa a punto
da parte degli Africani di prodotti tecnici che si collocano esatta­
mente nel solco di ciò che viene fatto in Occidente. La prima grande
realizzazione della tecnica puramente indigena è la fabbricazione da

20 Chiaramente la diffusione di tecniche di controllo delle nascite (sterilizzazione,


spirale e pillola) nel terzo mondo provoca uno sconvolgimento fondamentale non
solo nelle relazioni sessuali, ma anche nelle credenze, nelle strutture sociali, ecc.
Si tratta di un vero «trapianto di cultura», come dice Sauvy. Ma si è ancora lungi
dall’aver misurato le conseguenze: gli «ingredienti» psicologici della sessualità,
della fecondità, il loro equilibrio sono praticamente del tutto sconosciuti e non si
sa esattamente quali drammi, quali sconvolgimenti sorgeranno. Si passa allo stadio
dell’applicazione in modo rapido, pressati dall’urgenza, non essendo in grado di
prevedere le conseguenze e di assumere le misure necessarie a evitare nuove scia­
gure.
21 West African Conference on Science, Technology and thè Future of Man and Soci-
ety, «CEcumenical Review», marzo 1972.

222
L’un iversali tà

parte di tecnici neri nigeriani di una sorta di nuovo razzo e lo si


• ♦ •

loda immensamente.
Sicuramente ciò è indispensabile per condurre la guerra contro
il Sudafrica, ma dimostra solamente a che punto vi sia identità tra le
tecniche e tra i processi di sviluppo delle tecniche. Chiaramente lo
sviluppo delle tecniche (identiche a quelle occidentali) deve avvenire
sotto lo stimolo dello Stato, il quale deve mettere a disposizione tut­
te le risorse per creare tecnici, ecc. Peraltro, gli «esperti» di questa
conferenza hanno riconosciuto che la tecnicizzazione comporta il
crollo religioso, Feliminazione dei riti, la trasformazione del pensiero
mitico in pensiero razionale, il che causa un vacuum psicologico e so­
ciale. In particolare vi è la tendenza alla dominazione assoluta della
minoranza tecnica sul resto della popolazione. Il rapporto di Sar-
pung è estremamente pessimista sulla disintegrazione sociale a causa
della tecnicizzazione e constata un ritorno, di fronte al crollo sociale
e religioso, alle più primitive pratiche di magia come difesa. Sap­
piamo già che Magia e Tecnica sono una buona combinazione. Gli
Africani percorrono le tappe più velocemente di noi ! Ma quali che
siano i pericoli, l’imperativo tecnico si impone: il rapporto di Aluko
analizza senza problemi le mutazioni sociali necessarie affinché lo
sviluppo tecnico sia possibile in Africa, in particolare la creazione
di una nuova ideologia, di self-reliance, nazionalista, razionalista e
socialista. Ma non sembra sospettare per un istante che tale ideolo­
gia self-reliant sia in realtà l’adozione pura e semplice dell’ideologia
occidentale! Presenta, esattamente i «Valori» dell’ideologia tecnica
occidentale. Per affermare l’indipendenza e l’autonomia dell’Africa,
l africanizzazione della tecnica, è necessario adottare non solo gli og­
getti e i processi tecnici, ma anche i valori e il contesto ideologico.
La raccomandazione finale della conferenza attesta a che punto sia
tutto il contesto sociale, ideologico, ecc., a dover essere sconvolto
per permettere lo sviluppo della Tecnica africana. Tutto ciò non ap­
porta granché di nuovo se non la confusione di valori prodotta dalla
tecnicizzazione, l accettazione da parte degli Africani del prezzo più
pesante da pagare, l’illusione che l’Africa avrà accesso alla maggiore
età e all’indipendenza attraverso la tecnica.
Quanto alla passione tecnicizzante e all’ideoiogia del progresso
presso i popoli del terzo mondo, Brzezinski propone numerosi e va­
lidi esempi: il fatto che gli studenti del terzo mondo si dirigano verso

223
I caratteri del fenomeno tecnico

gli Stati Uniti piuttosto che altrove, e con lo scopo di perseguire studi
tecnici22, o che ovunque si tenda a stabilire un agricoltura tecnicizzata
dipendente dalle invenzioni tecniche occidentali (la rivoluzione ver­
de), o che presso le popolazioni in via di sviluppo l’alfabetizzazione
sia mirata a una più rapida adozione delle tecniche (rivoluzione sog­
gettiva e culturale destinata alla tecnicizzazione!), con la coincidenza
tra la crescita delle comunicazioni, della formazione professionale,
dell'insegnamento tecnico e delle apparecchiature corrispondenti
(radio, tv, ecc.)23. Per tutti i paesi del terzo mondo fornisce cifre elo­
quenti. Ha ragione nel sottolineare l’inadeguatezza dell’insegnamen­
to letterario o giuridico e la tendenza degli studenti di questi paesi
ad adottare con le tecniche i modelli culturali occidentali - ciò che
viene formato, veicolato attraverso tale insegnamento è una totalità,
perché in realtà la Tecnica è divenuta totalità. Brzezinski rivela tratti
comuni a quasi tutti questi popoli: in particolare la tecnicizzazione
indiretta (attraverso la radio a transistor) delle masse contadine più
tradizionali. In realtà tutto poggia su una vera passione per la tecni­
ca, un'ossessione presso tutti i popoli. In particolare tutti i dirigenti,
tutte le élites sono in grado di concepire un’unica via di civilizzazio­
ne, una sola via di sviluppo, una sola via per «entrare nella Storia»,
quella della tecnica. Tentare di far loro comprendere che si stanno
avviando lungo una strada pericolosa, che la tecnicizzazione potreb­
be essere un vicolo cieco e che dovrebbero cercare la loro specifica
via di sviluppo significa venire subito giudicati, dato che un discorso
del genere è colonialista e antiprogressista24.
La passione tecnica porta i popoli del terzo mondo a rifiutare
tutto ciò che può essere attualmente detto a riguardo deli inquina-

22 Si veda p. 53.
2Ì Si vedano pp. 63ss.
24 Non si può certamente condividere rottimismo di Ehsan Naraghi (consigliere
culturale delTUnesco) in L’Orient et la crise de l’Occidente Editions Entente, Paris
1977 (tr. it. L’Oriente e la crisi dell Occidente, Città Nuova, Roma 1979), che pensa
che i popoli asiatici e africani abbiano ancora un’ampia libertà di scelta nei confron­
ti delle tecniche, di adattamento specifico delle tecniche e di mantenimento delle
culture originali. Tutto ciò si basa tuttavia su dichiarazioni di principi di assemblee
intemazionali, su considerazioni filosofiche, e dimostra una grande innocenza nei
confronti della realtà della Tecnica. Torna il Leitmotiv secondo il quale bisogna af­
fermare il qualitativo orientale contro il quantitativo. Era già Torientamento di molti
intellettuali occidentali dopo il 1920.

224
Dunivers alita

mento, dei rischi della tecnica, degli squilibri ecologici, ecc. Tutto
ciò pare loro qualcosa volto a impedirgli lo sviluppo tecnico. Non
hanno alcuna consapevolezza delTuniversalità dei problemi e non
considerano altro che la propria volontà di avvantaggiarsi dello svi­
luppo tecnico.
Il Brasile, orgoglioso dei propri spazi, delle proprie foreste, delle
riserve minerarie invita tutte le industrie a istallarsi nel proprio terri­
torio, senza riserve. Come giustamente diceva Vanhecke25, il Brasile
dichiara: «Venite, inquinate da noi!». Tipico.
«Qui la tecnica non ha ancora il monopolio delle opere di civiliz­
zazione ma la si chiama in modo feticista a inglobare tutte le realtà:
qui tutto viene misurato al chilometro di asfalto e al peso di cemento.
E gli intellettuali partecipano alla frenesia». Questa constatazione,
scrittami da un cooperante del Togo, può essere generalizzata. In
Costa d Avorio Simonnot26 constata l’unificazione attraverso la tec­
nica. La lamiera ondulata ha sostituito la paglia: i nuovi villaggi sono
infinitamente tristi e brutti, ma «corrispondono ai desideri di chi ci
vive: la lamiera è più robusta e non ha bisogno di manutenzione».
Non hanno ancora fatto esperienza degli inconvenienti (perché non
si tratta certo di estetismo!), sbarramenti, produzione, messa al lavo­
ro - e subito la creazione di un proletariato non per via dello sfrutta­
mento, ma per la disintegrazione del tessuto sociale tradizionale.
Ovunque rinsegnamento è orientato alla tecnicizzazione. Il giudi­
zio di Illich è praticamente colto da qualsiasi intellettuale occidentale,
ma perfettamente ignorato nel terzo mondo che obbedisce alla logica
del sistema: «va da sé» che Yalfabetizzazione sia un bene e che l’in­
segnamento debba essere sviluppato secondo il modello occidentale.
E perfettamente errato e stupido pretendere ad esempio che non ci
fosse alcun insegnamento nei paesi musulmani: ma la differenza, che
è la sola giustificazione a questo nuovo insegnamento, è la necessità
di accedere alla tecnica. Da qui nascono le tendenze al rifiuto del­
la cultura autoctona, le domande come quella riportata da Dejeux27:
«Se arabizziamo, possiamo ambire al progresso scientifico e tecnico?

25 Si veda «Le Monde», agosto 1973.


2D P. Simonnot, Lexemple et les vestiges de la Cóte-d lvoire, «Le Monde», luglio
1973.
27 «Le Monde», gennaio 1971.

225
I caratteri del fenomeno tecnico

Rifiuto del mondo dei narratori e dei poeti, distruzione di una cultura
lontana dall’efficacia: questi sono i temi della nuova arabizzazione!».
Non è questione di una sintesi né della creazione di una nuova cul­
tura, nella migliore delle ipotesi si potrà avere una giustapposizione,
come in Giappone, tra un folklore che sopravvive nella vita privata e
la tecnologia, che permette di raggiungere l’universalismo sacrifican­
do le peculiarità simboliche. La passione della tecnica comune a tutti
i popoli del terzo mondo si situa al di là delle ideologie delle forme
politiche dirigenti, e, ad esempio, del rifiuto dell’Occidente. La tec-
nicizzazione si trova nella lotta stessa contro FOccidente: è uno stato
mentale, un modo di organizzarsi, di collocare i problemi, ecc.

* * *

Oggi si parla molto dell’interdipendenza, in bene o in male, di


tutti i paesi del mondo. Ma non bisogna dimenticare che la «soli­
darietà meccanica e obbligatoria» proviene in realtà dalla tecnica,
e che sono l’Universalizzazione della Tecnica e la coerenza del si­
stema tecnico a produrre l’interdipendenza secondo la quale ogni
evento ha ripercussioni ovunque. Il che trasforma completamente ad
esempio il problema delle «crisi». Una volta «il sistema del mondo»
offriva così poca coesione che erano possibili soluzioni locali: oggi
non è più così. Siccome l’evoluzione era più lenta, si aveva tempo
per cercare dei rimedi. Oggi la combinazione delle tecniche è così
rapida che le condizioni della crisi cambiano prima che si abbia la
possibilità di trovare una risposta. Lo si è visto per la «crisi del pe­
trolio» e i disastrosi effetti sul terzo mondo, che ha visto la propria
produzione industriale e alimentare calare di circa il 20% nell’insie­
me nel 1974 a causa dell’aumento del prezzo del petrolio. Quando
riconduco l’universalizzazione alla globalità del sistema tecnico, mi
trovo in disaccordo con Pestel e Mesarovic, per i quali la tecnica è
uno dei fattori dell’insieme e non il fattore determinante, né costitui­
sce in sé un sistema. Ciò, secondo me, falsa la loro interpretazione
e l’orientamento della strategia per il futuro, in funzione di ciò che
essi chiamano il comportamento «contro intuitivo». Ciò è esatto, ma
la ragione del comportamento è dovuta alla realtà stessa, fino a oggi,
del suo fattore costituente: la Tecnica. La sola soluzione in tutti i
campi consiste in un approccio globale ai problemi, in una ricerca

226
Uunivers alita

dello sviluppo equilibrata, tecnica ed economica per tutte le regioni,


una diversificazione economica su scala mondiale con complemen­
tarietà, una politica demografica efficace. E bisognerebbe giungere
a combinare tutti i fattori. Il che implica un sistema volontariamente
totale, un'organizzazione autoritaria mondiale, che utilizza una tec­
nica ancora più sviluppata di quanto lo sia oggi.
Tuttavia lTJniversalità del sistema tecnico, l’identità ovunque ven­
ga introdotto, la riproduzione delle condizioni di esistenza, non si­
gnificano che esso produca l’unificazione del mondo. Abbiamo visto
in precedenza che il sistema tecnico non trasforma la società in una
Megamacchina: qui è lo stesso problema. E una questione, innanzi­
tutto, di livello di analisi: se la tecnica è ovunque la stessa, produce
ovunque effetti comparabili, e comporta la creazione di strutture
identificabili, ciò non vuol dire che a livello politico vi sia unificazio­
ne (anche il Nazionalismo è un’ideologia ovunque comparabile, ma
provoca l’ostilità tra popoli nazionalisti). Non c’è evidentemente una
universalità della società moderna. E se, come ha mostrato Aron28,
i universalità ideologica della tecnica si esprime in due postulati: ve­
rità della scienza e uguaglianza individuale, ciò non elimina i conflitti
sociali o nazionali. Mi sembra però che Aron ponga una domanda
errata quando scrive: «E legittimo passare dall'universale verità della
scienza, dall’universale efficacia della tecnica alla vocazione univer­
sale della civiltà industriale? Le nozioni di uguaglianza, personalità,
libertà sono vaghe. Si impongono al di fuori dell’Occidente? Bastano
a definire un progetto comune a tutte le società industriali, sovieti­
ca o occidentale? Ogni società non ha forse bisogno di un proprio
principio di coesione?». In realtà non c’è contraddizione. Uuniver-
salizzazione della tecnica implica un rimodellamento ideologico e
sociologico che è ovunque lo stesso, ma ciò, da un lato, non elimina
le singolarità locali, la possibilità per le diverse società tecniche di
entrare in conflitto le une con le altre; d'altro lato, l’universalizza-
zione non significa fusione e sottomissione a un governo mondiale,
e chiaramente resistenza di principi di coesione specifica a tutti i
livelli sociologici (così come esiste un principio di coesione del Na­
zionale, che non è tuttavia sufficiente ad assicurare la coesione della
famiglia). Ma c’è un problema più complesso: nel processo di univer-

R. Aron, Les Désillusions du progrès, cit.

227
I caratteri del fenomeno tecnico

salizzazione, la tecnica che «segna Favvento della comunità globale»


provoca allo stesso tempo rotture e aggrava le scissioni. Frammen­
ta l’umanità, la separa dai propri costumi tradizionali sulla base dei
quali si era stabilito un modus vìvendi universale. Amplia il ventaglio
delle condizioni umane, approfondisce il fossato che separa le con­
dizioni materiali degli uomini. Ovunque la tecnica si stabilisce come
fondamento, possibilità, esigenza delle società, ma crea i mezzi di
distruzione che provocano la paura e la diffidenza reciproche. Crea
i mezzi di produzione che separano i poveri e i ricchi in modo più
forte che mai, sembra aggravare le tensioni e i conflitti. «Mentre i
mezzi di trasporto e di comunicazione avvicinano le diverse frazioni
dell’umanità, i mezzi di distruzione le separano». «Le disuguaglianze
di sviluppo non sono mai state ampie come oggi, o più precisamen­
te, la nozione stessa di disuguaglianza di sviluppo non ha significato
al di fuori della civiltà industriale»29. Indubbiamente, quindi, alcune
tecniche servono all’avvicinamento tra gli uomini e alcune tecniche ne
provocano l’opposizione, le rotture. Ma ciò, pur esatto, deriva ancora
una volta dalla considerazione di tecniche separate. Il sistema tecnico
è universale, e in quanto sistema è già, più o meno completamente,
stabilito ovunque. Ma non garantisce la pacificazione o la buona ar­
monia tra i popoli. Provoca in effetti le rotture che conosciamo ma
che non possono nulla contro l’universalizzazione. Al contrario, le
divisioni sorgono a causa deU’universalizzazione del sistema tecnico.
Finché la tecnica era proprietà, appannaggio di un piccolo numero
di popoli, unici titolari del potere tecnico, il mondo poteva essere
unificato sotto la loro direzione. Ma è nella «natura» della tecnica
potersi universalizzare, non può essere tenuta segreta: è oggettivabi­
le e deve andare, d’altra parte, fino ali estremo limite del possibile.
Deve quindi comprendere l’insieme dei popoli. Questi non possono
rimanere sottomessi: a partire dal momento in cui accedono alla tec­
nica (e non può essere altrimenti) esigono autonomia politica. Per
di più la tecnica li obbliga a entrare in concorrenza con gli altri sul
proprio terreno. I popoli una volta colonizzati adottano la rappre­
sentazione della società o della Storia derivante dalla tecnica e che è
stata inizialmente formulata dalTOccidente (perché è stato il primo
tecnicizzato!). Uìdeologia della crescita (che si oppone a tutte le cre-

29 Jbid.

228
Uuniversalità

denze tradizionali) si impone così al mondo intero. Il terzo mondo


rifiuta tutta la propria antica filosofia a favore di questo unico vaio-
re - unicamente tecnico e occidentale: ma ciò provoca ovviamente
concorrenza e conflitti (ricordiamo l’ideologia del nazionalismo che
presenta lo stesso carattere). In realtà l’universalità del sistema tec­
nico provoca la rottura del mondo umano, e non l’unificazione. Ciò
fa parte dei caratteri stessi del sistema: produce concorrenze, fosse
anche solo in seguito alle diverse velocità di sviluppo dei settori tec­
nici. Nuove frammentazioni si sostituiscono allora a quelle antiche: la
Tecnica rende caduche le divisioni della società e del mondo umano
secondo gli antichi schemi o per gli antichi motivi, così come sono
studiati dai sociologi. Crea invece nuove differenze, oppure, mante­
nendo le stesse, le fornisce di giustificazioni e nuove basi: ad esempio,
le élites. E corretto affermare che la Tecnica sviluppa l’uguaglianza
e la democratizzazione, ma allo stesso tempo produce il fenomeno
delle élites tecniche. Non è dunque un caso se, attualmente, la tecnica
provoca rotture nel mondo «unificato». Non si può credere a una
«globalizzazione», a un avvicinamento tra popoli, a una solidarietà
mondiale. Si tratta di un idealismo basato su una visione molto su­
perficiale delle cose. Allo stesso modo, si credeva che il significato
della scoperta del Nuovo Mondo fosse la salvezza dei poveri pagani
attraverso la conversione al cristianesimo: è lo stesso tipo di illusione
che oggi ci fa credere che grazie ai mezzi di comunicazione si avanzi
verso un mondo unito. L’universalizzazione del sistema tecnico cau­
sa una identità delle basi e delle strutture delle diverse società, e un
avvicinamento materiale dei gruppi umani, ma li colloca immanca­
bilmente in posizione di conflitto di potenza. Perché bisogna sempre
ricordare che la Tecnica è sempre solo un mezzo di potenza.
Inevitabilmente siamo condotti dall’estensione del sistema tecni­
co a una progressiva identificazione delle culture e delle forme eco­
nomiche e politiche. Non bisogna dimenticare che il problema stes­
so dello sviluppo visto sotto l’aspetto della rivendicazione dei paesi
sottosviluppati proviene dall’esistenza del sistema tecnico con i suoi
caratteri di unicità e universalità. In effetti, se ci fosse la possibilità di
una pluralità di civiltà, ci troveremmo ancora nella situazione storica
tradizionale: ogni società avrebbe le proprie tecniche e la propria cul­
tura, sarebbe differente dalle altre, e perciò non paragonabile. Non
c’era veramente ineguaglianza nel I secolo d.C. tra il popolo dell’Im-

229
I caratteri del fenomeno tecnico

pero cinese e quello dell’Impero romano. Il motivo non era, come


si potrebbe superficialmente credere, che non si conoscevano, ma
innanzitutto il fatto che fossero troppo diversi per poter essere para­
gonati. A partire dal momento in cui c’è universalità di un tipo, cioè
la tecnica, sulla cui struttura tutto il mondo si allinea adottandone
l’ideologia, il paragone diviene inevitabile, e l’ineguaglianza salta agli
occhi. Aron ha perfettamente ragione nel dire che «la nozione stessa
di ineguaglianza di sviluppo non ha senso al di fuori della civiltà
industriale». Il «problema» dello sviluppo è diventato «problema» a
partire dall’ideale del benessere e della tecnicizzazione generalizzata.
Per questo motivo l’universalizzazione produce conflitti tra nazioni
di livello di crescita diverso; «L’ineguaglianza dello sviluppo esclu­
de in maniera radicale l’unificazione politica dell’umanità su scala
planetaria. Il risultato più sorprendente degli studi statistici non è
la persistenza di tali differenze, ma piuttosto la tendenza di qualsia­
si gruppo sociale, giunto a un certo livello di reddito - in qualsiasi
nazione - a desiderare gli stessi beni che i gruppi che l’avevano pre­
ceduto nell’ascesa avevano acquistato». Questo non è un fenomeno
dovuto alla ricchezza, perché questa potrebbe applicarsi a bisogni
molteplici e diversi: l’identificazione dei consumi deriva dalla tecni­
cizzazione. Gli uomini sono polarizzati a causa della loro fede tecni­
ca universale verso un consumo unicamente tecnicizzato.
Ma l’identificazione delle culture non è assoluta né rigida, sop­
porta perfettamente la diversità spettacolare e turistica. Ci saranno
ancora (e sempre più!) artigianato locale, costumi e canti folklorici,
i rituali matrimoniali e le feste saranno meravigliosamente autoctone
e le religioni fiorenti. Quando parliamo di universalità della società
tecnica, non significa che vi sia identità in tutti i paesi e in tutti gli
strati sociali. Evidentemente la tecnica si specifica, unifica modi di
agire e di essere, ma i paesi caldi obbligano a un altro genere di vita
rispetto a quelli freddi, e i nazionalismi sussistono nonostante l’unità
fondamentale della società tecnica. Il mondo tecnico non comporta
gli ampi viali rettilinei d’identità delle ideologie! Può regnare la più
grande diversità apparente purché essa non intacchi il fatto fonda-
mentale! Perché sotto il pluralismo apparente delle forme culturali si
precisa un sistema universale e comune, ovunque identico.
«j*.
A A

230
Uuniversalità

Con l’orientamento verso le tecniche intermedie (cosiddette alla


cinese) e le tecniche appropriate assistiamo a un nuovo sviluppo
della riflessione sulle tecniche30* Le tecniche appropriate sono quel­
le perfettamente adatte ai paesi in via di sviluppo. Si dice che non
siano segnate dall'efficacia e dalla redditività. In realtà il dibattito
è falsato perché vi si sostiene di non tenere più conto dell efficacia,
quando per gli uni (Austin Robinson) è tuttavia necessario che la
tecnica in questione conservi (per il paese preso in considerazione e
in rapporto al suo standard) un'efficacia economica (senza la quale,
a che prò usare la tecnica!), per gli altri (Mercier, per esempio) pur
bisognando allontanare la preoccupazione del massimo di quantità
prodotta, va da sé che la tecnica debba essere esattamente econo­
mica (ma è da molto che Fefficacia economica non è più la misura
dell’efficacia tecnica). Si ammette allora la necessità di valutare la
tecnologia da quattro punti di vista: quello degli obiettivi, delle risor­
se disponibili, della natura della popolazione e dei risultati anteriori.
Ma osserviamo subito che si tratta comunque di un insieme di tec­
niche destinate a promuovere la crescita economica, e che i criteri di
valutazione rimangono perfettamente conformi a ciò che ci si aspetta
dalle tecniche. In altre parole, con l’idea di «tecnica appropriata»
ci troviamo in presenza dell’adattamento alle circostanze delle tec­
niche, il che è assolutamente «normale» per il fenomeno tecnico.
La limitazione agli effetti e ai servizi di tipo economico frena con­
siderevolmente l’interesse di una tale ricerca. Si tratta ogni volta di
sapere come il sistema tecnico possa impiantarsi nei paesi in via di
sviluppo. Tutto ciò che si può lare è allora una valutazione di ciò che
è più vantaggioso (la via taiwanese o quella filippina, ad esempio),
ciò che causa meno problemi e sconvolgimenti. La questione cen­
trale dibattuta è evidentemente quella di sapere quali siano la natura
e ^estensione delle opzioni effettivamente offerte al terzo mondo in
materia di tecnica: per alcuni ci sono scelte risultanti dall’adozione
di un dato tipo di «sviluppo», da un dato orientamento economico,
e quindi da un orientamento politico. Ma si è obbligati a constatare
due cose: si ammette, d'altra parte piuttosto vagamente, la nozione
di «pacchetto tecnologico» (vale a dire l’idea molto semplice che una

,0 Si vedano ad esempio gli Atti Congressuali, 1976, dell'Associazione Internazio­


nale di Scienze Economiche.

231
I caratteri del fenomeno tecnico

Tecnica non possa essere impiantata da sola, ma presupponga un


insieme di tecniche) che, pur mancando totalmente di rigore per la
mancanza di comprensione di ciò che è il sistema tecnico, permette
di capire come in realtà non vi sia molta scelta. L'altra constatazione
è che la scelta tecnica nei paesi del terzo mondo è strettamente lega­
ta alle ricchezze naturali. Questa dipendenza è scomparsa solo nei
paesi altamente tecnicizzati. Gli altri sono ancora legati alle proprie
risorse che verranno sfruttate secondo procedimenti tecnici unici,
per i quali non c'è scelta. La Tecnica (come ha detto perfettamente
Rad-Serecht) non è più una variabile da determinare ma un dato al
quale conviene adattare, con il minor danno possibile, le differenti
variabili economiche e sociali. Ma la debolezza di questa conferenza,
come di tutte le ricerche attuali sulle «tecniche appropriate», sta nel
conservare il criterio economico come determinante, e di separare
le Tecniche di produzione delle ricchezze dall'insieme del sistema
tecnico. Tutta l'analisi è perciò falsata.
Tutto ciò e ben altri fattori di diversificazione sono necessari
all'espansione del sistema tecnico, per lottare contro ciò che vi può
essere di cupo, disperato, insignificante. Non ci sarà quindi identità di
tutti gli aspetti delle culture, ma un modellamento di ogni cultura in
funzione di ciò che è già diventata e non può che divenire ulteriormente
la sua struttura fondamentale. Apparentemente l’universalismo tecni­
co non esiste sempre e ovunque. Ma ormai il cambiamento ideologico
è ovunque avviato. Non si tratta solo del fatto della comparsa genera­
lizzata delle macchine, ma soprattutto del fatto che ormai, qualunque
sia il grado di sviluppo del paese, il solo punto di interesse, il solo pun­
to di fissazione ideologica, la speranza, la sola visione del futuro, sia la
tecnica. In tutti i paesi si impara a giudicare il livello di civilizzazione
dal livello tecnico. Abbiamo già analizzato in precedenza il desiderio
degli intellettuali africani di dimostrare la validità tecnica e scientifica
delle loro passate civiltà. E si conosceva loro diffidenza nei confronti
dell’idea folklorica di negritudine: questa avrebbe il grande torto di
«fissare» l'Africa su un passato di inefficacia. Sembra inaccettabile lo­
dare le arti, le danze, i costumi negri: ciò non può fare altro che mante­
nere i popoli africani nell’inferiorità rispetto agli Occidentali. Contro
la negritudine ci vogliono Fazione politica, il socialismo, e soprattutto
l'apprensione delle tecniche. Il che vuol dire in realtà l’adozione del
sistema tecnico e l’adattamento necessario. Sempre più, in tutti i paesi

232
Lunivers alita

del mondo, l’ideale proposto è un ideale di tecnicizzazione. Quando


si dice che «la civilizzazione si globalizza» o che «i popoli africani e
asiatici entreranno nella Storia» si intende esattamente che il sistema
tecnico è universale - che si comincia ad appartenere alla Storia solo a
partire da un certo livello di sviluppo tecnico. Per tutti i leader africani
o asiatici [ obiettivo primario è fondamentalmente sempre lo sviluppo
dei mezzi tecnici. Ovviamente non vedono chiaramente che cosa ciò
implichi (e come potrebbero, quando in Occidente la questione è tan­
to controversa!), non sanno bene «come» fare, né soprattutto da che
parte prendere il sistema tecnico. Ma Pobiettivo è sempre lo stesso,
il problema è avanzare lungo la via della tecnicizzazione, svilupparsi
grazie alla tecnica! Chiaramente tutto ciò viene legittimato da un pun­
to di vista umano e psicologico dalla miseria del terzo mondo. Ciò che
ha assicurato all’Occidente la fortuna materiale, la potenza tecnica.
Per sfuggire alla miseria, quindi, bisogna sviluppare in tutti i paesi del
terzo mondo una simile potenza tecnica. E evidente. Tuttavia, dopo i
grandi sforzi compiuti tra il 1945 e il 1960 in questo senso, ci si è resi
conto che la tecnicizzazione non può essere realizzata dalTestemo,
per infusione di mezzi tecnici, perché ciò implica una trasformazione
totale della società in questione. D'altra parte l’applicazione di mezzi
tecnici non ha dato i risultati sperati. Un grande scoraggiamento ha
colto i popoli e i loro leader. I leader, invece di chiedersi a che cosa
fosse dovuto tale fallimento a livello delle Tecniche, hanno preferito,
ispirati dalle ideologie occidentali e propagandiste, creare una tabu­
lazione politica, il che ha aggravato la situazione. Tale interpretazione
fantastica ritarderà chiaramente la crescita, ma l’errore non può essere
di lunga durata. In fondo, la svolta verso la tecnicizzazione è già sta­
ta intrapresa, e tutti i popoli (tranne l’India) sono fondamentalmente
convinti del valore unico di tale mezzo. La causa principale delFUni-
versalismo tecnico è ormai quindi la persuasione guadagnata, dai pae­
si occidentali al mondo intero31. L’universalismo poggia quindi su due
elementi complementari.

In La Technique, avevo analizzato le cause anteriori, che d altra rivestono sem­


pre un ruolo, ossia: l’universalismo commerciale, le guerre (da una parte coloniali,
dall’altra occidentali in cui i popoli colonizzati sono stati immischiati), la rapidità e
l’intensità dei mezzi di comunicazione che richiedono un’identità delle infrastrut­
ture e una globalizzazione dei ripetitori, l’identità di formazione e di insegnamento
in tutti i paesi.

233
I caratteri del fenomeno tecnico

Un carattere obiettivo del sistema tecnico: la tecnica32 è neces­


sariamente progressiva. Non può «per natura» rimanere stazionaria.
Non può smettere di avanzare. Pensiamo sempre a un’espansione
lineare: un «progresso», una tecnica più perfezionata che succede a
un’altra. Tale progressività è anche espansione nello spazio: la tec­
nica non trova un’estensione sufficiente a meno che non si applichi
a tutto. Non può lasciare un campo intatto, perché sono necessarie
sempre più energie, più risorse, più materie prime. Non è possibile
limitare Fapplicazione delle tecniche a un luogo geograficamente li­
mitato. Ciò tanto più che i due aspetti della progressività tecnica si
condizionano vicendevolmente: ogni tecnica più perfezionata è allo
stesso tempo universalizzante, in tutti i sensi del termine, sia per­
ché richiede ovunque competenze identiche, sia perché per via della
propria potenza (più perfezionata significa per la tecnica più efficace
e più potente!) tende a estendere il proprio campo di applicazio­
ne. Chiaramente l’aviazione del 1915 non mondializzava le comu­
nicazioni, mentre il semplice sviluppo tecnico dell’aereo comporta
necessariamente, andando sempre più lontano, lo stabilirsi di reti
mondiali, con uffici, aerodromi, ecc.
U progresso di ogni tecnica comporta un’universalizzazione geo­
grafica. Non può essere altrimenti33.
Non è una questione di capitalismo e di profitto, né di politica, né
di propaganda socialista.
L’altro fondamento dell’universalismo è la mutazione psichica e
ideologica, il fattore umano, l’uomo che ha rinunciato alle speranze
religiose, ai miti, alla ricerca di una virtù, al radicamento nel passato,
per giocare la propria vita nell’avvenire, riporre le proprie speran-

32 B. Charbonneau, op. cit.y dimostra come la Tecnica non possa fermarsi: «Bi­
sognerà ricostruire artificialmente la totalità naturale spezzata dall intervento della
libertà deiruomo. Quando la potenza raggiunge la scala della terra, bisogna, pena la
vita, che la scienza penetri la moltitudine della cause e degli effetti che costituiscono
un mondo. Che la Tecnica e lo Stato sanciscano le proprie conclusioni con la forza
e la durata della potenza che assicurava la creazione».
33 II problema dello Spazio e della sua distruzione da parte della Tecnica è ottima­
mente trattato da Charbonneau, seguendo la linea di Mumford. Ci compiacciamo
di una vittoria sullo spazio grazie alla Tecnica, dell’unificazione dei popoli oltre gli
oceani! In realtà ci addentriamo in un’epoca di «carestia di spazio», «della superficie
e del luogo». E ci rendiamo conto della vittoria, mostra Charbonneau, solo perché
lo spazio comincia a mancarci.

234
L’universalità

ze nel progresso tecnico e cercarvi una soluzione a tutti i problemi.


Questi due fatti sono ormai accettati. Si può quindi parlare di un
universalismo tecnico anche se attualmente, in gran parte del mondo,
non c’è una crescita tecnica visibile e soddisfacente. Ma il fenomeno
è virtualmente stabilito irreversibilmente e il sistema tecnico non può
tare altro che svilupparsi. Perché, rivolgendosi all’individuo, la tecni­
ca produce in lui comportamenti, stabilisce abitudini, che non posso­
no essere né integrati in un altro insieme di valori, né respinti perché,
retti da un evidente appoggio materiale, rispondono allo stesso tempo
a modelli odiati e desiderati. DalTaltro lato, il fattore tecnico si svilup­
pa in modo tale da modificare completamente il corpo sociale al quale
si rivolge: per poco che la tecnica sia penetrata in una società, si può
affermare che un processo irreversibile è stato avviato e che non sarà
completato che attraverso la tecnicizzazione della società intera.
L’universalismo tecnico permette così di prendere coscienza di
un triplo capovolgimento di rapporti. Mentre una volta la Tecnica era
tradizionalmente inglobata in una civilizzazione della quale faceva
parte, oggi tutto dipende dalla Tecnica: essa produce tutti gli altri fat­
tori ed è l’elemento inglobante all’interno del quale tutto si colloca34.
La Tecnica era un modello che obbediva a finalità esteriori, men­
tre ora si è trasformata nella propria finalità, sviluppandosi secondo
la propria razionalità; F universalismo assicura la propria «ipseità».
In Occidente, la Tecnica si è sviluppata grazie alla fortunata e
sorprendente congiunzione di tutto un insieme di fattori, sociali, in­
tellettuali, economici, storici, ed ecco che ora riproduce ovunque, in
modo artificiale e sistematico, i fattori stessi che le sono necessari.
Sono la condizione della sua espansione: da fortuiti e naturali, diven­
tano volontari e artificiali. Svilupperemo ulteriormente questi due
ultimi aspetti.
La tecnica determina dunque ormai, secondo la stessa volontà dei
popoli, il loro avvenire. La tecnica, ossia, visto che non ce ne sono

M L’«inglobamento» della civiltà da parte della Tecnica è stato mirabilmente mes­


so in luce da H. Lefebvre, La Vie quotidienne dans ie monde moderne, cit., quando
scrive: «La società burocratica di consumo diretto, sicura delle proprie capacità,
fiera delle proprie vittorie, si avvicina alla meta. Lo scopo... traspare: per questa
strada rischia di realizzarsi la cibemetizzazione: gestione del territorio, istituzione
di ampi dispositivi efficaci, ricostituzione (artificiale) di una vita urbana secondo un
modello adeguato».

235
I caratteri del fenomeno tecnico

altre, FOccidente. La tecnica porta ovunque con sé modi di essere,


di pensare, di vivere. E cultura globale, è sintesi. Negli ultimi due
decenni, la grande scoperta degli storici, dei sociologi, degli etnologi
(occidentali) è stata la specificità e la dignità di tutte le culture. Dopo
che l'orgoglio e la potenza dell’Occidente affermavano nel xix seco­
lo: Io e solo Io, oggi ci inchiniamo con ammirazione di fronte alle
meraviglie delle diverse civiltà.
Non c’è una storia universale, ma ogni storia è originale, non ci
sono popoli primitivi o evoluti, ma strutture diverse, tutte ben orga­
nizzate, ben adattate. «Si tratta di descriverle di per se stesse, con i
propri sistemi di riferimento, le proprie specificità», senza apporta­
re giudizi. «Storicamente è semplicemente possibile, in alcune cir­
costanze, passare da un sistema all’altro attraverso una mutazione
del codice delle società. Credere alla storia universale, interpretare i
primitivi in funzione di un futuro che è il nostro presente, per Lévi-
Strauss significa proiettare sulle altre società il sistema di pensiero
che ci caratterizza e interpretare tutto secondo i nostri miti» (Bur-
nier). Certo, certo... ma abbiamo scoperto tutto ciò esattamente nel
momento in cui la tecnica ha invaso questi popoli ben più degli eser­
citi coloniali, e ha assimilato le loro culture. E proprio nel momento
della scoperta del loro valore, che la tecnica li distrugge. E la tecnica
conferma oggi il precedente discorso della superiorità, della verità
della cultura occidentale — essa è Fawenire di queste società, così
come è il nostro presente, e non c'è alcun mito, se non quello di
credere che le culture abbiano di fronte un altro avvenire. Non pos­
siamo ormai fare altro che rivolgere loro un ricordo commosso.

«V ic ie

Non bisogna pensare tuttavia che Funiversalizzazione avvenga in


modo bruto: è stato constatato che il fattore umano è indispensabile
per la crescita tecnica. Si è constatato anche che la tecnica produce
problemi: dobbiamo allora accostarci a una nuova tecnica che con­
tribuisca all’espansione tecnica e allo sviluppo della tecnica in quan­
to Sistema. Si tratta del cosiddetto «trasferimento di Tecnologia»35.
Fino a oggi l’apporto delle tecniche è avvenuto un po’ a caso, non

55 S. Seurat, Réalités de transfert de technologie, cit.

236
L’universalità

importa come, secondo interessi capitalisti o circostanze locali, ma


ormai ci si è resi conto che ciò non è più possibile e che bisogna
procedere a un trasferimento metodico. Non si può più lasciare che
chiunque usi qualsiasi tecnica, non si può più far passare brusca-
mente degli individui da un ambiente non tecnico a un altro. Ci si
è resi conto che la tecnica non si trasmette così facilmente come un
bene materiale, per semplice contatto. Come una malattia contagio­
sa. E necessario un metodo di trasmissione delle tecniche. Ci vuo­
le un insieme complesso, perché non basta «imparare» a usare una
macchina. Si tratta di trasferire tutta una concezione di vita. Ma si
è ridotto tutto ciò a tecniche precise: il «Trasferimento di Tecnolo­
gia». Sono necessarie due osservazioni preliminari: la prima è che
constatiamo con molto piacere che questi specialisti sanno di cosa
parlano. Quando si parla di trasferimento di Tecnologia non significa
trasferimento di Tecniche. Non fanno confusione come invece nor­
malmente accade! Si tratta di Tecnologia, del discorso sulla Tecnica,
ossia di tutto P equipaggiamento intellettuale, culturale e psicologico
che permette l’utilizzo delle tecniche e vi adatta Puomo. La seconda
osservazione è che evidentemente l’obiettivo rimane la diffusione e
Puniversalizzazione della tecnica. In questo nuovo progresso rimane
fuori dubbio la necessità delTespansione della tecnica. L'unico pro­
blema è evitare che l’espansione crei problemi. La domanda è allora:
«Come procedere?», il che semplicemente implica nuove Tecniche.
E come sempre la Tecnica si rivelerà scrupolosamente semplice e
attenta. Ci si rifiuterà perciò di fare ciò che si è fatto troppo spesso,
«il trasferimento per copia conforme», «per innesto», per rimpiaz­
zarlo con un trasferimento che si potrebbe chiamare organico. Vale a
dire che ci si accorge per esempio che è inutile riprodurre il modello
industriale americano e portarlo tale e quale in Africa. La Tecnica
può esistere solo se c'è un gruppo umano pronto a riceverla. Il tra­
sferimento di tecnologia non è dunque un metodo di trasferimento
di tecniche da un gruppo umano all'altro, ma la tecnica che consiste,
dato un certo obiettivo tecnico, nel modellare un gruppo umano in
modo che diventi in grado di ricevere e utilizzare al meglio le nuo­
ve macchine, la nuova struttura, una fabbrica o un'organizzazione.
Chiaramente ciò implica reciprocamente un rimodellamento di al­
cune tecniche per adattarle al nuovo gruppo. «Si dirà che c'è trasfe­
rimento di tecnologia quando un gruppo di individui, generalmente

237
1 caratteri del fenomeno tecnico

parte di un organismo, divengono effettivamente capaci di assumere,


in condizioni giudicate soddisfacenti, una o più funzioni legate a una
Tecnica determinata». Si terrà conto del contesto sociologico, degli
aspetti psicologici, si tenterà di inserire la tecnica adattandola a un
certo contesto culturale, ma ad ogni modo si tratta di rendere questo
gruppo, questi individui in grado di utilizzare nuove macchine e di
adattarli con la minima sofferenza e la massima efficacia. Ovviamen­
te, come ogni volta quando si parla di tecnica, si sottolineerà che
)*
non c e trasferimento assoluto, in sé; ogni trasferimento è relativo,
secondo le capacità di ogni gruppo. Un dato gruppo, incapace di
gestire una fabbrica, ne diventa capace: vale a dire che, gestendo la
fabbrica, ottiene una data produzione mentre si riduce la quota di
avarie, lo scarto di pezzi, ecc. Le Tecniche di trasferimento si appli­
cano a diverse situazioni: trasferimento nei confronti di un individuo
che inizia a lavorare in una fabbrica, o quando in unimpresa appare
una nuova tecnica (il caso tipico è la comparsa del computer nell’am­
ministrazione: è necessario trasformare totalmente la struttura del
gruppo ma anche la psicologia e le conoscenze di ciascuno. Il trasfe­
rimento comporta una rottura di routine). Si ha trasferimento anche
quando in uno stesso paese avviene il passaggio di una tecnica da
un organismo all'altro (ad esempio la tecnica della NASA trasferita a
centinaia di aziende americane). Infine, ed è ciò a cui comunemente
si pensa, trasferimento di macchine da un paese «sviluppato» a uno
sottosviluppato. Sottolineo qui che la valutazione di sviluppo è pret­
tamente tecnica: ad esempio il trasferimento iniziale della Scienza
nucleare europea all'industria americana (sottosviluppata!) - trasferi­
mento della Scienza e della Tecnica spaziale tedesca verso I’urss e gli
Stati Uniti, ecc. Si tratta quindi di portare il gruppo alla padronanza
tecnica (ciò vuol dire, come noi lo intendiamo, capacità di utilizzare
più efficacemente una data tecnica, nient’altro!). Ci si accorge che la
padronanza poggia sempre su un elevato livello di organizzazione.
Dunque modificazioni strutturali. Ma presuppone anche un cam­
biamento culturale: il trasferimento di una tecnica implica la mo­
dificazione dei comportamenti sociali e del modo di comprendere
e assimilare gli eventi. Il trasferimento è possibile solo a condizione
di uno sforzo comune del ricevente e dell’emittente. Il ricevente è il
più importante, ma l’emittente deve avere chiari gli ostacoli culturali,
psicologici, ecc., per evitare, ad esempio, di costruire una fabbrica in

238
L universalità

caso la popolazione non ne abbia alcun bisogno o le tecniche siano


in assimilabili da parte degli autoctoni. Si procede allora all’elabo­
razione di una minuziosa tecnica di trasferimento tecnologico che
viene a completare da una parte «Fingegneria» (trasferimento del
materiale tecnico) e dall'altra Fergonomia (adattamento del lavoro
all’uomo). Il trasferimento di tecnologia nasce da uno studio di si­
tuazione del ricevente, delle risorse di popolazione disponibili, dei
sistemi di insegnamento, delle strutture industriali già esistenti. U
trasferimento è innanzitutto questione di comunicazione. Se, ad
esempio, le differenze culturali tra il sistema emittente e quello rice­
vente sono troppo ampie, bisognerà utilizzare degli «interpreti» in
grado di riconoscere le tecniche da applicare, la situazione reale di
coloro che devono applicarle e di farsi capire. Si vede quindi come
Fautomaticità dell’applicazione si esprima attraverso gruppi umani
che effettuano il lavoro di scelta tra diverse tecniche secondo il grado
massimo di prossimità in rapporto al gruppo. Ma la scelta è «auto­
matica» perché obbedisce al solo criterio tecnico.
«La macro-concezione poggia sulla scelta del procedimento, su­
gli schemi di produzione, sulle caratteristiche di grandi macchine».
La tecnica non è mai tanto rigida da non poter adottare strutture
diverse. Di solito sono possibili diverse soluzioni, ma Fautomaticità
consiste nel fatto che quella che si imporrà sarà la più «tecnica», cioè
la più efficace in relazione a un dato ambiente, clima, gruppo. «La
scelta di una struttura adatta alla cultura presente del gruppo inte­
ressato e alla sua evoluzione probabile è un fattore di semplificazione
del trasferimento». Dazione sarà quindi pedagogica, psicologica, in­
formativa, pianificatrice, e in ciascuno di questi campi rigorosamente
calcolata con metodi esatti che sono Foggetto stesso della Scienza
e della Tecnica del Trasferimento. Ciò non impedisce, chiaramen­
te, di ricordare orgogliosamente che il trasferimento tecnologico è
«proprio dell uomo», perché «la lenta e universale scalata delFuomo
verso l'avvenire industriale è stata possibile solo grazie alla doppia
fertilizzazione verticale e incrociata permessa dal trasferimento di
tecnologia. Verticale, nello stesso luogo, da una generazione all'altra
- incrociata, da un luogo all’altro, da un'etnia alFaltra».

239
Capitolo quarto
LA TOTALIZZAZIONE

Il fenomeno tecnico appare, come la Scienza stessa, simultanea­


mente specializzante e totalizzante. E un insieme globale, nel quale
le parti (che si possono sicuramente studiare, a titolo di Tecnica spe­
cificata, ma che non ci danno mai una visione della Tecnica) conta­
no meno del sistema di relazioni e di connessioni. Il che vuol dire
d'altra parte che dal punto di vista scientifico un fenomeno tecnico
può essere studiato solo globalmente: nessuno studio particolare di
tali aspetti, di tali effetti può concludersi positivamente. Non solo
non rende conto del fenomeno tecnico, ma lo studio di un punto
particolare è già di per sé inesatto, dato che la questione è inglobata
nell'insieme tecnico e da esso riceve la propria reale formulazione.
Per ogni problema si suppone un uomo integro e assoluto, un uomo
nato dai dialoghi di Platone, quando invece si tratta di un uomo
profondamente trasformato, manipolato da un insieme tecnico. La
specializzazione tecnica implica una totalizzazione - problema che
incontreremo più avanti. La riduzione di ogni insieme attivo a una
serie di operazioni semplici, la crescita indefinita delle applicazioni
della Tecnica comporterebbero una dispersione, un’incoerenza fol­
le se, allo stesso tempo, il processo di sviluppo non implicasse una
sorta di concatenazione di tutte le Tecniche frammentarie. Questa
concatenazione comporta una sorta di totalizzazione delle opera­
zioni tecniche, ma questa totalizzazione, che riguarda tecniche che
si rivolgono a tutti gli aspetti della vita e dell'azione, produce un

241
I caratteri del fenomeno tecnico

insieme che tende alla completezza. Tutto ciò viene rinforzato dalla
tendenza da parte delle operazioni tecniche a sommarsi: queste si
conservano e si accumulano senza mai perdersi. Quando una tecnica
scompare (dopo lo sviluppo della tecnica, chiaro!) viene rimpiaz­
zata da un’altra dello stesso ordine, ma superiore. Nulla va perso
nella tecnica. Così la totalizzazione è semplicemente un’altra faccia
della specializzazione. L’affermazione costantemente ripetuta che
tra dieci, vent anni il sistema tecnico sarà «completo»1 e che tutto
funzionerà senza intervento dell’uomo fornisce l’immagine mag­
giormente esemplificatrice. Anche Brzezinski cede a volte a questa
magia. Afferma ad esempio che i satelliti disporranno presto di una
potenza sufficiente a trasmettere direttamente le immagini ai recet­
tori, senza l’intermediazione delle stazioni emittenti-riceventi: sarà
un passo importante in direzione della Totalizzazione. Si coglie da
queste «previsioni» a che punto Timmagine di una totalizzazione si
imponga all’uomo, corrispondendo a un desiderio tecnico profondo.
La tecnica ha progressivamente risolto un gran numero di problemi
che si ponevano all’uomo. Quando per la prima volta degli uomini
hanno camminato sulla Luna, ci fu una delirante esplosione di gioia
(sui giornali e in televisione) a proposito: «L’antico Sogno dell’uma­
nità si è realizzato». Chiaramente, tutto il lento progresso scientifico
e tecnologico verso la creazione dei razzi, dei satelliti, delle tute non
aveva nulla a che vedere col poetico sogno di andare sulla Luna.
Ma l’uomo riceve la prodezza tecnica come un esaudimento. C’è un
desiderio ben più fondamentale per l’uomo che quello di camminare
sulla Luna, ed è il desiderio di Unità - ricondurre tutto all’Uno -,
di eliminare le eccezioni e le aberrazioni, riunire tutto in un insieme
armonioso, grande preoccupazione dei filosofi: ancora una volta è la
tecnica a realizzare ciò che l’uomo ha abbozzato intellettualmente.
L’Unità cessa di essere una costruzione metafisica, essendo ormai as­
sicurata, data, nel sistema tecnico. L’Unità risiede in quella totalizza­
zione. Ma l’uomo non ha ancora preso coscienza della relazione tra la
propria aspirazione alTUnità e la costituzione della tecnica in quanto
sistema Unitario - ancora non si rende conto che il sistema esiste in
quanto tale. Per dirla in altre parole, l’uomo non conduce la tecnica a
questo punto intenzionalmente. Non ha alcun piano in questo senso.

D. Rorvik, op. cit.

242
La totalizzazione

L'elaborazione del sistema, ossia la «specializzazione», è un processo


intrinseco «in sé». Il fenomeno si realizza per un insieme di azioni
meccaniche. Lo si può osservare solo dopo che ha avuto luogo.
Ci troviamo allora di fronte a un doppio problema: da un lato
il passaggio al per sé, e poi a un per sé relativo. Quando descrivo il
sistema cosi come si costituisce ed esiste, cerco evidentemente di far
conoscere una realtà che fino a ora è sfuggita alla vista dell'uomo.
Cerco di spiegare ciò che avviene e quindi di far prendere coscienza
di un fenomeno obiettivo e della nostra partecipazione a tale feno­
meno - ma lascio il lettore al livello della semplice conoscenza, cioè
non intervengo nella creazione della Totalizzazione. Uuomo avvi-
sato di ciò che sta accadendo, può reagire in un modo o nell'altro
e, forse, può cercare di dominare il fatto che ora conosce. Oppure
può avere tutt altro tipo di reazione, avviando un'altra ricerca a par­
tire dall'ideale e dall ossessione dell'Unità di cui parlavamo prima.
Non solo il sistema totalizzante si costituisce in sé, non solo lo si può
considerare come tale, ma si può considerare finalmente compiu­
ta la più profonda aspirazione umana. Con Teilhard de Chardin ci
trovavamo di fronte a un'impresa del genere, pur a livello piuttosto
sommario. Impresa ripresa dalla potente sintesi di Morin2. Questo
libro mi sembra uno dei più pericolosi mai scritti, perché ci trovia­
mo in presenza di una volontaria presa in considerazione di tutti i
risultati delle scienze umane per ricondurli a un insieme sintetico,
all’unità — in altre parole rende tecnica la Teoria della Totalizzazio­
ne. Non che crei una teoria relativa alla totalizzazione, ma come la
totalizzazione si è realizzata a livello fattuale grazie alla tecnica, così
Morin la realizza a livello di Teoria, e la sua Totalizzazione è l’esatto
pendant e complemento della precedente perché ha la stessa origine,
la scienza. Non si tratta quindi semplicemente di rendere conto di
ciò che è, ma di elaborare esattamente il complemento teorico di
questa prassi (involontaria!) in modo da trovare la chiusura del si­
stema: fino a quando la teoria è stata debole (non seguiva l’insieme)
o rifiutava al contrario di fare il gioco della totalizzazione, questa,
proseguendo in sé, non poteva raggiungere un compimento, chiu­
dersi. A livello teorico c era sempre una frattura, una scappatoia per

2 E. Morin, Le Paradigma perda: la nature humaine, Éditions du Seuil, Paris 1973


(tr. it. Il paradigma perduto: che cos’è la natura umana, Bompiani, Milano 1974).

243
I caratteri del fenomeno tecnico

ruomo. Il lavoro di Morin mostra il percorso da seguire per chiudere


il sistema e riuscire a prendere l’uomo in trappola e spodestarlo. Mi
rendo conto che non è sua intenzione - come la bomba atomica non
era nelle intenzioni di Einstein. Ma è spinto da una passione per
la spiegazione e per l’Unità che gli fa necessariamente rivestire tale
ruolo (che rifiuta), perché lui stesso non si è reso conto di che cosa
sia il sistema tecnico totalizzante. Non può conoscere le conseguenze
della teoria perché semplicemente non ha preso coscienza della real­
tà del sistema nel quale si inserisce. Apporta il «solenne complemen­
to» che permette l’accelerazione della Totalizzazione. La teoria di
Morin, pur rifiutando egli esplicitamente totalizzazione e chiusura, è
chiusura e totalizzazione, perché non si limita a utilizzare tutti i dati
delle scienze umane e a legarli attraverso una spiegazione profonda,
ma è una teoria che trova posto in una totalità tecnica che si sostitui­
sce alla totalità naturale e abbandona l’uomo alla propria necessità di
sviluppo. Morin vuole fornire una spiegazione totale, nella misura in
cui la scienza permette oggi tale spiegazione, ed è in ciò che risiede
il complemento mortale del sistema tecnico. Non c e dunque solo
il fatto che la società globale tende a diventare una società primaria
(secondo McLuhan e a condizione di spingere la sua teoria all’estre­
mo) - il fatto che più avanza bordine tecnico, più ordine sociale è
necessario (e il minimo disordine diventa intollerabile) -, ma soprat­
tutto il fatto che la scienza dell’uomo alla quale Morin ambisce (e che
si inserisce nella prospettiva della totalizzazione tecnica, inevitabile)
raccoglie i fattori ancora separati, e concentra il fascio di tutte le pos­
sibilità tecniche sulTuomo. Perché la spiegazione precede l’azione. A
partire dal momento in cui lo si sa con certezza, rinnovazione tecnica
è immancabile. Uapparizione teorica rischia di tradursi nel modo
più contrario all’intenzione di Morin. La sua Scienza dell’Uomo non
può rimanere, proprio perché totalizzante, a livello concettuale. Non
solo aiuta il sistema a chiudersi, ma si colloca in una società tecnica,
e non altrove. Può produrre quindi solo Fopposto di ciò che Morin
scriveva nel suo Introduction à une politique de Vhomme. Se si inse­
risse nell’Atene di Pericle, la sua scienza totale dell’uomo sarebbe un
ammirevole progresso per Telaborazione di una giusta politica. Ma
si inserisce nella società tecnica, nel processo di Totalizzazione del
sistema e di assimilazione della società alla funzione di produttrice­
consumatrice di Tecniche. In altre parole l’inserimento di tale scien-

244
La totalizzazione

za in questa società si traduce nelFelaborazione di un’organizzazione


socio-politica totalitaria. Morin rischia lo stesso destino di Marx: la
sua teoria, ideata per la liberazione delPuomo, per permettergli di
assumere il controllo della propria storia, è coincisa con gli esordi
dell’elaborazione del sistema tecnico (con la strutturazione dello Sta­
to e deH’industrializzazione) ed è stata per questo motivo capovolta:
ha prodotto il sistema dittatoriale che non è un errore, un’eresia, ma
la semplice e inevitabile combinazione tra sistema tecnico e teoria
totale - questa necessariamente si mette a servizio della totalizza­
zione tecnica - o si condanna a errare nel limbo delTidealismo: a un
sistema totale corrisponde una teoria totale - questo è quanto avvie­
ne. Ma ciò si traduce in una dittatura totale. Ciò avviene quando la
creatura propone una teoria non solo totale, ma anche chiusa, cioè
che pretende di rendere conto di tutto ciò che è intellettualmente
compreso, spiegato ma anche comprensibile e spiegabile - quando
questa teoria non è solo il riflesso del reale, ma la soluzione del reale.
Può quindi solo causare la sistematizzazione socio-politica3 che si
esprimerà in un modo o nelF altro in una dittatura tecnica. Non in­
tendo né una tecnocrazia né una dittatura politica di stile hitleriano
o staliniano: ogni epoca ha le proprie forme specifiche.
All'epoca del computer e della sintesi delle scienze dell’uomo
non può più trattarsi di fascismo: appariva superato nella Grecia del
1970, così come nel Brasile del 1975. Ma la dittatura tecnica astratta
e benefattrice sarà molto più totalitaria di quelle recedenti. Per ela­
borarla basterà un équipe di uomini in grado di procedere all’unione
tra Teoria e Prassi. Tra la Totalizzazione in sé del sistema e la costitu­
zione della Scienza dell’uomo ugualmente totalizzante. In seguito al
libro di Morin è stato proclamato che si potrebbe forse essere giunti
all anno i della Scienza dell’Uomo, ma questa meravigliosa invenzio­
ne rischia fortemente di segnare il trionfo della totalità tecnica. Non
è per un retrogrado pregiudizio antiscientifico, né per un’irragione­
vole reazione, ma in seguito all’analisi sociologica del sistema tecnico

? È il motivo per cui mi rifiuto di presentare il mio pensiero sotto forma di teoria
e in modo sistematico. Creo un insieme dialettico aperto e non chiuso e mi guardo
bene dal presentare soluzioni d’insieme, risposte ai problemi, soluzioni teoriche per
l’avvenire: se Io facessi, contribuirei alla totalizzazione tecnica. Ma non farlo causa
un’insoddisfazione nel lettore e dà Timpressione che, rifiutandomi, sia ostile alla
Tecnica.

245
I caratteri del fenomeno tecnico

e dall*esperienza storica del xx secolo che posso dichiarare: la Scien­


za totale dell'Uomo è la fine dell’uomo. Non bisogna dimenticare
che la totalizzazione della tecnica ricopre tutti gli elementi che com­
pongono il corpo sociale e che progressivamente tutte le espressioni
della vita umana diventano tecniche. Ciò significa che la tecnica ha,
nei confronti della società e dell'esistenza umana, un doppio effetto:
da una parte disintegra e tende poco a poco a eliminare tutto ciò che
non è tecnicizzabile (si tratta di ciò che è così fortemente avvertito
per esempio a livello della festa, dell'amore, della sofferenza, della
gioia, ecc.), dall’altra tende a ricostituire Finterà società, così come
l'intera esistenza, a partire dalla totalizzazione tecnica. Non è la su­
bordinazione dell’uomo alla tecnica, ma più profondamente, è una
nuova totalità che si costituisce: è il processo che provoca un tale
malessere e un così vivo sentimento di frustrazione nell’uomo. Tutti
gli elementi della vita sono associati alla tecnica (poiché essa è dive­
nuta ambiente) e la sua Totalizzazione produce una vera integrazione
di tipo nuovo di tutti i fattori umani, sociali, economici, politici, ecc.
La società, l’uomo, che non diventano sicuramente oggetti tecnici,
robot, ecc., ricevono la propria unità dalla tecnica totalizzante. Ma
questa non può conferire un senso: grande lacuna. La totalità ricosti­
tuita è priva di significato.

246
Parte terza
I CARATTERI
DEL PROGRESSO TECNICO
Chiaramente la definizione di progresso tecnico1 non può essere
limitata all'applicazione economica. «Per progresso tecnico inten­
diamo tutte le innovazioni derivanti dall’applicazione della scienza
e della tecnica al progresso tecnico. Uoggetto di tali innovazioni è la
creazione di prodotti o servizi nuovi o il perfezionamento di quelli
esistenti, oppure Fincremento di efficacia delle operazioni economi­
che, di solito con Fobiettivo di limitare i costi». Questa definizio­
ne, apparentemente accettata da Beaune (la tecnologia moderna si
esprime secondo gli attributi enunciati in campo economico: autore­
golazione, ecc. Ciò che la scienza pura considera scorie, le ricadute
economiche, divengono ora l’essenziale), è talmente frammentaria
e rende talmente poco conto dell’immenso ambito di applicazione
delle tecniche che non vi si può in realtà attenere. Evidentemente è
più facile quantificare un progresso tecnico in ambito economico che
altrove, ma il problema è sempre lo stesso: per giungere a una preci­
sione «scientifica», si inizia con lo snaturare radicalmente l’oggetto di
studio. La valutazione economica rende conto di alcuni progressi, di
alcune tecniche, ma ritagliando arbitrariamente nelPuniversalità tec­
nica ciò che è valutabile! Pessimo metodo scientifico. Quando parlo
di progresso tecnico mi riferisco all’insieme del fenomeno, e non mi

1 Sulla considerazione di Tecnica in quanto progresso: H. Freyer, Der Ernst des


Fortschritt, in Technik. im technischen Zeitalter, J. Schilling, Dusseldorf 1965.

249
I caratteri del progresso tecnico

limito quindi al problema della produttività. Hetman ha dedicato


uno studio di primo ordine al progresso tecnico nella produzione
economica: Le progrès technique, une illusion comptable?, «Analyse
et Prévision», 1970. Mostra da un lato che il progresso tecnico in
questo campo deriva in linea diretta dalle analisi di produttività, che
la sua definizione è molto incerta, e che le valutazioni della sua im­
portanza nel processo di produzione sono molto variabili. Conduce
un’eccellente rassegna di tutti i lavori degli economisti che si sono
dedicati a esplicitare la nozione, l’influenza e la realtà del progresso
tecnico. Regna la più grande incertezza: il progresso tecnico si ravvi­
sa per alcuni in quanto residuo (una volta definiti tutti gli altri fattori
di produttività), per altri nella componente di dati completamente
positivi (progresso di conoscenze, diffusione delle conoscenze, ra­
zionalizzazione, ecc.). Secondo alcuni il progresso tecnico è il fattore
determinante dell’incremento di produzione per unità di lavoro al
90% (e ciò riduce quindi l’importanza del capitale). Secondo altri, il
progresso tecnico ha un’influenza trascurabile (nell’ordine del 3%).
Hetman conclude che è quindi molto difficile sapere di che cosa si
sta parlando, e che è quasi impossibile condurre uno studio statistico
in questo campo. Riassume i motivi di questa situazione dicendo che,
in ambito di progresso tecnico, si ha:
- un’inadeguatezza fondamentale degli elementi statistici;
- uno smarrimento metodologico spiegabile con l’assenza di de­
finizione della tecnica;
- l’adesione a concetti derivati da una teoria nata in un'epoca
in cui la problematica non era adattata a quella della società del­
l’innovazione.
In altre parole, in presenza del progresso tecnico, ci si trova da­
vanti a un problema intellettuale dello stesso ordine di quello im­
posto dalle classi sociali: è impossibile comprenderle attraverso la
rigida applicazione di un metodo statistico o di qualsiasi metodo so­
ciologico noto: eppure il fatto è là... Eppur si muove!

250
Capitolo primo
L’AUTOACCRESCIMENTO

Per autoaccrescimento intendo il fatto che tutto avviene come se il


sistema tecnico crescesse grazie a una forza interna, intrinseca e sen­
za un intervento decisivo dell’uomo. Con ciò non voglio chiaramente
dire che l’uomo non intervenga e non abbia alcun ruolo, ma bensì
che l’uomo si trova in un ambiente e in un processo che fanno sì che
ogni sua attività, anche quella priva di qualsiasi orientamento volon­
tario, contribuisca alla crescita tecnica che egli lo pensi o no, che lo
voglia o no. L’autoaccrescimento significa che la Tecnica rappresenta
un centro di polarizzazione per ogni uomo del xx secolo, e che essa
si nutre di tutto ciò che egli può volere, tentare, sognare. Trasforma
le azioni umane in fattore tecnico; non si tratta di un’autocreazione
ma dell’inserimento nel sistema a proprio vantaggio dei fattori più
diversi e, in apparenza, più estranei. L’autoaccrescimento comprende
quindi due fenomeni: da un lato la Tecnica è giunta a un tale punto
di evoluzione che si trasforma e progredisce senza intervento decisivo
dell’uomo, grazie a una sorta di forza interna, che la spinge a cresce­
re, che la porta necessariamente a uno sviluppo incessante. Dall’altro
lato tutti gli uomini contemporanei sono talmente appassionati della
tecnica, talmente formati da essa, talmente certi della sua superiorità,
talmente sprofondati nell’ambiente tecnico che tutti, senza eccezione,
sono orientati verso il progresso tecnico, tutti lavorano, quale che sia
il mestiere, cercando di utilizzare al meglio gli strumenti a disposizio­
ne, o di perfezionare un metodo, un apparecchio. La tecnica avanza

251
I caratteri del progresso tecnico

così grazie allo sforzo di tutti1: le due cose sono in realtà identiche.
Inizialmente c’è stata Fassimilazione dell’uomo nel sistema tecnico,
il quale, certamente, si sviluppa solo grazie alle azioni delTuomo. Ma
queste ultime sono così precisamente provocate, determinate, defi­
nite, chiamate, suscitate che nessuno vi sfugge e ogni attività di ogni
individuo vi è integrata. Il Tutto e la Persona si identificano. Poiché
tutti operano in questo senso, non è la piccola azione di ciascuno a
contare, ma l’anonimo prodotto che è la crescita tecnica. C’è autoac­
crescimento perché la tecnica induce ciascuno ad agire nella propria
direzione, e il risultato è dato da una somma che nessuno ha coscien­
temente, chiaramente voluto. Uuomo tra le due cose appare il fattore
necessario ma insieme strettamente necessitato.
L’idea che avevo pronunciato vent’anni fa, cioè che la Tecnica si svi­
luppa secondo un processo che potevo definire di autoaccrescimento,
era stata considerata all’epoca un’«esagerazione mitica» e un «artifi­
cio senza fondamento», ma è stata poi sempre più spesso ripresa, ac­
cettata, dimostrata. Citerò qualche esempio. Diebold: «E come se il
progresso tecnico generasse se stesso. Non dobbiamo più attenderci
progresso tecnico da future scoperte scientifiche: è la Tecnica stessa
che provoca l’espansione in nuove scoperte e nuove dimensioni».
Mannheim2 mostra che la tecnica provoca da sé la pianificazione,
che questa ricopre ambiti sempre più estesi della nostra vita, e che
la pianificazione genera ed esige il progresso tecnico. «Senza pianifi­
cazione non saremmo più in grado di avanzare, nemmeno in ambito
culturale. Non c’è da chiedersi se preferiamo una società pianificata
o meno: non c’è scelta». Simondon: «E quindi essenzialmente la sco­
perta di sinergie funzionali a caratterizzare il progresso nello sviluppo
dell’oggetto tecnico. Bisogna allora chiedersi se la scoperta avvenga
in un colpo solo o in modo continuo. In quanto riorganizzazione di
strutture che intervengono nel funzionamento, essa avviene in modo
brusco, ma può comportare diverse tappe successive». Ancora una
volta la profondità di analisi di Simondon fa sì che ciò che scrive a
proposito delYoggetto tecnico possa essere esattamente detto della

! Fatto salvo per le popolazioni non integrate del terzo mondo, e deirirrisorio
numero di oppositori della tecnica presenti nella società tecnica.
2 K. Mannheim, Man and Society in an Age of Reconstruction, Routledge & Kegan
Paul, London 1940 (tr. it. Uomo e società in un*età di ricostruzione, Newton Comp-
ton Italiana, Roma 1972).

252
L’autoaccrescimento

Tecnica in generale. Anche de Jouvenel {Arcadie), pur senza parlare


di autoaccrescimento, esprime tale concetto: «C’è una differenza di
natura (tra la nostra civiltà e tutte le altre), soprattutto per via del
fatto che l’efficacia progredisce continuamente: nella nostra civiltà
c’è una permanente rivoluzione dei processi». Gabor3: «E la velocità
acquisita che fa progredire la tecnica. Per due ragioni: la prima è
che bisogna alimentare le industrie tradizionali, la seconda è la legge
fondamentale della civiltà tecnica: ‘Ciò che può essere fatto, lo sarà’.
E così che il progresso applica nuove Tecniche e crea nuove industrie
senza cercare di sapere se esse siano adatte o meno...».
Anche Richta, incidentalmente, riconosce il principio di auto-
accrescimento (che chiama autosviluppo) della tecnica, che ricollega
al principio automatico. Là dove il processo di produzione rimane
sbriciolato in cicli indipendenti, ci sarà solo una parziale automatizza­
zione dei sistemi. Là dove c’è un processo di produzione di massa
ininterrotto, c’è un’automatizzazione completa: l’autoaccrescimento
quindi accelera con le possibilità di automatizzazione. D’altra par­
te l’autoaccrescimento si basa innanzitutto, come Richta dimostra,
sull’esistenza di una capacità di ricerca, una riserva di conoscenze
scientifiche che permettono di applicare costantemente soluzio­
ni tecniche più efficaci. Lo sviluppo delle scienze e della ricerca è
quindi ben più importante nella creazione e riproduzione di forze
produttive sociali rispetto all'espansione della produzione diretta.
Questo è l’apporto decisivo di Richta all’analisi del sistema.
Esplicitando il carattere di autoaccrescimento, non nego l’esi­
stenza del famoso «processo di decisione». De Jouvenel insiste sulla
decisione, che sarebbe all’origine di ogni sviluppo tecnico4. Decisio­
ne che in quanto tale è un atto sociale. Tutto ciò è esatto. Mancano
però due elementi di analisi: innanzitutto chi prende la decisione
è l’uomo tecnicizzato, precondizionato dalla tecnica. In secondo
luogo le opzioni sono esclusivamente fissate dal campo tecnico: la
decisione poggia sempre solo sulla validità di applicazione di tale
innovazione, la quale si impone o meno secondo il proprio valore
tecnologico, la propria efficienza, ed eventualmente la redditività. Il

3 D. Gabor, in G.R. Urban (a cura di), Survivre au futur, cit.


4 B. de Jouvenel, Situation des Sciences sociales aux Etats-Unis, «Analyse et Prévi-
sion», 1968.

253
I caratteri del progresso tecnico

processo di decisione è in realtà integrato nel fenomeno di autoac­


crescimento.
Schon5 procede a un'utile analisi delle diverse tappe del processo
della crescita tecnica: invenzione, innovazione, diffusione. Ma sotto-
linea un aspetto molto importante delTautoaccrescimento, ossia che
rinnovazione e l’invenzione devono essere viste come aspetti di un
solo processo continuo, e non come una successione di azioni che
si susseguono nel tempo. Rovescia a giusto titolo, rifiuta la «visione
razionale dell’invenzione» (intenzionale, processo intellettuale, pro­
cesso orientato verso un obiettivo) in favore del «processo» che si
sviluppa e si ramifica incessantemente «durante tutta la vita di qual­
siasi nuova tecnologia, senza inizio e senza fine precisi», nel quale «il
bisogno e la tecnica si determinano reciprocamente». Quest'analisi
mi sembra estremamente esatta, e ben differente dagli schemi sem­
plicistici sul carattere finalistico e razionale dell’invenzione tecnica.
Non c’è «invenzione della radio»: c’è solo innovazione attraverso
l’applicazione di un’invenzione scientifica e combinazione di ele­
menti tecnici precedentemente esistenti.
Ogni progresso tecnico è un’innovazione risultante da serie di
invenzioni convergenti6. Si tenta tuttavia di distinguere diversi tipi
di innovazione. Si distinguono cosi (Russo) i livelli in cui si produce
rinnovazione: Tecniche elementari, unità tecniche, unità industriali
(dal più semplice al più complesso), e gli stadi dell’innovazione: la
concezione essenziale, i nuovi processi, la combinazione di vecchi
processi, le componenti di un miglioramento che si ritiene faccia in­
tervenire la diffusione.
Si può allora creare la griglia seguente (Daumas): a) concezione
essenziale (origine del concetto, condizioni di realizzazione, integra­
zione nell’unità tecnica); b) tentativi e messe a punto; c) innovazione
(natura e importanza relativa del problema da risolvere - circostanze
della diffusione del processo-motivazioni-difficoltà tecniche o eco­
nomiche dell’applicazione; d) sviluppi (miglioramenti, adattamenti,
conseguenze economiche). E in un analisi di quest’ordine che si può

5 A. Schon, Technology and change, cit.


6 Alcuni autori ritengono tuttavia che non ci sia più innovazione in senso preciso,
cioè apparizione di un nuovo elemento inatteso, e che ogni progresso tecnico risieda
in una combinazione tra fattori economici e scientifici che forniscono risultati tali
che Tinnovazione in quanto entità distinta tende a scomparire.

254
L’autoaccrescimento

prendere coscienza di ciò che il termine generale innovazione com­


prende.
E necessario considerare che l’innovazione tecnica non esiste in
sé, ma da un lato risponde a un certo numero di bisogni (sebbene
sia sempre più contestato il fatto che il bisogno sia necessariamente
preliminare: i bisogni dipendono dall’oggetto tecnico quanto il con­
trario), si produce all’intemo della combinazione di un certo numero
di tensioni (di ogni ordine ma sempre relative al tempo), in rapporto
a un certo ambiente socio-economico (che favorisce o meno l’innova­
zione), e infine in un contesto tecnico globale che può essere ricettivo
0 proibitivo. La relazione tra tutti i fattori permette di comprendere
concretamente lo sviluppo tecnico.
Quando si considera un prodotto tecnico, è sempre possibile
constatare che si tratta solo della combinazione di elementi anteriori:
non c’è l’invenzione della televisione, della radio o dell’automobile.
1 pezzi separati sono innanzitutto comparsi sul mercato e a partire
da essi è stato possibile creare il prodotto finito. Si arriverà talora
ad abbandonare il termine innovazione per parlare unicamente di
«cambiamento tecnico». Ma questo sembra vago. Bisogna invece
distinguere come fa Gille (Note sur le progrés technique, citato da
Daumas) diversi tipi di innovazione: di compensazione, marginale,
strutturale, di tipo globale7. Rimane tuttavia il problema di sapere
quando, dove e perché si produce l’innovazione. La classica risposta
marxista è che l’innovazione ha luogo per rispondere a un aumento
dei salari. Il padrone ha interesse a sostituire la manodopera troppo
cara con macchine, l’introduzione di nuove tecniche risulta da un
incremento dei salari il cui effetto è una diminuzione dei profitti:
il datore di lavoro deve allora cercare di abbassare il monte salari
introducendo metodi che risparmiano il lavoro diretto (automatiz­
zazione della produzione). Ma come fa notare Beaune8, «interessarsi
solo all’aumento dei salari, come fa un certo sindacalismo inglese
o americano, senza riconoscere il valore dell’elemento tecnologico,
significa fare il gioco del capitalismo». Il profitto può rigenerarsi solo

7 Su tutte queste questioni si veda 1 ottimo studio di M. Daumas, UHistoire des


Techrtiques, in Documents pour l'Histoire des techinques, vii. Le considerazioni ge­
nerali e «filosofiche» di A. Teissier du Cros, Llnnovatìont Laffont, Paris 1971, non
aiutano invece a circoscrivere il problema.
8 J.-C. Beaune, op. cit.

255
I caratteri del progresso tecnico

attraverso rinnovazione. Eppure ci si vede costretti a riconoscere


che questa semplice spiegazione non dà risposta a tutto: perché non
necessariamente ci sono «innovazioni labour saving» disponibili pro­
prio nel campo desiderato! E troppo semplice provare il contrario9!
In realtà anche quando si esaminano concretamente i fenomeni in­
novativi, ci si rende conto che non c’è alcuna correlazione necessaria
e generalizzabile, ma solo accidentale.
Crozier sostiene (La Société bloquée) che la grande organizzazio­
ne è un ambiente favorevole all'innovazione: quest’ultima non è un
fenomeno individuale, determinato da una rigida razionalità econo­
mica; è un sistema collettivo la cui riuscita dipende da fattori umani,
e sul terreno della grande organizzazione può essere superiore alla
massa di piccoli produttori. Insiste a lungo sull’aspetto collettivo
(a monte e a valle deH’innovazione) che corrisponde esattamente
all’idea dell’autoaccrescimento. In particolare, se l’innovazione di­
pende da una certa libertà individuale, è probabilmente meglio as­
sicurata nella grande organizzazione che nella piccola impresa. Allo
stesso modo la grande organizzazione può mettere a disposizione
le risorse necessarie per aiutare l’innovazione. Le grandi organiz­
zazioni possono inoltre prevedere le possibili conseguenze: «La
capacità di innovazione si accresce nella misura in cui esse sono
meglio in grado di gestire gli effetti sfavorevoli che possono derivare
dall’innovazione». L’aumento di dimensioni delle unità sociali ed
economiche sembra così fornire un ambiente favorevole all’innova­
zione. Condizione dell’innovazione è la formazione di collaboratori
sempre più numerosi. Viene confermato ciò che scrivevo nel 1950,
ossia che l’autoaccrescimento è la partecipazione di tutti all’opera
tecnica. «Uattività e l’efficacia dei tecnici non smettono di crescere
col loro numero. (E nella crescita numerica dei protagonisti) che
si trova forse la causa delle realizzazioni spettacolari. Ogni tecnico
preso separatamente non possiede più doni di quelli che lo han­
no preceduto. Cento uomini che studiano lo stesso problema allo
stesso tempo ottengono risultati più importanti di un solo uomo
che si dedica allo stesso lavoro per un tempo cento volte più lun­
go. Inoltre, il progresso delle tecniche si stimola autonomamente.

9 B. Levadoux, Les Nouvelles Techniques et l éiimination des imtruments de tra­


vati, citato da J.-C. Beaune, op. cit.

256
L* autoaccrescimento

Ha continuamente creato mezzi più perfezionati che ne favoriscono


l’accelerazione.. .»10.
Solo le grandi aziende quindi possono soddisfare le condizioni
della crescita, coordinando le ricerche delle équipes di tecnici - cosic­
ché, come Furia fa notare, «la ricerca è ancora più concentrata della
produzione». Queste imprese chiamano sempre più giovani, anche
non formati, a entrare nel processo. Vi è dunque una reale tenden­
za alT integrazione di tutti nella ricerca, almeno a livello potenziale.
Certamente il pullulare di piccole aziende non favorisce l’autoaccre-
scimento. Questo richiede una certa interconnessione tra tutti i sot­
tosistemi tecnici - la tecnica acquista il proprio ritmo di crescita a
partire da una dimensione che permette investimenti, esperimenti a
vuoto, capitali per un certo periodo non redditizi. Per cui ci si sbaglia
quando si afferma che la concentrazione di imprese è una conseguen­
za della tecnica, ma che essa potrebbe essere messa in discussione,
che grazie alla tecnica si potrebbe deconcentrare. In realtà la con­
centrazione non è una conseguenza ma una condizione di sviluppo
della tecnica, della comparsa del fenomeno di autoaccrescimento. La
chimica francese ha stagnato finché è stata dispersa. Gli accordi per
i quali Rhòne-Poulenc ha assorbito Progii e ha assunto il controllo
di Péchiney-Saint-Gobain hanno provocato non solo l’equilibrio eco­
nomico, ma la possibilità di sviluppo tecnico: non è una questione
di concorrenza capitalista, ma di dimensione di un sottoinsieme che
deve essere integrato per offrire molteplici possibilità d’azione.
E nel quadro delle grandi imprese (capitaliste o socialiste) che
sarà possibile quello che mi sembra costituire un aspetto fondamen­
tale dell’innovazione e che chiamerò tentativismo. Se l’innovazione
tecnica è raramente il risultato di un calcolo matematico, continua a
funzionare a livello di «Trial and Error». Ciò mi sembra caratteriz­
zare in modo specifico la mentalità tecnica: si tenta. Tutto e qualsiasi
cosa, e si vede cosa succede. Non è una curiosità - è piuttosto un’as­
senza di radicamento e di certezze: «Perché no...». E un caratte­
re generale della nostra società. Perché vi sia innovazione, devono
scomparire le certezze religiose, morali, collettive. Ciascuno lasciato

10 M. Daumas, Histoire des Tecbniqucs, op. cit> voi. I, p. x; E.F. Schumacher, Striali
is beautiful, Blond and Briggs, London 1973 (tr. it. Piccolo è bello: una tecnologia dal
volto umano, Moizzi, Milano 1977).

257
I caratteri del progresso tecnico

alle proprie esperienze - perché non faccio così? E tra migliaia di


errori, si produce un’innovazione durevole. Ma con l’innovazione
tecnica vediamo il lato positivo del tentativismo. Vedremo oltre ciò
che significa per l’uomo immerso nella società tecnica.
Al contrario l’innovazione sembra limitata da una strana consta­
tazione di de Jouvenel. «Le arti che hanno progredito meno sono
quelle che avrebbero potuto migliorare la sorte materiale di molti».
Teissier du Cros: «Più un’industria risponde a un bisogno fondamen­
tale, meno si innova». In altre parole, la crescita tecnica (cioè l’inno­
vazione) ha luogo innanzitutto nel campo del superfluo, dell’inutile,
del gratuito, del secondario. E sembra che ciò sia generalizzabile.
L’innovazione, nel periodo di spontaneità, ha giocato su ciò che non
rispondeva ai bisogni essenziali.
Non c’è dunque innovazione in funzione del reale interesse
dell’uomo. Ciò che constatiamo con evidenza oggi (si innova più per
andare sulla Luna che per nutrire gli esseri umani) è sempre stato un
carattere del progresso tecnico. L’uomo non ha scelto di innovare
là dove era veramente necessario. Le innovazioni sono avvenute là
dove il sistema tecnico stesso aveva ragione di progredire. È vero
che ormai con la pianificazione si pretende di dirigere l’innovazione,
ma in realtà ci si rende conto che ogni pianificazione è innanzitutto
polarizzata secondo gli imperativi della crescita del sistema tecnico,
che non tiene alcun conto dei bisogni reali (si è sempre e ovunque
deciso di costruire autostrade piuttosto che creare cibo di qualità.
L’innovazione si trova al contrario, grazie alle minuziose analisi degli
ultimi anni, inserita nel processo di autoaccrescimento. Non è l’in­
novazione meravigliosa, abbagliante che provoca la crescita in un
campo nuovo, ma l’ipseità della crescita che definisce rinnovazione.
Questa è compresa nel meccanismo e si realizza secondo i propri
bisogni. Un eccellente (e involontario!) esempio è dato dal libro di
Kaufmann, L’Inventique11. Si tratta di una messa a punto di «metodi
di creatività», il cui sviluppo risponde ai bisogni della società. Le
aziende devono continuamente innovare - ogni quadro, ogni inge­
gnere deve essere uno scopritore. I meccanismi della scoperta posso­
no essere analizzati, compresi, quindi riprodotti e utilizzati. In questo

11 A. Kaufmann, M. Fustier, A. Drevet, L'Inveritique: nouvelles métbodes de créati-


viti, Entreprise moderne d’édition, Paris 1970.

258
U autoaccrescimento

studio gli autori mostrano come si possa circoscrivere «l’intuizione»


e provocarla, anche attraverso un clima di rilassatezza e gioco, il ri­
corso a «non esperti» (catalizzatori indispensabili!), il processo di
bissociazione (accostamento di due idee o due tecniche suscettibili
di combinarsi), la «frantumazione», i giochi di parole, le sovrappo­
sizioni di idee e le analogie, ecc. Si analizzano i metodi combinatori
più complessi: le matrici di scoperte di Moles, le ricerche morfologi­
che di Zwicky, ecc. Tutto ciò dimostra perfettamente l’integrazione
dell’attitudine a inventare nel sistema tecnico - l’invenzione non è
più questione di un uomo che liberamente scopre la novità che lo
appassiona. E il risultato di un insieme di procedimenti e di manipo­
lazioni e avviene per una sorta di mobilizzazione collettiva (esperti e
non esperti), necessariamente a un livello estremamente basso, vale a
dire che si tratta sempre di un prodotto che si iscrive nella logica del­
la crescita precedente, non vi può sfuggire. Pertanto l’innovazione è
perfettamente assoggettata. Non c’è conflitto tra l’innovazione atto
trionfante dell'individuo e l’autoaccrescimento cieco di un sistema. Il
secondo ha perfettamente assimilato, controllato, integrato la prima.
C’è accrescimento solo se ci sono innovazioni, ma queste, risultando
sempre più da applicazioni di tecniche su campi tecnici, corrispon­
dono esattamente alla necessità di autoaccrescimento - senza che sia
possibile distinguere il più piccolo fattore indipendente, selvaggio e
forense.
L’autoaccrescimento non significa che non ci sia riflessione co­
sciente e volontaria di ricerca della crescita: l’ottimo Post Apollo Pro­
gram: directions for thè future è specifico al riguardo. Si tratta della
programmazione delle ricerche per la continuazione dei lavori della
NASA, in seguito alla «frenata» politica (febbraio 1970). Il rapporto
seleziona le opzioni di base per la ricerca e la prosecuzione delle ope­
razioni. Si tratta quindi di uno sforzo estremamente esplicito, come
d'altronde se ne verificano in molti settori del mondo tecnico. Eppu­
re, anche in questo caso, si può parlare di autoaccrescimento, perché
questo progetto si situa all’interno del sistema tecnico che implica
la crescita. Tutto in questo rapporto può essere messo in questione,
tutto è riconsiderato, tranne l’evidenza della continuazione e della
progressione. Coloro che hanno stilato il rapporto erano guidati dal­
la necessità di perseguire lo sviluppo, partecipavano quindi a un au­
toaccrescimento che rendeva lo sviluppo simultaneamente evidente

259
I caratteri del progresso tecnico

e necessario. Tutto ciò che doveva essere fatto era la ricerca della
via più sensata, la scelta di veicoli polivalenti, ecc. Tutte questioni
che si pongono unicamente in funzione di un autoaccrescimento del
sistema.
Massenet definisce perfettamente l’accrescimento tecnico self
conditioned, «Vogliamo», scrive, «queste mutazioni tecnologiche per
se stesse? Ovviamente no, a meno di invocare un inconscio colletti­
vo. Ma vogliamo i loro effetti, misuriamo l’efficacia dei dispositivi so­
ciali dal progresso quantitativo e forse domani qualitativo del nostro
livello di vita. Così il progresso tecnico, coscientemente assunto da
una minoranza di ricercatori, è collettivamente voluto unicamente in
modo implicito come mezzo obbligatorio del progresso vissuto. La
Tecnicità non è più avventura ma necessità»12.
Eppure, una delle condizioni delTautoaccrescimento, tuttavia as­
solutamente non indispensabile, è Fintervento dello Stato. Questo,
evidente nell economia socialista, è meno sicuro in quella capitalista.
Nondimeno un certo impulso e coordinamento sono fattori non tra­
scurabili, senza però credere che ciò reintroduca Felemento volon­
taristico e decisionale nella crescita tecnica. La R&D è chiaramente
una presa di posizione volontaria e una decisione politica - a partire
da essa, si è creduto che lo Stato (sostituto delFuomo) dirigesse. In
realtà lo Stato è innanzitutto condizionato dalla Tecnica, e le decisio­
ni riguardanti la R&D sono puramente e semplicemente provocate
dalla necessità tecnica. La crescita tecnica porta al punto in cui il
corpo sociale non può più fare a meno di istituire un organismo di
R&D. Uintervento dello Stato mi sembra quindi situato alYinterno
del fenomeno di autoaccrescimento (così come Finsegnamento tec­
nico) e non come condizione iniziale. Esso diventa però condizione
per la continuazione delFautoaccrescimento.
Ciò pone il problema di fondo della R&D: la R&D è Finsieme di
attività che va dalla ricerca fondamentale alla messa a punto di nuo­
vi metodi, procedimenti, prototipi in tutti i campi. Attualmente alla
classica R&D si aggiunge la formula T&E, Testing and Engineer­
ing, prova ed elaborazione del prodotto da parte degli «ingegne­
ri», in senso ampio. La R&D è compresa nell’insieme della politica
scientifica, che implica lo stabilimento di obiettivi, l’allocazione e

12 M. Massenet, Du changement technique, «Analyse et Prévision», 1971, xi, p. 345.

260
Uautoaccrescimento

la ripartizione di stanziamenti, l'amministrazione dei programmi e


dei ricercatori, le interazioni con altri settori economici e sociali,
e infine la valutazione dei risultati. Come venne sottolineato in un
rapporto dell'ocsE, viene preso in considerazione anche ciò in cui la
scienza influenza la politica, e come le scoperte tecniche influenzano
le decisioni scientifiche. Perché la R&D è in stretti rapporti con la
politica, è chiamata a rispondere a obiettivi che le vengono posti
innanzitutto dallo Stato, ma in realtà gli organismi politici hanno
poco potere e controllo su di essa. Negli Stati Uniti, dove si è stra­
ordinariamente sviluppata per via delle guerre, si è giunti a distin­
guere tre settori: il programma con finalità militari, la ricerca delle
Università (finanziata dal governo ma libera dai suoi orientamenti),
la ricerca industriale (finanziata per lo più dalle imprese). La R&D
ha goduto di uno straordinario aumento di finanziamenti dal 1948
al 1967 (2,4% del budget federale nel 1948, 5,8% nel 1957, 10%
nel 1962, 12,6% nel 1965). Nel 1966 è iniziata la crisi: inizialmente
stagnazione, poi declino delle risorse (in numeri assoluti), e rimessa
in causa degli obiettivi della politica scientifica e del «complesso
tecnico militare industriale».
La R&D è stata la grande questione negli Stati Uniti nel dopo­
guerra, in Europa dieci anni più tardi. Si trattava di concentrare le
forze, i capitali, le intelligenze sulla ricerca scientifica, in realtà tecni­
ca, con finalità lo sviluppo (economico, e alToccorrenza capitalista).
Nel 1946 le spese per la R&D ammontavano negli Stati Uniti a 300
milioni di dollari, nel 1971, anno di punta, hanno raggiunto i 25 mi­
liardi, rappresentando il 3,5% del prodotto nazionale lordo (1*1,68%
in Francia). Negli Stati Uniti c'è stata una tendenza al rallentamento
a partire dal momento in cui ci si è resi conto che la crescita tecnica,
indiscutibile, non produceva necessariamente una crescita economi­
ca. I numeri parlano chiaro: la Gran Bretagna spende il 2,5% del
pnl in R&D, e il reddito prò capite è aumentato tra il 1960 e il 1970
solo del 2,2% all'anno; il Giappone, in testa alla crescita mondiale,
destina 1*1,5% del pnl alla R&D. Negli Stati Uniti il rendimento di
produttività economica delle enormi somme dedicate alla ricerca è
attualmente tanto debole che si è in presenza di una stagnazione: ma
la ricerca si orienta innanzitutto verso il «qualitativo» e verso la so­
luzione dei problemi di inquinamento ecc. Se c è quindi esitazione
quanto al risultato economico, non ce ne può essere per i risultati

261
I caratteri del progresso tecnico
tecnici. Ma ciò non interessa paesi come la Francia, in cui si collega
ancora R&D alla politica industriale (per esempio la dichiarazione
di Ortoli, dicembre 1969). La Scienza, il Sapere sono considerati
sempre più beni strumentali, mezzi15. Certamente c’è sempre la ri­
cerca di base, ma non è al centro dell’interesse, sebbene teoricamen­
te e intellettualmente dovrebbe essere così. In realtà sono la ricerca
applicata da una parte e lo sviluppo dall’altra a essere interessanti.
Sono essi che hanno condotto all’amalgama sistematica dei tre nel­
la R&D - è anche ciò che spiega la crisi attuale dell’insieme. C’è
una messa in causa non solo del rendimento economico, ma anche
del significato (i ricercatori pongono la domanda: «Che cosa stiamo
facendo? A che cosa servirà?). Si ha dunque l’impressione che l’uo­
mo rimanga padrone della situazione, che decida di intraprendere la
ricerca, che metta a disposizione i finanziamenti, e quando si pone
domande come quelle che ho menzionato, tutto si ferma: non c’è
quindi autoaccrescimento della Tecnica! Sbagliato: ho detto prima
che negli Stati Uniti la tecnica si orienta, senza arrestarsi, verso mezzi
di disinquinamento, di ricostituzione dell’ambiente, ecc. La difficol­
tà qui è il cambiamento sociale che un tale riorientamento tecnico
implica. Ma la crescita tecnica dopo due o tre anni di esitazione non
è assolutamente rimessa in causa - direi il contrario: l’imperativo di
progresso tecnico, che proviene dall’autoaccrescimento, comporta il
riorientamento della R&D ed esige l’adattamento socio-economico.
Lungi dall’essere determinata, la crescita tecnica è f imperativo deter­
minante - accecamento ineluttabile. Ciò è confermato, in Francia, da
interessanti dichiarazioni di J.P. Beraud14, riprese dal ministro dello
Sviluppo Industriale e Scientifico (luglio 1973): la ricerca non è ap­
pannaggio di qualche specialista, «è una necessità permanente alla
quale tutti devono aprirsi. E un’attività aperta sul mondo esteriore,
sui bisogni quotidiani, individuali o collettivi. E necessario inserire
psicologicamente e socialmente i ricercatori15 nella società».
In realtà l’insieme di istituzioni, di stanziamenti, di organizzazioni
di R&D non è il fattore autonomo che determina il progresso tecni-

IS Si vedano gli studi di B. de Jouvenel su R&D in «Sedeis» e in Arcadie, cit.


u Direttore dell’Agenzia Nazionale di Valorizzazione della Ricerca: anvar, «Le
Monde», febbraio 1972.
15 Adattarli quindi in modo che non si pongano più domande paralizzanti! È l’im­
perativo di servizio che giunge dall’autoaccrescimento.

262
L’autoaccrescimento

co, ma è lo strumento di cui il sistema tecnico si dota per obbedire


alla propria legge di autoaccrescimento. Questo è mediatizzato dalla
R&D. Gli uomini che ne fanno parte sono gli agenti delTautoaccre-
scimento. Ripeto che in queste frasi non c’è antropomorfismo: non
dico che ci sia una sorta di divinità onnipotente con l’intenzione
chiara e deliberata di creare la R&D in funzione dei propri impe­
rativi. Nulla di simile. Si può però far il paragone del mercato in
economia liberale. Nessuno crea il mercato, che risulta invece dalla
combinazione di domande e offerte, apparentemente incoerenti, di
politiche particolari di aziende indipendenti e di bisogni spontanei,
ecc. Eppure questo insieme disparato costituisce una realtà che ob­
bedisce a leggi proprie. Una volta che il mercato esiste, si comincerà
a dotarlo di un certo numero di organismi di mediazione e regolazio­
ne - è a questo livello che si situa la R&D. Essa subisce gli impulsi o
i rallentamenti che provengono dal fenomeno (irregolare) dell’auto-
accrescimento della Tecnica. E possibile essere colti dall’ansia, come
Leprince-Ringuet16, di fronte alla riduzione di stanziamenti per lo
spazio e la ricerca nucleare. «Quali saranno allora domani gli obietti­
vi principali della ricerca applicata? Come utilizzare l’enorme poten­
ziale tecnologico cha abbiamo attualmente a disposizione?» chiede.
Non c’è da temere: quando la crescita tecnica è frenata in un ambito,
il processo di autoaccrescimento provoca una mutazione del campo
di applicazione: si verifica necessariamente un rallentamento, che
può essere considerato una stabilizzazione o una crisi, ma in realtà
c’è una ripresa dell’autoaccrescimento là dove possibile.
Tutto deriva così dalla situazione del fenomeno tecnico nella so­
cietà globale: un ottimo studio sull’autoaccrescimento ci è fornito da
Marie Moscovici17. L’autrice studia in particolare il fenomeno della
socializzazione della ricerca, che diventa una specie di programma
comune, di ideologia globale che possiede una legittimazione a priori
accordata dall'insieme del corpo sociale. Troviamo qui l’intersezio­
ne tra autonomia-legittimazione e autoaccrescimento: è necessario
prendere coscienza del fatto che ogni carattere del sistema deve es­
sere considerato in correlazione con gli altri. In questa prospettiva

16 L. Leprince-Ringuet, Legon terminale au Collège de France, maggio 1972.


17 M. Moscovici, La Rechercbe scientifique dans lIndustrie, «Analyse et Prévision»,
1966.

263
I caratteri del progresso tecnico

la ricerca diventa una sorta di attività spontanea di tutto il corpo so­


ciale. Il laboratorio di ricerca, che certamente esiste, è un'organizza­
zione particolare il cui scopo è la produzione di invenzioni: ma può
esistere in quanto tale solo sul fondamento delTautoaccrescimento in
quanto adesione preliminare. L'invenzione è ormai amministrata, lo
scienziato e il tecnico di ricerca hanno innanzitutto un ruolo sociale
(che rivestono tanto meglio quanto più sono integrati) e si passa dalla
creatività aleatoria alla creatività provocata.
Uautoaccrescimento si basa sulla legittimazione a priori della
Tecnica nella coscienza. Problema che riprenderemo più avanti. Ha­
bermas ha ragione nel sottolineare che è a ciò che corrispondono le
ideologie «che rimpiazzano le legittimazioni tradizionali della domi­
nazione, nello stesso tempo in cui si presentano facendosi forte della
scienza moderna, e giustificandosi in quanto critica dell'ideologia».
Ma che la tecnica abbia invaso il campo dell'ideologia non significa
che la si possa ridurre a ciò!
Ovviamente in questo aspetto delTambito tecnico bisogna anche
tenere conto del potere ossessivo e polarizzante del vocabolario. Le
parole sono investite di una carica emozionale in funzione del con­
testo generale della società. Nel V o nel XIII secolo c'erano termini
teologici che provocavano azioni e riflessioni. Nella nostra società è
piuttosto il vocabolario politico, ma l'azione importante è in realtà
indotta da parole chiave del mondo tecnico: spuntassero i termini
Pianificazione, Produttività, Prospettiva, Informatica, Gestione, su­
bito le forze intellettuali si orienterebbero in funzione di questi punti
di cristallizzazione. Non c'è bisogno di incitare gli individui a fare
della futurologia, a prepararsi a carriere informatiche o a organizzare
secondo principi di gestione: la ricerca e l'applicazione si realizzano
autonomamente. E poiché molti vi sono attirati, il progresso avvie­
ne senza che lo si voglia, lo si cerchi o lo si sappia. Questi termini
sono portati alla ribalta perché uniscono Tinteresse economico con
la preoccupazione tecnica. Non è questione di moda, ma di polariz­
zazione dell'attenzione, nella misura in cui ciò che viene invocato da
tale parola è immerso nell'atmosfera generale della società tecnica e
si trova sensibilizzato a tutto ciò che può svilupparlo.

■k Ve Ve

264
Uautoaccrescimento

Abbiamo appena visto che l’autoaccrescimento che risulta dalle


qualità intrinseche della tecnica implica resistenza di alcune condi­
zioni di possibilità. Dobbiamo pensare a come, all’inizio dello svilup­
po tecnico, sia stato necessario un insieme di condizioni ideologiche,
economiche, scientifiche, sociali, favorevoli e congiunte. Boli mostra
ad esempio come la desacralizzazione dei mezzi impiegati sia una
condizione preliminare necessaria affinché la tecnica possa svilup­
parsi, essendo ciò possibile solo a condizione di porre la questione
dell'efficacia del mezzo e non della sua conformità col sacro. Allo
stesso modo è evidente che il successo, la riuscita di un certo numero
di tecniche, riguardanti alcuni aspetti di una cultura, incrementano
la propensione degli uomini di un gruppo sociale ad applicare la
tecnica ad altri aspetti della cultura. Ce una adesione preliminare
necessaria all’accettazione di nuove tecniche18. E questo d altronde
che rende 1 applicazione della tecnica possibile a titolo di tentativo,
affinché ci sia una sorta di «banco di prova». Normalmente una tec­
nica è sempre sperimentata a lungo in laboratorio prima di essere
consegnata al pubblico (commercializzata, se si tratta di un regime
capitalista). Ma questa condizione è molto difficile da soddisfare se si
tratta di una tecnica globale, di un insieme tecnico, perché ciò mette
in gioco un gran numero di persone o un’intera società. Eppure, ci si
accorge che si ha autoaccrescimento solo quando la sperimentazione
è possibile. E il motivo per cui le guerre sono così utili in questo
quadro: è il momento in cui tutte le esperienze sono possibili. Ma è
un errore credere che la guerra di Spagna o quella del Vietnam siano
semplici «banchi di prova delle guerre future: sicuramente ci sono
tecniche militari, ma sono secondarie. Sono tutte le altre a essere
importanti, momentaneamente applicate alla guerra, perché questa
permette di non preoccuparsi dei risultati disastrosi o eccessivamen­
te costosi di una data tecnica. La guerra è il banco di sperimenta­
zione necessario che permette l’autoaccrescimento, perché autorizza
ogni audacia, ogni tecnica e l’insostituibile lavoro in vivo19. Bisogna
prendere in considerazione altri fattori indispensabili per questo

18 In E. Spicer, Human problems in technological change, Russe] Sage foundation,


New York 1952.
19 Si trovano buoni esempi delle tecniche di punta in guerra in Verguèse, Le Banc
d'essai des guerres futures, «Le Monde», ottobre 1972.

265
I caratteri del progresso tecnico
progresso autonomo: resistenza di un insegnamento tecnologico. È
chiaro che se la tecnica tende intrinsecamente a crescere in questo
modo, ciò implica la partecipazione «scontata» da parte degli uo­
mini. Vedremo più avanti come tutti gli uomini siano integrati nella
tecnica, ma per assicurare tale processo sono necessari dei tecnici.
Le professioni sono sempre più tecniche, per avere un mestiere bi­
sogna conoscere una tecnica, ma questa necessità sofferta dall’uomo
provoca come effetto reciproco che più uomini sono formati dalla
tecnica, più partecipano allo sforzo. La formazione tecnica è non
solo formazione per svolgere un mestiere, ma, involontariamente,
formazione alla partecipazione della crescita tecnica non per trasmis­
sione di conoscenza, ma per la delimitazione di un campo di interessi
e Finduzione di un’adesione incondizionata. A queste condizioni si
produce il fenomeno di autoaccrescimento grazie alla partecipazio­
ne di tutti. Ogni invenzione tecnica provoca altre invenzioni in altri
campi. Non c’è interruzione. In una stessa civiltà il progresso tecnico
non è mai messo in discussione20. Il progresso è dello stesso ordine
della numerazione: non c e motivo di fermarsi a una cifra, a un livello
tecnico, c’è sempre la possibilità di aggiungere un numero. Si può
sempre aggiungere un perfezionamento che risulta dall’applicazione
della tecnica stessa. Chiaramente mi riferisco all’insieme del sistema
tecnico, e non a una tecnica particolare, che può essere bloccata per
un certo periodo. Le tecniche si chiamano una con l’altra.
Ciò può presentarsi sotto differenti aspetti, positivi e negativi. Da
un lato ogni tecnica apporta la propria pratica, la propria efficacia
al grande insieme, e attraverso F unicità del sistema contribuisce allo
sviluppo di tutte. Questo è Faspetto più evidente, ma sotto un altro
aspetto, una tecnica fa appello ad altre perché può avanzare solo se
alcuni noti problemi vengono risolti, se nuovi materiali, nuovi stru­
menti vengono creati. C’è sollecitazione. La Tecnica pone un proble­
ma positivo e la Tecnica vi risponde. Ovviamente quando dico che la
Tecnica «fa appello», «risponde» si tratta di un antropologismo che
può sembrare ingenuo ma che in realtà non lo è: perché se sono dei

20 II progresso tecnico è irreversibile. Non può essere annullato, procede per


emulazione senza arretramenti. Non tornerò sull argomento. Si veda il paragrafo a
riguardo in La Technique ou Venjeu du siede. Si veda anche, ad esempio, G. Fried-
mann, La Puissance et la Sagesse, Gallimard, Paris 1970, cap. I.

266
C autoaccrescimento

tecnici a porre il problema e altri a rispondervi, essi sono così esclusi­


vamente determinati dal loro ruolo e dalla loro competenza da essere
semplicemente portavoce.
È ali interno di questo autoaccrescimento attraverso i bisogni che
la tecnica si crea da sé, che dobbiamo collocare ad esempio le straor­
dinarie ricerche sui nuovi materiali: ogni tecnica può svilupparsi solo
utilizzando materiali che non esistevano allo stato naturale. Il mate­
riale dotato di una data qualità specifica, determinato dall’uso che
una data tecnica deve farne, deve essere inventato. L’immagine, il
profilo del materiale sono dati sin dall’inizio. Attualmente è l’assenza
di materiali adeguati a comportare il rallentamento di numerose tec­
niche, sebbene si possa dire che ormai le ricerche sui nuovi materiali
siano prioritarie, poste al primo livello di preoccupazione, e si svi­
luppano più rapidamente21. C’è autoaccrescimento perché la tecnica
definisce autonomamente i propri bisogni e vi apporta la propria
soddisfazione. I problemi posti dalla tecnica non possono essere solo
«positivi», ci sono anche questioni di necessità: la nuova invenzione
ha luogo non in vista del progresso ma per rispondere a una situa­
zione inattesa, difficile, provocata dalla tecnica stessa, senza poter
parlare ancora di compensazioni necessarie.
Uautoaccrescimento può essere ad esempio innescato dal rispar­
mio di manodopera provocato dalla tecnica stessa: l’automazione, ad
esempio, suppone un trasferimento di lavoratori da un’occupazione
all’altra. La grande scoperta è stata però che il livello di impiego può
essere mantenuto al livello desiderato correggendo la domanda: «Se
1 V
non c e abbastanza lavoro nella fabbricazione di automobili, possia­
mo rimediarvi andando sulla Luna» (Keyfitz). Tutto ciò è estrema-
mente significativo: ogni disimpegno di manodopera è, per evitare la
disoccupazione, un pressante appello alla crescita tecnica in un altro
campo che per un periodo assorbirà la manodopera, prima che que­
sto progresso, spinto all’estremo, a propria volta la renda inutile.
C’è inoltre autoaccrescimento, ed è l’ultimo termine, poiché la
tecnica provoca nocività alle quali solo la tecnica può porre rime­
dio. Abbiamo già cercato la differenza d’ordine tra i problemi che

21 G.A. W. Boehm, Des matériaux qui n existent pas, «Analyse et Prévision», 1968.
D. Gabor, Prévision technologique et responsabilità sodale, «Analyse et Prévision»,
1968.

267
I caratteri del progresso tecnico

la tecnica può risolvere e quelli nei confronti dei quali si rivela im­
potente.
Il grande meccanismo di produzione delTautoaccrescimento è in
realtà la comparsa di problemi, pericoli e difficoltà. Si può spiega­
re in modo semplice: ogni invenzione tecnica (collocandoci a livello
dell'operazione) provoca difficoltà o problemi, e ci si rende rapi­
damente conto che solo una risposta tecnica è utile o efficace. La
tecnica si alimenta così attraverso i propri fallimenti. «11 progresso
è quindi un complesso di risoluzioni di problemi e di creazione di
problemi» (de Jouvenel). Formulato in questo modo è una banalità,
ma la novità è che per via dell'integrazione del sistema tecnico ogni
fallimento rischia di mettere tutto in causa: non è l uomo a porre i
problemi, questi gli vengono duramente posti dalla Tecnica stessa e
non si è liberi di rimandare la soluzione a domani: ogni volta è que­
stione di «vita o di morte».
L’assenza di scelta nei confronti dei problemi è, propriamente
parlando, l'autoaccrescimento - quando una tecnica funziona, per­
turba: bisogna rispondere. Il «bisogna» determina l'autoaccresci-
mento. La ragione d'essere di un numero sempre maggiore di tecni­
che è rispondere alle difficoltà: «Gli imballaggi a perdere obbligano
a costruire inceneritori di rifiuti. La congestione del centro di Parigi
implica la costruzione di Sarcelles e autostrade. L'inquinamento ge­
neralizzato obbliga i Giapponesi a comprare ossigeno e a bere acqua
minerale»22. Nessuno lo vuole, ma è così! La tecnica si genera non
solo attraverso pericolo o inquinamento: talvolta pone direttamente
a se stessa delle domande. Un bell'esempio ci è dato da ÉnigmcP: la
creazione di una macchina per la decifrazione di testi (militari) e la
progressiva messa a punto di tecniche di decifrazione attraverso la
comprensione della macchina stessa. Si tratta in fondo sempre del
dibattito tra «la corazza e il proiettile». Vediamo in questa infinita
concorrenza il processo di autoaccrescimento, perché ogni ostacolo
presentato dalla corazza è una provocazione indiscutibile per trovare
un proiettile più potente e viceversa. Non c'è alcuna «partecipazio­
ne» umana: la deliberazione è annientata dall evidenza schiacciante

22 Rodes, Cahiers du Boucau.


23 G. Bertrand, Énigma ou la Plus grande énigrne de la guerre 1939-1945, Plon,
Paris 1973.

268
U autoaccrescimento

del tecnico, Bisognerà raggiungere un apice di indipendenza spiri­


tuale collettiva per rimettere il processo in questione, è ciò è tanto
più improbabile e difficile in quanto la tecnica crea situazioni inevita­
bili nelle quali non c’è altra soluzione a parte quella di continuare ad
avanzare: a patire dal momento in cui si utilizzano pesticidi, non si
può più tornare indietro perché gli insetti adattati pullulerebbero. A
partire dal momento in cui si hanno a disposizione concimi chimici,
si possono selezionare specie di riso o di grano «miracolose» (ciò che
ha permesso la Rivoluzione Verde), ma la loro coltivazione esige Fuso
di concimi chimici, ecc.
Così de Closets afferma: «Solo l’urbanistica salverà le città, solo
la pila a combustibile offuscherà l'atmosfera, solo la contraccezione
metterà fine alla crescita demografica, solo la chimica permetterà di
sconfiggere la fame, solo 1 informatica risolverà i problemi dell’istru-
zione permanente...». Certo: in altre parole, la Tecnica pone dei pro­
blemi, comporta delle difficoltà, e ci vogliono sempre più tecniche
per risolverli. C’è ovviamente un’autogenerazione.
Tutto ciò è caratteristico per il problema dei rifiuti: è assoluta-
mente necessario moltiplicare le tecniche che hanno lo scopo di eli­
minare i rifiuti, di compensare gli inconvenienti. Non basta costruire
delle auto: bisogna anche distruggerle, comprimerle, ridurle in «pul-
fer» riutilizzabile: si costruiscono fabbriche a questo scopo (quella di
Athis-Mons può trattare 75.000 tonnellate di vetture all’anno). Ma
tutto ciò è ancora insufficiente: bisogna coordinare Fattività di eli­
minazione delle vecchie auto, non la si può lasciare all’insufficiente
iniziativa individuale. E necessario stabilire una politica concertata,
creare un amministrazione, un secondo livello tecnico, di organizza­
zione e di sistematizzazione delle tecniche di eliminazione del rifiuto
tecnico. Uautomobile è un caso tra cento: se non si vuole morire
sotto i rifiuti24, bisogna dedicare una parte crescente della tecnica a
questo problema - sistemi di aspirazione per canalizzazione (utiliz­
zati in Svezia), incenerimento, raccolta ermetica, macinazione, ecc.
C’è autoaccrescimento della tecnica perché non si può continuare a

24 Si veda Tammirabile descrizione di B. Charbonneau del rifiuto nel mondo urba­


nizzato: Le }arditi de Baby lotte, Gallimard, Paris 1969. Per gli studi tecnici si vedano
ad esempio: M. Neiburger, La lutte cantre la pollution de l’airy «Analyse et Prévi-
sion», 1967; Rousseau, Les détritus urbains, «Analyse et Prévision», 1966.

269
I caratteri del progresso tecnico
utilizzare metodi antichi di raccolta e discarica. Ed è la tecnica a cau­
sare il problema, perché la maggiore crescita di rifiuti è dovuta agli
imballaggi perfezionati. Ma oltre all’impulso che la tecnica conferi­
sce a se stessa attraverso sollecitazioni alle quali bisogna rispondere
e attraverso difficoltà che bisogna risolvere, altri fattori giocano nello
stesso senso.
Alcuni sono dovuti ai gruppi umani che vi partecipano. Ecco un
esempio concreto molto semplice che si verifica frequentemente: un
compito sembra necessario dal punto di vista economico, sociale,
ecc. Si mettono a punto tecniche per rispondervi, e necessariamen­
te si costituisce un gruppo di professionisti per applicarle. In un
attimo l’obiettivo è raggiunto, ma il corpo di professionisti rimane,
e di licenziarli non se ne parla. Il nuovo parco attrezzi è istallato e
di non utilizzarlo non se ne parla. Si continua quindi a funziona­
re applicando tecniche e attività di campi inutili a sviluppi super­
flui: ad esempio, la costruzione di strade utili implica la Creazione
di amministrazioni, l’ingaggio di operai, l’uso di materiali sempre
più perfezionati, e quando la rete è sufficiente, si continuano a co­
struire strade perché non si può fermare la macchina tecnica. Dal
lato opposto, intervengono elementi molto generali, nell’opinione
pubblica, nella vita politica, che si coniugano per produrre lo stesso
effetto. Buoni esempi di autoaccrescimento che si basano sull’evi­
denza della necessità del progresso tecnico ci vengono proposti da
de Clósets: «Appena si apre una via di ricerca, decine di équipes vi
si riversano». Mostra come la concorrenza, tra nazioni o aziende,
comporta necessariamente una crescita tecnica che nessuno vuole
in quanto tale: questa crescita è la sola via per evidenziare la supe­
riorità sugli individui e sui gruppi.
Per raggiungere questo punto, potrei rimandare all’ottimo stu­
dio di Bela Gold25, che conferma interamente queste interpretazioni
sull’autoaccrescimento. Conduce un’analisi molto approfondita di
tutti i fattori che giocano in direzione della crescita tecnica e mani­
festa sempre una sorta di scetticismo, mostrando che non si com­
prende il sistema del progresso tecnologico fintanto che si tenta di
ricondurlo a decisioni chiare. Inoltre, per lui «i grandi progressi sono

25 Bela Gold, L’Entreprise et la genèse de l'innovation, in «Analyse et Prévision»,


1973.

270
L’autoaccrescimento

solo il risultato accumulato di piccoli miglioramenti progressivi» e


anonimi, bisogna aggiungere!
★ * ìSr

Questo ci introduce alle conseguenze dell'autoaccrescimento. C’è


reciprocità del fenomeno: Pautoaccrescimento è dovuto al fatto che
tutto funziona per combinazione di migliaia di piccole scoperte che
perfezionano l'insieme, e questa è anche la conseguenza: il progres­
so avviene, conseguentemente, a causa dell’esistenza stessa di questa
realtà del sistema. Ciò comporta considerevoli ripercussioni: il ca­
rattere principalmente tecnico di ogni lavoro fa sì che non importi
chi faccia avanzare il lavoro, perché la tecnica avanza maggiormente
grazie a migliaia di piccoli perfezionamenti che ciascuno può appor­
tare, a condizione di conoscere bene il «proprio» settore tecnico, più
che per grandi invenzioni spettacolari e geniali. Non è più necessario
essere intelligenti e colti per far avanzare la tecnica. Qualsiasi studen­
te medio o professionista specializzato giunge sempre a un progres­
so - nella migliore delle ipotesi il progresso si verifica attraverso la
ricerca di migliaia di ricercatori per ogni questione; ma la qualità dei
ricercatori non conta molto. L’importante è che conducano infinite
sperimentazioni a riguardo di un problema in modo da esaurire tutte
le ipotesi e le combinazioni possibili. Purché abbiano a disposizione
il materiale necessario, siano inclusi in una struttura totale, obbedi­
scano a un sistema di ricerca rigoroso e completo, giungono neces­
sariamente a un risultato. A queste condizioni chiunque va bene. Le
migliaia di piccole scoperte fatte in tutto il mondo si sommeranno
infine per creare il progresso tecnico, che tutti giudicheranno straor­
dinario. Questo spiega anche il carattere perfettamente intercambia­
bile di questi tecnici. Possono andare ovunque, purché vengano loro
forniti i mezzi.
Dipendendo il processo tecnico dalla propria struttura, la qualifi­
cazione dell’uomo si fa meno imperiosa. Ci vuole un uomo molto più
competente nella propria specialità e molto meno atto alla riflessione.
«Più fattori ci sono, più li si può combinare, più si fa chiara l’urgenza
di ogni progresso - più il progresso stesso è evidente, meno l’auto­
nomia umana può esprimersi. In realtà l’uomo è sempre necessario.
Ma chiunque andrà bene purché sia addestrato al gioco. L’uomo può

271
I caratteri del progresso tecnico

ormai agire nella realtà più comune, più bassa, e non in ciò che vi è
di superiore e particolare, perché le qualità che ia Tecnica richiede
per evolvere sono qualità scontate, di ordine tecnico, e non un’in­
telligenza particolare». L’uomo non interviene in questa evoluzione
decisiva (della tecnica verso la propria costituzione in sistema e verso
la formazione progressiva del carattere di autoaccrescimento). Non
cerca di creare un sistema tecnico, non tende a un’autonomia della
tecnica. Si costituisce qui una sorta di spontaneità nuova, è qui che
si deve cercare il movimento specifico, indipendente della tecnica, e
non in una «rivolta dei robot», o in una «autonomia creatrice della
macchina». In questo senso si può parlare di una realtà della tecni­
ca, con un proprio corpo - la propria entità particolare, la propria
vita, in qualche modo indipendente dalla nostra decisione. Perché
le nostre decisioni sono politiche, quindi senza presa sul fatto tecni­
co, oppure sono microtecniche, e quindi si inseriscono nel generale
movimento di crescita. La specializzazione del tecnico è quindi un
fattore essenziale delTautoaccrescimento. Ma come sempre in questo
caso è simultaneamente fattore e conseguenza.
Ciascuno agisce nel proprio campo particolare, ciascuno fa pro­
gredire il gesto, il piccolo arnese, il pezzo di macchina. Ogni questio­
ne trattata, per quanto delicata, è sempre specifica.
Ognuno si dedica a trovare soluzioni a problemi molto precisi,
molto concreti, o a sviluppare un’efficacia in un ambito determinato:
nessuno ha una visione d’insieme, nessuno può veramente dirigere il
sistema tecnico, e il progresso scientifico e tecnico avviene per con­
seguenza indiretta. La volontà di inventare, di innovare è inferiore
alla ricerca di un movimento generale nel quale ciascuno è preso.
C’è l’orientamento generale di questa civiltà, c’è P esercizio della fun­
zione professionale, ci sono le possibilità offerte dalle nuove attrez­
zature (materiali o mentali) che non si può fare a meno di utilizzare.
Per evidenza e per necessità il progresso tecnico si somma agli altri,
e il fenomeno sarà simile ovunque. I tecnici lavorano ovunque con le
stesse attrezzature, si scontrano con gli stessi problemi, obbediscono
agli stessi impulsi. Il progresso tecnico tende a realizzarsi ovunque
alPincirca allo stesso tempo. Ovviamente sto parlando di quei paesi
che hanno a disposizione un equipaggiamento tecnico sufficiente,
che hanno raggiunto un certo livello economico e che sono stati con­
quistati dalla passione tecnica. A partire da queste basi le «scoperte»,

272
U autoaccrescimento

le «innovazioni» possono sorgere in diversi punti, solo con pochi


mesi di scarto le une dalle altre.
Perciò non bisogna credere troppo alle storie di spionaggio, con
i servizi segreti alla ricerca di «segreti» scientifici (che sono di solito
segreti tecnici!) rubati da un paese all'altro. Non è così: in realtà
ogni paese «avanzato» è in grado di fare autonomamente ciò che un
altro ha fatto. Già nel xix secolo si sapeva che le «grandi invenzioni»
(tecniche) potevano essere rivendicate da molti paesi. Ognuno ha
una verità ufficiale sull'invenzione del cinema, del telefono, della ra­
dio, dell'automobile. Oggi l'identità del cammino della Tecnica por­
ta a invenzioni ovunque identiche, perché fatte con gli stessi mezzi
e rispondenti agli stessi bisogni. Nessuno Stato può guadagnare un
vantaggio decisivo in un ambito: tutti raggiungono rapidamente lo
stesso livello. Lo si è visto per la ricerca astronautica: Stati Uniti e
urss si superano continuamente a vicenda.
Più difficile può essere passare alle realizzazioni: sono i mezzi qui
a fare la differenza. Perché, in seguito alla scoperta o all'invenzione,
la realizzazione richiede enormi investimenti non sempre possibili.
Attualmente si pone il problema della forse decisiva avanzata tec­
nologica degli Stati Uniti grazie ai computer, dato che gli altri paesi
hanno «mancato la partenza».
Ciò può comportare una supremazia politica. Nei fatti però, sul
piano tecnologico, gli Stati Uniti si vedono obbligati a portare gli al­
tri paesi in una situazione di progresso, senza la quale il loro sviluppo
risulterebbe inutile: l'autoaccrescimento comporta una solidarietà
dei centri di progresso tecnico.
Possiamo infine notare un’ultima conseguenza: l'avanzata della
crescita tecnica spinge alla concentrazione delle imprese: è necessario
quindi che «la grande società sia in grado di raggiungere la massa
critica a partire dalla quale le spese per la ricerca sono efficaci...»26.
Il tipo di crescita della Tecnica richiede che le si mettano a di­
sposizione le possibilità della propria realizzazione. A questo riguar­
do l esposizione delle ricerche della società Philips27 è caratteristica:
essa rivela che l'autoaccrescimento funziona principalmente in settori

26 Si veda l’eccellente dimostrazione di S. Wickham, Concentranon et dimensions,


Flammarion, Paris 1966.
27 A Eindhoven, ottobre 1969.

273
I caratteri del progresso tecnico

ampi, ma non spettacolari. Rivela inoltre che l’autoaccrescimento av­


viene principalmente attraverso la comunicazione accelerata di tutte
le ricerche parcellari. La Philips comprende numerose società stan­
ziate in numerosi paesi, centri di ricerca disseminati in tutta Euro­
pa: c’è allora comunicazione incessante dagli uni agli altri attraverso
Pintermediazione del centro di Eindhoven, ma questo è stato esteso
anche a centri di ricerca che non dipendono dalla Philips: è l’interco-
municazione che scatena Paccelerazione delPautoaccrescimento.
Troviamo qui un altro esempio di reciprocità: ciò che costituisce
l’effetto di questo carattere della Tecnica è allo stesso tempo condi­
zione della sua realtà.
Il meccanismo di progresso spontaneo che ho descritto può però
non funzionare abbastanza rapidamente. La tendenza attuale è di­
minuire il divario esistente tra invenzione e applicazione tecnica. A
questo scopo sono stati creati nuovi organismi, pezzi che diverranno
essenziali per il sistema tecnico. La relazione tra ricercatori (della
ricerca di base) e ingegneri, tecnici è abbastanza ben assicurata, ab­
bastanza diretta negli Stati Uniti. Il clima economico e psicologico
assicura i contatti e la diffusione delle innovazioni incontra pochi
ostacoli. Non ovunque la situazione è la stessa: in Francia esiste tal­
volta un fossato istituzionale o psicologico tra ingegneri e ricercatori.
E in una tale situazione che sono nati PEuropean Economie Devel-
opment (organismo privato creato nel 1964) o PAgence Nationale
pour la Valorisation de la Recherche (organismo statale creato nel
1968), organismi che hanno essenzialmente l’obiettivo di scoprire i
detentori di nuove idee e di aiutarli a trarne applicazioni industria­
li. Si sondano tutte le università, tutti i laboratori dove compare
un’idea, un’invenzione. In alcuni casi si chiede che l’idea sia già «svi­
luppata», in altri casi ce se ne impadronisce alla nascita valutandone
l’interesse e il futuro tecnico o industriale. Si selezionano in seguito
le scoperte prese in considerazione, e si forniscono i mezzi di appli­
cazione. Questi organismi, che sicuramente si moltiplicheranno, non
contraddicono ciò che chiamiamo autoaccrescimento ma ne sono
un aspetto. Da un lato esistono per accelerare il processo di crescita,
dall’altro attestano che il sistema tecnico colto dalla necessità irrever­
sibile della crescita produce le istituzioni necessarie per assicurarlo;
è un nuovo elemento di ciò che in realtà è un autoaccrescimento.
È evidentemente in questo ambito che l’intervento dello Stato può

274
L’autoaccrescimento

essere necessario. Prehoda28 mostra che entrambi, regime liberale


e regime statalizzato, presentano vantaggi. Conclude che in regime
liberale lo spirito di invenzione è più attivo, ma che innovazione e
diffusione (quindi il passaggio all’applicazione) sono più rischio­
se, mentre in URSS, ad esempio, è il contrario. Lo scopo è quello di
giungere a realizzare una comprensione del processo di ricerca e di
diffusione: in questo momento si potrà effettuare una vera program­
mazione tecnologica, concepita come una combinazione volontaria
di Tecnica ed economia. Si potrebbe pensare che una volta realizzata
la programmazione, la fase di autoaccrescimento sia stata raggiunta:
eppure non credo sia così, perché ad essere messo in ordine sarà
l’insieme dei mezzi e il processo delle tappe.
Da un lato la polarizzazione di tutte le forze, dall’altro l’energia
motrice del sistema rimarranno tuttavia al di fuori della programma­
zione. Ciononostante quest’ultima (come Prehoda mostra bene), che
pure è una tecnica, potrà essere utilizzata sia da una società capita­
lista sia da una comunista, da uno Stato democratico come da uno
totalitario.

* ie *

«La Tecnica si organizza così progressivamente come un mondo


chiuso»29. Essa sfrutta ciò che la massa degli uomini non conosce. Si
basa proprio sull’ignoranza degli uomini. L’uomo non ha più biso­
gno di essere al corrente della civiltà per usare degli strumenti tecnici
(e per partecipare al loro funzionamento). Nessun tecnico domina
più l’insieme. Ciò che lega le nozioni parcellari degli uomini, la loro
incocrenza ciò che coordina e razionalizza, non è più l’uomo ma le
leggi interne della tecnica: non è più la mano che coglie il fascio di
mezzi, né il cervello che sintetizza le cause: solo l’unicità intrinseca
della Tecnica assicura la coesione tra mezzi e azioni degli uomini.
Questo regno le appartiene, forza cieca più chiaroveggente della più
grande intelligenza umana.

28 R.W. Prehoda, Designine thè future. The rote oftechnological farecasting, Chilton
Book, Philadelphia 1967.
29 Citazione da La Technique ou l’enjeu du siècley pp. 87-88.

275
I caratteri del progresso tecnico
L’autoaccrescimento dona alla Tecnica un aspetto di strana ari­
dità. Essa è sempre simile a se stessa e a nient’altro. Qualsiasi sia il
campo al quale si applica, sia Tuomo o Dio, essa è la Tecnica e non
subisce alterazioni nel proprio modo di procedere, che è il suo esse­
re e la sua essenza. Essa è il solo Luogo in cui forma ed essere sono
identici. E solo una forma, ma tutto vi si modella. Ed ecco che essa
assume caratteri propri che ne fanno un essere a parte. Un confine
ben preciso la contorna. C’è ciò che è tecnico e tutto il resto che
non lo è. Ciò che si addentra in questa forma si trova obbligato ad
adottarne i caratteri. Essa modifica ciò che la tocca, essendo essa
stessa insensibile alla contaminazione. Non esiste nulla in natura né
nella vita sociale o umana che possa essere paragonato a essa. Essere
ibrido ma non sterile, capace al contrario di autogenerarsi, la Tecnica
traccia i propri limiti e modella la propria immagine.
Quali che siano gli adattamenti che la natura o le circostanze
esigono da essa, la Tecnica rimane sempre esattamente identica, nei
propri caratteri e nel proprio percorso. La difficoltà sembra obbli­
garla a diventare innanzitutto se stessa, e non altro. Tutto ciò che essa
assimila rinforza i suoi tratti. Non ci sono speranze di vederla trasfor­
mata in un essere sottile e grazioso, perché non è Gabbano né Ariel,
ma ha saputo prendere Calibano e Ariel nei cerchi incondizionati del
suo metodo universale.

276
Capitolo secondo
L’AUTOMATISMO

In seguito a una pertinente analisi di Simondon, che dimostra


che Tautomatismo delle macchine non è il loro punto di perfezione
ma al contrario un grado piuttosto basso di tecnicità, e che il loro
vero perfezionamento corrisponde al fatto che il funzionamento
di una macchina racchiude un margine di indeterminatezza, dob­
biamo precisare il concetto di automatismo del progresso tecnico.
Come abbiamo visto esso non funziona in modo ripetitivo, ma al
contrario per assorbimento di nuovi settori che diventano tecniciz­
zati. Su questo punto, pertanto, non c’è paragone tra macchina e
sistema tecnico: [ automatismo del secondo non è ad esempio quello
dell’automazione (ed è così perché, come abbiamo già visto, il si­
stema tecnico non è una semplice somma di macchine, né una me­
gamacchina). E l’applicazione di Tecniche secondo scelte dovute a
Tecniche precedenti e che possono essere solo difficilmente derivate
e deviate. Perciò [ automatismo comporta una grande parte di inde­
terminazione. In ogni nuova situazione, per ogni nuovo campo, le
tecniche si combinano solo in conclusione e in modo indipendente
dalla decisione umana, è piuttosto una data tecnica (nuova o antica)
a essere applicata, una data soluzione a essere apportata: ma nulla
mi sembra definito in partenza. Non c’è progressione secondo un
programma informatico. C'è una situazione che sembra fluida ini­
zialmente ma che in realtà sfugge alTuomo e che si struttura secondo
il gioco dei tecnici in un modo che per diventare soddisfacente deve

277
I caratteri del progresso tecnico

diventare automatico. Ma è anche perché all'inizio ci sono sempre


molteplici possibilità tecniche. C'è una scelta da effettuare: l’auto-
matismo non aliena in principio la scelta, ma consiste nel selezionare
tra le scelte effettuate quelle conformi all'imperativo tecnico e quel­
le che non lo sono. Si riconoscono così gli errori fatti per l’utilizzo
dell’energia atomica. Bisognava preferire l’uranio arricchito, l’acqua
pesante, ecc. L’America scelse l’uranio arricchito, Francia e Gran
Bretagna l’uranio naturale (soluzione dettata dal desiderio di rea­
lizzare la bomba al plutonio). Ognuna di queste «filiere» presenta
numerose varianti, tra le quali di nuovo la scelta non era scontata. E
come abbiamo detto in precedenza, si è provato tutto. Dopo molti
tentativi e molte spese, quando si è giunti alla produzione di elettri­
cità a partire dal motore atomico, è stato necessario riconoscere che
l’unica formula utilizzabile era quella dell'uranio arricchito. O la
famosa storia, negli Stati Uniti, dell’aereo a lungo corso supersonico
a geometria variabile: dopo spese di milioni di dollari, il progetto è
stato abbandonato. In altre parole, quando una nuova tecnica ap­
pare, non ci sono decisioni evidenti e uniche: la scelta non è «fare
o non fare», come dice esattamente de Closets. La scelta è tra mol­
teplici possibilità e generalmente è colui che obbedisce a ragioni
esclusivamente tecniche (senza mischiarvi politica o nazionalismo,
come è stato spesso il caso in Francia!) che finisce col fare la scelta
migliore: ma questa si impone in realtà per via del risultato tecnico.
Poco a poco nella sperimentazione si avvia autonomamente, e senza
che ci sia stato il bisogno di fare una vera scelta, la Tecnica indiscu­
tibile per tale momento del processo.
Tutto avviene come se il fenomeno tecnico possedesse in sé una
sorta di forza di espansione che gli permette di orientarsi indipen­
dentemente da ogni intervento esterno, da ogni decisione umana1. Si
autodetermina secondo la propria via, obbedisce a un certo numero
di automatismi. Ma dico che «tutto avviene come se...», perché non
è nelle mie intenzioni formulare la teoria di una sorta di dinamismo,
una mistica dell’avanzata di un nuovo essere. Non si tratta di ricade­
re nella concezione pristina delle Leggi della Natura o della Società.
L’esame preciso dei fatti che costituiscono il progresso tecnico por­
ta alla conclusione che la decisione dell’uomo, le sue scelte, le sue

Questo punto è stato trattato in modo diverso in La Technique, pp. 75-80.

278
L’automatismo

speranze e i suoi timori non hanno pressoché alcuna influenza sul


suo sviluppo. Nel capitolo precedente abbiamo già visto tuttavia che
se l’uomo provoca l’accrescimento della tecnica (che non saprebbe
generarsi da sé, ovviamente), lo fa in condizioni tali da esercitare
un ruolo di occasione e non di creazione: non potrebbe fare altro
che produrre l’accrescimento, vi è condizionato, determinato, chia­
mato, adattato, preformato. L’automatismo tecnico non ricopre la
totalità dei fenomeni, ma nel senso in cui si può dire che un’auto­
mobile è automatica, cioè che vi si producono alcune operazioni che
non dipendono da un intervento dell’uomo. Questo automatismo si
basa sulla direzione tecnica, le scelte tra le Tecniche, l’adattamento
dell’ambiente alla Tecnica e l’eliminazione delle attività non tecniche
a vantaggio delle altre. Tutto ciò avviene senza che l’uomo vi pensi,
lo voglia, e anche se lo volesse, non potrebbe modificare l’evidenza
delle scelte. Perché finalmente (e bisognerà ricordarlo per ogni setto­
re!), è sicuramente l’uomo che formalmente, apparentemente sceglie
(ad esempio una tecnica piuttosto dell’altra): ma è una scelta falsata
alla base, come mostrerò, perché non si potrebbe scegliere altro.
★ * *

La direzione tecnica si decide da sé. Il problema è complesso. Da


una parte bisognerà tener conto della disparità di crescita delle tec­
niche, della quale mi occuperò oltre. Dall'altra bisogna combinare
due elementi diversi: la crescita delle tecniche in tutte le possibili di­
rezioni e lo stabilirsi di una linea di crescita. Normalmente la Tecnica
si sviluppa in tutte le direzioni. In ogni campo, in occasione di ogni
obiettivo, di ogni difficoltà, problema, sforzo, ostacolo, viene con­
dotta una ricerca, sicché la tecnica prolifera con rapidità crescente.
La proliferazione sembra avvenire senza scelte, senza la predilezione
di un aspetto. L'uomo fa tutto ciò che è possibile fare. La crescita
avviene in funzione non di un'opzione ma delle possibilità: è ora
possibile realizzare una tale operazione, e dunque lo si fa. Questa
possibilità non è solo quella del già acquisito, ma anche quella della
valutazione del prossimo possibile: vale a dire che non ci si serve solo
di ciò che è utilizzabile ora, ma si valuta, oltre a ciò che si ha diret­
tamente a disposizione, ciò che è immediatamente realizzabile come
nuovo progresso tecnico per creare un nuovo strumento. Stando così

279
I caratteri del progresso tecnico

le cose, si può affermare che, senza eccezione, «ogni apparecchiatura


tecnica, quando viene scoperta o è sul punto di esserlo, è (o sarà), ne­
cessariamente utilizzata. L’uomo non rinuncia mai a utilizzare un’ap­
parecchiatura tecnica».
Tutto ciò che è possibile fare, deve essere fatto: questa è ancora
una volta la legge fondamentale che produce l’automatismo. Rorvik
presenta meravigliosamente Fimmagine del «tecnico» zuccone che
non vede altro che la prodezza tecnica e che, astraendo da tutti gli
effetti sulFuomo e la società, rimane fermo sul proprio principio. E
storicamente rarissimo constatare la deliberata rinuncia dell’uomo a
utilizzare una possibilità tecnica: si sa della rinuncia americana all’ae­
reo passeggeri supersonico. Al contrario è necessario che la Tecnica
si adatti ogni volta al modello più avanzato, più veloce, più efficace.
Avevo indicato già nel 1950 l’influenza delle navi porta-container:
all epoca erano solo casi isolati e i trasporti marittimi non ne erano
particolarmente colpiti, ma davanti ai vantaggi di rapidità, facilità,
ecc., il futuro era scontato. Attualmente tutte le tecniche marittime e
portuali hanno dovuto adattarsi con un vero automatismo alla nuova
tecnica di trasporto - le parole rendono poco l’idea (ad esempio il
Terminal container di Port Elizabeth del 1968 è noto per caricare e
scaricare simultaneamente due navi container, manutenzione oriz­
zontale e verticale, il che richiede un insieme di macchine ed edifici
di 21 ettari, un parco di 3.500 auto, e un parco di 8 ettari per lo stoc­
caggio dei grandi container!).
Inversamente si sente la necessità di questo adattamento automa­
tico alla tecnica di punta quando questa si imbatte in un ostacolo: è
stato molto curioso constatare nel 1970 la specie di scandalo rappre­
sentato dal blocco della messa a colori della prima rete televisiva in
Francia perché c’erano troppi «vecchi» ricevitori. Non c’era alcuna
difficoltà tecnica perché questo «progresso» si imponesse, semplice-
mente i consumatori erano ancora in possesso di vecchi apparecchi
(a 819 linee, quando la televisione a colori ne ha 625. Ancora un
altro bell’esempio di automatismo: solo la Francia nel 1974 aveva
adottato le 819 linee, vedendosi ora obbligata ad abbandonare la
scelta per uniformarsi alla regola comune, per passare al colore!). Il
cliente deve seguire il progresso tecnico: non è assolutamente libero
di conservare il suo vecchio televisore. Presto gli verrà imposto il
colore - non gli verrà più fornita la trasmissione a 819 linee - avrà

280
L’automatismo

scelto in tutta libertà! Tutti gli ostacoli devono cedere davanti al pos­
sibile tecnico. È il principio dell’automatismo.
Ciò risulta dall’autonomia della tecnica. In nome di che cosa l’uo­
mo rinuncerebbe2? Ovviamente si può affermare che sia Tuomo a
decidere: ma la crescita tecnica gli ha fornito un’ideologia, una mora­
le, una mistica, che determinano rigorosamente ed esclusivamente le
sue scelte in direzione di tale crescita. Qualsiasi cosa è meglio piutto­
sto di non utilizzare ciò che è tecnicamente possibile. È noto il rischio
costituito per l’umanità dalla proliferazione di armi batteriologiche,
chimiche, nucleari, ma anche l’inquinamento generalizzato di aria e
acqua, l’uso domestico e agricolo di innumerevoli prodotti chimici (e
indubbiamente le ricerche sulle mutazione degli esseri viventi attra­
verso interventi chimici). Ma non importa: bisogna innanzitutto uti­
lizzare ciò che la Tecnica ci mette a disposizione. Il fattore determi­
nante è la passione tecnica: tutto il resto è giustificazione o ideologia
per nascondere la realtà. In particolare la «necessità nazionale», la
«corsa agli armamenti», la «necessità di fare la rivoluzione» sono ide­
ologie sovrapposte: non è vero che sia il Ministero della Difesa a spin­
gere i ricercatori ad agire in questa direzione. Non è vero che il pro­
gresso tecnico sia deviato dalla propria natura da fattori come questi:
è esattamente l’opposto. L’uomo obbedisce innanzitutto alla tecnica
e poi si dà giustificazioni ideologiche che gli permettono di avere da
un lato, agli occhi di tutti, una ragione passionalmente accessibile,
dall’altro, e soprattutto, di darsi un’apparenza di libertà (se mi getto
nel progresso tecnico è perché lo voglio, lavoro in questo senso, cre­
do nella patria, o nel proletariato, ecc.). Ugualmente non è vero che
sia l’interesse volgarmente pecuniario, il gusto del profitto, a portare
i brutti capitalisti a usare la tecnica. Bisogna ricordare ancora una
volta che nei paesi socialisti l’uso della tecnica è identico e che anche

2 Un esempio tra mille: è noto il problema dell'«eccessivo consumo medico». C'è


un inaudito aumento non solo del consumo di farmaci, ma soprattutto di atti bio­
logici e radiologici: tutto ciò non corrisponde a veri bisogni, né a un aumento delle
conoscenze mediche. La causa non è la facilità o la sicurezza sociale, ma innanzitutto
il miglioramento delle tecniche. Si veda La surconsommation medicale, del professor
Béreaud, apparso su «Le Monde», 3-5 gennaio 1970. Alcuni apparecchi possono
oggi automaticamente fare il dosaggio simultaneo di una dozzina di componenti in
pochi millilitri di sangue. Il medico, che pure ha bisogno il dosaggio di uno solo,
chiederà l'analisi completa perché è tanto semplice. Nel 99% dei casi gli esami sono
inutili: la tecnica ce e la si utilizza.

281
I caratteri del progresso tecnico

lì le minacce per l’umanità sono considerevoli. Ma bisogna soprat­


tutto rinviare alla brillante analisi di Galbraith sulla Tecnostruttura,
che mostra come ormai non sia più la ricerca del profitto il fattore
determinante, ma la tecnostruttura: sistema tecnico che funziona in
direzione della scoperta e applicazione di tutte le tecniche possibi­
li. Le tecniche si sviluppano così in tutte le direzioni. Ovviamente
i progressi avvengono a velocità diverse. Alcuni campi potrebbero
essere momentaneamente bloccati; quando ad esempio in un settore
non ci sono più nuove combinazioni possibili. In questi momenti
si procede lentamente per un certo periodo, le difficoltà sembrano
insormontabili. Ma il processo è sempre lo stesso: non è affrontando
direttamente il problema che lo si risolverà. Sarà il progresso di altre
tecniche, talvolta vicine, talvolta senza alcuna apparente relazione,
che in qualche modo sbloccherà la situazione, l’ambito inaccessibile.
U «muro» potrà essere sfondato grazie alla scappatoia costituita da
nuovi prodotti, da nuovi procedimenti, da nuove macchine. Eppure
in questa crescita generalizzata si distinguono delle linee di forza.
Lo sviluppo in apparenza anarchico e proliferante si ordina progres­
sivamente in funzione di una data Tecnica maggiore oppure si può
riconoscere una struttura del progresso più profonda e segreta. Ma
queste strutture si costituiscono, il primato di una tecnica si decide
senza discussione, conciliabolo, voto: l’ordine si costituisce da sé, in
funzione dei rapporti tra diversi settori tecnici, di priorità, di dispa­
rità, di crescita, di molteplicità delle applicazioni, ecc.
Tuttavia Fuorno non può rimanere passivo di fronte al di-
scernimento delle tecniche maggiori e alla configurazione deir uni­
verso tecnico. Vediamo allora apparire un’altra dimensione del siste­
ma: è la conclusione inevitabile, automatica, di una previsione in una
società in cui funziona la tecnica. Il fatto è essenziale: l’adattamento
è contemporaneamente automatico e ponderato: la riflessione si basa
non solo su ciò che sarà se semplicemente si lascia fare, ma anche su
ciò che deve essere affinché si abbia la migliore unione tra sociale e
Tecnico. La previsione non è uno strumento di direzione in un dato
senso del tecnico, ma lo strumento indispensabile affinché non ci
siano conflitti insolubili tra i due: Fadattamento nei confronti di un
fenomeno tecnico, in ambito tecnico, non può essere che consape­
volezza, ma questa è inevitabile. La previsione ci dà la possibilità di
collocarci su due piani - è ciò che mette in causa la pianificazione

282
L’automatismo

sovietica, ad esempio, troppo volontaristica in rapporto all’impera­


tivo tecnico3.
Fino ad ora abbiamo detto che là dove ìa Tecnica si sviluppa si as­
siste ad adattamenti inevitabili e involontari, ad esempio delle grandi
organizzazioni: rinnovazione deve in effetti essere innanzitutto as­
sicurata alTinterno delle organizzazioni4. Ciò pone però una serie
di problemi istituzionali, perché il clima favorevole all’innovazione
dipende da una trasformazione profonda del gioco di potere nell'in­
sieme interessato. Si avrà tendenza alla centralizzazione, o blocco tra
i gruppi di pressione opposti, o accettazione della concorrenza dei
gruppi tollerando una certa struttura e un certo livello di conflitti.
L’azione tecnica permette di sostituire la costrizione con la previsio­
ne. Gli orientamenti in un senso o nell'altro avvengono per motivi
estremamente diversi, ma c’è la tendenza ad accettare ciò che è più
favorevole al progresso tecnico. Crozier, in La Société bloquée, mo­
stra dettagliatamente come dovrebbe essere una società per adattarsi
alla Tecnica, e come, quando non è adattata, il progresso tecnico
stesso provochi il blocco sociale. Il cambiamento non è ineluttabi­
le ma, quando non si verifica, la società non può più funzionare; è
quindi una sorta di sfida posta dalla Tecnica. Nessuno sa esattamente
come debba essere organizzato il corpo sociale, ma c’è una tendenza
a che esso si organizzi con lo scopo di sopravvivere nel nuovo con­
testo, da cui la previsione; ma allo stesso tempo Simondon dimostra
che il progresso tecnico avviene attraverso Findividualizzazione degli
esseri tecnici, possibile «attraverso la ricorrenza di causalità in un
ambiente che Tessere tecnico crea attorno a sé e che lo condiziona
come ne è condizionato. Questo ambiente simultaneamente tecnico
e naturale può essere chiamato ambiente associato. È ciò attraverso il
quale Tessere tecnico si autocondiziona nel proprio funzionamento.
Questo ambiente non è costituito - almeno non totalmente: si tratta
di un certo regime di elementi naturali che attorniano Tessere tec­
nico, legato a un certo regime di elementi che costituiscono Tessere
tecnico». In questo modo Tadattamento all’ambiente è inevitabile e
indispensabile in funzione della configurazione delle Tecniche.

* Si veda l’eccellente studio La controverse sur la prévision en URSS, «Anaiyse et


Prévision», 1971, n. 3.
4 M. Crozier, La société bloquée, Éditions du Seuil, Paris 1970, p. 51.

283
I caratteri del progresso tecnico
Ovviamente questa configurazione prevista non è eterna né du­
revole. Se si osserva il sistema tecnico per una cinquantina d’anni,
sembra che essa cambi circa ogni dieci anni. Vale a dire che ogni
dieci anni si genera una tecnica maggiore in rapporto alla quale tutte
le altre si organizzano. Ma l’orientamento non si verifica in funzione
dell’utilità o dell’interesse umano, né dei bisogni, né della ragione, né
del «bene». È una questione puramente interna al sistema tecnico,
che si decide per ragioni puramente tecniche5.
•k k k

L’automatismo gioca ugualmente, a un altro livello, per la scelta


tra due tecniche possibili per una stessa operazione. La scelta avvie­
ne esclusivamente in funzione dell’efficacia o della dimensione dei
risultati acquisiti, e si può affermare che il «giudizio» sia puramente
automatico. La nuova tecnica permette di andare più velocemente,
più lontano, di produrre di più, ecc.
Non c’è scelta, quanto a grandezza, tra 3 e 4: 4 è più grande di 3.
Non dipende da nessuno; nessuno può cambiare la cosa o affermare
il contrario, né sfuggirvi personalmente. La decisione, per quanto ri­
guarda la tecnica, è dello stesso ordine. Non c’è scelta tra due metodi
tecnici: uno fatalmente si impone perché i suoi risultati si contano, si
misurano, si vedono e sono indiscutibili.
L’operazione chirurgica che non si poteva fare e che ora invece
è attuabile non è oggetto di scelta: essa è. Abbiamo qui un aspetto
decisivo dell’automatismo tecnico: è ormai la tecnica che opera la
scelta ipso facto, senza remissione, senza discussione possibile, tra i
mezzi da utilizzare. L’uomo non è assolutamente l’agente della scel-

5 Tuttavia Simondon, pur parlando sempre dell'oggetto tecnico, sottolinea che


revoluzione, anche se necessaria, non è automatica. Non basta mostrare che l’og-
getto tecnico passa da un ordine analitico a uno sintetico (come anche la Tecnica
nel suo insieme). Ci sono delle cause: economiche e propriamente tecniche, dovute
all'imperfezione stessa dell'oggetto tecnico. In questo senso sono d'accordo: l'im­
perfezione provoca l’evoluzione, ma sociologicamente c'è in questo caso un vero
automatismo. La Tecnica si avvicina per necessità al proprio più perfetto e più effi­
cace funzionamento - è d'altra parte ciò che Simondon stesso mostra quando spiega
che l'oggetto tecnico per il quale Tutilizzatore richiede modificazioni secondo il pro­
prio gusto individuale perde il proprio carattere di oggetto tecnico per acquistare
un insieme di caratteri inessenziali: l’automatismo tecnico è la tendenza a rifiutare i
caratteri inessenziali.

284
L/automatismo

ta, è un apparecchio registratore degli effetti, dei risultati ottenuti


da diverse tecniche. La scelta non avviene per motivi complessi e in
qualche modo umani; si decide solamente per ciò che dà la massima
efficienza. Non è più una scelta: qualsiasi macchina può effettua­
re la stessa operazione. E se l’uomo sembra ancora compiere una
scelta abbandonando un dato metodo, pur eccellente da un certo
punto di vista, è solo perché approfondendo Fanalisi dei risultati
si rende conto che su altri punti questo metodo è meno efficiente:
ad esempio, i tentativi di deconcentrazione delle grandi fabbriche
dopo averle volute concentrare al massimo, oppure Pabbandono
dei sistemi di primato di produzione a favore di una produttività
per persona media ma più costante. Si tratta sempre di perfeziona­
menti che il metodo compie nella propria direzione. Ci si trova qui
in presenza di constatazioni evidenti e di un automatismo di appli­
cazione. Si può così dire che tra gli alberi (Pimportanza dei quali dal
punto di vista ambientale è sempre più fondamentale) e la veloci­
tà dell’auto su strada non c e discussione: la velocità innanzitutto.
Il Bulletin des domaines6 ci avvisa regolarmente dell’abbattimento
di considerevoli quantità di alberi per liberare i bordi delle strade.
Possiamo stare certi che non c’è là alcuna reale scelta: la decisione è
già preventivamente presa7.
D’altra parte queste «scelte» non conducono a un impoverimento
delle tecniche, cioè non si può rappresentare la cosa come l’esclu­
sione, la perdita, il fallimento di un certo numero di processi a van­
taggio del solo che alla fine prevale. Ciò porterebbe evidentemente
a una riduzione. Ma il sistema di eliminazione gioca all’interno della
proliferazione delle tecniche. Non si potrà quindi generalmente dire
che c’è una tecnica migliore che si sostituisce a una meno efficace,
ma sono di solito più processi che, correlativamente, sostituiscono
un mezzo più vecchio. La scelta automatica deriva da raffinamenti
successivi, cioè dalla demoltiplicazione delle tecniche. In particolare,

6 P. 1, n. dicembre 1969.
7 Bisogna ricordare, a proposito di un ben noto romanzo, V. Dudincev, Non si
vive di solo pane, Centro Intemazionale del Libro, Firenze 1957, che Vevidenza del
progresso consistente nelTapplicare una macchina più recente per produrre dei tubi
fa scatenare la cattiveria del sistema e della burocrazia (sovietica) che vi si oppon­
gono: la scelta non tecnica dell’uomo appare come un ostacolo al progresso che si
verifica per evidenza» i •

285
I caratteri del progresso tecnico

si terrà sempre più conto delle circostanze in cui le tecniche devono


essere applicate: si costruiscono strumenti diversi per adattarsi a un
dato clima, a un dato terreno, e addirittura a una data psicologia o a
date abitudini quando esse sono compatibili con Fapplicazione tec­
nica. Bisogna tenerne conto: ciò facilita la crescita tecnica, perché è
talvolta più facile modificare un tipo di macchina o un metodo che
costumi o tratti caratteriali.
Un aspetto in particolare di questo automatismo «eliminatorio»
deve essere esaminato: si tratta di un «gioco» del computer. Creare
data bank e poter utilizzare fino in fondo Tenorme insieme di cono­
scenze che potrà essere accumulato nei computer di consultazione
implica una sorta di revisione generale delle conoscenze umane: il
computer dovrà registrare dati precisi e uniformi, generali. Si crea
quindi un «tesauro» deirinformatica, comprendente per ogni disci­
plina la lista di termini normalizzati per convenzione e che costitui­
scono il linguaggio documentario della scienza in questione. Ogni
termine rappresenta un campo semantico, col proprio contenuto
e i propri limiti precisi, e deve presentare tre caratteri comuni: la
generalità, la specificità, Tassociatività. Per le scienze cosiddette
esatte, ciò non presenta molte difficoltà. Anche il diritto ha un vo­
cabolario piuttosto preciso di termini univoci. Ma che problema
per le scienze umane! Chi definirà il senso unico preciso di parole
come sistema, ideologia, mito, Stato, classe, ruolo, ecc.? Bisognerà
accettare una definizione fornita da una data scuola, che elimina
tutte le altre. Non è invano se in ogni disciplina a «ordine sociale»
o a «informazione» vengono attribuiti significati diversi: in altre pa­
role la scelta semantica comporta una scelta dottrinale. A partire
dal momento in cui sarà fissato un certo vocabolario, in funzione
del quale tutte le informazioni immagazzinate dal computer saran­
no stabilite, non ci sarà più alcun pensiero eterodosso in grado di
stabilirsi in quanto dottrina o teoria: perché la sola scelta sarà ac­
cettare il vocabolario con i significati stabiliti oppure non utilizzare
le informazioni possibili date dal computer, e quindi collocarsi a un
livello di documentazione molto debole e non svolgere un lavoro
«scientifico». Questo automatismo potrà quindi avere ripercussioni
considerevoli.

k k k

286
L‘automatismo

U terzo aspetto dell'automatismo è molto diverso. Quando una


tecnica si sviluppa in un settore, esige un certo adattamento dell'in­
dividuo, delle strutture sociali, dei fattori economici e ideologici. Nel
pensiero spontaneo dell'uomo moderno, l adattamento deve avveni­
re automaticamente, e ci si scandalizza quando esso non ha luogo.
Lo sviluppo tecnico è al contempo necessario e buono, dunque tutto
deve adattarsi per favorirlo e le eventuali resistenze devono sparire8.
Si ritiene in realtà che la materia sociale e umana debba essere com­
pletamente plastica, in modo da modellarsi secondo le necessità dei
nuovi tecnici, e seguire costantemente il progresso9.
Mesthene10 analizza in modo molto preciso il processo secondo il
quale Finnovazione tecnologica comporta inevitabilmente (direi au-

8 In La Tecknique ou l’enjeu du siede mi sono occupato a sufficienza dell'opera­


zione consistente nel giudicare in modo positivo il regime economico e sociale che
si adatta al meglio al progresso tecnico e in modo negativo quello che lo ostacola.
Era una delle superiorità affermate dal regime comunista contro il capitalismo. Ma
da dieci anni a questa parte ci si è resi conto che anche il sistema sovietico è causa di
blocco in questo ambito, ed è perciò criticato. È questo, più di ogni altro elemento
ideologico, a mettere fondamentalmente in questione il regime: la sua difficoltà ad
assorbire e applicare in grande l’automazione è stata in particolare sottolineata da
economisti sovietici come Klimenko e Rakovsky nel 1958.
9 Tra molti altri, si veda J. Diedisheim, Les patries. Vers urte mutation du penser,
Boccanière, Neuchàtel 1968, che spiega come la crescita tecnica esiga una profonda
revisione di tutti i principi e fondamenti sui quali le organizzazioni attuali vivono:
si tratta di procedere a un cambiamento del modo di pensare per giungere a un
adattamento razionale delle politiche e dei gruppi umani alla tecnica. Quante opere
bisognerebbe citare a questo riguardo! P. Piganiol, Maitriser le progrès, Laffont-
Gonthier, Paris 1968, ad esempio, o E de Closets, En danger de progrès, cit., sono
buoni esempi. Quando quest’ultimo scrive: «Il divario tra la dinamica del progres­
so e la resistenza delle ideologie rimane il denominatore comune di tutte le crisi»,
manifesta ciò che ai suoi occhi è il «progresso», e ciò che è resistenza illegittima,
fonte di crisi e di assurdità... Anche A. Schon, Technology andchange, cit., mostra
la necessità dell'adattamento dell'intero sistema economico, delle imprese, ecc., alla
Tecnica: solo che per lui non è una cosa che «va da sé», semplice a realizzarsi. Mo­
stra in particolare che l'adattamento è necessario, probabilmente inevitabile, ma che
probabilmente nega la libertà e l'identità individuali. Anche un uomo tanto preoccu­
pato di mantenere la libertà umana, la facoltà di scelta, ecc., come Mesthene, è obbli­
gato a riconoscere: «Se nessun cambiamento tecnologico comporta un cambiamento
unico e predeterminato, ogni nuova tecnologia rende tuttavia più probabili alcuni
tipi, alcuni insiemi di conseguenze sociali. In altri termini il cambiamento tecnologi­
co non porta solo a un qualsiasi cambiamento sociale, ma a un cambiamento il cui
orientamento è rilevabile». E.G. Mesthene, Tech nologica l change, its impact on man
and Society, Harvard University Press, Cambridge 1970.
10 E.G. Mesthene, Technological change, its impact on man and Society, cit.

287
I caratteri del progresso tecnico

tomaticamente) delle mutazioni all'interno della società. «I gruppi


organizzati di persone» devono trovare forme di organizzazione par­
ticolari per approfittare delle opportunità offerte dalle nuove appa­
recchiature, ad esempio. Il progresso tecnologico impone il bisogno
di un Innovazione sociale e politica affinché i vantaggi che offre siano
realizzati e i suoi effetti negativi ridotti al minimo. Il riconoscimen­
to della scienza come strumento di azione sociale, resistenza di una
scienza e di una tecnologizzazione comportano un accrescimento co­
stante dell'estensione e dell'influenza dell'ambito pubblico: le deci­
sioni prese dalle autorità pubbliche sono tanto più numerose quanto
più la tecnica si accresce. Le strutture politiche cambiano mentre le
competenze aumentano. La società diviene più complessa. Queste
constatazioni, pur non molto originali, sono però interessanti a causa
del conflitto nascosto in questo libro: Fautore mostra involontaria­
mente che gli adattamenti avvengono in modo necessario, automati­
co, mentre il suo pensiero esplicito porta verso la convinzione che il
progresso tecnico abbia come scopo la riduzione dei comportamenti
imposti, e un aumento della libertà.
Lesempio più semplice di questo adattamento è evidentemente
quello dello spazio urbano, l'insediamento abitativo, ecc., che devo­
no modellarsi sulle tecniche di trasporto11.
AlFinterno di questi problemi di adattamento, ci si trova talvolta
in presenza del conflitto tra due orientamenti tecnici equivalenti. Ad
esempio, si è giustamente affermato che Finfatuazione per il compu­
ter da parte delle grandi imprese e amministrazioni ha reso efficaci
strutture superate, e l'efficacia amministrativa ha permesso di tra­
scurare le riforme di strutture più fondamentali che avrebbero do­
vuto essere fatte in mancanza delFinformatica. Le strutture non sono
adattate all'informatica, è quest'ultima che si è adattata alle strutture
esistenti, producendo così nuove disfunzioni12.
In questo adattamento automatico, bisogna notare la tendenza a
una certa concentrazione economica13. Più i prodotti solo altamente

11 Klein, LIrifluente des techniques de tran sport sur limplantation de lhabitat et des
équipements cornmerciaux, «Analyse et Prévision», 1968.
12 Si veda l’ottimo articolo di Balle, UOrdinateur, un frein aux réformes de structure
des entreprises, «Le Monde», settembre 1975.
15 J. Parent, La Concentration industrtelle, puf, Paris 1970, mostra come la concen­
trazione risulti senza scelta né deliberazione, in modo automatico, dalla crescita

288
L’automatismo

tecnici, più si assiste al seguente fenomeno: «A causa della comples­


sità dei sistemi e del numero di diverse componenti che entrano nella
fabbricazione, è pressoché impossibile fabbricare un prodotto senza
avere il diritto di utilizzare un gran numero di brevetti. Per questo
motivo gli accordi di licenza e di know-how tra le principali aziende,
i pool di brevetti sono una caratteristica dell'industria moderna. Più
il portafoglio brevetti di un'azienda è ricco, più possibilità essa ha di
ottenere know-how e licenze da parte di altre aziende...»14. La con­
centrazione industriale, che è il metodo di adattamento dell'impresa,
avviene più a causa della necessità tecnica che per gli imperativi fi­
nanziari. In realtà c'è solo il fatto stesso: tutti desiderano che Fam-
biente si modelli sulle tecniche; si sperano, ci si aspettano reazioni
automatiche di adozione e di messa in esercizio nel corpo sociale.
Questo adattamento avviene per intermediazione dei tecnici, degli
utenti e dei consumatori, tutti d’accordo sulla necessità. Abbiamo
già citato gli studi che hanno come scopo l’attacco e la distruzione
dei comportamenti, delle ideologie, delle credenze, dei valori inadat­
ti alla tecnica.
Come Massenet15 sottolinea esattamente, il cambiamento tecnico
si esprime per gli individui attraverso cambiamenti di informazione:
è la mutazione non solo dei canali, della quantità d’informazione, ma
anche della qualità, dell’oggetto a provocare il cambiamento sociale.
Le correnti di informazione nella nostra società sono interessate da
una doppia mobilità: quella dello scambio e quella dell’incessante
rinnovamento che si introduce nelle Tecniche - «se la nostra società
è per eccellenza una società dell’informazione, è perché l’intensità,
la varietà delle correnti d’informazione sono inseparabili dai ritmi
stessi di una società industriale... ma ciò che veramente caratterizza
la nostra società, è un certo modo di distribuzione e rinnovamento
dell’informazione...». Massenet ne deriva la giusta conclusione che
la nostra società è di fatto obbligata ad assumere un certo stile spe­
cifico, quello dell’opposizione tra la più rigorosa corrente tecnica e

delle Tecniche: «Alcune Tecniche rendono impossibile l’esistenza delle piccole im­
prese. I computer, d’altra parte, permettendo di trattare grandi volumi di informa­
zioni, rendono possibile e necessaria la concentrazione».
N C. Freeman, Recherche et Développement en électronique, 1966.
15 M. Massenet, Du Changement technique à l éclatement social, «Analyse et Prévi-
sion», 1971, n. 4.

289
I caratteri del progresso tecnico

un’assenza di coerenza profonda: il tipo di società è dettato dalla


Tecnica, anche se Forientamento e la strutturazione si effettuano at­
traverso gli uomini, l’informazione.
Certamente gli adattamenti non avvengono in modo umano: si
desidera, si spera, si crede che sia così16. E il motivo per cui in que­
sto aspetto dell'automatismo descriviamo più ciò che Fuomo me­
dio occidentale desidera che ciò che accade in realtà. La pressione
che quest’uomo effettua sul corpo sociale porta al rimodellamento
(sempre imperativo), quando anzi lui stesso rimane piuttosto ina­
datto. Evidentemente le strutture politiche e economiche non sono
completamente agili e mobili: presentano una certa pesantezza, una
viscosità - e il problema della necessità delFadattamento del sociale
è riconosciuto solo quando c’è questa resistenza, cioè quando non
c’è automatismo.
In realtà si desidera (anche se non lo si esprime chiaramente!)
un’organizzazione sociale perfettamente malleabile: perché la tecni­
ca per avanzare esige una grande mobilità sociale, perché ci vogliono
considerevoli spostamenti di popolazione, cambiamenti nell’eserci­
zio delle professioni, cambiamenti di qualifica sociale, intaccamento
delle risorse e modificazione di struttura dei gruppi, dei rapporti tra i
gruppi e tra gli individui all’interno dei gruppi. Sembrerebbe sempli­
ce ed evidente prevedere che d’ora in avanti, nel córso della propria
carriera professionale, un individuo debba cambiare tre volte mestie­
re (cioè tecnica) in trent’anni.
Non bisogna quindi specializzarsi in un ramo, ma polispecia-
Iizzarsi, riciclarsi strada facendo e mobilitarsi durante la carriera17.
Poiché Fuomo di quarantanni è meno agile, ha meno memoria, è

16 Significativa è l’opera citata da B. de Jouvenel, The use of social research in Fed­


erai Domestic Programs, U.S. Govt. Print. Off., Washington 1967, 4 volumi, in cui i
più eminenti tecnologi «consultati sul ruolo delle scienze sociali hanno risposto che
questo consiste nel preparare la società ad accogliere le novità tecniche».
17 D,N. Michael, Cybemation and social change, U.S. Dept. of Labor, 1964, pro­
pone una visione molto concreta, sebbene parziale, dei meccanismi di adattamento
sociale automatico, in particolare per i sistemi di formazione e di riclassificazione del
personale qualificato e non, nell*industria come nei servizi. In realtà Tautomatismo
sociale si realizza per la pressione di fenomeni di questo tipo: si sceglie obbligato­
riamente la soluzione più efficace, più economica, meno dolorosa in presenza della
sfida rappresentata dallo sviluppo tecnico. Mostra come la cibernetica sia il mezzo
che permette gli adattamenti essendo allo stesso tempo il fattore che li esige e li im­
plica.

290
L’automatismo
meno aperto, ha meno facoltà di apprendimento rispetto a quello
di trenta, si dà per scontato che venga pagato meno poiché meno
adattato alla nuova Tecnica - ciò si verifica già ampiamente. Come
si sa lo stipendio dei quadri (prototipo dell’uomo tecnicizzato) rag­
giunge il massimo intorno ai trentacinque anni per poi diminuire
progressivamente. Negli Stati Uniti un quadro di cinquantacinque
anni è già meno pagato di uno di venticinque. Tutto ciò sembra
completamente normale: adattamento automatico alla necessità tec­
nica. Ogni progresso tecnico mette a rischio disoccupazione spe­
cialisti sempre più qualificati; un tempo il manovale era minacciato
dalla recessione economica ma manteneva la propria forza lavoro,
sempre pronta a servire. Oggi la squalifica dovuta alle invenzioni
tecniche di punta fa sì che coloro che possiedono la più alta forma­
zione divengano bruscamente e totalmente inadatti. Nel 1948 l’in­
venzione dei semiconduttori ha squalificato centinaia di migliaia di
radio-tecnici. Da ciò la scontata necessità di un permanente riciclo
dei più qualificati18. D’altra parte si cerca di rendere questo auto­
matismo umanamente meno doloroso: tutto il sistema dell’enginee­
ring e delle Scienze dell’Organizzazione consiste in realtà tecniche
di adattamento dell’individuo e dell’impresa alla crescita tecnica.
L’organizzazione analizza, determina, definisce i problemi. \1 engi­
neering mette in opera nuovi mezzi forniti dalla psicologia, dalla psi­
cosociologia, dalla fisiologia, dall’informatica, dall’ergonomia, ecc.,
per risolvere i problemi19: tutto ciò produce chiaramente un’uma-
nizzazione. Si giunge a rompere lisciamento dell’uomo in mezzo
alle macchine, a una migliore suddivisione nel tempo delle forze di
lavoro attraverso l’intermediazione dell’amministrazione della pro­
duzione (metodo peri), ecc. Si vede tuttavia come tutto funzioni in
realtà «in circuito integrato»: ammesso il sistema tecnico, nuove tec­
niche rendono possibile la migliore integrazione, con un equilibrio
buono e non doloroso dal punto di vista collettivo e individuale. E

lfi De Closets fornisce un eccellente schema dell’utilizzo delle Tecniche moderne


per la formazione intellettuale e la messa a punto deiradattamento totale e senza
fratture dell’uomo alla Tecnica: è ciò che viene chiamato «Gestione del capitale
umano». Totalmente simbolico, così come lo è nel celebre opuscolo di Stalin su
«l’uomo, il capitale più prezioso».
19 Tra le molte opere sull’ingegneria segnalo: R. Leclère, Les Méthodes d’organisa-
tion et d* «engineering» % puf, Paris 1968.

291
I caratteri del progresso tecnico

a questo punto che l’automatismo di adattamento si unisce all’auto-


accrescimento20.
Un altro esempio tra molti: sembra naturale che nei paesi
dell’Africa nera si cerchi di modificare le strutture sociali affinché
lo sviluppo tecnico possa aver luogo. A meno che, reciprocamente,
non si decida, cosa molto interessante, di portare avanti un aiuto di­
scriminatorio: per essere efficace l’aiuto deve concentrarsi sui paesi
e sulle regioni con più elevato potenziale di sviluppo: il potenziale
oggi è calcolato più in base alla supposta adattabilità degli abitanti
e alla malleabilità delle strutture sociali, che in base ai vecchi criteri
(ad esempio abbondanza di materie prime o di riserve energetiche).
L’India per questo motivo riceveva nel 1964 un aiuto di 2 dollari per
abitante, mentre il Cile ne riceveva 12. Il Cile era il figlio prediletto
dell1 assistenza tecnica perché sembrava il più atto ad adattarsi com­
pletamente, ossia a non sprecare ciò che gli veniva offerto. È una
posizione razionalmente difendibile: si vuole smettere di disperdere
un «aiuto allo sviluppo», assolutamente inutile (cosa diversa dall’as­
sistenza) nel caso di paesi che non hanno la disposizione a compiere
uno sforzo di sviluppo autonomo. Il giudizio quindi qui è formula­
to a priori, ma corrisponde alla stessa visione di una necessità della
trasformazione umana per rendere il progresso tecnico applicabile.
Dobbiamo parlare di automatismo anche quando l’adattamento non
si realizza da sé, perché non è questione di discutere l’eccellenza del
progresso tecnico nei confronti di una data forma socio-economica.
Uadattamento deve avvenire nello stesso modo per le strutture
economiche e politiche. Si può compilare uno schema di relazioni tra
una data energia e un dato tipo di struttura economica. Ciò sembra
più preciso della celebre formula di Marx. Diciamo, ad esempio, e
un po’ come battuta, che il motore a vapore ha prodotto il liberali­
smo economico, l’elettricità, la pianificazione, e l’energia atomica un
ritorno al liberalismo. Ma rimane indiscutibile il fatto che le strutture
di ogni sistema economico si modificano secondo nuovi rapporti con
la Tecnica - che praticamente rimane il solo motore. Questo adat­
tamento, malgrado le resistenze degli interessi individuali, avviene

20 Sulla tecnicità delForganizzazione e l’associazione tra Tecnica e Organizzazione:


P, Morin, Le Développement des organisatiom, Dunod, Paris 1976 (tr. ir. Lo sviluppo
delle organizzazioni: management e scienze umane, Mondadori, Milano 1975).

292
L’automatismo

evidentemente in modo molto più necessario e spontaneo di quello


degli ordini sociali. Non è necessario insistere su questo punto. Ma
bisogna sottolineare al contrario che va da sé (in apparenza) che uno
dei maggiori elementi della nostra società, l’Università, sia tenuta ad
adattarsi immediatamente e senz’altro alla struttura tecnica: sono in­
numerevoli i discorsi in proposito - l’Università deve diventare una
scuola tecnica affinché ogni studente possa al più presto occupare
un posto nella società tecnica. E ci si scandalizza perché l’Università
non si adatta più rapidamente e meglio. Gli imbecilli ignorano total­
mente quello che dovrebbe essere il ruolo dell’Università, si burlano
deU’importanza ancora accordata agli studi umanistici, al latino, alla
storia, alla filosofia. L’università deve essere un ingranaggio tecni­
co di una società tecnica. Si tratta degli stessi imbecilli che faran­
no pomposi discorsi sulla civiltà di domani e l’umanismo tecnico. E
interessante, al contrario di questi giudizi semplicistici, sottolineare
l’opinione di un uomo che si trova in presenza del problema universi­
tario21 e che davanti all’evoluzione delle università americane ritiene
al contrario che le «Università rispondono così bene e rapidamente
alle esigenze della tecnologia, che rischiano un autodisgregamento
dovuto all’adattamento troppo semplice al mondo di domani». In ef­
fetti è piuttosto probabile che l’adattamento al mondo tecnico segni
la condanna a morte di qualsiasi possibile Università.
Per quanto riguarda l’adattamento delle forme politiche, il gran­
de problema è da un lato l’applicazione di tecniche di governo (ad
esempio quelle di azione psicologica sulle masse), dall’altra la cre­
scente influenza dei tecnici in campo politico.
Elgozy mostra chiaramente come la crescita del tecnico nelle de­
cisioni di bilancio (ppbs, rcb, ecc.), nella pianificazione, nell’«aiuto
alla decisione» comporti automaticamente una riduzione delle scelte
politiche e delle possibili applicazioni delle decisioni e dei controlli
democratici o parlamentari: tanto più, come sottolinea, che la razio­
nalità politica non coincide con quella tecnica. Ma deve adattarvisi.
E evidente che la struttura politica debba adattarsi alla tecnica auto­
nomamente, cioè attraverso i propri mezzi. Il segreto del problema
è tutto qui. Va da sé che l’amministrazione debba ristrutturarsi in
rapporto al computer, ma a partire da questo momento non c’è al-

21 B. Seligman, A most notonous vietory, cit.

293
I caratteri del progresso tecnico

cun dominio su ciò che il computer può eventualmente fare: poiché


la struttura vi si è adattata, nessuno può controllarla. Ralph Nader
denuncia la «tirannia dei computer incontrollati», ma non c'è altra
scelta: controllarli significherebbe rinunciare alla loro potenza e fun­
zionare con una struttura politico-amministrativa desueta. Cercare
di applicare al meglio la potenza del computer per perfezionare Fam-
ministrazione significa conferire a quest’ultima una potenza che non
può più essere arbitrata dell’esterno.
Ci si accorge che tutte le forme costituzionali fino a oggi ideate
non rispondono a queste esigenze22. Ma non è possibile non fare ap­
pello ai tecnici (perché la maggior parte delle questioni da risolvere
politicamente sono ormai questioni tecniche), è impossibile non uti­
lizzare tecniche amministrative o poliziesche (ad esempio) avanzate.
Il personale politico non è più adattato delle istituzioni. Come possia­
mo constatare nei nostri regimi l’adattamento avviene malamente: c’è
un’energica resistenza della cosiddetta classe politica, il gruppo di po­
litici di mestiere che non vogliono lasciarsi sommergere dai tecnici23.

22 Ancora una volta non parliamo di Tecnocrati! Abbiamo trattato in dettaglio


queste questioni in L’illusion politique. Le ricerche di Barets in questo senso sono
deludenti e irrealistiche. Invece de Closets propone interessanti esempi concreti della
necessità di adattamento delle amministrazioni al computer e della modificazione dei
processi di decisione politica attraverso l’uso di tecniche multiple. Sottolinea d altra
parte che «il dialogo rischia di diventare sempre più difficile tra i politici e gli ana­
listi che preparano i programmi: i ministri devono piegarsi alla logica implacabile
della programmazione... poi vedranno le conseguenze delle decisioni in gran parte
sfuggirgli...». Si veda invece nel senso di una vera tecnocrazia C. Finzi, Il potere
tecnocratico, cit. L’opera di A. e F. Demichel, Les Dietateurs européennes, PUF, Paris
1973, è molto interessante per il nostro tema (e anche per altri!). Mostra la tendenza
all avvicinamento di regimi costituzionalmente e giuridicamente molto diversi, come
ad esempio la Dittatura Spagnola e la Repubblica Francese, sotto la forma di Stati
tecnicizzati: la tecnicizzazione dello Stato comporta l’eliminazione delle differenze
tradizionali. Ma non si tratta realmente di tecnocrazie.
21 Un gran numero di studi si occupa del necessario adattamento delle istituzioni
alle nuove tecniche: si vedano ad esempio L. Armand, Plaidoyer pour lavenir, Cal-
mann-Lévy, Paris 1961 (tr. it. Fede nell'avvenire, Garzanti, Milano 1963); P. Mendès
France, Pour une république nouvelle\). Barets, Nouvelles équations politiques, Cal-
mann-Lévy, Paris 1964, ecc. Si veda anche sull’ineluttabile adattamento del politico
la serie di studi di «Politile und Wissenschaft», 1971. In particolare gli studi di Kahn,
Politik und Wissenschaft; W. Meissner, Wissenschaft und Politile als kyhemetisches
System; Hahn, Die Bedeutung der Wissenschaft fur die Integration der pluralistischen
Gesellschaft - in cui si trovano buone analisi sull inevitabile adattamento delle strut­
ture da un lato e delle tattiche dallaltro dell’universo politico.

294
L’automatismo
*

C'è una resistenza ideologica in nome dei vecchi valori: democrazia,


sovranità popolare, libertà tradotta dalle elezioni, ecc. Il popolo è
attaccato a questa ideologia che gli sembra garantire la verità politica
e la protezione contro le dittature. Ma lo stesso popolo si indigna
quando lo Stato non è abbastanza efficiente, quando c è disordine,
quando le tecniche non permettono di risolvere un dato problema: il
popolo è al contempo per il progresso tecnico e per il mantenimento
della democrazia classica, e non si accorge dell'opposizione radicale
tra i due. La contraddizione si riproduce nei circoli di intellettuali,
sostenitori feroci della democrazia, della libertà del popolo di di­
sporre di se stesso, dei diritti dell'uomo, ecc. Gli intellettuali d'altra
parte presentano un difetto particolare: da un lato, sono coscien­
temente e ardentemente favorevoli al progresso tecnico, si meravi­
gliano dei suoi sviluppi, ma dall'altro lato, gli sono estremamente
ostili in campo politico, che deve rimanere quello della discussione
(la principale occupazione), delle scelte, degli alea, delle persona­
lità, e sostengono soprattutto ciò che rappresenta la politica come
espressione totale dell'uomo, decisione del suo avvenire, espressione
della sua libertà24. Gli intellettuali, verbalizzando Tuno e l altro, sem­
brano più ingenui e sconsiderati del francese medio. Sono quindi
questi ostacoli all'adattamento automatico delle istituzioni politiche
a produrre problemi, incertezze, difficoltà nel mondo politico. Sfez25
mostra perfettamente il gioco di questo automatismo nel?ammini­
strazione: «Le vere riforme si realizzano solo attraverso meccanismi
ciechi e oggettivi che stritolano routine, sclerosi. Le macchine e le
tecniche di concettualizzazione a loro legate avviano un processo di
innovazione irreversibile. Le macchine permettono di tenere conto
dei dati più complessi. Le tecniche di razionalizzazione postulano

24 Bell analizza molto bene la reazione culturale nei confronti dell’efficacia: più
la società diverrà tecnica, più la cultura diverrà edonista, indulgente, diffidente nei
confronti dell’autorità, dell’organizzazione, della tecnica e dell’efficacia. Come si
può vedere gli intellettuali, per non entrare nella modalità di comportamento tecno­
cratico, si impegnano nella modalità di comportamento apocalittico... come si può
verificare tra gli intellettuali francesi di sinistra. La descrizione di Bell mi sembra
meno convincente quando afferma la convinzione che questa opposizione possa
creare seri problemi. Credo, in effetti, che ciò possa causare problemi sociali, ma
nulla di profondo, né nulla che possa mettere in causa in sistema tecnico; D. Bell,
Tatuarci thè year 2000, American Academy of Arts and Sciences, Cambridge 1967.
25 L. Sfez, op. cit.

293
1 caratteri del progresso tecnico

rintegrazione all'interno del ragionamento di variabili lasciate fino


ad ora alle intenzioni del politico. Uamministrato non è integrato
perché è bene integrarlo in nome di una filosofia liberale, persona-
lista, socialista: è integrato perché necessario che così sia affinché i
calcoli siano corretti».
Le cittadelle e le feudalità amministrative non cadono sotto l'ef­
fetto delle trombe dei Giosuè-riformatori, ma tendono a sgretolarsi
in seguito alla necessaria coerenza delle decisioni, rivelata dai moder­
ni metodi di gestione.
Si può indubbiamente obiettare che le riforme passano attraverso
gli uomini, che sono gli uomini a introdurre macchine e metodi nuo­
vi, e che quindi gli appelli non sono stati inutili. Ma questa interpre­
tazione sarebbe errata. I dirigenti delTamministrazione pubblica o
privata che hanno introdotto rinnovazione lo hanno fatto obbligati e
forzati dai progressi tecnologici. L'impresa privata è minacciata dalla
concorrenza. Lo Stato, invece, deve utilizzare nuove tecniche per far
fronte ai propri bisogni; dato che le risorse sono limitate e i bisogni
aumentano, i manager pubblici devono razionalizzare al massimo
l'uso delie risorse. I dirigenti pubblici o privati hanno come scopo
primario l'efficacia e la razionalità, uniche possibilità di sopravvi­
venza. Si constata per giunta che la partecipazione era postulata da
queste.
Non si saprebbe meglio descrivere il carattere automatico di que­
sta scelta, di questi adattamenti, di queste trasformazioni: l'ammini­
strazione che adotta le tecniche moderne deve essere ciò che queste
tecniche permettono di fare\
Le tecniche così mettono in causa la struttura sociale, che non ha
nulla di originale ma provoca in modo automatico l'adattamento ne­
cessario. Massenet ha perfettamente illustrato tutto ciò26 descrivendo
la società in cui il progresso tecnico agisce come avente un carattere
obbligatorio e una mancanza di coerenza profonda. La coesione di
una società, un tempo di ordine morale, è ora di ordine puramente
organizzativo ed esterno. C'è un'osservazione fondamentale: «Non è
escluso che l'alto grado di coesione materiale richiesto dal funziona­
mento delle nostre società sia la fonte stessa della loro disarmonia».

2b M. Massenet, Du Changement technique à Véclatement social, in «Analyse et pré-


vision», 1971-1974.

296
U automatismo

In altre parole, P automatismo dell'adattamento è necessariamente


esterno, e porta a un'apparente razionalità, la sola che possa produrre
per necessità la tecnica. Ma questultima, per poter avanzare, mette
in causa tutti i valori e tutti i simbolismi, e impedisce la costituzione
di una coesione interna autonoma del sistema sociale. Questo tende
quindi (a parte gli strascichi del passato lungi dall'essere liquidati, a
parte la viscosità, di cui ci occuperemo più avanti) a essere comple­
tamente malleabile e plastico: l’adattamento a tendenza automatica
viene pagato con la coesione interna e la solidità organica. Come
Massenet mostra bene, è per questo motivo che il cambiamento so­
ciale deve ormai passare attraverso la contestazione. Questa non è
più rivoluzionaria: è l’espressione della necessità di adattamento al
tecnico. Si esprime là dove Padanamente non ha luogo. Lunanimità
si è fatta sull'accettazione del progresso tecnico e delle sue conse­
guenze. Ma, sottolinea Massenet, «è un’umanità astratta, che cessa
di esistere quando si tratta di determinare il ritmo del progresso, o la
ripartizione dei suoi frutti» (aggiungerei anche le sue modalità): è a
questo livello che si situano i conflitti, che sono conflitti di forma. Il
progresso tecnico non permette conflitti chiari, tra grandi masse: le
vecchie opposizioni tra grandi ideologie, tra gruppi sociali compatti
(classi, partiti, sindacati!), sono completamente superate, antiquate.
Ogni coalizione è messa in causa dalla «vorticosa rapidità evolutiva».
La contestazione, priva di ogni senso rivoluzionario, ma che espri­
me il cieco e incosciente automatismo dell'adattamento della società
all'esigenza della Tecnica, appare in questo quadro. Loccasione è
l'evidente contraddizione tra il possibile meraviglioso del tecnico e
l'inaccettabile concreto della società vissuta. La contestazione contro
la società dei consumi è in realtà la protesta contro un «cattivo uso
della Tecnica», cioè l'esigenza dell'adattamento della tecnica della
cattiva società alla buona tecnica.
Sicuramente, quando l'adattamento delle strutture e delle isti­
tuzioni non avviene spontaneamente, c'è ancora una scelta da fare.
Abbiamo detto prima che in alcuni casi è più semplice modellare
una tecnica sul reale esistente che modificare quest'ultimo. La scelta
si baserà quindi sulla maggiore facilità o efficacia di una delle due
operazioni. Ovviamente la scelta non sarà mai chiaramente esplici­
tata come qui. Si effettua a livello del lavoro dei tecnici da un lato e
a livello delle relazioni tra gruppi e ambiente interessato dall’altro.

297
I caratteri del progresso tecnico

Da una parte c'è una tendenza all'applicazione delle tecniche, con la


pressione che ne risulta su un dato gruppo o una data tradizione -
dall'altra un'adozione o una resistenza. A seconda della durezza della
resistenza, il tecnico sarà portato a rivedere il metodo o lo strumento
per ottenere il migliore rendimento possibile date le circostanze. Ma
possono esserci resistenze passionali, blocchi, passatismi, sclerosi in­
dividuali o sociali, rigidità istituzionale che non ammettono alcuna
modifica, alcuna innovazione. Può esserci al contrario un rifiuto di
adattamento da parte dei tecnici che spesso credono che la tecnica
da loro messa a punto sia insostituibile e tendono, direttamente o
indirettamente, alla modificazione pura e semplice dell'ambiente, il
che avverrà quando la suddetta tecnica sarà effettivamente applicata.
Bisogna ricordare che essa viene applicata più in seguito al contesto
tecnologico nel quale il nuovo procedimento si inserisce che in segui­
to a bisogni umani o a imperativi sociologici.
In questi casi, il conflitto tra ambiente e tecniche produce scom­
piglio e spesso perturbazioni sociali, economiche, politiche finché
uno dei due fattori abbia negoziato l’adattamento. Questa relazione
conflittuale spiega la maggior parte delle difficoltà della società oc­
cidentale tra il 1900 e il 1940, e delle società del terzo mondo attual­
mente. Sarebbe facile farne uno studio dettagliato. L’ideale dunque
(solo inconsciamente desiderato) consiste nell'adattamento automa­
tico all’ambiente. Ma questo adattamento implica il controllo: si può
dire che la punta estrema di questo automatismo viene raggiunta
quando non è più l'uomo a controllare veramente la macchina, ma
quando, al contrario, egli stesso viene incluso come un pezzo nel si­
stema globale, e controllato da macchine destinate al coordinamento
della sua azione con quella degli altri e delle macchine, dei materiali,
delle istallazioni, ecc. Si tratta dell’applicazione del pert (Program
Evaluation and Review Technique).
Abbiamo detto che nel gioco dell’adattamento dell uomo, del­
la politica, della società alla Tecnica, il sistema tecnico produce da
sé le proprie facilitazioni e compensazioni. Il tempo libero fa parte
di queste. L’automatismo sarebbe una legge molto dura se non ci
fossero equilibri compensatori. È inutile ricordare tutti gli studi sul
tempo libero, ma è essenziale sottolinearne la funzione. Senza che
venga mai esplicitato, in tutti gli studi il tempo libero risulta innan­
zitutto come un fenomeno compensatorio del progresso automatico:

298
Uautomatismo

l’uomo, privato del potere di decisione in questo campo, ha bisogno


di un recupero totale in compenso. Il tempo libero, del quale ci si
preoccupa tanto chiedendosi quale sia il significato dello svago, come
possa essere sfruttato, ecc., è innanzitutto un tempo libero dall’au­
tomatismo. Ovviamente l’uomo non sa servirsene. Non è assoluta-
mente cosciente del fatto che l’automatismo tecnico sia per lui tanto
doloroso da dovergli sfuggire, perché non è solo la meccanizzazione
del lavoro a essere in gioco, ma più profondamente rinserimento
dell’uomo in un sistema che funziona al di fuori di lui, e al quale tut­
tavia cerca di porre rimedio con palliativi27. È evidente che il tempo
libero provochi smarrimento, che l’uomo si senta perso per via della
brusca assenza di obblighi. Ma questo non è il vero problema, così
come non lo è la relazione col lavoro: anche gli studi statistici sul
modo in cui gli svaghi vengono coltivati28 ci forniscono informazioni
senza senso. Bisogna superare la questione classica e porre il tempo
libero come fenomeno compensatorio alla sottomissione obbligata
all’automatismo del progresso tecnico: in questo modo assume il suo
reale aspetto rivelando al contempo la propria impossibilità in quan­
to vissuto profondo. U tempo libero è l’istituzione di una vacuità che
autorizza la scelta - l’errore che spesso si commette è confondere
il tempo libero con il gioco, la festa, le chiacchiere, l’ozio, il riposo
delle società tradizionali: ci si trova obbligati a constatare da un lato
che non ha lo stesso valore, e dall’altro che è impossibile «riempire»
questo tempo libero con attività di questo tipo, dato il loro stretto
legame con attività non tecniche tradizionali. Esse non possono es­
sere riprodotte nel nostro nuovo ambiente. L’automatismo tecnico,
invece, escludendo la vera possibilità di scelta, rende la vita intollera­
bile e soffocante per l’uomo che non può accettare di non avere più
potere decisionale: il tempo libero è la funzione respiratoria del si­
stema. È l’apertura attraverso la quale si inspira, la scappatoia che dà
l’illusione di libertà. Da ciò derivano da un lato la follia spontanea,
irriflessiva, per il tempo libero (le ferie, i week-end fuori porta, la tv,

27 R. Blauner, Alienation and Freedom. The factory Worker and bis Industry, Chi­
cago University Press, Chicago 1964 (tr it. Alienazione e libertà, F. Angeli, Milano
1971); J. Dumazedier, Vers une civilisation du loisir?, Éditions du Seuil, Paris 1962;
G. Friedmann, La Puissance et la sagessef cit.; B. Charbonneau, Dimanche et Lundiy
Danoel, Paris 1966.
28 Ad esempio lo studio del credoc, Consommationy 1970.

299
I caratteri del progresso tecnico

ecc.), e dall’altro la doppia maturazione riflettuta, sistematica, degli


organizzatori e venditori di svaghi e degli intellettuali che cercano di
fondarvi la giustificazione del sistema.
* * *

Questo automatismo tecnico comporta infine un ultimo caratte­


re: quando un processo tecnico entra in un nuovo campo, vi trova
vecchi modi di fare - risalenti al periodo pretecnico. Essi tendono
a venire eliminati, perché nulla può entrare in concorrenza con il
mezzo tecnico. La scelta è fatta a priori. Lindividuo non può decide­
re (né può farlo il gruppo) di seguire la vecchia via invece di quella
tecnica. Si trova di fronte a un dilemma molto semplice: decidere
di salvaguardare la propria libertà di scelta, decidere di utilizzare il
mezzo tradizionale o personale, morale o empirico, entrando così
in concorrenza con una potenza contro la quale non dispone di una
difesa adeguata (i suoi mezzi non sono efficaci, saranno soffocati o
eliminati, e lui stesso sarà sconfitto), oppure decidere di accettare la
necessità tecnica, e allora vincerà ma sarà sottomesso in modo irri­
mediabile alla schiavitù tecnica.
Non c’è dunque alcuna libertà di scelta. Ci troviamo attualmente
allo stadio di evoluzione storica di eliminazione di tutto ciò che non
è tecnico.
La sfida portata a un paese, a un individuo, a un sistema è oggi
unicamente tecnica. A una potenza tecnica si può opporre solo
un’altra potenza tecnica. Il resto è spazzato via. Tchakotine lo ri­
corda costantemente. Che cosa avrebbe potuto rispondere di fronte
agli attentati psicologici della propaganda? È inutile fare appello alla
cultura, alla religione; è inutile educare il popolo: solo la propaganda
può rispondere alla propaganda e la violenza psicologica alla violen­
za psicologica. Hitler lo aveva detto prima di lui: «Questa tattica,
basata su una giusta valutazione delle debolezze umane, deve porta­
re pressoché matematicamente al successo, a meno che il partito op­
posto non impari a combattere i gas asfissianti con i gas asfissianti»
(Mein Kampf).
Il carattere esclusivo della tecnica ci fornisce una delle ragioni
del suo fulminante progresso. Oggi ognuno trova il proprio spazio
vitale solo se è un tecnico, ogni collettività può resistere alle pres-

300
Uautomatismo

sioni dell’ambiente solo se usa la tecnica. Avere la risposta tecnica è


attualmente una questione di vita o di morte per tutti, perché non c’è
potenza equivalente al mondo.
Lo stesso vale sul piano individuale: si è obbligati a scegliere la
tecnica più avanzata. Chiaramente un ingegnere che continuasse ad
applicare tecniche vecchie di un secolo non troverebbe lavoro. E
altrettanto evidente che l’artigianato viene eliminato nel momento
in cui entra in concorrenza con procedimenti tecnici. Per giudicare
questo automatismo è molto importante il fatto che si tratti della
pratica di un mestiere. Questo, qualsiasi sia il paese considerato, sarà
necessariamente il mezzo di sostentamento. L individuo deve quindi
applicare la tecnica più avanzata perché è la sola che gli permetta
di sopravvivere. Non c è di nuovo alcuna scelta. La scelta è presa a
priori e sempre nella stessa direzione: ovviamente si può obiettare
che nei paesi altamente tecnicizzati si sviluppino o si riproducano
al contrario diverse attività artigianali; che gli Stati Uniti siano ap­
passionati dei prodotti Navajo e che Vmss sviluppi l’artigianato dei
Bashkiri e dei Tungusi. Certo. Ma ancora una volta si tratta di un
lusso, di un qualcosa di più, di una grazia accessoria alla società di
rigore ed efficacia. U percorso è sempre lo stesso: per produrre tes­
suti, la tecnica entra in concorrenza con l’artigianato tradizionale, e
travolge il mercato, inizialmente utilizzando le stesse materie prime
(lana, cotone, lino, ad esempio): l’industria tessile regna. La chimica
crea in seguito tessuti le cui materie prime non hanno più nulla a che
vedere con quelle tradizionali (nylon, orlon, dralon, ecc.). Dal punto
di vista utilitario ciò comporta tutti i vantaggi. Ma a questo punto si
genera un ritorno, dal punto di vista del gradimento, del lusso, del
sogno, ecc., verso la materia prima tradizionale e i processi artigia­
nali. Non c’è più alcuna concorrenza, ma un supplemento a bisogni
peraltro totalmente soddisfatti. Si può tracciare lo stesso schema per
la musica: in un primo momento l’apparecchio per la trasmissione
senza fili (tsf) uccide il chitarrista di paese, le piccole orchestre dei
cinema locali, ecc.; tutta la musica di paese scompare. Con il nuovo
stadio della tecnica, con i transistor, i microsolchi, quando l’industria
inonda il mercato di musica meccanizzata, si produce una sorta di
impregnamento generale, e si vive in un clima di musica permanente,
l’individuo prende a suonare a propria volta. Non si tratta più dello
stesso fenomeno delle arti coltivate per diletto del XIX secolo, ma di

301
I caratteri del progresso tecnico

una sorta di rigurgito dovuto a un eccesso di assorbimento musicale.


La musica individuale o di piccoli gruppi non entra in concorren­
za con la musica tecnicizzata, ma apporta un piccolo supplemento
di piacere, un lusso complementare, quello del calore umano, della
presenza fisica del musicista, il fascino di un'eventuale stonatura, di
un errore, cosa che non può accadere con la musica meccanica: il
piccante di un'alea senza importanza. In questo modo la tecnica, che
trionfa automaticamente su tutti i processi non tecnici, permette loro
una nuova via che non la minaccia, dittatore magnanimo che permet­
te qualche fantasia senza importanza ai propri sudditi, sorridendo
alle loro iniziative mentre l'ordine regna implacabile29.
Si pone allora il seguente problema (pur ipotetico): che cosa suc­
cederebbe se le tecniche moderne, respingendo quelle antiche, rein­
troducessero l’agilità, la scelta e Pindeterminatezza? Tesi sostenuta
da Richter e Sfez. Quest'ultimo, nella sua opera di primo piano30,
mostra con estrema chiarezza il modo in cui le istituzioni si adattano
a stadi tecnici diversi. Come di fronte a rigide tecniche della società
industriale, che implicano la centralizzazione e la gerarchia, ci siano
state «istituzioni strumentali», «orientate verso le risorse», lineari e
semimeccaniche. Bisogna includere in questa categoria tutti gli autori
che pensano che la società possa diventare un semplice meccanismo
sociale31. Ma, a uno stadio più avanzato della tecnica, soprattutto con
la comparsa delle tecniche umane, viene concepita un'altra forma di
istituzione, chiamata «istituzione pragmatica», legata a obiettivi defi­
niti, che rappresenta gestioni empiriche per assicurare l’efficacia dei
compiti di pianificazione tecnica e di esecuzione di piani. Ma si resta
■ V

ancora a livello di un'organizzazione lineare. Invece, con 1 piu recenti


progressi tecnici di automazione da una parte e informatici dall'altra,

29 Lefebvre, muovendo guerra all’idea di una società che sarebbe «omogeneiz­


zata» dalla Tecnica, e cercando al contrario di dimostrare che c’è diversificazione
grazie alla Tecnica, Position: contre les technocrates, cit., commette l’errore di cre­
dere che il sistema tecnico imponga uniformità, identità, mentre il sistema può
essere tanto rigoroso e totale quanto lo ho descritto, pur lasciando sopravvivere, o
provocando, differenze culturali tra gruppi, che però non saranno mai significative.
Il massimo di iniziativa all’interno del massimo rigore organizzativo: l’ideale della
società tecnica !
,0 L. Sfez, Critique de la Décision, A. Colin, Paris 1973.
51 Si veda per esempio P. Naville, Vers Vautomatisme social?, Gallimard, Paris 1963
(tr. it. Verso l'automatismo sociale?t F. Angeli, Milano 1976).

302
U automatismo

si potrebbe accedere a un altro modello istituzionale, a istituzioni


autoadattabili, in cui si combinerebbero iniziativa decentralizzata e
sintesi centralizzata. Queste istituzioni, munite di una regolazione
di adattamento, che implicano la decentralizzazione, caratterizzate
dall'agilità operazionale, strategica, strutturale, sarebbero «ideali», e
rese possibili dai più recenti progressi della tecnica. Ma ci troviamo
qui di fronte a una questione fondamentale: sono solo possibili. Non
sembrano direttamente condizionate e necessariamente prodotte.
Implicano decisione e scelta. Ma come possono prodursi in un si­
• V

stema che ha fino ad ora eliminato decisione e scelta? Se ciò non


avviene ci sarà contraddizione tra le nuove tecniche e la struttura
burocratica e politica adattata allo stadio precedente. U problema è
radicale. L'autogestione è una falsa risposta.
* * *

C’è infine un ultimo aspetto che collega automatismo e autoac­


crescimento. Per prenderne coscienza, bisogna partire da un’osser­
vazione molto importante avanzata da due autori americani e ripresa
da Vahanian32. «È sorprendente che quando la fede viene a man­
care, ciò che essa ci permette ordinariamente di fare senza pensa­
re o senza sforzo particolare da parte nostra diventa oggetto di un
comportamento a orientamento tecnologico. Questa osservazione
è interessante all’interno quanto all’esterno dell’ambito religioso. E
stato suggerito che la tecnologia dell amore fisico si sviluppa verosi­
milmente se F amore diventa problematico e lascia posto al dubbio.
Allo stesso modo, le tecnologie della gravidanza appaiono quando
l’amore "naturale’ per i bambini non si manifesta più precocemen­
te e spontaneamente». Abbiamo qui un’osservazione fondamentale
e generalizzabile. Si dice comunemente che quando l’uomo scopre
una tecnica per fare ciò che prima faceva in modo pragmatico, ab­
bandona la vecchia pratica in favore di quella nuova e più efficace. È
quanto abbiamo qui ripetuto incessantemente. Ciò può d’altra parte

L. Schneider & S.M. Dornbusch, Popular Religion: inspirational Books in Ame­


rica, University of Chicago Press, Chicago 1958; e G. Vahanian, La Mori de Dieu,
cit.; J. Onimus, LAspbyxie et le cri, Desclée de Brouwer, Paris 1971, e le nostre
osservazioni sul problema, p. 219.

303
I caratteri del progresso tecnico
comportare la perdita di un dato sentimento, di una data capacità.
Attitudine, vitalità, ecc. Le tecniche erotiche fanno così certamente
sparire la relazione profonda e veridica dell’amore, la sua autenticità.
Ma dobbiamo, con Vahanian, considerare anche lo sviluppo oppo­
sto: quando l’uomo moderno, a causa della vita in questa società,
perde tale forza profonda, questa fonte di vitalità, questa motivazio­
ne e non sa più agire in virtù di questa ragione fondamentale, ragione
di azione e ragione di significato, quando è tanto atono da non avere
più presa sull’esterno, allora, automaticamente, nasce una tecnica
per permettere, malgrado tutto, l’azione indispensabile. Questa è
divenuta più efficace, e per questo motivo anche più semplice, non
esigendo quindi più grandi motivazioni, un giudizio così totale, uno
sforzo così pieno. L’uomo, grazie alla tecnica, può non solo fare cose
più difficili, ma può agire senza significato e rimanere perfettamen­
te esterno alla propria azione. È ad esempio la nota differenza tra
uccidere con un coltello un nemico in carne e ossa e bombardare
una zona da dieci chilometri di altezza. Possiamo porre come una
sorta di regolarità permanente il fatto che quando l’uomo perde una
profonda ragione di agire, appare una tecnica che gli permette di
agire nello stesso ambito ma senza ragione. Il mezzo si è totalmente
sostituito al significato. Si verifica una scimmiottatura del più pro­
fondo aspetto umano. Ciò è visibile in tutte le tecniche psicologiche:
quando non si è più in grado di impegnarsi in una relazione umana,
quando l’amicizia non abita più nel cuore dell’uomo, quando non
c’è più autenticità in un gruppo, vi si sostituiscono le tecniche di re­
lazioni umane e la dinamica di gruppo, che dall’esterno imitano per­
fettamente ciò che dovrebbe essere solo l’invenzione spontanea del
più profondo dell’anima. Dove automatismo e autoaccrescimento si
legano, diciamo che c’è un ambito del progresso tecnico. In effetti,
quando nell’uomo scompaiono queste realtà essenziali, quando ri­
mangono solo ruoli sociali e comportamenti, si produce una sorta di
richiamo d’aria: una sorta di automatismo tecnico porta la ricerca in
questo campo. Non si può rimanere a lungo in questa situazione. E
indispensabile che si continui a fare ciò che era vissuto in preceden­
za, quindi la Tecnica, oscuramente ma sicuramente, penetra questo
vuoto e ne aggiusta progressivamente i meccanismi senza che nessu­
no l’abbia chiesto o voluto. C’è autoaccrescimento perché il sistema
tecnico si ingrandisce necessariamente nel vuoto lasciato dal ritiro

304
Lautomatismo

di un’attività profonda dell’essere. Nessuno pensa esplicitamente a


effettuare questo lavoro di sostituzione: esso si impone. Non si pos­
sono lasciare le relazioni umane alTinfìnito deterioramento: bisogna
tamponare questa mancanza con palliativi. E evidente. Tutto ciò che
l’uomo perde in presenza, spontaneità, ragione, autenticità, volon­
tà, decisione, scelta, coinvolgimento, libertà, tutto ciò che abbando­
na perché troppo difficile, che porta a una vita troppo complicata,
che è troppo faticoso o inibito, tutto ciò provoca simultaneamente
un accrescimento «spontaneo» del sistema tecnico e l’automatismo
dell’orientamento di questa crescita. È piuttosto facile, a partire da
questo orientamento generale, applicare questa interpretazione a nu­
merosi campi sperimentali.
Indubbiamente si può dire che queste relazioni sociali, umane
sono sempre inserite nella vita sociale attraverso l’uso di tecniche più
o meno assimilate (e lo stesso vale per i sentimenti). E vero che l’edu­
cazione, la cortesia, ecc., sono tecniche, ma bisogna in questo caso
fare di nuovo la distinzione, della quale ci siamo già occupati, tra le
tecniche originarie e pragmatiche e il fenomeno tecnico. L’aspetto
nuovo è qui il calcolo, la sistematizzazione, la consapevolezza: le tec­
niche, che prendono il posto dell’azione «spontanea» generata da un
impulso profondo, sono considerate e applicate in quanto tecniche
(ad esempio la dinamica di gruppo) ed è ciò che rompe l’antico or­
dine di rapporti.

305
Capitolo terzo
IL PROGRESSO CAUSALE
E LASSENZA DI FINALITÀ

Generalmente si ha Fidea che la tecnica si sviluppi perché qual­


cuno, scienziato o tecnico, vuole raggiungere un certo scopo, per­
ché qualcuno manifesta bisogni ai quali la tecnica deve rispondere,
perché ci sono fini che Fuomo deve raggiungere, e la tecnica è lo
strumento ideale. Questa convinzione, che traspare costantemente,
detta Fidea di base secondo la quale non è possibile alcun giudizio
nei confronti della tecnica, perché essa è solo un mezzo (e quindi,
poiché mezzo, senza importanza; si sa che per la nostra elevatezza
filosofica contano solo i fini). Tutto dipende dai fini perseguiti. Cre­
do che questo sia uno degli errori più gravi e più decisivi nei riguar­
di del progresso tecnico, e del fenomeno tecnico stesso. La tecnica
non si sviluppa in funzione dei fini da perseguire, ma in funzione
delle possibilità di crescita già esistenti. Daumas mostra bene che la
tecnica obbedisce, nella propria evoluzione, ha «una logica interna
che rappresenta un fenomeno ben distinto dalla logica di evoluzione
della storia socio-economica - lo si può dimostrare pressoché per
tutti i periodi e tutti gli episodi della creazione tecnica. Le strette
relazioni tra Festrazione mineraria, la macchina a vapore, la produ­
zione di ghisa, sono un esempio classico. Conferme vengono date
dallo studio delle derivazioni orizzontali o verticali...». E una logica
essenzialmente causale1.

Vorrei sottolineare che in questo articolo Daumas amplia lo studio di Maunoury

307
I caratteri del progresso tecnico

1. Finalità

Bisogna chiedersi innanzitutto se la Tecnica obbedisca a una fi­


nalità, persegua un obiettivo. E bisogna evidentemente distinguere
le finalità ultime dagli obiettivi a media distanza e dagli scopi imme­
diati.
La crescita tecnica possiede reali finalità? Sicuramente, durante
il progresso del sistema tecnico, si generano delle finalità, ma biso­
gna tenere presente che queste finalità compaiono durante il pro­
cesso; in altre parole, esse non lo dirigono, sono avventizie; ma ex
post si scopre che ciò che è stato fatto (secondo un meccanismo
puramente causale) potrebbe essere applicato a un dato problema
e rispondere (generalmente in modo parziale e abbastanza astratto)
a una data questione. A meno di credere che tutto ciò agisca nel
più profondo deirinconscio umano e guidi in questo modo Fuo-
mo (quale meraviglioso allineamento tra tale sconosciuto desiderio
e il meccanismo causale che porta a una data scoperta, a una data
trasformazione!), cosa che mi rifiuto di ammettere perché, appena
ho provato a precisare questo sogno inconscio, esso si è dissolto.
Bisogna tornare all'idea che queste finalità prodotte dal sistema non
hanno mai determinato il sistema stesso; sono solo giustificazioni
aggiunte, semplicemente perché l’uomo non vuole perdere la faccia,
non vuole avere Faria di essere sottomesso a meccanismi causalisti,
e vuole confermarsi sempre padrone della situazione! Lasciamo da
parte la formula che ha fatto delirare relativamente al «viaggio sul­
la Luna: realizzare i sogni dell’umanità». E semplicemente ridicolo
credere che i tecnici che hanno lavorato agli aerei lo abbiano fat­
to perché volevano emulare Icaro! E vero che talvolta ce ne stato
un vago sentimento (attraversare i mari, volare, andare sulla Luna),
ma si può dire che lo stesso sogno sia alForigine della radio, della
stampa, della polvere da sparo? Questa giustificazione è un annesso
poetico dovuto a colti scienziati. Ma non è serio vedervi la finalità
motrice della crescita tecnica!
Se interrogassimo scienziati e tecnici a proposito dei loro idea-

basandosi su esempi precisi per giungere a un’interpretazione generale sulla Tec­


nica, così come io ho fatto con G. Simondon, LHistoire de la Tecknique, Documents
pour IHistoire des Techmques, 1969.

308
Il progresso causale e l’assenza di finalità

li, otterremmo sempre le stesse risposte, sempre vaghe. Perché il


progresso tecnico? Il primo scopo sarà la felicità dell umanità2. Ma
appena si chiede quale felicità, ecco la più grande incertezza. Ci si
rende conto che il puro divertimento o il consumo non sono suffi­
cienti. Felicità, parola soddisfacente perché perfettamente vaga e in­
consistente, perché rispondente alla più diffusa ideologia attuale. Si
crede alla felicità3. La tecnica assicura la felicità - formula tanto più
efficace in quanto priva di contenuto. Otteniamo lo stesso risultato
di vaghezza e incertezza quando ci viene assicurato che il progresso
tecnico tende alla realizzazione dell’uomo. Quale uomo? General­
mente non c’è la minima riflessione antropologica alla base di tale
affermazione. Ritroviamo qui un fatto già segnalato, ossia il totale
divorzio tra tecnici e scienziati da un lato e umanisti, filosofi, teolo­
gi dall’altro. Questi ultimi conducono le proprie analisi sull’uomo
senza conoscere il fenomeno tecnico, e giungono a conclusioni as­
solutamente aberranti.
D'altra parte dimostrano però sempre più l’onestà di rinunciare
a fornire un modello ideale dell’uomo da realizzare. Non è certo
presso di loro che un'antropologia utile o il modello adatto possono
essere trovati come finalità trascendenti della tecnica. Scienziati e
tecnici, tuttavia, sono perfettamente incapaci di questa riflessione.
In realtà, quando avanzano su questa strada, le loro visioni sono
ben sempliciotte, piene di buoni sentimenti e di un umanismo vec­
chiotto (come quello di Einstein), oppure sono inquietanti4 perché
proiettano come tipo umano da realizzare ciò che la Tecnica per­
mette effettivamente loro di realizzare. Ci avviciniamo così (e solo
in questo modo!) all’Ideale Robot - è temibile allora la possibilità
di modificazione dell’uomo attraverso interventi chimici senza sape­
re ciò che infine si vuole ottenere. Non inganniamoci, non sarebbe
facile trovarsi d’accordo nel proporre un tipo umano. Chi dirà, ad

2 Le riflessioni più pertinenti a riguardo sono state proposte da B. de Jouvenel


nel suo ammirevole e raro studio Arcadie, essais sur le mieux Vivre, cit. Egli mostra
meglio di chiunque altro la vanità della speranza di assicurare una vita migliore
attraverso la Tecnica, e descrive al meglio ciò che ci si potrebbe aspettare da un’ap­
plicazione tecnica in questo senso. Ma ne siamo lontani.
} Da cui il successo di libri significativi come Et le bonbeur en plus... o il moltipli­
carsi di libri intitolati Bonbeur a caratterizzare la nostra società.
4 J. ElluI, Lucidità de l’An 2000, 1967.

309
I caratteri del progresso tecnico

esempio, se dobbiamo ambire a un uomo più radicalmente libe­


ro (ma come accedervi attraverso un intervento deciso dall'esterno
sulla sua personalità?) o più sociale e cooperativo e conformato al
gruppo. Un uomo più intelligente, efficiente, potente, o un uomo
buono, umile, inefficiente, gioioso • ♦ «

Non aspettiamoci che il miracolo tecnico concili l’inconciliabile:


proprio perché si tratta di tecnica, non ci si deve aspettare miracoli.
Sussistono così le due domande che avevo posto5 e che sono
state approfonditamente riprese da Mumford6, innanzitutto: quale
tipo di uomo si vuole creare? E in secondo luogo: i manipolatori
sono veramente i più adatti a determinare questo tipo di uomo de­
siderabile? Quali qualifiche possiedono, oltre a quelle scientifiche e
tecnologiche, per procedere a queste manipolazioni? Non ho alcun
motivo di credere che Monod o gli ingegneri Bell, Cannon, Kingsley
Davis, ecc. abbiano il minimo titolo per dirci che cosa debba esse­
re l’uomo. Ci troviamo in un ambito in cui più che altrove appare
chiaramente l’assenza di finalità: si è sul punto di poter manipolare
l’uomo geneticamente, chimicamente, elettricamente, esattamente
come si vuole, ma non si sa esattamente ciò che si vuole. Riprende­
remo il problema più avanti.
Mumford, tra altri, cita il notevole testo del biologo Hemann
Muller, premio Nobel: «L’uomo nel proprio insieme deve elevar­
si per divenire degno della propria migliore realizzazione (e che
cos'è questa migliore realizzazione?). L’uomo ordinario, a meno che
comprenda il mondo che gli scienziati hanno scoperto, a meno che
impari a comprendere le tecniche delle quali oggi si serve, a meno
che prenda parte all’esaltazione della partecipazione cosciente alla
grande impresa umana e trovare soddisfazione nel giocarvi un ruolo
costruttivo, si ridurrà a essere un ingranaggio sempre meno impor­
tante, un elemento di una grande macchina». Ecco il solo modello!
Comprendere la scienza e servirsi della Tecnica! Un pò1 poco! A
meno di essere un assoluto credente come Monod. Si può fare tutto.
Ma non si sa perché. Il Perché sarà fornito gratuitamente e spon­
taneamente dal sistema stesso. E lì la chiave. Non bisogna, ahimè,
immaginare un glorioso demiurgo che detiene il segreto della vita e

5 lbid.
6 L. Mumford, Le Mythe de la Machine, cit., voi il.

310
Il progresso causale e l’assenza di finalità

che perciò realizza qualcosa di più saggio rispetto a ciò che esisteva
in precedenza7 !
L’atteggiamento comune consiste nel credere che l’uomo sia di­
ventato più «saggio» a partire dal momento in cui si è impossessato
di tale potere! Il che è assurdo. Abbiamo d’altra parte dimostrato
che la crescita di potenza è sempre e necessariamente distruttrice
dei valori e della capacità di giudizio dell’uomo. Ad ogni modo, i
«Saggi» non saranno gli individui nella loro globalità, ai quali reste­
rà il paradiso artificiale, ma i detentori dei mezzi di manipolazione
che stabiliranno il modello dell’uomo da creare. Questo può essere
solo un modello conforme e perfettamente adattato al sistema tecni­
co. Quando questi scienziati, questi premi Nobel parlano (in modo
alquanto vago!) di «felicità» per l’uomo, questa viene intesa come
l’eliminazione del disaccordo tra l’uomo e il proprio ambiente, l’eli­
minazione dei punti di rottura, dei confronti, dei conflitti, dato che
comunemente ancora oggi la felicità è identificata con questa fortu­
nata concordanza. Ma l’ambiente è unicamente quello tecnico. Si
tratta di rendere l’uomo felice diminuendo la sua difficoltà nel vivere
in questo sistema, il quale, evidentemente, non è messo in questione
da nessuno, né dalla controcultura, né dagli hippy, né dalla brillan­
te gioventù contestatrice e anticonsumista! Perché per metterlo in
questione bisogna innanzitutto concepirlo in quanto sistema. Non è
sostituendo il consumo di whisky capitalista con I’lsd, o rifiutando
il cinema di Hollywood a favore di quello underground che si cam­
biano le cose! Non è l’esplosione sensualista a far tremare il sistema
in quanto tale!
Ma ecco che queste modalità di intervento lasciano l’ambito
del laboratorio per incontrare il pensiero di altri tecnici. Ecco un
esempio: l’architetto urbanista Yona Friedmann8. Per il momento

7 Mumford ha perfettamente mostrato che la trionfale invenzione della creazione


della vita in provetta non sarà mai altro che l’imitazione di ciò che da qualche mi­
lione di anni viene fatto in modo migliore. Uunico apporto nuovo è l’affermazione
del domino dell’uomo, del suo potere. Ma chi è per essere investito di un tale po­
tere?
8 Yona Friedmann, esperto in programmazione di computer, ha elaborato una
teoria della comunicazione e numerosi lavori sull’architettura. LAchitecture mobile,
1962; La Théorie des systèmes compréhensibles, 1963; Les Mécamsmes urbains, 1965.
Questi studi si basano su un numero considerevole di errori storici, sociologici, ecc.,
ma si presentano come fatti evidenti sul piano tecnico. Sono utopici poiché l’autore

311
I caratteri del progresso tecnico

il suo pensiero è ancora perfettamente utopico, relativamente poco


conosciuto, ma il fatto che molti intellettuali lo abbiano ben accol­
to è inquietante. La tesi è estremamente semplice: paragonato al
meccanismo dei «cervelli elettronici», il cervello umano funziona
molto male. «Il nostro cervello è un meccanismo deformante». Se
vogliamo pensare correttamente, dobbiamo prendere a modello il
«pensiero» dei computer: si avrà così il vero meccanismo operazio­
nale del «pensiero» umano. Si capisce che il fattore deformante, che
non esiste nel computer, consiste in tutto quanto viene raggruppato
sotto la parola «animismo», sentimenti, rappresentazioni, pulsioni
irrazionali, ecc., tutto un insieme di «astrazioni» e di «osservazioni
extrasensoriali». Tutto ciò deve essere eliminato se si vuole giungere
a un sistema sociale soddisfacente in quanto conforme alla crescita
tecnica illimitata. L’«animismo» è cattivo perché introduce elementi
«incontrollabili nel nostro sistema razionale». Se il primo modello è
quindi tecnico, il secondo adottato da Friedman, sul piano vitale, è
quello animale. Non c’è animismo presso gli animali. Vivono a livello
della loro realtà biologica, e quindi sono nel vero. Sono un modello
sociale superiore. «Ci si può augurare che da qui a migliaia d’anni
l’umanità raggiunga il livello sociale superiore degli asini». «Dobbia­
mo stabilire il benessere animale per la società urbana». Gli animali
non lavorano, non possiedono nulla, ecc. Il ragionamento ci è noto
da molto tempo. Ma il fatto interessante è che l’autore mostra che
per stabilire una società rigorosamente razionale è necessario modifi­
care il cervello umano. E ciò è attualmente possibile per via chimica.
Sebbene l’autore affermi incessantemente che l’urbanista non deve
imporre le proprie vedute per la costruzione dell’habitat umano, che
bisogna lasciare gli abitanti liberi di scegliere la forma della propria
città, e quindi istituire «l’architettura mobile», perché tutto funzioni
bisogna preliminarmente condizionare l’essere umano esattamente in
modo che non abbia reazioni imprevedibili o irrazionali. Ci troviamo
quindi in presenza della riflessione ultima ed estremista: impiegare
tutte le tecniche possibili per modellare l’essere umano sul tipo pre­
visto da Yona Friedmann. Il fatto più significativo è il seguente: nella
sua teoria sulla comunicazione, egli si dimostra estremamente preoc-

ritiene immediatamente realizzabili applicazioni tecniche ancora estremamente


aleatorie.

312
Il progresso causale e l’assenza di finalità

cupato per l’umanismo, la democrazia e la predominanza dei piccoli


gruppi. Ma nei suoi studi di architettura assume un orientamento
risolutamente tecnocratico: formulare il bene per gli altri e vedere
come imporglielo. Ciò che appare grave è che tutto ciò possa essere
preso sul serio (insegna a Harvard, al Carnegie Institute, è sovven­
zionato dal cnrs...). Perché l’esperimento venga avviato basterà che
una parte dell’opinione pubblica e un gruppo di leader intellettuali
o politici sufficientemente importanti tendano a questa direzione.
A partire da questo momento ci si avvicina al brave rtew World di
Huxley: abbiamo molti mezzi per realizzarlo, manca solo la spinta
ideologica, che può giungere dall’adesione a un sistema materiali­
sta semplicista tipo quello di cui ci siamo appena occupati. L’ade­
sione può risultare da fattori irrazionali imprevedibili, ma i risultati
saranno irreversibili. Poiché ci dirigiamo in direzione del «progresso
tecnico», non si sa che cosa impedirà, da un punto di vista umano,
questa adesione. Ci troviamo allora davanti alla possibilità di un ri­
baltamento della situazione fino ad ora descritta. Se in effetti una
ideologia come quella appena illustrata strappasse l’adesione (chiara
degli intellettuali, diffusa della massa), potrebbe divenire la finalità
proposta al sistema tecnico. Avrebbe la stessa natura di quest’ultimo,
tutti i caratteri, e gli sarebbe perfettamente coerente. Questa finalità
sarebbe in realtà totalmente inclusa nel sistema dei mezzi. Ma ap­
parirebbe ideologicamente come una finalità. Questo rappresenta il
vero, e probabilmente il solo, pericolo della crescita tecnica. Finché
questa consiste in un sistema i mezzi, c’è ancora, come vedremo alla
fine, una relativa autonomia dell’uomo e una possibilità di prendere
le distanze, se non una padronanza. Invece, se si impone un fine,
appare certo ed evidente per tutti che il sistema si chiude, essendo
divenuto completo. La speranza di trovare una finalità per la tecni­
ca è quindi inefficace perché i fini proposti non hanno una misura
comune con il fenomeno tecnico, oppure costituisce un fattore deci­
samente alienante e pericoloso. Il prototipo di Yona Friedmann, che
non ha alcun interesse in sé data la debolezza di pensiero, è quindi
importante in quanto significativo di questa possibilità di evoluzio­
ne. Ed è ugualmente per questo motivo che diffido totalmente di
ogni movimento utopista, perché non eviterà la trappola della rico­
struzione della città razionale e perfetta, dove cioè la Tecnica sarà
Tutto e in Tutto.

313
I caratteri del progresso tecnico
*

Di fronte a queste previsioni e queste possibilità, a queste evidenti


razionalità, mi pongo due domande: il Come del periodo intermedio
e l’ideale umano proposto.
Ecco dunque la prima domanda: come, socialmente, politicamen­
te, moralmente, umanamente, si potrà giungere a ciò? Come verran­
no risolti gli enormi problemi di disoccupazione, gli enormi proble­
mi economici provocati ad esempio dalTautomazione, se veramente
la si vuole applicare? Come si convincerà l’umanità intera a non fare
più figli per via naturale? Come si convincerà Fumanità a sottoporsi
a controlli igienici costanti e rigorosi? Come accetterà l’uomo di tra­
sformare la propria alimentazione tradizionale? Come si evacuerà il
miliardo e mezzo di persone che vivono di agricoltura e che diventa­
no completamente inutili, e verso che cosa le si evacuerà (e questa ri-
conversione dovrà essere ultrarapida, dato che ci viene promesso che
sarà completa in una cinquantina d’anni)? Come si ripartirà questa
popolazione in modo uniforme su tutta la Terra, condizione primaria
perché i suoi abitanti possano quadruplicarsi? Come si stabilirà un
modus vivendi stabile tra le nazioni per la spartizione dei pianeti, e
il controllo delle vie aeree, dei satelliti, ecc., oppure come si riuscirà
a eliminare le strutture nazionali (una delle due ipotesi è indispen­
sabile)?
Ci sono molti altri «come». Ma nessuno ne parla. Quando si pen­
sa che carbone e petrolio hanno causato alcuni problemi economici e
sociali, d'altra parte estremamente secondari, e che dopo un secolo e
mezzo non abbiamo ancora saputo risolverli veramente, c’è qualche
possibilità che si sappia rispondere a questi «Come», diecimila volte
più complicati, nei prossimi cinquant’anni? In realtà c’è un modo,
ma solo uno: la dittatura mondiale più totalitaria possibile. E l’unico
modo per permettere alla Tecnica il pieno sviluppo e per risolvere
le enormi difficoltà che provoca. Ma si capisce senza difficoltà che
scienziati e tecnolatri preferiscano non pensarvi, e saltando allegra­
mente al di sopra di questo periodo intermedio cupo e senza interes­
se, ricadono a piè pari nell’Età d Oro. Ci si potrebbe modestamente
chiedere se si giungerà a uscire dal periodo intermedio, e se Finsieme
di sofferenze e sangue che essa ci annuncia non sia un prezzo troppo
alto per l’Età d’Oro.

314
Il progresso causale e Tassenza di finalità

La seconda domanda corrisponde a quella posta da uno dei più


eminenti psicosociologi odierni: «Chi controllerà coloro che con­
trollano il cervello umano9 (e aggiungerei coloro che vogliono inter­
venire a livello genetico)? Gli scienziati non sono filosofi né mora­
listi...». Se riprendiamo i testi citati da «L’Express» in un’inchiesta
del 1967 siamo colpiti dall'incredibile ingenuità di questi eminenti
scienziati, e dalla loro incapacità di formulare un modello umano
desiderabile. Senza vedere l’ombra di una contraddizione, questi
scienziati dichiarano simultaneamente, da un lato che si potranno
manovrare a piacimento le emozioni, i desideri, i pensieri umani,
giungere scientificamente a decisioni collettive efficaci (prestabili­
te), sviluppare desideri collettivi, costituire unità omogenee a par­
tire da insiemi di individui, impedire alicorno di allevare i propri
figli e addirittura di averne, e dallaltro lato che si tratta di assicurare
il trionfo della libertà, e che bisogna evitare la dittatura a ogni costo
(tutte citazioni testuali) - Mùller parla tranquillamente allo stesso
tempo di interventi genetici, di gravidanza artificiale e di assicurare
il trionfo della libertà. Appena questi scienziati si azzardano a par­
lare dell’obiettivo da perseguire, ecco che si riferiscono a formule'
completamente vacue: «Rendere la natura umana più nobile, più
armoniosa, più bella» (Mùller). Ma che cosa vuol dire? Quale realtà
oggettiva ricoprono questi aggettivi? Rimaniamo nel vago. «Assicu­
rare il trionfo della pace, della libertà, della ragione» - sentimenti
ammirevoli, ma sarebbe bello sapere che cosa vuol dire, in che cosa
la manipolazione psicologica assicuri la libertà, in che cosa consista
questa pace se non nell’ordine di una società superrepressiva. E chi
determinerà quale ordine? Quale uomo bisogna realizzare? Ciò che
appare inquietante è l’immenso divario tra i poteri di azione tecnica
sviluppati attraverso la scienza, attualmente detenuti dagli scienziati
e dai tecnici, e la loro mancanza di capacità di criticare questo po­
tere, a dominarlo in modo efficace: per lare ciò avrebbero bisogno
di una capacità di distacco nei confronti della loro scienza (ossia
un’assenza di fede nei confronti della scienza), del senso di relatività
di queste opere, di un’eccezionale chiaroveggenza (che né Einstein
né Oppenheimer hanno avuto) delle normali conseguenze delle loro
invenzioni, di un pensiero trascendente molto forte, di un assoluto

9 D. Krech, Controlling thè mind controllerà, «Think», 1966.

315
I caratteri del progresso tecnico

dominio di sé (nelle proprie opere) e di procedere a una profonda


riflessione sull uomo: tutto ciò che ho letto di questi scienziati (com­
preso Einstein) non rivela questa attitudine né questa capacità - ap­
pena passano a livello dei fini o degli obiettivi, sono pieni di buona
volontà, di buoni sentimenti, ma infantili.
Torna incessantemente la formula della «felicità», e della sua au­
todistruzione: ecco che cosa scrive il dottor Weir: «Potremo modi­
ficare le emozioni, i desideri, il pensiero umano come già facciamo
in modo rudimentale con i tranquillanti»: in altre parole si potrà
effettivamente produrre nelT uomo il sentimento di felicità, la con­
vinzione, l’impressione, remozione della felicità senza alcuna cau­
sa esterna, senza un substrato materiale. Quest’uomo potrà essere
felice, ma nella peggiore miseria. E allora? A che prò promettere
conforto, igiene, cibo, cultura, se con una semplice manipolazione
delle cellule nervose 1 uomo può essere effettivamente felice senza
conforto e igiene? Il magro motivo che si potrebbe porre a sostegno
dell’avventura tecnica rischia così di svanire a causa della Tecnica
stessa. Il fatto più grave, infine, è l’incapacità di questi scienziati di
fornirci un modello dell’uomo: quando parlano di «conservare il
seme degli uomini benemeriti dell’umanità», chi giudicherà a riguar­
do? Secondo quale criterio? Perché in fin dei conti, Pasteur era un
genio, ma era odioso nelle relazioni private e non particolarmente
simpatico nei rapporti coi colleghi. Nel caso si scelga Fuorno mode­
sto, umile, dolce e buono, servizievole e generoso... temo che questo
non attirerebbe l’attenzione. Secondo alcuni è il seme di Napoleone
o di Hitler a dover essere conservato, secondo altri è quello di Mao
o di Guevara... o quello degli Accademici, dei premi Nobel. Die­
tro le declamazioni di questi scienziati, spunta la convinzione che
siano essi stessi a dover fornire discendenza all’umanità. Quando si
considera la mediocrità mentale di questi scienziati, appena escono
dalla loro specialità, si freme alFidea di ciò che potrebbero ritene­
re «favorevole» per l’uomo. Veniamo allora colti dall’angoscia della
contraddizione tra Fenormità dei mezzi e l’incapacità di tracciare un
modello umano desiderabile. Non sembra d’altra parte che filosofi
e moralisti abbiano migliori capacità: se interrogassimo secondo la
razza, le scelte religiose, filosofiche, politiche, tutti i gruppi possibili,
avremmo cento, mille tipi umani ritenuti ideali. Non c’è ombra di ac­
cordo a riguardo. Si produrrebbero allora centinaia di tipi differenti,

316
Il progresso causale e l’assenza di finalità

contraddittori secondo gli interessi dei gruppi e delle nazioni: presto


sarebbero in conflitto. Tutti sarebbero allora spinti a creare luonrio
più adatto a prevalere sugli altri - oppure la scelta avverrà un pò* a
caso, e si creerà un modello umano sul quale non si è riflettuto, non
si è pensato... perché le circostanze hanno portato a ciò. Come oggi,
con i più meravigliosi mezzi di diffusione possibili, si diffonde una
cultura di cui, nel migliore dei casi, si può dire che sia un’assenza to­
tale di cultura e un prodotto del caso. U problema rimane quello del
divario irrecuperabile tra i più ammirevoli mezzi e l’assenza totale di
riflessione di ciò che sarebbe possibile farne. Irrecuperabile perché
non si sale su un aereo supersonico in volo.
Le cose sono vaghe, indefinite, incerte anche quando ci viene det­
to che il progresso della tecnica deve realizzare il socialismo. Quale
socialismo? Nessuno è in grado di dirlo, e i problemi aumentano
quando ci si rende conto che il socialismo è regolarmente modificato
nella propria definizione e nel proprio contenuto da ogni progresso
tecnico. Il socialismo non è una finalità della tecnica: una certa strut­
tura sociale che si può battezzare socialismo è indubbiamente la con­
seguenza ancora non del tutto chiara della crescita tecnica10. Spesso,
d’altronde, si attribuiscono come fini alla tecnica la crescita e lo svi­
luppo: se la tecnica avanza, è per raggiungere lo sviluppo migliore.
Ci occuperemo approfonditamente del rapporto crescita-sviluppo
più avanti. Facciamo qui due osservazioni. In primo luogo, tutti gli
studi moderni tendono a dissociare crescita e sviluppo, come mostra
Lefebvre. Da un lato c’è un semplice aumento di potenza, di mezzi,
di produzione, ecc. Dall’altro c’è uno sviluppo dell’organizzazione
sociale equilibrata, o dell’essere intellettuale, morale, ecc., dell’uo­
mo. Per schematizzare si potrebbe dire che uno è quantitativo, l’altro
qualitativo, e più si avanza meno si vede una relazione diretta tra i
due. La crescita può addirittura produrre un sottosviluppo. Sicura­
mente la tecnica produce una crescita, ma non garantisce uno svilup-

10 Illich avanza la seguente osservazione, molto significativa, riguardante i paesi


dell'America Latina: «I codici urbanistici impongono norme, prescrivono le mo­
dalità secondo le quali bisogna costruire le abitazioni, e così facendo creano una
crescente scarsità di alloggi. La pretesa di una società di fornire abitazioni sempre
migliori deriva dalla stessa aberrazione che spinge i medici ad assicurare sempre più
salute o gli ingegneri a produrre sempre più velocità. In modo astratto si fissano
obiettivi impossibili da raggiungere, e poi si scambiano i mezzi per fini».

317
I caratteri del progresso tecnico
po. Sembra certo che la presupposta finalità della tecnica non sia lo
sviluppo, perché innumerevoli tecniche sono continuamente appli­
cate producendo chiaramente il contrario di questo risultato sperato.
Quando c’è coincidenza tra tecnica e sviluppo, è per caso; raramente
si tratta del frutto di una volontà di raggiungere tale scopo. Ma d'al­
tro lato, se la tecnica produce crescita, non si può parlare di un fine.
La crescita non è la finalità della tecnica, ne è il risultato. La crescita
non è posta come ideale da raggiungere: essa appare come fenomeno
nella misura in cui il progresso tecnico la impone agli occhi di tutti.
Parlando di una finalità di crescita, semplicemente si confonde il fine
col mezzo11.
Incontriamo talvolta un'altra finalità proposta: la Scienza. Quan­
do si discute sulla validità della tecnica, si mette la Scienza innanzi a
tutto. Bisogna però distinguere la pratica, l’utilizzo della tecnica e la
ricerca. Nel primo caso, pare evidente che il tecnico che utilizza la
propria tecnica non abbia alcun obiettivo del genere, non abbia mire
scientifiche. Può accadere, accidentalmente, che una pratica tecnica
indirizzi verso una scoperta scientifica, e più spesso che il tecnico
utilizzatore partecipi a ricerche scientifiche.
Ovviamente sappiamo anche, sempre meglio, che la scienza può
svilupparsi solo attraverso una considerevole infrastruttura tecnica.
Ma questa serve alla scienza solo accidentalmente: la tecnica si svi­
luppa completamente al di fuori di questo progetto. Entriamo così
nella ricerca tecnica. Gli specialisti delle diverse scienze ripetono co­
stantemente che, di solito, queste ricerche non hanno alcun interesse
scientifico.

11 Sulla contraddizione tra Fini e Mezzi, e sull'assenza di finalità della crescita


tecnica, si veda principalmente B. Charbonneau, op. cit.\ «Quando si tratta di fini
umani che potrebbero orientare il piano, dobbiamo accontentarci di pietosi discorsi
generici su una società ‘in cui l uomo si affermerà unicamente per l'intima soddisfa­
zione del proprio essere’. Ma per quanto riguarda gli aspetti concreti della Francia
del 1985, apprendiamo che essa sarà ‘sviluppata’. Sempre nello stesso senso. Qual
è lo scopo della crescita economica? La Crescita economica». Allo stesso modo L.
Mumford, op. cit.% mostra dettagliatamente che la sola finalità concepibile e reale
della Tecnica è la crescita di potenza. Non c’è altro. Torniamo in questo modo al
problema dei mezzi: la Tecnica è designata dal mezzo più potente e dal più grande
insieme di mezzi. Perciò il solo problema della Tecnica è quello della crescita indefi­
nita dei mezzi, corrispondente allo spirito di potenza dell’uomo. Nietzsche, esaltan­
do questo spirito di potenza, si limita a preparare l’uomo predisposto all’universo
nietzschiano! Tragica contraddizione!

318
Il progresso causale e l’assenza di finalità

Basta ricordare (ma si potrebbero fare altri esempi) la dichiara­


zione di Perrin: «Lesplosione sperimentale di una bomba atomica
non ha alcun interesse scientifico». Si sa che le ricerche effettuate in
diversi centri atomici francesi sono state regolarmente giudicate allo
stesso modo. A un altro livello, d altra parte, tutto ciò è compieta-
mente confermato dalla dichiarazione di Monod che ho riportato:
la scienza non ha altro obiettivo se non la scienza stessa12 - il che è
contestabile, ma è sicuramente valido per la tecnica. La creazione
tecnica trova la propria giustificazione nella tecnica stessa. Si ricono­
sce ad esempio che le tecniche dello spazio presentano un interesse
ben più tecnologico che economico o politico, e Tuso dei satelliti
per la comunicazione non giustifica, in fin dei conti, le considerevoli
somme che vi sono state consacrate e il prodigioso sviluppo della ri­
cerca in questi campi. Sembra tuttavia evidente che la Scienza ponga
dei problemi e che per risolverli sia necessaria una considerevole ap­
parecchiatura tecnica. Se si guarda da vicino, ci si accorge che i pro­
blemi scientifici oggi posti sono in realtà frutto di progressi tecnici
anteriori13. In altre parole, un certo sviluppo di alcune tecniche pone

12 Shils, in G.R. Urban (a cura di), Survivre au futur, cit. Anche secondo lui gli uo­
mini di scienza non obbediscono a finalità esplicite nel loro lavoro: «Sono motivati
dal piacere della ricerca e dalla gioia della scoperta; alcuni credono profondamente
al valore metafisico del tentativo di chiarire la natura dell’esistenza: tuttavia sono
rari coloro che lo confessano. Di solito affermano che i loro lavori apporteranno
vantaggi materiali all’umanità, mentre nei fatti si tratta per loro di giocare una
partita rischiosa e costosa, che a loro avviso la società deve finanziare. I rapporti
tra scienza e sviluppo economico sono oscuri», non c’è alcuna finalità economica
chiara e certa.
11 Gli storici della Scienza e della Tecnica odierni propongono analisi molto diverse
da quelle di una cinquantina d anni fa. Secondo R. Mousnier, Progrès scientifane et
technique au xvt siècle, Plon, Paris 1958, la scienza in quel periodo non era per nulla
la necessaria ispiratrice dei tecnici, così come la scienza non era una «risposta» ai
bisogni sociali. Sembra che nel xvi secolo Scienza e Tecnica procedessero in modo
indipendente. Le grandi invenzioni tecniche risultano da ricerche puramente prag­
matiche e dall’utilizzo di mezzi a disposizione degli esperti, senza l intervento degli
scienziati (che non prevedevano le conseguenze tecniche di ciò che facevano). In
modo reciproco, le scoperte scientifiche hanno avuto risultati tecnici molto lenta­
mente e grazie allo sviluppo di uno «spirito tecnico». È anche l’opinione di M. Dau-
mas, tìistoire générale des Techniques, voli. 1, III. Egli però constata come attualmente
ci sia interazione tra scienza e tecnica. Mostra dettagliatamente come, oggi, la tecnica
provochi lo sviluppo scientifico, e chiama «Tecnologia» la scienza che assicura la
doppia relazione reciproca tra scienza e tecnica: è una tecnica dotta o una scienza
della tecnica. Sono particolarmente felice di vedere confermate da questi due grandi

319
I caratteri del progresso tecnico
agli scienziati nuove domande scientifiche, alle quali si può rispon­
dere solo attraverso nuovi mezzi tecnici. Ci troviamo così di fronte
a un condizionamento reciproco in cui l’obiettivo scientifico non è
primario. Sembra, al contrario, che da mezzo secolo a questa parte il
rapporto con la scienza si sia ribaltato: ormai non è più la tecnica a
essere subordinata, ma è essa stessa a legittimare la ricerca scientifica.
Tutte le proteste degli ultimi anni sulla debolezza dei mezzi accordati
alla ricerca scientifica in Francia hanno avuto al centro lo slogan «La
vera ricerca è sempre redditizia» (Chombart de Lauwe): se è neces­
sario fare ricerca scientifica, è perché F avvenire tecnico poggia su di
essa. La contestazione poggia solo sulla valutazione della redditività
della ricerca: a breve termine, dicono l’uomo d’affari o il politico; a
medio termine, dice lo scienziato. Pur essendo questa diversa valuta­
zione una «revisione completa della nozione di redditività», si vede
chiaramente che l’atteggiamento di base rimane lo stesso: la tecnica
giustifica la scienza.
Infine, si può dire che la tecnica debba essere orientata in fun­
zione della grandezza o della sovranità nazionale? Ritroviamo qui il
problema della subordinazione a un obiettivo politico. Abbiamo già
visto come il politico stesso sia già modificato. Un esempio ci viene
dato dalla questione del Commissariato per l’Energia Atomica nel
1969-1970. Nel 1952, data d’inizio del primo piano quinquennale
per l’energia atomica, si era deciso, per motivi politici e in nome
dell’indipendenza nei confronti degli Stati Uniti, di scegliere una
«filiera» specificamente francese: «uranio naturale, grafite, gas car­
bonico». A un certo punto ciò ha portato a un 'impasse, all’impos­
sibilità di proseguire ricerche e realizzazioni. Nel 1969 il governo
fu obbligato a riconoscere l’errore. Fu la crisi del Commissariato,
la decisione di costruire solo centrali nucleari a uranio arricchito, di
tipo americano. Per quindici anni si è mantenuta, con costi elevati,
una politica antitecnica per motivi politici: primato del politico sul
tecnico che si conclude, normalmente, con un fallimento.
Non ci sono finalità possibili per la tecnica. Davanti a questa ras­
segna di finalità generalmente ammesse14, bisogna concludere che,

storici le analisi che avevo effettuato nel 1950 e che sfociavano esattamente in questi
due risultati, contrariamente all’opinione dominante dell’epoca.
14 La totale vanità della volontà di subordinare la Tecnica a qualsiasi finalità

320
U progresso causale e l'assenza di finalità

se non ci si accontenta di parole, frasi fatte, è impossibile indivi­


duare nel progresso tecnico o presso gli uomini che vi lavorano una
finalità effettiva. Ci si accorge rapidamente che le finalità evocate
non sono del tutto reali né essenziali per il progresso tecnico: sono
citate occasionalmente quando vengono chieste giustificazioni. Sono
essenzialmente questo: giustificazioni al lavoro tecnico, giustificazio­
ni aggiunte a posteriori, di cui, di per sé, il fenomeno tecnico non ha
alcun bisogno: è semplicemente ciò che è, senz'altro. La tecnica si
sviluppa perché si sviluppa15.
In fine, ci uniamo a Lefebvre16 nella sua ottima analisi della so­
cietà «terrorista» (in realtà tecnica) in cui «i fini apparenti, cultura,
felicità, benessere sono mezzi, e i mezzi apparenti, il consumo, la
produzione a scopo di lucro, l’organizzazione sono i veri fini»17.

appare evidente nel superficiale e ideologico libro di J. Offredo, Le Sens du futur,


Editions universitaires, Paris 1971. Vi si trovano tutte le banalità di un progetto
di una società orientata verso una finalità. 1 problemi sono mal posti e i rimedi
inadeguati (smembrano funzioni raggruppate nella nozione di proprietà), o sem­
plicistici (una nuova concezione della politica), o ancora idealisti (la riconciliazio­
ne tra politici e scienziati). Sicuramente ci troviamo davanti a una grande buona
volontà, ma una tale ingenuità, una tale ignoranza dei rigorosi problemi posti
dalla Tecnica sono difficilmente accettabili! E dire che Fautore è stato segretario
nazionale del gruppo «Objectif 1972». Chiaramente questi obiettivi non rischiano
di essere raggiunti, né di avere una possibilità di esserlo, nel 1972 così come nel
1992!
15 E de Closets mostra correttamente a che punto lo stabilirsi di un obiettivo
extratecnico (militare, politico, di prestigio, ecc.) comporti problemi e disordine
nelFarmoniosa crescita della Tecnica. Gli esempi concreti che propone sono molto
significativi. Per di più sottolinea che gli obiettivi della tecnica divengono sempre
più incerti: «Si persegue un lavoro detto di ricerca applicata perché "può sempre
servire' e ad ogni modo ‘fa avanzare la scienza’...». Questa osservazione è una
realtà fondamentale.
16 H. Lefebvre, Position: contre les Technocrates, cit.
17 G. Simondon, op. cit., p. 151, mostra bene come l’influenza della Tecnica porti
a trasformare lo stesso problema delle finalità. «L’integrazione di una rappresenta­
zione di realtà tecniche nella cultura attraverso un elevamento e un ampliamento
del campo tecnico deve rimettere al loro posto, come Tecniche, i problemi di finali­
tà, considerati a torto etici e talvolta religiosi: ma questa considerazione puramente
tecnica delle finalità porta in realtà a obbedire di fatto a un processo causale e a
tradurre semplicemente in termini di finalità quelli che sono il movimento proprio
e la conclusione certa di questo processo. Parlare di finalità tecniche (cioè integrate
nel sistema) significa affermare che la Tecnica evolve secondo uno schema causa­
le». Simondon spiega d’altra parte molto bene la nostra ripugnanza ad ammettere
questo processo: consideriamo importanti solo i fini superiori, confondiamo la vita
con la finalità. Tutto ciò è pura giustificazione: «dove ce tecnica non può esserci

321
I caratteri del progresso tecnico

2. Obiettivi

Quali sarebbero oggi gli obiettivi, a medio termine, che, in quan­


to mire dell'avvenire, provocherebbero, interpellerebbero, determi­
nerebbero il progresso tecnico? Distinguiamo innanzitutto chi fissa
questi obiettivi: se sono non-tecnici (politici, amministratori, capi­
talisti) a determinarli, allora questi obiettivi sono disastrosi per la
ricerca. Ne abbiamo parlato nell'analisi dell'autonomia del Tecnico
quando, per ragioni politiche o sociologiche, si dice allo scienziato
o al tecnico: «Bisogna cercare questo, ecco il problema da risolvere,
ecco cosa ci aspettiamo da voi». Il risultato in questi casi è debole,
l'esperienza è già stata fatta molte volte. Perché il progresso tecnico
abbia luogo, gli è necessaria un'indeterminatezza iniziale, il bran-
colamento della ricerca che prova tutto, e non sa mai esattamente
dove stia andando. Ma questi tentativi della ricerca avvengono evi­
dentemente a partire da dati esistenti che il tecnico ha a disposizio­
ne. Tuttavia, esistono di fatto degli obiettivi18: ma questi non sono

giustificazione ultima». II processo di organizzazione tecnica esclude le altre finali­


tà facendole apparire inoperanti e questa «produzione tecnica di meccanismi teleo­
logici permette di far scaturire dall’ambito magico l’aspetto più basso della finalità.
Le nuove forme tecniche non possono essere giustificate attraverso una finalità,
poiché producono autonomamente il proprio fine come termine ultimo dell’evo­
luzione». Pertanto, lo squilibrio tra causalità e finalità scompare: ovviamente «la
macchina è esteriormente fatta per ottenere un certo risultato, ma più l’oggetto
tecnico si individualizza, più la finalità esterna scompare in favore della coerenza
interna del funzionamento; il funzionamento è finalizzato in rapporto a se stesso,
prima di esserlo in rapporto al mondo esterno. Nel funzionamento autoregolato
ogni causalità ha un senso di finalità. Ogni finalità ha un senso di causalità».
lH Chiaramente si può affermare, come fa Closets, che ci siano degli obiettivi: al­
cuni obiettivi economici, industriali, per i quali, come egli mostra, nel 1968 le spese
hanno costituito il 28% dell’investimento globale in R&D negli Stati Uniti, il 41%
in Francia, il 62% in Germania, il 73% in Giappone. Altri obiettivi militari (difesa,
esercito, spazio) hanno rappresentato il 65% negli Stati Uniti, il 60% in Francia e
Gran Bretagna, il 20% in Germania, il 3% in Giappone. Ma in realtà c’è una con­
fusione: il fatto che degli investimenti vengano destinati alla R&D non significa che
siano obiettivi economici o militari a provocare il progresso tecnico: questa finalità
porta a investire il denaro in vista del progresso tecnico, certamente, e quindi lo ren­
de possibile, ma tra i due fatti c’è solo una relazione molto indiretta e non determi­
nante. Ciò che viene qui chiamato «obiettivo» è una visione molto generale, come la
volontà di potenza, ma non permette di spiegare il progresso tecnico, tanto più che
le scoperte realizzate per un obiettivo militare non sono necessariamente utilizzate
dall’esercito e possono esserlo invece in altri settori, e lo stesso vale per l’obiettivo
«industriale». Questi obiettivi di ricerca assegnati non determinano nulla, né per

322
Il progresso causale e l’assenza di finalità

legittimi, non sono correttamente stabiliti e formulati, non hanno


alcuna possibilità di essere raggiunti a meno di essere stabiliti dagli
scienziati e dai tecnici stessi. Uobiettivo non è mai scelto in funzione
deirinteresse, dei bisogni umani19, di idee elevate, ecc., ma è fissato
da ogni specialista nella propria specialità20. E come fa lo specialista
a determinarlo? Il punto preciso è quello del limite tra possibile e
impossibile. Uobiettivo a media distanza che necessariamente ogni
tecnico si fissa è la trasgressione del limite dell’impossibile: «Attual­
mente, in questo campo di attività, possiamo fare questo. Ma non ci
fermiamo a questo punto, non possiamo. Uobiettivo è quindi giun­
gere a fare ciò che oggi è ancora impossibile. La strada è aperta fino
a un dato punto. E tracciata, ma non aperta, fino a un altro punto.

quanto riguarda il processo, né per quanto riguarda i risultati: la loro affermazione


è indispensabile solo in quanto giustificazione agli occhi dei politici e dell ammini­
strazione che decide di bloccare i finanziamenti! È Tunico scopo nel proclamare gli
obiettivi di «Ricerca e Sviluppo».
19 Diffidiamo ancora e non confondiamo i desideri di politici, umanisti, filosofi,
con i veri obiettivi della tecnica. Proclamare: «Bisogna che la Tecnica venga impie­
gata per nutrire le popolazioni affamate» è dovuto a una buona indole, ma non farà
mai avanzare la Tecnica di un centimetro. J. Baudrillard, op. cit., analizzando i biso­
gni, sottolinea che l’appagamento dei bisogni non è più un fine della società tecnica;
non ci sono, non possono esserci bisogni autonomi nel sistema tecnico, ci sono solo
bisogni di crescita. Non c’è posto per finalità individuali, ma solo per la finalità del
sistema, che è giustamente, precisamente, la crescita - cioè la causalità.
20 Quanto alla decisione degli obiettivi da parte dei tecnici, il migliore esempio ci
è dato dal rapporto della NASA, The post Apollo Program: directions far thè future,
febbraio 1970. Si tratta del limite stesso tra obiettivo tecnico e finalità. Il programma
indica un cambiamento fondamentale negli orientamenti: non si concentra più su
un’unica missione per i voli abitati, ma sulla risposta alle due seguenti domande:
come far diminuire i costi delle missioni (inteso che diventino «di routine»), come
rendere redditizio «l’uomo nello spazio»? Ciò segna la seconda fase del processo
tecnico: il programma apporta qualche risposta (veicoli polivalenti per diverse mis­
sioni, riutilizzo dei materiali, semplificazione dei sistemi impiegati, ecc.): si vede
quindi chiaramente come si stabiliscano gli obiettivi, come effettivamente diano
senso alla crescita. Ma d altra parte, nulla qui stabilisce una finalità: gli obiettivi sono
sempre tracciati perché ci sono i mezzi a disposizione, e tutto si iscrive in un sistema
privo di finalità. Ovviamente l’intervento dello Stato può qui avere un carattere de­
cisivo, a condizione però che il programma di ricerca stabilito sia di fatto costituito
dai ricercatori e lo Stato appaia come accomandante: una «domanda» governativa
importante è uno stimolante di prim’ordine. Lo si vede sempre più per gli Stati Uniti
(ad esempio C. Freeman, Recherche et développement en électronique, «Analyse et
Prévision», 1966). Un ritardo tecnico può essere rapidamente colmato a condizione
che vi sia l’infrastruttura tecnologica, ossia quando lo Stato, su avviso dei tecnici,
concentra per via di una propria decisione di ricerca i mezzi tecnici.

323
I caratteri del progresso tecnico

Oltre, non sappiamo nulla». Ogni tecnico conosce la propria strada,


e di tappa in tappa si aggiunge così un nuovo troncone. Questo è
l’obiettivo valido. In altre parole, nulla interferisce nel sistema chiu­
so della tecnica che avanza in funzione di se stessa. D'altra parte è
spesso difficile distinguere obiettivi e finalità: Cazes ha dedicato al
problema dei fini e dei mezzi in questi ambiti un bell'articolo21 in
cui tenta di definire i fini accettabili della crescita economica. Giu­
stamente sottolinea la differenza tra obiettivi e finalità, mettendo in
risalto che «non c’è equivalenza automatica tra il fine operazionale
previsto e l’incidenza che ne risulta per le finalità!». «Le finalità
possono essere gli scopi permanenti di una società così come ri­
sultano dal sistema di valori ai quali la società aderisce». Ci può
quindi essere un considerevole numero di finalità e di «giochi» di
finalità. Mostra tuttavia chiaramente che far intervenire le finalità,
in rapporto, ad esempio, a un piano economico, significa relativiz­
zare gli obiettivi e ridefinirli progressivamente. Sono perfettamente
d’accordo su questi punti e con le condizioni poste da Cazes per
determinare quali siano queste finalità. Ma quando passa in rasse­
gna innanzitutto i temi frequentemente presi in considerazione in
letteratura (solidarietà col terzo mondo, indipendenza nazionale,
progresso sociale, gestione del territorio, crescita economica), o la
scelta potenziale stabilita da Massé (tra un'economia di potenza,
un’economia di svago, un’economia di consumo, un’economia di
creazione, un’economia di solidarietà...), o ancora le tre finalità di
un gruppo di esperti (migliore ripartizione del potere professionale,
miglioramento delle condizioni di vita, lotta contro la povertà), e
quando infine propone le finalità che gli paiono rispondere a tutti i
criteri scientifici necessari (posizione nazionale nel mondo, espan­
sione del potenziale umano, crescita economica), è necessario fare
su questi esempi le seguenti osservazioni: innanzitutto, hanno senso
per l’orientamento della crescita economica, sicuramente (ed è tutto
ciò a cui Cazes mirava!), ma non necessariamente per la crescita
tecnica. Inoltre, si fa spesso confusione tra finalità puramente etiche
(solidarietà col terzo mondo, economia di solidarietà, economia di
creazione, miglioramento delle condizioni di vita) e finalità concre­
te risultanti dall attività tecnica: la potenza, lo svago. In definitiva,

21 B. Cazes, «Critique», aprile 1969.

324
Il progresso causale e l’assenza di finalità

sembra che si confondano desideri e realtà. Sicuramente, quando


si pretende di orientare l’attività economica in un senso o nell’altro
grazie a un piano, si può tener conto di desideri, valori, elevate aspi­
razioni morali, ma l’attività tecnica appartiene a un ordine diverso
da quello dell’attività economica: questa è totalmente permeata di
valori morali e sociali, che non possono essere eliminati, nonostante
tutti i rigori volti a fare dell’economia una «scienza dell’attività eco­
nomica» (il lavoro, in primo luogo, non può non essere anche un
valore morale). In altre parole, in economia si può e si deve tenere
conto dei valori morali che definiscono gli obiettivi, perché l’eco-
nomia non può essere «purgata» della propria relazione con l’etica.
Lo stesso non vale per la tecnica, che non contiene nulla di morale,
spirituale, umano. E se tento di rapportare questi diversi giochi di
finalità con la tecnica, mi rendo conto che non c’è praticamente re­
lazione possibile: sicuramente la tecnica entra in tutti questi settori,
rinforza la potenza nazionale, contribuisce a una certa espansione
umana, serve alla crescita economica... ma non si tratta di «finali­
tà»: nulla di ciò che è stato citato costituisce una finalità del progres­
so tecnico, che inoltre non può essere indirizzato in dato senso che
escludente gli altri. Come si può quindi aumentare la tecnica senza
aumentare la potenza? Finché il mondo sarà diviso in nazioni con­
correnti, come può la tecnica non essere lo strumento per eccellenza
dell’indipendenza nazionale (e quindi militare!)? Come può non es­
sere la fonte della società dei consumi? Non si tratta di obiettivi, ma
di risultati inevitabili. Quanto agli obiettivi non legati alla tecnica
(ad esempio la solidarietà con il terzo mondo, il progresso sociale)
o rimangono allo stato di desideri pietosi in rapporto alla tecnica, o
subiscono una trasformazione radicale (e spesso un capovolgimen­
to) a partire dal momento in cui, essendo trasformati in obiettivi
ridotti, vengono sottomessi alla legge della Tecnica, determinante
nella modalità di applicazione.

3. Scopi

Si può infine parlare di «scopi» a breve scadenza? Si può, ad


esempio, essere tentati di dire che lo scopo perseguito sia il denaro.
Affermazione che, in fin dei conti, credo non si possa tenere in con-

325
I caratteri del progresso tecnico

siderazione. Bisogna di nuovo distinguere diversi aspetti: per quanto


concerne il tecnico che si limita a esercitare la propria tecnica, si
tratta di un mestiere. Vi è legato dalla necessità di guadagnarsi da
vivere, contribuisce alla crescita dell’apparecchio perché vi è legato,
ne riceve soddisfazione, prestigio, denaro: ma non è un vero sco­
po quello che persegue utilizzando un dato mezzo. Da un altro lato
c’è Tinventore, colui che cerca espressamente di risolvere problemi
tecnici: non sembra che la preoccupazione del denaro sia dominan­
te; è ovviamente questione di personalità, ma credo volentieri che il
ricercatore si applichi per amore della tecnica stessa, per il proprio
inserimento nel sistema tecnico. Al contrario, si può considerare che
il capitalismo promuova il progresso tecnico per ragioni economi­
che22. I finanziamenti alla ricerca da parte delle grandi compagnie
petrolifere e farmaceutiche sono noti a tutti. Viene messo in risalto
il fatto che negli Stati Uniti le compagnie capitaliste destinano molto
più denaro alla ricerca che allo Stato, e con percentuali di investi­
mento sempre più alte. Tutto ciò è ben noto. Se le cose stanno così,
è sicuramente per via dei «capitalisti», nella speranza di guadagnare
del denaro. Ma la ricerca del profitto è per natura estranea alla tec­
nica. Essa le pone dall’esterno una finalità impropria. Pertanto il de­
naro contraddice la tecnica quanto la invoca. E perciò che da molto
tempo ci si preoccupa del fatto che, nei laboratori a finanziamento
privato, la «ricerca di base» (senza la quale le altre non sarebbero
possibili) venga abbandonata in favore della ricerca applicata. At­
tualmente, senza dubbio, oggi negli Stati Uniti si cerca di correggere
questa tendenza e di accettare una ricerca senza obiettivi redditizi.
Ma spesso il finanziatore impone un semplice miglioramento dei me­
dicinali noti, un perfezionamento dei metodi di fabbricazione, più
che una ricerca di prodotti originali23. Spesso ci si limita a modificare
la formula dell’antico prodotto incorporando una nuova sostanza,
inoffensiva, inutile (ma costosa!). La ricerca del profitto, infine, può

22 Questa tesi, diffusa tra Topinione pubblica, è generalmente rifiutata dai socio­
logi e dagli economisti, e addirittura da coloro che, come Bela Gold, L’Entreprise et
la genèse de linvention, cit., sono convinti che la Tecnica sia in definitiva sottomessa
all’economia.
23 È stimato che su cento sostanze chimiche studiate una sola porti a un prodotto
commercializzabile, e che un divario medio di cinque anni separi lo studio di un me­
dicinale dalla sua messa sul mercato. Si capisce quindi la reticenza dei finanziatori!

326
II progresso causale e F assenza di finalità

totalmente bloccare il progresso tecnico allorché si scateni il conflit­


to tra Finteresse del capitale e le tecniche troppo innovatrici, quelle
che richiedono un rinnovamento troppo rapido del materiale, quel­
le che svalutano i mezzi anteriormente utilizzati, ecc. In questi mo­
menti, come si sa, la tentazione dei capitalisti è quella di arrestare
lo sviluppo tecnico che il sistema capitalista non può assorbire. In
altre parole, resistenza di scopi come il guadagno non costituisce la
ragione del progresso tecnico.
Di nuovo, i soli validi scopi2" immediati sono quelli che il tecnico
stesso si pone nelle proprie esperienze, nel proprio uso della tecnica.
Ma questa proposizione è fatta unicamente in funzione dei mezzi
a disposizione del tecnico e all'interno delForientamento tecnico
precedentemente acquisito. Possiamo quindi dire che la tecnica non
avanza mai in vista di qualcosa, ma perché spinta. Il tecnico non sa
perché lavora, e di solito se ne preoccupa poco25: lavora perché ha
gli strumenti che gli permettono di soddisfare un dato bisogno, di
riuscire in una data nuova operazione. La considerazione precedente
alla definizione di uno scopo o di un obiettivo è sempre la valutazio­
ne dei mezzi già esistenti.
Boli26, riprendendo un'analisi di Boguslaw che cita, mostra, a ri­
guardo degli «scopi», che nel sistema tecnico vi è un processo estre-

24 B. De Jouvenel, op. cit.y solleva una domanda fondamentale quando chiede se


sia qui necessario parlare di impatti o scopi. Constata che molta letteratura ame­
ricana riguardante la R&D parla unicamente degli impatti, delle conseguenze di
queste innovazioni, ivi comprese le previsioni tecnologiche per le quali si calcolano
le conseguenze potenziali. Con ciò, afferma, ci si limita insomma a considerare che
la società riceve le novità tecniche e si accontenta di conformarvisi: «E significa­
tivo» aggiunge, «che eminenti tecnologi, consultati sul ruolo delle scienze sociali,
abbiano risposto che questo consiste nel preparare la società ad accogliere le novità
tecniche». Questa sottomissione dei tecnici sciocca de Jouvenel e, beninteso, in
quanto moralista, ha ragione. Egli sostiene fermamente che sia necessario rove­
sciare i termini e partire dagli obiettivi di benessere sociale per aggiustare la R&D.
Afferma che esiste una corrente di opinione in questo senso: mi piacerebbe, ma
non vedo come sia possibile rovesciare il processo causalista innescato. Sarebbe
quasi necessaria un'operazione psicanalitica e risalire all origine per ricostruire la
storia degli ultimi due secoli, da un punto di vista finalista!
25 Un eccellente articolo di Dangtam, Les Armes chimiques, «Science et Paix»,
1973, mostra a che punto ricercatori e tecnici ignorino talvolta ciò che fanno. Studia
approfonditamente il processo di scoperta di una sostanza chimica micidiale, il Ta-
boun, attraverso una serie di studi incrociati condotti da gruppi che si ignorano. La
chiave di volta fu in questo caso lo Stato hideriano.
26 J. Boli-Bennett, op. cit.

327
I caratteri del progresso tecnico

mamente significativo che chiama di sostituzione degli scopi inferio­


ri all'obiettivo (principle of sub goal reduction), «Fare dei progressi
attraverso la sostituzione, per il raggiungimento di un obiettivo, del
raggiungimento di tutto un insieme di scopi più ridotti e più facili».
Ci troviamo qui in presenza di un fenomeno specifico del sistema
tecnico: l’uomo si propone un obiettivo ricco di significato, di con­
notazioni, di valori, ma quando si passa allo stadio tecnico, si scopre
un considerevole divario tra ciò che la tecnica fa e F obiettivo ideale.
Comincia perciò la riduzione delFideale, lo si riduce ogni volta a ciò
che la tecnica sta per realizzare - dimostrando che Faccumulazio-
ne di centinaia di piccoli progressi tecnici costituisce Pequivalente
dello scopo ideale. Abbiamo visto, ad esempio, nel xix secolo, la
felicità, obiettivo ideale del xvi secolo, trasformata in una serie di
miglioramenti tecnici che costituiscono infine il benessere: la felicità
finisce con Tessere ridotta e assimilata al benessere. Generalmente,
come sottolinea Boli, si è giunti ad affermare che la realizzazione
degli obiettivi materiali implica la realizzazione di soddisfazioni mo­
rali, politiche e spirituali dell'umanità, dimostrando così che ciò che
Tumanità cercava a questo livello e per via spirituale e morale era
impossibile. Non si tratta di materialismo, che implicherebbe una
scelta filosofica, ma è semplicemente il necessario gioco della tecni­
ca che ubbidisce alla propria causalità, e che provoca così la sosti­
tuzione degli scopi accessibili attraverso essa agli scopi idealmente
proposti.

* ★ *

In altre parole, il lavoro tecnico effettivo avviene in ambiti in cui


esso è possibile, con metodi possibili. Che cosò che rende questa
operazione possibile? Ciò che esiste già in quanto materiale, metodo,
organizzazione, risorse, competenze, know-how: questa combinazio­
ne permette non solo di rispondere al compito esatto per cui tutto
ciò è stato fatto, ma anche di tentare un nuovo passo sulla via tecnica.
E proprio Futilizzo di strumenti acquisiti che non solo permette, ma
provoca lo sviluppo tecnico: al tecnico viene Fidea di applicare un
dato processo che fino a quel momento era stato limitato a un dato
campo, a un altro ambito, o di impiegare un dato prodotto chimico
in una nuova composizione con un altro, o di trattare Forganizzazio-

328
Il progresso causale e l’assenza di finalità

ne di un esercito come fino a quel momento si era fatto per un insie­


me industriale, ecc. Vale a dire che la tecnica avanza in funzione di, e
a causa dei risultati tecnici già anteriormente acquisiti27. Una sorta di
pressione obbliga i ritardatari ad avanzare: è la pressione della massa
di idee, strumenti, macchine, organizzazioni, ideologie, formazione
manuale o intellettuale, tutto tecnico. Non c'è richiamo da parte di
un obiettivo, ma la sollecitazione di un motore posto nella parte po­
steriore che non tollera l’arresto della macchina.
In questa autogenerazione della Tecnica, bisogna ricordare chia­
ramente da un lato che la tecnica è ambivalente, e provoca problemi
appena ne risolve, e dall’altro che si accresce attraverso i problemi
che solleva: si può dire quindi, con Boli, che «i problemi appaiono
perché le soluzioni li creano». Questi sono riconosciuti e accetta­
ti in quanto problemi perché le soluzioni tecniche sono ammesse
in quanto tali in modo «intersoggettivo» (che sostituisce il famo­
so «oggettivo»), ma anche i problemi generati dalla tecnica sono
concepiti intersoggettivamente. In una società tecnica i problemi
compaiono o per esigenza di una pianificazione efficace, o per la
capacità del sistema tecnico stesso che esige di essere applicato. La
complessità del sistema comporta interazioni così numerose che
non si vede dove potrebbe trovare spazio una qualsiasi finalità. In
realtà ogni soluzione è tecnica e definisce il problema. La difficoltà

27 Un’ottima analisi sulle ragioni del progresso americano in campo elettronico,


C. Freeman, Recherche e développement eri électronique, «Analyse et Prévision»,
1966, conclude a riguardo che non sono la consistenza dei capitali o le attitudini
a essere in causa, ma il precedente sviluppo tecnico in un gran numero di ambiti
tecnici. E stato appoggiandosi sulle possibilità offerte da queste preesistenti tecni­
che che è stato possibile avanzare velocemente e con un investimento relativamente
ridotto, Brzezinski segnala inoltre che si è tentato di precisare rinnovazione: la ri­
cerca è stata condotta dove sono state utilizzate per la prima volta 139 innovazioni
principali. Sono stati selezionati nove settori industriali dipendenti dal fenomeno
dell’innovazione (computer, semiconduttori, prodotti farmaceutici, materie plasti­
che, metallurgia, ecc.). Le conclusioni hanno mostrato che nel corso degli ultimi
20 anni gli Stati Uniti hanno conosciuto il tasso di innovazione più elevato: il 60%
delle 139 invenzioni sono state utilizzate per la prima volta negli USA, contro il 13%
della Gran Bretagna, seconda. Gli Stati Uniti, d’altra parte, raccolgono il 60% delle
innovazioni dell’ocSE - lutilizzo industriale dei brevetti è otto volte più alto negli
usa che nelPocsE, mentre il numero di brevetti nelTocsr. è ampiamente superiore a
quello dei brevetti americani. Vediamo così chiaramente fino a che punto la crescita
anteriore determini al contempo la possibilità di innovazione e in seguito il passag­
gio dall'Innovazione alFapplicazione industriale.

329
I caratteri del progresso tecnico

di comprensione del sistema tecnico risiede precisamente in questo


rovesciamento. Dal punto di vista logico e scolastico siamo abituati
a considerare che si inizia col porre i problemi prima di giungere
alla soluzione. Si può allora porre una finalità (a livello del perché
pongo il problema), ma nella realtà tecnica bisogna capovolgere
l’ordine: l’interdipendenza degli elementi tecnici rende possibi­
le un gran numero di «soluzioni» per le quali non c’è problema.
La R&D produce continuamente nuovi procedimenti per i quali
l’utilizzo viene scoperto in seguito. Quando si ha lo strumento a
disposizione ci si rende conto che può essere applicato a una data
situazione, e chiaramente i considerevoli costi di R&D fanno sì che
si debbano trovare applicazioni utili a ciò che è stato scoperto. Per­
♦ v
ciò i problemi «individuati» sono automaticamente risolti perché la
soluzione procede il problema. A queste condizioni non cè posto
per alcuna finalità.
Ogni situazione tecnica è il frutto di ciò che è stato precedente-
mente deciso, come dice perfettamente il libro di Derian e Staropo-
li. Non bisogna «dimenticare che se la domanda di elettricità per il
futuro che colui che prende le decisioni richiede all’analista è oggi
quella che è, è perché egli stesso, e prima di lui il suo predecessore,
dieci o quindici anni fa, hanno preso la decisione di investire per
fornire questa stessa energia ai consumatori».
Si possono allora porre due principi. Il primo: cè ricerca tecni­
ca solo là dove gli elementi precedenti la rendono possibile. Non è
solo l’applicazione delle tecniche a supporre una certa infrastruttura
(umana così come economica), ma anche la possibilità della crescita
tecnica. In altre parole, nei paesi del terzo mondo è assolutamente
inutile e superficiale aspettarsi un’autonomia completa nei confronti
dei paesi occidentali finché essi non avranno a disposizione un in­
sieme di fattori tecnici che permettano un progresso specifico. Non
basta giungere a permettere l'uso di un certo numero di tecniche, bi­
sogna arrivare al punto in cui la loro combinazione produce una pro­
gressione: fino a che non si arriva a quel punto, i paesi del terzo mon­
do dipenderanno dall’infusione di tecniche dall’esterno. Si sa che
se Taiuto al terzo mondo è riuscito così bene in Cile, è innanzitutto
perché questo paese aveva conosciuto una prima fase di industrializ­
zazione alla fine del xix secolo con i nitrati. Anche dopo il crollo di
questo sfruttamento, rimase una primitiva base tecnica, così come un

330
Il progresso causale e l’assenza di finalità

certo sviluppo tecnico rurale e minerario28. A partire da queste basi


l’aiuto delle Nazioni Unite è efficace: esso consiste principalmente
nel coordinare, nel combinare tutte le possibilità tecniche. Il model­
lo cinese è invece completamente errato. Nella crescita tecnica non
c e alcuna possibilità di sostituire la combinazione dei fattori tecnici
con la manodopera, l’energia, l’ideologia: attraverso Fuso estremo di
una manodopera sovrabbondante si possono ottenere risultati (non
tecnici) equivalenti a quelli ottenuti attraverso mezzi tecnici, ma ciò
non può condurre all’avvio della crescita tecnica, che non può essere
fatta a partire da un fattore umano. E la lezione dei successivi falli­
menti in Cina da ventanni a questa parte.
Il secondo principio: ogni elemento acquisito sarà utilizzato in una
ulteriore ricerca. Così come per l’applicazione delle tecniche abbia­
mo potuto affermare che tutto ciò che esiste sarà necessariamente
applicato, nulla di ciò che è possibile sarà trascurato, lo stesso vale
per la ricerca. Alcuni procedimenti possono essere trascurati, alcuni
fattori tecnici possono sembrare per un periodo senza futuro, ma
riappariranno in occasione di una nuova applicazione, e saranno
bruscamente rimessi in gara. Nulla va perso nel mondo tecnico. Una
tecnica che avanza ricade sulle altre e talvolta le ravviva.
Simondon ha perfettamente dimostrato questo processo di evo­
luzione causale a più livelli. Innanzitutto quando mostra che l’evo­
luzione dell’oggetto tecnico avviene per soppressione degli effetti

28 L’ottima inchiesta di Mme Vicheney sul Giappone: De la Technique à la Scien­


ce, «Le Monde», giugno 1972, mostra il percorso inverso a quello a cui siamo
abituati nell’ambito della relazione tra ricerca di base e Tecnica: in Giappone si
sta risalendo dalla tecnicizzazione a oltranza verso la scienza e la ricerca di base.
Il Giappone è un caso molto interessante poiché la tecnicizzazione si è sviluppata
pressoché senza alcuna base scientifica. Ciò è sicuramente dovuto alle condizioni
nelle quali la tecnicizzazione è avvenuta, con la volontà in primo luogo di imita-
re gli Occidentali e di adottarne gli strumenti di potere, ma forse dovuta anche
alla psicologia e alla struttura sociale giapponesi, particolarmente adatte all’azione
tecnica. Tuttavia, attualmente, c’è un orientamento verso la ricerca di base per
accedere a un’indipendenza nazionale industriale e tecnica. Ma la scienza appare
qui essenzialmente come un accessorio del tecnico (il quale è self sufficient), e
questo autoaccrescimento della tecnica, senza freni, senza incroci, senza limiti ha
prodotto il cosiddetto «miracolo giapponese» dal punto di vista economico. Per
fare ciò non è stata necessaria quella che viene ritenuta la chiave del progresso tec­
nico ed economico nel mondo occidentale, ossia i bisogni militari. No, la tecnica
si è sviluppata in Giappone autonomamente, in un processo autonomo, causale e
autoaccrescentesi.

331
i caratteri aei progresso tecnico

secondari che possono essere d'ostacolo, e attraverso la specializza­


zione di ogni struttura come «unità funzionale sintetica positiva».
«Uoggetto tecnico concreto è quello che non è più in lotta con se
stesso, quello in cui nessun effetto secondario nuoce al funziona­
mento dell’insieme». La tecnica stessa così evolve eliminando ciò
che le impedisce di realizzarsi perfettamente: è una progressione
senza obiettivo esterno. Ma Simondon stesso generalizza: «Devolu­
zione degli oggetti tecnici può divenire progresso solo se gli oggetti
tecnici sono liberi nella propria evoluzione e non necessità nel senso
di un’ipertelia fatale. Perché ciò sia possibile, bisogna che Fevolu-
zione degli oggetti tecnici sia costruttiva, cioè che costruisca questo
terzo ambiente tecno-geografico in cui ogni modifica è autocondi­
zionata. Non si tratta di un progresso concepito come cammino in
una direzione anticipatamente prefissata, né di un’umanizzazione
della natura». Si stabilisce così la connessione tra tecnica in quan­
to ambiente e il processo di sviluppo non finalista ma causale. La
causalità gioca alTinterno delF ambiente e va di tecnica in tecnica.
Simondon analizza il processo stesso di questa causalità che va dagli
insiemi (tecnici) globali e anteriori agli elementi posteriori: questi
elementi appaiono in un'unità tecnica, ne modificano i caratteri, il
che comporta una modificazione di un insieme tecnico determina­
to: c’è la causalità dell’elemento ridotto alFinsieme. Ma in seguito
il meccanismo produce una seconda causalità, che va dall’insieme
verso ciascun fattore: si tratta del carattere di un insieme che inclu­
de la propria causalità in se stesso. Si tratta di ciò che avviene, ad
esempio, non solo attraverso l’invenzione di nuove macchine, ma
anche attraverso la comparsa di nuovi prodotti. Mano a mano che si
sviluppano processi tecnici, compaiono nuovi prodotti chimici (ad
esempio nella produzione di energia atomica): bisogna pur farne
qualcosa. Non si tratta solo del rifiuto. Allo stesso modo la com­
binazione di ricerche chimiche comporta, in modo causale, nuovi
prodotti, come il Makrolon. Nessuno cercava a priori un prodotto
determinato, trasparente, resistente alla rottura, alla deformazione,
al calore, ecc. Ma quando la nuova sostanza è a disposizione, di­
venta evidentemente indispensabile. Infine le ricerche dei fisici a
partire da calcoli teorici (basate ad esempio sugli elementi transura­
nici) hanno portato alla nascita di elementi chimici «che ancora non
esistono» ma che esisteranno necessariamente. La ricerca, qui com-

332
Il progresso causale e l’assenza di finalità

pletamente teorica e quindi diversa dai due casi precedenti, è anche


causale - si è orientati verso la scoperta degli elementi pesanti, s
calcola che gli elementi 112, 114, 126 siano suscettibili di esistere
ma è perché ci si è innanzitutto lanciati in questa direzione per unì
ipotesi anteriore, che determina il seguito.
Per rendere effettivamente conto del modo in cui la tecnica prò
cede, bisognerà trasferire in questo ambito le ricerche di Thomas S
Kuhn sulla scienza29.
Non bisogna dimenticare che la crescita tecnica risulta dal modo d<
procedere dei tecnici, e che questo può essere caratterizzato, essende
il modo di procedere di esperti, da una gran quantità di esperienze e
osservazioni. Tutte le tecniche procedono in modo sperimentale, pei
tentativi successivi, aggiustamenti, confronti di esperienze, ciascune
dei quali deve essere riuscito e servire da base a una pratica succes
siva. E un modo di procedere successivo, che va sempre in direzione
di una diversificazione e di una complessificazione crescenti, che ri­
sponde sicuramente a un'aspettativa, ma senza una vera spaccatura
e una brutale innovazione. Ovviamente, ogni tecnico deve essere al
corrente del progresso di metodi comparabili, di soluzioni ai proble­
mi prossimi, di nuove conoscenze e pratiche negli ambiti connessi.
Siamo sempre più costantemente spinti verso il metodo sperimenta­
le, che comprende, ricordiamolo, sei aspetti principali: osservazione
dei fenomeni, selezione delle grandezze significative, costruzione di
un modello rappresentativo (in tutte le ricerche tecniche la costru­
zione di un modello è sempre più importante), estrapolazione del
comportamento del modello, sperimentazione, definizione dell1 am­
piezza del campo di validità. Vediamo così chiaramente fino a che
punto tutto funzioni in modo causale.
Kuhn insiste sul carattere causale dello sviluppo scientifico: «Il
processo di sviluppo descritto in questo saggio è un processo di evo­
luzione a partire da un'origine primitiva. Ma nulla di ciò che è stato
o che sarà detto ne farà un processo di evoluzione verso una qualsiasi
cosa. Siamo abituati a vedere la scienza come un'impresa che si av­
vicina ogni giorno di più a un certo obiettivo fissato in precedenza

29 T.S. Kuhn, La Structure des révolutiom scientifiques, Flammarion, Paris 1972


(ed. or. The structure o/saentific revolution, The University of Chicago Press, Chi­
cago 1970).
I caratteri del progresso tecnico

dalla natura. Ma questo obiettivo è necessario? Non possiamo ren­


dere conto dell'esistenza della scienza, cosi come del suo successo in
termini di evoluzione, a partire dallo stato di conoscenze del gruppo
scientifico in un qualsiasi momento?». E quanto Kuhn dimostra per­
fettamente.
L'idea generale è che la Scienza non procede per accumulazione
lineare, contrariamente a quanto si crede di solito. Generalmente
si pensa che una scoperta o un’invenzione si aggiungano a un’altra,
cosa che Kuhn dimostra essere inesatta. La Scienza avanza per balzi
e cambiamenti di direzione. In realtà, ogni evoluzione lineare poggia
su «paradigmi», e quando si è obbligati a cambiare paradigma, tutta
F evoluzione si trova modificata. I paradigmi sono per Kuhn «le sco­
perte scientifiche universalmente riconosciute per un periodo, che
forniscono ai ricercatori i problemi da risolvere e le soluzioni». Ma
allo stesso tempo, questi paradigmi, idee fatte, delimitano il campo
di lavoro e di ricerca degli scienziati per un periodo più o meno lun­
go. Gli scienziati non vedono la realtà pura e semplice, poiché essa
viene obliterata dai paradigmi. Vedono solo il campo della realtà de­
limitato da questi concetti. Il paradigma fornisce alla ricerca scienti­
fica base (il contesto di scoperta) e legittimazione (è necessario che
la ricerca, per essere legittima, avvenga su una data base e in una
data direzione per essere legittimo: è un contesto di giustificazione).
Il ricercatore lavora, pur senza rendersene conto, a partire da queste
idee teoriche date o da queste «tacite conoscenze». Il paradigma
non è una semplice questione di metodo o di regole di ricerca: è
veramente la visione del mondo aH’interno della quale lo scienziato
deve lavorare. Sebbene l’insieme di paradigmi possa determinare il
progresso della scienza senza l’intervento di regole percepibili. Ge­
neralmente ci si rende effettivamente conto di ciò sulla base di cui si
è lavorato solo quando vi è una mutazione dei paradigmi. Quando si
passa dall’astronomia tolemaica a quella galileiana, dalla concezione
dello spazio e del tempo di Newton a quella di Einstein, ecc. I pa­
radigmi danno allora sfogo a una creatività destinata a trarne tutte
le conseguenze, a esplicitare tutti i fatti grazie alla «teoria» fondata
su di essi; devono essere strutturati, precisati in condizioni sempre
più rigide, e ci si spinge in questi campi il più lontano possibile.
Generalmente, per un certo periodo, ci si rifiuta di vedere i limiti,
di prendere in considerazione i fallimenti. Il paradigma è ritenuto

334
II progresso causale e l’assenza di finalità

vero . È veicolo di una teoria scientifica e strumento di lavoro e di in­


terpretazione. Ha una funzione simultaneamente cognitiva e norma­
tiva. Ciò che si costituisce come corpo di «leggi», di esperienze, di
teorie, di soluzioni nella cornice fissata dal paradigma è considerato
scienza «normale», costituita dalla determinazione dei fatti signifi­
cativi, dalla concordanza tra fatti e teoria, dalla precisione sempre
maggiore della teoria: tutta la letteratura scientifica per un certo pe­
riodo è fissata su questi tre obiettivi. I paradigmi sono infine sempre
rinforzati dal fatto che gli scienziati costituiscono un corpo sociale,
si scambiano idee, hanno bisogno di solidarietà, si controllano a vi­
cenda. C’è una sorta di ortodossia di gruppo, tanto più forte quanto
più vicina all’origine del paradigma, tanto più pesante quanto più
il gruppo è numeroso. Gli scienziati hanno avuto una formazione e
un’iniziazione professionale simili, che al contempo li distinguono
da altri specialisti e li richiudono nei paradigmi che sono serviti alla
costituzione della specialità.
Progressivamente, tuttavia, i fallimenti si moltiplicano, fenomeni
inspiegabili cominciano a imporsi, nuovi problemi compaiono, in­
solubili nel quadro dei vecchi paradigmi. Di solito sono giovani o
novizi della specialità a essere sensibili a lacune e fallimenti. Risal­
gono all’origine mettendo in questione il paradigma. Il ruolo della
gioventù nella ricerca scientifica di base e nella scoperta di un nuovo
paradigma è essenziale. Si produce allora un conflitto tra la «scienza
normale» e le conseguenze di un nuovo paradigma. Il che, in realtà,
non è una combinazione possibile: è un salto qualitativo. «Sebbene il
mondo non muti in conseguenza di un cambio di paradigma, l’uomo
di scienza lavora ormai in un mondo diverso». Perché fino a quel mo­
mento «l’uomo di scienza, in virtù del paradigma accettato, sapeva
sin dall’inizio quali erano i dati del problema, quali strumenti pote­
vano essere utilizzati per risolverlo, e quali concetti potevano guidare
la sua interpretazione. Ma questa interpretazione può solo precisare
un paradigma, non cambiarlo». Si tratta perciò di una demolizione
di tutto ciò che si era creduto essere scienza e della sostituzione con
una nuova scienza, con nuovi paradigmi. Si procede quindi a una
sorta di selezione tra ciò che era stato precedentemente scoperto e a
una nuova interpretazione degli antichi fenomeni e delle antiche leg­
gi. La Scienza procede così per rotture e cambiamenti di direzione.
E la tecnica, contemporaneamente, subisce le conseguenza di queste

335
I caratteri del progresso tecnico

mutazioni paradigmatiche, ma comporta anche, nel proprio svilup­


po intrinseco, un processo fatto di rotture e sostituzioni: la tecnica,
contrariamente a quanto si crede, non è solo una somma indefinita
di procedimenti. Si tratta di insiemi di mezzi che si sostituiscono ad
altri insiemi di mezzi.
E il motivo per cui c'è una considerevole differenza tra tecnico e
scienziato. Quest’ultimo, come ha mostrato Kuhn, è necessariamente
chiamato, a un certo momento, a mettere in questione la teoria a par­
tire dalla quale lavora. E il gioco di paradigmi mostrato da Kuhn. Ed
è una questione intellettuale. Lo scienziato in realtà è limitato solo
dai paradigmi secondo i quali lavora, ai quali è abituato, in funzione
dei quali è stato formato. Se possiede una libertà intellettuale grande
a sufficienza, può rimetterli in causa e costruire un nuovo sistema in­
terpretativo; al contrario, il tecnico è perfettamente rinchiuso all’in­
terno della rete di applicazioni tecniche funzionanti. Da un lato ci
sono gli investimenti già fatti: quando ci si accorge dell’errore, non lo
si può correggere, perché significherebbe cancellare in un istante mi­
liardi già investiti (e ciò resta valido in uno Stato socialista!). Dall’al­
tro lato ci sono i gruppi partecipanti al lavoro. Sicuramente anche
lo scienziato ha il proprio «corpo professionale», ma separandosene
non lo distrugge: ne è, tutt’al più, escluso egli stesso. Non si può
sconvolgere una data tecnica perché migliaia di persone guadagnano
da vivere grazie a quella data applicazione. Infine, la tecnica costitui­
sce il quadro di vita della gente: non la si può sconvolgere, annullare
un dato insieme di processi, di prodotti, di apparecchiature, perché
la gente vive grazie a essi. Bisogna avere il consenso della gente, è ne­
cessario un cambiamento d’opinione, perché questa trasformazione
sia possibile. Il tecnico non può sconvolgere o riorientare la tecnica
perché essa è definita nel proprio progresso dall'«apparecchiatura»
professionale (psicologica e materiale). Si tratta di un altro aspetto
decisivo della causalità.
In realtà, la tecnica avanza in un settore fino al massimo possibile30,
fino a scontrarsi con un’impossibilità (proveniente di solito dall’ester-

30 Richta analizza molto sensatamente la differenza di natura esistente tra la cresci­


ta del capitale e la crescita economica che ne deriva, e la crescita tecnica che non si
basa su un accumulo di capitale, ma sulla complessifìcazione delle esperienze e delle
interconnessioni tra scienza e tecnica.

336
Il progresso causale e l’assenza di finalità

no: limite di denaro, di materia prima, ecc.). Fino a che si permane


in una direzione (all'interno di un paradigma, direbbe Kuhn), non si
vede nienf altro, non si cerca nulla in altri ambiti. Quando sorge un
blocco, viene ad esempio a mancare una fonte di energia, allora, per
ottenere io stesso risultato, si sostituisce la vecchia tecnica con una
nuova. Si procede quindi dall'impossibilità. L'energia solare o geo­
termica sono così state considerate prive di interesse fino al sorgere
di problemi in relazione al petrolio. Il nuovo progresso tecnico è ora
condizionato dall'impossibilità di continuare a fare assegnamento
sull'energia derivata dal petrolio.
Consideriamo la «ricerca spaziale e l'astronautica» - è divenuto
comune, anche in urss, affermare che non servano a nulla, e che bi­
sogna opporre alla ricerca spaziale le spese considerate utili: costru­
zione di abitazioni, ricerca agricola, ecc. Di fronte a ciò, gli scienziati
parlano di un certo numero di utilità per quanto riguarda lo sviluppo
delle comunicazioni, della diffusione istantanea di informazioni (Tel
Star), che permetterà un notevole progresso per quanto riguarda
l educazione a livello mondiale in alcuni ambiti utili (come imparare
le più evolute tecniche agricole, le pratiche anticoncezionali, ecc. Pu­
dicamente si cela l'utilizzo per un’eventuale guerra). A più lunga sca­
denza, alcuni seri scienziati parlano di estrazione mineraria31, e addi­
rittura di agricoltura: si prevede già che poco dopo il 2000 saranno
possibili coltivazioni di alghe sulla superficie atmosferica esterna di
Venere, le quali assorbiranno Feccesso di ossido di carbonio, libere­
ranno ossigeno e serviranno, eventualmente, come complemento ali­
mentare. Ma quando si esaminano queste innumerevoli «utilità», ci
si rende conto che si tratta semplicemente di utilizzare ciò che esiste
o esisterà. La ricerca non è stata fatta per coltivare alghe su Venere.
Ma dato che si va sulla Luna, che cosa se ne può fare? Quando si
ha lo strumento, bisogna servirsene e renderlo utile. Non è un dato
obiettivo, una data utilità a determinare le ricerche: è perché è stato
raggiunto un certo livello di Tecnicità, in elettronica, radio, carbu­
ranti, metalli, cibernetica, ecc., che tutto ciò, combinato, ha portato

31 Non si parla ormai di polvere lunare come fertilizzante? D'altro canto lascerei
da parte ammirevoli argomenti come quello che paragona la scoperta della Luna a
quella deU’America. E l’autore aggiunge: «Non ci voleva che l’America fosse scoper­
ta?». Ma certo! Di fronte a tali argomentazioni si può dubitare della sopravvivenza
del minimo spirito critico!

337
I caratteri del progresso tecnico

all’evidenza di una possibilità di andare nello Spazio, ecc. Lo si è


fatto perché si poteva. Ecco tutto.
Il tecnico si trova in presenza di un dato prodotto, di un dato me­
todo, di un dato strumento: si tratta di utilizzarli al meglio. In questo
utilizzo, ovviamente, si ha la combinazione di tutti i fattori esistenti.
L’innovazione consiste nella combinazione di questi fattori32. Non
bisogna più concentrarsi sulla differenza tra il semplice utilizzatore
(a livello più basso, Yautomobilista) e l’inventore di nuove tecniche:
i due si avvicinano mano a mano che le tecniche si affinano e si mol­
tiplicano. Si sa così che gli astronauti (utilizzatori) sono strettamente
associati alla ricerca spaziale. Si lavora in funzione dei passati pro­
gressi tecnici, ed è quindi evidente che gli utilizzatori siano i migliori
giudici. Il tecnico agisce con ciò che il precedente progresso tecnico
gli ha messo a disposizione: la tecnica anteriore è in realtà la causa di
quella seguente.
Essa scatena alcuni effetti che rappresentano direttamente un
nuovo progresso tecnico o la componente di questo progresso33. Il

32 Si tratta di un fenomeno di progresso causale che spiega solitamente anche gli


«errori» di previsione commessi da uomini celebri. Sono note le perentorie affer­
mazioni di filosofi o scienziati che si sono ingannati: Comte, che diceva che non si
sarebbe mai saputo nulla sulla natura delle stelle; Newcomb, che affermava che non
fosse possibile far volare un motore più pesante dell’aria; e negli ultimi vent anni
un grande scienziato ha dichiarato che non è possibile conoscere nulla sul nucleo
dell’atomo, un altro, nel 1965, che Fepoca di progressi in campo di computer era
ormai conclusa, ecc. In realtà tutti gli errori sono dovuti al fatto che si mira a un
obiettivo, che non si sa come raggiungerlo, e si conserva quindi una visione finalista,
quando il progresso tecnico avviene per combinazione di mezzi. E questo errore di
concezione che ha fatto si che il numero di invenzioni previste e annunciate sia stato
relativamente ridotto.
33 Notevole a questo riguardo e su questa linea è lo studio dello sviluppo delle
tecniche dei computer: IBM si è assicurata un’indiscussa supremazia più per Tutilizzo
progressivo e sistematico di tutte le possibilità esistenti che per invenzioni geniali ed
esorbitanti: il che significa chi ogni nuovo modello non era «rivoluzionario» ma rap­
presentava un progresso razionale decisivo a ogni passo dal punto di vista tecnico
(si veda ad esempio J.-L. Lavallard, Des circuits intégrés par millionsy «Le Monde»,
gennaio 1970). È questo progresso causale che si esprime in realtà in formule diffuse
e banali come: «Non si ferma il progresso» (se il progresso avvenisse in funzione di
un obiettivo, sarebbe ovviamente possibile modificarlo o arrestarlo: non si arresta
il progresso, significa che esso è lanciato come una locomotiva, e possiede in sé la
propria causa), o il titolo di W. von Braun: Les Étas-Unis sont condamnés à entretenir
leur avance tecbnologique, «Le Monde», febbraio 1972: «Il mantenimento delTevo-
luzione tecnologica è per gli Stati Uniti una questione di vita o di morte» - non si
può dire in modo migliore che ciò che è stato fatto determina in modo rigoroso ciò

338
Il progresso causale e l’assenza di finalità

progresso tecnico ha quindi luogo, ma senza obiettivo. Non serve a


nulla voler porre dei fini al progresso tecnico, o discutere di questi
fini. Si può sempre discutere all’infinito: non c’è alcun interesse in
ciò. Il segno concreto, come abbiamo già detto, è che i discorsi dei
filosofi e degli umanisti sui fini da proporre ai tecnici non giungono
mai a destinazione, non producono alcun effetto. Si potrebbe crede­
re che tutto ciò sia accidentale: al contrario, se si sono comprese le
condizioni reali del progresso tecnico, ci si rende conto che questa
assenza di comunicazione è dovuta alla natura stessa del fenomeno.
Questo progresso avviene senza fine alcuno: non gliene si può impor­
re uno, e ancora meno cambiarlo. Ciò può soddisfare Fintellettuale o
il politico, che possono così credere di aver fatto il proprio dovere e
tutto ciò che potevano fare: ma ciò non ha alcun valore.
Dopo qualche anno ci accorgiamo che quando i fini vengono
messi in discussione tutto continua il solito tran tran come se nulla
fosse. Ci sono stati enormi cambiamenti politici, ma nulla è cam­
biato per quanto riguarda la crescita tecnica e i suoi effetti. Le fina­
lità della medicina sono state sconvolte dalla cosiddetta medicina
sociale, ma nulla è cambiato per la creazione di una mentalità di
malato collettivo, ecc. Le finalità della costruzione automobilistica
sono state messe seriamente in discussione, ma nulla è cambiato,
invece, quando viene a mancare un mezzo, le finalità spariscono!
La crisi del petrolio è un buon esempio della nostra incredibile sen­
sibilità nei confronti dei mezzi. Ci sentiamo perduti perché manca
il «mezzo petrolio». Non è il sistema tecnico a essere fragile, ma lo
siamo diventati noi: improvvisamente ci sembra impensabile, in­
concepibile poter guidare un po’ meno, avere limitazioni all’uso
dell’auto, avere un po’ meno illuminazione. E la «crisi» totale!
Ci si è resi conto di questa fragilità in occasione della questione
del ripetitore televisivo distrutto in Bretagna! Panico e situazione
inammissibile: privare una regione di televisione per una settima­
na. Addirittura «Le Monde» ne fece un dramma. La privazione di
mezzi ci sembra inammissibile: vengono colpiti il senso e il valore
della nostra vita!

che verrà fatto, che non si è padroni di scegliere: la scelta è fatta in funzione di ciò
che è stato fatto fino al momento attuale, che costituisce la causa di ciò che non può
fare a meno di continuare a essere fatto!

339
I caratteri del progresso tecnico

Non avendo fine, la Tecnica non ha nemmeno senso: cercare di


scoprire un senso, significa precludersi un'analisi corretta del pro­
blema. Quanto a voler attribuirle un senso, significa fare una vera
operazione mitologica. In presenza di questo enorme oggetto, Fuo-
mo vuole umanizzarlo, trovare un?unità di misura comune, e perciò
gli attribuisce un significato. Esattamente Foperazione che alcuni
ritengono sia stata alForigine delle religioni: si sente il tuono, non
è possibile che ciò che mi spaventa e che agisce su di me non abbia
senso, perché ha un effetto. Non è possibile che sia un fenomeno
totalmente estraneo: posso quindi attribuirlo a un individuo più po­
tente di me, ma simile a me, un Dio che prova sentimenti come me,
e il Tuono diventa manifestazione, comprensibile, dotata di senso,
di questo Dio3*1. I filosofi che vogliono attribuire un fine o un si­
gnificato alla tecnica percorrono, inconsciamente, questo cammino.
«Antropologizzano» e «mitologizzano» il fenomeno tecnico. Biso­
gna al contrario collocarsi chiaramente di fronte a questo fenome­
no, e ci si accorge così che la tecnica non è giustificata in rapporto
ad alcunché di ciò che costituiva il precedente universo delFuomo.
Non appartiene ad alcuna costellazione conosciuta. Essa è sufficien­
te a se stessa, si condiziona da sé, si colloca solo in rapporto a sé. Se
perciò si vuole agire su di essa, non lo si può fare né a livello delle
finalità, né a quello del significato (ossia del discorso). Si può inter­
venire concretamente solo a due livelli: o si può tentare di agire sulle
componenti a partire dalle quali si svilupperà il prossimo progresso
tecnico. Ma è allora necessario essere tecnici e simultaneamente cri­
tici nei confronti della tecnica, lucidi e decisi a modificare il sistema.
Il che mi sembra fino a ora una combinazione umana inconcepibile.
Quando un tecnico vuole liberarsi della propria tecnica e agire, si
lancia in politica, comportamento assurdo per eccellenza. Oppure,
bisogna tentare di inventare mezzi non tecnici eppure applicabili
per vivere e sussistere in questo campo tecnico, mezzi che esigono
grande invenzione ed energia, che permettono di collocarsi in modo
diverso in rapporto all’universo tecnico. I tentativi degli hippy, ad
esempio, dai quali però, a questo livello, c’è poco da attendersi,
perché portano a costituire una società ai margini, senza alcuna in-

M Ovviamente so che questo tipo di spiegazione della religione oggi non è più
ammesso!

340
Il progresso causale e l’assenza di finalità

fluenza sulla Tecnica, e un modo di vita rigidamente tributario delle


tecniche esteriori, poiché questa società ai margini si sviluppa solo
grazie alle considerevoli possibilità fornitele daH’infrastruttura tec­
nica35.

Concludendo, è meglio cercare di dissipare una confusione: ho parlato, fino a


ora, di progresso tecnico in quanto sistema e nella propria globalità. Chiaramente so
che in ogni settore vengono proposti dei fini, ma anche in questo caso essi sono tri­
butari dei mezzi. Il caso più interessante è quello del «piano» a lungo termine, Hori-
zon, 1985, oppure il piano ventennale stabilito dal Comitato di Stato Sovietico per la
Scienza e la Tecnica, 1961. Nel caso occidentale si impiega un metodo prospettivo,
che costituisce modelli in funzione dell'orizzonte scelto, che esprime Pauspicabilità,
ai quali si riferiscono in seguito gli «orizzonti intermedi». Alla fine, tuttavia, i model­
li considerati esprimono le preferenze personali degli esperti oppure le conseguenze
delle principali posizioni politiche e filosofiche esistenti nella società: ma si tratta di
una valutazione di possibilità a partire dal tecnico esistente, basata su una possibilità
non rigida di evoluzione. Nel caso sovietico, il modello è unico, in funzione di un
atteggiamento prospettivo: si parte dall’osservazione dello sviluppo delle tendenze
attuali, si cercano le soluzioni da apportare alle prevedibili contraddizioni. Ma ciò
si verifica a partire dall’applicazione della teoria marxista, considerata in grado di
selezionare il modello migliore poiché permette di avere una conoscenza scientifica
delle relazioni tra progetti individuali o collettivi e la loro determinazione da parte
delle strutture sociali. In realtà i due sistemi non sono così distanti come si direbbe,
perché, tra i diversi modelli elaborati dalla prospettiva occidentale, ciò che deciderà
non sarà l’ideale da raggiungere ma la crescita dei mezzi tecnici in un dato settore
piuttosto che in un altro!

341
Capitolo quarto
IL PROBLEMA DELL’ACCELERAZIONE

Incontriamo qui per la prima volta il problema della previsio­


ne1, o della prevedibilità nel Sistema Tecnico. E meglio affrontare
direttamente almeno questo punto in particolare. Porre la questione
dell’accelerazione del progresso tecnico significa porre la questione
delle possibilità di evoluzione di tutto il Sistema. Da un lato ci sono

1 Si sa che ne esistono più tipi, dalla previsione alla prospettiva. La Previsione li­
neare semplicista, semplice prolungamento delle tendenze registrate statisticamente
per estrapolazione negli anni precedenti. La previsione con modelli di correlazio­
ne, con analisi di input e output (che si basa sempre su perequazioni statistiche),
i modelli analogici (in cui si pongono le grandi linee di una configurazione, forse
illusoria), i modelli congiunturali (in cui si stabiliscono correlazioni probabili tra
le osservazioni), tutto ciò si basa sulla convinzione che il domani sia condizionato
dallo ieri, ma ancora di più che il progresso di ieri provochi il progresso di domani.
La Prospettiva procede in modo diverso: si cercano i meccanismi esistenti, ma con
la convinzione che non produrranno necessariamente un futuro accettabile: si tratta
di procedere da un lato a valutazioni, giudizi, e di introdurre una volontà di cam­
biamento nei confronti del problema, a livello di possibilità e auspicabilità. Si tratta
anche di valutare i processi di intervento. Giustamente è stato sottolineato che tutto
ciò era già noto a Marx: la previsione per quanto riguarda l’evoluzione del capita­
lismo, la prospettiva per quanto concerne il divenire della rivoluzione: «Il pensiero
prospettivo rappresenta la sintesi tra diversi modi di procedere: ricerca dell’igno­
to, interrogazioni della Storia per ritrovare le analogie strutturali vitali, valutazioni
delle tendenze politiche, sociali, economiche, ecologiche, analisi della solidità delle
credenze e delle istituzioni, ma anche la misura degli uomini la cui volontà e i cui
atteggiamenti esprimono le potenzialità di un’epoca»; A. Reszler, Marx et la pensée
prospective, 1975. A riguardo si veda l’eccezionale studio di R.V. Ayres, Technologi-
cal forecasting and long-range planning, McGraw-Hill, New York 1969.

343
I caratteri del progresso tecnico

fatti evidenti, che appaiono chiaramente, dall'altro aspetti incredi­


bilmente complessi per quanto riguarda lo stabilirsi di fatti e metodi
applicabili.
Tutti sanno che il rapporto Meadows (Club di Roma, mit, ecc.)
ha duramente posto (nonostante il metodo scientifico possa essere
contestato e le conclusioni non siano così evidenti come si potrebbe
credere!) la questione dei limiti della crescita tecnica: esistono limiti
fisici alla prosecuzione dell'espansione demografica e industriale ai
ritmi registrati negli ultimi vent’anni? Si conosce la risposta. La su­
perficie terrestre coltivabile è limitata, l'espansione della produzione
alimentare è legata alle disponibilità di risorse non rinnovabili, e si
calcola che le riserve non siano considerevoli. Anche se le risorse
naturali non saranno esaurite, in cinquantanni avranno raggiunto
prezzi proibitivi. La crescita tecnica si accompagna a una crescita di
inquinamento che renderà lo sviluppo impossibile. Gruson, nel suo
ottimo studio2, conferma queste conclusioni su un punto essenziale:
romanità rischia di rimanere presto senza fonti di energia. Le riser­
ve di petrolio non sono inesauribili. Da qui a trent'anni, bisognerà
scegliere tra il ritorno generalizzato al carbone o il ricorso massiccio
all’energia nucleare nonostante i pericoli. Per tutti questi motivi, e
per altri ben noti, Meadows propone la crescita zero, il passaggio
dallo stato di crescita allo stato di equilibrio, in cui il problema non
sarà più lo sviluppo della produzione ma la distribuzione corretta
del prodotto. II problema che si pone nella prospettiva di questo
capitolo è quindi il seguente3: si assisterà a un blocco volontario, de­
ciso dall’uomo stesso (ipotesi Meadows), a un blocco catastrofico,
involontario, dovuto a un crollo (ipotesi Vacca), o a una decelerazio­
ne progressiva, a un rallentamento del progresso tecnico? Sarebbe
l'ipotesi più soddisfacente, ma mi vedo obbligato a constatare che
quasi nessuno la prende in considerazione. Non si vede infatti, dato
il sistema di progresso causale della Tecnica, come possa prodursi
questa progressiva decelerazione. In realtà non credo personalmente
ad alcuna di queste tre ipotesi. Credo invece allaumento degli squi-

2 C. Gruson, Affamé d’energie, «Le Monde», 1972.


3 Si vedano due buoni studi sull’accelerazione del progresso tecnico da un punto
di vista economico: F. Scheurer, Les problémes financiers de Ìaccélération du progrès
technique, e L. Dupriez, Laccélération du prògrès technique, nel numero speciale
della «Revue d’Economie politique», dedicato a questa questione nel 1966.

344
U problema dell’accelerazione

libri e delle disfunzioni all'interno del sistema che comporterà, non


un rallentamento, ma un disordine per assenza di feed-back in grado
di produrre una decelerazione dell’insieme del sistema.
E semplice constatare il fatto che da un secolo e mezzo la Tecni­
ca evolve sempre più rapidamente^. Se risulta banale affermare che,
sotto tutti gli aspetti, c’è maggiore differenza tra la società del 1800
e quella del 1950 che tra quella del 5000 a.C. e quella del 1800, è
altrettanto banale constatare che il progresso tecnico rimane piutto­
sto lento tra il 1780 e il 1850, accelera tra il 1850 e il 1914, procede
ancora più velocemente tra il 1914 e il 1945 e raggiunge una velocità
incredibile tra il 1945 e il 1970. Un buon esempio di questa rapidi­
tà ci viene fornito dai computer: non si tratta solo dell’espansione
dell’utilizzo dei computer, né dei molteplici miglioramenti, della ve­
locità, della dimensione degli apparecchi, ma della trasformazione
stessa dei loro elementi di base. E ciò a cui ci si riferisce quando si
parla delle «tre generazioni» di computer dopo il primo costruito in
serie (Univac 1951, di Remington). C’è stata la fase dei tubi elettroni­
ci (a doppio triodo), durata dodici anni; quella dei transistor, iniziata
nel 1958 e conclusasi nel 1964; quella dei circuiti miniaturizzati fino
al 1975, circa. Si prevede una quarta generazione, quella dei circuiti
integrati. Questi progressi sono avvenuti in direzione di una maggio­
re velocità di impulsi, di una maggiore affidabilità, di una maggiore
capacità.
Per quanto riguarda la velocità, un’addizione di due numeri di
dieci cifre avveniva in 4/1.000 di secondo nel 1951, in qualche de­
cina di milionesimi di secondo nel 1955, in cinque milionesimi di
secondo nel 1960, in qualche centinaio di miliardesimi di secondo
nel 1964. La compattezza delle «memorie» di nuovo tipo è conside­
revole: sbarazzatisi delle bande e delle schede perforate, i mezzi di
raccolta delle informazioni permettono di inserire in memoria più di
un miliardo di parole.
Si inizia attualmente a intravedere il «limite» della velocità rag­
giungibile ma non superabile: la velocità della luce. Ma se si impone

* Bisogna d'altronde notare che questa accelerazione corrisponde all’atteggiamen­


to psicologico dell’uomo moderno, e a quella che B. de Jouvenel chiama «la Civiltà
del Sempre più», Arcadie, cit. Quanto alla previsione, la grande opera americana
collettiva, Toward thèyear 2000, cit., afferma una prevedibile ulteriore accelerazione
del progresso tecnico, in realtà senza dimostrarla. *

345
I caratteri del progresso tecnico

questo limite, ciò non implica assolutamente l’arresto del perfeziona­


mento dei computer: creazione di una «memoria tampone», tentativi
di anticipazione del risultato di un calcolo per farlo rientrare in un
calcolo seguente prima che sia completato, separazione di sottoin­
siemi sostituibili da altri più perfezionati, agilità di adattamento del
sistema computer, ecc. Il progresso è talmente rapido e i risultati così
considerevoli che non si sa se con il computer si debba parlare di una
quarta «rivoluzione industriale» solo trentanni dopo la terza • • •

Allo stesso modo si può prendere a esempio della crescita tecnica


la serie di acceleratori di particelle: nove tipi diversi dal 1930 al 1960
con un’accelerazione da 1 a 100.000 MeV. Anche in questo caso si
può rapidamente raggiungere un limite.
Sono semplici esempi e non è a partire da esempi specifici che si
può dedurre un movimento generale. Ma bisogna in ogni caso tene­
re presente il fatto essenziale, ossia che è sempre, in tutti i rami, la
più moderna, la più avanzata tecnologia a determinare la tendenza.
Troviamo nuovamente l automatismo della scelta che immancabil-
V

mente viene presa. E tuttavia vano cercare di rendere conto di questa


accelerazione in modo pratico. E impossibile numerare esattamente
i miglioramenti tecnici in tutti i campi nel corso di uno o più anni.
Anche se si realizzasse un tale censimento, sarebbe impossibile pa­
ragonarlo a uno simile per gli anni '20, ’30 o 40, e questo non per
la stessa difficoltà, ma perché non ci si può accontentare di un para­
gone del numero delle invenzioni tecniche: bisognerebbe comparare
rimportanza rispettiva di queste invenzioni e l’estensione della loro
applicazione. Perché, chiaramente, per analizzare il fenomeno tecni­
co attraverso ìa Storia, non ci si può comportare come per la scienza,
per la quale è ad esempio importante risalire alla data della scoperta
scientifica stessa, al contesto intellettuale nel quale si colloca, ecc. Per
la tecnica ciò che conta non è l’invenzione stessa, né P applicazione in
laboratorio: è la diffusione, è l’applicazione rivolta al grande consu­
mo. Una notevole invenzione tecnica che rimanesse chiusa e confina­
ta a pochi non avrebbe alcun interesse ai fini dell’analisi sociologica
del fenomeno tecnico. E impossibile sapere esattamente a partire da
quale data ha luogo una sufficiente diffusione di un dato processo
perché se ne possa tenere conto per la crescita del progresso tecnico.
Di conseguenza mi sembra che sia impossibile realizzare uno studio
preciso della velocità di questo progresso. Coloro che ritengono ci

346
Il problema dell’accelerazione

sia accelerazione continua e coloro che stimano che debba esservi un


rallentamento dopo un periodo di crescita si dividono su impressio­
ni, su sentimenti e fatti scelti come esemplari, ma in realtà assoluta-
mente approssimativi.
Ci viene detto, a proposito dello sviluppo scientifico, che gli
scienziati ideatori viventi oggi sono più di tutti quelli esistiti dalla
nascita dell’umanità messi insieme. Il loro numero, viene precisato, è
raddoppiato dal 19305.
È molto impressionante e poco convincente. Chi viene chiamato
scienziato ideatore? A che punto si diventa scienziati? Secondo qua­
le criterio? E come si sono potuti contare allora gli scienziati esistiti
in Cina, in India o nel Medioevo occidentale? Ci viene detto anche
che la quantità di conoscenze umane è raddoppiata negli ultimi dieci
anni. Ma anche in questo caso, quale tipo di «conoscenza» viene
considerato? Si contano ad esempio le conoscenze giuridiche? E
quelle riguardanti la Storia, in quale misura vengono considerate?
Ovviamente si sa che la ricerca, aumentando, ci sommerge di co­
noscenze. A un Congresso scientifico internazionale sulle ricerche
atomiche (1964) era stata raccolta una documentazione estremamen­
te completa sulle nuove scoperte e le nuove applicazioni dal 1950:
si dice che questa documentazione fosse così enorme da richiedere
venti anni di lettura da parte di uno scienziato6. Poiché tutte le sco­
perte sono scientifiche ma volte verso l’applicazione, la tecnica non
può fare altro che accrescersi sempre più rapidamente.
Si è obbligati a constatare che uomini rispettabili sono perfet­
tamente obnubilati dall’evidenza del progresso tecnico. Un solo
esempio: Sauvy scrive: «Despota conquistatore, il progresso tecnico
non soffre arresto. Ogni rallentamento equivale a un arretramento.
L’umanità è condannata al progresso perpetuo». Progresso in rappor­
to a che cosa? E se il progresso tecnico fosse un arretramento rispetto
a qualcos’altro? Charbonneau scrive chiaramente, invece: «Credere
al progresso fatale significa mettere l’accento su quello dell’organiz­
zazione materiale e collettiva: su una delle condizioni della libertà e
non sul suo soggetto, l’individuo. Se si mette l’accento sulla materia,
la potenza, la logica (la Tecnica) si può scegliere solo l’impersonale».

Rapporto Auger, sezione della Ricerca Scientifica, UNESCO, 1963.


6 P. Bertaux, La Mutation humaineì Payot, Paris 1964.

347
I caratteri del progresso tecnico

Per molti autori, l’accelerazione del progresso tecnico è evidente.


Berger scriveva nel 1957 a riguardo della riforma dell’insegnamento
che si trattava di ritrovare «il significato profondo dell’educazione
e di inventare i metodi adatti a un universo in accelerazione». Ciò
va da sé. All’altro estremo della scala del serio, Toffler pretende di
dimostrare il «processo generale di accelerazione» ma senza appor­
tare nulla di nuovo a parte affermazioni gratuite e insignificanti fatti
spettacolari (in realtà, in questo modo copia testualmente la mia
dimostrazione a riguardo del progresso geometrico del progresso
tecnico). Vacca, sempre molto più preciso, mostra come le Tecniche
si adeguino le une alle altre in una crescita che si può considerare in­
finita (ne considera la fine catastroficamente accelerata, ma non ap­
porta alcun elemento decisivo). Closets, da parte sua, mostra che c’è
accelerazione sostenendo come Toffler che «il processo che va dalla
ricerca di base al prodotto finito avviene sempre più rapidamente:
ci sono voluti quarantanni per il motore elettrico, trentacinque per
la radio, sedici per i raggi x, dieci per le reazioni nucleari, otto per
la bomba atomica, cinque per il radar, tre per il transistor, ecc. Si
tratta solo di una verità statistica: rinnovazione può inciampare su
un ostacolo tecnologico per decine di anni. Ma l’industrializzazione
avviene molto rapidamente una volta superate le difficoltà. II film
della Storia scorre a velocità accelerata»7. In realtà non sono per
nulla convinto di queste cifre, come sempre quando invece di pro­
porre una sintesi si fa qualche esempio: bisognerebbe provare che
durante i periodi considerati tutti i progressi tecnici in tutti i rami
hanno seguito la stessa accelerazione. Bisogna quindi chiedersi su
cosa si basi l’accelerazione: all’inizio del paragrafo, Closets parla del
passaggio della ricerca di base al prodotto finito, e alla fine dell’in­
dustrializzazione: non è la stessa cosa! Inoltre, quando fa degli in­
dugi il punto di partenza è l’innovazione stessa o le componenti
dell’innovazione? O il processo di industrializzazione? Il punto di
arrivo è la fabbricazione di un prototipo o la diffusione in massa su
mercato? Anche in questo caso gli indugi sono molto variabili! Allo

7 Secondo altri specialisti l’intervallo di tempo tra invenzione scientifica e applica­


zione tecnica in laboratorio e poi diffusione non smette di ridursi. Si fanno esempi
sorprendenti: ci è voluto più di un secolo per passare dalla scoperta del principio
della fotografia alla fabbricazione commerciale degli apparecchi fotografici. Mezzo
secolo per il telefono, cinque anni per gli apparecchi a transistor.

348
Il problema dell’accelerazione

stesso modo quando si conosce la pluralità dei fattori tecnici che en­
trano in gioco in una qualsiasi innovazione, ci si deve chiedere quale
sia veramente il punto di partenza. Sembra, infine, fondare i propri
calcoli in funzione di una filiazione diretta dalla ricerca scientifi­
ca alf applicazione tecnica, processo del quale abbiamo dimostrato
Finesattezza. Non si può quindi trarre alcuna conclusione da questi
esempi e soprattutto non si possono fare estrapolazioni, come inve­
ce fa Closets dichiarando che «ogni volta che si traccia una curva,
essa traduce la stessa accelerazione» (ma egli mischia consumo, pnl
e progresso tecnico). E evidente che ci sia accelerazione nei consu­
mi (nei paesi tecnicizzati), ma ancora più evidente è Faccelerazione
del consumo di energia8: ma non se ne può direttamente dedurre
un'accelerazione del progresso tecnico. Allo stesso modo è certo
Fampliarsi del technological gap, Faccrescersi del divario tra i paesi
in cui ad esempio è ampiamente diffuso Fuso del computer e quelli
in cui non lo è, ma anche in questo caso non si possono trarre con­
clusioni sulFaccelerazione del progresso tecnico: in effetti lo scarto
tecnologico può risultare sia da effetti qualitativi sia quantitativi,
o dall'arresto della crescita di alcuni paesi che inciampano in una
impossibilità (come ad esempio il computer, come mostra Elgozy,
o la debolezza dei salari nel terzo mondo...). Rorvik, nel proprio
idealismo astratto, pretende di dimostrare concretamente Faccele­
razione a partire da elenchi di realizzazioni tecniche probabili. Tra
altri, prende in considerazione il celebre «modello Delphi» di Hel-
mer per la Rand Corporation. Egli considera che dal momento che
è possibile prevedere che nel 1975 si potranno realizzare macchine
per Finsegnamento complesse, e nel 1988 si potranno usare robot
per tutti i compiti materiali e alcune amministrazioni, tutto ciò sarà,
senza tener conto delle possibilità psico-politico-economiche di ac­
cettazione. In altre parole, la sua dimostrazione dell'accelerazione
considera ancora una volta la tecnica in vitro, senza pensare per un
instante che si tratta di un ambiente che si inserisce in un altro am­
biente. Non se ne può quindi concludere nulla per quanto riguarda
Faccelerazione del movimento.

* Si veda l’interessante numero speciale di «Le Monde» del luglio 1972 su UEner­
gie en Europe.

349
I caratteri del progresso tecnico

Bisogna invece tenere in considerazione la dimostrazione di Vac­


ca9, che analizza e critica le più abituali ragioni che portano a credere
che ci sarà un arresto dell'espansione tecnica: egli dimostra che le
nocività e gli inconvenienti, le irrazionalità, gli intasamenti, l’insicu­
rezza psicologica, ecc. esistenti sono sicuramente incapaci in sé di
frenare seriamente lo sviluppo tecnico: esso aumenterà malgrado le
voci in contrario, malgrado il cedimento morale, malgrado i costi,
ecc. fino al limite di rottura. Vacca spiega, in altre parole, che tut­
ti gli inconvenienti oltremodo reali non possono frenare la crescita
perché l’uomo preferisce la tecnica a qualsiasi altra cosa, è pronto a
sopportare incredibili flagelli e ad adattarsi, fino alla rottura. Non si
tratterà quindi di una «crescita zero», né di un rallentamento pro­
gressivo: quando questi effetti accumulati agiranno, sarà troppo tar­
di, cioè sarà una catastrofe, con un enorme arretramento dal punto
di vista tecnico e demografico. Anche Richta è completamente in
favore dell’idea dell’accelerazione. Ritiene che l’accelerazione delle
invenzioni tecniche cresca, che l’intervallo tra la scoperta scientifica
e l’applicazione continui a diminuire (afferma che questo intervallo
fosse di trentasette anni nel 1900 e di quattordici o nove anni nel
1960... ma non so da dove prenda questi valori) e che «il numero di
conoscenze scientifiche raddoppia ormai in meno di dieci anni». Mi
sembra un’affermazione piuttosto leggera per un uomo tanto misu­
rato! Tanto più che a pagina 335 contraddice quanto detto a pagina
233: nel secondo caso afferma infatti che il ciclo di un’innovazione è
oggi di venti anni, valore corrispondente «al periodo di ricostruzione
tecnica della base della produzione così come alla durata di forma­
zione dei ricercatori...».
Si può veramente generalizzare? Solo a condizione di fare un in­
ventario. Ci si è avvicinati a ciò con il Rapporto della Rand Corpo­
ration del 1965, giunto su questo punto a una conclusione opposta:
l’intervallo di tempo tra scoperta e applicazione è praticamente ri­
masto inalterato tra il 1900 circa e oggi. Inoltre, attualmente si con­
sidera, al contrario, che sia necessario un intervallo di tempo sempre
più lungo tra l’inizio di una ricerca tecnica e il suo completamento:
più la tecnica è complessa, più rallenta a questo livello! Ci tornere­
mo, perché è su questa affermazione che si basano la maggior parte

9 Vacca, op. cit., cap. il.

350
Il problema dell’accelerazione

di coloro che fanno futurologia in relazione alla tecnica. Nondime­


no, a partire dalle «constatazioni» che abbiamo appena riportato, e
da altre simili, alcuni parlano di crescita esponenziale della Tecnica.
LJatteggiamento più frequente consiste nel considerare tecniche o
metodi scientifici già noti e prolungarne direttamente gli effetti, nel
trarre da scoperte scientifiche le possibili conseguenze prevedibili,
e nel mostrare come lo sviluppo sarà sempre più rapido. Allo stes­
so modo viene dimostrato che lo spopolamento delle campagne in
seguito all'applicazione di nuove tecniche accelererà, o che le gran­
di città diverranno sempre più grandi in seguito all’applicazione di
nuove tecniche di trasporto ecc. In questa visione di crescita linea-
re, indefinita, sempre accelerata dalla tecnica, bisogna pur sempre
tener presente Tammonimento di Chesterton: «Tutti questi uomini
perspicaci profetizzano con la più varia ingegnosità ciò che presto
sarà, e lo fanno tutti nello stesso modo, prendendo una cosa che ai
loro occhi Va forte’, e prolungandola tanto lontano quanto la loro
immaginazione permette. Come se quando vedessimo un maiale un
po’ più grosso degli altri, per una legge inalterabile delTImperscruta-
bile, sapessimo che un giorno sarà più grande di un elefante; o come
se quando un qualunque potere nella politica umana desse prova di
una considerevole attività per un dato periodo, questa attività prose­
guisse fino a raggiungere il cielo»10.
Ayres11 mostra giustamente che la previsione tecnologica è dive­
nuta indispensabile per via della pianificazione così come a causa
degli orientamenti del neocapitalismo, ma che d’altra parte non può
essere scientifica perché la Scienza esplicita le leggi che regolano il
funzionamento del sistema studiato. Secondo lui, con la previsione
tecnologica ci si limita a certezze molto variabili e a informazioni
elementari. Ha completamente ragione per quanto riguarda questa
critica, ma non si accorge che la tecnica è effettivamente un sistema,
che è solo per mancanza di una sua comprensione sufficientemente
globale e totale, perché si resta a livello delle tecniche materiali e
soprattutto di produzione, e per Possessione della previsione delle

!(1 G.K. Chesterton, Le Napoléon de Notting Hill, Nouvelle Revue Frangaise, Paris
1912 (ed. or. The Napoléon of Notting Hill, 1904; tr. it. Il Napoleone di Notting HilL
Ed. Paoline, Milano 1959).
1 ! R.V. Ayres, Technologicalforecastirig and long-range planning, cit.

351
1 caratteri del progresso tecnico

«innovazioni» che ci si condanna a non capire nulla e a non poter


prevedere. Chiaramente fino a che si cercherà di stilare liste delle
«invenzioni» nel 1985 o nel 2000 si andrà a caso e non si compirà
alcun lavoro serio. Ma Ayres stesso, che confonde tecnologia e tecni­
ca (bisognerebbe allora che i tecnologi sostituissero i tecnici!) e che
considera solo le tecniche a carattere economico, si preclude così
ogni possibilità di concepire la tecnica in quanto sistema.
La prima domanda dovrebbe consistere nel chiedersi se la pre­
visione necessaria è possibile, e ciò comporta due aspetti: il primo
concerne la prevedibilità della crescita tecnica, T altro quella dello
sviluppo umano e sociale. Sembra spesso ammesso che ci sia una
certa prevedibilità del progresso tecnico: la Rand Corporation si è
specializzata in estrapolazioni effettuate molto seriamente. Allo stes­
so modo, considerando il libro di Kahn e Wiener12 si vede facilmente
che, se i tentativi di previsione in politica o economia sono molto
aleatori e forniscono numerosi modelli possibili, Tunica parte ad ap­
parire più chiara e sicura è quella che riguarda il progresso tecnico:
si può qui, in principio, stabilire una sorta di schema probabile, si
vede quali sono le invenzioni e le applicazioni tecniche verosimili,
già immaginabili se non in corso di realizzazione. Ma se mi sembra
perfettamente logico procedere a una tale valutazione, ciò che mi
colpisce è l’assenza in questo genere di previsione di due domande
che dovrebbero invece essere considerate decisive. La prima riguar­
da la relazione tra espansione tecnica e crescita economica: se ci col­
lochiamo all'interno della tecnica, possiamo effettivamente tracciare
uno schema relativamente chiaro dei progressi raggiunti. Ma abbia­
mo già detto più volte che Vinvenzione nella tecnica ha un’impor­
tanza relativa: ciò che conta sono applicazione e diffusione. Queste
dipendono dalle possibilità di mobilitazione economica: ci troviamo
qui in un campo sconosciuto. Non che una certa previsione in eco­
nomia sia impossibile, ma ciò che sembra esserlo è la relazione tra il
potenziale economico e le potenzialità tecniche - è la correlazione
delle crescite.
La seconda difficoltà è quella del metodo di previsione stesso.
Bisogna innanzitutto riconoscere la «lezione di umiltà» di Ayres.
Questa previsione tecnologica non ha nulla a che fare con le estra-

12 H. Kahn & A.J. Wiener, L’An 2000, cit.

352
Il problema dell’accelerazione

polazioni anteriori ma non comporta alcuna certezza scientifica: ci


si trova in presenza di unaccumulazione di molteplici informazioni
elementari (come quelle fornite da Closets nella propria opera), di
peso e di certezza molto variabili, relativamente incerte e che vengo­
no giustapposte per ricavarne un’immagine possibile perché coeren­
te. Si può procedere a una sorta di inventario più o meno sistematico
dei futuri possibili e scegliere la costruzione meno improbabile. Ma
non dobbiamo qui condurre uno studio generale sulla possibilità
della prospettiva: non stiamo cercando quali saranno i progressi tra
venti, trenta o cinquantanni. Elenchi del genere sono stati redatti da
innumerevoli istituiti, con incredibili discordanze. Si tratta solo del
problema dell9accelerazione.
Nel senso delPaccelerazione dobbiamo ancora considerare il feno­
meno di crescita causale analizzato nel capitolo precedente: vediamo
allora che uno sviluppo tecnico avvenga secondo la combinazione
tra elementi tecnici anteriori. Logicamente, quando il loro numero
aumenta, la possibilità di combinazione cresce secondo una progres­
sione geometrica. Schematicamente, se abbiamo quattro fattori da
combinare, ciò può produrre 64 combinazioni. Se aggiungiamo un
quinto fattore, della stessa importanza dei precedenti e supponendo
equivalenti possibilità di combinazione, avremo 325 combinazioni
possibili. Abbiamo già detto che ogni progresso scientifico e tecnico
si ripercuote su tutte le altre conoscenze e applicazioni. Il progresso
non avviene più in un singolo campo, ma per una combinazione di
procedimenti e di scienze appartenenti a settori anteriormente con­
siderati separati. Si può in effetti osservare che, certo, non tutte le
combinazioni possibili sono realizzabili, ma d’altra parte, ogni anno,
non è un solo nuovo fattore a essere proposto per entrare in com­
binazione con i fattori precedentemente conosciuti, ma sono decine
o centinaia. E quando, grazie a queste combinazioni, appaiono una
tecnica o un’applicazione tecnica, queste entrano subito in contatto
con cento altre, come potenziali fattori di combinazione. Così, più
tecniche abbiamo a disposizione, più il progresso tecnico accelera.
Ogni riscoperta tecnica ha ripercussioni e comporta progressi in
molti altri rami tecnici e non in uno solo. Così, praticamente sen­
za volontà deliberata, per semplice combinazione dei nuovi dati, ci
sono incessanti innovazioni e applicazioni; interi campi, fino allora
sconosciuti, si aprono alla tecnica perché diverse correnti si incon-

353
I caratteri del progresso tecnico

trano. Si cerca sempre più di definire «incroci»13 in cui tecniche e di­


scipline diverse si compenetrino: cristalli, bionica, basse temperatu­
re, cosiddette tecniche spaziali per esempio14. Queste conoscenze e
pratiche non sono mischiate arbitrariamente: in realtà le conoscenze
acquisite in un certo numero di discipline convergono, si potrebbe
dire quasi «spontaneamente», verso un ambito di studio, e gli in­
segnamenti così raccolti fanno fruttificare ipso facto altri rami della
scienza. Come può l’ottenimento di basse temperature contribuire
allo studio del plasma, il quarto stato della natura che per rivelarsi
necessita di temperature di più di mille gradi? Le basse temperature
hanno portato anche alla superconduttività che ha permesso di co­
struire magneti superconduttori, utilizzati in un numero crescente
di apparecchi e anche per la ricerca scientifica. Ci troviamo così in
presenza di una crescita illimitata della Tecnica e di una velocità in
costante aumento. Data la prospettiva teorica qui adottata, convie­
ne parlare di una potenzialità. Se il fenomeno tecnico evolvesse nel
vuoto, si potrebbe affermare che esso si sviluppa secondo il principio
di progressione geometrica. Non c’è alcuna evidente ragione perché
cessi di evolversi in questo modo.
E ciò che nel 1950 mi aveva portato a formulare la legge di cre­
scita geometrica del Progresso Tecnico. Bisogna aggiungere un’inte­
ressante idea di Lattès15, secondo la quale la non separazione delle
variabili porta a fenomeni di accoppiamento. «Al comportamento
lineare, nel quale l’effetto è direttamente proporzionale alla causa, si
sostituisce un accoppiamento, per definizione non lineare, tra feno­
meni che, provocandosi a vicenda in modo congiunto, non cessano
di amplificare gli effetti, talvolta fino alla divergenza». Ciò fornisce
una visione perfetta della realtà degli effetti reciproci delle tecniche

ì} Rapporto Armane! pubblicato in «Réalités», 1965.


14 Ad esempio la straordinaria applicazione della tecnica del plasma ad alta tem­
peratura per ottenere materiali schermati per embricatura o la possibilità di utilizzo
del laser in campi incredibilmente diversi, dalla chirurgia oculare alla creazione di
«micromemorie» per la registrazione di informazioni attraverso un raggio incisore
del diametro di cinque millesimi di millimetro. Sulle innumerevoli possibilità del
laser si vedano i libri di Closets e di Kahn.
15 Introduzione al libro di M.D. Mesarovic, Strategìe pour demain, Editions du
Seuil, Paris 1974 (ed. or. Mankind at thè turning point, E.P. Dutton, New York
1974; tr. it. Strategie per sopravvivere: l'umanità a una svolta, Edizioni scientifiche e
tecniche Mondadori, Milano 1974).

354
Il problema dell’accelerazione

all’interno del sistema. Proprio con l’ambiguità di questa crescita


accelerata, poiché le variabili abbinate provocano fenomeni di am-
plificazione ma anche, inevitabilmente, fenomeni di neutralizzazione
reciproci. Esattamente ciò che constatiamo. Vacca propone un’ec­
cellente definizione secondo la quale tutte le attività e creazioni tec­
niche hanno «un carattere di crescita continua ed esponenziale e la
loro variazione è retta da una legge matematica ben nota: quella dei
fenomeni di crescita in presenza di fattori limitanti».
Ma non si può immaginare che la tecnica si sviluppi in un am-
biente «puro»: essa è, per propria stessa natura, in contatto con il
concreto, è fatta per essere applicata a... Perciò il progresso reale
della tecnica può essere valutato solo in rapporto all’ambiente di ap­
plicazione. Bisogna quindi ricollocare questa potenzialità intrinseca
di crescita indefinita e accelerata nel concreto. In questo reinseri­
mento nel proprio ambiente, la tecnica incontra ostacoli esterni (ci
si accorge così che l’adattabilità delle istituzioni o dell’economia non
è indefinita), oppure rivela un altro aspetto di sé: una sorta di auto-
rallentamento, di autoregolazione. Scartiamo innanzitutto opinioni
facili ma che non hanno maggior valore di quelle citate inizialmente
in favore dell’accelerazione. Ci sono, periodicamente, intellettuali
che proclamano che «non si può andare avanti così a lungo». Alcuni
(Wolf, ad esempio) dichiarano che «la legge del limite dello svilup­
po tecnico-economico riguarda il fatto che il progresso del passato
blocca la via al progresso del futuro, vale a dire che per il progresso
del futuro rimane in ogni caso un margine che è una frazione, una
piccola frazione, del progresso precedente». Affermazione del 1945 !
Cioè prima dell’enorme sviluppo tecnico degli ultimi decenni. Que­
sta «legge» non tiene conto dell’approfondimento e dell’allargamen­
to del campo della conoscenza scientifica. È stata significativamen­
te rifiutata da Dupriez16. Ci troviamo in presenza di una semplice
opinione di tipo filosofico. Viene tuttavia regolarmente annunciata
anche la fine della possibilità del perfezionamento tecnico. Victor
Hugo l’aveva già proclamata per le ferrovie. Anche Mumford17, ge-

16 L.H. Dupriez, LIntensité du progrès technique, in Mouvements économiques ge­


rì èrauxy Nauwelaerts, Louvain 1950, voi. I.
17 L. Mumford, Technique et cìvilisation, Éditions du Seuil, Paris 1950 (ed. or.
Tecknics and civilization, Harcourt Brace, New York 1934; tr. it. Tecnica e cultura, Il
Saggiatore, Milano 1961)).

355
I caratteri del progresso tecnico

neralmente meglio ispirato, dichiarò che alcune invenzioni non po­


tevano più essere perfezionate, che l’ambito dell’attività meccanica
non potesse ampliarsi: il progresso meccanico è limitato dalla natura
del mondo fisico. È sicuramente esatto, ma siamo ancora ben lungi
dal conoscere tutte le possibilità del mondo fisico. L’affermazione
di Mumford, risalente al 1937, è stata contraddetta dalla singolare
esplosione di invenzioni e di nuove tecniche in tutti i campi. E vero
che non è possibile immaginare un progresso indefinito, ma il pro­
blema è sapere se sia per mancanza di immaginazione o per limiti
reali. Non possiamo in ogni caso basarci su ragioni tanto generali per
prevedere l’arresto del progresso tecnico.
Le dichiarazioni secondo le quali non è più possibile compiere
progressi tecnici sono state sempre smentite: ancora nel 1970, un
esperto poteva affermare che allo stato corrente delle cose non fosse
possibile prevedere un miglioramento delle prestazioni del compu­
ter, e che non ci fosse più alcun interesse a guadagnare qualche milio­
nesimo di secondo, che in quell’ambito si era raggiunto il limite mas­
simo. In seguito, però, due progressi considerevoli sono stati fatti: da
un lato per quanto concerne i terminali, dall’altro il passaggio della
memoria a quella che ibm ha chiamato Memoria Virtuale, che sembra
essere un progresso decisivo (1972): non possiamo quindi prevedere
un arresto di crescita tecnica da alcun punto di vista.
Ricordiamo infine l’opinione di Clark, secondo il quale (come
d’altra parte secondo Mumford) il progresso dell’organizzazione
tenderà a ridurre l’uso di alcune macchine. Certamente alcune mac­
chine scompariranno, o sono già scomparse, ma non a causa del ral­
lentamento del progresso tecnico, al contrario: è stato in seguito a
un’accelerazione di questo progresso. Inoltre, non si può annunciare
la fine della crescita tecnica sottolineando il passaggio a una nuova
«era», quella dell’organizzazione. Significherebbe spiacevolmente
ridurre la dimensione tecnica a quella delle macchine. Abbiamo già
visto che l’organizzazione è divenuta una tecnica: tutto ciò che si può
dire, se la crescita dell’organizzazione porta a una certa regressione
dell’impiego delle macchine, è che si entra in una nuova era della
tecnica, e che un ordine tecnico si sostituisce a un altro. Non c’è in
ciò alcun arretramento né alcun segno di «decelerazione» del pro­
gresso tecnico. Al contrario, quando Richta mostra chiaramente che
l’accelerazione del progresso tecnico è legata a una relazione diretta

356
Il problema delTaccelerazione

degli sviluppi della «scienza-Tecnica-industria», non si può che ri­


manere indecisi. Il principio di Keldych afferma che «la scienza deve
svilupparsi più rapidamente dell'industria» perché la crescita abbia
luogo.
In concreto non sembra che si stabilisca una simile gerarchia. Sia­
mo nel campo delTipotesi auspicabile. Ma non possiamo essere certi
del fatto che Taccelerazione si produca solo in funzione di una tale
gerarchia.

* * ‘k

Possiamo quindi dire che, preso in sé e in quanto tale, il siste­


ma tecnico tende ad accelerare senza interruzione, e teoricamente
in modo indefinito, la propria crescita e il proprio progresso. Ma
bisogna allo stesso tempo prendere coscienza del fatto che, quando
questa accelerazione ha effettivamente luogo, si producono conse­
guenze negative.
La crescita provoca difficoltà di adattamento sempre maggiori da
parte dell ambiente18 nel quale la tecnica si inserisce. Come abbiamo
visto si verificano adattamenti in campo economico, politico, ecc. a
seconda delle esigenze tecniche: ma per quanto malleabile sia bam­
biente, per quanto poco cristallizzato, ci sono dei limiti (oltretutto
presto raggiunti) alla rapidità del cambiamento. E materialmente
impossibile che strutture sociali, giuridiche, politiche si modifichino
più volte in pochi decenni per fornire ogni volta il contesto favore­
vole alle nuove esigenze tecniche.
E inconcepibile. Ed è sicuramente un aspetto importante della
crisi tra adulti e giovani: questi ultimi sono direttamente adattati alle
ultime novità tecniche, mentre gli adulti non riescono a stare al pas-

18 Tutti hanno visto la pubblicità di una marca di automobili che metteva in ridi­
colo le grosse auto americane mostrando in modo caricaturale i disastri provocati da
uno di questi mostri in una stretta strada di paese: «L’Europa potrebbe fare lo stesso
errore dell’America». È un esempio piuttosto buono del riconoscimento che un
prodotto tecnico oltre al comfort, alla velocità, al silenzio, a tutti i perfezionamenti
possibili apporta un perturbamento nelTambiente in cui deve funzionare, tanto
da diventare un errore. In effetti l’adattamento all’ambiente di cui, come abbiamo
visto, il sistema richiede la realizzazione, non può avvenire alla stessa velocità del
progresso stesso. È impossibile allargare tutte le strade, creare tutti i parcheggi resi
necessari dalla crescita del numero di auto. Riprenderemo la questione più avanti.

357
I caratteri del progresso tecnico

so. Questo ci porta a uno degli impedimenti maggiori: la difficoltà di


trovare individui simultaneamente adattati e competenti. Ci trovia­
mo qui in presenza non solo della scarsa malleabilità dell’ambiente
umano, della difficoltà per i genitori di riuscire anche solo a immagi­
nare un lavoro completamente nuovo per i propri figli, ma anche del­
la lunghezza della formazione necessaria. Più la tecnica accelera, più
accade che i giovani che hanno cominciato a prepararsi per lavorare
con un certo tipo di computer si trovino, una volta completati gli
studi, tre anni più tardi, a doversi adattare a nuovi tipi di computer
postigli davanti dal progresso. Bisogna inoltre tener conto dell'enor­
mità della domanda: un solo esempio, l'informatica. Un po’ ovunque
si lancia questo nuovo insegnamento, ma nel 1970 ci volevano 50.000
programmi e 25.000 analisti in più (ovvero rispettivamente il 140%
e il 170% in più rispetto al 1966): non siamo giunti a produrne la
metà. Eppure c'è disoccupazione!
Il perfezionamento della macchina provoca il divario tra la sua
capacità e quella dell'uomo, e ciò sembra insormontabile, il costo
umano aumenta mano a mano che il computer si perfeziona (il costo
di programmazione rappresentava il 10% dell'insieme del sistema
elettronico nel 1950, il 50% nel 1960, il 70% nel 1970, circa l'80%
nel 1973!), la fragilità dei computer, le loro esigenze concernenti
F ambiente continuano a crescere: le componenti si bloccano alla mi­
nima variazione di voltaggio o di intensità di corrente (e questo sem­
bra non poter essere migliorato). L'adattamento dell'intero sistema
al computer sembra sempre più difficile, la preparazione alFutilizzo
richiede un lavoro enorme. Elgozy cita alcuni casi interessanti: pri­
ma di qualsiasi trattamento elettronico, col solo fine di riconosce­
re l'autenticità delle scritte sugli assegni bancari, gli impiegati del
Crédit Lyonnais hanno lavorato un milione di ore all'anno per ap­
prontare le tecniche all* uso elettronico. Allo stesso modo ci vogliono
due anni perché i Charbonnages de France calcolino i modelli per la
programmazione generale quinquennale. Il bisogno di personale al­
tamente qualificato aumenta più rapidamente di quanto sia possibile
formarne. «Così l'utopia tecnica inciampa nella realtà economica e
sociale (e umana) della società». In altre parole, a un certo livello di
progresso tecnico, luomo costituisce il freno che blocca lo sviluppo.
Lasciamo da parte i numerosi esempi forniti da Elgozy sugli errori
dei computer, perché tutto ciò mi sembra perfettibile e riparabile.

358
U problema dell’accelerazione

Anche Brzezinski sottolinea il rallentamento del progresso tecnico


per mancanza di capacità e di formazione intellettuali. Ciò è essen­
ziale: una società ha difficoltà a tecnicizzarsi se almeno un 10% della
sua popolazione tra i venti e i cinquantanni non ha una formazione
superiore e almeno il 30% non ha una formazione secondaria. Biso­
gna, inoltre, che la formazione corrisponda a un certo atteggiamento
intellettuale. Si è sicuri di rispondere a queste caratteristiche?
E dunque possibile che l uomo, oltre a non arrivare mai a padro­
neggiare, orientare, utilizzare ragionevolmente la Tecnica, divenga a
propria volta un freno e provochi una recessione. Ciò può prodursi
in due modi. Da un lato bisogna ricordare ciò che dice Mills (Lima-
ginatìon sociologique) quando sostiene che un livello elevato di tec­
nologia e di razionalizzazione non va necessariamente di pari passo
con un equivalente livello di intelligenza individuale, o di intelligen­
za sociale. La razionalità tecnologica non accresce nell'individuo la
volontà né la facoltà di ragionare: al contrario! Luomo, sempre più
autorazionalizzato e sempre più inquieto, è progressivamente priva­
to di libertà e di ragione19, è sempre più incapace di una vera riorga­
nizzazione della società così come di un rinnovamento della ricerca
scientifica. Il tipo di uomo creato dalla tecnica è quindi incapace di
sostenere il processo di crescita, e utilizza la tecnica in modo ripe­
titivo - stesso processo che abbiamo visto a proposito dello Stato.
Da un lato, bisogna tenere conto dello straordinario movimento di
opinione pubblica, fatto di delusione, di timore, di interrogativi (che
non chiamerei prese di coscienza) a cui la stampa fa eco dal 1970: è la
rivolta generalizzata degli operai contro l’efficacia, la subordinazione
del lavoro al rendimento20, è la reazione violenta contro l’imperativo
tecnologico21 che fa eco alla grande inchiesta della rivista «Forbes»
- la Tecnologia americana sta fallendo? Vengono direttamente ac­
cusate della sicura recessione la preponderanza politica ma anche la
comparsa di correnti di opinione ostili alla tecnicizzazione. Si tratta
della «ricerca contestata»22. Dalla Fede al Disincanto: più speranze
sono state riposte nella Tecnica, più la scoperta degli inconvenien-

19 C.W. Mills, op. cit.y p. 179.


20 J. Donnadieu, La rivolte cantre l’efficacité, «Le Monde», settembre 1972.
21 Ad esempio J. Macculley, Les Américains se détoument de leur technologie, «Le
Monde», dicembre 1971.
22 N. Vichney, «Le Monde», luglio 1971.

359
I caratteri del progresso tecnico

ti o dei fallimenti è traumatizzante. Anche il rapporto delTocsE del


maggio 1971 è molto significativo. Sul piano sociale, la contestazio­
ne è dovuta al subordinamento del tecnico al capitalismo, oppure
alTincapacità della tecnica di risolvere i problemi sociali ma sono • « «

soprattutto i rischi tecnici a influenzare ormai l’opinione. Temi ripre­


si durante il simposio «Science et Société» della Fondation Maeght
(giugno 1972). Grazie alla tendenza notevolmente critica degli scien­
ziati americani, la contestazione ha raggiunto il campo, intoccabile
fino a ventanni fa, del progresso tecnico e delle sue applicazioni al
lavoro23. Non è più ia società dei consumi a essere attaccata, ma la so­
cietà tecnica stessa: anche airinterno dei sindacati l’idea di progresso
indefinito della tecnica non è più accettata. Non si rappresenta più
il futuro della classe operaia dal punto di vista di una liberazione
attraverso la tecnica. Ovunque le teorie interpretative (economiche,
sociali) vengono messe in questione con questa contestazione del
Tecnico24.
C’è dunque una sorta di recessione psicologica che rischia di pri­
vare il sistema tecnico del proprio indispensabile fondamento uma­
no, addirittura dal punto di vista concreto: che cosa accadrebbe se i
giovani si allontanassero dal sistema e rifiutassero di fornire il «capi­
tale umano»? Già per l’informatica ci si preoccupa di non riuscire a
trovare i 220.000 informatici attualmente necessari in Francia - è un
dettaglio. Il blocco e il rifiuto si situano a livello emozionale, passio­
nale, irrazionale, sono manifestazioni di timore, di fuga, del «riflesso
di libertà» caro a Pavlov - nulla mi sembra cosciente, chiaro e fon­
damentale. Pertanto la crisi potrebbe essere passeggera e scomparire
con il dileguamento dell’emozione. Già molti segnali sembrano mo­
strare che si è sul punto di virare nuovamente. Se invece si accedesse
a livello della coscienza e della teoria, si potrebbe allora effettiva­
mente considerare un rallentamento regolare della crescita tecnica
- altrimenti assisteremmo a un blocco incoerente e pericoloso per via
dei problemi inevitabili che scatenerebbe.
Il rallentamento si presenta inoltre sotto un'altra forma: l’am­
biente, troppo perturbato dall’impatto delle tecniche continuamente

23 P. Drouin, Le travati conteste, «Le Monde», luglio 1972.


24 Si veda il significativo articolo di P. Drouin, Jdage des théories mobiles, «Le Mon­
de», dicembre 1970.

360
Il problema dell’accelerazione

rinnovate, reagisce contro il cambiamento e attua rallentamenti so­


litamente spontanei, non calcolati25. Nel caso precedente si trattava
di un'impossibilità di adattamento, qui è la reazione di un ambiente
troppo brutalizzato, troppo fortemente perturbato; è una semplice
reazione di difesa, ma è perfettamente comprensibile: un gruppo
umano cerca di «perseverare nell'essere», adotta le innovazioni solo
progressivamente e tende ad assorbirle. Abbiamo visto che ora la
relazione si è capovolta: è ormai la tecnica a inglobare e determinare
le forme culturali, la «civiltà». Ma ciò non è accettato né compiuto.
In altre parole, i gruppi umani si comportano nei confronti della
tecnica secondo forme e relazioni tradizionali. L'uomo pretende an­
cora di dominare la tecnica e di servirsene, ma allo stesso modo frena
ciò che gli sembra minaccioso, delirante, ecc. Bisogna quindi tenere
conto di questi rifiuti, tanto più estremi quanto più il movimento si fa
rapido. U freno che in ultimo rischia di essere più efficace è l'angoscia,
addirittura il panico, che l'uomo prova di fronte a ciò che la novità
tecnica esige da lui - e non serve dire che «bisogna adattarsi», perché
libri e rapporti sul tema rivelano tipicamente l’inadattabilità degli au­
tori. Quando si rileggono testi di questo tipo dopo qualche anno, ci si

25 Illich compie una distinzione molto importante (come sempre con una certa
imprecisione nel vocabolario... ma le sue opere sono state tradotte) quando analizza
soglie e limiti. Le soglie rappresentano i confini all’interno dei quali l’azione dell’uo­
mo (e la tecnica) deve collocarsi perché rimanga possibile la sopravvivenza. Si tratta
di necessità. Quando parliamo di nocività, di inquinamento, di esaurimento delle
risorse, indichiamo delle soglie. La quantità di acqua potabile è una soglia per la
crescita demografica, e decisamente il carattere finito del nostro universo è la soglia
della crescita tecnica. Si tratta quindi semplicemente di condizioni di sopravvivenza.
Ma ciò non ha nulla a che fare con la creazione di una civiltà, di una cultura: in que­
sto caso l’uomo deve fissarsi dei limiti che costituiscono il disegno di una cultura.
Appaiono qui il volontario e il deliberativo. La necessità di determinare delle soglie
e di non infrangere questi confini è spontanea nel mondo tradizionale, deve essere
calcolata e fissata volontariamente in un mondo tecnico, ma non è assolutamente un
dominio della tecnica: la «crescita zero» non è garanzia della comparsa di una nuova
cultura, ne è solo la possibilità. La fissazione dei limiti è l’atto specifico attraverso il
quale l’uomo domina il proprio destino e la «natura». Bisogna ormai aggiungervi la
Tecnica. L’illimitato non può fondare e costituire una cultura, né una persona. È il
punto centrale. L’uomo si costituisce in quanto uomo stabilendo limiti volontari. La
sola azione di autentico dominio verificabile e concreto nei confronti della tecnica,
sarà fissare limiti al suo sviluppo: ma questa è la contraddizione stessa del sistema
È la fissazione di limiti a creare la libertà, contrariamente a quanto si crede. Il pen­
siero di Illich qui concorda esattamente col mio, e credo che nulla sia fondamentale
quanto il problema dei limiti volontari.

361
I caratteri del progresso tecnico

accorge del loro carattere assolutamente retrogrado: propongono un


adattamento a uno stadio tecnico completamente superato.
Ci troviamo in presenza di un’altra possibilità di rallentamento
della crescita tecnica a causa della crescita dello Stato. Sembra es­
serci contraddizione tra sviluppo dello Stato e della Tecnica. Credo
che, nonostante la R&D, sia sempre più ammesso che l’imperativo
dell’organizzazione politica blocchi il progresso scientifico. Senza
giungere a considerare in modo assoluto, come fa Eccles26, che la
libertà politica è la condizione per la scoperta e l’innovazione, sem­
bra che la struttura stessa e gli imperativi dello Stato moderno siano
completamente contrari alla ricerca scientifica, che non sopporta una
pianificazione rigida. Lo Stato in quanto tale, e in quanto organismo
dirigente totale e assoluto, blocca la ricerca scientifica e ne arresta le
applicazioni: organizza effettivamente una società tecnica, ma la ob­
bliga a un processo di tecnicizzazione ripetitiva. Lo Stato, così, più
diventa esteso e tecnico, più tende a frenare l’innovazione tecnica per
via dell’inevitabile eccesso di organizzazione solitamente chiamata
burocrazia e per via dell’imposizione di obiettivi esterni alla tecnica.
E illusorio e idealista credere che se lo Stato concentra forze e mezzi
sulla ricerca e lo sviluppo tecnico, se li finanzia, lo farà in modo libe­
rale, neutro e disinteressato. In realtà impone organizzazioni e obiet­
tivi. Ma per questa stessa ragione sregola il sistema e lo fa crescere in
modo incoerente. Sarebbe errato ricavarne 1 dea che lo Stato possa
orientare la ricerca in un senso (ad esempio militare). L1 orientamento
(reale) corrisponde in realtà a una disorganizzazione, a una desiste­
matizzazione. Se il complesso tecno-militare del quale tanto si parla è
evidente, se le tecniche si sviluppano sempre più rapidamente a cau­
sa delle guerre e per Fesercito, è perché il bisogno di difesa sembra
sempre il più «evidente» (esattamente come il pericolo moltiplica le
forze di un individuo) ed è il primo a incitare. Ma la realtà è tutt’al-
tra: ci si accorge che i progressi tecnici effettuati in queste condizioni
sono fattori di irrazionalità dell’insieme (come vedremo più avanti)
e che se c è accelerazione in alcuni settori gli squilibri provocati a
tutti i livelli (sociali, economici, ecc.) sono in effetti fattori di crisi del
progresso tecnico, e secondariamente di eventuale rallentamento del

26 J.C Eccles, Facing Reality, Longman, London 1970 (tr. it. Affrontare la realtà: le
avventure filosofiche di uno scienziato del cervello, Armando, Roma 1978).

362
Il problema dell’accelerazione

progresso. Se questa è in definitiva f influenza dello Stato, dobbiamo


reciprocamente constatare che la Tecnica provoca l’espansione dello
Stato. E stata la Tecnica a fare dello Stato moderno ciò che esso è,
gli fornisce mezzi e domini, ma esige il potere centralizzato di co-
ordinamento. Ciò è talmente esatto che in trentanni abbiamo visto
cambiare il significato del termine socialismo. Oggi, con rivoluzione
socialista si intende la presa di coscienza del fenomeno tecnico, la
volontà di una coscienza chiara a riguardo e il fatto di voler adatta­
re tutto alla tecnica, di sottomettere le condizioni sociali e politiche
alla necessità di un’applicazione tecnica senza discriminazione. Il so­
cialismo è ormai il regime cosciente delle possibilità della Tecnica,
e l’applicazione uniforme di queste possibilità a tutto. Non c’è più
alcun criterio dottrinale del socialismo, e caratteristica non è più la
struttura sociale (la fine della proprietà privata). Si ha ormai la scelta
tra un regime cosciente di tutte le implicazioni e necessità di svi­
luppo della tecnica, e un regime che lascia sussistere le irrazionalità
sociali, le ineguaglianze, le conseguenze del passato, le sopravvivenze
di interessi privati, di un’epoca anteriore alla Tecnica.
Non si può dire che la tecnicizzazione spinga verso il socialismo,
ma certo il socialismo è divenuto l’assolutizzazione della Tecnica attra­
verso la politica. Questa definizione è il solo denominatore comune
di tutti i regimi che si definiscono socialisti e che d’altra parte sono
di tipo estremamente diverso (urss, Cuba, Cina, Algeria, Jugosla­
via...!). La tecnica così spinge verso la crescita dello Stato, e questo
a sua volta, giunto all’apogeo, trascina la tecnica nella burocratizza­
zione bloccante27.

27 Conosco le contestazioni che questa tesi può provocare. In R. Gilpin, La Science


et TÉtat en France, Gallimard, Paris 1970 (ed. or. France in thè age of thè sdentile
state, Princeton University Press, Princeton 1968), si trova ad esempio un tentativo
di giustificazione della tesi opposta, secondo la quale lo Stato può a un certo livello
favorire il progresso. Eppure sottolinea che «malgrado lo sforzo» dello Stato fran­
cese non si riesce a fare concorrenza agli Stati Uniti, e ci si trova nella situazione di
concentrare tutti gli sforzi su uno o due ambiti scelti in base al valore commerciale,
come fanno la Svezia o i Paesi Bassi, o si fa come il Giappone, una base industriale
per lo sfruttamento delle licenze americane, oppure ci si mette al passo e si seguono
gli Stati Uniti (dato che I’urss è molto meno invitante). Ma non ci si accorge che
l’intervento dello Stato in Francia è bloccante dal punto di vista della ricerca di
base. E anche ciò che sostengono}. Jewkes, D. Sawers, R. Stillerman, Llnvention
dans l’industrie, Éditions d’Organisation, Paris 1966 (ed. or. The sources of inven-
tion, Macmillan, London 1958), suirimportanza del ricercatore indipendente e la

363
I caratteri del progresso tecnico

Ciò che è una conseguenza necessaria della tecnica rischia di di­


venirne il freno.
Troviamo un interessante esempio di blocco delle tecniche da
parte della politica, un altro con la storia del collegamento attraverso
satelliti tra gli aerei e i centri di controllo: dal punto di vista tecnico
questi satelliti per la telecomunicazione sono facilmente realizzabili,
ma l’impresa è bloccata dalla concorrenza sul piano politico tra Eu­
ropa e Stati Uniti: la controversia è iniziata nel 1965 e non è ancora
finita. Come abbiamo già visto, ogni volta che la decisione politica
«libera» interviene, è per arrestare le possibilità della Tecnica28. Ri­
peto che chiaramente non ne traggo la conseguenza che la politica
sia inutile o inefficace. Come tutti, posso citare decine di esempi di
una ricerca tecnica resa impossibile dal potere politico. Ho prece­
dentemente dimostrato in modo dettagliato che l’unione tra i due
è divenuta ineluttabile: ma la decisione politica è positiva in que­
sto ambito solo quando presa per motivi tecnici, e non politici - da
un organismo divenuto esso stesso tecnico prima di essere lasciato
all’impulso politico.
•sV -k *

sterilizzazione da parte delle grandi organizzazioni, i grandi laboratori, i planning


organizzati e gli obiettivi imposti dall’esterno.
28 Ma abbiamo visto anche che Timperativo tecnico si impone al potere che non
è libero di decidere il «Bene», quando è in presenza di un programma impegnato.
Un buon esempio ci è stato dato dalla Svezia nel settembre 1976. Uno dei temi fon­
damentali della campagna dei centristi è stato il rifiuto del programma nucleare, la
promessa di non costruire centrali. In Svezia la sicurezza della vita e la protezione
dell’ambiente sono «sacre». «Non ci sarà più una sola centrale nucleare in Svezia nel
1985», dichiarava Falldin. Bene. Oggi Falldin è al potere. Che cosa farà? Le intenzio­
ni rimangono le stesse, ma deve far sì che gli Svedesi riducano considerevolmente il
consumo di energia. Con i rigorosi controlli che ciò implica. Gli Svedesi sono pronti
a cambiare il proprio stile di vita? Verranno avviate anche (ma quanto durerà?) ricer­
che per lo sfruttamento di altre fonti di energia. Ci sarà disoccupazione (lìndustria
nucleare impiega 10.000 persone) e la riduzione di consumo di energia comporterà
un rallentamento, se non un arresto, della ripresa economica (il che impedirebbe
la creazione dei 400.000 nuovi posti di lavoro promessi). La risoluzione comincia
allora a cedere. Ci si limita a decidere che la nuova centrale, pronta, non sarà messa
in funzione prima della primavera 1977, e si nominano commissioni per esaminare
le possibilità di applicazione delle promesse. In realtà quando i progetti sono stati
tecnicamente ideati da tecnici decenti, è praticamente impossibile annullarli. Sì, c’è
una via: cambiare la direzione dell’intera società, procedere al cambiamento mentale
ed entrare in un periodo di austerità, di ascetismo e di non sviluppo!

364
Il problema dell’accelerazione

Tra gli ostacoli esterni alla crescita tecnica, il più importante è


quello economico. Il progresso tecnico è, come abbiamo già detto,
legato a un certo numero di possibilità economiche. Ciò vuol dire
che la crescita tecnica deve essere accompagnata da una crescita eco­
nomica dello stesso ordine. Più si progredisce, più ci si accorge che
i costi della crescita economica aumentano rapidamente. Lo studio
dei costi della crescita è sicuramente il punto più importante dell'at­
tuale ricerca economica.
Come noto non si tratta solo di costi positivi, ma anche di costi
negativi: da un lato ci sono gli investimenti necessari, e ci si rende
conto che per proseguire la crescita economica ci vogliono investi­
menti di capitali, di uomini, in conoscenze sempre più considerevoli.
Forse la crescita di queste necessità è ancora più rapida della crescita
della tecnica stessa. Ciò provoca chiaramente un rallentamento della
crescita, poiché le possibilità non sono indefinite. E possibile che
più il sistema tenderà ad accelerare, più il rallentamento sarà vigo­
roso per mancanza di corrispondenti nuove risorse, e che le risorse
create dalla nuova tecnica siano sempre insufficienti per rispondere
ai bisogni del nuovo progresso29. Bisogna fare attenzione al fatto che

29 Questo arresto potrebbe essere più immediatamente percepito a livello d’im­


presa. Come ha giustamente sottolineato A. Schon, Technology and Change, cit.,
rimpresa non è fatta per l’incertezza: il suo lavoro consiste necessariamente nel
convertire l’incertezza in rischio, nel porre le alternative dei benefici e dei costi, ma
essa allontana il fattore tecnico quando questo è creatore di incertezze irriducibili
o quando la sua importanza economica non corrisponde al costo in capitale richie­
sto. Ma questo calcolo deve essere fatto anche dai pianificatori, e quindi il fattore
economico può ora incessantemente giocare come freno, e non solo nel sistema
capitalista. Il primo a vedere il problema nelLinsieme è stato B. dejouvenel, si veda
la bibliografia che fornisce in XArcadie. Si vedano anche B. Cazes, G. Lassudrie
Duchene e un ottimo esempio dal punto di vista economico: M. Ferhat-Delessert,
Mediterranée an 2000, «Èden ou cloaque», «Analyse et prévision», 1970, con la nota
ironica che l’aumento delle spese pubbliche per la lotta alFinquinamento appare
sotto un aspetto positivo nei conti della Nazione! Un esempio tipico negli ultimi
anni è il brusco rallentamento riguardante la NASA. Nel 1965 il budget complessivo
della NASA era di 5,25 miliardi di dollari, e più di 400.000 persone vi lavoravano.
Budget e personale sono stati ridotti nel 1969 e nel 1970, e nel 1971 erano rispetti­
vamente di 3,3 miliardi e 140.000 unità. La semplice spiegazione è che addirittura
gli Stati Uniti non riescono a far fronte, dal punto di vista economico, alle necessità
finanziarie di tutti i settori tecnici: bisogna scegliere. Ma c’è un altro fattore di
spiegazione del fenomeno «NASA»: si sta passando alla fase di sfruttamento delle
esperienze tecniche e scientifiche, alla fase di «routine» - una delle regole fisse
dei progressi tecnici è che non si possono sempre accelerare le ricerche di punta:

365
I caratteri del progresso tecnico

in questo momento siamo indubbiamente in presenza del capovol­


gimento della ben nota tendenza secondo la quale il progresso tec­
nico produrrebbe un surplus che permette investimenti in vista di
un nuovo progresso tecnico. Attualmente i surplus non sono mai
sufficienti perché il progresso tecnico procede troppo rapidamente e
• \
comporta esigenze sempre piu difficili da soddisfare. Gli investimen­
ti aumentano più che proporzionalmente rispetto al risultato otte­
nuto. Sembra che ci sia una sorta di generalizzazione della legge dei
rendimenti decrescenti. Ma è solo una tendenza30.
Bisogna invece aggiungere i costi negativi - cioè le distruzioni,
ecc. - dei quali a lungo non si è tenuto conto. Ci sono quindi costi
diretti, come il lavoro umano o gli investimenti, che corrispondono
a una volontà di crescita, e costi indiretti (o esterni) che appaiono
come conseguenza del movimento economico globale. Abbiamo
così: le nocività e Tinquinamento, il rumore, tutti i «danni causati
agli altri senza che gli autori se ne assumano le responsabilità» (de
Jouvenel). Ad esempio il progresso nei mezzi di comunicazione au­
menta le nocività e il costo considerevole di un rimodellamento ur­
bano. Se si vuole valutare il costo reale della crescita automobilistica
bisogna tener conto: degli incidenti, delle spese mediche, delle pen­
sioni di invalidità, delTaumento delle assicurazioni, dei lavori strada­
li, delle perdite subite a causa della minore efficacia del lavoro in un
ambiente eccessivamente rumoroso, dei problemi di igiene dovuti
alPinquinamento dell'aria, ecc31.

giunge un momento di recupero, di normalizzazione. Ma ci si può allora chiedere


se non sia lo stesso per l’intero sistema tecnico.
30 Non bisogna d’altra parte aumentare all’estremo il freno economico. Un esem­
pio: nel marzo 1970, negli Stati Uniti, il rapporto della Commissione sulla guerra
elettronica indicava che questa era costata, quanto a spese di ricerca, 3 miliardi e
25 milioni di dollari! È vero che il costo globale della guerra fu di 130 miliardi di
dollari, spesa affrontata senza far vacillare l’economia americana.
31 L’importante libro di E.J. Mishan, The Costs of Economie Growth, Penguin Bo-
oks, Harmondswort 1969 (tr. it. Il costo dello sviluppo economico, F. Angeli, Milano
1971), spesso contestato ma a mio avviso molto solido, afferma che la soluzione per
controllare le conseguenze sociali sfavorevoli del progresso tecnico consiste nell’inclu-
dere gli svantaggi sociali di ogni prodotto o del metodo di fabbricazione nel prezzo
di costo: rimane però il problema della possibilità reale di una simile operazione, del
calcolo delle diseconomie e, d’altro canto, è possibile farlo al di fuori di un economia
autoritaria totalmente controllata? Si tratta di porre a ogni produttore industriale, ecc.
l’altemativa: «Se emetti questa quantità di gas, devi pagare tot per compensare i danni
o devi chiudere». Metodo chiaramente autoritario. Ma Schonfield, in G.R. Urban (a

366
Il problema dell'accelerazione

«Per estrarre carbone, petrolio, sfruttare le foreste, produrre pro­


teine, basta un demiurgo. Per fare cielo, aria, spazio e tempo... ci
vorrebbe un Dio». Charbonneau dimostra con alcuni esempi Tillu-
sione della crescita attraverso l’aumento dei costi, gli errori dei tecni­
ci (ad esempio a proposito delle centrali atomiche), la fabbricazione
di «gadget sociali» (in apparenza utili ma in effetti vani), opere gi­
gantesche il cui solo aspetto fruttuoso è il prestigio, e la distruzione
di fondamentali elementi naturali.
Ci sono poi i problemi di affollamento di vario tipo: problemi di
spostamento, di spazio vitale, spese di trasporto (per andare a rilas­
sarsi durante il week-end o per andare a lavorare, entrambi ugual­
mente necessari), ma anche affollamento delle conoscenze e delle
informazioni, affollamento dei cervelli32. Gli affollamenti opprimono

cura di), Survivre au future, cit., ha ragione nel constatare che vengono qui spesso con­
fusi due ordini di problemi: «Come si può misurare con precisione la crescita dei costi
dell economia (bisogna allora tener conto degli effetti negativi o delle semplici sosti­
tuzioni)?»; e inoltre «è normale consumare per diletto beni nocivi per la collettività
(auto, tv, ecc.)». Il primo problema è puramente tecnico, e implica che si tenga conto
di fronte alle diseconomie delle economie reali finanziate da un nuovo procedimento,
cosa che aumenta le difficoltà di calcolo. Il secondo problema fa intervenire scelte di
valori e un giudizio morale - possono esserci divergenze a riguardo - e Schonfield
parla del lavoro attualmente condotto dal Rokill Committee per la costruzione del
terzo aeroporto di Londra. Si cerca giustamente di tener conto di tutte le nocività:
calcolo del costo sociale del rumore, danni potenziali agli antichi edifici o monumenti,
ecc., ma un gruppo di residenti si è unito per difendere il progetto in nome della ne­
cessità di sviluppo della zona, dell’attività creata dall’aeroporto, dell’arricchimento del
comune, ecc. Ci si rende conto di quanto i calcoli siano spaventosamente complicati
in queste condizioni. Ad ogni modo, tuttavia, ci può essere una causa economica di
rallentamento del progresso tecnico; i costi divengono tanto esorbitanti da non poter
essere affrontati nemmeno da un’economia ricca o socialista (nel 1968 l’inquinamento
atmosferico è costato agli Stati Uniti 4 miliardi di dollari solo per compensare i danni,
senza contare i problemi sanitari e ovviamente senza intraprendere una politica di
purificazione dell’aria)! Per tutti questi punti, rimando all’articolo di de Jouvenel e
alla serie di lavori sull’argomento apparsi su «Analyse et Prévision» a partire dal 1969.
Si veda infine il numero speciale della «Revue d’économie politique», 1973, sui costi
della crescita, atti del simposio degli Économistes de Langue Frangaise del 1972, in
cui si trovano valide argomentazioni sui costi indiretti, sull’integrazione dei costi di
inquinamento nel calcolo economico, e soprattutto studi di caso (Grecia e Iran) che
dimostrano Finfluenza della presa in considerazione dei costi sulleconomia dei paesi
in via di sviluppo,
32 P. Massé, LHomme encombré, «Prospective», 1969. Eccellente sintesi dei pro­
blemi di affollamento, con la descrizione di alcuni elementi (economico o linguis­
tico) e di alcuni effetti (a livello psicoanalitico); Id., Le Pian ou l'antihasard, Galli­
mard, Paris 1963. Ma soprattutto l’opera fondamentale ma difficile di S.C. Kolm,

367
I caratteri del progresso tecnico

rindividuo e sconquassano la vita sociale, ma, come in tutti i campi


tecnici, non si tratta di uno stadio finale, ci sono cioè reazioni di
difesa: l’organizzazione dell’insegnamento e dell’invenzione quale
descritta da Massé rappresenta sicuramente una possibilità di sgom­
bro. Bisogna tuttavia sottolineare che l’ingombro è presente, che au­
menta continuamente, mentre la reazione è solo ipotetica, si attua nel
campo del possibile.
Seguono i costi di cambiamento: perché ciò di cui abbiamo già
parlato, la necessità di adattamento amministrativo, giuridico, ideo­
logico, ecc., non avviene senza costi: parlo della necessità di un
maggiore investimento umano, il che suppone una formazione tec­
nologica, intellettuale, ideologica molto costosa. I problemi posti
dallo stesso affollamento universitario corrispondono a un costo di
cambiamento: bisogna trasformare l’insegnamento, i programmi, la
pedagogia in funzione delle nuove professioni alle quali i giovani an­
dranno incontro: nuove in seguito alla trasformazione tecnica! Tutto
ciò è difficile e costoso, a tal punto che la società sembra non essere
in grado di assumerne i costi. Bisogna d’altra parte aggiungere gli
incalcolabili costi di un aggiornamento generalizzato, della forma­
zione continua, efficace solo se si è realmente a livello del progresso
tecnico effettivo, nel qual caso però la difficoltà di un’impresa del
genere assorbirà un numero sempre maggiore di insegnanti che, di­
stolti dalla ricerca e dalla formazione giovanile, tenderanno a pro­
vocare una stagnazione tecnica. Fino a oggi l’aggiornamento è stato
molto superficiale, non preparando quindi veramente ad assumere il
proprio posto all’interno dello sviluppo tecnico.
Bisogna infine tener conto dei costi di complessità: più il sistema
sociale amministrativo, economico si ingrandisce, accelera, si basa
su numeri maggiori, più diviene complesso, e si accrescono allora i
servizi di coordinamento, di gestione a secondo o terzo livello, di cui
abbiamo già parlato: ma i costi rimangono elevati. Non serve a nulla
affermare che i servizi potrebbero essere attuati da macchine e gra­
zie all’informatica: perché queste macchine sono straordinariamente
costose, sempre più specializzate, presuppongono apparecchiature

La Théorie éconornique générale de l’encombrement, sedeis, Paris 1968, in cui per la


prima volta si tenta la valutazione del rendimento qualitativo, l’esatta contropartita
dell’affollamento.

368
Il problema delFaccelerazione

sempre maggiori, e i progressi tecnici le rendono presto superate33.


Ciò non diminuirebbe quindi il carico che la complessità fa pesare
sulla vita economica. Vediamo così nell’insieme che grazie al pro­
gresso tecnico la crescita economica è assicurata, anzi condizionata.
Allo stesso tempo aumentano tuttavia i costi della crescita, al punto
che i suoi risultati rischiano di essere sempre meno soddisfacenti, e
il saldo finale, a conti fatti, non potrà essere positivo. A quel punto
non potranno essere messe a disposizione risorse sufficienti per la
crescita tecnica, che si troverà così rallentata, se non bloccata.
Insomma, più aumenta la possibilità di innovazioni tecniche (se­
condo la progressione geometrica che ho descritto), più aumenta il
numero di innovazioni in tutti i campi, e più ci si rende conto che è
materialmente impossibile, a tutti i livelli, accettarle, applicarle, sup­
portarle: psicologicamente, ideologicamente, l’uomo non può farsi
carico di tutto - è Fargomento corretto (ma banale) del libro di Tof-
fler. L’Economia non può tenere il passo, così come non lo possono
l’amministrazione, la gestione, l’organizzazione, sebbene anch’esse
tentino di diventare tecniche. La malleabilità, la plasticità dell’or­
ganismo sociale non è indefinita, si è inevitabilmente portati perciò
a scegliere tra le tecniche, tra le innovazioni: non si può, né si potrà
fare tutto ciò che la Tecnica propone in sovrabbondanza. Il divario
tra il potenziale tecnico e ciò che viene realizzato tende ad accrescer­
si. Ma rimangono sempre l’imperativo tecnico (tutto ciò che è tecni­
camente possibile fare deve essere fatto) e l’accumulo del potenziale
tecnico (ogni innovazione latente può essere risvegliata e applicata).
Si moltiplicano tuttavia le testimonianze di arresto: la rapidità delle
innovazioni in informatica esige oggi «una pausa» (il tasso di crescita
dell’industria informatica è diminuito dal 1970). Infatti non si può
più «scialare» industrialmente.
Notiamo per inciso che a questo punto, e a queste condizioni,
si genera il grande attacco contro il computer. Potrei suggerire che
l’attacco nei confronti dell’energia nucleare prima, delle tecniche
spaziali e del! informatica poi, coincida esattamente ogni volta con il
raggiungimento del limite massimo delle possibilità di applicazione.
In altre parole, quando si approfondisce il fossato tra la potenzialità

n Si veda un eccezionale esempio particolareggiato in L. Libby, La Fin du trajet


quotidien, «Analyse et Prévision», 1969.

369
I caratteri del progresso tecnico

tecnica e l’effettiva applicazione generalizzata, si genera una sorta di


giustificazione a non realizzare tutto ciò che la tecnica permette di
fare. E questa giustificazione (ovviamente, a questo titolo, involon­
taria!) è esattamente l’accusa contro il potenziale tecnico non rea­
lizzato - l’uomo, come sempre, pretende di rimanere padrone della
situazione, e poiché non può impiegare un dato mezzo lo dichiara
cattivo, nocivo, pericoloso - l’uomo, nella sua grande saggezza, lo
rifiuta. Ovviamente quando Fapplicazione sarà possibile si dimen­
ticheranno tutte le riserve. L’applicazione di una nuova tecnica è
ancora più difficile quando questa pretende di scalzare quelle pre­
cedenti: è noto il «dramma» della fluidica che permette di effettuare
operazioni logiche con l’aiuto dei soli flussi senza passare attraverso
Pintermediario elettronico. Ma come si può mettere in discussione
l’elettronica dopo gli enormi investimenti fatti per il suo sviluppo,
quando il suo sviluppo non è ancora completo e il personale umano
è appena agli inizi! Non è una questione di struttura capitalista, di
mancanza di finanziamenti: si tratta, sotto qualsiasi regime, dell’im-
possibilità di sostituire immediatamente un insieme tecnico con un
altro. Più avanziamo, più le tecniche esigono un’infrastruttura ma­
teriale, un immobilizzo di capitali, una considerevole formazione
umana: perciò sono meno atte a essere rapidamente sostituite. Una
tecnica può quindi perfezionarsi all’interno di se stessa, ma diventa
sempre più difficile compiere un «salto» da un insieme tecnico a un
altro nuovo: è il caso della fluidica. Questo obbligo di scelta tra pos­
sibilità tecniche rende altamente improbabile l’universo di Toffler
e di Rorvik, che si limitano alla visione semplicistica dell’Universo
di Cyborg, di robot, di elettroprotesi, delPartificializzazione genera­
lizzata del corpo umano, ecc. Anche rimanendo a livello più basso,
se si considera ad esempio lo sfruttamento degli oceani, ci si rende
conto dell'enorme scarto tra le conoscenze acquisite in laboratorio e
le reali possibilità34. Ad esempio Pacquacoltura: verranno forse crea­
ti due impianti ridotti per salmoni e branzini, ma si è obbligati a
riconoscere che queste due esperienze sollevano enormi problemi
di gestione globale del litorale! Ancora peggio nel caso dello sfrutta­
mento delle ricchezze minerarie dei fondali marini! È tecnicamente
possibile, ma chi ha il diritto di sfruttamento? A chi appartiene il

54 Si veda il rapporto del Centre National polir l’Exploitation de l’Océan, 1973.

370
Il problema dell'accelerazione

fondale oceanico? Non si tratta di un semplice cavillo giuridico; si


rischia di trovarsi in presenza dello stesso problema della colonizza­
zione nel xvi secolo: colui che possiede la potenza tecnica ha il diritto
di procedere allo sfruttamento, aumentando così la propria potenza.
In caso contrario, se si ripartisse in modo equo tra le nazioni, i 9/10
di queste «ricchezze» rimarrebbero non sfruttati, perché solo due o
tre potenze sono in grado di farlo. Questi sono solo alcuni tra i molti
problemi che dimostrano come la realtà non possa seguire il ritmo
delle innovazioni tecniche35.

rk * *

Sembra che esistano tuttavia anche blocchi interni, una sorta di


autoregolazione nel sistema tecnico. Ecco un primo esempio a par­
tire da una valida analisi effettuata da Closets per quanto riguarda
la tecnica medica. Vi è un considerevole perfezionamento in tutti
i campi - perfezionamento tanto rapido da svalutare le tecniche di
punta ogni tre o quattro anni. Ciò avviene simultaneamente alla com­
parsa di nuove tecniche in ambiti inesplorati. Ma questi due ordini di
crescita rivestono un interesse solo se queste tecniche si applicano a
un elevato numero di malati: altrimenti si tratta di semplici questioni
di laboratorio, senza grande valore. Ritroviamo qui la distanza tra
scoperta e applicazione, essendo quest’ultima sola costitutiva della
tecnica. Ma perché queste tecniche siano applicate a un gran numero
di malati soqo necessari il personale medico formato a ciò (cosa che
sarà sempre più difficile) e un’attrezzatura ospedaliera molto costosa
e lunga da realizzare: appena installate, appena si possono finalmen­
te mettere a disposizione di migliaia di malati, le tecniche «più mo­
derne» sono già superate. Si produce in questa corsa una sorta di au­
tosoffocamento della tecnica: l’apparecchiatura realizzata impedisce
lapplicazione di ciò che sarà possibile. Non basta realizzare un com­
puter che contenga tutta la scienza medica, bisogna poter mettere in
opera le sue indicazioni! La tecnica finisce quindi con il rallentarsi

33 Su questi problemi si veda in particolare l’eccellente studio di J.-M. Treille,


Progrès technique et stratégie industrielle, Editions Économie et humanisme, Paris
1973, in cui viene accuratamente studiato il problema della comparsa accelerata
delle nuove tecnologie e delle difficoltà che ciò solleva a tutti i livelli, e non solo sul
piano della struttura capitalista del mercato e dell’impresa.

371
I caratteri del progresso tecnico

per l’impossibilità di adattare l’applicazione in modo sempre nuovo,


perché «^applicazione di tecnica medica implica un’infrastruttura
di decine di altre tecniche, e più velocemente evolve la prima, meno
le altre sono in grado di seguirla, poiché sono state adattate a una
tecnica già molto evoluta.
E stato peraltro sottolineato che in ogni crescita di un settore
tecnico c’è cambiamento di ritmo e di possibilità: inizialmente sono
possibili molte opzioni e scelte, progressivamente una delle varianti
si impone ed esclude le altre per varie ragioni (corrisponde a quan­
to abbiamo esaminato come automatismo tecnico). Ugualmente al­
l’inizio in un settore ci sono molte innovazioni, ma pian piano le in­
novazioni necessarie al suo sviluppo si fanno meno numerose, una
frazione consistente della ricerca in questo settore si orienta verso
miglioramenti marginali del prodotto iniziale, o verso differenziazio­
ni nei confronti dei concorrenti. In altre parole, successivamente in
ogni settore il successo gela il progresso tecnico in forme e modalità
ripetitive. Il punto sta nel sapere se ciò influisca sull’insieme del siste­
ma, o se il settore in stasi venga sostituito da un altro.
Questa accelerazione del progresso tecnico esigerebbe, per com­
piersi pienamente, una crescita armoniosa e concordante dei sotto­
sistemi: infatti più c’è accelerazione, più le distorsioni, le disfunzio­
ni, le incoordinazioni si fanno sentire. Quando alcuni settori tecnici
non «tengono il passo» gli effetti si sentono dappertutto36. Possibilità
troppo grandi in un settore di punta mettono in gioco i settori ritar­
datari. Sappiamo che ci sono crescite irregolari, ma finché il movi­
mento non è troppo rapido, si verificano compensazioni, scambi,
si stabiliscono polivalenze37. Al contrario, nel caso di una crescita
accelerata, il sistema non riesce più a equilibrarsi: ci si può quin­
di aspettare rallentamenti provocati dai disequilibri, fino a che si
reintroduca un equilibrio globale del tecnico. «Uoggetto trova osta­
coli all'interno del proprio funzionamento: il gioco dei limiti il cui
superamento costituisce un progresso risiede nelle incompatibilità
che nascono dalla saturazione progressiva del sistema di sottoin-

>6 Nel Diebold Research Program del 1971 si nota giustamente che «lungi dal
semplificare la tecnica o gli affari, il computer ha aumentato la complessità e imposto
a ricercatori e direttori una serie di obblighi in continuo mutamento...».
J/ J.R. Platt, The evolution of man, «Science», 1966.

372
Il problema dell accelerazione

siemi...»38. Questo progresso sarà essenzialmente una modificazione


della ripartizione interna delle funzioni, un riaccomodamento del
loro sistema: questo vale anche per il sistema tecnico - quando i sot­
tosistemi si bloccano reciprocamente, è evidente che Finsieme non
possa continuare a crescere. E la stessa analisi che Vacca effettua a
proposito della situazione attuale quando dimostra Fimpossibilità di
funzionamento che riguarda i grandi sottoinsiemi. Sembra che siamo
ormai giunti a questo punto di saturazione. Le nuove tecniche tro­
vano difficilmente posto nel sistema. Esse provocano una perturba­
zione del tutto, che sembra sempre più fragile. Ma Simondon pone
la questione del superamento di questo limite: è possibile al punto
in cui ci troviamo? Non si sa. Questi sono i motivi per cui è certo
che l'accelerazione non è indefinita e che i rallentamenti diverranno
sempre più consistenti. Ma è praticamente impossibile dire con pre­
cisione a quale livello giocheranno i rallentamenti, se si assisterà a un
capovolgimento della tendenza, e se si passerà da un accelerazione
a una decelerazione, se si va verso una stabilizzazione o solo verso
una normalizzazione della crescita. Studi molto minuziosi basati su
punti precisi ma generalizzabili39 portano a pensare che i cambia­
menti tecnologici non possano continuare a questo ritmo, e che nella
maggior parte dei campi si sia ormai raggiunto un limite. Un accele­
razione straordinaria si produce in campo sociale e umano, una sorta
di «bang» che comporta considerevoli disordini un po' ovunque. Ma
dopo questo superamento del muro delle possibilità tecnologiche, ci
sarà necessariamente un periodo di stabilizzazione e di riordino: ci
troveremo quindi nel mezzo di una crisi di transizione, e ci si potrà
aspettare un sensibile rallentamento di tutto il sistema nei trentanni
a venire. E anche Fopinione di Sheldon (ex membro dello Stato mag­
giore della nasa), secondo il quale, dopo un'epoca di dilapidazione
e di spreco dei mezzi tecnici, si entrerà in un'epoca di conservazione
e di riordino. I problemi attualmente provocati dalle tecniche sono,
afferma, di una dimensione tale che, in realtà, si assisterà a una «pau­
sa» dell’umanità, che si vedrà obbligata a consacrare tutte le forze
a compensare problemi e nocività. Le tecniche attuali non saranno
quindi più sviluppate nella direzione in cui lo sono oggi ma verran-

38 Si tratta di quanto avevo notato in La Technique ou lenjeu du siede.


39 G. Simondon.

373
I caratteri del progresso tecnico

no applicate a «misure eroiche» che implicheranno un certo arresto


del progresso tecnico40. Allo stesso modo Closets ritiene che «così
come bisogna ammettere che non ci saranno mai più ricercatori che
individui e che gli stanziamenti per la scienza non supereranno mai
il PNL, bisogna ammettere che le attuali curve del progresso sono
destinate ad arrotondarsi: il progresso segue curve a S...».
La stessa osservazione è possibile nei riguardi di una tendenza
alla stagnazione in campo medico: i progressi delle scienze mediche
sono, dal 1960, più apparenti che reali, più teorici che pratici. Sem­
bra che nei paesi sviluppati il considerevole aumento di consumo
medico non si traduca in un miglioramento della sanità pubblica.
«Aumentare o diminuire della metà il budget della sanità non cam­
bierebbe probabilmente nulla per quanto riguarda la longevità me­
dia degli Americani», afferma il professor Béraud, dal quale traggo
questa analisi. Il vero miglioramento della sanità passa ormai più at­
traverso l’educazione delle masse che attraverso terapie spettacolari.
Bisogna ripensare la formazione e l’informazione del pubblico: ma ci
si scontra così con la lentezza estrema di questo tipo di formazione,
e con la difficoltà di rovesciare l’attuale «ipno-tecnico» che porta
il pubblico a pensare la medicina solo in termini di eccezionale in­
tervento chirurgico o di rianimazione. Ancora una volta la lentezza
sembra caratterizzare la prossima tappa.
Allo stesso modo, su un punto particolare, ma gli esempi potreb­
bero essere moltiplicati, Vincent ha dimostrato scientificamente che
la produttività oraria del lavoro in Occidente aumenta da anni del
5% e che è assolutamente impossibile che l’automatizzazione per­
metta l’aumento di questo tasso di crescita41.
Non bisogna certo aspettarsi un ribaltamento generale di ten­
denza, una sorta di regresso del sistema. Molto pericolosi mi sem­
brano i sogni di Reich, quando annuncia che la macchina inizia ad
autodistruggersi, che lo Stato si sta preparando la propria rovina
(senza rivoluzione comunista, oh Lenin!). Spiega che lo Stato non
può più essere governato, che le cause di malcontento dei lavora­
tori consumatori aumentano, che più aumentano gli svaghi, meno
l’uomo accetta di fare il proprio lavoro, che più il consumatore è

40 Sheldon, L'Ère de l’espace, «Analyse et Prévision», 1966.


41 Conferenza europea sull’automazione, Grenoble, 1967.

374
Il problema dell’accelerazione

soddisfatto, meno il lavoratore vuole lavorare, che i prodotti tecnici


possono essere completamente consumati solo in guerra, e dichiara
fermamente che la guerra del Vietnam è la crisi decisiva che stron­
cherà lo Stato-Impresa e il sistema tecnico. Ci si stupisce a leggere
tali ingenuità: Reich dimostra di non avere alcuna visione sintetica
del sistema tecnico e alcuna profondità storica. Si limita a piccoli
fatti di attualità che prende per tendenze generali. Si potrebbe ri­
cordare che mai nessuna guerra ha fermato il progresso tecnico, al
contrario. Da qui a cinque anni i giovani Americani avranno comple­
tamente dimenticato la guerra del Vietnam e tutto ciò che ne rimarrà
saranno innumerevoli miglioramenti tecnici. Non c’è infatti alcuna
ragione di credere a un’autodistruzione del sistema, alcuna ragione
di aspettarsi un arresto per i motivi indicati da Reich, e in particolare
per un cambiamento di coscienza. Già oggi, tre anni dopo la pubbli­
cazione del suo libro, è possibile constatare come negli Stati Uniti la
grande comparsa della coscienza ili sia una bolla di sapone che sta
per scoppiare. Indietreggiamento del movimento hippy, della droga,
della controcultura, delle comunità, del rifiuto della società dei con­
sumi, «normalizzazione» degli studenti. Torniamo alla coscienza il,
che, a mio avviso, non abbiamo mai lasciato!
In altre parole, non si possono fare previsioni riguardanti l’acce­
lerazione o la stagnazione reali del processo tecnico. Se un certo ral­
lentamento sembra più verosimile, non si può comunque prevedere
il momento in cui esso avverrà, né i settori di stagnazione. Ciò che
invece è sicuro è che non si possono fare previsioni semplicemente
proiettando ciò che esiste. Affermare che ci sarà uno spopolamento
crescente delle campagne, che l’aumento demografico continuerà,
così come l’accelerazione dei trasporti e i problemi crescenti della
distanza tra luogo di lavoro e abitazione, significa formulare ipotesi
totalmente gratuite se proiettate al di là di una decina di anni. Lo
stesso vale per ciò che riguarda la generalizzazione dell’automazione
o la conquista della giornata lavorativa di quattro ore.
Ma questa probabile tendenza al rallentamento riguarda un solo
settore (certo immenso!) delle tecniche, quello delle applicazioni
delle scienze fisiche e chimiche.
Si pone quindi la domanda: a che fine sarà utilizzata questa sta­
si? Per rimettere ordine nella società perturbata, per permettere una
organizzazione efficiente, per assimilare l’immensità di progressi ef-

375
1 caratteri del progresso tecnico

fettuati, per permettere all’uomo di installatisi e adattarvisi? Vale


a dire che i progressi continueranno ma probabilmente in ambiti
tecnici fino a ora sfavoriti: tecniche organizzative e adattative, tecni­
che psicologiche e manipolative, tecniche di preservazione e di com­
pensazione.
Le attività di riparazione assorbiranno forze e poteri crescenti
- sebbene secondo Baudrillard ci sia «una sorta di autodeviazione
del sistema»... «una soglia di slittamento in cui tutto il sovrappiù di
produttività passa a mantenere le condizioni di sopravvivenza del
sistema». Può essere esatto, ma bisogna notare che tutto ciò non
corrisponde a una riduzione di accelerazione. Bisognerebbe infat­
ti a questo scopo considerare che le uniche tecniche delle quali si
tiene conto sono le tecniche di produzione destinate al consumo.
Se queste diminuiscono, e se le tecniche psicologiche, sociologiche,
ecologiche di gestione aumentano molto rapidamente, non ci sarà
una diminuzione del ritmo del sistema, ma solo spostamento della
zona di attività tecnica. E non si potranno nemmeno opporre que­
ste tecniche destinate a far fronte a disfunzioni a quelle destinate ad
accrescere le «soddisfazioni positive», perché sarà una soddisfazione
perfettamente positiva mangiare alimenti sani, avere meno rumore,
trovarsi in un ambiente equilibrato, non subire più il traffico, ecc.
Uaccelerazione tecnica può quindi mantenersi a queste condizioni,
ma altrove. Le disfunzioni non mettono necessariamentein questio­
ne l’accelerazione.
Non è possibile affermare che sia il sistema tecnico nell’insieme a
possedere una tendenza alla stabilizzazione: diciamo solo che alcuni
settori probabilmente rallenteranno il proprio sviluppo, mentre altri,
oggi meno favoriti, si svilupperanno immancabilmente, per necessi­
tà: non c è tendenza a un arresto generale, torniamo al contrario alla
modalità di crescita che abbiamo indicato con l’autoaccrescimento.

376
Conclusione
L’UOMO NEL SISTEMA TECNICO

Da trentanni ci si chiede quale sarà il posto dell’uomo in rela­


zione alla tecnica. Possiamo individuare due correnti. Per alcuni si
tratta di una relazione tra uomo e macchina. Questa corrente si sud­
divide ancora tra coloro secondo i quali si deve stabilire una combi­
nazione e coloro per i quali si verificherà semplicemente un’esclu­
sione dell’uomo ad opera della macchina. Ciascuna di queste due
interpretazioni si suddivide a propria volta in due: si parlerà a vol­
te di abbinamento «uomo-macchina», che è l’idea più ragionevole
(uomo e macchina perfettamente adattati uno all’altra e funzionanti
uno in relazione all’altra) e a volte, in scienza-fiction, della muta­
zione dell’uomo che rimane puro cervello e sistema nervoso, dato
che la macchina è divenuta fisicamente il corpo dell’uomo, dando
vita così a un’integrazione totale, simile a un trapianto. All’interno
della tendenza all’esclusione, troviamo Fopinione ottimista (l’uomo,
escluso da tutti i lavori pesanti, può dedicarsi alla crescita spirituale
e alle gioie della creazione) e quella pessimista (l’uomo, escluso da
ogni attività, divenuto parassita e superfluo, o eliminato infine dalla
rivolta dei robot). Tutto ciò è molto superficiale perché ci si limita
esclusivamente alla visione frammentaria e parcellare delle mac­
chine, di migliaia di macchine ancora considerate singolarmente,
mentre l’uomo è ancora percepito come individuo. Non c’è dunque
alcuna comprensione della realtà attuale e prevedibile, del sistema
tecnico, né del fenomeno tecnico. Possiamo lasciare tutto ciò da

377
Conclusione

parte. L’altra grande corrente (a parte i mistici come Teilhard) com­


porta un tentativo di visione più globale e accetta più o meno ridea
di una società tecnica, ma rimane molto vaga, sfocata. Si parlerà in
questo caso di consumo, di svaghi, ecc.
Per il fatto stesso di non trattarsi più di macchine o di meccaniz­
zazione, ma di un sistema tecnico, è evidente che il problema della
relazione Uomo-Tecnica non può più essere posto in modo tradizio­
nale. In questa conclusione non accennerò a soluzioni, che'troveran-
no invece spazio in un ulteriore saggio. Non considererò nemmeno
nocività e disfunzioni del sistema (studiate nell’opera che farà seguito
a questa), il punto di partenza del feed-back, destinato a completare
il sistema. Bisogna semplicemente chiedersi che cosa Puomo divenga
in questo sistema, e se si possa conservare la speranza tanto spesso
idealisticamente formulata che Puomo «prenda in mano», diriga, or­
ganizzi, scelga e orienti la Tecnica.
Seligman ha sottolineato con una formula azzeccata la mutazione
tecnica in questo campo: YHomo faber ha cessato di esistere, è dive­
nuto un animale laborioso - Puomo che una volta si trovava al centro
del lavoro, per il quale, come Marx ripeteva incessantemente, il lavo­
ro aveva un significato decisivo, si trova ormai lentamente eliminato
dal lavoro: secondo la definizione di Seligman si trova «alla periferia
del lavoro». Dobbiamo quindi veramente porci la domanda: chi è
Puomo al quale si attribuisce il potere di scelta, di decisione, di ini­
ziativa, di orientamento? Non è più un greco dei tempi di Pericle,
né un profeta ebreo, né un monaco del xn secolo. È un uomo ormai
totalmente immerso nella sfera tecnica. Non è autonomo in rapporto
a questi oggetti. Non è sovrano né dotato di una personalità irrifor­
mabile.
Questa situazione all’interno del sistema può essere analizzata in
cinque proposizioni. Innanzitutto Puomo che sorge alla coscienza
trova la tecnica come un «già dato». La tecnica costituisce per lui un
ambiente nel quale entra, in cui si inserisce1. E perfettamente inutile
affermare che la tecnica non sia un vero ambiente: tutto ciò che Puo­
mo vede o utilizza è un oggetto tecnico. Non ha scelta. E subito im­
merso in questo universo di macchine e di prodotti, e i più innocenti,

1 Sulla trasformazione dell uomo da parte dell’ambiente tecnico si veda l’eccel­


lente studio di G. Friedmann, Sept études sur l'homme et la techtiique> cit.

378
L uomo nel sistema tecnico

rinterruttore elettrico o il rubinetto dell'acqua, sono i più immediati


testimoni di questa tecnicità. Questo ambiente conforma, senza che
ce se ne renda conto, ai comportamenti necessari, agli orientamenti
ideologici — chi contesterebbe questo «già dato»? — è acquisito come
evidenza. Va da sé che il trasporto rapido e i medicinali vengano
utilizzati: è fuori discussione. Perché non dovrebbero esserlo? Presto
l uomo inizia a pensare in modo conforme a questo ambiente, E for­
mato al comfort e all'efficacia. Non gli viene in mente di rifiutare, di
contestare l’ambiente tecnico nei suoi aspetti più sensibili, così come
all’uomo del xu secolo non veniva in mente di contestare l’albero, la
pioggia, la cascata. Sono aspetti evidenti che adattano molto rapi­
damente l uomo alla realtà inglobante del fenomeno. Sicuramente
non vede chiaramente di che cosa si tratti, non distingue il «sistema
tecnico», le «leggi» della Tecnica, così come f uomo del xu secolo
non conosceva le «leggi» fisiche, chimiche, biologiche e il processo
che unisce in un insieme i fenomeni che percepiva come separati.
Essere collocati all’interno dell’universo tecnico, e allo stesso tempo
non ravvisarlo, è la migliore condizione per esservi integrati, farne
completamente parte senza rendersene conto.
Ciò si trova completato da un secondo fatto: la formazione intel­
lettuale prepara a entrare in modo positivo ed efficace nel mondo
tecnico. Questo è divenuto un ambiente al punto che a esso vengono
adattati la cultura, i metodi, le conoscenze di tutti i giovani. L’uma­
nismo è superato a vantaggio della formazione scientifica e tecnica
perché F ambiente in cui lo studente si immergerà non è principal­
mente un ambiente umano ma tecnico. Lo si prepara ad assolvervi il
proprio compito2, cioè lo si prepara a esercitare una professione, ma

2 Un libro caratteristico a riguardo (così come è tipico per la confusione tra tec­
nica e nuovo umanismo) è quello di F. Canonge e R. Ducei, La Pédagogie devant
le progrès techmque, puf, Paris 1969 (tr. it. Cultura e insegnamento tecnologico,
sei, Torino 1971). Gli autori vi studiano la formazione intellettuale e pratica che
è necessario fornire per adattare il bambino ai cambiamenti tecnici e condurlo a
contribuire al progresso tecnico. Viene mostrato come Tapprendimento manuale
ceda il passo atTefficacia tecnica basata su un pensiero tecnico, fatto di attività
logica, di riflessione metodica e di ricerca tecnica. Il bambino viene educato alla
rappresentazione delle forme, alla valutazione di tutti i dati, e simultaneamente gli
vengono fornite le motivazioni necessarie per entrare nel sistema. Questo notevole
lavoro dimostra (involontariamente) che Tuomo così formato non dominerà mai
la tecnica, perché formato per una tecnica, perché vi è perfettamente adattato e
rimane incapace di ogni spirito critico. Ciò è più decisivo degli studi che cercano

379
Conclusione

ciò presuppone la conoscenza di alcune tecniche e l’uso di apparecchi


tecnici.
L'educazione, l’istruzione non sono più «gratuite», devono servi­
re in modo efficace. Tutte le critiche rivolte all’insegnamento ruota­
no intorno al fatto che: «Si imparano quantità di cose inutili. L’im­
portante è preparare a una professione (cioè alle tecniche di un dato
mestiere)». Tutti gli insegnamenti oggi tendono a diventare tecnici,
giustificati agli occhi del pubblico solo se basati su un dato aspetto
concreto. Come potrebbe un giovane formato in questo modo pro­
cedere a compiere scelte, decisioni nei confronti della tecnica? Non
solo vi è nato, i suoi giocattoli sono stati apparecchi tecnici, utiliz­
za auto, gru, motori elettrici sin dall’infanzia, ma è preparato dalla
scuola a funzioni tecniche e, sempre più, riceve unicamente nozioni
di quest’ordine. La famosa «crisi» dell’Università francese ha come
unica ragione profonda l’inadattabilità di questa istituzione alla for­
mazione tecnica: ciò che viene chiamato «preparare all’ingresso nella
società». Non bisogna dimenticare che questa formazione è sempre
più specializzata, con un rigore incredibile: la formazione, ad esem­
pio, di un programmatore di computer comporta sei specializzazioni
(programmatore di sistema, programmatore di gestione, ecc.) ben
distinte. Come si può pretendere che un uomo così formato abbia la
minima possibilità di critica o di controllo del sistema tecnico? Inol­
tre, quando accede a una professione, si trova unicamente a esercita­
re alcune tecniche. Quale che sia il mestiere, si tratta innanzitutto di
una partecipazione al sistema tecnico, attraverso ciò che si produce o
attraverso ciò che si diffonde. Anche in questo caso, come potrebbe
contestare ciò che è ormai la trama della sua vita? L’uomo tecnico
appare in breve diviso tra due modi di essere3. Da un lato, è a diretto

di provare come l’insegnamento abbia per obiettivo la prosecuzione della cultura


dominante!
3 Contro la prospettiva ottimista di Richta, che pensa che tutti saranno chiamati
a partecipare allo sviluppo scientifico e tecnico quando avranno maggiore tempo
libero, il libro duro e di parte di P. Roqueplo, Le Partage du savoir: science, culture,
et vulgarisation, Edition du Seuil, Paris 1974, è molto più realista. Non c e volgariz­
zazione veramente scientifica. Ciò che viene diffuso come conoscenza attraverso TV,
libri, riviste, non ha alcun valore culturale. Non c’è alcuna condivisione del sapere.
Questo si situa sempre al di sopra e al di là delle conoscenze parcellari distribuite.
C’è una differenza qualitativa tra sapere episodico e sapere scientifico o la formazio­
ne intellettuale critica. Benissimo, sono però meno d’accordo con l’autore quando

380
L’uomo nel sistema tecnico

contatto con la propria tecnica, la propria specialità: è estremamente


competente nel proprio campo, sa e vede chiaramente ciò che deve
fare con un’efficacia sempre maggiore. Ma tutto ciò ha valore in un
settore strettamente limitato. Dall’altro lato, si trova al livello di tutti,
conosce il mondo e i problemi politici, economici solo attraverso
informazioni parziali e di parte, possiede una «semicomprensione»
delle questioni, un quarto di conoscenza dei fatti, e la competenza
nel suo dominio non gli serve in alcun modo a comprendere o co­
noscere meglio i fenomeni generali, dai quali, in fin dei conti, tutto
dipende.
Questa influenza è ancora più ampia di quella della scuola o del
mestiere. Il sistema tecnico comporta i propri agenti di adattamen­
to. La pubblicità, gli svaghi attraverso i mass-media, la propaganda
politica, le relazioni umane e pubbliche, tutto ciò, con minime diffe­
renze superficiali, ha una sola funzione: adattare l’uomo alla tecnica,
fornirgli soddisfazioni psicologiche, motivazioni che gli permettano
di vivere e lavorare in modo efficace in questo universo. Tutto il pa­
norama mentale nel quale l’uomo si colloca è prodotto da tecnici
e rende l’uomo conforme all’universo tecnico, il solo trasmessogli
da tutte le rappresentazioni fornite. Non solo vive spontaneamente
nell’ambiente tecnico, ma la pubblicità o i divertimenti gli fornisco­
no l’immagine, il riflesso, l’ipostasi di questo ambiente.
Questo genere di condizionamento ha creato un nuovo tipo psi­
cologico4; un tipo che reca quasi dalla nascita l’impronta della mega­
tecnologia in tutte le forme; un tipo incapace di reagire direttamente
agli oggetti della vista e dell’udito, alle forme degli oggetti concreti,
incapace di funzionare senza ansia in qualsiasi campo, addirittura
incapace di sentirsi vivo senza lautorizzazione o l’ordine della mac­
china e senza l’assistenza dell’apparecchiatura extraorganica fornita
dalla dea macchina. In molti casi, questo condizionamento ha già

pensa che la volgarizzazione sia una «manipolazione ideologica al servizio della clas­
se dominante». Si tratta certo di una funzione integratrice spontanea nella società
tecnica, ma pensare che sia un oscuro machiavellismo, un volontario calcolo per
conformare le classi oppresse, è un'idea da romanzo d appendice. Non condivido
le speranze un po’ sempliciste di Roqueplo, che crede che con un cambiamento po­
litico (il passaggio al socialismo!), la condivisione del sapere simultaneamente vero
e generalizzato diverrebbe possibile. Le cose, ahimè, sono molto più complesse! A
meno che, ci si torna sempre, il nuovo regime sia anche quello della virtù!
4 Si veda L. Mumford,9 Le Mythe * de la Machine, cit.

381
Conclusione

raggiunto un punto di totale dipendenza; questo stato di sottomesso


conformismo è stato salutato dai più sinistri profeti del regime come
la suprema «liberazione» dell’uomo. Liberazione da che cosa? Libe­
razione dalle condizioni nelle quali Tuomo ha prosperato, ossia una
relazione attiva, una relazione di scambio mutuamente gratificante
con un ambiente, umano e naturale, «non programmato», vario, at­
tivo, un ambiente pieno di difficoltà, di tentazioni, di scelte difficili,
di sfide, di sorprese, di ricompense inattese5.
Anche in questo caso i primi passi nell’instaurazione del controllo
avevano un’aria innocente. Considerate la macchina per insegnare
di Skinner. E apparentemente e immediatamente legittima! Eppure
è un semplice mezzo di conformazione tecnica. Chiaramente chi fa
pubblicità o «relazioni pubbliche» non ha alcuna intenzione profon­
da e perversa6, ma il vero risultato del suo agire è sempre il disinne­
sco delle reazioni spontanee contro il sistema tecnico, l’integrazione
sempre più completa di ogni spettatore o consumatore che lo con­
duce a lavorare in direzione della crescita tecnica. Alcuni, d’altro

5 Non bisogna certamente dimenticare il potere di integrazione concreta e volon­


taria dell’uomo nella Tecnica. Il grande timore sollevato, ad esempio, dalla scheda­
tura della vita completa di tutti gli individui. Il problema è correttamente posto e
analizzato da G. Messadié, La Fin de la vie privée, Calmann-Lévy, Paris 1974. L’au­
tore mostra l’importanza della crescente sorveglianza, il moltiplicarsi degli archivi,
«l’epidemia elettronica», che comporta il declino delle misure giuridiche tradizio­
nali come il segreto professionale, e la perdita progressiva, dal punto di vista psico­
logico, del senso della vita privata (dovuto non solo alle tecniche, ma effetto anche
della società di massa, della società «gomito a gomito». I giovani che «vogliono»
vivere in comunità, che fanno «tutto» in pubblico e perdono il senso della vita pri­
vata non sono innovatori né rivoluzionari: riflettono sul piano morale e psicologico
le semplici condizioni di vita imposte dalla società tecnica). La moltiplicazione degli
archivi su computer è temibile. Ma ancora una volta risposte e proposte vengono
meno. Messadié ricorre a misure giuridiche: definizione del limite da non supera­
re, controllo della centralizzazione, divieto di pubblicità (nel qual caso il «potere»
sarà doppiamente privilegiato!), protezione del segreto... Ma chi potrà far applicare
queste regole? Chi potrà limitare l’uso? Perché il problema non è quello di un buon
uso della Tecnica! Si tratterebbe di una messa in discussione totale, perché il sistema
è totale! Il diritto non fa più presa!
6 La pubblicità si rivela in quanto Tecnica non solo nelle pratiche oggettive, ma
anche nello spirito stesso dei pubblicitari: basta ricordare la pubblicità fatta per
la pubblicità, «l’uomo che non crede nella pubblicità è quello che nel 1900 non
credeva nell’automobile (o nel cinema, o nell’aereo)»; il punto di paragone è sempre
un oggetto tecnico: chi non crede alla tecnica pubblicitaria è colui che nel 1900 non
credeva alla tecnica meccanica.

382
Uuomo nel sistema tecnico

canto, vi tendono espressamente: tutti coloro che, preoccupati della


società di domani, affermano che la sola cosa da fare sia preparare
coscientemente l’uomo a vivere nella tecnica futura. Così, siccome
la tv avanzerà, e i progressi dei prossimi ventanni sono più o meno
noti, tutto ciò che bisogna fare è preparare l’uomo in anticipo: biso­
gna organizzarsi oggi per la televisione di domani» (Closets). Eppure
talvolta si prevede un avvenire di cultura e libertà. È allora signifi­
cativo constatare che quando le apparenze portano a pensare che
Pimmagine creata non sia tecnica, ci si rende presto conto che essa
è in realtà ancora più integratrice. I media, in effetti, non riflettono
sempre direttamente, semplicemente Puniverso tecnico, lo ripropon­
gono così com’è e ne coltivano le virtù. Spesso accade che i media
propongano immagini opposte alla realtà. L’idea di svago è, ad esem­
pio, sempre più diffusa. Ovviamente è vero che nella nostra società
l’uomo ha a disposizione maggiori mezzi di distrazione, e gode forse
di più tempo libero (cosa altamente discutibile). Ma bisogna subito
correggersi, perché quest’immagine è opposta alla situazione reale,
perché Puomo lavora oggi più di quanto abbia mai lavorato. Questa
immagine di speranza di tempo libero serve a far sopportare l’ec­
cesso e il tedio del lavoro. Più il lavoro è pesante, più Pimmagine
diffusa dello svago diventa gloriosa e trionfale. Il lavoro è il grigiore
quotidiano, il divertimento è il «senso» della vita, è la grazia «con­
cessa», ma non c’è opposizione: in realtà Pimmagine dello svago è
adattatrice nei confronti della necessità tecnica. Il tema dello svago
ottenuto grazie alla tecnicità deve essere messo in parallelo con la
lode rivolta alla tecnica per la crescita e il miglioramento della cultu­
ra. Non mi addentrerò nella questione di sapere se ciò sia esatto, se
non ci sia in realtà una privazione di cultura a causa della Tecnica, se
il concetto stesso di cultura non sia ambiguo7. Prendo solo in con­
siderazione il fatto dell’ammirazione e della profonda convinzione
della crescita intellettuale e artistica dell’uomo moderno grazie alla
Tecnica: questo atteggiamento tanto diffuso esprime solo la grati­
tudine dell’uomo nei suoi confronti. È l’espressione della profonda
convinzione di validità, di autenticità che tutti abbiamo: proviamo
una spontanea gratitudine nei confronti della TV, del giradischi o
delle meravigliose riproduzioni pittoriche. E ci sentiamo profon-

7 B. Charbonneau, Le Paradoxe de la culture, Danoel, Paris 1965.

383
Conclusione

damente frustrati quando veniamo privati di questi oggetti facenti


parte della nostra stessa vita. Questa gratitudine santifica la Tecnica
e rivela la nostra profonda assimilazione. E essenziale rendersi conto
che l’uomo di cui sempre si parla è ormai un uomo tecnicizzato8: non
può esserci altro orientamento. Quando si cerca una «cultura» o un
umanismo per la società tecnica, è sempre sulla base che Puomo in
questione è innanzitutto fatto per la tecnica, il solo grande proble­
ma è quello dell adattamento. La cosa è ancora più sorprendente
quando individui che colgono la gravità della situazione, temendo
la «tecnocrazia», non vedono altra soluzione se non la «formazione
continua», permanente, a carico del datore di lavoro, una formazio­
ne però in definitiva tecnica9. Bisogna credere che la società dello
svago o della cultura non sarà tecnica? No. Chiaramente l’accesso
allo svago o alla cultura ci viene mostrato unicamente come legato
allo sviluppo delle tecniche che si sostituiranno all’attività dell’uomo
rendendone la fatica superflua. Anche per quanto riguarda lo svago?
Lo svago consiste sempre solo nell’utilizzo di oggetti tecnici, mezzi
di trasporto, giochi, ecc. E molto rapidamente, diventando «di mas­
sa» (come potrebbe essere altrimenti?), bisognerà organizzarlo: non
è contempiabile che si lasci fare a ciascuno ciò che gli passa per la
testa, in modo totalmente indipendente. L’organizzazione del tempo
libero è essenzialmente un bisogno tecnico, che esige un alto grado
di tecnicità per ottenere risultati soddisfacenti, che consistono in una
completa sensazione di svago e una scomparsa evidente dell’impera­
tivo tecnico. Perché il culmine dello sviluppo tecnico consiste nella
scomparsa dell’apparecchio, brutto, ingombrante, che ricorda trop­
po la materialità.
Negli appartamenti moderni non ci sono più apparecchi per il
riscaldamento. I cavi elettrici sono scomparsi. Ogni meccanica scom­
pare per farvi vivere in un universo meravigliosamente non faticoso,

8 La prodigiosa mutazione che la tecnica provoca nell'uomo è stata scientifica-


mente studiata da B. Hofstàtter, Das Stereotyp der Technik, in Technik im teetnis­
che?! Zeitalter, Schilling, Dusseldorf 1965, in cui procede attraverso il metodo delle
connotazioni ottenute per sondaggio su scale di parole, con uno studio delle pola­
rizzazioni e opposizioni che fornisce un ottimo profilo dell’uomo tecnico e dei suoi
valori.
9 A. Kaufmann e J. Cathelin, Le Gaspillage de la libertà, Dunod, Paris 1964, o F.
Closets, En danger de progrès, cit.

384
L'uomo nel sistema tecnico

in cui ogni gesto dona soddisfazione senza che 1*intermediario tecni­


co si riveli, sia percepibile. Il sistema tecnico ingloba così l’individuo
senza che egli se ne renda conto. Riceve solo immense soddisfazioni.
Ma è una delle caratteristiche di questo universo diffondere imma­
gini opposte alla realtà: il massimo di complessità tecnica produce
rimmagine di un massimo di semplicità. L’intensa mobilitazione
dell’uomo per via del lavoro produce in lui la convinzione della so­
cietà dello svago. La demoltiplicazione dei mezzi porta a un’appa­
rente immediatezza. L’universalità dell’ambiente tecnico produce
Limmagine di una Natura.
Ciò ci porta a una nuova proposizione: tutti sanno che la tecnica
risponde a bisogni, a desideri permanenti dell’uomo. E inutile insi­
stere. Luomo ha sempre cercato di soddisfare il proprio appetito,
ha sempre cercato mezzi più efficaci, ha sempre tentato di evitare
la fatica, ha sempre voluto salvaguardare la propria sicurezza. Ha
cercato di conoscere e di comprendere. Ha sognato di camminare
sulla Luna e di viaggiare nello Spazio. Ha sognato di controllare la
luce celeste... La tecnica soddisfa i suoi più antichi bisogni e le sue
più recenti aspirazioni. Dà corpo ai suoi sogni: è la risposta ai suoi
desideri.
Non capisco F opinione di alcuni che esaltano il desiderio veden­
dovi la forma dell’indipendenza, della liberazione dell’uomo in rap­
porto all’universo tecnico - come se oggi il desiderio potesse avere
altro oggetto e altro mezzo di realizzazione che la tecnica! E un’in­
genuità parlare dello scatenamento del desiderio come espressione
umana in mezzo al rigore organizzato della società tecnica. Il de­
siderio riceve risposta nella tecnica. E poiché si esalta la liberazio­
ne del desiderio sessuale, bisognerà porsi la domanda di che cosa
lo permetta: «la pillola», ossia un prodotto tecnico. La tecnica non
è solo assoggettante e rigorosa nel modo semplicistico in cui viene
sempre rappresentata: essa è «liberatrice», facendo entrare più pro­
fondamente nel sistema tecnico. Ma si cerca di opporre desiderio e
tecnica, di fare del desiderio la scappatoia, la risposta, F apertura del
possibile basandosi sulle analisi di Freud. Ciò è doppiamente ingan­
nevole e porta in realtà ad assumere una posizione metafisica. E vero
che il desiderio è fondamentale e supera infinitamente tutte le realiz­
zazioni, che spinge l’uomo ad avanzare senza tregua e che tutto ciò
che oggi soddisfa il desiderio è presto superato. Ma ciò che sfugge a

385
Conclusione

questa beatifica visione è che Fuomo della società attuale conosce e


considera una sola via alla realizzazione, alla soddisfazione dei propri
desideri, ossia la via tecnica: la tecnica realizza tanti prodigi inattesi
che necessariamente, quando un desiderio appare spontaneamente,
Fuomo cerca risposta in un dato prodotto tecnico. Le rivolte stu­
dentesche, le critiche alla società dei consumi non fanno eccezione!
Uesaltazione del desiderio ci proietta più rapidamente nella crescita
tecnica. E ciò fa apparire Faltro errore: poiché razionale, la tecnica
sembra essere la contraddizione delFimpulso fondamentale dell’es­
sere. E un errore nei confronti della tecnica, che è, molto più pro­
fondamente, espressione dell’hybris. Devo rimandare a questo punto
all'ottimo studio di Brun10, che dimostra in modo certo come la tec­
nica non sia la macchina cieca e fredda ma Fesaltante danza dionisia­
ca. Tecnica e desiderio si uniscono così a perfezione. Nella nostra so­
cietà, Fesaltazione del desiderio può farci avanzare solo lungo la via
tecnica. Per manifestare il rapporto profondo tra i bisogni umani e il
loro soddisfacimento attraverso la tecnica, è inutile aggiungere lun­
ghe trattazioni a riguardo di ciò che alcuni chiamano «bisogni nuovi
o artificiali» creati in funzione della tecnica e attraverso la pubblicità,
mentre altri ritengono che non ci sia nulla di nuovo e che non si pos­
sano compiere separazioni tra bisogni naturali e artificiali. Diciamo
semplicemente che i bisogni fondamentali (nutrirsi, proteggersi dalle
intemperie e dai pericoli) sono completati da un lato, frammentati in
un'infinità di bisogni secondari dall’altro lato grazie ai prodotti e ai
processi moderni. I bisogni secondari si innestano su desideri, sogni,
tendenze più antichi ed essenziali, ma divengono rapidamente «na­
turali» e necessari11. Essi hanno un'origine tecnica perché è il mezzo
messo a disposizione per soddisfarli a renderli urgenti12.

10 J. Brun, Le Retour de Dionysos, Desclée de Cie, Paris 1969.


11 Bisogna sottolineare tuttavia l’osservazione essenziale di de Jouvenel: la produ­
zione, che nel secolo passato aveva un carattere vitale, oggi è disprezzata; «parados­
salmente la produzione ha acquisito uno status morale senza precedenti nell’epoca
in cui i suoi sviluppi si rivolgono a bisogni sempre meno vitali».
12 Quanto allo studio della correlazione tra bisogno e tecnica, rimanderei all'ec­
cellente lavoro di Leitherer, Technik und Konsum, in Die Technik im technischen
Zeìtalter, cit., che saggiamente distingue la comparsa di nuovi bisogni a causa dello
sviluppo tecnico, dal cambiamento deir«ambiente di consumo» a causa della tec­
nica - e quindi la creazione artificiale di bisogni attraverso una volontaria influenza
da parte dei venditori; il secondo aspetto è chiaramente molto meno significativo

386
L’uomo nel sistema tecnico

L’uomo «sognava» di andare sulla Luna. La Tecnica permette di


andarci. In un maggior numero di uomini nascerà il bisogno di an­
dare a faci un giro. Questi bisogni hanno un’origine tecnica, e solo la
tecnica permette di soddisfarli.
La formula utilizzata da Wiener e Kahn per caratterizzare questo
fenomeno è la più indovinata: «Questi sviluppi tecnici producono, in
aggiunta a esigenze ambientali, bisogni per soddisfare le capacità tec­
nologiche»; e più avanti: «Ogni nuova tecnica comporta un effetto
marginale e ognuno di questi cambiamenti sarà generalmente consi­
derato desiderabile e benefico». La crescita tecnica si basa sulTade­
sione a priori da parte dell’uomo che vede il dono di ogni tecnica
come una risposta a un bisogno, che in realtà esiste solo al fine di
utilizzare la capacità tecnologica. Come si può credere, a queste con­
dizioni, che l'uomo voglia contestare, rifiutare, denunciare ciò che
gli sembra (non razionalmente ma per evidenza del vissuto) la sola
fonte di soddisfazione, gratificazione e che inoltre gli garantisce un
futuro vivibile, ossia un futuro nel quale bisogni e desideri saranno
completamente soddisfatti?
Ed ecco Lultima proposizione: l’uomo della nostra società non
possiede alcun punto di riferimento intellettuale, morale, spirituale a
partire dal quale possa giudicare e criticare la tecnica13.
Illich fa giustamente notare che gli strumenti tecnici tendono a
creare «monopoli radicali, monopoli del consumo attraverso la pub­
blicità, della circolazione a causa dell’esistenza dei trasporti, della
sanità a causa dell’esistenza della medicina ufficiale, del sapere a
causa della scuola», ecc. «Questo dominio dello strumento instaura
un consumo obbligatorio e limita quindi F autonomia individuale».
«Una volta accettato il ruolo, anche i bisogni più semplici possono

e importante del primo, e ha ragione a sottolineare che i bisogni prodotti dalla


tecnica {nei due casi) non sono «antinaturali», ma sembrano annunciare un’altra
«natura».
Non mi riferisco alla teoria di Marcuse sull uomo unidimensionale, poiché non
si tratta di una nuova teoria: molti altri prima di Marcuse avevano detto esattamente
la stessa cosa (il primo è stato probabilmente Amaud Dandieu nel 1929). Marcuse
vi ha aggiunto solo uno pseudo «marxo-freudismo», che si limita a complicare inu­
tilmente senza aggiungere nulla. Seduce attraverso un linguaggio filosofico, che dà
un’impressione di profondità, mentre si tratta dì confusione mentale, e attraverso
un estremismo verbale che ha fatto credere al suo impegno rivoluzionario. Le illu­
sioni nei suoi confronti iniziano fortunatamente a dissiparsi.

387
Conclusione

essere soddisfatti solo attraverso servizi che sono, per definizione


professionale, sottomessi alla rarità».
E allo stesso modo interessante constatare come Willener14 rico­
nosca che attraverso la tecnica Puomo impara a conoscersi meglio, a
sapere meglio che cosa diventare, e trova un mezzo di identificazione;
in altre parole Pesperienza tecnica insegna all'uomo chi è (invece della
vecchia esperienza retorica critica!), portando a una specie di tecno-
centrismo dell’uomo, davvero interessante in questo libro destinato
a dimostrare che attraverso il Video si accede alla libertà, alla scelta,
alPautonomia! Queste due osservazioni, che potrebbero essere segui­
te da molte altre simili, attestano solo come Puomo sia interamente
«da questa parte» (diesetts) del sistema e non ci sia più alcun «al di là»
del sistema a partire dal quale esso può essere «guardato» e criticato.
La sociologia della morte delle ideologie (Bell) e la teologia della
morte di Dio attestano accidentalmente la scomparsa del punto di
riferimento.
Il processo di crescita tecnica comporta la distruzione dell'uni­
verso estraneo o la sua assimilazione. Il sacro, il religioso non tecnico
è eliminato. L uomo così non può collocarsi in alcun punto dal quale
potrebbe apportare il proprio giudizio a riguardo del processo. Non
c'è alcun «punto di vista» possibile. Se pensa dialetticamente, la tec­
nica non è uno dei termini di questa dialettica: è l'universo nel quale
gioca la dialettica. Se pensa religiosamente, cerca innanzitutto di far
coincidere la nuova forma di religione con questo universo (il che
si fa evidente con lo strutturalismo e con gli sforzi dell'ermeneutica
moderna).
* * *

Tale è Puomo chiamato a vivere, pensare, agire nella nostra so­


cietà. Per cui ci troviamo in un circolo vizioso quando i sostenitori

N Chiaramente il sistema video, A. Willener, Vidéo et soctété virtuelle, Tema-édi-


tions, Paris 1972, può sembrare un mezzo di libertà attraverso la tecnica. Ma d’altro
canto provoca maggiore integrazione. Giunge a trasformare gli spettatori in «prota­
gonisti», mentre nello spettacolo c’è ancora la possibilità di una distanza, si sa che
non è «vero». Si può quindi rimanere liberi. Il video ci fa entrare nella cosa vissuta.
E il processo in azione e non il «prodotto spettacolo» a essere importante: vivere
questo lavoro significa coincidere con la società che lo suggerisce e la possibilità di
reazione e di critica è quindi in proporzione diminuita.

388
L'uomo nel sistema tecnico

della Tecnica spiegano che la Tecnica obbliga l’uomo ad assumersi


le proprie responsabilità, a decidere autonomamente, a esercitare la
scelta.
Closets sviluppa F argomento approfonditamente, ad esempio a
riguardo della politica sanitaria, dei problemi morali posti all'uomo a
causa della tecnica: scegliere di far vivere o di far morire, di orientare
le tecniche sanitarie. Non ho mai detto che Fuomo sarà meccanizzato
o reso schiavo dalla Tecnica: ma l’uomo che esercita la scelta e che
possiede la responsabilità altro non sarà che l’uomo innanzitutto tec­
nicizzato, che prenderà le proprie decisioni in funzione della tecnica
e in direzione di una tecnica maggiore. Il problema centrale è qui
quello della «Tecnica e libertà», che si esprime attraverso la scelta.
I sostenitori della tecnica cercano di giustificarla spiegando che
essa libera l’uomo dalle antiche costrizioni (il che è esatto), che per­
mette di fare moltissime cose che una volta non era possibile fare
(camminare sulla luna, volare, parlare a distanza, ecc.) e gli permette
di esercitare innumerevoli scelte15. Quando Toffler dichiara che la
società tecnica apre la via a una maggiore libertà, parla esclusiva-
mente di possibilità di cambiamento, di scegliere tra «stili diversi»
(?), di uscire dalle proprie abitudini e di consumare una gran varietà
di prodotti.
Tutti possono vedere che grazie alla tecnica l’uomo può scegliere,
i suoi comportamenti sono liberati, può andare ovunque, cogliere
qualsiasi cultura. Grazie a mezzi tecnici, la pillola o l’aborto, Fuo-
mo (la donna) diviene libero. Libero di avere o meno dei figli. Ma
ciò non è straordinariamente illusorio? A proposito del film Histoire
d!«A»y il giornalista di «Le Monde» scriveva: «Presentando come un
fenomeno normale, perché chiaramente spiegato, affrontato senza
paura, in piena libertà di scelta individuale e sotto controllo medico
le immagini di una interruzione di gravidanza, questo film sdramma­
tizza, libera dal senso di colpa l’aborto».
È inutile insistere: evidentemente l’uomo moderno può spostarsi,
scegliere tra consumi, ecc. (non tengo conto qui delle restrizioni di
ordine politico). Ciò implica un aumento di libertà? Bisogna porsi
una serie di domande: chi è Fuomo chiamato a scegliere? La scelta è
autonoma? Su che cosa si basa? Che peso hanno i tecnici?

15 A. Toffler, op. cit., p. 307; C. Finzi, Il potere tecnocratico, cit.

389
Conclusione

Mumford: «Benché ogni nuova invenzione tecnica possa aumen­


tare il campo di libertà umana, essa aumenta solo se i beneficiari
umani solo liberi di accettarla, di modificarla o di rifiutarla, di utiliz­
zala come e quando fa loro comodo, in quantità conforme alle loro
intenzioni». Ciò non si verifica mai nelFuniverso tecnico.
Toffler dichiara: «Giungerà un momento in cui la scelta, invece di
liberare l’individuo, diventerà così complessa, così difficile e così co­
stosa che si avrà spesso l’effetto opposto. In sintesi, è vicino il tempo
in cui la scelta diverrà un ipercaos e la libertà l’antilibertà».
Partiamo dai problemi più semplici. Innanzitutto, non ce neces­
sariamente coincidenza tra libertà e molteplicità di scelta degli og­
getti di consumo.
Si può essere perfettamente liberi avendo ad ogni pasto solo del
riso da mangiare, e perfettamente alienati davanti al menù di un ri­
storante e alla scelta tra mille piatti diversi. In realtà, esistono solo
ordini di scelta (l ordine di scelta dell’uomo o della donna con cui si
può costruire una vita è diverso dall’ordine di scelta di una marca di
macinacaffè elettrico), di diversa natura, e zone di scelta. Per quan­
to concerne queste ultime, la zona delle mie scelte è perfettamente
delimitata dal sistema tecnico: ogni scelta avviene all interno del si­
stema, nulla lo oltrepassa. E per questo motivo che nasce l’ingenua
protesta dell’amore libero e della non determinazione di una coppia:
i poveri giovani che credono in questo modo di affermare la propria
libertà non si rendono conto che si limitano a esprimere la propria
appartenenza al sistema. Riducono il partner all’oggetto che fornisce
una soddisfazione, come un qualsiasi prodotto tecnico, e l’incostan­
za della scelta altro non fa che unirsi al caleidoscopio di consumi.
Non compiono alcuna scelta diversa da quella proposta dal sistema
tecnico. Nel campo dei consumi, Baudrillard ha realizzato una dimo­
strazione che ritengo eccezionale, ma che bisogna sviluppare. Tutto è
compreso tra due poli: «l’individuo è libero in quanto consumatore,
ma non è libero in quanto tale». Primo punto. «Il fine ultimo della
società dei consumi è l immissione in ruolo del consumatore stesso,
la monopolizzazione dei suoi bisogni, un’unanimità di consumo che
corrisponde alla concentrazione e al dirigismo assoluto della pro­
duzione», cosicché «la censura si esercita attraverso libere condotte
(acquisto, scelta, consumo); attraverso un investimento spontaneo,
essa si interiorizza in qualche modo nello stesso godimento». Secon-

390
L'uomo nel sistema tecnico

do punto, e il cerchio è chiuso. Come non ricordare qui, ancora una


volta, il libro di Closets, ricco di contraddizioni, che con un tratto di
penna riconosce che il progresso tecnico implica regolamentazioni
crescenti, divieti, controlli più severi, conteggi continui, la collet­
tivizzazione delle condotte private, e spazza via il «vecchio ideale
liberale». Ma allo stesso tempo, pieno di speranza, annuncia che
«le aspirazioni individuali si impongono, le esigenze collettive indie­
treggiano, i regimi autoritari, le morali dogmatiche, i comportamenti
imposti cedono man mano che le tecniche avanzano...», e che c’è
«un sovrappiù di libertà apportata dal progresso tecnico». Questa
evidente, flagrante contraddizione è molto più frequente di quanto si
creda, e si spiega facilmente: nel primo caso, Closets parla in quanto
tecnico, a livello dei fatti, delle constatazioni. Nel secondo caso, dà
voce (senza rendersi conto di aver cambiato registro) ai propri auspi­
ci, alle proprie speranze, alle proprie convinzioni: non è possibile, sa­
rebbe troppo triste se l’uomo cessasse di essere libero. Ma egli crede
che le cose stiano così, e che il suo desiderio di moralista umanista sia
dello stesso ordine della sua constatazione di tecnico. Ahimè16!
Bisogna dissipare il mito che la tecnica aumenti le possibilità di
scelta: ovviamente l’uomo moderno può scegliere tra cento marche
di auto e mille tessuti... cioè prodotti. A livello dei consumi, la scelta
si basa su un più ampio ventaglio. Ma a livello del ruolo nella società,
a livello delle funzioni e dei comportamenti, c’è una considerevole
riduzione. La scelta tra oggetti tecnici non è della stessa natura della
scelta di un comportamento umano. Non c’è una categoria teorica
della «scelta» che esprima la libertà. La parola «scelta» non ha alcun
contenuto etico in sé, e non è attraverso la scelta di oggetti che si
esprime la libertà. Ciò che ci viene offerto è la scelta tra due oggetti
- possiamo prendere uno e lasciare l’altro -, ma mai una scelta più
fondamentale, ad esempio tra ciò che è prodotto e ciò che è limita-

16 Si veda il valido studio di D. Gabor, La Liberté dans une société industrielle avan-
cée> «Analyse et Prévision», 1966, in cui vengono mostrate con precisione le possibi­
lità e le limitazioni di scelta, cosi come rattitudine dell’uomo a giudicare la propria
soddisfazione presente, il suo diritto estremamente limitato a determinare i propri
desideri (in rapporto alla società tecnica), e la sua totale assenza di «diritto» a giudi­
care mezzi e orientamenti a lungo termine. Su questo tema centrale i due autori di
riferimento rimangono R. Aron, Les Désillusions du progrès, op. cit. e J.K. Galbraith,
L'Ère de l’opulence, Calmann-Lévy, Paris 1961 (ed. or. The affluent society, Mifflin,
Boston 1958; tr. it. La società opulenta, Edizioni di Comunità, Milano 1963).

391
Conclusione

to dal processo di crescita del sistema, tra una possibilità e la sop­


pressione dell altra. L’aut-aut si basa su «o l’auto» «o la tv». Mai per
esempio: o più elettricità o una riduzione dei rischi atomici. La scelta
proposta è sempre falsa, perché il discorso tecnico normale consiste
neiraffermare che non è necessario compiere una scelta, ma che è
possibile accumulare tutto, ed essere così più ricchi e più spirituali,
più potenti e più solidali. A un altro livello, si può dire che le scelte
nella società tecnica vengano fatte altrove rispetto alla realtà di colui
che sceglie. Il consumatore può scegliere tra moltissimi oggetti diversi
da consumare, ma non sceglie mai a proposito degli investimenti, che
dettano e decidono il consumo. Le innumerevoli scelte proposte (tra
viaggi e crociere, tra spettacoli e macchine, ecc.) si collocano sempre
a livello delle conseguenze finali del sistema, mai all’origine. Si collo­
cano sempre nel margine di indifferenza (essere prò o contro la pillola
è qui totalmente indifferente) eppure diamo importanza a ciò che è
fondamentalmente indifferente per aumentare le nostre scelte. Si può
scegliere tra centinaia di professioni, ma meccanismi estremamente
rigorosi decidono di questa scelta, che non è mai e in nessun luogo
libera. Perché il sistema tecnico riduce tutte le scelte a una, «la scelta
di un ritmo di crescita più o meno rapido. Cambiamenti sociali inter­
vengono solo come fattori utili e quindi necessari alla suddetta cresci­
ta» (de Jouvenel). Il nostro attuale processo consiste, secondo la bella
definizione di de Jouvenel, nel «prendere senza comprendere. Come
fa il Barbaro. Comprendere solo per prendere, è la razionalizzazione
della Barbarie, ed è lo spirito della nostra civiltà. E l’intelligenza di
ratto e non di simpatia». Ma è ancora possibile fare un’altra scelta, e
opporre, come necessario, le componenti sociali fattori di crescita e
che hanno unicamente un valore strumentale, a quelle che ai nostri
occhi sono desiderabili e che possiedono un valore finale. L’integra­
zione del sistema tecnico tende a negare questa possibilità.
Le scelte possibili sono delimitate dal sistema, proposte a un
uomo ossessionato dai valori tecnici, impossibili a cogliersi in ogni
loro dimensione, e perciò le scelte sono indotte, provocate dai tecni­
ci. Riprendiamo questi diversi punti. La libertà di scelta gioca in una
situazione, situazione nella quale «si» colloca l’uomo. Non è il movi­
mento di conquista della libertà. Inoltre un insieme di costrizioni si
sostituisce a un altro. Il sistema sopprime in particolare la possibilità
di essere «liberi».

392
Uuomo nel sistema tecnico

«L?uomo della città produttivista non può in alcun modo essere


un uomo libero: è impegnato in numerosi rapporti sociali, mutevoli
e pressanti» (de jouvenel). Ciò che altri chiamano alienazione. Il ra­
pido cambiamento di questi rapporti sociali apporta un'illusione di
libertà. Ma non è l’uomo a provocare questi cambiamenti: sono essi,
procedendo dairavanzamento del sistema, a determinare l’uomo, ed
è il loro carattere «pressante» a limitare la libertà. Uuomo è sempre
più definito dalla propria situazione nel sistema, ha sempre meno
possibilità di definirlo, Fazione costituirebbe la libertà nei confronti
del sistema. E impossibile per l’uomo «qualunque» porre corretta-
mente i problemi e i termini stessi della scelta, per incapacità (ragione
troppo spesso sostenuta), ma soprattutto per la sopravvivenza della
mentalità magica e perché, ancora di più, siamo incapaci di vedere
gli aspetti negativi dei mezzi che rischiamo di impiegare, siamo os­
sessionati dalla potenza e dalla felicità, e siamo incapaci di porre cor­
rettamente ii problema della scelta che supporrebbe la chiara visione
del fatto che «accettare x comporta necessariamente Y». Il problema
è qui, e non tra un bene x e un bene Y a mia immediata disposizione.
U calcolo delle conseguenze è di una complessità infinita. Le nostre
scelte non sono quindi mai reali, si basano solo su ciò che la società
tecnica ci mette a disposizione. Uottimizzazione delle scelte e la RCB
manifestano in modo ancora maggiore a che punto le scelte non sia­
no affare del cittadino! A numerose combinazioni di variabili o di
decisioni corrispondono altrettante possibili soluzioni al problema,
e bisognerà aver esaminato la costituzione tecnico-economica di ogni
decisione e le sue conseguenze: il che è impossibile. Anche al più
alto livello tecnico, la decisione e la scelta rimangono aleatorie. Si
può dire che, a tutti i livelli, più aumentano i mezzi di potenza, più
le decisioni e le scelte sono irrazionali. Ciò appare ancora più grave
quando appare la necessità di una certa qualità di vita, che sfugge
alla tecnica attuale (de Jouvenel pone così il problema: la scelta non
è tra costruire o meno degli appartamenti, ad esempio, ma tra co­
struirli il più rapidamente possibile e al costo minore o costruirli più
lentamente, in modo più costoso e più belli: con le scelte attuali, il
livello di vita dei Francesi sarà raddoppiato nel 1985, ma la metà di
loro abiterà in nuovi appartamenti che saranno veri tuguri). Le scelte
proposteci sono in realtà imposte dai mezzi tecnici e dalla mentalità
tecnica.

393
Conclusione

Se riprendiamo il problema di una scelta esistenziale, ad esempio


la scelta di un figlio, di abortire o meno, come non vedere che si trat­
ta di mezzi che teoricamente, in modo metafisico, permettono all'uo­
mo una scelta esistenziale, ma che per il fatto di situarsi nel sistema
tecnico sono, in sé> una negazione della possibilità di scelta. La don­
na che sceglie 1 aborto è rigorosamente determinata a questa scelta
dall'intero sistema. Come può esserci scelta individuale quando tutto
ciò è dettato da un insieme di convinzioni sulla Naturalità, sull’og-
gettività della Scienza e della Tecnica? Come può esserci libertà di
fronte a scienziati e tecnici che insieme muovono in una determinata
direzione? Basta la chiara spiegazione? Torniamo alle illusioni scien­
tistiche del 1900. Liberare dal senso di colpa allorché si mette fine
a una vita in potenza? Non ci troviamo in presenza della prodigiosa
crescita delFirresponsabilità che caratterizza il sistema tecnico? Lun­
gi dall'essere un atto di libertà, è la possibilità di cancellare le conse­
guenze dell'atto, e quindi aumentare l irresponsabilità17. Ciò ci porta
al problema simmetrico riguardante la scelta della morte. U dominio
tecnico che permette di allungare artificialmente la vita, di praticare
la rianimazione, ad esempio, ma anche di mantenere in vita persone
che «normalmente» sarebbero morte, aumenta la libertà? I mezzi
tecnici che permettono di portare alla morte, nella più totale inco­
scienza, qualcuno che, a prezzo di sicure sofferenze, avrebbe potuto
«naturalmente» rimanere cosciente, e quindi accettare consapevol­
mente la propria morte, aumenta la libertà? Non è, come è stato det­
to, derubare l'uomo del momento più importante della propria vita,
la morte? Non è, come nel caso precedente, diminuire la responsabi­
lità e la capacità di scelta davanti alla vita e alla morte? Il problema
è: le tecniche aumentano la libertà? Non nego che esse permettano
di mitigare le sofferenze e di allungare la vita. Non è questo il centro
della discussione, che è stato invece mirabilmente posto durante il
«Colloque sur les nouveaux pouvoirs et les nouveaux devoirs de la
science» (20-24 settembre 1974, presso la Sorbona). Ciò di cui ci si
è resi principalmente conto è la dominanza del tecnico sulla questio­
ne. Malgrado le buone intenzioni, la decisione è sempre rimessa a

*' Mi sono occupato piuttosto dettagliatamente del problema nel secondo volume
di LÉthique de la Liberti, Centurion/Labor et Fides, Paris 1973-1984. Mi limito qui
a ricordare brevemente la questione.

394
L’uomo nel sistema tecnico

«persone competenti, coscienti», che «valutano» la necessità degli


esperimenti, le probabilità di sopravvivenza, la qualità della vita che
viene prolungata, ecc. In altre parole, non è praticamente mai il pa­
ziente a essere chiamato a decidere. E il Tecnico. La Tecnica aumenta
la libertà del tecnico, ossia il suo potere, la sua potenza. Ed è a questa
crescita di potenza che viene sempre ricondotta la sedicente libertà
dovuta alla Tecnica. Essa comporta la crescita del ruolo del tecnico.
Il tecnico, legittimato dalla propria competenza, ritiene di avere nel
proprio ambito tutti i diritti, compreso, all’occorrenza, quello di de­
cidere della vita e della morte. Bisogna capire che ciò è strettamente
conforme alle caratteristiche della Tecnica in quanto ambiente e in
quanto sistema: poiché la Tecnica permette di modificare, di deviare,
di respingere il processo naturale (che ad esempio porterebbe alla
morte), è evidente che la decisione dell’uomo si sostituisce alla «de­
cisione» della «Natura». Ma questa decisione non è quella dell’uomo
interessato dal fenomeno, è quella dell’uomo detentore della Tecni­
ca. Potere dell’uomo sull’uomo. L’illusione completa di coloro che
vogliono «dare voce alLutilizzatore o alTuomo comune»!
Per cui i problemi «umanistici» sono falsi problemi. Come potrà
quest’uomo, che è quello reale e non quello immaginato da Sartre o
Heidegger, esercitare sovranamente ciò che ci si attende da lui, scelte,
giudizi, rifiuti nei confronti della tecnica e dei tecnici? Come, e in
funzione di cosa, potrà dare un orientamento diverso da quello che la
Tecnica si dà nel proprio autoaccrescimento? Quale iniziativa pren­
derà che non sia innanzitutto tecnica? Ancora una volta non bisogna
assolutamente concludere che quest’uomo sia meccanizzato, condi­
zionato, che sia un robot. Non l’ho mai detto. Resta perfettamente
capace di scelte, decisioni, modificazioni, orientamenti, ma sempre
all’intemo del quadro tecnico e in direzione di una progressione del
tecnico. Può scegliere. Ma le sue scelte si baseranno sempre su ele­
menti secondari e mai sul problema globale. I suoi giudizi saranno
sempre in ultima analisi definiti da criteri tecnici (anche quelli dall’ap­
parenza umanista: il dibattito sull’autogestione è caratteristico a que­
sto proposito). Può scegliere, ma in un sistema di opzioni stabilite
dal processo tecnico, può orientare, ma in funzione del dato tecnico:
non ne esce mai, e i sistemi intellettuali che costruisce sono sempre in
definitiva espressioni o giustificazioni del tecnico: si pensi ad esempio
allo strutturalismo o alla ricerca epistemologica di Foucault.

395
Conclusione

Abbiamo visto che l’uomo non è perfettamente integrato, adat­


tato al sistema tecnico. Ma ci basta qui constatare che non è la pre­
senza delTuomo a impedire alla Tecnica di costituirsi in quanto si­
stema: l’uomo che agisce e pensa oggi non si colloca come soggetto
indipendente in rapporto a una tecnica oggetto, ma è all’interno del
sistema tecnico, è modificato dal fattore tecnico. L’uomo che oggi si
serve della tecnica è quindi quello che la serve. Reciprocamente, solo
Puomo che si serve della tecnica è veramente adatto a servirsene18.

Aprile 1968-Agosto 1977

n.b. Questo libro è seguito da uno studio, in corso di pubblicazione,


sulle disfunzioni del sistema tecnico. In tre parti vi verranno studia­
te le seguenti questioni: l’assenza di feed-back, con, in particolare,
Pambivalenza del progresso tecnico, l’irrazionalità del sistema, le no-
cività e Pinquinamento, ecc. In secondo luogo, l’inadeguatezza delle
soluzioni proposte (in particolare l’inutilità del pensiero di Marx in
questo campo). Infine Porientamento del sistema stesso verso l’isti­
tuzione di un feed-back (la relazione tra uomo e computer) e le pro­
babilità di realizzazione del passaggio da un processo di crescita a
uno di sviluppo.

!s Per rendersi conto a che punto l’uomo moderno sia «manipolato» a favore della
Tecnica, a che punto vi aderisca, bisogna leggere lavori come quelli di A. Touraine,
Les Travailleurs et les changements techniques, OCDE, Paris 1965, o A. Touraine et al.
Les Ouvriers et le prògrès technique, A. Colin, Paris 1966. Gli operai reagiscono sem­
pre meno di fronte al progresso, parlano di un allargamento delle loro responsabi­
lità, hanno la sensazione di essere investiti di una qualifica superiore, rinnovazione
tecnica viene da loro interpretata in termini di progresso tecnico - questo viene visto
in modo positivo in quanto aprirebbe nuove possibilità, sebbene gli stessi operai
conservino una visione piuttosto pessimista del proprio livello di vita e del proprio
futuro. Ciò è un segno evidente della conformazione al tecnico.
Ancora più significativo: i sindacalisti della Germania dell Est nel 1975 vedono la
«soluzione» del problema operaio unicamente sotto l’aspetto di una crescita tecnica,
attraverso l’applicazione del computer, e non più in funzione di una trasformazione
politica delle strutture economiche.

396
BIBLIOGRAFIA DI JACQUES ELLUL*

I LIBRI SULLA TECNICA

La Technique ou lenjeu du siède, Armand Colin, Paris 1954, ried. Économica,


Paris 1990 (tr. it. La tecnica rischio del secolo, Giuffrè, Milano 1969).
Propagandes, Armand Colin, Paris 1962, ried. Economica, Paris 1990.
Llllusion politique, Robert Laffont, Paris 1965, ried. Livre de poche, Paris
1977.
Métamorphose du bourgeois, Cairnann-Levy, Paris 1967, ried. La Table
Ronde, Paris 1998.
Les Nouveaux Possédés, Fayard, Paris 1973.
L!Empire du non-sens, puf, Paris 1980.
Le Bluff te eh nologique, Hachette, Paris 1988, ried. Pluriel-Hachette, Paris
2004.

Varia

Histoire des institutions, PUF, Paris 1955, Themis, Montreal 1999 (tr. it.
a cura di Giovanni Ancarani, Storia delle istituzioni, Mursia, Milano
1976).
Trahison de l’Qccident, Cairn ann-Levy, Paris 1975, ried. Princi Regue, Paris
2003 (tr. it. Il tradimento dell' Occidente, Giuffrè, Milano 1977).

* Sono indicati solo i testi attualmente disponibili.

397
Bibliografia di Jacques Ellul

Ce que je crois, Grasset, Paris 1987.


Silence, Opales, Bordeaux 1995. Poesie.
Oratorio. Les quatre cavalieri de lApocalypse, Opales, Bordeaux 1997.
Poesie.
Con Patrick Chastenet: Entretiens uvee Jacques Ellul, La Table ronde, Paris
1994.
Con Didier Nordon: LHomme à lui-mème, Éditions du Félin, Paris 1992.

Teologia

Présence au monde moderne: problèmes de la civilisation post-chrétienne,


Roulet, Genève 1948, ried. Presses bibliques universitaires, Lausanne
1988.
LEspérance oubliée, Gallimard, Paris 1972, ried. La Table ronde-La Petite
Vermillon, Paris 2004 (tr. it. La speranza dimenticata, Queriniana,
Brescia 1975).
Sans Jeu ni lieu. Signification biblique de la grande ville, Gallimard, Paris
1975, ried. La Petite Vermillon, Paris 2003.
La Subversion du christianisme, Éditions du Seuil, Paris 1984; ried. La Petite
Vermillon, 2001.
Anarchie et christianisme, Atelier de création libertaire, Lyon 1988, ried.
La Table ronde-La Petite Vermillon, Paris 1998 (tr. it. Anarchia e
cristianesimo, Eleuthera, Milano 1993).
Ce Dieu injuste? Théo logie chrétienne pour le peuple dfIsrael, Arléa, Paris
1991.
Si tu es le fils de Dieu. Souffrances et tentations de Jésus, Centurion, Paris
1991.

Libri su Ellul

Religion, Société et politique: mélanges en hommage à Jacques Ellul, PUF,


Paris 1983.
Sur Jacques Ellul, a cura di Patrick Troude-Chastenet, prefazione di Ivan
Illich, Lesprit du temps, Bordeaux-le-Boscaut 1994. Atti della conferenza
internazionale «Technique et société dans Foeuvre de Jacques Ellul»,
tenutasi il 12 e 13 novembre 1993 presso Flnstitut d Études politiques
de Bordeaux. Quindici interventi firmati da Jean-Luis Loubet de Bayle,
Patrick Troude-Chastenet, Daniel Cérézuelle, Maurice Weyembergh,
Serge Latouche, Friedrich Rapp, Alain Gras, André Vitalis, Lazare

398
Bibliografia di Jacques Ellul

Marcelin Poamé, Franck Tinland, Pierre De Coninck, Lucien Sfez,


Marc Van den Bossche, Gilbert Hottois, Gabriel Vahanian e Jean-Louis
Seurin, senza contare la prefazione di Ivan Illich e la postfazione di
Jacques Ellul.
Patrick Troude-Chastenet, Lire Ellul' introduction à toeuvre sodo-politique
de Jacques Ellul, Presses universitaires de Bordeaux, Bordeaux 1992.
Le Siede de Jacques Ellul, dicembre 1994, numero speciale della rivista «Foi
et vie», dicembre 1994.
Jean-Luc Porquet, Jacques Ellul, l’homme que avait (presque) tout prévu, le
Cherche-Midi, Paris 2003 (tr. it. Jacques Ellul, l'uomo che aveva previsto
(quasi) tutto, Jaca Book, Milano 2008).
Joyce Main Hanks, Jacques Ellul: a comprehensive bibliography, jai Press
Ine, Stamford, Connecticut, 1984. Completato da diversi aggiornamenti
(1982-1985,1985-1993,1993-2000).
Charles Ringma, Resisi thè powers with Jacques Ellul\ Albatros, Prague
1995.

Riviste su Ellul

«The Ellul forum»: semestrale anglofono nato nel 1988, a cura di ricercatori
del ijes. David W. Gill, Associate Editor, The Ellul Forum, 363-62nd
Street, Oakland, ca 94618, usa.
«Les Chaiers Jacques Ellul»: rivista annuale (numero 1, gennaio 2003: Les
Années personnalistes; numero 2, gennaio 2004: La Technique), c/o
Patrick Chastenet.

Associazioni

«Association Internationale Jacques Ellul», aije, c/o Patrick Chastenet, 21,


rue Brun, 33800 Bordeaux. Indirizzo e-mail: aije33@wanadoo.fr
«International Jacques Ellul Society», IJES, P.o. Box 1033, Berkeley, CA
94701, usa.
«Association Acquitaine-Charbonneau-Ellul», c/o Daniel CérézueUe, 6,
rue Saint Joseph, 33000 Bordeaux.

399
INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI
*

Ackermann 200 Bertrand, G. 268


Adams, H. 144 Bestoujev Lada, I. 165
Africa 87 Birou, A. 12
Algeria 363 Blauner, R. 299
Althusser, L, 76 Bodin, J. 72
Ancarani, G. 397 Boehm, G.A.W. 267
Armand, L. 294 Boguslaw, R. 327
Aron, R. 7, 15-16,79,207,209,227 Bois,J. 12
230,391 Boli-Bennett, J. 43,71, 96,109, 147,
Asia 87,223,232,237,292 156,327
Atene 244 Bookchin, M. 188
Ayres, R.V. 343, 351-352 Bordeaux 7-9
Bossche, M. van den 399
Barbichon 200 Bové, J. 9
Barets, J. 294 Brasile 225
Barthes, R. 145 Braun, W. von 338
Baudrillard ,J. 23, 30-31, 33, 57, 66, Bretagna 339
95-96, 100, 107-108, 142, 154, Brun, J. 386
323,376,390 Brzezinski, Z.K. 25-26, 223-224,
Beaune, J.-C. 50-51, 53, 156, 185, 242,329, 359
249, 255-256 Buchanan, J. 216
Bell, D. 20,295,310,388 Buss, M. 221
Beraud, J.P. 262, 374
Bertalanffy, L. von 101 California 7
Bertaux, R 347 Canonge, F. 379

401
Indice dei nomi e dei luoghi

Cathelin, J. 384 Derian, J.-C. 330


Cazes, B. 93, 324, 365 Diebold, J. 252
Cérézuelle, D. 398 Diedisheim, J. 287
Charbonneau, B. 8, 68, 138-139, Donnadieu, J. 359
143, 179, 185, 187, 218, 234, Dornbusch, S.M. 303
269, 299,318,347,367,383 Drevet, A. 258
Charrier, Y. 8 Drouin, P. 360
Chastenet, R 398 Dubois, P. 12
Chesterton, G.K. 351 Ducei, R. 379
Chombart de Lauwe, RH. 79, 320 Dudincev, V. 285
Chruscev, N.S. 218 Dumazedier, J. 299
Cile 292, 330 Dumont, R. 96, 162
Cina 17, 134, 175, 187, 219, 220, Dupriez, L. 344, 355
331,347, 363 Durand, C. 203
Clark, C. 22, 30, 356
Clavel, M. 15 Eccles, J.C. 362
Closets, F. de 156, 160, 169-170, Einstein, A. 244, 309, 315-316, 334
191-192,262,270,278,287,291, Elgozy, G. 34, 123, 125-126, 131,
294, 321-322, 348-349, 353-354, 197,293,349,358
371,374,383-384,389,391 Ellul, J. 7-14,83,164,181,309,397-
Cohen, J.S. 162 399
Colorado 7 Escarpit, R. 125
Comte, A. 338 Europa 16, 111, 216, 261,274, 357,
Coninck, P. de 399 364
Coriat, B. 172,174-175
Costa d Avorio 225 Falldin, T. 364
Couffignal, L. 43, 124 Ferhat-Delessert, M. 365
Coumot, A.A. 144 Ferraro, P. 79
Courteline, G. 83 Finzi, C. 160,294,389
Crozier, M. 35, 137, 142, 162, 256, Font,J.-M. 125,127
283 Foucault, M. 395
Cuba 363 Fourastié22, 184
Francia 7-8, 28, 59, 80, 126, 139,
Dandieu, A. 387 164, 175, 192, 198, 201, 219,
Daumas, M. 105, 170, 189, 216, 261-262, 274, 278, 280, 318,
254-255,257,307,319 320,322,360,363
De Broglie, L. 124 Freeman, C. 194, 289, 323, 329
Dejeux, J. 225 Freud, S. 385
Delavenay, E. 124 Freyer, H. 249
Demichel, A. 294 Friedmann, G. 27-29, 44, 94, 266,
Demichel, F. 294 299, 378

402
Indice dei nomi e dei luoghi

Friedmann, Y. 311-313 Huxley, A. 7,313


Furia, D. 159, 189,197, 218,257
Fustier, M. 258 Ignazio di Loyola 211
Illich, I. 7, 146, 166, 192-193, 225,
Gabor, D. 253,267,391 317,361,387,398-399
Galbraith, J.K. 144, 161, 172, 282, India 89,233,292,347
391 Inghilterra 190,219
Garrigou-Lagrange, M. 14 Iran 367
Germania 47, 322, 396
Ghana 222 Jewkes, J. 363
Giappone 47, 165, 190, 216-217, Jonas, H. 26-27
226, 261,322,331,363 Jouvenel, B. de 93-94,106,168,253,
GUI, D.W. 399 258, 262, 268, 290, 309, 327,
Gille, B. 255 345,365-367,386,392-393
Godard, J.-L. 50 Jugoslavia 363
Gold, B. 188, 198, 270,326
Goldsmith, E. 149, 221 Kahn, H. 190, 193, 195, 294, 352,
Gran Bretagna 261,278, 322,329 354,387
Gras, A. 398 Kaufmann, A. 258,384
Grecia 245, 367 Keldych, M. 357
Grémion, P. 82 Keyfìtz, N. 267
Gritti, J. 95 Kleist, H. von 35-36
Gruson, C. 344 Klimenko, K.I. 287
Guevara, Che 316 Kolm, S.C. 196,367
Koyré 156
Habermas, J. 27, 61, 75, 104-106, Kranzberg, M. 184
147, 153, 159, 161, 195, 215, Krech, D. 315
264 Kuhn, T.S. 144, 333-334,336-337
Hall 156
Hamon, L. 46, 92, 101 Lacan, J. 145
HanksJ. 12,399 Lacoste,J. 11
Hartung, H. 95 Landes, D.S. 16
Hegel, G.W.F. 28, 61 Lassudrie Duchene, G. 365
Heidegger, M. 8, 395 Latouche, S. 398
Hempel, C.G. 156 Lattès, R. 99,159-160,198, 354
Hetman, F. 30, 250 Lavallard, J.-L. 338
Hitler, A. 179, 300, 316 Leclercq, J. 72
Hofstàtter, B. 384 Leclère, R. 291
Hottois, G. 399 Lefebvre, H. 12, 24, 29-31, 37, 58,
Hublin,J.J. 190 69, 101,112,116, 140, 205,235,
Hugo, V. 355 302,325,321

403
Indice dei nomi e dei luoghi

Le Moigne, J.J. 111 Morin, E. 243-245


Lenin, N. 374 Morin, P. 292
Leprince-Ringuet L. 263 Moscovici, M. 263
Leroi Gourhan, A. 123 Mousnier, R. 319
Levadoux, B. 256 Miiller, H. 310, 315
Lévi-Strauss, C. 236 Mumford, L. 12, 33, 146, 148, 181,
Libby, L. 369 234,310-311,318,355-356,381,
Lin Piao 220 390
Londra 367
Loubet de Bayle, J.-L. 398 Nader, R. 294
Nagel, E. 156
Macculley, J. 359 Napoleone 316
Mannheim, K. 252 Naraghi, E. 224
Mao Tse-tung 219-220, 316 Naville, P. 302
Marchais, G. 29 Neiburger, M. 269
Marcuse, H. 7, 60, 164, 195, 387 Neumann, J. von 50, 124
Marx, K. 8-9, 14, 18, 27, 76-77, 92, Newcomb, S. 338
97, 113, 173-175, 179, 187,218, Newton, I. 334
245,292,343,378,396 Nietzsche, F. 318
Massé, P 324, 367-368 Nordon, D. 398
Massenet, M. 260,289,296-297
Matz, U.E.B. 159 Offredo, J. 321
Mauss, M. 29 d’Oliveira Sousa, J.E. 208
McLuhan 24, 34, 99,244 OnimusJ. 138,210-211,303
Meadows, D. 102, 344 Oppenheimer, R. 315
Meissner, W. 294 Orlans, H. 176
Mendès, P 294
Mercier, P 231 Paesi Bassi 363
Mesarovic, M.D, 226,354 Parent, J. 288
Messadié, G. 382 Parigi 7,59, 199,268
Mesthene, E.G. 287 Parsons, T. 102, 111
Michael, D.N. 290 Pasteur, L. 316
Mills, C.W. 46-47,118, 359 Pavlov, I.P. 360
Mintz, M. 162 Perec, G. 6
Mishan, E.J. 366 Pericle 244,378
Mitscherlich, A. 218 Perù 167
Molès, A. 125, 128, 205,259 Pestel, E. 226
MonodJ. 12, 181,183,310,319 Piganiol, P 287
Montesquieu, C.-L. de 72 Platone 241
Montmollin, M. de 95, 98, 203, Platt, J.R. 372
Motel, G. 12 Plekhanov, G.V. 76

404
Indice dei nomi e dei luoghi

Poamé, L.M. 399 Seurat, S. 16-17,236


Pomian, K. 157 Seurin, J.-L. 399
Popper, K.R. 156 Sfez, L. 13, 122, 127-128, 161, 212,
Porquet, J.-L. 7, 399 295, 302,399
Prehoda, R.W. 275 Sheldon, D.W. 374
Purs, J. 216 Siegei 166
Simondon, G. 48, 52, 56, 105, 109-
Quiniou, J.-C. 125, 127, 131 110,153,155,167-168,203,205,
207,252,277,283-284,308,321,
Rad-Serecht, F. 232 331-332,373
Rakovsky, R. 287 Simonnot, P. 225
Rapp, F. 398 Skinner, F. 382
Reguilhem, 12 Skyvington, W. 124
Reich, C.A. 51, 94, 138, 141-142, Sorokin, P.A. 118
179,374-375 Spagna 265
Reszler, A. 343 Spicer, E. 265
Richta, R. 16, 18-19, 104-105, 140, Stalin 179,219-220, 291
161, 171, 173, 186-187, 218, Staropoli, A. 330
253,336,350,356,380 Stati Uniti 7, 80, 85, 112, 165, 167,
Ricoeur, P. 95 169, 184, 217, 224, 238, 261-
Ringma, C. 399 262,273-274,278,291,301,320,
Robinson, A. 231 322-323,326,329,338,363-367,
Rocard, M. 47 375
Roma 102, 344 Stillerman, R. 363
Roosevelt, T. 179 Stoccolma 65-66
Roqueplo, P. 380-381 Svezia 269,363-364
Rorvik, D. 49, 51, 66, 70, 123, 184,
242, 280, 349, 370 Taylor, F.W. 69, 175
Rose, S. 172 Tchakotine, S. 300
Teilhard, de Chardin, P. 243, 378
Sartin, P. 73 Teissier du Cros, A. 255, 258
Sartre, 7, 13,395 Teng Hsiao Ping 220
Sauvy, A. 12, 45, 162, 183,222, 347 Tinland, F. 399
Sawers, D. 363 Tixier Vignancour, J.-L. 29
Scheurer, F. 344 Todorov, T. 74
Schneider, L. 303 Toffler, A. 49,93,184,348,369-370,
Schon, A. 104,254,287,365 389-390
Schonfield, ??? 366-367 Togo 225
Schumacher, E.F. 257 Tokyo 36
Seligman, B.B. 104, 112, 153, 176 Touraine, A. 20-21,207,396
190,293,378 Treilie, J.-M. 371

405
Indice dei nomi e dei luoghi

Urban, G.R. 148,253,319, 366 Weippert, G. 104


urss 18, 88, 154, 164-165, 167, 175, West, M. 133
179, 190, 238, 273, 275, 301, Westin, A.F. 135
337,363 Weyembergh, M. 398
Whyte, W.H. 94
Vacca, R. 125, 129, 131, 137, 344, Wickham, S. 273
348,350,355,373 Wiener, A.J. 124, 195, 203 , 352,
Vahanian, G. 176,303-304,399 387
Vichney, N. 165,359 Wiener, N. 33, 119, 124
Vietnam 192,265,375 Willener, A. 388
Vitalis, A. 398
Zhou Enlai 219-220
Weber, M. 43,55,112-113,171 Zuckerkandl 172
Weidenbaum 172 Zwicky, A.M. 259
Weinberg 150,177

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Dal catalogo
Jaca Book

G. Bachelard, Inattività razionalista della fisica con­


temporanea, 1987
C. Sini, Gli abiti, le pratiche, i saperi, 1996,20032
C. Sini, La scrittura e il debito. Conflitto tra cultura e
antropologia, 2002
L. Colombo, Fame. Produzione di cibo e sovranità
alimentare, 2002
M. G. Francescato, A. Pecoraro Scanio, Il principio
di precauzione, 2002
G. Girolomoni, Alce Nero grida. Lagricoltura biolo­
gica, una sfida culturale, 2002
G. Nebbia, Le merci e i valori. Per una critica ecolo­
gica al capitalismo, 2002
R. Panikkar, Pace e interculturalità. Una riflessione
filosofica, 2002,20062
S. Finardi, C. Tombola, Le strade delle armi, 2002
J. Petras, H. Veltmeyer, La globalizzazione smasche­
rata. Limperialismo nel xxi secolo, 2002
M. Zucchetti, Guerra infinita, guerra ecologica, 2003
A. Panzeri, Il lavoratore fuori garanzia. Solitudini e
responsabilità di una società avanzata, 2003
P.P. Poggio, La crisi ecologica. Origini' rimozioni, si­
gnificati, 2003
G. Bachelard, L'impegno razionalista, 2003
H. Jaffe, Limperialismo dell'auto. Auto + Petrolio =
Guerra, 2004
C. Bonaiuti, A. Lodovisi (a cura di), Il commercio
delle armi. L'Italia nel contesto internazionale,
2004
R. Massa, // secolo della biodiversità, 2005
R. Bindi, Ltf Wate impaziente. Un bene pubblico e un
diritto di ciascuno, 2005
G. Fantuzzi, S. Finardi, L'impero dei miei stivali.
Corrispondenze dagli usa , 2005
AA.W., Disfare lo sviluppo per rifare il mondo, 2005
A. Baracca, A volte ritornano: il nucleare. La prolife­
razione nucleare ieri’ oggi e soprattutto domani,
2005
A. Zhok, Lo spirito del denaro e la liquidazione del
mondo. Antropologia filosofica delle transazioni,
2006
G. Ricoveri (a cura di), Capitalismo Natura Sociali­
smo, 2006
A.C. Sjòlander-Holland, // business dell acqua. Com­
pagnie e multinazionali contro la gente, 2006
L. Vasapollo (a cura di), L'acqua scarseggia... ma la
papera galleggia/, 2006
C. Bonaiuti, A. Lodovisi (a cura di), Le spese militari
nel mondo: il costo dell'insicurezza, 2006
S. Pérez-Vitoria, Il ritorno dei contadini, 2007
J.-C. Besson-Girard, Decrescendo cantabile. Piccolo
manuale per una decrescita armonica, 2007
C. Modonesi, G. Tamino, I. Verga, Biotecnocrazia.
Informazione scientifica, agricoltura, decisione po­
litica, 2007
C. Modonesi, G. Tamino (a cura di), Fast Science. La
mercificazione della conoscenza scientifica e della
comunicazione, 2008
J.-L, Porquet, Jacques Ellul, l'uomo che aveva previ­
sto (quasi) tutto, 2008
P.P. Giorgi, La violenza inevitabile: una menzogna
moderna. Origini culturali della violenza e della
guerra, 2008
N. Ridoux, La decrescita per tutti: - meno merci +
giustizia, 2008
M. Zane, Storia e memoria del personal computer. Il
caso italiano. Dai mainframe ai PC., 2008
F. Varillon, Traversate di un credente, 2008
S. Petrosino, Capovolgimenti. La casa non è una tana,
l'economia non è il business, 2008
A. Baracca, L'Italia torna al nucleare? I costi, i rischi,
le bugie, 2008
J. Ellul, Il sistema tecnico, 2009
A. Gorz, Ecologica, 2009
J. Martinez Alier, Ecologia dei poveri. La lotta per la
giustizia ambientale, 2009 (in prep.)
J. Derrida, Seminari. La bestia e il sovrano. Volume i
(2001-2002), 2009 (in prep.)

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