Sei sulla pagina 1di 7

Quadro metodologico

Problematicità della priorità di critica e letteratura, soprattutto se si vuole indagare la relazione tra
vita -storia- e manifestazione intellettuale in veste letteraria.
Mythologies di Roland Barthes, Rhyzome di Gille Deleuze Felix Guattari, critica tematica. Cosa fa
di un oggetto un tema? O meglio il tema non è forse una categoria fluttuante? Ritorno della critica
tematica dizionario UTET.
Nella letteratura di migranti gli oggetti, nel senso tradizionale di cose, sono entità stranianti: lo
diventano ancor di più se li intendiamo in senso meno rassicurante come tutto ciò che viene posto di
fronte al soggetto. Animali dagli atteggiamenti che solitamente ascriviamo agli umani o animali che
vengono trattati come umani, ma anche oggetti che vengono trattati alla stregua di esseri viventi. In
modo drammatico e, sempre secondo Deleuze Guattari di Kafka, pour une litterature mineure, i
confini tra animato e inanimato, tra animale umano e animale non umano si confondono. Senza
giungere a questi estremi, la letteratura della migrazione, sia essa postcoloniale o meno, offre
oggetti stranianti perché non troppo presenti alle latitudini del continente europeo. Se gli oggetti in
essa inscenati non sono presenti nella cultura europea, allora per nominarli in tutta la loro
dirompente alterità si ricorre a una lingua altra cioè a un'altra lingua, quella del paese colonizzato,
che si intrufola in diverse forme nel testo scritto nella lingua del colonizzatore di un tempo, lingua
che può esser di elezione o madrelingua che ha vissuto in rapporto più o meno stretto di
concubinato con la lingua del paese colonizzato. La colonizzazione in Italia è stata non solo esterna
ma anche interna: culture dotate di prestigio secondo la dizione di Bartoli hanno assunto un ruolo
egemone, secondo la pronuncia gramsciana del concetto elaborato dal suo maestro di linguistica.
Culture che si sono autoproclamate prestigiose hanno emarginato o represso culture altre; culture,
che, anche in ambito nazionale, hanno a volte resistito all'unificazione e normalizzazione
sovraregionale dando luogo alle parlate locali sino a prendersi una parziale rivincita con la rinascita
della produzione vernacolare tra il XIX e il XX secolo con Fucini, Belli, Porta e Di Giacomo e la
conseguente nascita di una critica militante 1952 Dell'Arco e P.P. Pasolini, Poesia dialettale del
Novecento o filologicamente e testualmente impegnata con Franco Brevini. Quali strategie vengono
utilizzate nella letteratura postcoloniale di autrici per dare visibilità o accesso all'alterità che può
sedimentarsi nell'intarsio linguistico? Come si relazionano queste forme di alterità all'archivio
culturale che potenzialmente costituisce un testo letterario? I mezzi più frequenti per la traduzione
di un masso erratico di diverse dimensioni dalla zona di provenienza alla cultura in cui è capitato o
è stato gettato sono la nota a piè di pagina e il glossario. In ambito ispanofono l'indigenismo,
corrente letteraria sviluppatasi in America latina tra la fine del XIX secolo e gli inizi del secolo
seguente, ha presentato opere letterarie che hanno cercato di rivalorizzare l'indigeno all'interno
dell'idioma dominante con inserti dalle parlate preispaniche tematitizzati o meno tramite glossari.
Da un punto di vista testuale è significativo che il testo di Gerard Génette Seuils tra le diverse
tipologie di marginalia non nomini il glossario, almeno non lo nomini nei luoghi ove ci si
aspetterebbe di trovarlo, vale a dire nel capitolo dedicato alle note o nello scampolo di paragrafo
dedicato agli indici1. Nel capitolo dedicato alle note, ripercorrendo la storia del paratesto, l'autore
menziona la glossa, descrivendone funzioni, destinatari, destinatori e forme. In un approccio così
analitico stupisce dunque la mancanza di un riferimento a un apparato testuale così consolidato e di
così ricca tradizione. Non miglior fortuna ha avuto il genere paratestuale presso gli studi
postcoloniali: nella seconda edizione del fortunato volume curato da Bill Ashcroft, Gareth Griffiths
e Helen Tiffin, Post-Colonial Studies. The Key Concepts, non nomina il glossario come variabile
nei lemmi nei quali lo si potrebbe aspettare Alterity, Creolisation, Exotic / exoticism, Hybridity. Nel
testo precedente dei medesimi autori The Empire Writes Back un paragrafo di un capitolo era invece
dedicato almeno all'attività del glossare. Una breve nota si trova tanto nel saggio di Eugene Nida
raccolto nel reader curato da Lawrence Venuti sulla teoria della traduzione, quanto nel lemma
Terminology nell'”Encyclopedia of Translation Studies” curato da Juan C. Sager (Mona Baker,
1998, 2001 seconda ed, pp. 255-258). Se passiamo a opere di consultazione, troviamo la Glossatori
nell'”Enciclopedia del diritto”, XIX, Giuffrè, Varese, 1970, pp. 625-634, la menzione della Glosse
1
Genette, Seuils, rispettivamente pp. 293-315 e 291-292.
nell'Historisches Wörterbuch der Rhetorik e della Glossografik nel lungo e dettagliato articolo nel
Pauly. Le ultime due voci contengono due accenni interessanti. Sotto glosse troviamo l'indicazione
che la prima menzione di glossa in un testo in greco antico che abbia spessore filosofico-letterario si
trova nella poetica di Aristotele (1547 b) e in essa questo termine indicherebbe i lemmi stranieri
bisognosi di spiegazione: quindi ab origine la glossa riguarda proprio le intrusioni da lingue diverse
rispetto a quella usata nel testo. Di qui attraverso Cicerone e Quintiliano sarebbe giunta a formare i
complessi di glosse che appunto assumono la designazione attraverso il collettivo glossario.
Purtroppo fuggevolissimo il riferimento di XXX nel lemma Glossografik del Pauly. L'autore
menziona come glossatori antichi fossero anche giuristi. Sviluppando questa osservazione, non
senza aver chiesto venia per l'eventuale arbitrarietà del vertiginoso salto, si può collegare l'attività
del chiosatore di termini giuridici a due recenti posizioni della narratologia critica, vale a dire a
Dolezel e a Nganang. Non originale nel contenuto ma singolare per la centralità e per il vigore, la
rilevanza che il termine assume e da avvicinare alla cetralità per sociologia ocmprendente di Alfred
Schütz. Anche Dolezel a dire il vero con il suo Heterocosmica sfonda una porta aperta: egli sostiene
con vigore che, contrariamente a quanto era implicito nella posizione di Bertrand Russell, il testo di
finzione non è di carattere referenziale, ma mira piuttosto a creare un mondo parallelo, un mondo
possibile, prendendo a prestito la terminologia da sviluppi più recenti della logica. Il giurista, in
maniera analoga, agisce non sul piano dell'essere, ma su quello del dover essere e nelle sue chiose
rinvia appunto a questo mondo parallelo a quello dello status quo. A questa dimensione giuridica
della produzione linguistica umana rimanda la concezione del romanzo postcoloniale come
caratterizzato dalla preémption sviluppato dallo scrittore e critico camerunense Patrice Nganang.
Secondo questo autore la letteratura postcoloniale africana pretenderebbe di conquistare una zona di
dicibilità in forma preventiva, cioè prima che una certa zona del dicibile venga conquistata da altri.
Se ricordiamo che secondo un modello un po' trito la nazione si definirebbe per la lingua comune,
per la tradizione comune e per i confini all'interno dei quali varrebbero le medesime leggi,
l'accostamento dello scrittore postcoloniale a un potenziale legislatore che intenda quanto meno
mettere in discussione un certo modo di intendere il mondo e le sue strutture etico-giuridiche
attraverso un lavoro di chiosatura appare legittima. Una caratteristica del glossario d'autrice è il
fatto che in esso l'autrice si presenta come autochiosatrice che effettua una scelta di termini secondo
la sua prospettiva presumibilmente poco noti da sottoporre all'attenzione di lettrici e lettori. Un altro
aspetto da prendere in considerazione è il carattere di traduttrice culturale che in questo modo
assume l'autrice e in questo ambito agisce in forma più o meno cosciente su due piani: da un lato
con la propria opera fornisce una certa idea di un mondo e del mondo, ma con la compilazione del
glossario, oltre a ciò, fornisce una chiave d'accesso al proprio modo forgiata a uso e consumo di chi
quel mondo non lo conosce (Benveniste). Nella pratica della lettura il glossario può costituire una
sorta di ostacolo alla traduzione culturale che nel prosieguo della lettura si va facendo sempre più
docile.
Presenterò prima un esempio tratto da Carlo Emilio Gadda sul modo in cui intrusioni linguistiche
possono contribuire alla costruzione di un significato altro; menzionerò brevemente diverse
strategie volte a dare spessore semantico alle intrusioni; prenderò in considerazione quella
particolare forma di soglia che pare aver ottenuto scarsa attenzione, vale a dire il glossario; a partire
dalla neutra lista in ordine alfabetico, cercherò di presentare il tipo di accesso al testo letterario che
si otterrebbe utilizzando questo strumento saggiando la procedura attraverso la lettura di due testi di
Ermina dell'Oro; terminerò con una riflessione sulle prospettive di lettura che possono esser aperte
se si volesse accordare ai due strumenti e alla strategia menzionata nella lettura del testo letterario
con particolare attenzione per la produzione femminile.
Cominciamo dunque con Carlo Emilio Gadda e non tanto con i testi canonici della sua trattazione
sperimentale dei diversi strati linguistici, che potrebbero esser La cognizione e Quer pasticciaccio
brutto de via Merulana, quanto piuttosto con un testo umile: una ricetta, vale a dire con Risotto
patrio. Récipe. La ricetta, come genere testuale, presenta una sorta di miniparatesto diffuso
consistente nella lista degli ingredienti. Il testo di Gadda non poteva non mancare di questo
strumento. Già nel titolo troviamo un intruso da glossa: il termine latino dal quale deriva l'italiano
ricetta, assieme a tutte le parole della famiglia europea che indicano la procedura per la produzione
di un preparato per usi dietetici. Che tipo di archivio oggettuale presenta il testo? Possiamo
suddividere gli oggetti presenti nel testo in due ampie categorie a loro volta suddivise in
sottocategorie. Anzitutto presenta oggetti in senso proprio suddivisibili in materie prime
come il pericarpo (3; 5) il chicco (5), gli sbrani d’una pellicola, lo zafferano (9; 31; 41)
eventualmente contenuto in boccette sigillate (42), cipolla tenera (18) il ramaiolo di brodo (18)
burro lodigiano (19) o senza ulteriore precisazione (20) cui si contrappone la margarina (47), il
lesso di manzo (40) carote-sedani (40) toro (40) midolle di osso (di bue) (49) tartufi e funghi (61;
62; 64) sono opzionali mentre il parmigiano grattugiato (59) vino rosso e corposo del Piemonte
fanno corona al risotto alla milanese, il risotto con lo zafferano. Per la preparazione sono necessari
diversi piatti. La seconda categoria di oggetti è costituita da arnesi da cucina: una vasta cucina (12)
col pavimento in ammattonato (15) accoglie dei rami (13; 14) tra i quali troviamo una casseruola
rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico di ferro vecchia (10-11; 17; 61) che per la
decadenza dei tempi può esser sostituita da un recipiente in alluminio (16); sul fondo stagnato (25;
28) il testo ritorna in due occasioni per afferrare il manico si indica una presa di feltro (17); per le
operazioni legate più strettamente alla preparazione troviamo un mestolo (prima in rame poi di
legno) (23-24; 51; 54) ramaiolate che implicano un ramaiolo (30) una scodella (31; 50), cucchiaini
da caffè (33 o non meglio determinati) cucchiaini (33; 36) succhi (58) e uno speciale arnese affetta-
trifole (62). Se allarghiamo lo sguardo verso l'ambiente circostante troviamo un paesaggio dipinto a
larghe pennellate e con diversi piani: in primo piano troviamo l'ambiente circostante costituito da
Lodi (19, 39, 45) da cui allargando lo sguardo si contempla la pianura padana (40) e si fa una
puntatina critica verso i Balcani, luogo di allevamento di cornuti animali le cui carni sono
assolutamente da sconsigliare (41) per poi tornare con uno zoom inverso verso alla bassa milanese,
alle risorgive (46) e al Piemonte (54). Tutta la procedura è presentata come un rito officiato a diversi
livelli di cooperazione da risottai (60) e tavolanti con la cooperazione di Carlo Erba (41) dei come
Asclepio Esculapio e Giove Xenio (37, 43): i diretti fruitori sono diversamente qualificati come
commensali (20; 51), ospiti (43) e nostre midolle (53). Il carattere sacro è rafforzato dalla presenza
di espressioni figurate. Eccone l'elenco: quasi fuso (2-3) spogliato (4) lacera veste (6), battesimo
(9), annegarlo (28), appiccicato ai compagni (58); tutta l'operazione è definita rituale (25, 27), sacro
(38) ufficio (52) e alla fine si parla di festa consunta (63), con chiara impennata di registro
linguistico. Il quadro dei soggetti è completato da anonimi coldiretti e intendenti piemontesi e
lombardi (4) in seguito ironicamente declinati in iperintendenti ipertecnici (48). Gli intarsi
linguistici sono costituiti da un neologismo come il composto butirroso-cipollino che nobilita il
regionale butirro e la trifola anch'essa nobilitata dalla presenza di un arnese apposito per affettare i
tartufi. Al registro linguistico colto appartengono oltre al titolo récipe il quantum prodest (20-27) e
al ricerca etimologica di Laus Pompeia (39).
In modo molto raffinato l'autore ci presenta una realtà in movimento a partire da un lato da oggetti e
dall'altro da frammenti linguistici di diversa estrazione e ciò senza far uso di glossari: il compito di
costruire le note esplicative è affidato al lettore. Chiaramente il testo non è di facile lettura e lo
scandaglio dei significati profondi richiede pazienza e preconoscenze storico-linguistiche.
Diversa la strategia di Gabriella Ghermandi in Regina di fiori e di perle e di Igiaba Scego in Oltre
Babilonia: note a piè di pagina chiariscono il significato di termini poco noti. Ulteriore possibilità è
costituita dalla collocazione di un glossario a fine volume. È la strategia scelta dal Pasolini dei
romanzi romani, dopo la traduzione d'autore delle Poesie a Casarsa: la vicenda dei romanzi si
snoda tra le borgate della capitale frequentata da Pasolini che, con Mimesis di Auerbach in tasca,
avrebbe registrato in modo fedele, secondo la sua percezione, le voci del popolo secondo
l'espressione dialettale. Le spiegazioni dei termini meno trasparenti sono raccolte in un glossario a
fine volume che si riduce a un repertorio di traduzioni che affida la produzione del significato nel
lettore attraverso la progressione di una lettura che potrebbe rendersi sempre più autonoma rispetto
al glossario per l'ispessimento di significanti inizialmente vuoti e da riempire attraverso la
consultazione del glossario: un'analisi dei meccanismi di una tale progressione esula dalle presenti
argomentazioni. Analizziamo concretamente come il glossario viene costruito da Ermina dell'Oro.
La sua prima opera introduce il tema del movimento da un altrove o da qualcuno che viene lasciato
alle proprie spalle; oltre a L'abbandono, l'autrice ha pubblicato anche Asmara addio, e il racconto
lungo per adolescenti Dall'altra parte del mare. Attraverso quali intarsi linguistici viene evocata
l'alterità? Con quali mezzi viene organizzato il catalogo esotico? Quale mondo evoca il glossario
(archivio) di L'abbandono? Quale area di significato intende catturare?
Cominciamo con i termini di oggetti di uso comune in quanto sono quelli nei quali dovrebbero
sedimentarsi le strutture sociali persistenti:
Angareb: rete che gli eritrei e altri popoli africani usano per dormire.
Curbasc: scudiscio un tempo diffuso nei paesi soggetti a dominazione coloniale. Veniva usato per
infliggere pene corporali. Il suo uso perdura presso alcuni popoli orientali.
Futa: indumento usato dalle donne eritree per coprirsi il capo e parte del corpo.
Gellabia: lunga tunica usata dagli arabi
mogogò: fornello sul quale si cuoce l'anghera.
musciarrabiah: grata in legno delle abitazioni di popoli arabi.
Scibuk: pipa di foggia particolare usata nei paesi arabi.
Zembil: cesto fatto di fibre vegetali intrecciate, che le donne eritree usano per diversi scopi.

Beni bisognosi di ricambio periodico


Anghera: pronunciato dagli eritrei „ingera“; sottile focaccia di taff usata come pane.
Bacscisc: mancia elemosina.
Beless: fico d'india.
Berberè: peperoncino rosso, tritato, mescolato a mlte altre spezie, usato come condimento nella
preparazione di piatti etiopici.
Borgutta: focaccia povera, composta di farina e acqua.
Ciai: tè
henna: erba che le donne eritree e di altri paesi orientali usano per colorarsi i piedi e le mani, e,
nel giorno delle nozze, tutto il corpo.
Khol: polvere scura brillante con cui dare risalto agli occhi, considerata anche un disinfettante.
Mies: bevanda alcolica molto diffusa in Eritrea.
Sciró: farina di ceci cotta nell'acqua, con aggiunta di berberè.
Taff: coltura comune sull'altipiano eritreo, cereale molto usato, soprattutto per fare l'anghera.
Zighiní: piatto nazionale eritreo, composto di carne tagliata in piccoli pezzi e cotta in un sugo reso
molto piccante dal berberè.

Spazi comuni
tecceria: locale dove si prepara e si serve il tè. (implicito: preparazione complessa)
tucul: capanna a tetto conico, costruita con tronchi d'albero, rami e foglie, e intonacata con un
impasto di fango, paglia e sterco bovino.

Soggetti
Abescia: „abissino“, detto in forma dispregiativa dagli eritrei.
Ascaro: soldato indigeno al servizio delle truppe italiane.
Baniani: mercanti dell'India.
Cascí: prete, sacerdote del coptismo.
Meticcio: chi è nato da un genitore di razza bianca e da uno di razza india. È questo il significato
esatto della parola, destinata all'area americana. Però in Eritrea sono sempre stati definiti meticci i
nati da un genitore di razza bianca e e da uno di razza africana, nel qual caso il termine esatto
sarebbe „mulatto“.
Muezzin: la persona che dall'alto del minareto invita i fedeli a pregare nelle ore dedicate alle cinque
preghiere canoniche musulmane. Dall'arabo „invito alla preghiera“.
Ras: titolo attribuito ai dignitari di Stato etiopici, aventi signoria e giurisdizione su singole province.
Sciarmutta: donna che si prostituisce per denaro, puttana.
Torsarauit: soldato dell'esercito etiopico.
Tzar: demonio.
Zeptie': guardia dell'ordine.

I prodotti materiali in genere caratterizzano la cultura del Corno d'Africa, ma accanto ad essi
troviamo termini importati dalle parlate locali che designano senza differenze segnalate dall'autrice
gli stessi prodotti noti alle nostre latitudini (è il caso di ciai o di beless). Tra i prodotti locali si nota
nella spiegazione una certa imprecisione come angareb indicato come rete in tutta l'Africa, fatto che
sembra spalmare su tutto il continente un'omogeneità difficile da immaginare.
Non è possibile analizzare il romanzo nella sua interezza. Vediamo quindi solo come il mondo
potenzialmente evocato dalla lista venga attualizzato nelle pagine iniziale del romanzo.
“L'universo, accendendo i suoi soli e le stelle negli spazi infiniti, vibrò per l'incanto che gli era
toccato, ma capì che era solo, e per sempre. Fu allora che pianse. Un volo d'angeli attraversò i cieli
illuminati dai molteplici soli, le ali screziate brillarono riflettendo la luce e disparvero; in
quell'attimo l'universo si distese in un ampio respiro, le sue lacrime si cristallizzarono in altri mondi
che serbarono il sogno, o il ricordo, delle ali illuminate dai soli. E a volte, a ricordare l'antico dolore
del cosmo e quella scia di colori che lo aveva sfiorato per lenirne la pena appariva nei cieli un
arcobaleno.
Dopo l'ultima pioggia dell'anno il ponte luminoso apparve su Adi Ugri, un villaggio dell'altipiano
eritreo; Sellass pensò che era un segnale di Dio (...) I suoi genitori erano morti, le cinque sorelle e il
fratello tiravano avanti con le loro famiglie, faticando su aridi ritagli di terra.” (p. 3)

“Per non sentirsi sola popolava di sogni il suo cammino, e cantava. Dio aveva creato un ponte per
portarla lontana dal villaggio, ora lei pensava di attraversare il cielo, e certo qualche spirito dell'aria
le rimaneva accanto, in quel silenzio, per tenere lontana la paura.” (p. 5)

“Ma il cuore continuava a farle male, e quando Sellass vide, nell'ombra, l'incerto disegno di un
tucul, chiese alla famiglia che lo abitava ospitalità fino all'alba.” (p. 5)

“Incontrò una carovana di mercanti rashaida con le loro donne velate che ondeggiavano sulle alte
groppe dei cammelli facendo tintinnare i pesanti orecchini, e che, nella loro remota alterigia le
sembrarono creature della sua fantasia.” (p. 5)

“Sellass vide un gruppo di bambini che si contendevano le interiora di un asino sul cui corpo
impazzivano nugoli di insetti. Avvoltoi volavano intorno ai bambini gridando.” (p. 7)

“Tuo figlio è morto, - disse porgendole l'animale, - allatta l'agnello e ingrassalo, lo daremo da
mangiare ai più deboli.
La donna prese l'agnello che continuava a belare e lo accostò al seno; vicino a lei, in terra, c'era un
minuscolo sudario che avvolgeva il bambino. Lo aveva intessuto al paese e lo aveva portato con sé
nel lungo viaggio verso il mare perché se la morte li avesse sorpresi suo figlio non sarebbe andato,
nudo, alla terra.”
Cap. II
“Si vedevano, accovacciate in terra, vecchie donne del luogo improvvisare piccoli mercati gridando
che avevano mangerie, un vocabolo inventato da loro e che bene rendeva il significato dei
mucchietti di spezie e di cereali, corteggiati da mosche, messi in terra sopra vecchie cartacce.
Nelle ore roventi Massaua, quando anche i cani randagi sparivano in ombre nascoste, arabi grassi,
seduti davanti alle teccerie, fumavano i loro scibuk gustando con evidente piacere quel misto di
fumo e di ozio.” (p. 10)

“Negli intervalli fra l'una e l'altra delle cacce alla sopravvivenza, (i bambini) giocavano con
pietruzze colorate, urlando e talvolta accapigliandosi. Finché arrivava all'improvviso uno zaptiè,
con il suo curbasc; si sentiva la frusta fischiare nell'aria e allora, come per incantesimo, i bambini
parevan mutarsi in lucertole che guizzavano in angoli bui sparendo. (...) Trascorso il momento di
ingordigia, mentre arrivava la solita guardia dell'ordine con il già sperimentato curbasc, i piccoli
sparivano nuovamente, come ingoiati dal nulla.” (p. 11)

“- Miriam. - Un grasso uomo arabo, con una lunga gellabia bianca, si era fermato vicino alle due
donne (Sellass e una cartomante). - Dimmi quando Sellass dormirà con me e falle sapere che la
coprirò d'oro.
Sellass si alzò, prese l'otre che aveva appoggiato al muro e se lo caricò sulla schiena; - ci sono molte
sciarmutte che aspettano i tuoi talleri, - disse e se ne andò dopo aver abbracciato Miriam.” (p. 14)

Facciamo la medesima operazione di ricognizione del mondo evocato dal glossario per il racconto
per ragazze e ragazzi di età superiore ai 9 anni. Il testo è pubblicato dalla casa editrice Piemme nella
collana Il battello a vapore che da ormai molti anni cura l'editoria per giovani lettori e lettrici
organizzando le collane per fasce d'età.
Cominciamo con i termini di oggetti di uso comune in quanto sono quelli nei quali dovrebbero
sedimentarsi le strutture sociali persistenti:
Jallabia: lunga tunica indossata dagli uomini dei paesi arabi
Nezelà: sciarpa tessuta in cotone, usata dalle donne eritree.

Beni bisognosi di ricambio periodico


kohl: polvere scura e brillante che dà risalto agli occhi. La si usa anche come disinfettante.
Mogogò: fornello sul quale si cuoce, all'aperto, l'ingera, sottile focaccia usata come pane.
Zaituni: frutti ricchi di polpa e di semi, dal profumo intenso.

Spazi comuni
baobab: albero dell'Africa tropicale, di dimensioni imponenti. Il suo nome scientifico è adansonia
digitata.
Sahel: regione dell'Eritrea molto bella e complessa, regione di montagne, di picchi inaccessibili, di
strette gole e deserti.
Nyala: gazzelle di dimensioni minuscole.

Soggetti
Kurdi: abitanti del Kurdistan, una regione dell'Asia Minore.
Menghistù: capo del governo dei militari in Etiopia, che comandava – da dittatore – anche in
Eritrea.
Muezzin: chi nelle moschee islamiche, invita con un canto rituale i fredeli alla preghiera nelle ore
prestabilite.
Rashaida: popolazione di nomadi.
Sciabia: in questo modo venivano chiamati i guerriglieri eritrei durante la guerra di liberazione.

Termini astratti
Tor sarauit: termine dispregiativo dato dagli eritrei ai miiltari etiopi.
Faidù: espressione che significa “Sia fatta la volontà di Dio”.
Salam eilekom: saluto arabo.
Sciucara: “grazie” in lingua araba.
Tigrino: o tigriná lingua paralta in Eritrea.

Il testo si presenta strutturato in capitoli che alternano la narrazione della vita di una bambina eritrea
che con la madre vedova sta traversando il Mediterraneo per raggiungere l'Italia: compagni di
ventura sono altri fuggiaschi con diverse destinazioni. Il racconto si connota potenzialmente per
questioni di genere oltre che per il nome dell'autrice, anche per la prospettiva da cui viene narrata la
vicenda (quella della protagonista che si qualifica come narratrice intradiegetica) e per il ruolo che
le donne svolgono in essa. Da questo punto di vista possiamo affermare che il numero di personaggi
femminili è superiore rispetto a quelli maschili, ma soprattutto che l'unico personaggio del
continente africano che riesce in piena autonomia a realizzare i suoi desideri è Ribka una giovane
africana che vesta secondo i costumi occidentali (minigonne e jeans), si stira i capelli, assume
l'iniziativa nel corteggiamento dell'amato e soprattutto lo raggiunge in Italia attraverso una
migrazione legale realizzata con aereo di linea. Giunta in Italia, la ragazza si congiungerà con
l'amato che era precedentemente migrato clandestinamente in Europa, e qui trova impegno precario
con la prospettiva di trovare impiego fisso nel settore della ristorazione.
Tra i lemmi del glossario dobbiamo notare una netta prevalenza per quanto riguarda il nunmero di
occorrenze di tre oggetti in senso lato: il baobab, il nezelà e gli sciabia. Un albero, un capo di
vestiario femminile e un gruppo umano caratterizzato per la sua professione, truppa informale di
liberazione. Il velo usato dalle donne conta cinque occorrenze esplicite cui vanno aggiunte due
occorrenze che il lettore può dedurre quando si parla di scialle e sciarpa, portando così a otto il
numero di testimoni. Il corrispettivo maschile conta una sola occorrenza esplicita e una assimilabile
nel termine abito (p. 77) riferito a arabi di costumi tradizionali. Il romanzo anche per questo motivo
si presenta con volto femminile. Il baobab è presente solo con tre occorrenze, ma si tratta di
presenze forti perché collocate in punti chiave della vicenda: il baobab avrebbe offerto in diverse
circostanze e a diversi soggetti riparo dalle bombe. Nell'immaginario di molti popoli dell'Africa
l'albero ha un forte valore simbolico. Ma forse più che questo albero del glossario val la pena
ricordare altri rappresentanti della vegetazione che hanno un effetto più straniante: vale a dire il
pepe rosa e una pianta dai fiori blu. Il primo è straniante perché, pur incontrando sulle nostre tavole
il pepe come spezia, difficilmente associamo ad esso l'idea di albero. Il secondo è straniante per
l'allusione a una specie vegetale acclimatata in Eritrea per la quale non viene fornito un nome: la
narratrice parla spesso di fiori azzurri. Dato il luogo in cui si troverebbe la pianta e data la presenza
del glossario, sorge nel lettore il sospetto che si tratti di specie non presente in Europa. Il fatto non è
marginale perché la pianta è associata col mondo femminile: il giorno della nascita della sorella
della protagonista sarebbero entrati con una folata di vento fiori azzurri nella casa della neonata. Gli
elementi frettolosamente elencati ci fanno pensare a un mondo femminile coloniale, attivo,
resistente e connotato positivamente attraverso associazioni che, pur partendo dal glossario, vanno
oltre ad esso.
Se confrontiamo le parti analizzate dei due testi notiamo una maggior carica espressionistica nel
testo destinato a un pubblico qualsiasi, mentre nel testo destinato a preadolescenti notiamo un clima
da fiaba accentuato da forme di alterità non lessicalizzate e soprattutto un'ambigua e, di primo
acchito, non giustificata naturalizzazione della morte. Comune invece il rilievo assegnato alle figure
femminili.
Chiudiamo osservando come sia doveroso integrare il glossario nel genere del paratesto e
soprattutto come sia utile pensare ai testi letterari come archivi culturali in cui oltre alle vicende di
soggetti sono depositate vicende di oggetti. Poiché la letteratura è fondamentalmente forma,
varrebbe la pena pensare a un più accorto utilizzo del glossario, tanto nel caso in cui lo si usi,
quanto nel caso in cui si costruisca un testo a partire da un inventario non esplicitamente riportato.

Quali sono connotati secondo una prospettiva di genere? Traduzione come oggetto resistente
(Benjamin), tanto più importante se si pensa al pubblico infantile.

Potrebbero piacerti anche